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CASI E IPOTESI

CASI E IPOTESI 6 - Aracne editrice · Le scuole del diritto penale, 314 Capitolo XII Stato corporativo e dottrina giuridica durante il fascismo ... - con storia delle istituzioni

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Direttore

Dante CosiUniversità degli Studi di Roma “Guglielmo Marconi”

Comitato scientifico

Raffaele ChiarelliUniversità degli Studi di Roma “Guglielmo Marconi”

Dante CosiUniversità degli Studi di Roma “Guglielmo Marconi”

Salvatore D’AlbergoUniversità di Pisa

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La collana presenta monografie su argomenti generali o particola-ri del diritto pubblico, svolti in forma essenziale e con peculiareapprofondimento degli aspetti problematici.

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Dante Cosi

Linee di storia del pensiero giuridico

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I edizione: luglio

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Indice

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La storia del pensiero giuridico

I. PERCORSI DEL PENSIERO GIURIDICOOCCIDENTALE

Capitolo ILe leggi nel pensiero greco

1.1. L’emergere della legge nella città-stato greca, 15 - 1.2. Le rifles-sioni dei filosofi greci sul diritto e la giustizia, 20

Capitolo IIIl diritto romano

2.1. L’invenzione romana del diritto e dei giuristi, 31 - 2.2. La conce-zione romana dello Stato, 40 - 2.3. L’equità e il diritto pretorio romano, 42 -2.4. Ius naturale e ius gentium, 43 - 2.5. Il Corpus Iuris Civilis, 46

Capitolo IIIL'età alto medievale

3.1. Cristianizzazione dell’Impero romano e invasioni barbariche dell’Occidente, 51 - 3.2. Lo spirito del diritto germanico, 56 - 3.3. Il diritto naturale e la legge divina, 64

Capitolo IVL'età del diritto comune

4.1. Una nuova scienza del diritto, dalla riscoperta del Corpus Iuris giu-stinianeo, 69 - 4.2. Glossatori e commentatori, 73 - 4.3. Ius commune e iura propria, 79 - 4.4. La tradizione canonistica, 88 - 4.5. Il diritto naturale se-condo la Scolastica, 92 - 4.6. Consenso del popolo in parlamento, 98

Capitolo VL’età dell’ assolutismo

5.1. Stati nazionali e Riforma: tramonto dell’universalismo medievale, 101 - 5.2. Le moderne concezioni del potere sovrano, 103 - 5.3. L'affer-marsi del diritto nazionale e la crisi del diritto comune e della sua dottrina, 114 - 5.4. La dottrina del diritto nella riforma protestante e nella Controri-forma cattolica, 120 - 5.5. Il giusnaturalismo moderno, 126

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Capitolo VIL’età delle riforme

6.1. Il Settecento tra riforme e rivoluzione, 145 - 6.2. L'assolutismo il-luminato e lo Stato di polizia, 148 - 6.3. Illuminismo giuridico, 152 - 6.4. Le prime codificazioni, 173 - 6.5. La reazione contro la teoria del diritto naturale, 178 - 6.6. La rivoluzione francese, 183 - 6.7. Il Codice civile, 187- 6.8. La nascita del diritto amministrativo, 191

Capitolo VIIL'età del liberalismo

7.1. Stato e libertà civili e politiche nel XIX secolo, 197 - 7.2. Stato e Nazione nel XIX Secolo, 205 - 7.3. Il legalismo e la Scuola dell'esegesi, 209 - 7.4. L’opposizione della Scuola storica alla codificazione, 212 - 7.5.La Pandettistica, 216 - 7.6. La concezione marxiana del diritto, 219 - 7.7.L'influenza del positivismo sociologico sulle teorie del diritto, 223

Capitolo VIIIIl XX secolo

8.1. 'Stato di diritto' e 'Stato sociale', 231 - 8.2. Sociologia del diritto,238 - 8.3. Il formalismo giuridico, 244 - 8.4. L’istituzionalismo, 250 - 8.5. Lo Stato totalitario, 255 - 8.6. Positivismo metodologico e neocostituziona-lismo, 258 - 8.7. Le scuole critiche del diritto, 263 - 8.8. L'antilegalismo contemporaneo, 265

II. LA CULTURA GIURIDICA ITALIANADAL SETTECENTO AD OGGI

Capitolo IXIl pensiero giuridico degli illuministi italiani

Capitolo XIl costituzionalismo risorgimentale

10.1. Costituzionalismo del primo Risorgimento, 281 - 10.2. Il costituzio-nalismo democratico, 293 - 10.3. Il costituzionalismo cattolico, 297 - 10.4. Il costituzionalismo liberale, 300 - 10.5. Le Costituzioni del ‘Quarantotto’, lo Statuto albertino e l’unificazione legislativa, 302

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Capitolo XILa cultura giuridica dello Stato liberale

11. 1. I nuovi paradigmi del diritto pubblico e del diritto amministrativo, 307 - 11.2. Le scuole del diritto penale, 314

Capitolo XIIStato corporativo e dottrina giuridica durante il fascismo

12. 1. Lo Stato autoritario fascista, 321 - 12. 2. Lo Stato corporativo, 323 - 12. 3. Le codificazioni del periodo fascista, 325 - 12. 4. La dottrina giuridica durante il fascismo, 328

Capitolo XIIILa Costituzione repubblicana e la cultura giuridica dell’immediato do-poguerra

Capitolo XIVLa crisi del formalismo giuridico

14. 1. La crisi dell'autonomia del diritto e del primato della legge, 339 -14. 2. La scuola di teoria analitica del diritto e la crisi dell’autonomia me-todologica del diritto, 342 - 14.3. Nuove tendenze del diritto amministra-tivo, 345

Capitolo XVLa cultura giuridica dell’Italia d’oggi

15. 1. L'uso alternativo del diritto e ruolo protagonista della magistratu-ra, 349 - 15. 2. Europeismo e regionalismo, nel tramonto del paradigma dello Stato, 352 - 15. 3. Dottrina dello Stato costituzionale, 356

Bibliografia essenziale

Indice delle persone

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La storia del pensiero giuridico

La storia del pensiero giuridico si propone di esporre le ‘rifles-sioni’ sul diritto (compiute, in vari periodi e luoghi, da filosofi, politici, retori, teologi, sociologi, giuristi) in correlazione col si-stema normativo loro rispettivamente coevo. Si tratta di un di-scorso storico che passa in rassegna le principali ‘concettualiz-zazioni’ del diritto (assunto come distinto da altre forme di ordi-namenti normativi, quali la morale, le costumanze).

La storia del pensiero giuridico - intesa nell’accezione d’indagine storica sul pensiero giuridico e filosofico-giuridico elaborato (dai giuristi e dai filosofi) in tempo e luogo determina-ti, riflettendo un (o su un coevo) ordinamento normativo - pre-senta punti di collimazione con altre discipline storiche (o che fanno uso di metodologie storiche):

- con la storia della filosofia del diritto, che studia le ‘con-cettualizzazioni’ filosofiche del diritto elaborate, nelle varie fasi storiche, dai filosofi e dai filosofi del diritto, e le inquadra e raf-fronta alla storia complessiva della filosofia e della cultura; di-scorso storico che non analizza, però, le concettualizzazioni del diritto operate dai ‘giuristi’; e che non mette in relazione le ideo-logie giuridiche con le vicende dei vari ‘diritti positivi’, delle ‘istituzioni politiche’ e, più in generale, degli assetti sociali;

- con la storia del diritto, che ricostruisce la materia giuridi-ca e cioè le norme e la giurisprudenza dei vari periodi storici;

- con storia delle istituzioni politiche (prodotte o comunque organizzate dal diritto);

- con l’antropologia giuridica, che ha per oggetto lo studio della ‘cultura giuridica’, intesa (in senso diverso e più ‘materia-le’ della storia delle concettualizzazioni giuridiche) come ‘forma

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sociale’ e ‘senso comune’ intorno al diritto, di una data comuni-tà umana. L’antropologia giuridica contemporanea (non quindi, quella, che studia le società primitive) concentra le sue indagini prevalentemente sui fenomeni giuridici nelle ‘società senza Sta-to’ e nelle odierne ‘evenienze di pluralismo giuridico’ e di diritti ‘non ufficiali’ delle minoranze;

- con la sociologia del diritto,che si propone sia lo studio dei rapporti tra diritto e società, sia lo studio della realtà giuridica ‘effettuale’, sia del diritto come modalità d’azione sociale.

La storia del pensiero giuridico - intesa, come sopra enuncia-to, nell’accezione ristretta di indagine storica sull’insieme delle teorie, delle filosofie e delle dottrine giuridiche elaborate in una determinata fase storica da giuristi e filosofi del diritto (il pen-siero giuridico e filosofico-giuridico) - può essere ricompresa in una più ampia storia della “cultura giuridica” che esamini an-che il complesso delle ideologie dei modelli di giustizia e dei modi di pensare intorno al diritto, propri degli operatori giuridici di professione, siano essi legislatori o giudici o amministratori (la cultura degli operatori giuridici), nonché il ‘senso comune’intorno al diritto e ai singoli istituti giuridici, diffuso ed operante in una determinata società (l'immagine sociale del diritto). Tra il diritto (positivo) - ossia il sistema delle norme imperative vigen-ti in un luogo e in un tempo determinato - e la cultura giuridicaesiste un rapporto di reciproca interazione. Il diritto può essere concepito come un complesso linguaggio al tempo stesso ogget-to e prodotto della cultura giuridica, cioè come un insieme di segni normativi e di significati loro associati nella pratica giuri-dica da giuristi, politici, operatori e utenti i quali tutti concorro-no, in forme e a livelli diversi, alla sua produzione e alla sua in-terpretazione.

La storia del pensiero giuridico

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Conseguentemente i ‘percorsi storici’ che seguono, relativi a circostanziati pensieri giuridici e giuridico-politici1, sono svolticon opportuni riferimenti al mutare delle condizioni della vita sociale2 che quei pensieri sostengono, concentrandosi sui mo-menti principali dello svolgimento del pensiero giuridico in oc-cidente (parte I) partendo dalle sue lontane origini di perdurante rilievo3 e dando speciale trattazione (nella parte II) alla cultura giuridica italiana dal Settecento ad oggi.

1 Quanto al ruolo della storia del pensiero giuridico rispetto al diritto statuito e alla dogmatica giuridica (e, quindi, agli scopi e metodologie della storia giuridica) si fa rinvio A. M. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo, trad. it., Bolo-gna, 2003, Cap. I, 11-29.2 I riferimenti bibliografici riportati nelle varie note a piè del testo, si limitano al pen-siero giuridico, escludendo, in linea di massima, indicazioni storiografiche, di storia del diritto o di storia delle istituzioni politiche.3 Si segue, in buona parte, lo schema di J. M. Kelly, Storia del pensiero giuridico oc-cidentale, trad. it., Bologna, 1996.

La storia del pensiero giuridico

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PERCORSI DEL PENSIERO GIURIDICOOCCIDENTALE

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Capitolo I

Le leggi nel pensiero greco

SOMMARIO: 1.1. L’emergere della legge nella città-stato greca, 15 - 1.2. Le ri-flessioni dei filosofi greci sul diritto e la giustizia, 20

1.1. L’emergere della legge nella città-stato greca

1.1.1. La cultura greca.

I greci furono il primo popolo d'Europa presso cui il pensiero speculativo e la ‘discussione’ divennero un'abitudine dell'uomo colto; abitudine che non era limitata all'osservazione del mondo fisico e dell'universo, ma era estesa all'uomo stesso e al carattere della società umana e al miglior modo di governare. Presso i greci la discussione oggettiva sul rapporto dell'uomo con la leg-ge e la giustizia divenne un'attività dell'uomo colto e fu registra-ta in una letteratura che da allora in poi ha sempre fatto parte di una tradizione culturale europea. E' dunque con i greci che puòprendere avvio la storia della riflessione occidentale sul diritto, ossia del pensiero giuridico europeo4.

Occorre anche preliminarmente chiarire che, mentre il ‘dirit-to romano’ fu elaborato all'interno di uno Stato sovrano e unita-rio, il ‘diritto greco’ è un'espressione molto più generica e indica

4 In tal senso J. M. Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, trad. it., Bologna, 1996, 15 ss. M. Villey, La formation de la pensée juridique moderne, Paris, 2003, 59 s. mette in risalto che il clima di libertà che offriva la vita pubblica ateniese del V e IV sec. a. C. – nella quale i problemi politici e morali erano resi accessibili a un uditorio popolare da oratori, poeti tragici e filosofi – consentiva la manifestazione delle più diverse tendenze (democratiche, nazionaliste, cosmopolite, ecc.) e lo sviluppo, in nu-ce, di correnti del pensiero giuridico (teoria del diritto naturale, positivismo giuridico, relativismo), che eserciteranno influenza sul mondo del diritto (e in primis sul diritto romano) e sulla teologia cristiana.

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una varietà di leggi vigenti nelle diverse polis (città-stato gre-che). Le polis erano unità politiche indipendenti, abitate da po-polazioni di lingua e cultura greca. Anche se le leggi (che si co-noscono in pochi frammenti) di polis diverse sembrano simili, nell'età classica non esistette mai un sistema giuridico greco u-nitario, perché non esisteva un unico Stato greco.

1.1.2. Fonti materiali del diritto e del pensiero giuridico nell’antica Grecia.

Gli elementi per ricostruire la storia del ‘diritto greco’ non si trovano in veri e propri testi giuridici greci. I greci, così fecondi in tanti campi intellettuali, non produssero mai una scienza giu-ridica applicata (che i giuristi romani avrebbero dato al mon-do). Manca, nella cultura greca, alcunché di simile a un trattato di diritto, essendo semmai prevalenti i puri interessi politici emorali. Sono stati, peraltro, ritrovati dall'archeologia, incisi su pietra o bronzo, resti materiali di leggi di alcune polis. Ma i frammenti del ‘diritto greco’ vanno raccolti soprattutto nei varirami della letteratura: per esempio molto del diritto ateniese è noto attraverso i discorsi degli oratori del quarto secolo a.C.; mentre le opere di storici, filosofi e drammaturghi ci forniscono altri elementi conoscitivi.

Se dunque esisteva un diritto delle polis greche, diversa è la situazione per quanto riguarda il ‘pensiero giuridico’, in quanto distinto dal diritto vero e proprio. Non esisteva un ramo della filosofia riconosciuto e distinto specificamente orientato sul di-ritto. Questioni come l'origine e il fondamento lo Stato, il rap-porto (eventuale) della legge con qualche modello superiore, ecc., non venivano discusse in opere dedicate a questi temi, ma sempre sottese a tematiche politiche e morali. Le idee greche su questi argomenti devono essere ricavate dalle fonti letterarie e filosofiche. Il ‘diritto’ come concetto astratto e la ‘scienza giu-ridica’ non avevano, per i greci, neppure un nome5.

5 I pensatori greci si ponevano il problema della giustizia (e del bene rispetto al male) e, quindi, della valutazione della giustezza dei comportamenti umani e delle stesse

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I. Le leggi nel pensiero greco 17

1.1.3. Le idee della Grecia arcaica sulle leggi: ‘Themis’, ‘Dike’,‘Nomos’.

La società arcaica greca era, come già detto, organizzata in po-lis, ciascuna delle quali con un proprio ordinamento politico co-stituito, in genere, da un re, da un consiglio degli anziani e da un popolo. Nè il ’re’ nè ‘gli anziani’ facevano, all'inizio, ‘leggi’,nè c'era coscienza del popolo di obbedire alla consuetudine co-me normativa (distinta dalla religione e dalla morale).

C'è, in primo luogo, la themis, un termine di cui è difficile cogliere il significato, ma che in qualche modo connota l'idea di una decisione, di una direttiva o di un verdetto ispirati da un dio6

.Accanto alla themis troviamo, sin dai poemi omerici, la no-

zione di dike7, una parola che assunse poi il significato di legge terrena. In una fase storica avanzata, quindi, a fronte di themis (legge celeste) c'è dike (legge terrena); la prima si fonda sull'i-

leggi. Platone, Leggi, IV, 715b, esclude che una legge ingiusta e malvagia sia ‘di-kaion’ (ossia giusta, onesta). 6 In Omero le themistas indicano, in primo luogo, le ‘leggi’ (Iliade, V, v. 761: “Ares … quel pazzo che ignora ogni legge”), leggi affidate ai re (Iliade, IX, v. 99), sia le ‘sentenze’ (Iliade, XVI, v. 388: “Zeus … adirato…con gli uomini che pronunciano sentenze storte”). Ed ancora significano i ‘responsi’ di Zeus (Odissea,, XVI. V. 403: “Anfinomo parlò: … non vorrei assassinare Telemaco, è orribile uccidere la stirpe di un re. Prima consultiamo gli dei. Se i responsi del grande Zeus approvano, ucciderò io stesso”).7 Sempre in Omero la dike esprime, talvolta, il diritto a pretendere (Iliade, XIX, v. 180: Odisseo risponde ad Agamennone formulando i termini di una conciliazione con Achille “affinchè nulla manchi del tuo diritto” [dikes]). Ma la successione e la gerar-chia genealogica tra themis e dike è riassunta nella sequenza mitologica raccontata da Esiodo (Teogonia, v. 901: “Zeus per seconda sposò la splendida Themis, che fu madre delle Horai, Eunomie, Dike e Eirene, che vegliano sull’opera degli uomini mortali”). In Esiodo (Le opere e i giorni, I, 192) la dea Dike [la giustizia, figlia di Temi] è ac-coppiata a un’altra arcaica divinità, la dea Aidòs [che, imprecisamente, viene identifi-cata con il ‘pudore’, la ‘coscienza’ , la ‘riservatezza’ – la dea ‘Pudicitia’ dei latini –ma che nella realtà aristocratica è il ‘rispetto’ del proprio rango e dell’onore, come risulta anche dal ruolo che Omero, nell’Iliade, riserva a tale virtù, prima guerriera e, poi, femminile]. Ancora nel mito narrato dal Protagora di Platone, aidòs e dike sono i due doni che Zeus, tramite Ermes, offre agli uomini, per garantire la solidarietà so-ciale. L’evoluzione storica della polis assorbe questa ‘virtù’ parziale in un’unica vir-tù civica, riconosciuta da Socrate nel dialogo con Protagora.

I. Le leggi nel pensiero greco

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stituzione divina ("pongo, stabilisco"), la seconda è una legge derivata ("mostro, indico")8. Riepilogando: la primitiva conce-zione del diritto tra i greci è themis, cioè decreto di carattere sa-crale rivelato dagli dei per mezzo di sogni o di oracoli. E' una concezione caratteristica di una società arcaica in cui fiorisce la struttura aristocratica e nella quale la normazione è ritenuta e-spressione di una volontà soprannaturale. Con il passaggio da società patriarcali e di guerrieri a società agricole, alla concezio-ne della legislazione come d'ispirazione divina, subentra l'idea di una legislazione umana. La dike diviene la giustizia, prodot-to della ragione e della esperienza umana; nella dike viene lu-meggiata l'idea razionale dell'uguaglianza.

All'epoca della formazione delle città, successiva al quinto secolo avanti Cristo, è con la parola nomos che viene indicato il diritto. Il termine rappresenta la legge della città, che è prodotta dai legislatori. O meglio, in un primo tempo il termine designerà la consuetudine e più tardi ancora la legge scritta. Il termine nomos deriverebbe dalla radice del verbo nemo, "faccio le parti", "distribuisco". Ed è operante dopo aver misurato, è un acco-modamento accettato come una spartizione, opportuna.

8 Il linguista Emile Benveniste (1902-1976), ne Il vocabolario delle istituzioni indoeu-ropee, vol. II, capitoli primo e secondo, trad. it., Torino, 2001, formula una definizio-ne diversa: themis è il diritto familiare, dike è il diritto tra le famiglie della tribù. La themis è di origine divina. Omero, a proposito dei Ciclopi, li definisce athemistes, veri selvaggi, perché nessuno di loro si interessa nè degli dei superiori nè degli altri ci-clopi. Sempre Omero, nell'Odissea, così descrive, il rapporto tra Ulisse ed Eumeo chenon lo ha riconosciuto. Ulisse lo ringrazia della sua ospitalità ed Eumeo risponde: "La themis non mi permette, anche se venisse qualcuno più miserabile di te, di oltraggiare un ospite, poiché da Zeus vengono tutti gli ospiti e tutti i poveri". Così uno straniero è ricevuto in seno alla famiglia, grazie alla legge divina e familiare. Eumeo continua: "Posso darti solo un piccolo dono, ma te lo offro con cuore, poichè tale è la dike dei servi". Alla nozione intra-familiare di themis fa riscontro quella di dike: la prima indi-ca la giustizia che si esercita all'interno del gruppo familiare, l'altra quella che regola i rapporti con gli altri gruppi. Sempre dal punto di vista della storia della lingua la dikeè prossima al concetto latino di dico, cioè di "dire", di mostrare con autorità di parola ciò che deve essere, cioè la prescrizione imperativa della giustizia.

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I. Le leggi nel pensiero greco 19

1.1.4. L'età dei legislatori.

Qualcosa che corrisponda al nostro diritto nel senso di legge po-sitiva e scritta fa la sua prima apparizione in Grecia con i legi-slatori (Dracone e Solone, VII e VI sec. a.C.). E' solo questa l'e-poca in cui tutto il mondo greco si fecero i primi sforzi per met-tere per iscritto in forma permanente e pubblica norme che in precedenza avevano lo statuto più vago di consuetudini e la cui enunciazione meglio poteva essere distorta dalle aristocrazie dominanti depositarie di ogni forma di giustizia esistente9.Quelle antichissime leggi scritte non vennero, in un primo momento, chiamate nomoi, ma thesimoi (da themis). Euripide(V sec.) presenta l'emergere di leggi scritte come una progressi-va conquista tendente a mettere tutti i cittadini della polis sullo stesso piano10. Le leggi, una volta pubblicamente inscritte su pietra o su bronzo sono ugualmente conoscibili e accessibili per tutti; e quindi non più soggette all'enunciazione arbitraria della casta aristocratica.

1.1.5. Sacralità originaria della legge scritta.

Le leggi delle polis (leggi scritte) diventarono un tratto distinti-vo del quale i greci erano orgogliosi per distinguersi dai ‘barba-ri’, cioè dai ‘non greci’. Lo storico Erodoto11 mette in bocca a Demarato, il re fuggitivo da Sparta, a colloquio con Serse, re dei Persiani, questa frase: "se è vero che [gli Spartani] sono liberi non sono poi liberi in tutto: domina su loro un padrone, la legge, di cui hanno tutti timoroso rispetto, molto più ancora dei sudditi persiani nei confronti del re".

9 Il poeta Esiodo (VIII sec. a. C.) lamenta, ne Le Opere e i Giorni, 219, la iattura delle “tortuose sentenze” emesse da uomini-giudici “divoratori di doni”.10 Euripide nelle Supplici, v. 430-435, fa dire a Teseo: “Per uno Stato, nulla c’è di peggio d’un monarca assoluto, chè il primato non spetta a leggi valide per tutti, ma un uomo solo impera, chè s’è fatto lui per sé la sua legge, e l’uguaglianza a questo modo non c’è più. Se esistono leggi scritte, eguaglianza di diritti ha il ricco come il povero”.11 Erodoto, Storie, VII, 104.

I. Le leggi nel pensiero greco

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1.2. Le riflessioni dei filosofi greci sul diritto e la giustizia

1.2.1. L’origine della polis e del diritto.

Platone (427-347 a.C.), in una delle sue prime opere, il ‘Prota-gora’, tocca la questione della vita urbana, spiegando che l'uo-mo primitivo, mentre aveva la capacità di procurarsi cibo, era incapace, come singolo, di difendersi dagli animali selvatici12.L'uomo, allora, era privo della socialità (politike techne, tradotta letteralmente e imperfettamente come ‘arte politica’), cioè del-la capacità di vivere in ‘comunità’ con gli altri. Ma gli uomini appresero la necessità di unirsi per sconfiggere le minacce del mondo selvaggio e si salvarono fondando villaggi. Non avevano bisogno di leggi esplicite, ma vivevano secondo la consuetudine e le norme patriarcali (themis e dike), mentre progressivamente i loro raggruppamenti si coagulavano in comunità più vaste (le polis).

Aristotele (384-321 a.C.) presentava l'origine della vita civile come uno sviluppo organico, dipendente dall’accumularsi pro-gressivo e naturale di unità, che partiva dalla famiglia e da essa si evolveva fino alla città o Stato (polis), attraverso l'unione di villaggi vicini13. Ciò che della concezione aristotelica ha un'im-

12 Platone, Protagora: “Gli uomini dapprincipio vivevano dispersi, e non vi erano città; venivano quindi uccisi dalle belve … Vollero fare il tentativo di riunirsi e di sal-varsi fondando città. … Ma una volta riunitisi continuavano a commettere ingiustizie reciproche, dal momento che non possedevano una tecnica politica… Zeus … inviò allora Hermes per condurre tra gli uomini il rispetto [aidòs] e la giustizia (dividendoli tra tutti) e tutti ne siano partecipi” .13 Aristotele, Politica, I,1252b e 1253a : ‘ La prima comunità, che deriva dall’unione di più famiglie .. è il villaggio. … La comunità perfetta di più villaggi costituisce la città [polis]. …ogni città è un’istituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunità che la precedono. … l’uomo è un animale che per natura deve vivere in una città e chi non vive in una città, per sua natura e non per caso, o è un essere inferiore [una belva] o è più che un uomo [un dio]: è il caso del Ciclope che Omero chiama con scherno <senza parenti, senza leggi, senza focolare>”.

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portanza permanente è la sottolineatura del carattere naturale di questa aggregazione familiare e sociale. Sviluppando la sua idea secondo cui la natura di ogni cosa è di tendere sempre alla per-fezione del proprio ‘fine’, egli presentava alla città Stato come la perfezione della costruzione che ha per fine il vivere bene; e perciò l'istinto dell'uomo di unirsi in un'organizzazione sociale come qualcosa di naturale. Nella ‘Politica’ Aristotele usa queste parole: “da quanto argomentato] è evidente che la polis è un prodotto naturale e che l'uomo per natura è un essere socievole’.In altra parte della stessa opera definisce l’uomo greco che vive nella polis come politikon zoon (letteralmente tradotto come “a-nimale politico” o meglio “essere vivente in società”)14.

I sofisti. Nella ulteriore riflessione del ruolo dell'individuo di fronte alla polis la filosofia greca ha prefigurato la più diffusa è la più fruttuosa delle teorie politiche giuridiche europee, quella che (poi, ripresa nei secoli continuamente) fu detta del “contrat-to sociale”. Si tratta dell’idea che la sottomissione al governo e alle leggi (il dovere civico fondamentale) si fondi su un suppo-sto accordo originario di cui il singolo cittadino sia implicita-mente parte15. La scuola di pensiero denominata sofistica soste-neva, forse anche in relazione all'ambiguità del termine nomos,che poiché le usanze umane sono ampiamente e visibilmente di-verse di luogo in luogo, le leggi, anche nel senso di deliberazioni normative del comportamento umano, potevano forse essere considerate altrettanto relative e contingenti. In altri termini, la legge non possiede un qualche contributo morale in più rispetto alle usanze comunemente e con diverso contenuto osservate in

14 Aristotele, Politica, I, 1253a.15 Platone nel Critone espone, in buona sostanza, la stessa dottrina contrattualistica dei sofisti. Le leggi della pòlis vengono personificate e si rivolgono a Socrate, recluso e condannato a morte, sostenendo che sarebbe reo di un triplice delitto qualora fuggis-se dalla prigione: perché come cittadino era libero di scegliere un altro posto ove di-morare prima di sottoscrivere un patto di obbedienza alle leggi, sarebbe inoltre un de-litto contravvenire ai precetti delle leggi perché queste sono state nei suoi confronti genitrici e nutrici. La permanenza nella città viene configurata come comportamento concludente sufficiente ad esprimere un consenso implicito al patto originario con il quale fu fondata la convivenza civile.

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vari luoghi. Perché, si domandavano i sofisti, la disobbedienza alla legge (scritta) dovrebbe essere una colpa, se nessuno può razionalmente stigmatizzare il fatto che una tribù non osservi un'usanza riconosciuta da un'altra? I sofisti tendevano a rispon-dere che qualsiasi legge è meramente convenzionale, contingen-te, accidentale e mutevole. Questa considerazione aveva l'effet-to diretto di imprimere sulla legge il carattere dell'indifferenza e di strapparla agli ormeggi morali che creano il senso del dovere di obbedirle. A questo nomos ‘relativo’, i sofisti contrappone-vano la natura (phisis) che è immutabile16 . Non si trattava di quello che in epoche successive si sarebbe intesa per “legge di natura”, che la ragione è capace di scoprire, ma piuttosto l'uni-verso naturale ‘fisico’ e della natura istintuale dei suoi abitanti umani, identici in ogni luogo.

Questa formula era soltanto un dato empirico che acquistò una dimensione morale quando il sofista Antifonte sostenne (an-che questa è una teoria ripresa continuamente nei secoli) che la natura dell'uomo è di perseguire il proprio interesse17. Di conse-guenza la legge è una ‘violenza’ fatta alla natura nella misura in cui inibisce la ricerca incontrollata dell'interesse individuale.

Il riferimento alla natura considerata come qualcosa aventelegge e scopi sui propri che l'uomo non può modificare e che anzi incombono su di lui, è una prospettiva ‘biologico-naturalistica’. Tale versione del diritto naturale concepisce il principio di condotta come esterno all'uomo. Questa natura (physis) intesa come universo fisico è istinto (non la legge di na-tura che la ‘ragione’ è in grado di scoprire, come vuole il giusna-turalismo moderno). Il sofista Callicle (nel dialogo ‘Gorgia’ di Platone) va oltre l’orientamento razionalistico di Antifonte e giunge all'identificazione del diritto con la forza: se la natura

16 Platone, nel Gorgia, fa dire al sofista Callicle: “La natura e la legge sono, nella maggior parte dei casi, in contrasto l’una con l’altra”. Circa il rapporto nomos e physisla più importante fonte antica è un papiro contenente un frammento di Antifonte sofi-sta, DK 87 b 44 A: “… le norme di legge sono accessorie, quelle di natura essenziali; quelle di legge sono concordate, non native; quelle di natura sono native, non concor-date”.17 Antifonte, Sulla verità, fr. 44 A.

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mostra che il migliore prevale sul peggiore e il più capace sul meno capace, allora il criterio della giustizia è il dominio e la supremazia del più dotato sul più debole. Per Callicle la polis ele leggi positive sono un mezzo utilizzato dai deboli e dai me-diocri coalizzati per neutralizzare ed avere la meglio su coloro che superiori per natura hanno giustamente il comando18. Nel sofista Trasimaco il potere è ridotto a mera forza, e persegue l'interesse di chi è riuscito ad accaparrarselo; il diritto e la giusti-zia in sé per sé non hanno esistenza, non sono oggettivamente conoscibili, non hanno validità indipendentemente dal tempo19.

Il primo filosofo a sfidare (anche su questo tema) la posizio-ne dei sofisti fu Socrate (469-399 a.C.). Il filosofo (maestro di Platone e di Senofonte) terminò la sua esistenza con una con-danna a morte, cui avrebbe potuto scampare facilmente fuggen-do; la accettò perché era determinato a restare obbediente alle leggi della società, pur essendo ‘vittima’ innocente del loro in-giusto operare. Se Socrate avesse accolto la possibilità di fuga avrebbe “distrutto le leggi e con loro tutta la città” 20. Questa de-terminazione a sostenere la legge anche fino al sacrificio ingiu-sto della propria stessa vita dà una particolare forza all'elemento dell'accordo (del presupposto contratto sociale), considerato come la roccia sulla quale hanno le loro fondamenta sia lo Stato sia le leggi.

18 Platone, sempre nel Gorgia espone il seguente argomento di Callicle: “Secondo me coloro che hanno stabilito le leggi sono gli uomini deboli e la massa… per spaventare gli uomini più forti, quelli capaci di emergere su di loro”.19 Platone, La Repubblica, I, fa sostenere al sofista Trasimaco, contro Socrate: “Cia-scun governo istituisce leggi (nomoi) per il proprio utile; la democrazia fa leggi de-mocratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta che hanno fatto le leggi, eccoli proclamare che il giusto per i governati si identifica con ciò che è invece il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgres-sore sia della legge sia della giustizia. In ciò consiste quello che dico giusto, identico in tutte quante le poleis, l'utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre identico all'interesse del più forte”.20 Platone, Critone, 50 b.

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