6
211 Canto XXIV Sequenze narrative ® TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO Nel vedere il maestro turbato, anche Dante si sconforta, ma poi si rianima quando, vicino alla frana del ponte, il volto di Virgilio ritorna sereno. È una sensazione simile a quella del pastore che, dopo essersi abbattuto nel vedere al mattino i campi coperti di brina, pensan- do che sia nevicato durante la notte, si riprende quando la brina si scioglie e i campi ritor- nano a verdeggiare. ® VERSO LA SETTIMA BOLGIA La salita lungo la frana è faticosa e Virgilio aiuta amorevolmente il discepolo, giungendo infine sull’argine della settima bolgia; i due poeti salgono quindi sul ponticello che la sovrasta. ® LA BOLGIA DEI LADRI Dal ponte non è però possibile vedere il fondo del fossato né distinguere le voci che vi si levano; per questo i due si spostano verso l’argine successivo, da cui la bolgia appare in tutto il suo orrore. Questa è completamente ricoperta di serpenti di ogni tipo, in mezzo a cui corrono nudi i dannati, con le mani legate con serpi dietro alla schiena.Vengono qui puni- ti i ladri, che, per uno degli aspetti del contrappasso, non possono ora usare le mani che servirono loro in vita per rubare. ® VANNI FUCCI Un serpentello trafigge alla nuca un dannato, che subito incenerisce, ma immediatamente riprende forma umana, come la mitica Araba Fenice, che ogni cinquecento anni brucia e subito risorge, rinnovata, dalle proprie ceneri. Alla domanda di Virgilio, il dannato rispon- de di essere il pistoiese Vanni Fucci, che Dante ebbe modo di conoscere in vita come uomo violento e sanguinario. Per questo infatti il poeta si meraviglia di vederlo punito tra i ladri. Vanni Fucci confessa allora di trovarsi in questa bolgia a causa di un furto sacrilego, del quale erano stati ingiustamente incolpati altri. Infuriato per essere stato smascherato da Dante, gli predice per dispetto le prossime sconfitte dei Bianchi* pistoiesi e fiorentini. vv 97-151 vv 64-96 vv 22-63 vv 1-21 Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia Peccatori Ladri Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subiscono mostruose metamorfosi Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come i serpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubati del loro stesso corpo Dante incontra Vanni Fucci Inferno, XXIV, 91-96, miniatura ferrarese, Ms. Urb. Lat. 365, f. 63 v. Roma, Biblioteca Vaticana.

Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

211

Canto XXIV

■ Sequenze narrative

® TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO

Nel vedere il maestro turbato, anche Dante si sconforta, ma poi si rianima quando, vicinoalla frana del ponte, il volto di Virgilio ritorna sereno. È una sensazione simile a quella delpastore che, dopo essersi abbattuto nel vedere al mattino i campi coperti di brina, pensan-do che sia nevicato durante la notte, si riprende quando la brina si scioglie e i campi ritor-nano a verdeggiare.

® VERSO LA SETTIMA BOLGIA

La salita lungo la frana è faticosa e Virgilio aiuta amorevolmente il discepolo, giungendoinfine sull’argine della settima bolgia; i due poeti salgono quindi sul ponticello che lasovrasta.

® LA BOLGIA DEI LADRI

Dal ponte non è però possibile vedere il fondo del fossato né distinguere le voci che vi silevano; per questo i due si spostano verso l’argine successivo, da cui la bolgia appare in tuttoil suo orrore. Questa è completamente ricoperta di serpenti di ogni tipo, in mezzo a cuicorrono nudi i dannati, con le mani legate con serpi dietro alla schiena. Vengono qui puni-ti i ladri, che, per uno degli aspetti del contrappasso, non possono ora usare le mani cheservirono loro in vita per rubare.

® VANNI FUCCI

Un serpentello trafigge alla nuca un dannato, che subito incenerisce, ma immediatamenteriprende forma umana, come la mitica Araba Fenice, che ogni cinquecento anni brucia esubito risorge, rinnovata, dalle proprie ceneri. Alla domanda di Virgilio, il dannato rispon-de di essere il pistoiese Vanni Fucci, che Dante ebbe modo di conoscere in vita come uomoviolento e sanguinario. Per questo infatti il poeta si meraviglia di vederlo punito tra i ladri.Vanni Fucci confessa allora di trovarsi in questa bolgia a causa di un furto sacrilego, delquale erano stati ingiustamente incolpati altri. Infuriato per essere stato smascherato daDante, gli predice per dispetto le prossime sconfitte dei Bianchi* pistoiesi e fiorentini.

vv 97-151

vv 64-96

vv 22-63

vv 1-21

Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia

Peccatori Ladri

Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subisconomostruose metamorfosi

Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come iserpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubatidel loro stesso corpo

Dante incontra Vanni Fucci

Inferno, XXIV, 91-96,miniaturaferrarese, Ms. Urb. Lat. 365,f. 63 v. Roma, BibliotecaVaticana.

p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 10.59 Pagina 211

Page 2: Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

212

■ Temi e motivi

L’ardua impresa di DanteCome si era già verificato nel canto XXI, aperto dal paragone tra la bolgia dei barattieri el’arzanà de’ Viniziani, e come si ripeterà ancora nel canto XXX, anche in questa occasionel’esordio è affidato ad un’ampia similitudine*, secondo l’uso retorico medievale. Si trattadi un quadro campestre di raffinata fattura letteraria – che annuncia la sfida con i poeticlassici esplicitamente dichiarata nel canto successivo (Inf. XXV, 94-99) –, ma non fine a sestesso, in quanto la ripresa di fiducia del villanello allo sciogliersi della brina scambiata in unprimo momento per neve, cosa che gli avrebbe impedito di condurre il gregge al pascolo,è assimilata al mutare dello stato d’animo di Dante, prima turbato nel vedere Virgilio accu-sare il colpo delle parole beffarde di Catalano*, rivelatrici dell’inganno di Malacoda*, poiriconfortato dallo stesso maestro, rientrato prontamente nel ruolo di guida esperta e sicu-ra che gli compete.Dopo la similitudine iniziale, intessuta di precisi echi di Virgilio*, di Stazio* e di Lucano*,il confronto con i poeti classici (i gran savi evocati al v. 106), assunto come tecnica portan-te per questo canto e per il successivo, prosegue attraverso la descrizione del terribileambiente infestato di rettili, in cui la precisione realistica (di ordine geografico e zoologi-co) si fonde con il fascino del favoloso e dello strano (riferimenti ad animali mitici comel’Araba Fenice*), e della prima metamorfosi di un dannato, che subito dopo si presenteràcome il pistoiese Vanni Fucci*. La sfida è rivolta in particolare a Lucano, che nella Farsagliaaveva descritto gli orrori del deserto libico, e a Ovidio*, poeta delle Metamorfosi, che Dantenon si accontenta di imitare, ma cerca anche di superare quanto a tecnica descrittiva, comerisulterà evidente nel canto successivo (Inf. XXV, 94-97).

Vanni FucciAl centro dell’episodio (tra la fine del canto XXIV e l’inizio del canto XXV) si colloca l’in-contro con l’individuo che incarna il peccato nel modo più empio e bestiale: il pistoieseVanni Fucci*, guelfo di parte Nera*, ladro e omicida, uno dei grandi protagonisti delle lotteinterne alla propria città. Con una protervia superiore a quella dello stesso Capaneo* (cfr.Inf. XIV), il peccatore confessa compiaciuto i propri reati e, vedendosi scoperto tra i ladri acausa del furto sacrilego alla cappella di S. Iacopo nel duomo di Pistoia (di cui furonoingiustamente incolpati altri), sfoga la propria rabbia predicendo la rovina dei Bianchi* edello stesso Dante, con la precisa volontà di ferirlo (v. 151). Su questa vendicativa afferma-zione termina il canto, ma la scena continuerà in quello successivo, che si aprirà con il gestoosceno rivolto dal peccatore a Dio in segno di sfida, che si rivelerà tanto blasfemo e arro-gante quanto vano, destinato ad essere immediatamente stroncato dalla divina giustizia.

Canto XXIVInferno

In quella parte del giovanetto annoche ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra

3 e già le notti al mezzo dì sen vanno,

quando la brina in su la terra assempral’imagine di sua sorella bianca,

6 ma poco dura a la sua penna tempra,

lo villanello a cui la roba manca,si leva, e guarda, e vede la campagna

9 biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca,

® TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DIVIRGILIONel periodo (parte) iniziale (giovanetto) dell’anno in cui il solerende più tiepidi (tempra) i propri raggi (crin) nella costella-zione (sotto) dell’Acquario e le notti già si avviano (sen vanno)a durare la metà del giorno (al mezzo dì),quando la brina riproduce (assempra) sulla (in su) terra l’imma-gine della neve (sua sorella bianca), ma la tempera (tempra) dellasua penna (con cui la brina riproduce la neve) dura poco,

il pastorello (villanello) che non ha foraggio per le pecore (a cuila roba manca), si alza, guarda e vede tutta la campagna bian-cheggiare; per cui egli (ond’ei) si rammarica (si batte l’anca),

vv 1-21

p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 212

Page 3: Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

213

Canto XXIV Inferno

ritorna in casa, e qua e là si lagna,come ’l tapin che non sa che si faccia;

12 poi riede, e la speranza ringavagna,

veggendo ’l mondo aver cangiata facciain poco d’ora, e prende suo vincastro

15 e fuor le pecorelle a pascer caccia.

Così mi fece sbigottir lo mastroquand’io li vidi sì turbar la fronte,

18 e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;

ché, come noi venimmo al guasto ponte,lo duca a me si volse con quel piglio

21 dolce ch’io vidi prima a piè del monte.

Le braccia aperse, dopo alcun consiglioeletto seco riguardando prima

24 ben la ruina, e diedemi di piglio.

E come quei ch’adopera ed estima,che sempre par che ’nnanzi si proveggia,

27 così, levando me sù ver’ la cima

d’un ronchione, avvisava un’altra scheggiadicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa;

30 ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia».

Non era via da vestito di cappa,ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,

33 potavam sù montar di chiappa in chiappa.

E se non fosse che da quel precintopiù che da l’altro era la costa corta,

36 non so di lui, ma io sarei ben vinto.

Ma perché Malebolge inver’ la portadel bassissimo pozzo tutta pende,

39 lo sito di ciascuna valle porta

che l’una costa surge e l’altra scende;noi pur venimmo al fine in su la punta

42 onde l’ultima pietra si scoscende.

La lena m’era del polmon sì muntaquand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,

45 anzi m’assisi ne la prima giunta.

rientra in casa e ogni tanto (qua e là) si lamenta (si lagna),come un poveretto (’l tapin) che non sa che fare (per rime-diare qualcosa) (che si faccia); poi esce di nuovo (riede) e rigua-dagna (ringavagna) la speranza,

nel vedere (veggendo) la terra (mondo) aver cambiato (cangiata)aspetto (faccia) in poco tempo (in poco d’ora), e prende il suobastone (vincastro) e spinge (caccia) fuori le pecorelle a pasco-lare (pascer).

Allo stesso modo mi fece stupire (sbigottir) il maestro quandolo vidi corrucciare (turbar) la fronte e altrettanto rapidamente(così tosto) giunse il rimedio (lo ’mpiastro) allo sconforto (mal);

dal momento che (ché), appena giungemmo al ponte franato(guasto), la guida si rivolse a me con quell’espressione (piglio)dolce che avevo visto la prima volta ai piedi (a piè) del colle(nella selva oscura).

® VERSO LA SETTIMA BOLGIAAprì le braccia e, valutata (eletto) tra sé (seco) la scelta miglio-re (alcun consiglio) dopo aver osservato bene (riguardando…ben) le condizioni della frana (ruina), mi afferrò (diedemi dipiglio) (per aiutarmi a salire).E come colui che agisce (adopera) e allo stesso tempo riflette(sul da farsi) (estima), in modo che sembra (par) sempre prov-vedere (si proveggia) in anticipo all’azione successiva (’nnanzi),così, spingendomi (levando me sù) verso (ver’) l’estremità (cima)

di un masso (ronchione), adocchiava (avvisava) un’altra spor-genza rocciosa (scheggia) dicendo: «Aggrappati poi a (Sovra)quella; ma prima (pria) prova (tenta) se essa è in grado (s’è tal)di reggerti (ti reggia)».

Non era un cammino (via) adatto a chi indossa vestiti ampi epesanti (da vestito di cappa), poiché a malapena (a pena) noi,Virgilio (ei) leggero (lieve, in quanto spirito) ed io sospinto dalui, potevamo salire (sù montar) da un masso all’altro (di chiap-pa in chiappa).E se il pendio (costa) da quella parte dell’argine (da quel pre-cinto) non fosse stato più corto dell’altro, non so Virgilio (dilui), ma di sicuro (ben) io sarei stato sopraffatto dalla fatica(vinto).

Ma poiché Malebolge declina (pende) sensibilmente (tutta)verso (inver’) l’apertura (porta) del pozzo più basso (bassissimo),la conformazione (sito) di ciascuna bolgia (valle) è tale (porta)

che un argine (l’una costa) è più alto (surge) e l’altro più basso(scende); noi raggiungemmo finalmente (al fine) la sommitàdell’argine (punta) da cui (onde) sporge (si scoscende) l’ultimomasso del ponte crollato.

Quando fui in cima (sù), il fiato (lena) mi era stato spremuto(munta) dai polmoni a tal punto (sì) che io non ero più ingrado di procedere (non potea più oltre), e così (anzi) appenaarrivato (ne la prima giunta) mi misi a sedere (m’assisi).

vv 22-63

p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 213

Page 4: Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

«Omai convien che tu così ti spoltre»,disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma,

48 in fama non si vien, né sotto coltre;

sanza la qual chi sua vita consuma,cotal vestigio in terra di sé lascia,

51 qual fummo in aere e in acqua la schiuma.

E però leva sù; vinci l’ambasciacon l’animo che vince ogne battaglia,

54 se col suo grave corpo non s’accascia.

Più lunga scala convien che si saglia;non basta da costoro esser partito.

57 Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia».

Leva’mi allor, mostrandomi fornitomeglio di lena ch’i’ non mi sentia,

60 e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».

Su per lo scoglio prendemmo la via,ch’era ronchioso, stretto e malagevole,

63 ed erto più assai che quel di pria.

Parlando andava per non parer fievole;onde una voce uscì de l’altro fosso,

66 a parole formar disconvenevole.

Non so che disse, ancor che sovra ’l dossofossi de l’arco già che varca quivi;

69 ma chi parlava ad ire parea mosso.

Io era vòlto in giù, ma li occhi vivinon poteano ire al fondo per lo scuro;

72 per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi

da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;ché, com’i’ odo quinci e non intendo,

75 così giù veggio e neente affiguro».

«Altra risposta», disse, «non ti rendose non lo far; ché la dimanda onesta

78 si de’ seguir con l’opera tacendo».

Noi discendemmo il ponte da la testadove s’aggiugne con l’ottava ripa,

81 e poi mi fu la bolgia manifesta:

«Ormai è necessario (convien) che tu ti liberi dalla pigrizia (tispoltre) con simili sforzi (così)», disse il maestro; «perché ada-giandoti sulle piume (seggendo in piuma) o stando a letto (sottocoltre) non si raggiunge (non si vien) la fama;

chi spreca (consuma) la propria vita senza la fama (la qual), lasciain terra la stessa (cotal) traccia (vestigio) di sé che (qual) lascia il fu-mo (fummo) nell’aria o la schiuma nell’acqua.

Perciò (però) alzati (leva sù); supera (vinci) la fatica (l’ambascia)con la forza di volontà (l’animo) che vince ogni difficoltà (bat-taglia), se non si lascia abbattere (s’accascia) a causa del peso delcorpo (col suo grave corpo).

È necessario (convien) salire (che si saglia) una scala [la salita allacima del Purgatorio] ancora più lunga; non è sufficiente (nonbasta) esserti allontanato (partito) dai peccatori (costoro). Se bencomprendi il senso delle mie parole (Se tu m’intendi), fa dun-que (or) in modo (fa sì) che ti giovi (ti vaglia)».Allora mi alzai in piedi (Leva’mi), mostrandomi dotato (forni-to) di forza (lena) maggiore (meglio) di quanto realmente nonmi sentissi (ch’i’ non mi sentia), e dissi: «Va pure, che ora iosono forte e coraggioso (ardito)».

Ci incamminammo (prendemmo la via) lungo (Su per) il ponte(scoglio), che era pieno di sporgenze rocciose (ronchioso), stret-to e malagevole, e assai più ripido (erto) di quello precedente(quel di pria).

® LA BOLGIA DEI LADRIAvanzavo (andava) parlando per non sembrare (parer) stanco(fievole); per cui (per il fatto che parlavo) (onde) dall’altra bol-gia (fosso) si levò (uscì) una voce, incapace (disconvenevole) diarticolare (formar) parole comprensibili.Non so che cosa disse, benché (ancor che) fossi già sulla som-mità (sovra ’l dosso) dell’arco che in quel punto (quivi) sor-monta la bolgia (varca); ma chi parlava sembrava sollecitato(mosso) a camminare (ad ire).

Io ero rivolto (vòlto) verso il basso, ma gli occhi, appartenen-ti a un vivo (vivi), non potevano (poteano) giungere (ire) finoal fondo della bolgia a causa (per) dell’oscurità (lo scuro); percui dissi: «Maestro, fa in modo di arrivare (fa che tu arrivi)

sull’argine successivo (cinghio) e vediamo di scendere (dismon-tiam) il ponte (muro); perché di qui (quinci), così come odo enon intendo (intendo), guardo (veggio) giù ma non distinguo(affiguro) nulla (neente)».

«Non ti do (rendo) altra risposta», disse, «se non l’agire (lo far);poiché la richiesta (dimanda) legittima (onesta) si deve (si de’)soddisfare con l’azione (con l’opera) senza parlare (tacendo)».

Scendemmo il ponte fino all’estremità (testa) in cui si con-giunge (s’aggiugne) con l’argine dell’ottava bolgia (ripa), equindi mi fu possibile distinguere (mi fu… manifesta) la bolgia:

vv 64-96

214

Canto XXIVInferno

p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 214

Page 5: Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

215

Canto XXIV Inferno

e vidivi entro terribile stipadi serpenti, e di sì diversa mena

84 che la memoria il sangue ancor mi scipa.

Più non si vanti Libia con sua rena;ché se chelidri, iaculi e faree

87 produce, e cencri con anfisibena,

né tante pestilenzie né sì reemostrò già mai con tutta l’Etïopia

90 né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.

Tra questa cruda e tristissima copiacorrëan genti nude e spaventate,

93 sanza sperar pertugio o elitropia:

con serpi le man dietro avean legate;quelle ficcavan per le ren la coda

96 e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.

Ed ecco a un ch’era da nostra proda,s’avventò un serpente che ’l trafisse

99 là dove ’l collo a le spalle s’annoda.

Né O sì tosto mai né I si scrisse,com’el s’accese e arse, e cener tutto

102 convenne che cascando divenisse;

e poi che fu a terra sì distrutto,la polver si raccolse per sé stessa

105 e ’n quel medesmo ritornò di butto.

Così per li gran savi si confessache la fenice more e poi rinasce,

108 quando al cinquecentesimo anno appressa;

erba né biado in sua vita non pasce,ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,

111 e nardo e mirra son l’ultime fasce.

E qual è quel che cade, e non sa como,per forza di demon ch’a terra il tira,

114 o d’altra oppilazion che lega l’omo,

quando si leva, che ’ntorno si miratutto smarrito de la grande angoscia

117 ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:

dentro vi vidi (vidivi) una terribile moltitudine (stipa) di ser-penti, e di così orribile (sì diversa) natura (mena) che il ricor-do (memoria) ancora mi guasta (scipa) il sangue.

Non si vanti più la Libia col suo deserto sabbioso (rena); poi-ché se essa produce chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfi-sibene,

non mostrò mai, insieme all’Etiopia e alle terre a nord delMar Rosso (ciò che di sopra al Mar Rosso èe), tanti serpenti vele-nosi (tante pestilenzie) e tanto nocivi (ree).

In mezzo (Tra) a quella crudele (cruda) e malvagia (tristissima)abbondanza di rettili (copia) correvano (corrëan) dannati (genti)nudi e spaventati, senza speranza di trovare ripari (pertugio) opietre miracolose (contro il morso dei serpenti) (elitropia):

avevano le mani legate dietro la schiena con serpi; e questespingevano (ficcavan) il capo e la coda lungo le reni dei dan-nati (per le ren), e si andavano ad attorcigliare sul ventre (ed erandinanzi aggroppate).

® VANNI FUCCIAll’improvviso (Ed ecco) contro un dannato (un), che si trova-va presso l’argine su cui eravamo noi (ch’era da nostra proda), siavventò un serpente che lo trafisse nel punto in cui (là dove)il collo si congiunge (s’annoda) alle spalle.Non si scrisse mai così rapidamente (sì tosto) O o I come que-gli (el) prese fuoco (s’accese) e bruciò (arse) e fatalmente (conven-ne che) cadendo a terra (cascando) incenerì (cener… divenisse);

e subito dopo (poi che) essersi completamente incenerito (sìdistrutto) a terra, la cenere (polver) si radunò (si raccolse) da sola(per sé stessa) e riprese immediatamente (di butto) l’originariaforma umana (’n quel medesmo).

Allo stesso modo dai poeti e dai sapienti (per li gran savi) èattestato (si confessa) che l’araba fenice muore (more) e subitodopo (poi) rinasce, quando si avvicina (appressa) al compi-mento del cinquecentesimo anno di vita;

per vivere non si ciba (non pasce) di erbe e di biade (biado), masolo di gocce (lagrime) di incenso e di amomo, e il suo nidodi morte (l’ultime fasce) è imbevuto (son) di nardo e di mirra.

E come colui (l’indemoniato o l’epilettico) che stramazza alsuolo senza rendersene conto (e non sa como), a causa (perforza) di un demonio che lo trascina (tira) a terra, o di un’al-tra ostruzione (oppilazion) che gli blocca le funzioni fisiologi-che (che lega l’omo),e quando si rialza (si leva) si guarda (si mira) intorno ancorafrastornato (tutto smarrito) per la grave crisi (de la grande ango-scia) che ha subito (sofferta), e guardando intorno sospira;

vv 97-151

p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 215

Page 6: Canto XXIV - La Scuola · Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo ’l

tal era ’l peccator levato poscia.Oh potenza di Dio, quant’è severa,

120 che cotai colpi per vendetta croscia!

Lo duca il domandò poi chi ello era;per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,

123 poco tempo è, in questa gola fiera.

Vita bestial mi piacque e non umana,sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci

126 bestia, e Pistoia mi fu degna tana».

E ïo al duca: «Dilli che non mucci,e domanda che colpa qua giù ’l pinse;

129 ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».

E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,

132 e di trista vergogna si dipinse;

poi disse: «Più mi duol che tu m’hai coltone la miseria dove tu mi vedi,

135 che quando fui de l’altra vita tolto.

Io non posso negar quel che tu chiedi;in giù son messo tanto perch’io fui

138 ladro a la sagrestia d’i belli arredi,

e falsamente già fu apposto altrui.Ma perché di tal vista tu non godi,

141 se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,

apri li orecchi al mio annunzio, e odi.Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;

144 poi Fiorenza rinova gente e modi.

Tragge Marte vapor di Val di Magrach’è di torbidi nuvoli involuto;

147 e con tempesta impetüosa e agra

sovra Campo Picen fia combattuto;ond’ei repente spezzerà la nebbia,

150 sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.

E detto l’ho perché doler ti debbia!».

tale era il dannato (peccator) dopo essersi rialzato (levato poscia).Quanto è severa la potenza di Dio, che vibra (croscia) colpicosì forti (cotai) come giusta punizione (vendetta)!

Allora (poi) la mia guida gli (il) chiese chi fosse; per cui eglirispose: «Dalla Toscana precipitai (piovvi), poco tempo fa, inquesta bolgia (valle) crudele (fiera).

Mi piacque condurre una vita più da bestia che da uomo,degna di quel bastardo (sì come a mul) che sono stato; sonoVanni Fucci detto bestia, e Pistoia fu la mia degna tana».

Ed io al maestro: «Digli (Dilli) che non cerchi di scappare (nonmucci), e chiedigli quale colpa lo (’l) fece sprofondare (pinse)in questa bolgia (qua giù); perché io lo conobbi (vidi) comeuomo sanguinario (omo di sangue) e rissoso (di crucci)».

E il peccatore, che udì le mie parole (’ntese), non cercò di fin-gere (non s’infinse), ma rivolse (drizzò) verso di me il volto el’animo, e arrossì (si dipinse) di vergogna irosa (trista vergogna);

poi disse: «Mi addolora (duol) di più il fatto che tu mi abbiacolto nella miserabile condizione (miseria) in cui mi vedi, chenon il momento (quando) in cui sono stato costretto a lascia-re la vita terrena (fui de l’altra vita tolto).

Non posso negarti ciò che mi chiedi; sono collocato (messo)più in basso (di quanto credevi) nell’Inferno (in giù... tanto)per il fatto che rubai (fui ladro) il tesoro (belli arredi) di unasacrestia,

e il furto venne erroneamente (falsamente) attribuito (apposto)a un altro (altrui). Ma affinché tu non gioisca (non godi) divedermi qui (di tal vista), se mai uscirai (sarai di fuor) dall’o-scurità infernale (da’ luoghi bui),

apri le orecchie alla mia profezia (annunzio), e ascolta bene.Dapprima (in pria) Pistoia si spopolerà (si dimagra) dei (d’i)Neri; poi sarà Firenze a dover cambare partito (rinova gente) eabitudini (modi).

Marte sta già traendo (Tragge) dalla Lunigiana (Val di Magra)un fulmine (vapor) avvolto (involuto) in dense (torbidi) nuvole;e con una bufera violenta (impetüosa) e crudele (agra)

si combatterà (fia combattuto) presso Pistoia (sovra CampoPicen); per cui il fulmine (ond’ei) disperderà (spezzerà) improv-visamente (repente) la nebbia, così che ogni Bianco ne rimarràferito (feruto).

E ho detto tutto ciò perché tu ne provi dolore (doler ti debbia)!».

216

Canto XXIVInferno

p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 216