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15 Il metodo Il metodo Herman Gombiner aprì un occhio: era così che si svegliava ogni mattina, adagio adagio, aprendo prima un occhio, poi l’altro. Il suo sguardo cadde sulle crepe del soffitto e su una fetta dell’edificio di fronte. Era andato a letto alle ore piccole, verso le tre, e ci aveva messo un bel po’ prima di addormentarsi. Adesso erano quasi le dieci. Da qualche tempo Herman soffriva di una sorta di amnesia: quando si svegliava di notte non riusciva a ricordare dov’e- ra, chi era, e nemmeno come si chiamava. Ci metteva qualche secondo a capire che non stava più a Kalomin o a Varsavia ma a New York, in una strada popolare tra Columbus Avenue e Central Park West. (Isaac B. Singer, L’uomo che scriveva lettere) I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino di mezzo maggio in un verde giardino. Eran d’intorno vïolette e gigli fra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli, azzurri, gialli, candidi e vermigli: ond’io porsi la mano a côr di quelli per adornare e mie’ biondi capelli, e cinger di grillanda el vago crino. (Angelo Poliziano, Rime) Dei due testi che abbiamo riportato il primo è scritto in prosa, il secondo, invece, è un testo in poesia. Come lo sappiamo? Quali sono le differenze tra prosa e poesia? Il primo brano è in prosa: descrive un personaggio, che non coincide con chi scrive (tutti i verbi sono alla terza persona singolare). Nonostante la brevità del testo, ci vengono offer- ti molti dati e, dopo soltanto poche righe, riusciamo già a sapere molte cose del protago- nista, che ci sembra vicinissimo: possiamo quasi vederlo mentre si sveglia. All’interno del brano si possono isolare tre diversi momenti, che si susseguono l’uno all’altro: - innanzitutto c’è la descrizione del risveglio; - poi un flash-back (un ritorno indietro nel tempo) che ci porta alla notte precedente; - infine un ritorno al presente con la considerazione dello stato in cui l’uomo si trova da qualche tempo: svegliandosi nel cuore della notte, egli non sa più dove si trova, se in Europa o in America, e non riesce nemmeno a ricordare il proprio nome. In poche righe abbiamo tutti questi dati. 1. Prosa e poesia: livello grafico e formale

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15Il metodo

Il metodo

Herman Gombiner aprì un occhio: era così che si svegliava ogni mattina, adagio adagio,aprendo prima un occhio, poi l’altro. Il suo sguardo cadde sulle crepe del soffitto e su unafetta dell’edificio di fronte. Era andato a letto alle ore piccole, verso le tre, e ci aveva messoun bel po’ prima di addormentarsi. Adesso erano quasi le dieci. Da qualche tempo Hermansoffriva di una sorta di amnesia: quando si svegliava di notte non riusciva a ricordare dov’e-ra, chi era, e nemmeno come si chiamava. Ci metteva qualche secondo a capire che nonstava più a Kalomin o a Varsavia ma a New York, in una strada popolare tra ColumbusAvenue e Central Park West.

(Isaac B. Singer, L’uomo che scriveva lettere)

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattinodi mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d’intorno vïolette e giglifra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli,azzurri, gialli, candidi e vermigli: ond’io porsi la mano a côr di quelliper adornare e mie’ biondi capelli,e cinger di grillanda el vago crino.

(Angelo Poliziano, Rime)

Dei due testi che abbiamo riportato il primo è scritto in prosa, il secondo, invece, è untesto in poesia. Come lo sappiamo? Quali sono le differenze tra prosa e poesia?

Il primo brano è in prosa: descrive un personaggio, che non coincide con chi scrive (tuttii verbi sono alla terza persona singolare). Nonostante la brevità del testo, ci vengono offer-ti molti dati e, dopo soltanto poche righe, riusciamo già a sapere molte cose del protago-nista, che ci sembra vicinissimo: possiamo quasi vederlo mentre si sveglia. All’interno del brano si possono isolare tre diversi momenti, che si susseguono l’unoall’altro:

- innanzitutto c’è la descrizione del risveglio; - poi un flash-back (un ritorno indietro nel tempo) che ci porta alla notte precedente;- infine un ritorno al presente con la considerazione dello stato in cui l’uomo si trova da

qualche tempo: svegliandosi nel cuore della notte, egli non sa più dove si trova, se inEuropa o in America, e non riesce nemmeno a ricordare il proprio nome.

In poche righe abbiamo tutti questi dati.

1. Prosa e poesia: livello grafico e formale

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Rileggendo questo breve brano, ci accorgiamo che lo scrittore di prosa prosegue l’azionedello scrivere fino in fondo alla riga, senza andare a capo, se non ogni tanto: la prosa èdunque una scrittura continua. La parola prosa deriva dall’aggettivo latino prorsus, che significa “ciò che va in linearetta”.

Il secondo brano è in poesia. A differenza del primo, è scritto in prima persona: qualcu-no racconta e descrive una situazione avvenuta nel passato. Viene ricordata una mattina diprimavera in cui, all’interno di un giardino, il personaggio che parla ha raccolto alcunifiori per farne una ghirlanda con cui adornare i propri capelli.Il testo rivela che la poesia non sfrutta tutto lo spazio a sua disposizione, si ferma primadella fine della riga e va a capo dopo alcune parole, ovvero è scritta in versi.La parola verso deriva dal verbo latino vertere, “tornare indietro, girare”, ovvero “andarea capo”.

Il verso: una prima importante caratteristica che contraddistingue un testo poetico da untesto in prosa consiste nel fatto che i versi in cui è scritta la poesia tradizionale sono costi-tuiti da una regolarità, data dal numero di sillabe che li compongono:

I’ / mi / tro/vai, / fan/ciul/le, un / bel / mat/ti/nodi / mez/zo / mag/gio in / un / ver/de / giardino.

E/ran / d’in/tor/no / vï/o/let/te e / gi/glifra / l’er/ba / ver/de, e / va/ghi / fior’ / no/vel/li,az/zur/ri, / gial/li, / can/di/di e / ver/mi/gli: on/d’io / por/si / la / ma/no a / côr / di / quel/liper / a/dor/na/re e / mie’ / bion/di / ca/pel/li,e / cin/ger / di / gril/lan/da el / va/go / cri/no.

Ognuno di questi versi ha undici sillabe1: quindi è sempre lo stesso verso che ripete la pro-pria misura e lunghezza per tutto il componimento. Questo tipo di verso si chiama ende-casillabo.I versi possono essere di diversa lunghezza, secondo questo schema:

binario 02 sillabe La / càternario 03 sillabe La / ca/saquaternario 04 sillabe La / ca/set/taquinario 05 sillabe U/na / ca/sa / blusenario 06 sillabe U/na / ca/sa / gial/lasettenario 07 sillabe U/na / ca/sa / az/zur/raottonario 08 sillabe U/na / ca/sa / a/ran/cio/nenovenario 09 sillabe U/na / bel/la / ca/set/ta / ros/sadecasillabo 10 sillabe U/na / bel/la / ca/set/ta / mar/ro/neendecasillabo 11 sillabe U/na / ca/set/ta / con / un / bel / giar/di/nododecasillabo 12 sillabe U/na / ca/sa / con / giar/di/no / e / pi/sci/na

La rima: c’è poi un secondo importante aspetto che caratterizza il testo poetico nei con-fronti della prosa.

1 Alcuni ne hanno di più, ma bisogna considerare che, in poesia, spesso due vocali che si trovano ad essere vicine ven-gono considerate una sola, per un fenomeno che si chiama elisione e che verrà approfondito tra poco.

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17Il metodo

Riscriviamo ancora una volta il secondo brano:

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattinodi mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d’intorno vïolette e giglifra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli,azzurri, gialli, candidi e vermigli: ond’io porsi la mano a côr di quelliper adornare e mie’ biondi capelli,e cinger di grillanda el vago crino.

Osserviamo l’ultima parola di ogni verso. Prendiamo le prime due e l’ultima: «mattino»,«giardino» e «crino». Queste tre parole hanno, nelle loro parti finali, identità di scritturae di suono. E così anche le altre: «gigli» e «vermigli», e infine «novelli», «quelli» e«capelli». Tra queste parole avviene il fenomeno della rima, che ha come sede principa-le la parte finale del verso. Quindi diciamo che «mattino», giardino» e «crino» rimano traloro. La presenza della rima in poesia era talmente importante che questa parola divenne sino-nimo di versi, e “rimare” significò “comporre versi”.

Il ritmo: leggiamo ora un brano di un famoso testo in prosa, il Decamerone di GiovanniBoccaccio, una raccolta medievale composta da cento novelle:

Manifesta cosa è che, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé efuor di sé esser piene di noia, d’angoscia e di fatica...

Se rileggiamo attentamente, ci accorgiamo che questo brano contiene una particolareregolarità che potremmo dire più comune alla poesia che alla prosa. Per vedere meglioquesta regolarità, proviamo a scomporre il testo e a rileggere:

Manifesta cosa èche, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé e fuor di sé esser piene di noia, d’angoscia e di fatica

Questa nostra “versione” del brano mette in luce la presenza di una costante, di un qual-cosa che ritorna. Proviamo ora a scomporre in sillabe:

Ma/ni/fe/sta / co/sa / è che, / sì / co/me / le / co/se / tem/po/ra/li tut/te / so/no / tran/si/to/rie e / mor/ta/li, co/sì in / sé / e / fuor / di / sé es/ser / pie/ne / di / no/ia, d’an/go/scia e / di / fa/ti/ca

Il primo verso è formato da 7 sillabe; il secondo da 11; il terzo ancora da 11, se conside-riamo la «e» dopo «transitorie» talmente flebile da venire assimilata, nella lettura, alla

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parola precedente (per un fenomeno che si chiama elisione); il quarto verso contiene,come il primo, 7 sillabe (con elisione tra «così» e «in»); il quinto ha 7 sillabe, così comel’ultimo verso (che, come il terzo, ha la congiunzione «e» talmente flebile che possiamonon contarla come sillaba a sé stante, ma “attaccarla” alla parola precedente «angoscia»).Ciò significa che, secondo tale scomposizione, il testo è composto da settenari (7 sillabe)e da endecasillabi (11 sillabe).Ci sono poi, a sorpresa, delle vere e proprie “rime”:

Manifesta cosa èche, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé e fuor di sé esser piene di noia, d’angoscia e di fatica

Questa disposizione grafica conferisce un certo ritmo alle parole, che stanno bene anchein forma poetica, come dimostra la presenza delle rime.

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19Il metodo

La lingua utilizzata dalla poesia si distingue dalla lingua che viene detta comune per variaspetti.

1) La lingua comune

La lingua comune, quella che utilizziamo normalmente ogni giorno, è fondata sulla cor-rispondenza tra le parole che usiamo e il significato che attribuiamo loro. Ad esempio, se dico:

Giorgio mangia la mela

conosco il significato di ogni parola:

- so che Giorgio è il nome di una persona;- so cosa vuol dire il verbo mangiare;- so cos’è una mela.

Dunque, conosco anche il significato del loro insieme: una persona che si chiama Giorgiosi sta cibando con un frutto rotondo, la mela. La parola è:

- un insieme di suoni (nel caso della parola detta) - o un insieme di segni grafici (nel caso della parola scritta) - che simboleggiano qualcosa, di concreto (ad esempio un oggetto) - o di astratto (ad esempio un sentimento).

Potremmo rappresentare le principali caratteristiche della parola attraverso un triangolo:

SIGNIFICANTE

REFERENTE SIGNIFICATO

Se prendiamo la parola “mela”:significante è il suono o la grafia della parola: m+e+l+a;significato è il senso che diamo a quel simbolo grafico o a quel suono (quindi l’idea dellamela) che ci permette di collegarlo all’oggetto a cui corrisponde;referente è l’oggetto “mela”, il frutto che, convenzionalmente, prende questo nome.

2. L’uso della lingua

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La parola è composta soltanto dal significato e dal significante; ma essa non potrebbe esi-stere se non ci fosse un oggetto esterno da nominare e da significare (il referente), perchésarebbe inutile, dato che la funzione della lingua è quella di comunicare nella realtà. Lo schema non cambia se il referente è qualcosa di astratto: infatti se parliamo di “amici-zia”, pur non potendo toccarla con mano, il contenuto di questa parola è reale e ricono-sciuto nell’uso della lingua.

2) Denotazione e connotazione

A quanto detto finora a proposito dell’uso della lingua, aggiungiamo ora un elemento.Con la parola “pietra” indico un preciso oggetto naturale, senza alcun dubbio sulle suecaratteristiche generali. In questo caso, il rapporto preciso, senza possibilità di incertezza, tra parola e oggetto acui essa si riferisce si chiama denotazione. Ovvero: la parola “pietra” denota quell’elemento naturale che tutti conosciamo (e non unaltro).Ma se prendo l’espressione “cuore di pietra”, ecco che il significato della parola “pietra”si fa più incerto. Non indica più l’oggetto preciso di cui si è parlato sopra, ma una condi-zione, una disposizione particolare in cui l’uomo può trovarsi. Potremmo dire che il signi-ficato della parola “pietra”, in questo caso, diventa più esteso, e i confini che lo determi-nano nei confronti delle sfere di significato delle altre parole diventano meno precisi. Il suo significato esatto, denotativo, è scomparso; al suo posto troviamo un significato piùesteso e più incerto: quello connotativo.Denotazione e connotazione sono due diversi tipi di rapporto tra simbolo e significato, traparola e referente, che noi usiamo normalmente. Anzi, spesso non ci accorgiamo quandopassiamo da una forma all’altra. Ad esempio, si sente parlare sempre più spesso degli hac-ker, parola inglese che in italiano viene tradotta con “pirata informatico”. È ovvio che lepersone così chiamate non si aggirano nel Web con baffi, barba e uncino... In questo casola parola “pirata”, che esiste autonomamente e indica un fenomeno di rapina storicamen-te avvenuto a bordo delle navi, assume un altro significato.Mentre la lingua della prosa è in prevalenza denotativa, quella della poesia è più fre-quentemente connotativa.

3) La lingua della poesia

a) Concentrazione della lingua e densità di significato: proponiamo ora un altro con-fronto tra un brano di prosa e un testo poetico:

Un tale, che era un agente segreto, parcheggiò in una piazza bagnata dalla pioggia lamacchina che aveva preso a nolo, e salì sull’autobus per andare in città.Quel giorno compiva quarantun anni e, buttandosi su un sedile a caso, chiuse gli occhisprofondando in tetre meditazioni sulla natura del suo compleanno. Alla prima fermata,l’autobus che rallentava lo riportò alla realtà e vide due ragazze che si sedevano sui sedi-li liberi davanti a lui. La ragazza di sinistra aveva i capelli color bronzo, bronzo scuroche brillava di riflessi d’oro. I capelli erano lisci e raccolti sulla nuca con un nastro divelluto nero, annodato a fiocco. Il nastro, come i capelli, si distingueva per un senso difresca pulizia, il genere di pulizia caratteristico delle cose che la mano irrequieta non haancora toccato. Chi le ha annodato il nastro con tanta cura, pensò il quarantunenne. Poi

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attese il momento in cui si sarebbe voltata verso la sua amica; appena lei si girò versol’amica e lui vide i tratti del suo viso, spalancò la bocca in un urlo soffocato in gola.Forse gli sfuggì. I viaggiatori, in ogni modo, non reagirono.

(B. Tammuz, Il minotauro)

In questo brano il tempo è lineare: i fatti si susseguono l’uno all’altro senza stravolge-re lo scorrere naturale del tempo. Le descrizioni dei particolari e dei dettagli sonomolto approfondite e ricche di aggettivi. Il discorso che l’autore porta avanti è chiaro,fatto di termini precisi e immediatamente comprensibili.Ora vediamo una famosa poesia di Giuseppe Ungaretti:

Si sta come d’autunnosugli alberi le foglie

(G. Ungaretti, Soldati)

Nel confronto col testo in prosa, colpisce innanzitutto la differenza di quantità delleparole.La poesia di Ungaretti è costituita da pochissime parole, attraverso le quali il poetarestituisce al lettore la precarietà della condizione umana, particolarmente avvertitadurante un’esperienza così totale ed estrema come quella della guerra di trincea (attra-verso il titolo sappiamo infatti che sono i soldati ad essere paragonati alle foglie).La lunghezza minima dei versi trasmette un senso di grande desolazione. Le parole,immerse nel bianco della pagina, ci offrono l’immagine della solitudine; emergono dalsilenzio, offrendo un linguaggio poetico fatto di essenzialità.Spesso, come in questo esempio, la poesia è caratterizzata da un’alta concentrazioneverbale, a cui corrisponde, per contrapposizione, un ampio contenuto semantico. Leparole della poesia sono dense di significato (come si è visto, sono prevalentementeconnotative). Nel testo di Ungaretti l’aspetto descrittivo è ridotto al minimo, ma allo stesso tempo,con nove parole soltanto, il poeta rappresenta una condizione umana che percepiamoimmediatamente con una vertigine per quanto è nettamente, lucidamente ed efficace-mente descritta. Tutti ci immedesimiamo un po’ nella descrizione della fragilità del-l’uomo, qui rappresentato come una foglia che un evento improvviso può far caderedal ramo.

b) L’ordine delle parole: un altro elemento importante in poesia è la disposizione delleparole, che può essere estremamente libera. L’ordine delle parole all’interno di un componimento è dettato dall’estro del poeta,dalla musicalità che vuole ottenere ma anche dal significato che cerca di restituire. Ladisposizione delle parole in poesia non risponde alle consuete norme sintattiche,secondo le quali la poesia di Ungaretti dovrebbe essere scritta così:

Si sta come le fogliesugli alberi d’autunno

Ma in questa riscrittura la poesia si indebolisce; l’ordine consueto delle parole la rende

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meno efficace. Infatti in Soldati la condizione di precarietà dell’uomo in guerra è resa anche dalla con-dizione di precarietà delle parole disposte all’interno della poesia: esse sono frammen-tate e divise tra loro, così come sono spezzati i loro legami logici. In questo modo ilpoeta ottiene un potenziamento dell’immagine principale del testo, fatta di desolazio-ne e instabilità, rendendola più intensa e coinvolgente.

c) Le immagini: il poeta non svela ma suggerisce il significato, e lo fa attraverso l’usodelle immagini. L’immagine poetica nasconde i legami logici, lasciandoli sottintesi; in questo consiste lagrande forza della poesia, che non esplicita il suo senso, ma lo custodisce come un segre-to. Ad esempio, nella poesia di Ungaretti l’immagine delle foglie in balía del vento sug-gerisce il senso del fragile destino dell’uomo. È un’immagine simbolica, e in quantosimbolica non immediatamente comprensibile: occorrono, per coglierla, una letturaapprofondita e uno sforzo nella comprensione. Questo avviene perché il metodo con cui la poesia procede non è l’analisi o la descri-zione, tipiche della scrittura in prosa, ma il rapporto sintetico, la rapida scoperta dei rap-porti e delle analogie tra le parole della poesia e i significati, i sentimenti e le cose a cuiessa si riferisce. È proprio da questo rapporto di tipo sintetico che nascono le immaginidella poesia.

Un testo in prosa, nella maggior parte dei casi, è trasparente, e i significati che trasmet-te sono per lo più immediati. La poesia si comporta diversamente: ci chiede uno sforzo maggiore, dobbiamo rischia-re di entrarci dentro e andare a fondo, perché spesso l’involucro (la forma, la lingua)non permette di cogliere immediatamente il suo contenuto (il significato). Un grande critico e scrittore inglese scriveva: «Nessuna poesia rivelerà il suo segretoa un lettore che le si pone di fronte considerando il poeta come un potenziale inganna-tore e che è deciso a non cascare nel tranello. Dobbiamo rischiare di cascarci, sevogliamo ottenere qualcosa. La migliore salvaguardia contro la cattiva letteratura èun’ampia esperienza di quella buona; come un rapporto reale e di affetto con le perso-ne oneste protegge meglio dai furfanti che una sfiducia abituale nei confronti di tutti»(C.S. Lewis, Lettori e letture).

d) Polisemia (pluralità di significati):

In fondo alla china, fra gli alti cipressiè un piccolo prato.Si stanno in quell’ombratre vecchie giocando coi dadi.Non alzan la testa un istante,non cambian di posto un sol giorno. Sull’erba in ginocchio si stanno in quell’ombra giocando.

(A. Palazzeschi, Ara Mara Amara)

Questo componimento di Palazzeschi è un efficace esempio della compresenza di

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diversi significati in poesia. Ad una prima lettura, sembra che il testo sia la semplice descrizione di un gioco chetre vecchie fanno all’ombra degli alberi. Il linguaggio è chiaro e lineare, e non ostaco-la l’interpretazione. Una lettura più attenta, però, porterebbe a qualche sorpresa. La presenza di alcuni ele-menti, infatti, rimanda a una poesia sul destino: il gioco dei dadi simboleggia la leggedel caso che governa la vita degli uomini, mentre le tre vecchie richiamano le Parche,dee pagane che presiedevano alla vita degli uomini. Infine, altri due elementi simboli-ci conducono la nostra interpretazione di questa poesia al senso della vita e alla suaprecarietà: la china (che rappresenta la vita stessa) e i cipressi (che simboleggiano lamorte, dove la vita inevitabilmente si conclude).Quindi una lettura più approfondita, condotta in chiave simbolica, mostra come il com-ponimento sia fondato sul tema della casualità della vita, costretta a sottostare alleleggi di un cieco destino.Questo esempio è utile per comprendere che anche in campo semantico il poeta godedi grande libertà.

e) L’insieme dei suoni: nel testo poetico al significato delle parole si aggiunge e si alleaquello dei suoni; infatti il significato e i suoni si richiamano, fondendosi tra loro. Prendiamo come esempio un famoso verso di Leopardi:

e chiaro nella valle il fiume appare

Le vocali accentate in modo più forte sono due: la /a/, che compare tre volte («chia-ro», «valle», «appare») e la /u/, che compare una volta soltanto («fiume»). Il suonodella /a/ suggerisce chiarezza, mentre la /u/ è una vocale scura: quello che il verso cifa vedere, con l’insieme sonoro oltre che con il significato delle parole che lo compon-gono, è un paesaggio immerso nel chiarore che ha al suo interno una macchia scura, ilfiume.

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I testi poetici di tipo tradizionale rispondono a una serie di “regole” di composizione, chevanno sotto il nome di “metro” o “metrica”, cioè “misura”. Studiare le regole metriche è importante, anche se non bisogna mai credere che un com-ponimento si riduca a tali regole. Lo studio del metro deve essere lo studio di un aspettodel linguaggio, non diverso dagli altri (la tessitura fonica, ovvero l’insieme dei suoni datodalle parole di una poesia, la scelta delle parole, la gamma dei significati che un testo assu-me, l’uso della lingua che il poeta fa in una determinata poesia...), che, come gli altri, cideve guidare a comprendere l’espressione poetica nella sua totalità. Possiamo paragonare una poesia ad un quadro: è importante conoscere la tecnica pittori-ca con cui è stata realizzata una tela, ma questo non deve allontanarci troppo dalle consi-derazioni sui colori utilizzati, il soggetto dipinto, le forme presenti...

Al di là del metro, quindi, noi dobbiamo cogliere il ritmo.Il ritmo è connaturato alla poesia, perché alle sue origini essa era strettamente legata allamusica. Molti tipi di testi poetici, oltre alle parole che li compongono e che oggi conoscia-mo, erano provvisti di uno spartito musicale, e prevedevano un’esecuzione cantata e, avolte, anche ballata.

Il ritmo è presente anche quando parliamo e quando scriviamo; capita spesso di accorger-si che una parola non stia bene in un posto e vada collocata altrove perché, come si usadire, “suona male”. Se voglio raccontare dei miei successi nel gioco del calcio ad un amico, posso dire:

il mio allenatore dice che sono il giocatore migliore della squadra

oppure, anche se non è esattamente la stessa cosa, posso dire:

nel calcio io sono il migliore, lo dice anche l’allenatore.

Le due frasi contengono le stesse identiche informazioni, ma nella seconda compaionoalcuni elementi che sono immediatamente riconoscibili come “poetici”: tra i due versi c’èun episodio di rima, e dall’insieme nasce un ritmo tale che le due frasi si “assomigliano”,“pesano” allo stesso modo (hanno ciascuna 10 sillabe).Quello che il poeta fa, a differenza di una persona comune che si accinge a scrivere o aparlare, è potenziare ciò che tutti gli uomini comunque possiedono: la dimensione ritmi-ca del discorso.Nel discorso quotidiano le parole si esauriscono col fine per cui esse servono: tornandoall’esempio di prima sarà più probabile, parlando con un amico, pronunciare la primafrase piuttosto che i due versi, poiché sicuramente ciò che interessa di più è fargli saperecosa ha detto l’allenatore, e non come trasmettergli questa informazione.

Il ritmo in poesia è strettamente connesso con gli accenti delle parole che formano i versi.

3. Il ritmo

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3.1 L’accento e le sillabe

a) Gli accenti della parola: parole piane, sdrucciole, tronche

Ogni parola ha una sillaba su cui, nel pronunciarla, si posa in modo speciale la voce,su cui ci si sofferma un po’ più a lungo: questa sillaba si chiama tonica, mentre la posadella voce si chiama accento tonico.Per capire come funziona il sistema degli accenti della lingua italiana prendiamo unaparola qualsiasi e accentiamola in tutti i modi possibili: avremo, ad esempio

pàtatapatàtapatatà

Quale di queste parole ha il corretto accento? È patàta. La maggior parte delle parole italiane ha l’accento come patàta, ovvero sulla penulti-ma sillaba: si chiamano parole piane (càsa, scuòla, formàggio, marmellàta). Le parole che hanno l’accento sulla terzultima sillaba, come pàtata, si chiamanosdrucciole, perché dopo la sillaba accentata è come se la parola scivolasse via (àlbe-ro, telèfono, rigàgnolo, pèndolo, bàmbola). Le parole che hanno l’accento sull’ultima sillaba, come patatà, si chiamano tronche,ed è facile distinguerle perché spesso hanno l’accento grafico (più, così, sarà, carità,virtù). Le parole che hanno l’accento ancora più indietro delle sdrucciole (sulla quartultima sil-laba, bisdrucciole: fàbbricano, e sulla quintultima, trisdrucciole: lìberacene) sono piut-tosto rare, e nella maggior parte dei casi sono parole composte da verbi e particelle.

b) Versi piani, sdruccioli, tronchi

All’interno del verso l’accento più importante è l’ultimo, quindi ciò che definisce ilverso è l’ultima parola che lo compone. Se un verso finisce con una parola piana, viene detto piano; se finisce con una parolatronca si chiama tronco; se termina con una parola sdrucciola, è detto sdrucciolo.

c) Le particelle atone

Bisogna poi considerare una serie di parole molto piccole e brevi: gli articoli, le parti-celle pronominali mi, ti, ci, si, vi, ve, ce, ne, le preposizioni (di, a, da, in...) e le con-giunzioni monosillabiche, cioè formate da una sola sillaba (e, ma...). Tutte queste paro-le hanno di regola un accento così tenue, che se ne considerano quasi prive, e perciòvengono chiamate atone (senza tono, ovvero senza accento).

d) Gli accenti del verso

Quello che succede all’interno di una parola, in poesia succede all’interno del verso:infatti come la parola ha una sillaba “privilegiata”, sede dell’accento tonico, così il

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verso ha sedi privilegiate per gli accenti, che non sono mai messi a caso dal poeta:

Nel mèzzo del cammìn di nostra vìtaMi ritrovài per una sèlva oscùra

La presenza degli accenti all’interno del verso, oltre a conferire il ritmo di cui si è par-lato, funziona anche da “argine” per la voce: la lettura, seguendoli, non risulterà némonotona né disordinata, rispettando così la misura dei versi.Come si vede dai due versi sopra riportati, gli accenti principali del verso (chiamatiaccenti ritmici o ictus) non coincidono con tutti gli accenti tonici delle parole che locostituiscono, che risultano più numerosi. Questo significa che la metrica dispone diregole sue proprie, diverse da quelle della grammatica.Gli elementi essenziali del ritmo nel verso italiano sono due: il primo è un numero sta-bilito di sillabe; il secondo è il succedersi di accenti tonici su sedi determinate, ad inter-vallo di tempo fisso. Questi due elementi formano il metro, che è la misura del ritmo.Grazie al succedersi di accenti a intervalli regolari, noi percepiamo una musicalitàdella poesia. È proprio la ripetizione che conferisce al testo poetico un particolareritmo.

La cesura: il ritmo del verso viene sottolineato anche dalla presenza di pause, chiama-te cesure, le cui possibili posizioni sono indicate dalle regole della metrica tradiziona-le. Le cesure però sono presenti solo nei versi lunghi, dove spesso coincidono con lepause segnalate dalla punteggiatura; esse dividono il verso in due parti, che prendonoil nome di emistichi:

Questo di tanta speme // oggi mi resta(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni)

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27Il metodo

Il verso, con i suoi accenti, le rime e i suoni, è la manifestazione più appariscente del ritmodi cui abbiamo parlato, e permette alle parole che compongono una poesia di emergeredalla pagina bianca. Il loro significato è più profondo, più denso, più vario e sfuggente. Prendiamo una poesia di Ungaretti:

E subito riprendeil viaggiocomedopo il naufragioun superstitelupo di mare

Se questo testo non fosse scritto in versi, diventerebbe:

E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare

È evidente, non è la stessa cosa. Le parole, nella versione poetica, si stagliano con tutta laloro intensità, vengono isolate e come protette dagli spazi bianchi che le circondano,emergono con più forza e sono maggiormente suggestive.

Come riconoscere un verso. I nomi dei versi italiani traducono il numero di sillabe dacui sono composti: ci si basa sul numero delle sillabe che realmente ha il verso quando èpiano, poiché è il più diffuso dei versi. Questo significa che quando il verso è tronco hauna sillaba in meno di ciò che indica il suo nome, e quando è sdrucciolo ne ha una in più.

Ad esempio, il verso settenario quando è piano ha sette sillabe:

E / già / per / me / si / pie/ga

Quando è tronco, invece, ne ha sei:

Che / na/tu/ra / mi / diè

Se è sdrucciolo, ha otto sillabe:

Per/ché / tur/bar/mi / l’a/ni/ma

(da Parini, La vita rustica)

Quindi, più semplicemente, per riconoscere i versi italiani bisogna contare le sillabe finoall’ultima che ha l’accento, e aggiungere uno: settenario, 6 + 1; 10 + 1 = endecasillabo.Dopo il regolare accento tonico dell’ultima parola, il verso italiano in un certo senso nontiene più conto delle sillabe che seguono.

4. Il verso

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28 Canone Occidentale - La poesia

4.1. Le principali figure metriche

Le principali figure metriche riguardano l’incontro di vocali, sia tra due parole che all’in-terno di una stessa parola.Sappiamo che una sillaba, per essere tale, deve contenere almeno una vocale. Laddove due(o più) vocali si incontrano, il nostro conteggio delle sillabe diventa più incerto: se casaha due sillabe, quante ne ha la parola aria? Le seguenti regole metriche sfruttano questaindecisione, accordando al poeta una notevole libertà.

ELISIONE O SINALÈFE

È una delle principali particolarità metriche. Per evitare lo iato, cioè il suono prodotto dal-l’incontro di più vocali (cuoca), di regola, quando una parola finisce con una vocalenon accentata e la seguente comincia pure per vocale (amore amaro), avviene una spe-cie di fusione o di contrazione tra queste vocali:

Ma pur ne tremi, o Psyche, ancora e mesta(Pascoli, Psyche)

Se contiamo tutte le sillabe di questo verso, risultano essere 14. Il poeta quindi, volendoscrivere un endecasillabo, sembra aver “esagerato”, ma non è così: considerando le elisio-ni che si possono fare nel verso (tra «tremi» e «o», tra «Psyche» e «ancora», tra «ancora»e «e»), esso risulta in effetti un endecasillabo.

Quel che impone i comandi o addita i fati(D’Annunzio, La canzone di Umberto Cagni)

In questo verso le sillabe sono addirittura 16; ma evidenziando gli episodi di elisione(«che impone», «impone i», «comandi o», «o addita», «addita i»), il verso è nuovamenteun endecasillabo.

A volte l’elisione viene sottolineata anche graficamente, attraverso un apostrofo messo alposto della vocale da elidere. Questo fenomeno prende il nome di afèresi:

Preme ’l cor di desio, di speme il pasce(Petrarca, Canzoniere CCLXIV)

Ch’addorna e ’nfiora la tua riva manca(Petrarca, Canzoniere CCVIII)

Il poeta, più che obbedire a norme prestabilite, obbedisce al suo senso armonico. Laddovepotrebbe esserci l’elisione, non è detto che il poeta vi ricorra.Ad esempio, Dante non usa l’elisione quando potrebbe:

O in eterno faticoso manto!(Dante, Inferno XXIII)

Come sappiamo che non utilizza questo espediente? Basta contare le sillabe: come tutti iversi della Divina Commedia anche questo è un endecasillabo e se, contando, non ci risul-

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29Il metodo

tano 11 sillabe ma un numero maggiore o minore, abbiamo la certezza che il poeta hasfruttato alcune particolarità metriche.In questo verso c’è un caso che richiederebbe l’elisione, tra la O iniziale e in. Ma contan-do le sillabe ci accorgiamo che Dante non utilizza questo espediente:

O / in / e/ter/no / fa/ti/co/so / man/to!

La mancata elisione, in questo caso, dà la sensazione della faticosa lentezza del tempo, sevissuto nell’eternità delle pene infernali. Tra «O» e «in» si verifica il fenomeno della dialèfe, esattamente contrario allasinalefe/elisione: ha luogo quando due vocali vicine di parole diverse vengono calcola-te separate.

Se sinalefe/elisone e dialefe riguardano l’incontro tra due vocali appartenenti a parole diver-se, l’incontro tra due vocali di una stessa parola determina fenomeni di dièresi o di sinèresi.

DIERESI E SINERESI

Dièresi: consiste nel pronunciare separate, come se fossero due sillabe distinte, duevocali contigue di una stessa parola. Una volta veniva segnata con due puntini sullaprima delle due vocali su cui cadeva tale fenomeno, ora spesso questo segno si tralascia.

Tal fra le Perse torme infurïava L’ira de’ greci petti e la virtude.

(Leopardi, All’Italia)

L’effetto principale della dieresi è di dare al verso un’espressione di armonia lenta, quasidi riposo, o d’insistenza, poiché tende a prolungare il suono e a rallentare il ritmo.

Sinèresi: è il fenomeno opposto alla dieresi, e consiste nel pronunciare unite in una sil-laba sola due vocali consecutive appartenenti alla stessa parola, di regola atone. Nellaparola grazioso di solito si contano 4 sillabe (gra/zi/o/so), ma con la sineresi diventano tre:gra/zio/so.

ALTRE FIGURE METRICHE

Afèresi: si ha quando una parola si diminuisce di una sillaba iniziale (la a di aferesiindica qualcosa che manca, che viene tolto):

Limosina di messe Dio sa quandoIo ne potrò toccare

(Parini, Al canonico Agudio)

Pròtesi: al contrario è l’aumento di una sillaba al principio di parola (protesi nel sensodi aggiunta):

Ciascuna par dolente e sbigottita,come persona discacciata e stanca

(Dante, Rime XLVII)

dove discacciata sta per scacciata.

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Sìncope: è la caduta di una vocale o di una consonante all’interno della parola, percui questa diminuisce di una sillaba:

Spirto gentil che quelle membra reggi(Petrarca, Canzoniere LIII)

Rompea la notte e la rendea più truce(Monti, Bassviliana I)

Epèntesi: è il fenomeno contrario alla sincope, cioè l’aumento di una vocale o di unaconsonante all’interno della parola:

Similemente il mal seme d’Adamo(Dante, Inferno III)

Apòcope: si ha quando si abbrevia una parola di una sillaba finale, come negli esem-pi: son per sono, andaro per andarono (anche in questo caso la a di apocope indica unamancanza, qualcosa che viene meno, che si toglie):

Levossi Achille piè veloce e disse(Omero, Iliade I)

Paragòge: è il contrario dell’apocope, e consiste nell’aggiunta di una sillaba alla fine diuna parola: fue per fu, die per dì:

Voi vigilate nell’eterno die.(Dante, Purgatorio XXX)

e priegalami per la sua bontateche la mi degia tener lealtate.

(Federico II, Oi lasso, non pensai)

Sìstole: indica il ritrarsi, lo spostamento dell’accento dalla sillaba tonica verso il prin-cipio di parola:

...minaccia gl’itali penatiÀnnibal diro

(Carducci, Alle fonti del Clitumno)

Quando verrà la nimica podèsta(Dante, Inferno VI)

Diàstole: è lo spostamento dell’accento verso la fine della parola. Si ha di frequentecon nomi propri derivati dal greco: Umìle per ùmile, Agamennòn per Agamènnone:

Quasi aspettando, pallido ed umìle(Dante, Purgatorio VIII)

Tmesi: riguarda le parole che possono essere soggette al doppio accento. Avviene di rego-la tra parole composte e si verifica quando una parola si scinde nei suoi componenti e si

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spezza tra la fine del verso e il principio del seguente:

E poi li volge a una a una lenta-mente

(Pascoli, Il libro)

4.2. I versi tradizionali

Una prima distinzione tra i versi italiani è quella tra parisillabi e imparisillabi, in base alnumero pari o dispari di sillabe che li compone. I poeti italiani spesso hanno preferito i versi imparisillabi, perché permettono una maggiorvarietà di armonia e composizione, mentre i versi composti da un numero pari di sillabecorrono il rischio di risultare monotoni.

Non esistono, se non raramente, versi di una, due o tre sillabe. Di solito versi così brevinon esistono di per sé: si trovano misti ad altri versi, a cui si appoggiano o s’intercalano,di regola con rima. Ad esempio, Pascoli usa un verso binario alla fine di ogni strofa che compone L’assiuolo,per restituire il verso di questo uccello notturno:

Dov’era la luna? ché il cielonotava in un’alba di perla,ed ergersi il mandorlo e il meloparevano a meglio vederla.Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù...

Un esempio, molto raro, di trisallabo è il seguente:

Si tace,non gettapiù nulla.

(Palazzeschi, La fontana malata)

Il quaternario: è un verso composto da 4 sillabe, con accento ritmico fisso sulla 3ª. Dasolo è assai poco usato, come si vede da questo esempio in cui lo troviamo alternato al set-tenario:

Accusato,tormentato, condannatosia colui, che in pian di Lècoreprim’ osò piantar le viti;infiniticapri, e pecoresi divorino quei tralci

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e gli stralcipioggia rea di ghiaccio asprissimo

(Redi, Bacco in Toscana)

Essendo un verso molto breve, difficilmente ha senso compiuto da solo: ad esempio ilverso capre, e pecore preso singolarmente non dice veramente niente quanto a significa-to e armonia.

Il quinario: ha un solo accento ritmico sulla 4ª sillaba. È un verso antico, adoperato siain strofe da solo (strofe monocole) sia con settenari e endecasillabi.Esempio di quinari piani:

Or che si tace- sia per brev’ora -quanto m’accora,in me, nel mondo;

ed alla paceche m’ha beatoè il cuor gratoquanto è profondo

(Saba, Canzonetta nuova)

Esempio di quinari sdruccioli:

Sempremai torninodi nuovo a beverel’altera porpora,che in Monterappolida’ neri grappolisì bella spremesi.

(Redi, Bacco in Toscana)

Esempio di quinario misto con settenari:

La vïoletta,che in sull’erbettaapre al mattin novella,dì, non è cosatutta odorosa,tutta leggiadra, e bella?

(Chiabrera, Rime XVIII)

Il senario: è un verso che va considerato diviso in due emistichi (mezzi versi) di tre sil-labe ciascuno; gli accenti principali generalmente cadono sulla penultima sillaba di ognu-no di questi, ovvero sulla 2ª e sulla 5ª:

Evviva la vignaChe l’arti raccoglie,Che il gelo discioglie

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Di barbare età!(Carducci, Il Brindisi)

Si può trovare misto ad ottonari:

Che buon pro facesse il verboimbeccato a suon di nerbonelle scuole pubbliche...Tutti noi, che grazie al Cielonon siam più di primo pelo,lo diremo ai posteri.

(Giusti, Gl’immobili e i semoventi)

Il settenario: è uno dei nostri versi più antichi e più usati. Si trova agli albori della lette-ratura italiana, e via via per tutti i secoli, compresi i tempi moderni, da solo o misto ad altriversi (specie con l’endecasillabo). Ha due accenti principali, sulla 6ª e su una delle primequattro sillabe, a piacimento. Ecco un esempio molto antico, che risale al Duecento:

O gemma lezïosa,adorna villanella,che se’ più vertudiosache non se ne favella:per la vertude c’haiper grazia del Signore,aiutami, ché saich’i’ son tuo servo, Amore.

(Ciacco dell’Anguillaia)

D’Annunzio l’ha usato non legato in strofe, e rimato a volontà:

Nostra spiaggia pisana, amor di nostro sangue, vita di sabbie e d’acque silvana e litorana, o ferma creatura nella qual si compiacque un’arte che non langue non trema e non s’offusca, terra lieve e robustache lineata paredalla mano sicura del figulo onde nacque il purissimo vaso

(D’Annunzio, I cammelli)

L’ottonario: anche questo verso è antichissimo. Nella sua forma più antica è compostodall’unione di due quaternari, quindi gli accenti principali sono sulla 3ª e sulla 7ª sillaba.Un altro tipo di accentazione è 1ª, 4ª e 7ª.

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34 Canone Occidentale - La poesia

Carducci lo usò misto ai quaternari, come si vede nella poesia Alla rima:

Ave, o rima! Con bell’arteSu le carteTe persegue il trovadore;Ma tu brilli, tu scintilli,Tu zampilliSu del popolo dal core.

Modernamente è stato adoperato anche con altra posizione di accento, per rompere lamonotonia che facilmente potrebbe prodursi da un ritmo così ugualmente cadenzato:

Brevi chiomate sorelle,api operaie, già sparvel’ombra del verno, e già fannol’api il lor miele per quellech’oggi son torpide larve,oggi, ma che volerannodomani.

(Pascoli, Alle «Kursistki»)

Il novenario: nella sua forma tradizionale ha gli accenti sulla 2ª, 5ª e 8ª sillaba. Questoverso ha un’armonia poco spiccata, tanto che non è difficile trovarlo in prosa (I promessisposi di Alessandro Manzoni cominciano proprio con un novenario: «Quel ràmo del làgodi Còmo»):

Dal Libano trema e rosseggiaSu ’l mare la fresca mattina:Da Cipri avanzando veleggiaLa nave crociata latina.A poppa di febbre anelanteSta il prence di Blaia, Rudello,E cerca co ’l guardo natanteDi Tripoli in alto il castello.

(Carducci, Jaufré Rudel)

In Versilia di D’Annunzio gli accenti sono posti molto liberamente:

Non temére, o uómo dagli ócchigláuchi! Erómpo dalla cortécciafrágile io nínfa boscherécciaVersília, perché tu mi tócchi.

Il decasillabo: è un verso divisibile armonicamente in 3 parti di 3 sillabe ciascuna, conl’accento sull’ultima sillaba di ogni parte, a cui si aggiunge una sillaba finale. Poiché laposizione dell’accento è quasi sempre fissa (3ª, 6ª e 9ª), il decasillabo ha un suono caden-zatamente monotono, che in certi casi può servire per onomatopea (armonia imitativa):

Da le vètte dell’Ètna fumàntiBen ti lèvi, o facèlla di guèrra:

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35Il metodo

Su le tòmbe de’ vècchi gigàntiCome bèlla e terrìbil sei tù!

(Carducci, Sicilia e la Rivoluzione)

Per evitare la monotonia che spesso caratterizza il decasillabo, i poeti moderni ne hannovariato l’accentatura ritmica:

Dunque, róndini róndini, addío!Dunque andáte, dunque ci lasciáteper paési tánto a noi lontáni.È finíta qui la róssa estáte.Appassísce l’órto; i miei geránipiù non hánno che i bécchi di grú.

(Pascoli, Addio!)

L’ENDECASILLABO

È il re dei versi italiani, chiamato da Dante “celeberrimo”. È un verso che, per la sua lun-ghezza, si adatta tanto all’espressione dei sentimenti quanto al racconto e al dialogo. Risalealle origini della nostra poesia e fu adoperato ininterrottamente da tutti i nostri poeti.L’endecasillabo deve la sua fortuna alla sua grande duttilità, e anche al fatto che, essendoun verso di una certa lunghezza, permetteva al poeta di esprimere più contenuti.Fu usato in molti modi e diede voce a una grandissima varietà di atteggiamenti: ha rac-contato l’universo della Divina Commedia, ha rivestito la malinconia del Petrarca, ha nar-rato le gesta di eroi e cavalieri, venne utilizzato nella satira, nella poesia comica ecc.Anche quando, nel Cinquecento e più tardi, si volle trovare una veste italiana adatta per ipoemi antichi sottoposti a traduzione, si ricorse all’endecasillabo. Si è utilizzato rimato intutte le forme di strofa, da solo o con altri versi.

Ha due tipi di accenti principali: 6ª e 10ª, 4ª, 8ª e 10ª,

ma anche, più raramente: 4ª, 7ª e 10ª.

Esempi di 6ª e 10ª:

Nel mezzo del cammìn di nostra vìta(Dante, Inferno I)

Canto l’arme pietòse e ’l capitàno(Tasso, Gerusalemme Liberata, canto I)

Esempi di 4ª, 8ª e 10ª:

Cantami, o dìva, del Pèlide Achìlle(Monti, Traduzione Iliade, canto I)

Le cortesìe, l’audaci imprèse io cànto(Ariosto, Orlando Furioso, canto I)

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36 Canone Occidentale - La poesia

Esempi di 4ª, 7ª e 10ª:

Quivi le strìda, il compiànto, il lamènto(Dante, Inferno V)

Spinta dal vènto al frangènte del màre(D’Annunzio, L’Olenadro)

La maggior parte degli endecasillabi segue una di queste disposizioni di accenti; tuttaviasono possibili anche altri tipi di accentazione.

L’endecasillabo generalmente è divisibile in due membri di cui il primo è il maggiore e ilsecondo il minore, o viceversa. Nel primo caso la prima parte risulta un settenario piano,tronco o sdrucciolo e la seconda rispettivamente un quaternario, un quinario o un ternario.

Settenario piano più quaternario:

Come campo di biada / già matura(Monti, Bassvilliana II)

Settenario tronco (sei sillabe) più quinario:

Né mai più toccherò / le sacre sponde(Foscolo, A Zacinto)

Settenario sdrucciolo (otto sillabe) più ternario:

Di varïate polveri /ne sparse(Monti, Feroniade)

Quando invece risulta più breve la prima parte del verso, questa è formata da un quinariotronco o piano o sdrucciolo.

Quinario piano più senario:

Voi ch’ascoltate in / rime sparse il suono(Petrarca, Canzoniere I)

Quinario tronco più settenario:

Chi è? Non so. / Che fai? Più nulla(Pascoli, Il naufrago)

Quinario sdrucciolo più quinario (raro):

Che, tutta libera a / mutar convento(Dante, Purgatorio XXI)

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37Il metodo

I VERSI DOPPI

Il doppio quinario: è costituito da due quinari, tra i quali non si ammette elisione. Fupoco usato fino ai nostri tempi, in cui i poeti lo ripresero con non molta frequenza.

Al mio cantuccio, – donde non sentose non le reste – brusir del granoil suon dell’ore – viene col ventodal non veduto – borgo montano:suono che uguale – che blando cade,come una voce – che persuade.

(Pascoli, L’ora di Barga)

Esempio con il primo dei due quinari sempre sdrucciolo:

Me non contamini – venduta lode,Non premio sordido – d’util perfidia:Vinca io con semplice – petto l’invidia,Vinca la frode.

(Carducci, A O.T.T.)

Il doppio senario o dodecasillabo: è un verso composto da due senari, che rende unsuono cadenzatamente monotono. Fu poco usato:

Il sole declina – fra i cieli e le tombeOvunque l’inane – caligine incombe.Udremo sull’alba – squillare le trombe?Ricordati e aspetta.

(D’Annunzio, Canti della ricordanza e dell’aspettazione)

C’è anche un altro tipo di dodecasillabo, che risulta da un quaternario più un ottonario, eche ha quindi accenti sulla 3ª, 7ª e 11ª:

Sotto i ponti – che s’inarcan trionfalipassa l’Arno – tra due linee di fanalitra i palagi storici,e i fanali, – capovolti con le sponde,rifiammeggiano – e s’allungano nell’ondecome razzi penduli.

(Marradi, Notte fiorentina)

Il doppio settenario o martelliano: dei versi composti è stato ed è uno dei più adopera-ti, perché il settenario è un verso armonicamente vario:

Rosa fresca aulentissima – c’apar’inver la state,le donne ti disiano – pulzelle e maritate:traimi d’este focora – se t’este a bolontade.

(Cielo d’Alcamo, Contrasto)

Due parole soltanto. – Dunque dirò così.Grande fu la sapienza – del mio illustre antenato

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38 Canone Occidentale - La poesia

Il marchese Alamanno. – Il quale non c’è statoNessuno più illustre – e più dotto di esso!Per cui, diremo noi – questo nobil consessoÈ vero, che ha, diremo, – radice in casa mia.Ma siam tutti suoi figli – anche la libreria.

(Colombi, Il Parini e la satira)

Il doppio ottonario: venne usato raramente. Riportiamo un esempio di Carducci, Lasacra di Enrico Quinto:

Quando cadono le foglie – quando emigrano gli augelliE fiorite a’ cimiteri – son le pietre de gli avelli,Monta in sella Enrico quinto – il delfin da’ capei grigi,E cavalca a grande onore – per la sacra di Parigi.

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39Il metodo

Riconoscete i seguenti versi, indicando a fianco il numero delle sillabe che li com-pongono e il nome corrispondente di ciascuno:

VERSO NUMERO SILLABE NOME

Perché di me pietà non vi ritene? __________________ __________________

Ma che vad’io narrando __________________ __________________

Di doman non c’è certezza __________________ __________________

Discende l’alba __________________ __________________

Perché turbàrmi l’ànima __________________ __________________

Era la parola come vento __________________ __________________

Andorra serena __________________ __________________

Riconoscete i seguenti versi, facendo attenzione ad applicare le regole per il calcolometrico delle sillabe:

VERSO NOME

Io son sì stanco sotto ’l fascio antico _______________________

Questa selva selvaggia ed aspra e forte _______________________

Venendo qui è affannata tanto _______________________

Venivano soffi di lampiDa un nero di nubi laggiù _______________________

Arbor vittorïosa trïonfale _______________________

Uno il core, uno il patto, uno il grido:Né stranieri né oppressori mai più _______________________

Leggete ad alta voce i seguenti endecasillabi, e segnate a fianco di ciascuno su qualisillabe cadono gli accenti principali:

Sì lunga guèrra i begli òcchi mi fànno 4ª, 7ª, 10ª

3

2

1

IL VERSO

Laboratorio

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40 Canone Occidentale - La poesia

Mi ritrovài per una sèlva oscùra ________________

Erano i capei d’òro a l’aura spàrsi ________________

Io son sì stanco sotto ’l fascio antico ________________

Poi che se’ sgòmbro de la maggiòr sàlma ________________

Solo d’un lauro tal selva verdeggia ________________

La bella donna che cotanto amavi ________________

Or con sì chiara luce, et con tai segni ________________

Riconoscete i versi che compongono le seguenti strofe:

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, __________________Silenziosa luna? __________________Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi.(Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia)

Fate attenzione al finale di verso:

Tu dalle stanche ceneri __________________Sperdi ogni ria parola:Il Dio che atterra e suscita, Che affanna e che consola,Sulla deserta coltriceAccanto a lui posò.(Manzoni, Il Cinque Maggio)

Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti, __________________Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,Dai solchi bagnati di servo sudor,Un volgo disperso repente si desta(Manzoni, Adelchi, atto terzo, coro)

Soletto su l’orlo d’un lago, __________________che al rosso tramonto riluce,v’è un uomo col refe e con l’agoche cuce __________________ tra l’erica bassa __________________(Pascoli, Il mendico)

1

VERSI E STROFE

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41Il metodo

Accusato, __________________tormentato,condannato,sta colui, che in pian di Lècore __________________prim’osò piantar le viti(Redi, Bacco in Toscana)

San Lorenzo, io lo so perché tanto __________________di stelle per l’aria tranquilla __________________arde e cade, perché sì gran piantonel concavo cielo sfavilla.(Pascoli, X Agosto)

Leggendo ad alta voce questi versi, riconoscete se essi sono piani, tronchi o sdruccio-li:

Dall’Alpe alle Piràmidi __________________

La terra al nunzio sta __________________

La sua cruenta polvere __________________

Sentier della speranza __________________

La gloria che passò __________________

1

VERSI PIANI, TRONCHI E SDRUCIOLI

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42 Canone Occidentale - La poesia

Prima di analizzare i diversi tipi di rima, occorre sapere cos’è lo schema metrico:

Signori e cavallier che ve adunati APer odir cose dilettose e nove, BStati attenti e quïeti, ed ascoltati ALa bella istoria che ’l mio canto muove; B schema metricoE vedereti i gesti smisurati, AL’alta fatica e le mirabil prove BChe fece il franco Orlando per amore CNel tempo del re Carlo imperatore. C

(Boiardo, Orlando innamorato, canto I)

Con schema metrico si indica una descrizione grafica composta da una serie di lettere, incui ciascuna di esse indica la rima di un verso. Per costruire lo schema metrico di una poe-sia vengono usate le lettere dell’alfabeto a partire dalla a: due lettere uguali tra loro stan-no ad indicare un episodio di rima.

Per convenzione, si usano le minuscole per i versi inferiori all’endecasillabo, e le maiu-scole per i versi uguali o più lunghi dell’endecasillabo.

Si è già visto che la rima ha come sede principale la parte finale del verso.A volte però si può trovare anche l’uso un po’ artificioso della rimalmezzo (o rima almezzo), quando rimano tra loro una parola finale di un verso e una parola nel corpo di unaltro verso:

Vedete, amanti, com’egli è umìle,Ed è gentile - e d’altero barnaggio,Ed ha ’l cor saggio - in fina canoscenza.

(Lapo Gianni, Amore i’ non son degno...)

Odi greggi belar, muggire armentigli altri augelli contenti, a gara insiemeper lo libero ciel fan mille giri.

(Leopardi, Il passero solitario)

Ci può essere rima anche tra due parole nel corpo dello stesso verso: questo tipo di rimaè un mezzo efficace per richiamare l’attenzione sulle parole che si vogliono sottolineare econtrapporre:

I tetti adorni di canto: io sol di pianto il carcer tetro fo risonar.

(Tasso, Sonetto alla duchessa Margherita)

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5. La rima

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43Il metodo

Rima interna: è un tipo di rima che assomiglia alla rimalmezzo; riguarda parole in versidiversi e può verificarsi anche all’interno dello stesso verso. Le rime interne sono moltousate nella poesia novecentesca, a sottolineare una scansione dei versi diversa da quellagraficamente riportata:

Noncuranza e dolore avevano saldato il gallettoDi ferro sul tetto delle case e si tolleravanouniti.

(Vittorio Sereni da René Char)

Rima a coppia: si ha quando i versi sono rimati a due a due:

Lo tesoro comenza. aAl tempo che Fiorenza afiorio e fece frutto bsì ch’ell’era del tutto bla donna di Toscana cancora che lontana cne fosse l’una parte drimossa in altra parte. d

(Brunetto Latini, Il Tesoretto)

SCHEMA METRICO: aa bb cc dd.

Rima alternata: quando rimano tra loro il primo e il terzo verso, il secondo e il quarto,alternandosi tra loro:

O tiranno signore aDe’ miseri mortali bO male, o persuasore aOrribile di mali. b

(Parini, Il bisogno)

SCHEMA METRICO: ababab.

Rima baciata: quando due versi consecutivi, dopo una serie di rime alternate, rimano traloro:

Già l’aura messaggiera erasi desta Aa nunziar che se ne vien l’aurora; Bella intanto s’adorna, e l’aurea testa Adi rose colte in paradiso infiora, Bquando il campo, ch’a l’arme omai s’appresta Ain voce mormorava alta e sonora, Be prevenia le trombe; e queste poi Cdièr più lieti e canori i segni suoi. C

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto III)

SCHEMA METRICO: ABABABCC.

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44 Canone Occidentale - La poesia

Rima chiusa o incrociata: quando due versi a rima baciata sono chiusi tra due versi cherimano tra loro:

Il Centauro afferrato avea pei palchi Adelle corna il gran cervo nella zuffa, Bcome l’uom pe’ capei di retro acciuffa Bil nemico, e lo trae finché lo calchi. A

(D’Annunzio, La morte del cervo)

SCHEMA METRICO: ABBA.

Rima rinterzata: quando di tre versi non rimati ciascuno trova la rima in tre versi seguen-ti, o nello stesso ordine o in ordine differente:

Qui cantò dolcemente e qui s’assise; AQui si rivolse, e qui rattenne il passo; BQui co’ begli occhi mi trafisse il core, CQui disse una parola, e qui sorrise AQui cangiò ’l viso. In questi pensier, lasso BNotte e dì tiemmi il signor nostro, Amore. C

(Petrarca, Canzoniere CXII)

SCHEMA METRICO: ABCABC.

Rima incatenata: è quella della Divina Commedia, e si ha quando di tre versi, in cui ilprimo rima con il terzo, il secondo dà la rima al primo e al terzo dei tre versi seguenti:

Nel mezzo del cammin di nostra vita Ami ritrovai per una selva oscura, Bché la diritta via era smarrita. A

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura Besta selva selvaggia e aspra e forte Cche nel pensier rinova la paura! B

Tant’ è amara che poco è più morte; Cma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, Ddirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. C

(Dante, Inferno I)

SCHEMA METRICO: ABA BCB CDC.

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45Il metodo

5.1. Particolarità della rima

Rima equivoca: si ha quando la rima è tra parole di identica scrittura, ma di diverso signi-ficato (ovvero pur avendo lo stesso suono, non hanno lo stesso significato):

Voglia de dir giusta ragion m’ha porta,ché la mia donna m’accoglie e m’apporta:a tutto ciò che mi piace m’apporta.Or non m’è morte el suo senno, ma portadi vita dolce, o’ mi pasco e deporto,ché tanto acconciamente mi dé portoen tempestoso mar, che vol ch’eo portiper lei la vita e faccia l’inde apporti.Ed eo sì fo, pur li piaccia e li porti.

(Guittone d’Arezzo, Rime XII)

In questo esempio le rime sono tutte giocate tra il verbo portare e sostantivi quali porta eporto. Così abbiamo, ad esempio, la rima equivoca tra primo verso («porta», dal verboporgere) e quarto («porta», sostantivo).

Rima ripetuta o identica: si ha quando le parole in rima, oltre ad avere la stessa scrittu-ra, hanno anche lo stesso significato. A partire dal Trecento questo tipo di rima è considerata troppo facile e banale. Una famo-sa eccezione a questo divieto è la parola “Cristo” che Dante mette in rima con se stessaper quattro volte all’interno della Divina Commedia:

...sì come de l’agricola che Cristoelesse a l’orto suo per aiutarlo.Ben parve messo e famigliar di Cristo:che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,fu al primo consiglio che diè Cristo.

(Dante, Paradiso XII)

L’importanza della parola Cristo, per Dante, è superiore a quella di qualsiasi altra parola:per questo essa può rimare solo con se stessa.

Rima composta: è un tipo di rima piuttosto raro, e si ha quando, per ottenere la rima,occorre unire in fine di verso le ultime due parole, di regola composte da una sola sillaba,pronunziando atona la seconda:

«Che andate pensando sì voi sòl tre?»Subita voce disse; ond’io mi scossi Come fan bestie spaventate e poltre

(Dante, Purgatorio XXIV)

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46 Canone Occidentale - La poesia

Rima ipèrmetra: è un tipo di rima piuttosto raro; il suo nome viene da iper, che vuol direoltre, di più. Si ha quando il verso termina con una parola di cui, per avere la rima, biso-gna computare l’ultima sillaba come facente parte del verso seguente (quindi il primoverso avrà una sillaba in più e il secondo una in meno):

Crescevi sott’occhio che neganoancora; ed i petali snellicadevano: il fiore già lega.

(Pascoli, I due cugini)

Assonanza: si ha quando due versi non finiscono proprio in rima, ma hanno tra loro unacerta concordanza di suoni (nelle ultime parole che formano i versi); è un fenomeno carat-teristico soprattutto della poesia popolare.Si tratta di una concordanza armonica, che può essere prodotta dall’identità delle vocali apartire dall’accento tonico incluso, ma non delle consonanti delle due parole:

Laudato si’ mi Signore, per frate ventoet per aere, et nubilo, et sereno et omne tempo.

(San Francesco d’Assisi, Cantico delle creature)

Questo tipo di assonanza si chiama assonanza tonica. L’assonanza atona, invece, si ha quando la vocale accentata è diversa, come la “o” e la“e” di questo esempio:

Fior di giaggioloGli angeli belli stanno a mille in cieloMa bella come te ce n’è uno solo.

(Stornello dalla “Cavalleria rusticana”)

Consonanza: la consonanza è la ripetizione, a partire dalla vocale accentata, di conso-nanti identiche:

... traversando l’altenebulose; hai le penne laceratedai cicloni, ti desti e soprassalti.

(Montale, Ti libero la fronte dai ghiaccioli)

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47Il metodo

Riconoscete lo schema metrico di questi gruppi di versi, trascrivendolo a lato con lelettere corrispondenti. Fate attenzione nell’utilizzare lettere maiuscole o minuscole:

Sopra il leggìo di quercia è nell’altana, Aaperto, il libro. Quella quercia ancora, Besercitata dalla tramontana, Aviveva nella sua selva sonora; Be quel libro era antico. Eccolo: aperto, Csembra che ascolti il tarlo che lavora. B

(Pascoli, Il libro)

Ardo d’amore, e conviemme cantare _____

per una dama che me strugge el cuore; _____

ch’ogni otta ch’i’ la sento ricordare, _____

el cor me brilla e par ch’egli esca fuore. _____

Ella non truova de bellezze pare, _____

cogli occhi gitta fiaccole d’amore. _____

I’ sono stato in città e ’n castella, _____

e mai ne vidi ignuna tanto bella. _____(Lorenzo de’ Medici, La Nencia da Barberino)

La vïoletta _____

che in sull’erbetta _____

s’apre al mattin novella _____

dì, non è cosa _____

tutta odorosa, _____

tutta leggiadra e bella? _____(Gabriello Chiabrera, Rime XVIII)

Quant’è bella giovinezza, _____

che si fugge tuttavia! _____

Chi vuol esser lieto, sia: _____

di doman non c’è certezza. _____

Quest’è Bacco e Arianna, _____

belli, e l’un dell’altro ardenti: _____

perché ’l tempo fugge e inganna, _____

sempre insieme stan contenti. _____

1

LA RIMA

Laboratorio

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48 Canone Occidentale - La poesia

Queste ninfe ed altre genti _____

sono allegre tuttavia. _____

Chi vuol esser lieto sia: _____

di doman non c’è certezza. _____(Lorenzo de’ Medici, Canzona di Bacco)

O dolce selva solitaria, amica _____

de’ miei pensieri sbigottiti e stanchi, _____

mentre Borea ne’ dì torbidi e manchi _____

d’orrido giel l’aere e la terra implica; _____

e la tua verde chioma ombrosa, antica, _____

come la mia, par d’ognintorno imbianchi, _____

or, che ’n vece di fior vermigli e bianchi, _____

ha neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica; _____

a questa breve nubilosa luce _____

vo ripensando, che m’avanza, e ghiaccio _____

gli spirti anch’io sento e le membra farsi: _____

ma più di te dentro e d’intorno agghiaccio, _____

ché più crudo Euro a me mio verno adduce, _____

più lunga notte e dì più freddi e scarsi. _____(Giovanni Della Casa, Rime LXIII)

Alma cortese, che dal mondo errante _____

partendo ne la tua più verde etade, _____

hai me lasciato eternamente in doglia, _____

da le sempre beate alme contrade, _____

ov’or dimori cara a quello amante, _____

che più temer non puoi che ti toglia, _____

risguarda in terra e mira, u’ la tua spoglia _____

chiude un bel sasso, e me, che ’l marmo asciutto _____

vedrai bagnar, te richiamando, ascolta. _____(Bembo, Rime CXLII)

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, _____

umile e alta più che creatura, _____

termine fisso d’etterno consiglio, _____

tu se’ colei che l’umana natura _____

nobilitasti sì, che ’l suo fattore _____

non disdegnò di farsi sua fattura. _____

Nel ventre tuo si raccese l’amore, _____

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49Il metodo

per lo cui caldo ne l’etterna pace _____

così è germinato questo fiore. _____(Dante, Paradiso XXXIII)

Trascrivete a fianco del testo lo schema metrico. Alcuni versi non rimano con nessunaltro: a questi dovrete assegnare una lettera dell’alfabeto che non verrà ripetuta maiall’interno dello schema metrico.

1 Nostra spiaggia pisana, _____

2 amor di nostro sangue, _____

3 vita di sabbie e d’acque _____

4 silvana e litorana, _____

5 o ferma creatura _____

6 nella qual si compiacque _____

7 un’arte che non langue _____

8 non trema e non s’offusca, _____

9 terra lieve e robusta _____

10 che lineata pare _____

11 dalla mano sicura _____

12 del figulo onde nacque _____

13 il purissimo vaso _____(D’Annunzio, I cammelli)

Indicate infine i versi che rimano tra loro:

1-4

_____

_____

_____

2

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50 Canone Occidentale - La poesia

Si chiama stanza o strofa (o strofe) un raggruppamento di più versi rimati in un determi-nato ordine, che di regola si ripete nello stesso modo per tutto il componimento poetico.

La strofa più corta è costituita da versi rimati a due a due, e si chiama coppia.Esempio di endecasillabi a coppia:

Nella Torre il silenzio era già alto. A prima coppiaSussurravano i pioppi del rio Salto. AI cavalli normanni alle lor poste B seconda coppiafrangean la biada con rumor di croste. B

(Pascoli, La cavalla storna)

SCHEMA METRICO: AABB.

La terzina: la terzina più comune è composta di tre versi endecasillabi, legati tra loro darima incatenata, secondo lo schema ABA BCB CDC D ecc. È detta anche terzina dantesca,per l’uso sapiente che ne fece Dante nella sua Divina Commedia:

Chi assaggia le pesche solo un tratto AE non ne vuole a cena e a desinare BSi può dir che sia pazzo affatto affatto, A

E ch’alla scuola gli bisogni andare, BCome bisogna agli altri smemorati, CChe non san delle cose ragionare. B

Le pesche eran già cibo da prelati, CMa perché a ognun piace i buon bocconi DVoglion oggi le pesche infino ai frati, C

Che fanno l’astinenza e l’orazioni. D(Berni, Capitolo in lode delle Pesche)

Si vede qui ben espresso il concetto di schema infinito della terzina, che proseguirebbe,appunto, fino all’infinito. Per fermarsi e terminare, è necessario che l’ultima rima ricorrasolo due volte, e non tre come tutte le altre: la terza volta che si presentasse, darebbe ori-gine a una nuova rima.

La quartina: è composta da quattro versi che rimano o alternatamente (ABAB) o a rimachiusa (ABBA). Raramente questa strofa è composta solo da endecasillabi.Esempio con strofe di 3 endecasillabi e un settenario:

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6. Stanze o strofe

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51Il metodo

Te, quando sorge o quando cade il die, AE quando il sole a mezzo corso il parte BSaluta il bronzo che le turbe pie AInvita ad onorarte. bNelle paure della veglia bruna, CTe noma il fanciulletto; a Te, tremante, DQuando ingrossa ruggendo la fortuna, CRicorre il navigante. d

(Manzoni, Il nome di Maria)

SCHEMA METRICO: ABAb CDCd.

La sestina: è composta da sei versi endecasillabi di cui i primi quattro sono a rima alter-nata, e gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABCC:

Rondinella pellegrina, aChe ti posi in sul verone, bRicantando ogni mattina aQuella flebile canzone, bChe vuoi dirmi in tua favella, cPellegrina rondinella? c

(Tommaso Grossi, Rondinella pellegrina)

L’ottava: assomiglia, come schema metrico, alla sestina, perché i primi sei versi sono arima alternata e gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC.È la strofa tipica dei racconti e dei poemi cavallereschi, epici e eroicomici:

Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo Ala battaglia durò sin a quella ora, Bche spiegando per mondo oscuro velo, Atutte le belle cose discolora. BFu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo: Aio ’l vidi, i’ ’l so: né m’assicuro ancora Bdi dirlo altrui; che questa maraviglia Cal falso più ch’al ver si rassimiglia. C

(Ariosto, Orlando furioso, canto II)

Ma perché l’ottava fu tanto usata per i racconti cavallereschi ed epici? Prima di tutto, dob-biamo ricordare che poemi come l’Orlando furioso o la Gerusalemme liberata erano l’e-quivalente dei romanzi di oggi. Il romanzo come lo conosciamo noi è nato piuttosto di recente, agli inizi del Settecento.Nei secoli precedenti, anche la narrazione di storie e di imprese era scritta in versi: l’in-tenzione era quella di realizzare uno svolgimento narrativo più ritmato ed aggraziato.Inoltre, la prosa veniva considerata un esercizio meno nobile e sofisticato, più facile e diminor pregio.I versi e le strofe che meglio si prestavano alla narrazione di storie erano ovviamente quel-li più lunghi, poiché permettevano al discorso di fluire più armoniosamente. Così, il metroprincipale dei poemi in versi fu l’ottava di endecasillabi.

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52 Canone Occidentale - La poesia

Se l’altre donne dormono in quel giornoEd ella può, si riposi tra loro.E prenda forza a me’ poter vegghiare.Suo ber sia poco; merenda mi piace,Poco mangiando, e così nella cenaTroppi confetti e troppe frutta lasci:Faccia che sia più leggiera che grave.

(Francesco da Barberino, Reggimento e costume di donna)

Versi sciolti: i versi di questo testo sono tutti endecasillabi, con una particolarità: nonrimano tra loro. La poesia è scritta in versi sciolti, ovvero in versi che non sono legati tra loro attraversola rima (ecco perché si chiamano “sciolti”), pur conservando la misura tradizionale del-l’endecasillabo. I versi sciolti vennero usati soprattutto per le traduzioni di grandi opere straniere, dovesarebbe stato impossibile tradurre inserendo le rime senza stravolgere l’originale.

Versi liberi: non bisogna confondere i versi sciolti con i versi liberi, cioè con quei versiche non solo non hanno vincolo di rima, ma nemmeno di sillabe e di accenti. Questo tipodi verso verrà usato sempre più, a partire dall’inizio del Novecento, fino a diventare laforma poetica dominante del nostro tempo.L’intenzione dei poeti che cominciarono ad utilizzare il verso libero era quella di rifiuta-re la tradizione metrica, e rivendicare la possibilità di poter costruire il proprio linguag-gio, la propria “metrica”.Per la metrica tradizionale, la base del verso è costituita dalle sillabe e dalla loro quantitànumerica. Nel verso libero questo aspetto viene a cadere. La sua stessa natura impediscedi fondare un discorso organico e ordinato che sia sempre valido in ogni situazione: ilverso libero non può essere descritto schematicamente, come i versi della metrica tradi-zionale, e ogni sua apparizione deve considerarsi unica.Ma se il verso libero non ha più nessuno dei vincoli della metrica tradizionale, il ritmopoetico si ottiene in altri modi: ad esempio, attraverso gli accenti, o l’insieme fonico, o lasintassi contenuta nei versi.

I.

Perché tu mi dici: poeta?Io non sono un poeta.Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.Perché tu mi dici: poeta?

II.

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.

7. Versi sciolti e versi liberi

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53Il metodo

Le mie gioie furono semplici,semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.Oggi io penso a morire.

III.

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;solamente perché i grandi angiolisu le vetrate delle catedralimi fanno tremare d’amore e d’angoscia;solamente perché, io sono, oramai,rassegnato come uno specchio,come un povero specchio melanconico.Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.

(Sergio Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale)

Come si vede dall’esempio, verso libero non vuol dire distruzione della poesia come èstata sempre intesa. Infatti c’è qualcosa, in questo testo, che ci fa riconoscere che si tratta di una poesia: l’an-dare a capo segnala la presenza di versi, e l’intero componimento presenta una suddivi-sione in strofe.Ma a differenza dei versi della metrica tradizionale, quello che qui dà forma al verso nonè più il numero di sillabe, né la disposizione degli accenti secondo schemi fissi, ma è ilpensiero del poeta. La lunghezza del verso e il pensiero che il verso esprime coincidonotra loro: il verso (e a un livello superiore la strofa) si “adatta” all’ampiezza del pensiero,ne assume i movimenti.In particolare, questo tipo di verso darà vita a un modello che sarà utilizzato a lungo nellaversificazione libera del Novecento, e nel quale la caratteristica peculiare è un’accentua-ta tendenza a far coincidere il limite del verso con il limite del pensiero, in una libertà con-quistata di lunghezza e accenti.

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54 Canone Occidentale - La poesia

Gli studiosi di metrica tendono a esaminare il verso e le forme metriche scomponendo glielementi che li costituiscono, assegnando poi una grande importanza agli accenti. Ma un testo poetico non è fatto solo di accenti: preoccuparsi di essi trascurando il signifi-cato delle parole e la sintassi del periodo vuole dire, in definitiva, non occuparsi della poe-sia e del metro nella loro realtà.

Due poeti che adottino lo stesso metro, ad esempio, potrebbero giungere a risultati assaidiversi:

All’ombra dei cipressi e dentro l’urneconfortate di pianto è forse il sonnodella morte men duro?...

(Foscolo, Sepolcri)

Sta Federico imperatore in Como. Ed ecco un messaggero entra in Milanoda Porta Nova a briglie abbandonate.“Popolo di Milano,” ei passa e chiede,“Fatemi scorta al console Gherardo”

(Carducci, Canzone di Legnano)

In questi due esempi entrambi i poeti hanno utilizzato endecasillabi sciolti; ma il metro diCarducci non è lo stesso metro usato dal Foscolo, perché ciò che definisce il metro non èsoltanto il numero delle sillabe o le rime, ma anche il giro sintattico del discorso.

Qui i due poeti si comportano diversamente: Carducci tende a scrivere versi di senso com-piuto, e accompagna la nostra lettura come in una sequenza di un film, assegnando a ogniverso un’immagine.

Il discorso del Foscolo invece tende a uscire dalla misura del verso, a eccedere, a prolun-garsi da un verso all’altro, e cattura la nostra attenzione spostando il soggetto in fondo allafrase. Nonostante i due poeti adottino lo stesso tipo di verso, il risultato è la creazione didue ritmi e due metri molto diversi tra loro.

Attraverso questo esempio si vuole mostrare che descrivere gli schemi metrici è utile nellamisura in cui si ha la coscienza che ogni poesia è unica, diversa da tutte le altre. Per ascol-tare le voci dei poeti non basta contare le sillabe e conoscere le particolarità metriche. Selo schema teorico dell’endecasillabo è uno, le possibili elaborazioni di quel verso sonoinfinite. Questo perché non si può separare il metro dal significato: il verso nella sua tota-lità, non nell’astrazione metrica, risulta l’insieme di accenti, di suoni, di significato delleparole, di parole la cui composizione e lunghezza ha un particolare valore.

Queste osservazioni introducono un nuovo problema: quello del rapporto tra metrica e sin-tassi.

8. Non tutti i versi sono uguali: 8. due esempi di endecasillabi

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55Il metodo

9.1. L’enjambement

“Donna de Paradiso,lo tuo figliolo è priso,Iesù Cristo beato.

Accurre, donna, e videche la gente l’allide:credo che lo s’occide,tanto l’ò flagellato”.

(Jacopone da Todi, XCIII)

I due testi qui riportati mostrano come il rapporto tra metrica e sintassi possa essere diverso.Se si legge ad alta voce la prima poesia, la lettura del singolo verso risulta continua, men-tre tra un verso e l’altro viene spontaneo fare una piccola pausa. La punteggiatura, cheserve proprio per sottolineare le pause, è quasi tutta relegata in fondo al verso. In questo testo la sintassi corrisponde esattamente alla misura del verso: la frase ha lostesso respiro, la stessa lunghezza del verso, e ogni verso contiene un segmento di fraseche può stare a sé, che è già portatore di un significato completo. Jacopone da Todi ottiene, attraverso l’uso dei settenari e il ritorno insistente della rima, unritmo martellante, quasi esasperato. All’interno dei versi, fortemente rimati e ritmati, ilperiodo sintattico coincide con il periodo ritmico; i versi funzionano come “gabbie” per lediverse parti delle proposizioni. Questo è evidentemente un modello di scrittura poetica, che in molti casi ha dato luogo aun forte senso di armonia; ma non tutti i poeti hanno cercato questa soluzione.

La seconda poesia mostra un atteggiamento poetico molto diverso: la punteggiatura èpiuttosto fitta ma tutta contenuta all’interno dei singoli versi, e la parte finale di ogni versosembra fondersi con l’inizio di quello successivo. Leggendo ad alta voce, si nota che nonc’è corrispondenza tra sintassi e metrica. La pausa che prima sorgeva alla fine del versoqui non risulta, e la nostra lettura, seguendo la struttura sintattica, prosegue più fluida daun verso all’altro. Se proviamo a riscrivere il testo facendo coincidere sintassi e metrica, il risultato sarebbequesto:

Un dì,s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente,me vedrai seduto su la tua pietra,o fratel mio,gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto.

È un’altra cosa: non esiste più una misura precisa dei versi (che nell’originale sono tutti

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendodi gente in gente, me vedrai sedutosu la tua pietra, o fratel mio, gemendoil fior de’ tuoi gentili anni caduto.

(Foscolo, In morte del fratello Giovanni)

9. Metrica e sintassi

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56 Canone Occidentale - La poesia

endecasillabi) e vengono a mancare le rime. Oltre a ciò, sicuramente questa riscrittura nonrispetta le intenzioni del poeta.

Quando il senso sintattico di un verso si prolunga in quello seguente, e quindi bisognacontinuare la lettura di verso in verso, ci troviamo di fronte al fenomeno dell’enjambe-ment, termine francese che in italiano si può tradurre con “inarcatura” o “scavalcamento”.

Segue egli la vittoria, e la trafittavergine minacciando incalza e preme.

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto XII)

In questi due versi l’enjambement avviene tra «trafitta» e «vergine», ovvero tra il partici-pio e il sostantivo a cui si riferisce: è una salda unità che viene incrinata dalla metrica, ein questo caso si parla di “enjambement forte”.Questo esempio serve anche per notare che, se andare a capo fosse solo un espediente discrittura, non avvertiremmo questo fenomeno, del quale ci accorgiamo in quanto abbiamonell’orecchio il ritmo costante del verso, che qui la sintassi in un certo senso infrange etrasgredisce.

Nella poesia che segue, in alcuni versi metrica e sintassi coincidono, e in altri risultanosfasate dagli enjambements. Li abbiamo evidenziati:

IViene il freddo. Giri per dirlotu, sgricciolo, intorno le siepi;e sentire fai nel tuo zirlolo strido di gelo che crepi.Il tuo trillo sembra la brinache sgrigiola, il vetro che incrina...trr trr trr terit tirit...

IIViene il verno. Nella tua vocec’è il verno tutt’arido e tecco.Tu somigli un guscio di noce, che ruzzola con rumor secco.T’ha insegnato il breve tuo trillocon l’elitre tremule il grillo...trr trr trr terit tirit...

IIINel tuo verso suona scrio scrio,con piccoli crepiti e stiocchi,il segreto scricchiolettiodi quella catasta di ciocchi.Uno scricchiolettio ti parved’udirvi cercando le larve...trr trr trr terit tirit...

(Pascoli, L’uccellino del freddo)

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57Il metodo

9.2. Paratassi e ipotassi

Con i termini paratassi e ipotassi si indicano due diversi tipi di relazioni sintattiche all’in-terno di un periodo:

Giacomo è intelligente e farà un ottimo lavoro

Giacomo farà un ottimo lavoro perché è intelligente

Questi due periodi, che si assomigliano tanto, hanno un rapporto sintattico interno diver-so.Il primo è un accostamento di due frasi mediante la congiunzione e; tra esse non c’è nes-sun tipo di dipendenza, e potremmo leggerle separatamente:

Giacomo è intelligente

Farà un ottimo lavoro

Il secondo invece, è formato da una frase principale (Giacomo farà un ottimo lavoro) dacui dipende la seconda (perché è intelligente). Leggendo soltanto la seconda frase:

Perché è intelligente

è evidente che manca qualcosa: la principale, appunto.

Paratassi: si ha paratassi quando due o più frasi si succedono, all’interno dello stessoperiodo, senza che tra loro si instauri un rapporto di dipendenza. In testi organizzati paratatticamente, il significato deriva dall’accostamento delle parole:

... O che vedete, o gufidagli occhi tondi, e garrule cornacchie? – Ed ecco usciva con la spola in mano,d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuoridel mare, al piè della spelonca, un uomo,sommosso ancor dall’ultima onda: e il biancocapo accennava...

(Pascoli, Calypso)

Ipotassi: si ha ipotassi quando una frase, detta subordinata o dipendente, è retta sintatti-camente da un’altra, chiamata principale. In un testo organizzato ipotatticamente il significato è meno immediato, più complesso maanche più preciso, poiché attraverso le subordinate i rapporti temporali, o di causa, o direlazione sono disposti in maniera ordinata e consecutiva:

Molte isole verdi devon pur esisterenel profondo e vasto mare dell’Infelicità!perché il navigante, pallido e sfinito,possa così ancora continuare il viaggio,giorno e notte, e poi notte e giorno

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[...]mentre di sopra il cielo senza sole,gonfio di nubi, greve sta sospeso,e dietro la furia dell’uraganoavanza con fulmineo piede,squarciando vele e tavole e gomene,finché la nave quasi ha bevuto la morte dal traboccante mare

(Shelley, Versi scritti sui colli Euganei)

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59Il metodo

Sottolineate gli enjambements contenuti nei seguenti testi:

Un uomo è là, che sfoglia dalla primacarta all’estrema, rapido, e piano pianova, dall’estrema, a ritrovar la prima.

E poi nell’ira del cercar suo vanovolta i fragili fogli a venti, a trenta,a cento, con l’impazïente mano.

(Pascoli, Il libro)

Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondoall’essere. Sei tu, ma un’altra sei:senza fronda né fior, senza il lucenteriso che avevi al tempo che non torna,senza quel canto. Un’altra sei, più bella.Ami, e non pensi essere amata: ad ognifiore che sboccia o frutto che rosseggiao pargolo che nasce, al Dio dei campie delle stirpi rendi grazie in cuore.

(Ada Negri, Mia giovinezza)

D’in su la vetta della torre antica,Passero solitario, alla campagnaCantando vai finché non more il giorno;Ed erra l’armonia per questa valle.

(Leopardi, Il passero solitario)

Signorina Felicita, a quest’orascende la sera nel giardino anticodella tua casa. Nel mio cuore amicoscende il ricordo. E ti rivedo ancora,e Ivrea rivedo e la cerulea Dorae quel dolce paese che non dico.

(Gozzano, La signorina Felicita ovvero la Felicità)

1

ENJAMBEMENT

Laboratorio

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60 Canone Occidentale - La poesia

10.1. Sonetto

Un po’ di storia: il sonetto è certamente il componimento metrico più diffuso della nostrapoesia; il suo successo è pressoché costante nei secoli, e prosegue dalle sue origini nelDuecento (risale infatti ai primissimi tempi della nostra letteratura) fino ai giorni nostri,favorito dalla sua brevità. Si ritiene che sia nato in Italia, e che il suo “inventore” fosse Jacopo da Lentini. In origine, “sonetto” era un qualsiasi testo poetico messo in musica; poi si specificò, e dacanto generico divenne un preciso tipo di componimento.

La struttura: il sonetto è un tipo di componimento che, più di tutti gli altri, mantenneinalterata la sua struttura nel corso dei secoli. Il sonetto classico è composto da quattordici versi endecasillabi, ed è diviso in due partiche prendono il nome di fronte e sirma, composte la prima da otto versi e la seconda dasei. La fronte è a sua volta divisa in due parti di quattro versi ciascuna (quartine); la sirma indue parti di tre versi ciascuna (terzine):

Andando la formica alla ventura Asi arrivò in un teschio di cavallo prima Bil qual le parve senza niuno fallo quartina Bun palagio reale con belle mura; A

FRONTEe come più cercava sua misura Ale parea più chiaro del cristallo seconda Bdicendo: – Questo è ’l più bello stallo quartina B schemach’al mondo mai vedessi criatura. A metrico

Ma quand’ella si fu molto aggirata, prima Cdi mangiare le venne gran disìo terzina De, non trovando che, si fu turbata; C

SIRMAond’ella disse: – Ancora è meglio ch’io seconda Dmi torni al buco ov’io mi sono usata terzina Cche morir qui di fame –, e gì con Dio. D

(Anonimo del Trecento)

Gli argomenti: per quanto riguarda le tematiche trattate, il sonetto si è sempre prestatoagli usi più diversi. Ha cantato tutti gli affetti del cuore umano, ma anche gli sfoghi vio-lenti, le nostalgie, e pure descrizioni complete. Nel corso della storia di questo componimento troviamo sonetti amorosi, sonetti morali,ma anche sonetti che trattano quella realtà quotidiana rifiutata dai componimenti ritenutipiù “nobili”, che fanno dunque parte della poesia realistica e burlesca, o “comica”.

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10. Le forme metriche

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Due sonetti a confronto: dei due esempi sotto riportati, il primo è del Trecento, il secon-do invece è della fine del Novecento. Si noteranno tante differenze: innanzitutto la linguausata, ma anche la disposizione delle parole e le ricerche sonore attraverso la scelta deitermini. Ciò non toglie che si tratti di due sonetti, aventi tutte le caratteristiche per esseredetti tali.

Pace non trovo, et non ò da far guerradi Francesco Petrarca

Pace non trovo, et non ò da far guerra; Ae temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; Bet volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; Aet nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio. B

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra, Ané per suo mi riten né scioglie il laccio; Bet non m’ancide Amore, et non mi sferra, Ané mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio. B

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; Cet bramo di perir, et cheggio aita; Det ò in odio me stesso, et amo altrui. E

Pascomi di dolor, piangendo rido; Cegualmente mi spiace morte et vita: Din questo stato son, donna, per voi. E(da Canzoniere CXXXIV)

Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto, di Franco Fortini

Come nel buio si ritrae lento, AAndrea, questo anno già da sé diviso. BOra nel vischio del suo fiele intriso Bstarà così per sempre dunque spento. A

Ma quel che in noi di anno in anno è deriso Bo incompiuto o deforme non lamento: Ase uno è vinto e un altro è stato ucciso, Buno ha durato contro lo sgomento. A

Qui stiamo a udire la sentenza. E non Cci sarà, lo sappiamo, una sentenza. DA uno a uno siamo in noi già volti. E

Quanto sei bella, giglio di Saron, CGerusalemme che ci avrai raccolti. EQuanto lucente la tua inesistenza. D(da Paesaggio con serpente)

Laboratorio

Pace non trovo, et non ò da far guerra FRANCESCO PETRARCA

Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto FRANCO FORTINI

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Struttura metrica: lo schema ritmico delle quartine di un sonetto può essere a rima alter-nata (ABAB ABAB, come nel primo esempio) o a rima chiusa (ABBA ABBA, come nelsecondo esempio). Il primo schema caratterizza la più antica produzione di sonetti; poiprese il sopravvento il secondo modello.Fin dall’inizio hanno invece maggiore libertà di rima le terzine che, a differenza dellequartine, sempre fondate su due rime, possono fondarsi su due (per lo più con schemaCDC CDC oppure CDC DCD) oppure su tre rime (per lo più con schema CDE CDE,come nel primo esempio). Ma sono possibili anche altri schemi: le terzine del secondoesempio hanno lo schema CDE CED.

Argomento degli esempi: il primo sonetto affronta una tematica amorosa. Il poeta sitrova in una condizione di instabilità, sospeso tra i differenti stati d’animo che l’amore puòcausare. Egli è preda di sentimenti opposti («e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio»;«Pascomi di dolor, piangendo rido») e desideri contrastanti («et bramo di perir, et cheggioaita; / et ò in odio me stesso, et amo altrui»). Ogni affermazione porta con sé il suo con-trario: alla paura è accostata la speranza, e mentre il poeta brucia, allo stesso tempo è unghiaccio; egli si trova in una prigione che l’amata non apre e non chiude, così come Amorenon lo uccide e non lo vuole vivo.Tutti questi elementi contrastanti tra loro, sono legati per polisindeto della congiunzionee, cosicché ogni sentimento e il suo contrario vivono nel poeta contemporaneamente.È una poesia fatta di tensioni e di contrasti, che Petrarca si trova a vivere a causa delladonna amata. La figura retorica che sta alla base di tutto il sonetto è l’ossimoro, cioè l’ac-costamento di parole dai significati contrapposti (es. “una dolce amarezza”).

Mentre il primo sonetto ha un argomento amoroso ed è rivolto alla donna amata, il secon-do tratta dell’amicizia, ed è indirizzato ad un amico poeta. Come si può capire dal titolo,questo sonetto vuole essere una sorta di bilancio dell’anno appena passato, e una riflessio-ne sul tempo trascorso. Un anno, il 1975, avvelenato («nel vischio del suo fiele intriso»)dalla perdita di un altro poeta, amico dell’autore del sonetto ma anche del destinatario,morto nel novembre 1975 in circostanze misteriose: Pier Paolo Pasolini («un altro è statoucciso»).Nell’ultima terzina è contenuta una speranza sul futuro, su quel luogo di pace in cui tuttici troveremo (indicato con «giglio di Saron, Gerusalemme»), anche se tale speranza èridotta al minimo («quanto lucente la tua inesistenza»).

Alcuni esempi di terzine:

Ma del misero stato ove noi semo Ccondotte da la vita altra serena Dun sol conforto, et de la morte, avemo: C

che vendetta è di lui ch’a ciò ne mena, Dlo qual in forza altrui presso a l’extremo Criman legato con maggior catena. D

(Petrarca, Canzoniere VIII)

So come i dì, come i momenti et l’ore Cne portan gli anni, et non ricevo inganno, Dma forza assai maggior che d’arti maghe. E

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La voglia et la ragion combattuto ànno Dsette et sette anni; et vincerà il migliore, Cs’anime son qua giù del ben presaghe. E

(Petrarca, Canzoniere CI)

Riconoscete lo schema metrico di queste terzine, trascrivendolo a lato con le letterecorrispondenti (C, D, e se occorre E):

Di risa irrefrenabili ai compagni, _____e a me di strano fervore argomento, _____quando alla scuola i versi recitavo; _____

tra fischi, cori, animaleschi lagni, _____ancor mi vedo in quella bolgia, e sento _____solo un’intima voce dirmi bravo. _____

(Saba, Autobiografia 4)

Privo in tutto son io d’ogni mio bene, _____e nudo e grave e solo e peregrino _____vo misurando i campi e le mie pene. _____

Gli occhi bagnati porto e ’l viso chino, _____e ’l cor in doglia e l’alma fuor di spene, _____né d’aver cerco men fero destino. _____

(Bembo, Rime XLIII)

Pietosa e bella è in essa ogni mestizia: _____e, se rigano i pianti il vago viso, _____dice piangendo Amor: – Questo è il mio regno. _____

Ma, quando il mondo cieco è fatto degno _____che muova quella bocca un suave riso, _____conosce allor qual è vera letizia. _____(Lorenzo de’ Medici, Comento de’ miei sonetti XXIX)

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

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1 Voi ch’ascolta-te: il vocativoplurale con cui siapre il componi-mento si estendeall’intera quarti-na, ma non trovaun compimento:nella secondaquartina, infatti,laddove ci aspet-teremmo verbialla seconda per-sona plurale, sonopresenti una terza(chi) e poi unaprima personasingolare (spero).1 rime sparse:rima è sinonimodi poesia. Si trattadi «poesie stacca-te tra loro», unmodo per tradurreil titolo latino del-l’opera che lecontiene: Rerumvulgarium frag-menta.2 ond’io... ’lcore: con i qualiio nutrivo il cuore

(personificatonella sede dellapassione amoro-sa).3 in sul... errore:al tempo del miotraviamento, ini-ziato durante lagiovinezza (erro-re anche nelsenso di errare,vagare). Si riferi-

sce all’amore perLaura.4 in parte: ilpoeta è cambiato,ma non completa-mente: nonostanteil trascorrere deltempo e il penti-mento espresso inquesto sonetto lapassione perLaura non è anco-

ra estinta.5 del vario stile:corrisponde alle«rime sparse» delv. 1, e riguarda lediverse soluzionistilistiche chePetrarca adotta emodula ai suoisentimenti.7 ove sia...amore: se c’è

qualcuno checonosca il signifi-cato dell’amore,per averlo diretta-mente provato(per prova).8 non che: nonsolo.9 ben... sì: vedo,mi accorgo chia-ramente (ben)adesso.

64 Canone Occidentale - La poesia

di Francesco Petrarca

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono Adi quei sospiri ond’io nudriva ’l core Bin sul mio primo giovenile errore Bquand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: A

del vario stile, in ch’io piango e ragiono, 5 Afra le vane speranze e ’l van dolore, Bove sia chi per prova intenda amore, Bspero trovar pietà, non che perdono. A

Ma ben veggio or sì come al popol tutto Cfavola fui gran tempo, onde sovente 10 Ddi me medesmo meco mi vergogno; E

e del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto Ce ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente Dche quanto piace al mondo è breve sogno. E

(da Canzoniere, I)

Analisi di un sonetto

Schema metrico: le quartine sono a rima chiusa, mentre le terzine si basano su tre rimealternate: ABBA ABBA, CDE CDE.

Argomento: in questo sonetto Petrarca si volge indietro a considerare la propria vita, sof-fermandosi in particolare sull’esperienza amorosa che ne ha occupata gran parte e che è ilfondamento di tutta la sua produzione poetica. Il poeta però non ripercorre i fatti e gliavvenimenti: si sofferma invece sui sentimenti, sulla propria condizione interiore («sospi-ri ond’io nudriva il core», «ragiono», «le vane speranze e ’l van dolore», «mi vergogno»),secondo un’analisi tutta introspettiva, ovvero rivolta all’interno di sé.Riconsiderando tutto ciò, egli compie una sorta di bilancio della propria esistenza, cheviene descritto nell’ultima terzina: l’amore che Petrarca provò nella sua giovinezza loridusse a «vaneggiar», e ora restano solo «vergogna» e «’l pentersi». L’ultima considerazione, su cui si chiude il sonetto, è: «quanto piace al mondo è breve

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono FRANCESCO PETRARCA

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sogno». L’amore è stato un vaneggiare, il frutto che ne è derivato è la vergogna; conse-guenza di questa è il pentimento, e conseguenza del pentimento, infine, la coscienza amaradella vanità di tutte le cose.Evidentemente, questo bilancio è del tutto negativo.

Metrica e sintassi: la sintassi di questo sonetto procede di pari passo con il metro, a partequalche raro, e comunque debole, enjambement (vv. 1-2: «il suono / di quei sospiri»; vv.10-11: «sovente / di me medesmo...»). Ogni verso contiene una parte di frase di sensocompiuto, e la voce, durante la lettura, è sollecitata a compiere una piccola pausa tra unverso e l’altro, adeguandosi alla struttura del sonetto.

Le due quartine sono costruite in modo opposto: la prima comincia con il vocativo «Voi»,che costituisce il nucleo del periodo dei primi quattro versi. Da questo vocativo dipendo-no tutte le subordinate che seguono: le relative «ch’ascoltate» e «ond’io nudriva», e latemporale «quand’era». Nella seconda quartina questo modo di costruire la sintassi è rovesciato: infatti il nucleoprincipale «spero», che equivale al «Voi» della prima quartina e da cui dipendono unaserie di complementi e di proposizioni subordinate, è posto non all’inizio, ma alla finedella quartina, nel verso conclusivo. Se volessimo schematizzare questo procedimento,assegnando A ai due nuclei e B alla serie di subordinate, avremmo: AB BA, come se nelmezzo ci fosse uno specchio a rovesciare lo schema. Troviamo lo stesso procedimento anche a un livello sintattico più semplice: ad esempio,nelle coppie di verbi o sostantivi: «piango e ragiono / fra le vane speranze e ’l van dolo-re», dove l’oggetto del ragionare sono le «vane speranze», mentre quello del piangere è il«dolore», in una costruzione speculare del tipo AB BA identica a quella vista sopra. Questo tipo di struttura si chiama chiasmo, una figura che può riguardare interi periodi, maanche, a livello più semplice, coppie di termini (ad esempio: «Le donne, i cavalier, l’arme,gli amori» è un chiasmo, anch’esso rappresentabile attraverso lo schema AB BA: a «donne»si accostano, per relazione semantica, «gli amori», mentre ai «cavalier» «l’arme»).

Le terzine segnalano la distanza e lo stacco dalle quartine anche con il forte avversativo«Ma» del v. 9. Se nella prima parte del sonetto il poeta si rivolge a un «Voi», in questaseconda parte si volge su se stesso: i verbi passano alla prima persona singolare («ben veg-gio», «favola fui»). La presenza dell’io del poeta è sottolineata dal pronome possessivo di prima persona delv. 12 («mio vaneggiar») e dalla ripetizione del pronome personale del v. 11: «di me mede-smo meco mi vergogno».Mentre le due quartine comprendono lunghi periodi costituiti da numerose subordinate, ledue terzine sono sintatticamente più semplici: ci sono meno subordinate e un notevole uti-lizzo del polisindeto, ovvero del legame per congiunzioni («e del mio vaneggiar..., e ’lpentersi, e ’l conoscer»). Queste frasi coordinate rendono il senso dell’incalzare dell’ana-lisi introspettiva che ha luogo nella seconda parte del testo, ed evidenziano la successio-ne dei passaggi, uno conseguente all’altro, che il poeta ha vissuto e vive: dal «vaneggiar»alla «vergogna», al «pentimento», infine al «conoscer chiaramente». Con queste frasi piùbrevi, e con uno stile più rigoroso, Petrarca sottolinea il tono più duro e desolato dellaseconda parte del sonetto. La conclusione di questa poesia, come si è visto, è piuttostoamara: tutte le cose sono vane, sono solo un «breve sogno».

Lessico: questo sonetto di Petrarca è una poesia di aggettivi e sostantivi: sono essi, infatti, atrasmettere il significato profondo del testo e a indicare ciò che l’autore vuole comunicarci.

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66 Canone Occidentale - La poesia

Gli aggettivi, non particolarmente numerosi, sono: «sparse», «vario», «vane», «van»,«breve». Come si vede, rimandano tutti allo stesso campo semantico (di significato) divanità e di varietà, e allo stesso tempo indicano qualcosa di frantumato e sparso. L’unicoaggettivo che sembrerebbe non conformarsi a questa tendenza è «giovenile»: ma se loaccostiamo al suo sostantivo di riferimento («errore») anche questo risulta essere conno-tato negativamente. Nel bilancio che il poeta trae della propria vita, la gioventù è vistacome il tempo del correre dietro alle cose vane (il poeta insiste sul concetto della vanitàanche attraverso il verbo «vaneggiar»).Tra i sostantivi troviamo «rime», «suono» e «stile», direttamente riconducibili all’espe-rienza del fare poesia; «sospiri» e «dolore», a indicare uno stato d’animo tormentato e sof-ferente; «errore», «favola», «vergogna» e «sogno», parole fondamentali per l’interpreta-zione del sonetto.

Struttura fonica: all’interno del sonetto c’è un fonema che ritorna assai frequentemente,la /v/, che compare in quasi tutti i versi, spesso in parole molto importanti per il senso diquesta poesia: il vocativo iniziale «Voi», il verbo «nudriva», gli aggettivi «giovenile»,«vario», «vane» di cui si è parlato prima, il verbo alla prima persona «veggio», il sostan-tivo «favola» riferito alla propria condizione passata, e soprattutto all’interno delle dueparole su cui Petrarca insiste maggiormente, ovvero «vergogna» e «vaneggiar». Questafrequenza dello stesso fonema si avverte ad una lettura ad alta voce, e conferisce una sono-rità morbida all’intero sonetto.Tra le vocali, spicca per maggior presenza la /o/. Nelle quartine la costante assonanza ino accresce un senso di monotonia, che ritorna nei versi finali, soprattutto nella parola«sogno», che si contrappone e corrisponde alla prima parola in rima del sonetto: «suono».

Elementi di retorica: oltre alla presenza delle strutture a chiasmo già segnalate, si notaun forte uso dell’allitterazione, ovvero della ripetizione dello stesso suono: ad esempio,in «me medesmo meco mi» essa sottolinea la forte presenza dell’io attraverso la messa inrilievo del pronome di prima persona. L’allitterazione più significativa riguarda due parole ripetute più volte all’interno del testoin diverse forme, fino ad essere accostate nel v. 12: «vaneggiar vergogna», dove l’allitte-razione che le lega mette in evidenza il rapporto di causa ed effetto tra due momenti dellavicenda interiore, ovvero l’errore e la vergogna che ne consegue.

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67Il metodo

10.2. Ballata

Un po’ di storia: la ballata è forse il genere poetico più antico della poesia italiana, deri-vato nel Duecento dalla poesia Provenzale (sorta nel Sud della Francia). Si tratta di uncomponimento di origine popolare, che viene distinto in particolare dalla canzone, comevedremo, per una maggior semplicità. La ballata veniva composta per essere cantata e danzata, come suggerisce il nome stesso,in una specie di giro-giro-tondo.

La struttura: il coro, disposto in cerchio, compiendo movimenti in un senso intonava laprima parte della poesia, detta ripresa (cioè ritornello, che si cantava in coro all’inizio diogni strofa). Poi il solista, che di solito stava in mezzo al cerchio composto dal coro, cantava una partedella strofa, detta prima mutazione, a cui si associava un mezzo giro in senso inverso diquello della ripresa; fatto ciò, il solista cantava la seconda mutazione, identica alla primaper forma metrica e musica, e tutti compivano un altro mezzo giro in senso inverso al pre-cedente. Poi tutti insieme si cantava la volta, compiendo un giro intero in direzione opposta a quel-la della ripresa: in questo modo ciascuno tornava al posto in cui si trovava all’inizio delballo. Perché ciò avvenisse, la volta doveva essere metricamente identica alla ripresa. L’ultimo verso della volta rima sempre con l’ultimo della ripresa. Il numero delle strofe che compongono la ballata è variabile; non di rado se ne trovano diuna strofa sola.

Di tempo in tempo mi si fa men dural’angelica figura, e ’l dolce riso, RIPRESAet l’aria del bel viso metricamente uguale alla voltae degli occhi leggiadri meno oscura.

Che fanno meco omai questi sospiri,che nascean di dolore PRIMA MUTAZIONEet mostravan di fore metricamente uguale alla seconda mutazionela mia angosciosa et desperata vita? S’aven che ’l volto in quella parte giriper acquetare il core, SECONDA MUTAZIONEparmi vedere Amore metricamente uguale alla prima mutazionemantener mie ragion, et darmi aita:né però trovo anchor guerra finita,né tranquillo ogni stato del cor mio, VOLTAché più m’arde ’l desio, metricamente uguale alla ripresaquanto più la speranza m’assicura.(Petrarca, Canzoniere CXLIX)

Lo schema più tipico della ballata è il seguente (che non esclude modifiche):

- xyyx (ripresa); - ab (prima mutazione);- ba (seconda mutazione); - bccx (volta) + ripresa, ecc.

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68 Canone Occidentale - La poesia

Quando si trascrive lo schema metrico di una ballata, è sufficiente farlo per la prima stro-fa, tralasciando la ripresa (che apre il testo): infatti lo schema della ripresa è identico aquello della volta, e quindi è compreso in quello della strofa.

Gli argomenti: la ripresa svolge una funzione molto importante, perché presenta il temae il motivo dominante di tutto il componimento. Gli argomenti delle ballate sono soprattutto motivi gentili, eleganti o scherzosi; in parti-colare è l’amore, in tutte le sue sfumature, a trovare un ruolo da protagonista.Ma la ballata si adattò anche ad altri temi, non esclusivamente a quelli leggeri e scherzosio all’amore. Essendo un tipo di componimento semplice e popolare, era particolarmenteadatto per essere divulgato. Fu così che nacque la lauda, ovvero la ballata di argomentosacro e religioso. Il più grande compositore di laude fu indubbiamente Jacopone da Todi.

Classificazione delle ballate ed esempi: la ballata viene definita in base al numero diversi che compongono la ripresa (e dunque anche la volta).

1) Ripresa di un solo verso settenario: ballata minima (assai rara)

Giovinetta, tu sai Ripresach’i’ son tuo servidore, Prima mutazionemerzé del mio dolore Seconda mutazione Strofache mi consuma e non ho posa mai! Volta(Frescobaldi, Giovinetta, tu sai)

2) Ripresa di un solo verso endecasillabo: ballata piccola (anche di questa ci sono pochiesempi)

Testina d’oro, cantano già i galli. RipresaDicono i galli: – Padrona amorosa,alzatevi di letto, ch’è già l’ora! – Prima mutazioneMa tu segui a sognar d’esser sposa,ne la pulita casa la signora. Seconda mutazione StrofaCantano i galli, ma tu dormi ancorae il sole è già su’ monti e ne le valli. Volta(Severino Ferrari)

Questo è un esempio molto particolare, perché le mutazioni hanno un numero di versimaggiore della ripresa (cosa che di regola non avviene), e la volta non è identica pernumero di versi alla ripresa. Queste eccezioni erano abbastanza frequenti nelle ballateminime e piccole.

3) Ripresa di due versi: ballata minore

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattinodi mezzo maggio in un verde giardino. RipresaEran d’intorno vïolette e giglifra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli, Prima mutazioneazzurri, gialli, candidi e vermigli: ond’io porsi la mano a côr di quelli Seconda mutazione Strofaper adornare e mie’ biondi capelli,e cinger di grillanda el vago crino. Volta...(Angelo Poliziano, I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino)

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69Il metodo

Questa ballata minore è composta esclusivamente da endecasillabi.

4) Ripresa di tre versi: ballata mezzana

Per una ghirlandetta ch’io vidi, mi farà Ripresasospirare ogni fiore.

I’ vidi a voi, donna, portare Prima mutazioneghirlandetta di fior gentile,e sovr’a lei vidi volare Seconda mutazioneun angiolel d’amore umile; Strofae ’n suo cantar sottile dicea: «Chi mi vedrà Voltalauderà ’l mio signore».(Dante, Rime LVI)

5) Ripresa di quattro versi: ballata grande

Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore Ripresae con lui vade a madonna davante,sì che la scusa mia, la qual tu cante,ragioni poi con lei lo mio segnore.

Tu vai, ballata, sì cortesemente, Prima mutazioneche sanza compagniadovresti avere in tutte parti ardire:

ma, se tu vuoli andar sicuramente, Seconda mutazione Strofaretrova l’Amor pria, ché forse non è bon sanza lui gire;

però che quella che ti dee audire, Voltasì com’io credo, è ver’ di me adirata;se tu di lui non fossi accompagnata,leggermente ti farìa disnore.(Dante, Vita Nuova XII)

Con questo esempio dantesco, notiamo una particolarità della ballata: spesso essa venivainviata, diremo quasi “spedita” dal poeta alla sua donna (in questo caso, Dante lo fa perchiedere scusa di qualche suo errore, e siccome la donna è arrabbiata con lui, manda a leila ballata in compagnia di Amore, così da convincere la donna a perdonarlo). Notiamo chele due mutazioni sono costituite da due endecasillabi alternati a un settenario, mentre tuttigli altri versi della ballata sono endecasillabi.

6) Ripresa di cinque o sei versi: ballata stravagante

Perch’i’ no spero di tornar giammai, Ripresaballatetta, in Toscana,va’ tu, leggera e piana,dritt’ a la donna mia, che per sua cortesiati farà molto onore.

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70 Canone Occidentale - La poesia

Tu porterai novelle di sospiri Prima mutazionepiene di dogli’ e di molta paura;ma guarda che persona non ti miri Seconda mutazioneche sia nemica di gentil natura:ché certo per la mia disaventura Strofatu saresti contesa,tanto da lei ripresa Voltache mi sarebbe angoscia;dopo la morte, poscia,pianto e novel dolore.(Guido Cavalcanti, Rime XXXV)

Come riconoscere una ballata. Per riconoscere il tipo di ballata c’è un modo piuttostosemplice: i versi sono raggruppati in strofe, e la prima di esse è sempre la ripresa (spessoseparata dalle altre strofe per mezzo di una riga bianca). Contando il numero di versi checompone il primo gruppo, sappiamo subito riconoscere se la ballata è minima, piccola,minore, o grande ecc.

Trascrivete a fianco della ballata lo schema metrico delle rime, utilizzando le letteredell’alfabeto e scegliendo, in base al tipo di versi, se usare le maiuscole o le minusco-le.

Testina d’oro, cantano già i galli. RipresaDicono i galli: – Padrona amorosa, _____alzatevi di letto, ch’è già l’ora! – Prima mutazione _____Ma tu segui a sognar d’esser sposa, _____ne la pulita casa la signora. Seconda mutazione Strofa _____Cantano i galli, ma tu dormi ancora _____e il sole è già su’ monti e ne le valli. Volta _____(Severino Ferrari)

Nella seguente strofa di ballata dantesca, oltre allo schema delle rime, completate lastruttura delle varie parti che la compongono:

Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amoree con lui vade a madonna davante, RIPRESAsì che la scusa mia, la qual tu cante,ragioni poi con lei lo mio segnore.

Tu vai, ballata, sì cortesemente, _____che sanza compagnia _________ _____dovresti avere in tutte parti ardire: _____

ma, se tu vuoli andar sicuramente, _____retrova l’Amor pria, _________ _____ché forse non è bon sanza lui gire; _____

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Laboratorio

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1 novella: appenasbocciata.3 prata... rivera:per prati e per lacampagna.5 vostro... verdu-

ra: il vostro finepregio comunicoalla natura ver-deggiante.7 in gio’ si rino-velli: venga rin-

novato con cantidi gioia.8 zitelli: piccoli.9 per ciascunocamino: in tuttele strade.

11 in suo latino:nel suo verso, lin-guaggio.12 po’... vène:poiché viene lastagione primave-

rile (lo tempo).17 vostr’altezzapresiata: lavostra preziosanobiltà.20 riposa: sitrova.21 aventurosa:fortunata.22 disïanza: desi-derio. 23 cera: viso,volto.24 avanza: tra-scende, va oltre.25 costumanza:la bellezza abitua-le, solita.

71Il metodo

però che quella che ti dee audire, _____sì com’io credo, è ver’ di me adirata; _________ _____se tu di lui non fossi accompagnata, _____leggermente ti farìa disnore. _____(Dante, Vita Nuova XII)

Analisi di una ballata

Fresca rosa novella,piacente primavera,per prata e per riveragaiamente cantando,vostro fin presio mando – a la verdura. 5

Lo vostro presio fino ain gio’ si rinovelli bda grandi e da zitelli bper ciascuno camino; ae càntine gli auselli b 10ciascuno in suo latino ada sera e da matino asu li verdi arbuscelli. bTutto lo mondo canti, cpo’ che lo tempo vène, d 15sì come si convene, dvostr’altezza presiata: eché siete angelicata – crïatura. (e) X

Angelica sembranza in voi, donna, riposa: 20Dio, quanto aventurosafue la mia disïanza!Vostra cera gioiosapoi che passa e avanzanatura e costumanza, 25ben è mirabil cosa.Fra lor le donne deavi chiaman, come sète;

Fresca rosa novella GUIDO CAVALCANTI

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29 adorna: ornatadi ogni qualità.30 ch’eo... conta-re: che io non loso dire.31 chi... natura?:chi può andarecol pensiero al dilà della natura,delle capacitàumane?33 piasenza: bel-lezza.34-35 per...sovrana: affinchénell’anima (peressenza) voi fostesuperiore (sovra-na) alla naturaumana.36 parvenza:aspetto, sembian-za.37 luntana: sde-

gnosa.38 villana: nemi-ca. Questa parolaindica il contrariodell’atteggiamen-

to cortese.40 oltraggio:eccessivo.41 sia dato: io midedichi.

42 blasmato: bia-simato, disappro-vato.44 non val...misura: non ser-

vono né la forzad’animo (lacostanza) né lasaggezza(misura).

72 Canone Occidentale - La poesia

tanto adorna parete,ch’eo non saccio contare; 30e chi poria pensare – oltra natura?

Oltra natura umanavostra fina piasenzafece Dio, per essenzache voi foste sovrana: 35per che vostra parvenzaver’ me non sia luntana;or non mi sia villanala dolce provedenza!E se vi pare oltraggio 40ch’ ad amarvi sia dato,non sia da voi blasmato:ché solo Amor mi sforza,contra cui non val forza – né misura.

Schema metrico: ballata stravagante, cioè con una ripresa composta da 5 versi (4 sette-nari e un endecasillabo formato da un settenario più un quinario, con rima al mezzo).Schema delle rime: le due mutazioni hanno uno schema metrico a rima chiusa (due versia rima baciata chiusi tra due versi che rimano tra loro, secondo lo schema ABBA) e inver-tito: prima mutazione abba, seconda mutazione baab. La volta, che ha lo stesso numero di versi della ripresa (5), ha un primo verso che nonrima con nessun altro, e ha nell’endecasillabo finale una rima interna con il settenario pre-cedente (all’interno del v. 18 «angelicata» rima con il v. 17 «presiata»). Schema della volta: cdde(e)X. La e tra parentesi indica la rima al mezzo, con la maiusco-la si indica l’endecasillabo, e con la minuscola ogni verso di lunghezza inferiore all’ende-casillabo. L’ultimo verso di ogni strofa, com’è consuetudine nelle ballate, rima con il verso finaledella ripresa.Lo schema generale, dunque, è: abba baab cdde(e)X.

Argomento: l’argomento è amoroso, e il soggetto è la figura di una donna vista comecreatura angelica, inserita in un paesaggio di natura rigogliosa. L’ambientazione primave-rile è descritta nei suoi caratteri più tipici: troviamo la «rosa», i «prata», le «rivera», la«verdura» (intesa come natura verdeggiante), e una serie di aggettivi che ne sottolineanola delicatezza: «fresca», «novella», «piacente». Su questo sfondo fatto di primavera e del rinascere della vita emerge il “pregio” dell’ama-ta, che il poeta vuole comunicare attraverso una poesia piena di gioia («gaiamente cantan-do», dato che la ballata era accompagnata dalla musica e destinata al canto).

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73Il metodo

Ma il poeta non è l’unico a cantare le lodi della donna: tutto il creato ne è coinvolto. Gliuomini, giovani e vecchi, gli uccelli dai canti melodiosi, «tutto lo mondo» collabora allalode di questa donna così nobile da somigliare agli angeli.

Alcuni accorgimenti tecnici e formali ci permettono di avere una impressione di delica-ta ed equilibrata armonia:

Metrica: dal punto di vista metrico, bisogna innanzitutto sottolineare la disposizione dellerime: all’interno di ogni strofa c’è una rima doppia nel verso conclusivo, che rimanda alverso precedente; oltre a ciò, le rime che chiudono ogni strofa sono tra loro identiche(«verdura», «criatura», «natura», «misura»). Attraverso questi rimandi, l’effetto della rima risulta raddoppiato, poiché si forma una cir-colarità sia all’interno delle parti (strofe) che fra le parti e il tutto (la canzone). Le strofe di cui è composta questa ballata sono capfinidas: questo significa che un con-cetto o una parola dell’ultimo verso di una strofa è ripreso nel primo verso della strofa suc-cessiva (vv. 5 e 6: «vostro fin presio» e «Lo vostro presio fino»; vv. 18 e 19: «siete ange-licata» e «Angelica»; vv. 31 e 32: «oltra natura» e «Oltra natura»). Questo espediente attribuisce al testo una maggiore unità e funge da forte legame fra unastrofa e l’altra.

Lessico: un altro accorgimento tecnico che stabilisce ulteriormente la continuità all’inter-no del testo è l’uso del lessico. Molti vocaboli sono ripresi più volte all’interno della bal-lata, in varie forme:

«novella» / «rinovelli», «cantando» / «cantine» / «canti», «presio» / «presio» / «presiata»,«verdura» / «verdi», «fin» / «fino» / «fina», «gaiamente» / «gio’» / «gioiosa», «angelica-ta» / «angeli».

Se poi si considera la natura di queste parole, si noterà che esse sono parole-chiave per iltesto: esprimono infatti i concetti principali della poesia, cioè il canto, la gioia e il “pre-gio” inteso come nobiltà, come qualcosa di prezioso (la donna amata).

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74 Canone Occidentale - La poesia

10.3. Canzone

Un po’ di storia: le origini della canzone sono piuttosto antiche. Molto probabilmentederiva dalla ballata, a cui somiglia molto nella struttura. Ma mentre la ballata nasce comecomponimento accompagnato da musica, e quindi di carattere più popolare, la canzonemira ad essere un puro testo poetico, tralasciando l’esecuzione di musica e ballo. Inoltrela canzone nasce come un componimento individuale: per questo motivo la ripresa, cioèquella parte che veniva cantata coralmente nella ballata, è assente.

La struttura: mancando la ripresa, l’elemento principale della canzone è la strofa o stanza.Non esiste un numero prestabilito di stanze che formano la canzone, né di versi che com-pongono la singola stanza: la canzone è un componimento che lascia molta libertà alpoeta, anche per quanto riguarda lo schema delle rime. Ma una volta costruita la prima strofa, tutte quelle che seguono devono essere identichead essa, eccetto che nelle rime. La prima stanza infatti dà la forma a tutte le altre (anche se può capitare che la canzonesia composta da una sola stanza).La struttura della canzone è piuttosto complessa: la stanza si suddivide in due parti, lafronte e la sirma (coda, strascico). La fronte può a sua volta suddividersi in due parti che si chiamano piedi, composti soli-tamente da un minimo di due a un massimo di sei versi (ma le forme più comuni erano didue, tre o quattro versi, endecasillabi o endecasillabi misti a settenari, disposti con lo stes-so ordine nei due piedi). Esempio di fronte composta da piedi di tre endecasillabi:

Di pensier in pensier, di monte in montemi guida Amor, ch’ogni segnato calle primo piede provo contrario a la tranquilla vita.

FRONTESe ’n solitaria piaggia, rivo o fonte,se ’nfra duo poggi siede ombrosa valle, secondo piedeivi s’acqueta l’alma sbigottita

La sirma, quando è formata da un numero dispari di versi, è indivisibile; se è compostada un numero pari di versi, può suddividersi in due o più parti, dette volte. La struttura della sirma è indipendente da quella della fronte, sia per numero di versi cheper posizioni di rime. Ma, come per i piedi che compongono la fronte, anche le volte incui si può suddividere la sirma devono essere identiche tra loro.Quando l’ultimo verso della fronte rima con il primo della sirma, questo prende il nomedi chiave.La stanza di canzone di cui si sono riportati i primi versi prosegue così:

et come Amor l’envita, chiaveor ride, or piange, or teme, or s’assecura;e ’l volto che lei segue ov’ella il menasi turba et rasserena, SIRMAet in un esser picciol tempo dura;onde a la vista huom di tal vita expertodiria: Questo arde, et di suo stato è incerto.(Petrarca, Canzoniere CXXIX)

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75Il metodo

In questo esempio la sirma è indivisibile, e ha la chiave.Nell’esempio seguente, invece, la sirma è divisibile in volte e manca la chiave:

Madonna, dir vo vogliocomo l’amor m’à prisoinver lo grande orgoglio primo piedeche voi bella mostrate, e no m’aita.

FRONTEOi lasso, lo meo core,che ’n tante pene è miso secondo piedeche vive quando moreper bene amare, e teneselo a vita.

Dunque mor’e viv’eo?No, ma lo core meo prima voltamore più spesso e forteche non faria di morte – naturale

SIRMAper voi, donna, cui ama,più che se stesso brama,e voi pur lo sdegnate: seconda voltaamor, vostra ’mistate – vidi male.(Jacopo da Lentini, Madonna, dir vo voglio)

Il congedo: spesso la canzone termina con una strofa più breve, che ha lo schema di tuttala sirma o di una parte di essa, chiamata congedo o commiato: in essa il poeta si congedadalla sua canzone e la invia alla persona per cui l’ha composta. Laddove in una canzone c’è il congedo, è l’unica strofa che può essere diversa dalla prima.Esempio di congedo:

Canzonetta gioiosa,va’ a la fior di Sorìa,a quella c’ha in pregione lo mio core;di’ a la più amorosa,che per sua cortesiasi rimembri del suo servidore:quelli che per suo amore va penandomentre non faccio tutto il suo comando; e priegalami per la sua bontateche la mi degia tener lealtate.(Federico II, Oi lasso, non pensai)

Riassumendo le caratteristiche indispensabili della canzone, essa è composta da unnumero variabile di strofe che però hanno tra loro uguaglianza di:

- numero di versi;- disposizione di versi;- misura di versi corrispondenti all’interno delle strofe;- schema ritmico (ma non necessariamente uguaglianza di rime, che anzi di norma cam-biano da una stanza all’altra).

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76 Canone Occidentale - La poesia

Il verso prevalente: a partire da Dante, il verso prevalente della canzone è l’endecasilla-bo, che può venire alternato al settenario (raramente al quinario). Strofe di endecasillabie settenari risultano particolarmente armoniche perché il settenario è una parte di cui sicompone l’endecasillabo.

Gli argomenti: Dante descrisse minuziosamente la canzone nel De vulgari eloquentia,rivendicandone la nobiltà di pensiero, di stile e di struttura metrica. Egli definisce la can-zone come la forma più alta della lirica, adatta allo stile elevato, alla quale vanno assegna-ti argomenti altrettanto elevati: amore, armi e virtù.

Gli schemi più tipici della canzone sono due:

1) Fronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma indivisibile2) Fronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma divisibile in prima volta e

seconda volta

Di questi schemi, il più comune è il primo.

Esempio del primo schemaFronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma indivisibile

Vergine bella, che di Sol vestitadi Francesco Petrarca

Vergine bella, che di Sol vestita, ACoronata di stelle, al sommo Sole B primo piedePiacesti sì, che in te Sua luce ascose, C

fronteAmor mi spinge a dir di te parole; BMa non so incominciar senza tu’ aita, A secondo piedeE di Colui che amando in te si pose: C

Invoco lei che ben sempre rispose, C (chiave)Chi la chiamò con fede. dVergine, s’ a mercede dMiseria estrema de l’umane cose C sirma Già mai ti volse, al mio prego t’inchina; ESoccorri alla mia guerra, fBench’ i’ sia terra – e tu del ciel regina. (f) E(da Canzoniere, CCCLXVI)

Schema metrico dell’esempio: in questa stanza di canzone, la fronte è suddivisa in duepiedi di tre endecasillabi ciascuno, con rime ABC BAC. La sirma, essendo composta da un numero dispari di versi (7) è indivisibile. I tipi di versi che la compongono sono endecasillabi e settenari.Rime della sirma: CddCEf(f)E (tra parentesi si indica la rima interna «guerra»/«terra»). Schema dell’intera stanza: ABC BAC CddCEf(f)E.

Argomento dell’esempio: questa canzone, di cui è riportata solo la prima stanza, è ilcomponimento che chiude il Canzoniere di Petrarca, una raccolta di 365 poesie dedicate

Laboratorio

Vergine bella, che di Sol vestita FRANCESCO PETRARCA

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77Il metodo

all’amore della sua vita, Laura. Ma l’ultimo testo della raccolta è dedicato alla figura fem-minile per eccellenza: la Madonna, alla quale il poeta si rivolge come a una figura mater-na alla quale chiedere aiuto, conforto e sostegno nelle battaglie della vita.

Esempio del secondo schemaFronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma divisibile in prima volta e secon-da volta

Io sento sì d’Amor la gran possanza, Ach’io non posso durare b primo piedelungamente a soffrire, ond’io mi doglio; C

fronteperò che ’l suo valor si pur avanza, Ae ’l mio sento mancare b secondo piedesì ch’io son meno ognora ch’io non soglio. C

Non dico ch’Amor faccia più ch’io voglio C (chiave)ché, se facesse quanto il voler chiede, Dquella vertù che natura mi diede D prima voltanol sosterria, però ch’essa è finita: Ema questo è quello ond’io prendo cordoglio, C

sirmache a la voglia il poder non terrà fede; De se di buon voler nasce merzede, Dio l’addimando per aver più vita E seconda voltada li occhi che nel lor bello splendore F disticoportan conforto ovunque io sento amore. F finale(da Rime XXXVIII)

Schema metrico dell’esempio: in questa stanza di canzone dantesca, la fronte è suddivi-sa in due piedi formati da due endecasillabi, a cui si frappone un settenario, con rime AbCAbC. La sirma è composta da un numero pari di versi, quindi è divisibile in due volte. Il primoverso della sirma è la chiave. Rime della sirma: C DDEC DDEFF. I versi che compongono la sirma sono tutti endeca-sillabi, e gli ultimi due formano un distico a rima baciata.Schema dell’intera stanza: AbC AbC CDDEC DDEFF.

Argomento dell’esempio: questa canzone tratta un argomento amoroso: l’Amore è per-sonificato in un signore potente («gran possanza») al quale obbedire. Ma quanto piùAmore esercita il suo potere, tanto più il poeta sente di perdere le proprie forze. C’è unacontraddizione insanabile, poiché se Amore facesse quanto il poeta desidera, la capacitàumana (il «poder») non potrebbe sostenerlo: e così Dante si duole doppiamente, perché lasua capacità non è in grado di sostenere l’ampiezza del suo desiderio.

Io sento sì d’Amor la gran possanza DANTE ALIGHIERI

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1 involan: sot-traggono (ovvero:i giorni si allun-gano).2-3 le stelle...perde: con lascomparsa dellecostellazioniinvernali il freddodiminuisce.5 Driope: il fioredel loto. 5-6 le sorelle...morio: figuremitologiche,sorelle di Fetonte:dopo la morte delfratello, precipita-to nel Po per nonaver saputo con-durre il carro delSole, furono tra-sformate in piop-pi.9 persi: colorescuro, bruno.11 Giacinto edAdone: si trattaancora di fiori, igiacinti e gli ane-moni.13 lascive auret-te: brezze capric-ciose.29 schiera: greg-ge.37 ne l’acerbastagion: in gio-ventù.39 mi rendo: midedico.40 diviso: è daunire a «have»del v. 42.41-42 sì tosto...dispietato: quan-do mi innamorai.44 rai: raggi,metafora assairicorrente per

indicare: sguardi.45 onestà grave:

indica l’atteggia-mento nobile e

decoroso delladonna amata.

49 che: il fattoche.

78 Canone Occidentale - La poesia

I dì già involan partedi Giovanni Guidiccioni

I dì già involan partede la notte, e le stellenoiose dipartendo, il freddo perde;vedesi a parte a partee Driope e le sorelle 5di quel che ’n Po morio, vestir di verde;ogni bosco rinverde,e i prati son dipintidi fior persi e vermigli;or gli odorati gigli 10e Giacinto ed Adone, ancora tintidi sangue, apron appienoa le lascive aurette il vago seno.

...[seconda stanza, in cui prosegue la descrizione della primavera]

E ’l pastorel, cantandoa le fresch’ombre, miracon occhio lieto la sua dolce schiera.Ma che vad’io narrando, 30se il cor langue e sospira,quante scopre ricchezze primavera?Perché la storia verade’ mie’ infiniti mali(bastando dir ch’Amore 35m’assalse e punse ’l corene l’acerba stagion co’ fieri strali)non raccont’io piangendoe a disfogar il mio dolor mi rendo?

Dico ch’Amor diviso, 40sì tosto com’io entraisotto il suo giogo dispietato, m’haveda l’angelico viso,da’ chiari e caldi raidegli occhi e da la tanta onestà grave, 45dal ragionar soavech’addolcia le mie pene:ma più, lasso! m’attristache la beata vista

Analisi di una canzone

I dì già involan parte GIOVANNI GUIDICCIONI

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50 mi chiuda: miimpedisca (il sog-getto è Amore).

52 ond’io midiscoloro: per cuiio soffro, fino ad

impallidire (indi-ca una sofferenzaanche fisica).

55 mi ruota: miagita.58 disegna: raffi-

gura, rappresenta.58-59 quell’ar-dente luce: anco-ra una metafora,per indicare gliocchi dell’amata.60 piove: riversa.63 altri mi fura:qualcun altro misottrae, rapinan-domi.64 manco: perdoi sensi.65 ch’a... estre-mo: che mi avvi-cino alla morte,rapidamente.67-68 che più...noia: che soffro(sento di noia)più per la felicitàaltrui, che per ilmio grande dolo-re.

79Il metodo

mi chiuda allor ch’in fronte a scherzar viene 50tra gl’irti capei d’oroe inanellati, ond’io mi discoloro.

Pur crederei tenermi,fra tante pene, in vita,fra quante Amor mi ruota indegnamente; 55ch’agli occhi tristi e ’nfermitalor la mente arditail bel volto disegna e quell’ardenteluce, ove dolcementepiove Amor gioia pura; 60ma s’agghiacciano i sensiquando avvien poi ch’i’ pensiche il mio ricco tesoro altri mi fura,e ’n guisa manco e tremo,ch’a gran giornate vo verso l’estremo. 65

Dir puoi canzon, se a’ piè santi t’inchini,che più de l’altrui gioia che del mio gran dolor sento di noia.

Schema metrico: canzone formata da 5 strofe più un congedo.La fronte è composta da due piedi di tre versi ciascuno, due settenari e un endecasillabo,secondo lo schema abC abC.La sirma inizia con la chiave, che ha la particolarità di essere un verso settenario (mentrel’ultimo verso della fronte, con cui la chiave rima, è un endecasillabo). È composta da sette versi, quindi è indivisibile (ovvero mancano le volte), e alterna quat-tro settenari, un endecasillabo, un altro settenario e infine un endecasillabo, secondo loschema cdeeDfF.Il congedo è identico (anche per lo schema delle rime) agli ultimi tre versi della sirma: unendecasillabo, un settenario, un endecasillabo, secondo lo schema DfF.Lo schema completo di questa canzone, dunque, è: abC abC cdeeDfF.

Argomento: questa canzone può dividersi in due parti: nella prima si ha la descrizionedell’inizio della primavera. Come nella ballata vista precedentemente, la primavera èdescritta qui nei suoi caratteri più tipici: «ogni bosco rinverde», i prati si riempiono di fioricolorati («i prati son dipinti / di fior»), e quelli che sbocciano si offrono ai venticelli pri-maverili («lascive aurette»).A questa bellezza della natura rigogliosa si contrappone la seconda parte della canzone,introdotta dai versi di transizione 30-32 dove il poeta, dopo aver descritto la natura ver-deggiante, rivolge a se stesso una domanda: «Ma che vad’io narrando, / se il cor langue esospira, / quante scopre ricchezze primavera?». In questo modo egli introduce il tema principale della seconda parte della poesia (dal v.33 fino alla fine del testo), che porta in primo piano la persona del poeta e le sue sofferen-

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80 Canone Occidentale - La poesia

ze amorose. Infatti Amore l’ha diviso dalla donna che egli ama, la quale ora è accanto aun altro uomo. Il poeta prova un grande tormento per questa situazione, e il congedomostra tutta la sua gelosia, poiché egli soffre più per la gioia dell’altro uomo che per ilproprio dolore.

La ricerca di piacevolezza: all’epoca in cui questa canzone fu scritta (nel Cinquecento),l’utilizzo di alcuni espedienti poetici garantiva “piacevolezza” a una poesia: secondo que-sta idea (teorizzata e argomentata nelle opere di un illustre personaggio del Cinquecento,il Bembo) un componimento risulta “piacevole” se le rime sono ravvicinate, se i versisono di frequente settenari (poiché versi più brevi avvicinano maggiormente le rime), sele strofe sono brevi, se non sono frequenti i gruppi consonantici (che danno, al contrario,un’idea di asprezza e durezza). La struttura metrica di questa canzone, secondo le indicazioni del Bembo, è compostada una maggioranza di versi settenari. Come si è detto, i versi brevi rendono le rime piùvicine e rendono il componimento più “piacevole”; all’interno della poesia, in tre casi lerime sono addirittura baciate (quindi il più vicino possibile tra loro).

Prima parte: ma nella prima parte di questa canzone, la piacevolezza risulta dalla sovrap-posizione di diversi livelli.Lessico. La piacevolezza della canzone è data anche, nelle prime strofe, dalla descrizionedell’arrivo della primavera: per il lessico, bisogna notare la presenza di diminutivi («auret-te», «pastorel») e la scelta degli aggettivi, tutti da ricondursi a un’idea di gradevolezza(«odorati», «lascive», «dolce»). Struttura fonica. A livello fonico, la piacevolezza delle prime strofe è ottenuta anche conl’insistita ricorrenza della vocale /a/, che porta chiarezza e dolcezza: ad esempio nel v. 12,«di sangue, apron appieno», e nel v. 13, «a le lascive aurette il vago seno».Insieme delle immagini. Anche le immagini suscitate, molto tradizionali, restituisconouna raffigurazione della primavera gradevole e idillica: i prati, i fiori, le brezze; e poi ilpastorello col suo gregge. Il tutto senza alcuna connotazione negativa, per meglio sottoli-neare il contrasto con la seconda parte della poesia.

Seconda parte: se nella prima parte il poeta ha riprodotto la rinascita della natura all’ini-zio della primavera, con tutto ciò che di bello e piacevole comporta, nella seconda parteragiona delle proprie pene d’amore. L’intera poesia ha un brusco cambio di direzione. Innanzitutto, troviamo termini ricondu-cibili a un’esperienza dolorosa: il poeta parla dei suoi «infiniti mali», il suo cuore «languee sospira» ed è assalito e punto da «fieri strali» d’Amore. E ancora:

«piangendo», «giogo dispietato», «mi discoloro», «tante pene», «occhi tristi e ’nfermi»,«s’agghiacciano i sensi», «manco e tremo», ecc.

Come per la descrizione della primavera, che assume i caratteri tipici e comuni a tanticomponimenti dell’epoca, anche nella seconda parte della canzone troviamo un luogocomune, un motivo tradizionale di tanta poesia della nostra storia letteraria: quello dellesofferenze causate da un Amore personificato in un terribile signore. La gelosia: ma in questo testo, il tema tipico delle pene d’amore è arricchito e reso sin-golare dalla presenza di un elemento più “originale”: la gelosia. Un altro uomo, infatti, hasottratto al poeta («altri mi fura») la donna amata, vista come un «ricco tesoro»; e nel con-gedo il poeta si lamenta più per la felicità altrui (principale fonte della gelosia) che per il

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81Il metodo

proprio dolore, legato all’assenza e al rifiuto dell’amata.

Elementi di unione tra le due parti: le due parti in cui abbiamo diviso la poesia, oltrealle differenze descritte, hanno anche alcuni elementi in comune. Nella seconda parte, infatti, la ricerca della piacevolezza non viene del tutto meno, anchese l’argomento trattato è il dolore. Il “piacevole” riemerge innanzitutto quando appare neltesto il tema della memoria, che riporta il poeta ai tempi di una sofferenza meno crudele,quando la presenza della donna amata addolciva le pene per un amore comunque impos-sibile. Anche la descrizione dell’amata riconduce a elementi piacevoli: essa è caratterizzata attra-verso una tipica immagine della femminilità, secondo cui la donna è dotata di «angelicoviso», di «chiari e caldi rai / degli occhi», di «onestà grave», di «capei d’oro» e di «belvolto». In questo modo, tra la prima e la seconda parte della canzone, oltre al contrasto che abbia-mo visto, si aggiunge un aspetto di similarità: alla soavità della primavera corrisponde lasoavità dell’amata («ragionar soave») contemplata nella memoria del poeta.

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1 donzelletta: lagiovane donna. Iltermine, che pernoi assume unvalore letterario earcaicizzante, èusato qui con unaconnotazioneaffettuosa.2 in sul calar delsole: all’ora deltramonto.

5-7 onde... crine:fiori con i quali si

prepara ad ador-nare il petto e i

capelli nel giornofestivo, secondo

l’usanza contadi-na.

82 Canone Occidentale - La poesia

■ Canzone libera o leopardiana

Col trascorrere dei secoli, la canzone apparve ai poeti troppo vincolante nella sua struttu-ra rigida e complessa. I poeti dell’Ottocento cominciarono a perdere interesse per tale componimento: la suddi-visione delle strofe in parti minori, con schemi di rime preordinate, perse di valore ai loroocchi.In questo periodo Giacomo Leopardi, al contrario di molti poeti, adottò la forma della can-zone apprezzandone l’estensione, la quale permetteva un ampio discorso poetico, ma nediede un’interpretazione del tutto nuova e ne modificò notevolmente l’organizzazioneinterna.Egli, come poeta, aveva ben presto abbandonato l’uso della rima, che gli pareva un fortelimite all’espressione libera dell’ispirazione poetica. Per questo stesso motivo egli inter-pretò in chiave nuova la canzone, dando origine a quella che ancor oggi prende il nome dicanzone leopardiana.Inizialmente, la canzone di Leopardi mantenne le strofe di uguale lunghezza, ma modifi-cò tutti gli altri elementi del componimento. Come affermò un poeta di poco successivo,Giosuè Carducci: «Leopardi mantenne lo stesso numero di versi, endecasillabi e settena-ri per ciascuna stanza; ma il genere dei versi e talvolta l’ordine delle rime mutò alternati-vamente da stanza a stanza di settenari in endecasillabi e da una in altre rispondenze;scemò anche il numero delle rime, limitandole ad alcune sedi fisse, finché le confinò nellachiusa; gettò la chiave; rese brusco il passaggio tra le volte e le combinazioni e dalla fron-te alla sirma, accavallando i versi; con ciò sveltì e rese più nervoso l’andamento della vec-chia canzone».In seguito, in testi come Il sabato del villaggio, la forma e l’organizzazione strofica diven-tano ancora più libere, fino ad arrivare alla struttura della canzone libera o leopardianache, rispetto alla forma originaria, mantiene solo il genere di versi (endecasillabi e sette-nari). Ogni strofa ha indipendentemente dalle altre il numero di versi, la loro posizione ele eventuali rime: in questo modo si eliminano drasticamente gli schemi fissi che per seco-li avevano contraddistinto la struttura della canzone.

Il sabato

Laboratorio Analisi di una canzone libera

del villaggiodi Giacomo Leopardi

La donzelletta vien dalla campagnain sul calar del sole,col suo fascio dell’erba; e reca in manoun mazzolin di rose e viole,onde, siccome suole, 5ornare ella si apprestadimani, al dì di festa, il petto e il crine.Siede con le vicinesu la scala a filar la vecchierella,

Il sabato del villaggio GIACOMO LEOPARDI

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10 incontro...giorno: rivoltaverso il sole chesta tramontando.11 novellando:raccontando.11 buon tempo:la sua giovinezza.14-15 intra diquei... bella:

insieme ai compa-gni della sua gio-vinezza.16 imbruna:diventa scura.17 sereno: cielo(figura retoricadella metonimia).19 recente: appe-na sorta.

20-21 la squilla...viene: la campanasuona per annun-ciare il giornofestivo, la dome-nica.23 il cor si ricon-forta: all’annun-cio del giornofestivo, che pro-

mette gioia e feli-cità, il cuoredimentica gliaffanni.25 in frotta: ingruppo.27 lieto romore:chiasso festoso epiacevole.28 riede...

mensa: ritorna acasa, dove loaspetta la suapovera cena.30 e seco... ripo-so: e tra sé pensaal giorno del suoriposo, dopo lasettimana di fati-coso lavoro neicampi.31 face: luce.32 tutto... tace:tutto il resto delpaese tace.34 legnaiuol:falegname.34-35 cheveglia... lucerna:che prosegue ilsuo lavoro nellabottega, alla lucedella lampada aolio.37 fornir l’o-pra... alba: termi-nare il lavoroprima che sorga ilsole.38 Questo... gior-no: il sabato è ilgiorno più graditodella settimana.39 pien di spemee di gioia: l’attesadella festa portauna speranza, e fapregustare lagioia futura. 40 tristezza enoia: sono leparole-chiave diLeopardi. Daunire a recheranl’ore.41 travagliousato: lavoroconsueto.43 Garzoncelloscherzoso: fan-ciullo spensierato.44 età fiorita: lagiovinezza, fio-rente di speranzee illusioni.

83Il metodo

incontro là dove si perde il giorno; 10e novellando vien del suo buon tempo,quando ai dì della festa ella si ornava,ed ancor sana e snellasolea danzar la sera intra di queich’ebbe compagni dell’età più bella. 15Già tutta l’aria imbruna,torna azzurro il sereno, e tornan l’ombregiù da’ colli e da’ tetti,al biancheggiar della recente luna.Or la squilla dà segno 20della festa che viene;ed a quel suon direstiche il cor si riconforta.I fanciulli gridandosu la piazzuola in frotta, 25e qua e là saltando,fanno un lieto romore;e intanto riede alla sua parca mensa,fischiando, il zappatore,e seco pensa al dì del suo riposo. 30

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,e tutto l’altro tace,odi il martel picchiare, odi la segadel legnaiuol, che veglianella chiusa bottega alla lucerna, 35e s’affretta, e s’adopradi fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,pien di speme e di gioia:diman tristezza e noia 40recheran l’ore, ed al travaglio usatociascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,cotesta età fioritaè come un giorno d’allegrezza pieno, 45giorno chiaro, sereno,

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47 precorre...vita: precedel’avvenire, attesocome una festa.49 stagion lieta:età felice, perchéricca di speranze.50 Altro dirtinon vo’: taceròsul resto, per non

amareggiarti.50-51 ma la tuafesta... grave:non ti crucciare(non ti sia grave)

se ti sembra chel’età adulta tantodesiderata (quellache tu immaginicome la tua

festa) tardi ancoraa venire. Il finaledella lirica si spe-gne su quest’ama-ra considerazione:

la festa della vitaè solo nella gioiadell’attesa, e tuttoil resto è soltantotristezza e noia.

84 Canone Occidentale - La poesia

che precorre alla festa di tua vita.Godi, fanciullo mio; stato soave,stagion lieta è cotesta.Altro dirti non vo’; ma la tua festa 50ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

(da Canti)

Struttura metrica: canzone libera composta da quattro strofe di endecasillabi e settenaridisposti liberamente.Compaiono alcune rime, che non hanno però un’alternanza regolare (vv. 2, 4 e 5: «sole»/ «viole» / «suole»; «appresta» del v. 6 forma una rima al mezzo con «festa» del v. 7; vv.7 e 8: «crine» / «vicine»; vv. 13 e 15: «snella» / «bella»; vv. 16 e 19: «imbruna» / «luna»;vv. 24 e 26: «gridando» / «saltando»; vv. 27 e 29: «romore» / «zappatore», ecc.). Per la presenza delle rime si segnala in particolare la strofa conclusiva del componimen-to, dove, se si esclude il primo verso («Garzoncello scherzoso»), gli altri otto rimano agruppi di quattro secondo lo schema della rima incatenata: aBbA DeED.

Argomento: il tema principale del componimento è la rievocazione della giovinezza («etàfiorita»), accostata metaforicamente all’immagine del sabato, ovvero del giorno che pre-cede il «dì di festa», a sua volta metafora dell’età adulta. Questa doppia metafora tra i giorni della settimana e le età della vita dell’uomo percorrel’intera poesia. Attraverso essa, il poeta descrive quella che considera l’universale condi-zione dell’uomo, al quale è sempre negata la felicità nel presente. Per questo non c’è gioiapiù grande dei giorni che precedono la festa (e dunque della giovinezza che precede l’etàmatura): perché l’attesa del giorno di festa (e, secondo la metafora, dell’arrivo dell’etàmatura) verrà inevitabilmente delusa una volta raggiunto ciò che crediamo essere il benefuturo. Il dì della festa, e l’età dopo la giovinezza, si riveleranno immediatamente ingannevoli edeludenti, portando solamente «tristezza e noia».

Questa poesia, costituita da quattro strofe di diversa lunghezza, può dividersi tematica-mente in due parti principali:

la prima parte è formata dalle prime duestrofe, le quali contengono la descrizionedell’atmosfera che regna nel villaggio lasera che precede il giorno festivo (sonostrofe principalmente descrittive) cheregna nel villaggio la sera che precede il

Le singole strofe contengono diversi nucleitematici.1) Nella prima, regna l’allegria per i giorni difesta, dove si contrappongono la freschezzadella donzelletta ed i ricordi, ormai lontani,della vecchierella.2) Nella seconda, il silenzio in cui è immersoil villaggio è rotto dai rumori degli strumentidel falegname.

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Analizziamo la lirica mettendo a fuoco, singolarmente, ogni strofa.

Prima strofa: è la più lunga della canzone. Vi emerge fortemente la presenza umana: ilprimo verso porta in primo piano «la donzelletta», figura alla quale si aggiunge, qualcheverso più sotto, quella della «vecchierella».Lessico e retorica. Questi due personaggi femminili hanno molte caratteristiche in comu-ne, secondo la figura retorica del parallelismo:

- entrambe sono indicate con un diminutivo; - vengono presentate con il duplice riferimento al lavoro (la prima torna dai campi «col

suo fascio d’erba»; la seconda è «su la scala a filar») e ai preparativi per il giorno di festa(la giovane ha raccolto fiori per «ornare», il giorno dopo, «il petto e il crine» mentre lavecchia, in compagnia delle vicine, ricorda «quando ai dì della festa ella si ornava»).

Per quanto riguarda il lessico, il parallelismo tra le due figure è sottolineato ulteriormen-te dall’utilizzo di alcun verbi che, pur alternandosi nei tempi, sono identici per entrambe:

- al v. 5 troviamo «suole» riferito alla «donzelletta», che va accostato a «solea» (v. 14)riferito alla «vecchierella»;

- allo stesso modo, come la giovane si prepara a «ornare» (v. 6), così la vecchia torna conla mente a quando «si ornava» (v. 12).

Il tempo presente, riferito alla giovane donna, indica l’attesa del giorno di festa, mentre iltempo imperfetto, usato per la vecchierella, è il tipico tempo della memoria, di ciò che puòessere vissuto solo nel ricordo di una giovinezza ormai trascorsa.Nella seconda parte della strofa (vv. 16-30) si susseguono immagini e suggestioni sonore.Nei vv. 16-19 l’attenzione si sposta dalle figure umane al paesaggio: all’imbrunire, dopoi colori del tramonto, il cielo torna azzurro, e la luce della luna proietta le ombre dei collie delle case. Nei vv. 20-30 la descrizione trapassa dal piano visivo a quello sonoro: il silenzio in cui èimmerso il borgo è rotto dai piacevoli rumori del suono della campana che preannuncia ilgiorno di festa, del vociare dei fanciulli che corrono sulla piazza, e del fischiettare del con-tadino che fa ritorno alla sua casa.

Seconda strofa: in questi versi ritorna in primo piano la presenza umana, attraverso ladescrizione del falegname che prosegue il suo lavoro chiuso nella bottega, tentando difinire la sua opera prima che spunti il sole del giorno festivo, mentre tutto intorno è silen-zio e pace. Con il «chiarir dell’alba» si chiude il cerchio temporale che il poeta ha descritto, fatto ditramonto («calar del sole»), notte («imbrunire», «luna») e luce del nuovo giorno.

la seconda parte racchiude l’intervento delpoeta, che contrappone l’oggi spensierato,metafora della giovinezza, al domani,simbolo della noia e della vecchiaia (sonostrofe principalmente meditative)

3) Nella terza strofa emerge la considerazionedel poeta: al giorno di festa seguirà un giornodi noia e tedio.4) Nell’ultima strofa, infine, il poeta si rivolgeal «garzoncello»: chiarisce la metafora delgiorno che precede la festa (giovinezza) in cuibisogna esser felici, perché ciò che seguirà,ovvero la vita dopo la giovinezza, non permet-terà più di esserlo.

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Terza strofa: nella terza strofa entra in scena il poeta che, con pochi versi, afferma un’a-mara verità: l’attesa del sabato sarà delusa, e il giorno di festa tanto desiderato («diman»)porterà soltanto «tristezza e noia», a cui si aggiungerà il mesto pensiero della fatica quo-tidiana a cui ciascuno presto dovrà fare ritorno.

Quarta strofa: il poeta, dopo aver preso la parola nei versi precedenti, ora instaura un dia-logo con una nuova figura, quella del «garzoncello scherzoso». Rivolgendosi a lui, Leopardi chiarisce la metafora dei giorni della settimana come la suc-cessione delle età della vita, paragonando l’«età fiorita» (la giovinezza) con il «giorno diallegrezza pieno / giorno chiaro, sereno, / che precorre alla festa», ovvero che precedel’età adulta. L’attesa della domenica, messa a tema nella terza strofa, qui diventa simbolo di una fasedell’esistenza: anche la vita dell’uomo ha il suo sabato, rappresentato dalla fanciullezza,che per il poeta è l’unica età della gioia. Così come il sabato risulta il giorno più bello della settimana, allo stesso modo la giovi-nezza, tempo dell’attesa e delle speranze, è più felice dell’età adulta. Ma qui il poeta si ferma: non vuole rivelare al giovane spensierato l’amaro destino che loattende, e si limita a consigliarlo affettuosamente di non rattristarsi troppo, se l’età matu-ra che tanto desidera tarderà ancora a venire.Il lessico usato in questa strofa è, per la maggior parte, riferito a qualcosa di allegro:

«scherzoso», «età fiorita», «giorno di allegrezza pieno», «chiaro, sereno», «festa»,«godi», «stato soave», «stagion lieta».

In questa serie di termini emerge ai vv. 45-46 l’insistenza degli aggettivi riferiti al voca-bolo «giorno»: (d’allegrezza) «pieno», «chiaro, sereno». Tale insistenza testimonia il par-ticolare rilievo che il poeta vuole dare a questa parola e, metaforicamente, all’età dellagiovinezza.Ma né questi termini, né la ripetizione della parola «festa» (vv. 47 e 50) riescono a rende-re meno amara la conclusione della poesia.

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10.4. Sestina

Un po’ di storia: la sestina, oltre che come tipo di strofa interna ad altri componimenti,esiste anche come forma lirica autonoma. Fu inventata intorno al 1100 dai lirici trobadorici (della Francia del Sud); il primo a com-porne una nella nostra lingua fu Dante.

La struttura: la sestina è un tipo di componimento molto simile alla canzone, anzi puòconsiderarsi una canzone composta di stanze indivisibili (senza fronte e sirma), ma il suonome indica una caratteristica molto particolare: essa è composta da sei strofe, ciascunadi sei versi (tradizionalmente endecasillabi). A ciò, bisogna aggiungere un congedo.Il primo elemento caratteristico della strofa di sestina è che al suo interno non compaionorime:

Recitativo di Palinurodi Giuseppe Ungaretti

Per l’uragano all’apice di furia AVicino non intesi farsi il sonno; BOlio fu dilagante a smanie d’onde, CAperto campo a libertà di pace, DDi effusione infinita il finto emblema EDalla nuca prostrandomi mortale. F

Come si vede in questa prima strofa di sestina novecentesca, le rime non trovano corri-spondenza all’interno della stessa stanza, quindi lo schema metrico risulta essere ABC-DEF.Vediamo la seconda strofa:

Avversità del corpo ebbi mortale FAi sogni sceso dell’incerta furia AChe annebbiava sprofondi nel suo emblema EEd, astuta amnesia, afono sonno, BDa echi remoti inviperiva pace DSolo accordando a sfinitezze onde. C

La seconda strofa rivela la particolarità di questo componimento: l’ultima parola di ogniverso che compone la prima strofa viene ripresa in ogni verso della strofa successiva.Non si tratta semplicemente di rime, ma di parole-rima, ognuna delle quali («furia»,«sonno», «onde», «pace», «emblema» e «mortale») verrà ripetuta all’interno delle strofesuccessive.La ripresa delle parole-rima non avviene in modo casuale, ma secondo uno schema dettoretrogradazione incrociata: data una prima strofa con schema ABCDEF, nella secondastrofa il primo verso avrà la stessa parola-rima dell’ultimo della prima strofa, il secondoavrà quella del primo, il terzo del penultimo, il quarto del secondo, il quinto del terzulti-mo, il sesto del terzo, secondo lo schema seguente: 6+1, 5+2, 4+3.La terza strofa seguirà lo stesso ordine, ma rispetto alla seconda: riprenderà come prima

Laboratorio

Recitativo di Palinuro GIUSEPPE UNGARETTI

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parola-rima l’ultima della seconda strofa, come seconda la prima ecc. Vediamo nel detta-glio, rispetto alla seconda strofa:

6+1, ovvero «onde»+«mortale»:

Non posero a risposta tregua le onde, CNon mai accanite a gara più mortale, F

5+2, ovvero «pace»+«furia»:

Quanto credendo pausa ai sensi, pace; DRaddrizzandosi a danno l’altra furia, A

4+3, ovvero «sonno»+«emblema»:

Non seppi più chi, l’uragano o il sonno, BMi logorava a suo deserto emblema. E

Lo schema della retrogradazione incrociata procede anche nelle ultime tre strofe:

D’àugure sciolse l’occhio allora emblema EDando fuoco di me a sideree onde; CFu, per arti virginee, angelo in sonno; BDi scienza accrebbe l’ansietà mortale; FFu, al bacio, in cuore ancora tarlo in furia, ASenza più dubbi caddi né più pace. D

Tale per sempre mi fuggì la pace; DPer strenua fedeltà decaddi a emblema EDi disperanza e, preda d’ogni furia, ARiscosso via via a insulti freddi d’onde, CIngigantivo d’impeto mortale, FPiù folle d’esse, folle sfida al sonno. B

Erto su più mi legava il sonno, BDietro allo scafo a pezzi della pace DStruggeva gli occhi crudeltà mortale; FPiloto vinto d’un disperso emblema, EVanità per riaverlo emulai d’onde; CMa nelle vene già impietriva furia A

Lo schema generale della sestina è dunque ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD,DEACFB, BDFECA. All’interno delle sei stanze si esaurisce la rotazione delle parole-rima: in una ipotetica set-tima stanza il sistema della retrogradazione porterebbe alla ripetizione dello schema dellaprima strofa.Il congedo: il congedo di sestina consta sempre di tre versi, nei quali devono compariretutte le sei parole-rima, sia in fine di verso (in cui ne avremo tre) sia all’interno del verso,in successione libera e affidata alla scelta del poeta.Tuttavia, nel congedo di questa sestina, le parole-rima non sono equamente distribuite trai versi:

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Crescente d’ultimo e più arcano sonno, BE più su d’onde e emblema della pace C+E+DCosì divenni furia non mortale. A+F(da La Terra Promessa)

Nel primo verso del congedo troviamo solo la parola-rima «sonno», nel secondo ne tro-viamo addirittura tre («onde», «emblema» e «pace»), e nell’ultimo verso due: «furia» e«mortale».Dato che la sestina è solo e soltanto di questo tipo, ogni sestina avrà lo schema metrico cheabbiamo visto sopra: a differenza degli altri componimenti esso non muta mai, se non nelcongedo, e non prevede cambiamenti strutturali e di forma. In questa caratteristica sta l’u-nicità della sestina.

Argomento dell’esempio: in questa sestina Ungaretti riprende la leggenda di Palinuro,raccontata da Virgilio nell’Eneide. Secondo tale leggenda, dopo che la flotta troiana lasciò la Sicilia Venere chiese a Nettunodi concedere ad Enea di giungere alla foce del Tevere, dove l’eroe troiano avrebbe fonda-to la città di Roma. Nettuno acconsentì, ma in cambio chiese la vita di un membro dell’e-quipaggio. E così, durante la notte, il dio del mare fece prima addormentare il nocchieroPalinuro, poi lo fece cadere in mare. Naufrago, il giovane nocchiero cercò di aggrapparsiagli scogli, ma venne ucciso dalla popolazione degli Enotri. Ecco il racconto di Virgilio:

Ormai l’umida Notte aveva quasi toccato la meta nel mezzodel cielo, i marinai rilassavan le membra nella placida quietesdraiati sotto i remi lungo i duri sedili,quando il Sonno scivolando leggero dagli eterei astrismosse l’aria tenebrosa e cacciò le ombre,cercando te, Palinuro, portando a te innocente i tristisogni; il dio si sedette sull’alta poppasimile a Forbante e versò con la bocca queste chiacchiere:«Palinuro di Iasio, le stesse acque portan la flotta,le arie spirano costanti, è dato tempo al riposo.Poggia la testa e ruba gli stanchi occhi alla fatica.Io stesso un poco affronterò i tuoi doveri per te».A stento alzandogli gli occhi Palinuro dice:«Vuoi forse che io ignori il volto del placido mareed i quieti flutti? Forse che io mi fidi di questo mostro?Affiderei forse Enea? Tante volte ingannato da ariefallaci e dall’imbroglio del cielo sereno?».Dava tali risposte, fisso ed attaccandosi mai lasciavail timone e teneva gli occhi sotto le stelle.Ecco il dio scosse sopra entrambe le tempie un ramoinzuppato di rugiada letea e drogato di forza Stigia, sciolse, a lui esitante, gli occhi natanti. Appena la quiete improvvisa aveva rilassato le prime membra,quando saltandogli sopra, divelta una parte della poppa,lo gettò nelle limpide onde col timonea capo fitto e spesso invocante invano i compagni;egli alato, volando, si alzò leggero nell’aria.[...]

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2-3 neve... anni:perifrasi per indi-care il ghiaccio,come il risultatodi uno strato dineve su cui nonbatte il sole permolto tempo.6 ov’io: dovunqueio.6 in poggio o ’nriva: su un pen-dio o in piano.7 Allor... a riva:allora i miei pen-

sieri sarannogiunte a riva,ovvero avrannofine.8 che: quando.

8 foglia... lauro:ossia mai, datoche l’alloro(lauro) è unapianta sempre-

verde.9-10 quando...neve: proseguel’elenco dellecose impossibili:

il desiderio amo-roso del poetacesserà quando ilfuoco ghiaccerà ela neve arderà.

90 Canone Occidentale - La poesia

...quando il padre [Enea] capì che la nave ondeggiando errava, perdutoil pilota, lui stesso la resse nelle onde notturnemolto gemendo e colpito in cuore dalla morte dell’amico:«O Palinuro, fidatoti troppo del cielo e del mare sereno, nudo giacerai su sabbia ignota».(Virgilio, Eneide, libro V)

Nella poesia di Ungaretti Palinuro racconta in prima persona la sua tragica storia, narran-do del sonno traditore a cui lo costrinse Nettuno e della caduta nelle acque agitate delmare. In questo suo morire innocente e senza colpa, mentre adempie al suo lavoro di nocchierodella nave, il ragazzo diventa «... emblema / Di disperanza e preda d’ogni furia», ovverosimbolo della disperazione di un uomo in balìa di un destino crudele che si accanisce con-tro di lui, vittima inconsapevole e designata.

Difficoltà della sestina: l’esempio di Ungaretti mostra tutta la rigidità di questa formametrica, e quindi la grande difficoltà che il poeta incontra nel comporla. Fin dalle sue origini, la sestina fu considerata un tipo di componimento che richiede alpoeta grande abilità tecnica, talento compositivo e virtuosismo; un difficile esercizio poe-tico dal carattere altamente elaborato e raffinato. Per tutti questi motivi, le sestine compo-ste nella storia della letteratura sono veramente poche. La difficoltà della sestina consiste in primo luogo nelle sei ripetizioni delle parole-rima,che pongono un grande limite alla creatività poetica, poiché si riducono notevolmente gliargomenti possibili, le strutture sintattiche e ovviamente le scelte lessicali. Ma forse ancor più difficile è il fatto che le parole-rima devono essere obbligatoriamentedisposte, all’interno delle strofe, in posizioni prestabilite, senza possibilità di modificarle.

Analisi di una sestina

Giovene donna sotto un verde lauro Avidi più biancha et più fredda che neve Bnon percossa dal sol molti et molt’anni; Ce ’l suo parlare, e ’l bel viso, et le chiome Dmi piacquen sì ch’i’ l’ò dinanzi agli occhi, E 5ed avrò sempre, ov’io sia, in poggio o ’n riva. F

Allor saranno i miei pensieri a riva Fche97 foglia verde non si trovi in lauro; Aquando avrò queto il core, asciutti gli occhi, Evedrem ghiacciare il foco, arder la neve: B 10

Giovene donna sotto un verde lauro FRANCESCO PETRARCA

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12 quanti... anni:costruzione:«quanti anni vor-rei attendere quelgiorno».

15 o colle... chio-me: o giovani, oanziani.20 o ne lanostra... anni:

nel presente onell’antichità.22 lagrimosariva: fiume dilacrime.

24 rami... chio-me: i rami didiamante sono lebraccia candide diLaura, le chiome

d’òr i suoi biondicapelli.27 idolo... lauro:Laura per il poetaè un idolo, ogget-to di adorazione,ed è scolpita in unlauro vivente: inquesta poesia,come in tantealtre raccolte nelCanzoniere, vi èla consueta identi-ficazione allegori-ca tra Laura e illauro.28 à sett’anni:sono trascorsisette anni dalgiorno dell’inna-moramento.31 pur: tutto.31 for... neve:all’aspetto esternosbiancato.35 tal: chi, ovve-ro il futuro letto-re.36 ben còlto: bencoltivato. Il poetavorrebbe saperese può viveretanto (dopo mil-l’anni) la poesia. 37-38 L’auro...bionde chiome:le bionde chiome(soggetto) diLaura superanol’oro e i topazi.39 menan: incal-zano.39 sì tosto a riva:così presto allafine.

91Il metodo

non ò tanti capelli in queste chiome Dquanti vorrei quel giorno attender anni. C

Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni, Csì ch’a la morte in un punto s’arriva, Fo colle brune o colle bianche chiome, D 15seguirò l’ombra di quel dolce lauro Aper lo più ardente sole et per la neve, Bfin che l’ultimo dì chiuda quest’occhi. E

Non fur già mai veduti sì begli occhi Eo ne la nostra etade o ne’ prim’anni, C 20che mi struggon così come ’l sol neve; Bonde procede lagrimosa riva Fch’Amor conduce a pie’ del duro lauro Ach’à i rami di diamante, et d’òr le chiome. D

I’ temo di cangiar pria volto et chiome D 25che con vera pietà mi mostri gli occhi El’idolo mio, scolpito in vivo lauro: Ache s’al contar non erro, oggi à sett’anni Cche sospirando vo di riva in riva Fla notte e ’l giorno, al caldo ed a la neve. B 30

Dentro pur foco, et for candida neve, Bsol con questi pensier’, con altre chiome, Dsempre piangendo andrò per ogni riva, Fper far forse pietà venir negli occhi Edi tal che nascerà dopo mill’anni, C 35se tanto viver pò ben cólto lauro. A

L’auro e i topacii al sol sopra la neve A+Bvincon le bionde chiome presso agli occhi D+Eche menan gli anni miei sì tosto a riva. C+F(da Canzoniere XXX)

Schema metrico: lo schema di questa sestina è uguale a quello di tutte le altre sestine:ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA. All’interno del congedo, le rime sono riprese nei tre versi secondo lo schema A+B, D+E,C+F.

Argomento: pur costretto nella “gabbia” formale della sestina, il poeta è riuscito a racconta-re un’intera vicenda umana, fatta di una donna e dello struggente amore che egli prova per lei.

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92 Canone Occidentale - La poesia

Come tutte le poesie raccolte nel Canzoniere di Petrarca, anche questa sestina è dedicataa Laura, l’amore indiscusso del poeta. Questa lirica, in particolare, si fonda sull’insisten-te identificazione della donna con l’alloro, attraverso allusioni al mito di Dafne, la donnache si trasformò in questa pianta.Petrarca torna con la memoria al momento del suo innamoramento per Laura: «Giovenedonna... / vidi». L’amore che egli prova per questa donna è talmente grande e definitivo, chepotrà cessare solo quando avverranno cose impossibili: quando il fuoco diventerà ghiaccio,e la neve potrà bruciare. Il proposito del poeta è quello di non allontanarsi mai dall’ogget-to del suo amore, fino a quando giungerà per lui il giorno della morte. E se questa sestinapotrà vivere a lungo, ed essere letta tra mille anni dagli occhi di un nuovo lettore, forse que-sti proverà pietà per lo stato in cui Petrarca si trova a causa del suo amore per Laura.

Le parole-rima: la perizia con cui Petrarca ha composto questa sestina di grande natura-lezza e scioltezza, quasi non ci fa accorgere della difficoltà che, sicuramente, sta dietro alcomponimento. Trattandosi di una sestina, il poeta ha composto le sei strofe basandosi su sei parole-rima,che si ripresentano in posizioni obbligate e preordinate all’interno di ogni strofa. Ma la presenza delle parole-rima non costituisce soltanto un limite e un rigido schema acui sottomettere il genio poetico: esse conferiscono una grande unità all’intero componi-mento, rendendolo un edificio ben solido soprattutto per quanto riguarda il tema della poe-sia. In questo riconosciamo la straordinaria abilità di Petrarca.Le parole-rima di questa sestina appartengono a tre campi semantici ben riconoscibili:

- la natura («lauro», «neve», «riva»);- gli elementi della bellezza di Laura («chiome» e «occhi»);- il senso del tempo che scorre («anni»).

Petrarca ha utilizzato tutti i possibili significati di tali parole: non solo quelli letterali econsueti, ma anche quelli metaforici e allegorici. Ad esempio, la parola «riva» è intesa, insenso letterale, come elemento naturale (v. 6, col significato di piano, pianura) ma è uti-lizzata dal poeta anche in senso metaforico (v. 22: «lagrimosa riva» nel senso di fiume dilacrime e v. 39: «riva» nel senso di estremo approdo, di fine della propria vita). A questa varietà di significati delle parole-rima, bisogna aggiungere anche la varietà deiriferimenti: ad esempio la parola «occhi» è riferita prima al poeta (vv. 5, 9 e 18), poi aLaura (vv. 19, 26 e 38) e infine al futuro lettore della sestina (v. 34).In questo modo, ampliando al massimo il ventaglio dei possibili significati delle parole-rima, il poeta attenua il rischio di monotonia e di uniformità in cui la sestina incorre ine-vitabilmente, proprio a causa della rigidità della sua struttura.

Elementi di retorica: questa sestina è caratterizzata da una serie di immagini iperboli-che, ovvero esagerate, ingigantite, come quella contenuta nel v. 2: «più bianca e più fred-da che neve / non percossa dal sol molti e molt’anni».Simili a questo procedimento poetico sono le affermazioni di valore assoluto: al v. 6«avrò sempre, ov’io sia». Nella seconda strofa questa procedura viene ulteriormente rafforzata: per indicare che ildesiderio amoroso del poeta non avrà mai fine, troviamo un elenco di cose impossibili(«vedrem ghiacciare il foco, arder la neve»), attraverso l’uso della figura retorica dell’ady-naton.L’insieme di questi espedienti ha lo scopo di esaltare l’esperienza amorosa del poeta, direnderla unica e incomparabile.

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93Il metodo

10.5. Madrigale

Un po’ di storia: componimento poetico di origine italiana, il madrigale è un testo piut-tosto breve, nato nel corso del Trecento. Era originariamente composto per essere accompagnato dalla musica e cantato a più voci,come testimoniano i manoscritti che conservano, oltre ai testi, anche le partiture musicalicorrispondenti. Ma, a differenza della ballata, il madrigale non era un componimentopopolare, e probabilmente veniva eseguito in ambienti signorili.Come forma poetica ebbe molta fortuna, e attraverso i secoli modificò la propria struttu-ra, pur senza stravolgerla mai del tutto.

La struttura: composto da versi endecasillabi, si struttura in piccole strofe (in genere dueo tre) di tre versi ciascuna, seguite da una o due coppie di versi a rima baciata. Schema delle rime: all’interno del madrigale, solo un elemento non cambia mai, ed è ildistico finale a rima baciata. Ciò che muta è lo schema delle strofe, che possono rimaretra loro in modi molti vari, come vedremo negli esempi seguenti.Anche la quantità di rime può variare notevolmente.

Esempi:

Verso la vaga tramontana è gita, Aquanto più luce il sol co’ raggi ardenti, BAmor, costei ch’è con pietà fuggita. A

Cercando va li disïosi venti Bil verde e’ fiori e degli augelli il canto, Ced ha lasciato i miei spirti dolenti: B

dona, ove giugne, d’allegrezza tanto, Cquanto dond’è partita lascia pianto. C(Sacchetti, Il libro delle Rime XL)

Questo madrigale si fonda su tre rime, che all’interno delle strofe sono alternate tra lorosecondo lo schema ABA BCB, a cui va aggiunto il distico finale CC.

Amor, s’ i’ son dalle tue man fuggito, ANon ti doler di me, ma di costei, BChe ’n pena mi tenea servendo lei. B

E non pensar ch’io sia mai più ghermito ADa te in lei, ben che le stia nel volto; CChé reddire in prigion chi n’esce è stolto. C

Quei libertà conosce quanto è cara DChe la smarrisce e ritrovare impara. D(Soldanieri, Amor, s’ i’ son dalle tue man fuggito)

Nova angeletta sovra l’ale accorta Ascese dal cielo in su la fresca riva, B

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94 Canone Occidentale - La poesia

là ’nd’io passava sol per mio destino. C

Poi che senza compagna et senza scorta Ami vide, un laccio che di seta ordiva Bteso fra l’erba, ond’è verde il camino. C

Allor fui preso; et non mi spiacque poi, Dsì dolce lume uscia degli occhi suoi. D(Petrarca, Canzoniere CVI)

Questi due madrigali hanno quattro rime. Nel primo, lo schema isola il primo verso (A)facendolo seguire da un distico a rima baciata, secondo lo schema: ABB ACC.Nel secondo, invece, le prime tre rime si alternano tra loro: ABC ABC. In entrambi lo sche-ma del distico finale è DD.

Un falcon pellegrin dal ciel discese Acon largo petto e con sì bianca piuma, Bche chi ’l guarda innamora, e me consuma. B

Mirando io gli occhi neri e sfavillanti, Cla vaga penna e ’l suo alto volare, Dmi disposi lui sempre seguitare. D

Sì dolcemente, straccando, mi mena, Eche altro non cheggio, se non forza e lena. E(Rinuccini, Rime XVII)

In questo madrigale le rime sono cinque: è molto simile, come schema, a quello compo-sto da Soldanieri, ma rimangono senza rima correlata i due versi iniziali di ogni strofa.

Nel verde bosco, sotto la cui ombra Avago d’amor pensando mi trovai, Bsu la fresch’erba e su’ be’ fior posai. B

Così dormendo subito m’apparve Cdonna gentil che m’inducea sospiri Dnel cor che sempre in lei fermò desiri. D

Dolcezza mi donava con martiri Dmostrando sé a me, e po’ fuggiva Einfra le fronde quando la seguia. E

Sveglia’ mi; e ’n doglia tal mio cor salio Fqual Febo dietro Dafne alfin sentio. F(Sacchetti, Il libro delle Rime XXIX)

Questo è un esempio di madrigale composto da quattro strofe, con schema identico almadrigale precedente, che continua nella terzina aggiunta.

Se il madrigale è composto da tre strofe, la coppia finale di versi può anche mancare, come

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95Il metodo

nel seguente esempio del Petrarca, con schema ABB ACC CDD:

Or vedi, Amor, che giovenetta donna Atuo regno sprezza, et del mio mal non cura, Bet tra duo ta’ nemici è sì secura. B

Tu se’ armato, et ella in treccie e ’n gonna Asi siede, et scalza, in mezzo i fiori et l’erba, Cver’ me spietata, e ’ncontra te superba. C

I’ son pregion; ma se pietà anchor serba Cl’arco tuo saldo, et qualchuna saetta, Dfa’ di te et di me, signor, vendetta. D(Petrarca, Canzoniere CXXI)

Gli argomenti: leggendo gli esempi riportati, forse si avrà l’impressione di una ripetitivi-tà tematica: il madrigale infatti affronta solitamente argomenti amorosi, ambientati nellascena dell’aperta campagna. Amore e natura: queste sono le componenti tematiche prin-cipali del madrigale, almeno nei primi secoli della sua storia. Il madrigale del Trecentopresenta contenuti elevati, e fa parte della poesia colta e raffinata. È infatti un genere alto,che non trova posto nella poesia di carattere popolare.In seguito cambiò lo scenario, ma il contenuto amoroso rimase a lungo come una dellecaratteristiche principali del madrigale. Infine, col passare del tempo, il madrigale divenne un componimento molto versatile, chetrattò anche di argomenti morali e politici.

■ Variazioni della struttura nel corso dei secoli

Il Cinquecento: nel Cinquecento si continuò a comporre madrigali, ma con maggiorlibertà di struttura, secondo le caratteristiche seguenti:

• diventò una forma monostrofica e non più divisa in brevi strofe;• l’endecasillabo era alternato al settenario, con un alto grado di libertà nella disposizio-

ne e nell’alternanza degli endecasillabi e dei settenari e nelle loro rispettive proporzio-ni;

• libera era anche la disposizione delle rime: ampiamente attestata la presenza del versoirrelato, ovvero senza rima.

Proprio per l’estremo grado di libertà a cui il madrigale giunse, esso è stato consideratocome una delle prime forme di “poesia libera” della nostra letteratura.

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96 Canone Occidentale - La poesia

Un’ape esser vorreidi Torquato Tasso

Un’ape esser vorrei, adonna bella e crudele, bche sussurrando in voi suggesse il mele; Be, non potendo il cor, potesse almeno Cpungervi il bianco seno, ce ’n sì dolce ferita dvendicata lasciar la propria vita. D(da Rime, 499)

Struttura dell’esempio: questo madrigale è composto da un’unica strofa di sette versiendecasillabi e settenari.Il primo verso non trova corrispondenza di rima in nessun altro, mentre quelli che seguo-no rimano a coppia, alternando endecasillabo e settenario, secondo lo schema abBCedD.Anche la rima baciata finale avviene tra un settenario e un endecasillabo.

Argomento dell’esempio: l’argomento tipicamente amoroso del madrigale è presenteanche in questo testo, dove il poeta si rivolge a una donna «crudele». Il desiderio di vendetta nei confronti di questa donna si traduce nell’immagine dell’ape, incui il poeta vorrebbe trasformarsi. Non potendo arrivare a pungere il cuore insensibiledella donna, egli si accontenterebbe di pungerne il seno; e come l’ape muore dopo avercolpito con il suo pungiglione, così il poeta morirebbe «in sì dolce ferita», portando a ter-mine la propria vendetta a rischio della vita.Nonostante l’argomento (una vendetta passionale), il tono della poesia è piuttosto legge-ro. Il desiderio di vendetta è attenuato dall’immagine dell’ape e dal confronto tra i duesoggetti, che mostra una grande sproporzione: la guerra vendicativa avviene tra un’ape euna figura umana (la donna crudele), e l’azione in cui la vendetta si materializza è unapuntura d’insetto, una dolce ferita inferta a costo della propria vita. Questa esagerazione e sproporzione tra le due figure del testo affievolisce e attenua il temaprincipale del madrigale.

L’Ottocento: dopo le trasformazioni del Cinquecento il madrigale cadde in disuso, fino auna sua rinascita nell’Ottocento. La sua nuova diffusione fu favorita dalle peculiarità del componimento, caratterizzato dauna struttura agile e breve. Venendo a mancare ogni riferimento alla destinazione origina-le (l’ambientazione signorile) e l’accompagnamento musicale, il madrigale si ridusse auno schema metrico che i poeti affrontarono trattando qualsiasi argomento. In generale, nell’Ottocento fino ai primi del Novecento, il madrigale preferì tornare allaforma originaria trecentesca, come si vede dall’esempio che segue.

Laboratorio Analisi di una madrigale

Un’ape esser vorrei TORQUATO TASSO

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1 campo mezzogrigio e mezzonero: il lavorodell’araturalasciato interrottodetermina la dif-ferenza di sfuma-ture: la terra neraè quella arata direcente.3 vapor leggero:è la foschia che

sale dai campi incerte condizioniatmosferiche tipi-che dell’autunno,in particolarmodo di mattina overso sera.4 gora: canalemurato in cui ledonne usavanolavare i panni.5 sciabordare:

verbo onomato-peico che riprodu-ce il frusciare del-l’acqua mossanella gora dalledonne al lavoro.7 nevica la fra-sca: nevicare èusato qui transiti-vamente. Dairami (frasca)cadono foglie

come se nevicas-se. Le due nota-zioni atmosferi-che (vento ecaduta dellefoglie) rimandanoall’autunno: ventoe alberi che sispogliano contri-buiscono adaccentuare ilclima di desola-

zione e abbando-no.9 come son rima-sta!: il punto divista è quellofemminile: ladonna attende ilritorno del pro-prio uomo partitoda tempo; iltempo passa, mal’attesa e la soli-tudine continua-no.10 maggese: è ilcampo lasciatoper qualchetempo inattivo,secondo il princi-pio della rotazio-ne agraria.

97Il metodo

Lavandaredi Giovanni Pascoli

Nel campo mezzo grigio e mezzo neroresta un aratro senza buoi, che paredimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare 5con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,e tu non torni ancora al tuo paese!quando partisti, come son rimasta!come l’aratro in mezzo alla maggese. 10(da Myricae)

Analisi di un madrigale

Schema metrico: il madrigale è costituito da versi endecasillabi raccolti in due terzinecon rima alternata, secondo lo schema ABA CBC, seguite da due coppie anch’esse a rimaalternata: DEDE. La presenza di due coppie finali (e non di una soltanto) allontana un poco questo testodalla forma del madrigale tradizionale; tuttavia si riconosce facilmente l’origine della poe-sia, e la struttura non ne risulta stravolta.

Argomento: l’ambientazione è quella tipica del madrigale: l’aperta campagna, la natura(«campo», «buoi», «vapor leggero», «gora», «il vento», «frasca», «maggese»), in cui siinserisce il tema amoroso.

All’interno del madrigale, c’è una netta divisione a livello contenutistico tra terzine equartina.

Le terzine sono principalmente descrittive: nella prima prevalgono le suggestioni visive,sollecitate in particolare dal richiamo ai colori del campo «mezzo grigio e mezzo nero».Il poeta ci mostra la natura comune e familiare dei campi al tempo dell’aratura (vv. 1-2),in un’ora non ben definita del giorno, ma che si suppone essere l’alba o il crepuscolo, perla presenza del vapore acqueo che si leva dalla terra (v. 3: «tra il vapor leggero»).

Lavandare GIOVANNI PASCOLI

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98 Canone Occidentale - La poesia

In questa immagine descrittiva e realistica si insinua una nota di desolazione rappresenta-ta dall’«aratro… dimenticato» (vv. 2-3).Nella seconda terzina, invece, predominano le suggestioni sonore, a stimolare il sensodell’udito: il particolare sciacquio dell’acqua della gora e il canto delle «lavandare» intro-ducono indirettamente la presenza umana, percepita però solo in lontananza. Le donne sono al lavoro sulla sponda della «gora»: con ritmo ripetitivo e monotono(«cadenzato») lavano i panni nel canale («sciabordare delle lavandare», «con tonfi spes-si») e distraggono la fatica col canto malinconico («lunghe cantilene») riprodotto nei versiche seguono.

Infatti la quartina è tutta occupata dalla citazione (parafrasata) delle parole tratte da duecanti popolari marchigiani, di cui in uno si legge: «Tira lu viente, e nevega li frunna», enell’altro: «Quando ch’io mi partii dal mio paese, / povera bella mia, come rimase! / Comel’aratro in mezzo alla maggese». Il riferimento a questi due canti popolari è evidente. Anche il tono e il linguaggio utiliz-zati si allontanano dal resto della poesia, avvicinandosi a quelli dei canti popolari attraver-so due caratteristiche:

1) la struttura sintattica, che nella quartina si fa più semplice e lineare: la misura sintat-tica coincide con la misura ritmica dei versi (non ci sono enjambements);

2) l’adozione della rima imperfetta tra i vv. 7 e 9, legati non dalla rima tradizionale madall’assonanza: «frasca» / «rimasta».

Infine, l’uso della prima e della seconda persona singolare: «e tu non torni ancora… quan-do partisti, come son rimasta!», rende ancora più forte le differenze tra terzine e quartina. Il forte stacco tra la prima e la seconda parte del testo è dato dal fatto che le due terzinesono principalmente descrittive, mentre la quartina è come una sequenza in presa diretta,una registrazione del canto delle lavandaie senza nessun segnale introduttore. La quartina riprende elementi da entrambe le terzine: della prima riproduce l’immaginedell’aratro e quindi dell’abbandono, della solitudine; della seconda riporta il canto nostal-gico e pieno di dolore della donna che aspetta, forse invano, il ritorno del compagno.Chi parla, in questa seconda parte, è una donna, figura umana che entra prepotentementenella lirica. Quel senso estremo di solitudine e abbandono già intravisto nell’immaginedell’aratro immobile senza buoi (vv. 1-2) ritorna qui, in chiusura, inserito in un paragoneriferito alla donna (rimasta sola «come l’aratro in mezzo alla maggese», v. 10). La poesiaha quindi una struttura circolare, e quanto anticipato all’inizio trova verifica e confermanella parte finale del madrigale, a ribadire il tema di fondo del componimento: la condi-zione esistenziale dell’uomo di isolamento e abbandono.

Struttura fonica e elementi di retorica: la struttura fonica del componimento crea unnucleo di ritmo lento e identico in corrispondenza dei versi centrali (vv. 4-6), ben ritmatitra loro. Si osservi la disposizione degli accenti:

E cadenzàto dalla gòra viène lo sciabordàre dèlle lavandàrecon tonfi spèssi e lùnghe cantilène

Gli accenti così disposti rendono percepibile e concreto il senso delle cantilene cantate

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99Il metodo

dalle donne, ma anche la monotonia dell’occupazione di lavare i panni nel canale. La congiunzione «E» con la quale si apre la seconda terzina funge da attacco vocalico perl’avvio del ritmo e al tempo stesso, dal punto di vista contenutistico, si aggancia al nondetto, all’inespresso: introduce un’immagine apparentemente sganciata da quella prece-dente (prima terzina), che trova però piena giustificazione nei versi finali che insistonosulla condizione esistenziale dell’abbandono.Più delle rime, pure presenti e che in modo regolare percorrono tutto il componimento,risalta il gioco musicale delle riprese foniche, sia interne alla terzina centrale («sciaborda-re… lavandare») sia esterne: al v. 4 «cadenzato» rima con «dimenticato» del v. 3, collo-cato nella stessa posizione all’interno del verso.Numerose le parole onomatopeiche, riconducibili all’elemento naturale dell’acqua: «scia-bordare» che, grazie alla sibilante /s/ presente anche in «tonfi spessi» e nel successivo «(ilvento) soffia», ricorda il rumore frusciante dell’acqua. L’acqua è evocata anche dallaliquida /r/ che ritroviamo, oltre che in «sciabordare», anche in «gora» e «lavandare».

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100 Canone Occidentale - La poesia

A partire dall’inizio del Novecento comincia ad affermarsi la poesia composta in versiliberi, che diventerà la forma poetica dominante del nostro tempo.Il testo che riportiamo è stato pubblicato nel 2003.

Analisi di una poesia in versi liberi

Voler bene a una personadi Davide Rondoni

Voler bene a una personaè un lungo viaggio

rupi, cadute d’acqua e buiimprovvisi, dilatatiil chiuso di foreste, 5lampi a voltesul silenzio così vasto del mare

e strade sopraelevate, grida

viali immersi all’improvviso in una luce sconosciuta. 10

Voler bene a uno, a mille, a tuttiè come tener la mappa nel vento.Non ci si riesce ma il cuoreme l’hanno messo al centro del pettoper questo alto, meraviglioso fallimento. 15

Sugli altipiani di ogni notteeccomi con le ripetizioni e le mani rovesciate della poesia:non farli stare male, sono tuoi, non farli andare via(da Avrebbe amato chiunque)

Struttura metrica: pur essendo composta in versi liberi, questa poesia mantiene una sud-divisione in strofe, di varia lunghezza. Allo stesso modo anche i versi che la compongo-no variano notevolmente per lunghezza.Ciò che dà forma al verso non è più il numero di sillabe, né la disposizione degli accentisecondo schemi fissi, ma è il pensiero del poeta. Le pause non sono più pause metriche, definite dalla misura del verso, ma sono pause dipensiero.La lunghezza del verso e il pensiero che il verso esprime coincidono tra loro: il verso (e aun livello superiore le strofe) si “adatta” all’ampiezza del pensiero, ne assume i movimenti.Rime: in un testo composto da versi in rima, è evidente che la presenza della rima è unfatto regolare, che scandisce il ritmo.Al contrario in una poesia senza rime, laddove ne compaiono poche, esse acquistano unrilievo ancora maggiore. È il caso di questo testo, dove troviamo due versi legati tra loro

Voler bene a una persona DAVIDE RONDONI

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101Il metodo

dalla rima baciata. Sono gli ultimi due della poesia:

«...le mani rovesciate della poesia: / non farli stare male, sono tuoi, non farli andare via».

Nessun verso è frapposto ai due che rimano, cosicché essi risultano vicinissimi, e la pre-senza di questa rima risulta sottolineata ancor più potentemente. Essa pone un accento par-ticolare sulla seconda parte dell’ultimo verso, chiusura ideale dell’intera poesia: «non farliandare via».Anche i vv. 12 e 15 rimano tra loro: «vento» e fallimento», da avvicinare, per assonanzae struttura fonica, al v. 14: «petto».

Argomento: l’oggetto di questa poesia è l’esperienza del voler bene. I primi due versi,raccolti in un’unica strofa, dichiarano subito il tema trattato nei versi successivi e sembra-no posti come titolo del testo. L’affermazione che contengono è forte, non lascia spazio aldubbio, non cerca possibili interpretazioni: «Voler bene a una persona / è un lungo viag-gio». L’esperienza del voler bene, dunque, è immediatamente accostata all’immagine del viag-gio, che è la figura predominante del testo:

v. 2: «viaggio»; v. 8: «strade sopraelevate»; v. 9: «viali»; v. 12: «mappa», e una lunga seriedi paesaggi naturali che si possono incontrare viaggiando: v. 3: «rupi»; v. 5: «foreste»; v.7: la vastità del «mare»; v. 16: «altipiani».

Il viaggio di cui il poeta parla è un percorso avventuroso, in parte sconosciuto nelle suetappe e pieno di imprevisti. Questa incertezza significa che in un rapporto affettivo, diqualsiasi natura esso sia, ci sono momenti difficili, in cui prevale la fatica («bui», «il chiu-so di foreste» come qualcosa di impenetrabile): questi momenti sono descritti nella secon-da strofa, in cui tutto è portato verso il basso («cadute», «rupi»).Ma nell’esperienza dell’amore ci sono anche momenti felici: il v. 8, isolato dagli altri,riporta verso l’alto («strade sopraelevate»), e nei vv. 9-10 il buio del v. 3 lascia il posto a«una luce sconosciuta».Il voler bene, nella sua complessità, è fatto di sorprese continue: è l’esperienza di qualco-sa di misterioso e sconosciuto, ultimamente inafferrabile, con cui si ha a che fare («bui /improvvisi», «lampi a volte», «viali immersi all’improvviso / in una luce sconosciuta»). Ma se queste sono la fatica e la bellezza del voler bene a una persona, come si fa a volerbene «a mille, a tutti»? Perché è a questo che il poeta si sente chiamato. Ed è costretto,subito, a riconoscere che la realizzazione di questo desiderio non è nelle capacità umane.Si tratta di un’impresa impossibile: ma anche se «non ci si riesce», anche se in questaesperienza si fallisce, si tratta di un «alto, meraviglioso fallimento».L’unica cosa che resta da fare, nei confronti dei «mille» e dei «tutti», è affidarli: affidarlia chi può tenerli e «non farli stare male, ... non farli andare via», raccogliendoli nella pre-ghiera finale su cui si chiude questa poesia (le «mani rovesciate» del v. 17 indicano pro-prio un atteggiamento di preghiera e di mendicanza).

Struttura fonica e lessicale: nel v. 3, che inaugura la strofa in cui sono descritti i momen-ti più difficili dell’esperienza affettiva, il poeta insiste sul fonema /u/, che ha un suonocupo, chiuso: «rupi, cadute d’acqua e bui», che ritorna anche nel v. 5: «chiuso di foreste».In questo caso, la struttura fonica delle parole collabora a potenziare il loro significato.I vv. 3 e 4, accostati tra loro, risaltano fortemente; nel v. 3 le parole sono molto brevi, comese fossero i salti diseguali di una cascata di montagna: «rupi, cadute d’acqua e bui». Ad

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102 Canone Occidentale - La poesia

esse si contrappongono le due parole che formano il verso successivo: «improvvisi, dila-tati», che rallentano bruscamente il ritmo.Ritroviamo lo stesso procedimento nei vv. 11-15, dove è descritto il tentativo del cuore divoler bene a tutti. I vv. 11, 12, 13, 14 e la prima parte del v. 15 sono costituiti da parole non più lunghe didue sillabe: «Voler bene a uno, a mille, a tutti / è come tener la mappa nel vento. / Non cisi riesce ma il cuore / me l’hanno messo al centro del petto / per questo alto...», fino adarrivare a «meraviglioso fallimento»: due parole di quattro e cinque sillabe, che fungonoda “freno”, segnano il traguardo e l’arrivo del tentativo di «voler bene... a tutti», di que-sta nobile ma impossibile impresa a cui il cuore dell’uomo è chiamato.

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103Il metodo

11.1. Ambiguità e persuasione

“Bere” e “fumare” sono due verbi che normalmente si riferiscono a soggetti animati.Per questo motivo, la frase:

Marco non beve e non fuma

non presenta nessun problema ed è di interpretazione immediata.Ma leggiamo il seguente slogan pubblicitario:

Non beve e non fuma.Un diesel davvero sportivo

L’accostamento delle due frasi risulta insolito e ambiguo: c’è un uso della lingua che cat-tura immediatamente la nostra attenzione. Ciò avviene perché i verbi “bere” e “fumare”,contrariamente a quanto succede di solito, sono riferiti a un oggetto inanimato (il motoredi una macchina) e assumono un significato diverso da quello consueto: indicano un’au-tomobile il cui motore non consuma troppo («non beve») e inquina meno di altri («nonfuma»).

Lo scopo della pubblicità è persuadere e convincere. Il primo modo che essa ha per rea-lizzare il suo scopo è l’utilizzo delle figure retoriche.

La retorica è l’arte e la tecnica del discorso persuasivo, ovvero l’insieme degli elementiche servono per convincere un interlocutore in un dialogo, o il lettore di un testo.

Un po’ di storia: per tradizione, la retorica nasce nel V secolo a.C. in campo giuridico.All’interno di una lunga serie di processi per l’attribuzione di terreni, Corace e Tisia, con-siderati i fondatori della retorica, studiarono tutti i mezzi e le tecniche possibili per dimo-strare la verosimiglianza di una tesi, convinti che il sembrare vero contasse più dell’esse-re vero. Nel frattempo, un’altra forma di retorica si andava affermando: essa cercava di raggiun-gere lo scopo di convincere non provando a dimostrare che un certo argomento fosse vero-simile, ma sfruttando il fascino che una parola sapientemente manipolata era in grado diesercitare sugli ascoltatori, puntando cioè sulla loro reazione emotiva più che sul consen-so razionale.

La forza della parola: da allora, furono molti coloro che proposero e studiarono una seriedi accorgimenti che, se ben utilizzati in un discorso o in un testo, avrebbero potuto meglio“persuadere” e convincere gli ascoltatori o i lettori. Per ottenere questo, si faceva (e si faancora) leva sui sentimenti degli ascoltatori o dei lettori, oppure si cercava di convincerlitramite dimostrazioni. Dietro le attuali definizioni delle “figure retoriche” ci sono secoli di studi, ricerche,discussioni e vere e proprie diatribe tra singoli retori e le scuole di retorica, che vennero

11. Retorica

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istituite proprio per l’importanza di tale disciplina.Vediamo un brano tratto dall’Elogio di Elena, un’orazione composta da Gorgia, allievo diTisia, in difesa della donna che, secondo la tradizione, scatenò la guerra di Troia:

Esporrò le cause per le quali era naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia. Infatti,ella fece quel che fece o per meditata decisione degli dei; oppure perché rapita con forza; operché convinta con parole.Se è per il primo motivo, è giusto che s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divinanon si può con previdenza umana impedire. La Divinità supera l’uomo e in forza e in sag-gezza e nel resto. Se dunque alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va dall’infamia libe-rata.Se con forza fu rapita, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la colpa, inquanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subì una sventura. Merita dunque,colui che intraprese da barbaro una barbara impresa, d’esser colpito e verbalmente, e legal-mente, e praticamente. Ma colei che fu violata, e della patria privata, e dei suoi cari orbata,come non dovrebbe esser piuttosto compianta che diffamata?Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderla, neppure questo è difficile a scusarsi e a giu-stificarsi così: la parola è un gran dominatore, che divinissime cose sa compiere; riesceinfatti a calmare la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar lapietà. Qual motivo ora impedisce di credere che Elena sia stata trascinata da lusinghe diparole e così poco di sua volontà? Infatti un discorso che abbia persuaso una mente, costrin-ge la mente e a credere nei detti, e a consentire nei fatti.

La retorica e noi: oggi la retorica è ancora molto diffusa; anzi, lo è talmente che quasinon ci accorgiamo della sua presenza. Non è solo la pubblicità a farne un largo uso; anche noi, quotidianamente, ricorriamoall’arte della retorica.Ad esempio, tutte le volte che raccontiamo un fatto. Supponiamo di dover riferire agliamici di aver pescato un grosso pesce, o di aver percorso a piedi un lungo tragitto, o diaver aspettato a lungo per entrare a una mostra. Ebbene, di sicuro, nel nostro racconto, ilpesce diventerà più grande e più pesante di quanto non fosse stato in realtà; così come lastrada percorsa risulterà più lunga di quanto non sia stata; allo stesso modo, la fila perentrare nella mostra affollata avrà assunto dimensioni record. Sì, abbiamo esagerato. Maperché? Per poter meglio catturare l’attenzione dei nostri ascoltatori, e per il piacere disuscitare in loro meraviglia e stupore. Senza saperlo, abbiamo utilizzato la figura retoricadell’iperbole, che consiste nell’esagerare o ridurre, oltre i limiti normali, la qualità diuna persona, di un animale, di una cosa o di un’idea.Da quanto detto si capisce che la retorica non è qualcosa da relegare nei secoli passati:anche oggi è il modo di organizzare qualsiasi testo e qualsiasi discorso. Per questo è utilestudiarla: per comprendere e imparare ad usare meglio la lingua che parliamo e le suepotenzialità.

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105Il metodo

12.1. Metafora

La metafora è di gran lunga la più importante delle figure retoriche, molte delle quali sonotipi particolari di metafora.Il procedimento su cui essa si basa è un trasferimento:

I leoni sono coraggiosi

metafora: Pietro è un leone

Dal paragone di queste due frasi si ricava che un enunciato metaforico è il risultato del tra-sferimento di una proprietà generica (il coraggio) dal suo soggetto abituale (i leoni) ad unnuovo soggetto (Pietro).

■ Significato letterale e significato metaforicoLa prima delle due frasi riportate ha un significato letterale, mentre la seconda ha unsignificato metaforico. Anche se ci sono notevoli differenze tra l’uno e l’altro, è possibile che si verifichi unasorta di scambio tra loro. Tanto è vero che ci sono espressioni linguistiche, dette metafo-re morte, che in origine nascevano come metafore; poi però, col tempo, hanno dato luogoa significati letterali:

le gambe del tavolo

il collo della bottiglia metafore morte

le onde sonore

sono metafore più o meno antiche che oggi non sono più avvertite come tali, perché in loroha prevalso, col tempo, il significato letterale (il nome di queste metafore morte in retori-ca è catacresi).

■ Il contesto in cui si esprime la metafora Il significato della metafora è il risultato di una interrelazione tra due elementi:

Lucia procedeva a tentoni nell’interrogazione

“Lucia” e l’“interrogazione” mantengono il loro significato letterale e costituiscono unacornice entro cui interpretare metaforicamente l’espressione “procedeva a tentoni”. Il con-testo che offre la cornice è indispensabile per comprendere se un enunciato sia metafori-co o no.

Il ragazzo bendato procedeva a tentoni cercando i suoi amici

In questa frase, invece, non c’è più un significato metaforico, perché il contesto (un giocodi gruppo) permette di stabilire che “procedeva a tentoni” ha un significato letterale.Dunque la metafora è un meccanismo sintattico, ed è il risultato del contrasto tra due ele-

12. Le principali figure retoriche

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menti linguistici legati sintatticamente tra loro. Per questo motivo il contesto in cui essa siesprime è molto importante. Naturalmente, ci sono alcune espressioni tipicamente metaforiche per le quali non serveconoscere il contesto in cui si esprimono: ad esempio, la crema della società.

■ Metafora e linguaggio

La nave solcava il mare

Se provo a esprimere il significato di questa frase senza utilizzare un’espressione metafo-rica, il risultato potrebbe essere questo:

La nave avanzava nel mare creando un movimento dell’acqua simile a quello che l’aratrocrea avanzando nella terra

Oltre ad essere molto improbabile che qualcuno si esprima in modo così prolisso e con-torto, questa parafrasi è alquanto inadeguata ad esprimere con la stessa forza il significa-to della metafora “la nave solcava il mare”: breve, efficace e perentoria.L’esempio serve per comprendere quanto la metafora sia intimamente legata al linguaggiod’uso comune e come sia utile ed efficace. Ma soprattutto, indica una delle sue principalicaratteristiche, che consiste nel venire in soccorso al linguaggio, per nominare e comuni-care oggetti di difficile denominazione, e per trasmettere, anche con espressioni sintetiche,significati assai complessi attraverso una forma efficace. La metafora è un procedimento attraverso cui la lingua si arricchisce continuamente dinuove espressioni e nuove sfumature; è una figura retorica strettamente legata allacreatività della lingua. Non è un fenomeno nuovo o speciale, ma è connaturato alla lin-gua stessa.

■ Tipi di metaforaI modi per realizzare una metafora sono tanti, e ognuno di essi conferisce alla metaforauna particolare caratteristica. Le differenze tra le forme di metafora dipendono dal tipogrammaticale di parola usata. Vediamone alcuni esempi:

metafora di nome il the è l’oro della Cina

metafora nome + aggettivo un sorriso luminoso

metafora di verbo brillava per la sua disinvoltura

Oltre a questi tipi, le metafore possono essere realizzate attraverso combinazioni di paro-le. La più comune è quella con il genitivo (complemento di specificazione):

metafora di genitivo la tempesta del cuore

■ La metafora in poesiaLa metafora ha trovato nella poesia un posto d’onore principalmente per due motivi: ilprimo è la sua capacità di sintesi.Il linguaggio della poesia è sintetico, “rapido”. Dato che la metafora è una figura retorica chenasconde i legami espliciti a favore di una sintesi espressiva, essa si adatta benissimo allapoesia, in cui la lingua si comunica attraverso una concentrazione lessicale e semantica.

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107Il metodo

L’altro motivo è che attraverso la metafora (ma anche attraverso altre figure retoriche) siindica un significato che, rispetto a quello letterale, è più ricco, complesso e maggiormen-te evocativo. Parlando di “tempesta del cuore”, si avranno presenti contemporaneamente due significati,con tutte le loro sfumature: quello di un cuore agitato dalle passioni e dai sentimenti, maanche quello di una tempesta. La compresenza di più significati ha a che fare con la conno-tazione, che si è detto essere una delle principali caratteristiche del linguaggio della poesia.

Esempi di metafora in poesia:

… e prego anch’io nel tuo porto quïete. (morte) (Foscolo, In morte del fratello Giovanni)

Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi in così verde etate! Ahi, per la via… (gioventù) (Leopardi, La sera del dì di festa)

…tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, (in disgrazia) due volte sull’altar. (in trionfo) (Manzoni, Il Cinque Maggio)

La metafora oggi: questa figura retorica si usa continuamente, anche nel linguaggiocomune. Ancor oggi, infatti, è una delle figure retoriche più produttive: essere un pozzo discienza; essere connessi (con riferimento a Internet); divorare l’asfalto; costa un occhiodella testa; avere un cuore d’oro; essere una roccia.

Trascrivete a fianco del testo che cosa rappresentano le metafore in corsivo:

Tu fior de la mia pianta ( figlio ) ( _______ ) percossa e inaridita, tu de l’inutil vita estremo unico fior,… (Carducci, Pianto antico)

Si devono aprire le stelle ( ____________________ ) nel cielo sì tenero e vivo. (Pascoli, La mia sera)

Non ho vogliadi tuffarmiin un gomitolo ( ____________________ )di strade(Ungaretti, Natale)

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Laboratorio

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12.2. Allegoria

Spesso la metafora non riguarda una singola parola, ma anche intere frasi. L’uso continua-to della metafora è detto allegoria.Quintiliano definisce l’allegoria come l’indicare una cosa con le parole e un’altra con leidee sottintese. L’allegoria è il risultato di una serie ininterrotta di metafore, dunque una “metafora con-tinuata” o “prolungata”, un ampliamento di essa.Leggiamo alcuni versi del poeta latino Orazio:

O nave, ti rigetteranno in mare nuoviflutti: o che fai? saldamente tienitistretta al porto

Per nave il poeta intende la repubblica, per flutti le guerre civili e per porto la pace e laconcordia.

Il seguente esempio di allegoria è tratto dall’Orlando furioso di Ariosto. Nella strofa cheriportiamo, il tema metaforico nautico viene ripreso in quasi tutti i versi:

Or, se mi mostra la mia carta il vero,non è lontano a discoprirsi il porto;sì che nel lito i voti scioglier speroa chi nel mar per tanta via m’ha scorto;ove, o di non tornar col legno intero,o d’errar sempre, ebbi già il viso smorto.Ma mi par di veder, ma veggo certo,veggo la terra, e veggo il lido aperto.

Spesso il riconoscimento dell’allegoria è agevolato dalla presenza di strutture del tipocome... così, o quali...:

E come i gru van cantando lor lai... così vidi venir...(Dante, Inferno V)

Non sempre, però, sono presenti nel testo termini che introducono l’allegoria. A volte, percoglierne la presenza, occorre procedere nella lettura del testo, come nel caso della poesiadi Pascoli X agosto:

Ritornava una rondine al tettol’uccisero: cadde tra spini:ella aveva nel becco un insetto la cena de’ suoi rondinini.

Quella che sembra la descrizione della morte di una rondine, nello sviluppo dei versi appa-re accostata alla tragica morte del padre di Pascoli, trovato senza vita sulla via del ritornoa casa, con accanto i doni che stava portando ai figli. Non esistono limiti quantitativi all’allegoria: ci sono intere poesie, a volte interi poemiche sono costituiti dallo sviluppo di una metafora.

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12.3. Similitudine

Nella destra scotea la spaventosa peliaca trave; come viva fiamma, o come disco di nascente Solebalenava il suo scudo… (Omero, Iliade Libro XXII, nella traduzione di V. Monti)

In questi versi, lo scudo del guerriero viene paragonato a una fiamma viva, che si muove(forse per i bagliori che quest’arma di difesa emana), e al sole dell’alba.La similitudine consiste nel paragonare persone, animali, cose, sentimenti per associa-zione di idee; è introdotta da come, sembra, pare, è simile, somiglia, ecc.

Mentre la metafora è un paragone aperto, dinamico, che fonde e rende compresenti i dueelementi che la compongono, la similitudine è un paragone statico, che non prevede piùdi una soluzione (il “come” stabilisce un’unica direzione di interpretazione della similitu-dine, cosa che non avviene con la metafora).Altri esempi di similitudine:

Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane: mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto dell’infanzia vissuta tra queste colline, tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi tutti i cieli lontani di quei mattini remoti. (Pavese, Incontro)

Ed io pensavo: Di tante parvenzeche s’ammirano al mondo, io ben so a qualiposso la mia bambina assomigliare. Certo alla schiuma, alla marina schiuma…(Saba, Ritratto della mia bambina)

La similitudine oggi: essere forte come un leone; essere debole come una formica; ver-gognarsi come un ladro; correre come il vento.

Riconoscete le figure retoriche dei versi seguenti. Sono metafore o similitudini?Trascrivete poi il loro significato.

SIGNIFICATO

Gli venne dunque incontro con la nutrice che aveva in braccio il bambino, il figlio amato di Ettore, simile a chiara stella. __________ __________(Omero, Iliade Libro VI, nella traduzione di S. Quasimodo)

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Sono i tuoi puri occhidue miracolose corolle __________ __________sbocciate a lavarmi lo sguardo.(Antonia Pozzi, Notturno invernale)

Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,fulmini nel ferir le spade sono. __________ __________(Tasso, Gerusalemme liberata)

Come d’autunno si levan le foglie[...]similmente il mal seme d’Adamo... __________ __________(Dante, Inferno III)

Tu sei come una giovane, __________ __________bianca pollastra.(Saba, A mia moglie)

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Le figure retoriche che ora vedremo (sinestesia, metonimia e sineddoche) possono consi-derarsi tipi particolari di metafora.

12.4. Sinestesia

Or ch’a i silenzi di cerulea seratra fresco mormorio d’alberi e fioriella siede,...(Carducci, Visione)

L’espressione fresco mormorio crea un’immagine associando due termini che apparten-gono a sfere sensoriali diverse, quella tattile (fresco) e quella uditiva (mormorio): questaè la sinestesia.

Dormi! bisbigliano, Dormi!là, voci di tenebra azzurra… sfera uditiva (voci) + sfera visiva (tenebra azzurra)(Pascoli, La mia sera)

Per la fresca finestrascorre amaro un sentore di foglie. sfera gustativa (amaro) + sfera uditiva (sentore)(Pavese, Ulisse)

Sepolto nella bruma il mare odora. sfera visiva (bruma) + sfera olfattiva (odora)(Cardarelli, Sera di Liguria)

La sinestesia oggi: è molto usata nella pubblicità, dove la sinestesia più famosa e più abu-sata è il gusto morbido attribuito a famosi alcolici, a formaggi ecc. Altre sinestesie ricor-renti: colori a tinte calde/fredde (sfera visiva + sfera tattile); musica dolce (sfera uditiva +sfera gustativa); suono vellutato (sfera uditiva + sfera tattile).

Completate le sinestesie, segnalando quali sensi sono coinvolti e attraverso qualiparole:

Ma per le vie del borgodal ribollir de’ tiniva l’aspro odor de i vini sfera ______ (aspro) + sfera ______ ( _____ )l’anime a rallegrar.(Carducci, San Martino)

E del grave occhio glauco entro l’austeradolcezza si rispecchia ampio e quietoil divino del pian silenzio verde. sfera ______ ( ____ ) + sfera ______ ( ____ )(Carducci, Il bove)

Dai calici aperti si esalal’odore di fragole rosse. sfera ______ ( ____ ) + sfera ______ ( ____ )(Pascoli, Il gelsomino)

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12.5. Metonimia

… porgea gli orecchi al suon della tua voce,ed alla man veloceche percorrea la faticosa tela.(Leopardi, A Silvia)

In questo esempio, la faticosa tela sta per “faticoso lavoro”: dunque il poeta usa un termi-ne concreto (tela) per indicare l’astratto (lavoro).La metonimia consiste nella sostituzione di un termine con un altro, che possono averetra di loro uno dei seguenti rapporti:

- la causa per l’effetto / l’effetto per la causa;- la materia per l’oggetto;- il contenente per il contenuto;- lo strumento al posto della persona;- l’astratto per il concreto / il concreto per l’astratto;- il simbolo per la cosa simbolizzata.

Esempi:

… s’accendon le finestre ad una ad una (le finestre sono la causa per come tanti teatri. illuminate) l’effetto(Cardarelli, Sera di Liguria)

assursero in fretta dai blandi riposi,chiamati repente da squillo guerrier. (tromba) l’effetto per la (Manzoni, Adelchi, atto terzo, coro) causa

Lingua mortal non dice (un uomo) lo strumento al quel ch’io sentiva in seno. posto della persona(Leopardi, A Silvia)

… e intanto volail caro tempo giovanil; più caroche la fama e l’allor,… (gloria poetica) il simbolo per la cosa (Leopardi, Le ricordanze) simbolizzata

La metonimia oggi: leggere Tolkien (l’autore per l’opera); bere un Martini (il produttoreper il prodotto); bere un bicchiere (il contenente per il contenuto); andare in San Pietro (ilpatrono per la chiesa); non ha cuore (il fisico per il morale); avere molte amicizie (l’astrat-to per il concreto). Tante le metonimie del simbolo per la cosa simboleggiata: armi per“guerra”, e delle divise per designare chi le indossa: bianconeri per “giocatori dellaJuventus”. Da aggiungere le denominazioni delle sedi per le istituzioni o gli organi digoverno: il Vaticano, Palazzo Chigi, la Casa Bianca.

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Completate le seguenti metonimie, segnalando il tipo di sostituzione:

Mentre Rinaldo così parla, fendecon tanta fretta il suttil legno l’onde, (barca) _________________(Ariosto, Orlando furioso, canto XLIII)

ma per le vie del borgodal ribollir de’ tini (dal mosto che bolle nei tini) _________________va l’aspro odor de i vinil’anime a rallegrar.(G. Carducci, San Martino)

Tutta vestita a festala gioventù del loco (i giovani) _________________lascia le case, e per le vie si spande;(G. Leopardi, Il passero solitario)

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12.6. Sineddoche

E quando la fatal prora d’Eneaper tanto mar la foce tua cercò,…(Carducci, Agli amici della Valle Tiberina)

Qui Carducci indica la nave, nominandone solo una parte: la prora.

Come la metonimia, la sineddoche è una figura di sostituzione. Ma a differenza dellametonimia, il rapporto che sta alla base della sineddoche è esclusivamente di quantità.Si ha una metonimia quando si usa:

- la parte per il tutto / il tutto per la parte;- il genere per la specie / la specie per il genere;- il singolare per il plurale / il plurale per il singolare.

Esempi:

…E quando ti corteggian lietele nubi estive e i zeffiri sereni,… (i venti) la specie per il genere(Foscolo, Alla sera)

… onde non tacquele tue limpide nubi e le tue frondel’inclito verso di colui che l’acque… (versi) il singolare per il plurale(Foscolo, A Zacinto)

La sineddoche oggi: i senza-tetto (per “casa”, la parte per il tutto); “dacci oggi il nostropane quotidiano” (per “cibo”, la specie per il genere); lo straniero per “gli stranieri” (ilsingolare per il plurale).

Completate la relazione su cui si basa la sineddoche:

Sotto l’ali dormono i nidi, (gli uccellini) ________________come gli occhi sotto le ciglia.(Pascoli, Il gelsomino notturno)

O sacrosante Vergini, se fami, (fame) _________________freddi o vigilie mai per voi soffersi, ( _____ ) _________________cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.(Dante, Purgatorio XXIX)

- O animal grazioso e benigno (persona) _________________che visitando vai per l’aer personoi che tignemmo il mondo di sanguigno:…(Dante, Inferno XXIX)

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12.7. Altre figure retoriche

■ PERIFRASI o CIRCONLOCUZIONE

e quella parte onde prima è presonostro alimento, a l’un di lor trafisse(Dante, Inferno XXV)

Dante utilizza un verso e mezzo per indicare una parte del corpo umano, l’ombelico. La perifrasi è “un giro di parole” che sostituisce un unico termine definendolo o para-frasandolo.

Esempi:

in corso velocissimo se ’n vannolà ’ve Cristo soffrì mortale affanno. (Gerusalemme)(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I)

l’amor che move il sole e l’altre stelle (Dio)(Dante, Paradiso XXXIII)

Ma lasciamolo andar dove lo mandail nudo arcier che l’ha nel cor ferito. (l’amore)(Ariosto, Orlando furioso, canto CIX)

La perifrasi oggi: viene usata per nobilitare alcuni lavori un tempo disprezzati: così con“operatore ecologico” si indica il netturbino (o quello che si chiamava “spazzino”).Ricorre spesso nelle formule burocratiche: “Le esprimo i sensi della più profonda gratitu-dine” significa un semplice “grazie”.

Indicate l’oggetto della perifrasi segnalata in corsivo:

Giova guarire? Giova che si viva?O meglio giova l’Ospite furtiva ( _____ ) che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio?(Gozzano, La signorina Felicita)

Questo che a notte baluginanella calotta del mio pensiero... ( _____ )(Montale, Piccolo testamento)

... nuichiniam la fronte al MassimoFattor, che volle in lui... ( _____ )(Manzoni, Il Cinque Maggio)

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Laboratorio

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116 Canone Occidentale - La poesia

■ IPERBOLE

- O frati, - dissi, - che per centomilaperigli siete giunti all’occidente(Dante, Inferno XXVI)

In questi versi danteschi è riportato il discorso con cui Ulisse convinse i suoi compagni aun’impresa mai tentata prima. Per meglio persuaderli egli utilizza l’iperbole centomilaperigli, dove il numero di centomila non è da interpretarsi letteralmente, ma sta ad indi-care un numero elevatissimo.L’iperbole consiste nell’esagerare o ridurre, oltre i limiti normali, la qualità di una per-sona, di un animale, di una cosa o di un’idea.

Esempi:

Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.(Tasso, Gerusalemme liberata, canto XII)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scalee ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.(Montale, Satura, Xenia II)

Come sei più lontana della luna,ora che sale il giornoe sulle pietre batte il piede dei cavalli!(Quasimodo, Ora che sale il giorno)

L’iperbole oggi: mi piace da morire; scrivimi due righe; non ha un briciolo di cervello(con metonimia “cervello”: il concreto per l’astratto); essere accecato dalla rabbia; nonvedere al di là del proprio naso; bere un goccio d’acqua.

■ CLIMAX

O mia stella, o fortuna, o fato, o morte,o per me sempre dolce giorno e crudo, ...(Petrarca, Canzoniere CCXCVIII)

Il poeta crea una gradazione tra diversi concetti di destino: dal più immediato e “umano”(stella: “avere una buona stella”, ecc.) a quelli più divini (fortuna, fato) e fatali (morte).La climax consiste nell’ordinare i concetti in modo che dall’uno si passi all’altro comeper gradi.

Quando Orion dal cielodeclinando imperversa;e pioggia e nevi e gelosopra la terra ottenebrata versa, [...](Parini, La caduta)

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117Il metodo

In questi versi si passa dal concetto più “piccolo” al più “grande”: gelo è più di neve,che a sua volta è più di pioggia.

Altri esempi:

Vecchierel bianco, infermo,mezzo vestito e scalzo,con gravissimo fascio in su le spalle,per montagna e per valle,per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,al vento, alla tempesta, e quando avvampal’ora, e quando poi gela,corre via, corre, anela,varca torrenti e stagni,cade, risorge, e più e più s’affretta,senza posa o ristoro,lacero, sanguinoso, [...](Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia)

Non cala il ferro mai, ch’a pien non colga,né coglie a pien, che piaga anco non faccia,né piaga fa, che l’alma altrui non tolga;(Tasso, Gerusalemme liberata, canto IX)

Già il mostro, conscio di sua metallicaanima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammeiocchi sbarra; ...(Carducci, Alla stazione in una mattina d’autunno)

Palpita, sale,si gonfia, s’incurva,s’alluma, propende.(D’Annunzio, L’onda)

■ ANAFORA

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;s’i’ fosse vento, lo tempesterei;s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo; ...(Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco)

L’anafora consiste nella ripetizione di una o più parola all’inizio di due o più versi.

Esempi:

Per me si va ne la città dolente,per me si va ne l’etterno dolore,

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118 Canone Occidentale - La poesia

per me si va tra la perduta gente.(Dante, Inferno III)

Figlio, l’alma t’è ’scita,figlio de la smarrita,

figlio de la sparita,figlio attossecato(Jacopone da Todi, Laude)

■ ANTITESI

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.(E. Montale, Satura, Xenia II)

In questi versi il viaggio (metafora della vita del poeta) è descritto con gli aggettivi brevee lungo.L’antitesi consiste nella contrapposizione di idee espressa mettendo in corrispondenzaparole di significato opposto.Su questa figura retorica alcuni autori costruiscono intere poesie, come l’esempio seguen-te tratto dal Canzoniere di Petrarca:

Pace non trovo, et non ò da far guerra;e temo et spero; et ardo, et son un ghiaccio;et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra(Petrarca, Canzoniere CXXXIV)

o come in questo di Dante, dove ci sono tre antitesi consecutive:

- Vergine Madre, figlia del tuo figlio,umile e alta più che creatura(Dante, Paradiso XXXIII)

■ OSSIMORO

Sentia nell’inno la dolcezza amarade’ canti uditi da fanciullo; ...(Giusti, Sant’Ambrogio)

L’espressione dolcezza amara è ottenuta mediante l’accostamento di due parole che indi-cano l’una il contrario dell’altra.L’ossimoro è una figura retorica simile all’antitesi, e consiste nel giustapporre due ter-mini di significato opposto, da cui risultano binomi che solitamente sono composti da:

- sostantivo + aggettivo:

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119Il metodo

Figure di Neumi elle sonoin questa concordia discorde.(D’Annunzio, Undulna)

- verbo + sostantivo:

Cessate d’uccidere i morti(Ungaretti, Non gridate più)

- aggettivo + avverbio:

Ma il fanciullo Rinaldo e sovra questie sovra quanti in mostra eran condutti,dolcemente feroce alzar vedrestila regal fronte, e in lui mirar sol tutti.(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I)

■ CHIASMO

Immota e come attonita ste’ alquanto;poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.(Ariosto, Orlando furioso, canto VIII)

Potremmo schematizzare le parti di verso segnalate in corsivo e sottolineate con AB BA,dove A sta per i termini astratti (duol, pianto) e B per quelli concreti (la lingua, gli occhi),oppure attraverso una croce:

duol la lingua

gli occhi al pianto

Il chiasmo consiste nel disporre in modo incrociato, secondo la forma della lettera grecaχ (chi), due termini o due frasi.I tipi di chiasmo sono essenzialmente due:

- quando le espressioni che lo compongono si corrispondono per la struttura grammatica-le:

Quell’uno e due e tre che sempre vivee regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, ...(Dante, Paradiso XIV)

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120 Canone Occidentale - La poesia

Fuggì tutta la notte e tutto il giornoerrò senza consiglio e senza guida,non udendo o vedendo altro d’intorno,che le lagrime sue, che le sue strida.(Tasso, Gerusalemme liberata, canto VII)

- quando la corrispondenza avviene per significato:

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,le cortesie, l’audaci imprese io canto(Ariosto, Orlando furioso, canto I)

ingiusto fece me contra me giusto(Dante, Inferno XIII)

Il chiasmo oggi: un chiasmo pubblicitario è Profumo Antico Nuovo Pulito.

■ PERSONIFICAZIONE

Febbraio è sbarazzino.…Questo mese è un ragazzo fastidioso, irritante,che mette a soqquadro la casa, …(Cardarelli, Febbraio)

In questa poesia il mese di febbraio è visto come un ragazzo, e il poeta gli attribuisce untipo di comportamento giovanile: fastidioso, irritante.Come suggerisce il nome, la personificazione consiste nell’attribuire a cose e ad ani-mali azioni o sentimenti umani: ovvero nel renderli “persone” attraverso le caratteristi-che loro attribuite.Ad esempio, nell’Iliade vediamo cavalli che piangono:

D’Achille i cavalli intanto, vedutoil loro auriga dalla lancia di Ettorenella polvere abbattuto, lontanodalla battaglia erano là piangenti.(Omero, Iliade Libro XVII, traduzione di Lorenzo De Ninis)

Altri esempi:

… e da le aurate voltea lei impietosita eco rispose…(Parini, Il giorno)

Là, presso le allegre ranelle,singhiozza monotono un rivo.

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121Il metodo

(Pascoli, La mia sera)

Da un pezzo si tacquero i gridi:là sola una casa bisbiglia.(Pascoli, Il gelsomino notturno)

È giù nelcortilela povera fontana malata,che spasimosentirla tossire!Tossisce,tossisce,un poco si tace,di nuovotossisce.Mia poverafontana,il male che àiil coremi preme.(Palazzeschi, La fontana malata)

Vanno a sera a dormire dietro i montile nuvolette stanche.(Saba, Favoletta)

■ ALLITTERAZIONE

e caddi come corpo morto cade.(Dante, Inferno V)

In questo verso dantesco, due sono i suoni ripetuti con grande insistenza: /c/ e /o/.L’allitterazione consiste nel ripetere le stesse lettere (vocale, consonante o sillaba) all’i-nizio, ma anche all’interno di due o più parole successive legate dal senso. Per estensione, consiste nella ripetizione di suoni in qualsiasi posizione, vicini tra loroquanto basta per essere avvertiti facilmente nella loro sequenza.

tra fresco mormorio d’alberi e fiori(Carducci, Visione)

Lenta e rosata sale su dal marela sera di Liguria,…(Cardarelli, Sera di Liguria)

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122 Canone Occidentale - La poesia

Viene il freddo. Giri per dirlotu, sgricciolo, intorno le siepi;e sentire fai nel tuo zirlolo strido di gelo che crepi.(Pascoli, L’uccellino del freddo)

Col maremi sono fattouna baradi freschezza.(Ungaretti, Universo)

Di tutto quel cupo tumulto,di tutta quell’aspra bufera,non resta che un dolce singultonell’umida sera.(Pascoli, La mia sera)

■ ONOMATOPEA

Sciacqua, sciaborda,scroscia, schiocca, schianta,romba, ride, canta,…(D’Annunzio, L’onda)

In questi versi, attraverso un’accurata scelta e un accostamento efficace dei vocaboli, ilpoeta riesce a riprodurre il rumore dell’acqua.L’onomatopea consiste nella composizione di parole che cercano di imitare e riprodur-re un suono, un rumore o la voce degli animali.

Esempi:

A tutte l’ore gettate all’aria,chi di tra i solchi, chi di sui rami,la vostra voce stridula e varia,chi, che ripeta, chi, che richiami.(Pascoli, Primo canto)

Le vele le vele le veleche schioccano e frustano al vento(Campana, Barche amarrate)

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123Il metodo

ESEMPIO DI ANALISI RETORICA

L’analisi retorica di un testo poetico può sembrare un esercizio arido, e in parte lo è.Tuttavia ci fa “entrare” nel testo, di cui ci rivela alcuni meccanismi base. Insomma cirende lettori più consapevoli.

Prendiamo un’ottava della Gerusalemme liberata del Tasso e proviamo a rintracciare tuttele figure retoriche.

Vinta da l’ira è la ragione e l’artee le forze il furor ministra e cresce.Sempre che scende il ferro o fora o parteo piastra o maglia, e colpo in van non esce.Sparsa è d’arme la terra e l’arme spartedi sangue, e ’l sangue co ’l sudor si mesce.Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,fulmini nel ferir le spade sono.(Tasso, Gerusalemme liberata, canto VI, ottava 48)

Principali figure retoriche:

- Personificazione: «il furor» (v. 2) è come una persona che amministra, distribuisce eaccresce le forze e l’ingegno del cavaliere.

- Sineddoche: «il ferro» sta per la spada, secondo il rapporto “la parte per il tutto”.- Metafora: le spade, nella battaglia, sono descritte come «lampo», «tuono» e «fulmini»,

gli elementi caratteristici di una tempesta. Inoltre, la successione di questi tre terminiforma una climax.

- Chiasmo: al v. 5 troviamo la disposizione incrociata del chiasmo: «Sparsa è d’arme laterra e l’arme sparte».

Altre figure retoriche:

- Polisindeto, ovvero il collegamento di vari termini mediante ripetute congiunzioni: «o..., o ..., o ..., o ...» (vv. 3-4).

- Poliptoto, ovvero la ripetizione di un vocabolo in forme o funzioni grammaticali diver-se: «sparsa» e «sparte» (v. 5).

- Iperbato, cioè il separare due parole che dovrebbero stare insieme, interponendovi altrielementi, al v. 5: «Sparsa è d’arme la terra».

- Anastrofe, cioè l’inversione dell’ordine naturale o abituale delle parole all’interno di unverso:«fulmini nel ferir le spade sono», dove il verbo viene posto alla fine della frase.

Laboratorio

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124 Canone Occidentale - La poesia

Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,d’occhi abbagliato, attonito di core.(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I)

In questi due versi sono presenti:

- un chiasmo: __________________________________

- un’allitterazione: __________________________________

Là dove più mi dolse, altri si dole,e dolendo adolcisce il mio dolore; [...](Petrarca, Canzoniere CV)

Quale figura retorica è contenuta nell’espressione dolendo addolcisce?

■■ sinestesia■■ ossimoro■■ iperbole

O, tinta d’un lieve rossore,casina che sorridi al sole!(Pascoli, In viaggio)

Individuate all’interno dei versi le seguenti figure retoriche:

- sinestesia: ____________________________

- personificazione: ____________________________

Tu fiore non retto da stelo,tu luce non nata da fuoco,tu simile a stella nel cielo;(Pascoli, Il sogno della vergine)

Riconoscete la similitudine e la metafora contenute nei versi:

- similitudine: ____________________________

- metafora: ____________________________

Esercizio 4

Esercizio 3

Esercizio 2

Esercizio 1

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125Il metodo

Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritoglial furor di fortuna e guidi in portome peregrino errante e fra gli scoglie fra l’onde agitato e quasi absorto,queste mie carte in lieta fronte accogli,che quasi in voto a te sacrata i’ porto.Forse un dì fia che la presaga pennaosi scriver di te quel ch’or n’accenna.(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I, ottava 4)

- In questa ottava è contenuta un’allegoria. Provate a coglierne gli elementi e a spiegarla.

- Altre figure retoriche:

carte sta per _______________

Di che figura retorica si tratta?

–––––––––––––––––––––––––

fronte sta per _______________

ed è:

■■ metonimia■■ iperbole■■ perifrasi

Esercizio 4