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    Cassirer, Löwith: il pensiero allo specchioLa filosofia come compito e il compito della filosofia

    Nel 1917 Max Weber fu invitato a tenere due conferenze a Monaco, intitolaterispettivamente La scienza come professione  e La politica come professione 1.

    Ne La scienza come professione 2

      egli delinea il quadro della propria epoca definendolacome un’epoca di “politeismo dei valori”, di lotta tra gli dèi di diversi ordinamenti: sitratta di un contesto con il quale diventa problematico confrontarsi, per chi locomprende appieno, in quanto il sapere non è più in grado di fornire un fondamentorazionale che consenta di attribuire un senso complessivo al mondo. Ogni orientamentofondamentale della vita appare in ultima istanza basato su di una scelta fideistica la cuipretesa validità esclusiva è legittima tanto quanto qualunque altra. In un tale orizzonte difrantumazione e incertezza pare presentarsi un’unica alternativa al pensatore: sopportarecoraggiosamente lo smarrimento e il contrasto delle correnti tra loro opposte, oppurecompiere ciò che Weber definisce il “sacrificio dell’intelletto”, trovare rifugio tra lebraccia delle chiese, avendo così una sicurezza garantita dal secolare mantenimento della

    tradizione, a patto naturalmente di accettare la rinuncia al vaglio critico dei contenutidella fede3.Il quadro appena richiamato solleva diverse questioni. Da una lato il pensiero

    razionale viene a trovarsi nella condizione di perdere un primato che dall’Illuminismo inpoi pareva essergli stato accordato in via definitiva, dall’altro esso viene comunqueaffermato come un valore, la cui rinuncia viene connotata come un sacrificio. Tuttavia ilil pensiero e il sapere razionale si trovano in competizione con altri valori e incapaci difondare con i propri stessi mezzi la pretesa di valere come supremi in mezzo agli altri, diporsi in posizione di guida rispetto all’orientamento generale di un’epoca, quella a cavallodelle guerre mondiali, più che mai bisognosa di un indirizzamento generale. Inparticolare, ciò che pare mancare è la capacità del pensiero razionale di organizzarsi e

    orientarsi da un punto di vista esterno alle vicende del momento, a esse superiore e ingrado di fornire un punto di appoggio solido per giudicarle e agire in esse, sfuggendo cosìalla frammentazione e al disorientamento suscitato dalla moltiplicazione dei valori e delle

     visioni del mondo.Questi brevi cenni servono a delineare il campo storico e problematico entro il quale

    si muovono e riflettono due autori molto diversi tra loro, Ernst Cassirer e Karl Löwith.Esponenti di due diverse generazioni di pensatori, essi sono accomunatidall’interrogativo profondo riguardo al ruolo e alla responsabilità della filosofia rispetto alproprio tempo.

    Circa dieci anni dopo le conferenze tenute da Weber, l’11 agosto del 1928, Ernst

    Cassirer tenne un discorso in occasione del decimo anniversario della fondazione dellarepubblica di Weimar, dal titolo L’idea di costituzione repubblicana 4. Si tratta di un testod’occasione, animato da motivi politici e filosofici, e interessante per diverse ragioni. Nel

    1 Max Weber, Wissenschaft als Beruf (1917/19), Mohr, Tübingen, 1992, tr. it. a cura di P. VolontéLa scienza come professione , Bompiani, Milano, 2008.2  Dove professione traduce il tedesco Beruf , che in Weber mantiene la doppia accezione diprofessione e, etimologicamente, chiamata, vocazione. Per questo concetto cfr. Max Weber,L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, a cura di A. M. Marietti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli,Milano 1991.3 Cfr. La scienza come professione , p. 131.4

     Ernst Cassirer, Die Idee der republikanischen Verfassung: Rede zur Verfassungsfeier am 11. August 1928 , W. de Gruyter, Hamburg, 1929, tr. it. a cura di R. Pettoello L’idea di costituzione repubblicana ,Morcelliana, Brescia, 2013.

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    mezzo degli anni burrascosi della Repubblica di Weimar, mentre sull’Europa spirano già i venti dei fascismi e della reazione, a un anno di distanza dalla pubblicazione di  Essere etempo, Cassirer pronuncia un discorso per molti versi incongruo con la situazione storicadel suo tempo e nondimeno filosoficamente pregnante e emblematico dell’orientamentofondamentale del suo pensiero.

    Il testo testimonia una vigorosa professione di fede negli ideali repubblicani scaturitidal pensiero illuminista, in particolare nell’idea fondamentale dei diritti inalienabilidell’individuo e nella forma repubblicana di governo come quella capace di garantirnel’effettività. Di tali ideali, tradizionalmente posti in connessione con il pensiero francese ela Rivoluzione, si nutriva fondamentalmente la Costituzione di Weimar. Ciò che colpiscein particolare l’attenzione è la singolare mossa teorica tramite la quale Cassirer, al fine diperorare la causa della bontà della costituzione di Weimar, procede a inscrivere la storiadell’idea di costituzione repubblicana non nella tradizionale linea di derivazione francese5,ma in una genealogia schiettamente tedesca: in tal modo a Montesquieu, Voltaire,Diderot, d’Holbach e, soprattutto, Rousseau, Cassirer sostituisce Leibniz, seguito da

     Wolff 6. Già elogiato da Cassirer per la sua opera di traduzione del pensiero di Leibniz in

    forma scolastica e sistematica, che ne garantì la massima diffusione, Wollf ha anche ilmerito di aver seminato la scintilla dell’idea dei diritti naturali in ambito inglese. Grazieall’opera di Blackstone le idee originariamente scaturite dal pensiero di Leibniz trovanouna propria espressione politica nei Bills of Rights dei giovani Stati liberi americani, apartire dalla Dichiarazione dello stato libero della Virginia, risalente al 1776. Sarà ilmodello americano, tramite la mediazione di personaggi come il marchese de La Fayette,a influenzare direttamente la Costituente francese, almeno secondo la ricostruzioneofferta da Cassirer.

    Dopo aver mostrato, per così dire, la traduzione storica dell’idea nel fenomeno,Cassirer prosegue nel ricondurre nuovamente l’ideale repubblicano in ambito tedesco,grazie alla riflessione di Kant e Goethe sugli avvenimenti della Rivoluzione e sul loro

    significato. Questa operazione costituisce al contempo una provocazione e una captatiobenevolentiae , volta a rendere più accettabile al pubblico tedesco un’idea tradizionalmenteassociata a una nazione nemica, presentandola piuttosto come il frutto di un movimentodi pensiero genuinamente tedesco:

    “l’idea della costituzione repubblicana (...) non è affatto un che di estraneo, per nondire un intruso dall’esterno, nella storia spirituale tedesca nel suo complesso (...) essapiuttosto è sorta proprio sul suo terreno ed è stata alimentata dalle sue forze peculiari,dalle forze della filosofia idealistica”7.

    La ricostruzione di Cassirer non è dunque fine a se stessa, ma ha di mira lo scopo,

    politico, di sostenere la causa della Repubblica di Weimar e dei suoi principi fondativi,presentandoli come una scoperta e un’elaborazione tipicamente tedesche. Allo stessotempo, grazie all’appello al trascendentalismo kantiano, Cassirer intende mettere in luce il

     valore regolativo universale degli ideali cui si richiama:“(...) l’immersione nella storia dell’idea della costituzione repubblicana non deve

    essere rivolta soltanto all’indietro; essa deve piuttosto rafforzare in noi la fede e la fiducia

    5 La cui esposizione classica è quella elaborata da Hippolyte Taine nella sua opera storica, LesOrigines de la France Contemporaine , sez. 1, vol. I: L’ancien régime , Hachette, Paris 1909, tr. it. a cura diP. Bertolucci Le origini della Francia contemporanea. L’antico regime , Adelphi, Milano 1986.6 Che Rousseau non possa rappresentare la fonte dell’idea dei diritti inalienabili dell’individuo

     viene argomentato menzionando la nota clausola dell’alienazione completa dei propri diritti allacomunità da parte dell’individuo nel sesto capitolo de Il Contratto Sociale .7 L’idea di costituzione repubblicana , cit., p. 58.

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    che le forze dalle quali originariamente è sorta indicheranno a essa anche la via da seguireper il futuro e coopereranno, per parte loro, ad aprire la strada a questo futuro”8.

    Nella conclusione del discorso Cassirer esorta dunque a prendere ispirazione dallatradizione del pensiero tedesco per proseguire sulla strada da essa indicata, in un’ottica diprogresso complessivo della ragione e della cultura nelle loro acquisizioni e del

    conseguente effetto benefico sulla prassi politica.Questo intento si collega al secondo tema sotteso alla conferenza, quellodell’influenza del pensiero filosofico sull’azione politica, del “rapporto fra teoria eprassi”9. Fin dall’incipit, Cassirer afferma:

    “(...) si presenta ovunque una vitale azione reciproca tra il mondo del pensiero e ilmondo dell’azione, tra la costruzione delle idee e la costruzione della realtà statuale esociale”10.

    La convinzione di Cassirer è genuina? Sebbene l’impianto argomentativo e l’intentodichiarato della conferenza sembrino andare in questa direzione, si può evidenziarealmeno una nota dubitativa nella citazione che Cassirer inserisce delle caustiche parole diHeine, volte a ironizzare sulla concezione che vede nell’uomo d’azione l’inconsapevole

    esecutore di quanto tracciato in precedenza dal teorico, in Robespierre la “manosanguinosa di Rousseau”11. Oltre che a problematizzare la natura del rapporto trariflessione filosofica e azione politica, la frase di Heine ha l’effetto di gettare una lucesinistra su questa relazione, preannunciando in un certo senso quella che, negli ultimianni di vita di Cassirer, rappresenterà la questione dirimente e non aggirabile della suariflessione. Di fronte al trauma storico e personale, Cassirer sarà indotto a estendere laquestione fino alla discussione della responsabilità umana, politica e sociale della filosofiae della sua stessa finalità.

    Con il fallimento dell’esperienza di Weimar e l’avvento del nazismo Cassirer, che dal1930 era stato il primo rettore di origine ebraica di un’università tedesca, sarà costretto ad

    abbandonare la propria posizione e la Germania, dovendo così rinegoziare radicalmenteil proprio rapporto con il paese d’origine12. Posto di fronte alla brutale realtà costituita dalregime nazista e all’adesione di massa da parte della popolazione tedesca, negli anni ’30 e’40 Cassirer si trova a effettuare un’operazione di profonda autocritica, che lo porta arivedere alcuni assunti fondamentali della propria riflessione e a interrogarsi sui limiti e leresponsabilità dell’operato dei filosofi. Se da un lato con questa considerazioneretrospettiva Cassirer mette in questione dei presupposti che lo avevano guidato nelcorso della propria opera, dall’altro le istanze fondamentali del lavoro di una vita

     vengono mantenute e riaffermate con forza di contro alla piega degli eventi. Taleautocritica si incentra principalmente su due punti fondamentali, tra loro interconnessi:

    1.  la revisione della concezione progressiva, ascendente, delle acquisizioni della

    ragione umana;

    8 Ivi, p. 58-59.9 Ivi. p. 34.10  Ivi. p. 33. Questo concetto verrà ripreso e discusso da Cassirer all’interno della sua ultimaproduzione.11 H. Heine, Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland , in Sämtliche Werke , hrsg. von J.Fränkel, O. Walzel, A. Leitzmann, Insel Verlag, Leipzig 1910, vol. VII, tr. it. a cura di P. ChiariniPer la storia della religione e della filosofia in Germania , in La Germania , Laterza, Bari 1972.12 Per una visione complessiva delle vicende biografiche di Cassirer cfr. l’introduzione a cura di

    D. P. Verene a Ernst Cassirer, Symbol, Myth and Culture. Essays and Lectures of Ernst Cassirer 1935- 1945 , Yale University Press, New Haven and London, 1979, tr. it. a cura di G. Ferrara, Simbolo,mito e cultura , Laterza, Bari 1981, in particolare pp. 18-27.

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    la riaffermazione del concetto cosmico di filosofia e del ruolo etico-morale chene consegue.

     A queste due linee portanti va aggiunto, come obiettivo polemico costantementepresente e termine ineludibile di confronto, il pensiero di Heidegger, la cui notorietàesplose a partire dal 1927.

    Per quanto riguarda il primo punto è necessario far riferimento, principalmente,all’elaborazione contenuta nella monumentale Filosofia delle forme simboliche 13, della qualeCassirer metterà in discussione uno dei presupposti fondamentali, quello secondo il qualele forme simboliche si succedono secondo un progresso orientato verso una crescenterazionalità e libertà dal dato sensibile, e tale progresso rappresenterebbe un possessostabile, una conquista assicurata. In questa sua originale elaborazione teoretica, Cassireraveva esteso il campo della riflessione ad ambiti non inclusi nell’indagine delle tre Critiche  kantiane, applicando a essi un metodo di indagine trascendentale. In tal modo egli avevapotuto affermare che la critica della ragione diviene così critica della civiltà”14, e attribuireuna degna considerazione teoretica a modi dell’attività formatrice dell’uomo che esulanodalla conoscenza scientifica.

    Secondo lo svolgimento della riflessione cassireriana la ragione umana acquisisce, nelcorso dello sviluppo culturale, la capacità di elaborare forme simboliche sempre piùcomplesse e progredite. Tramite la produzione di forme la ragione, l’uomo, è in grado dirapportarsi al mondo e dotarlo di significato, grazie alla capacità di innalzare il fattualeall’ideale, trasformando ciò che all’inizio del percorso si presenta come una sorta ditirannia della sensazione negli oggetti mediati della cultura. In tale processo, le formesimboliche successive subentrano a quelle precedenti, sostituendole o sussumendolesotto un’elaborazione ulteriore. Attraverso varie tappe l’uomo progredisce così nellacostituzione della civiltà, nella conoscenza dell’oggetto e nella coscienza di sé. Sottesa allostudio e all’esposizione vi erano la fiducia e l’intimo convincimento che le successiveconquiste della ragione umana fossero alla maniera di abilità dalle quali non è più

    possibile separarsi, che, in altre parole, non vi fosse necessità di vegliare sulmantenimento dei traguardi raggiunti.La considerazione teoretica delle forme simboliche si inserisce come parte

    fondamentale in una filosofia della cultura, dove con cultura si intende “un insiemeorganico di attività verbali e morali: attività cioè che non siano concepite in terminipuramente astratti, ma mostrino la costante tendenza alla realizzazione (...) questacostruzione e ricostruzione del mondo empirico – è parte integrante del concetto stessodi cultura”15.

    Il valore oggettivo delle forme della cultura è quello della costituzione di un mondocomune, cui ogni intelligenza partecipa. In questo senso la costituzione e l’ampliamentodelle facoltà razionali e dello studio teoretico delle forme simboliche si apre

    immediatamente all’ambito dell’intersoggettività:“lo scopo principale di tutte le forme della cultura consiste (...) nel compito diedificare un mondo comune del pensiero e del sentimento, un mondo umano che vuolessere un koinòn kósmon  e non un sogno individuale (...)”16.

    13  Ernst Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen , 3 Bd., Bruno Cassirer Verlag, Berlin 1923,1925 e 1929; tr. it. a cura di E. Arnaud Filosofia delle forme simboliche , 3 voll. in 4 tomi, La NuovaItalia, Firenze 1961, 1964 e 1966.14 Filosofia delle forme simboliche , vol. 1, p. 12.15 L’idealismo critico come filosofia della cultura , (1936), in Simbolo mito e cultura , p. 74.16

     L’idealismo critico come filosofia della cultura , in Simbolo mito e cultura , p. 81. Cassirer fa riferimentocon queste parole alla sentenza di Eraclito secondo la quale in stato di veglia gli uominicondividono un mondo e un sistema di riferimenti che permettono l’orientamento in esso,

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    In quello che è stato descritto come uno schema evolutivo ascendente, ispirato alprocedere della filosofia hegeliana, Cassirer delineava un’evoluzione progressiva dellediverse forme simboliche e delle corrispondenti attività della ragione umana17. Taleevoluzione era poi legata, kantianamente, a un fine pratico:

    “Possiamo quindi consentire con la concezione kantiana e hegeliana per cui il

    processo della cultura è il progredire della coscienza della libertà, giacché è a questacoscienza che si mira – ed è essa che viene attuandosi - in ogni processo di pensiero, volontà o sentimento che ci conduca da uno stato meramente passivo a una formadefinita di attività”18.

    La capacità simbolica dell’uomo è ciò che, in ultima analisi, garantisce la possibilitàdell’esistenza di una sfera etica, manifestando da un lato la libertà umana di distaccarsidall’immediatezza della sensazione e di ordinarne la materia secondo certe forme,mettendone in risalto aspetti via via diversi, e dall’altro la possibilità di rapportarsi su diun piano ideale alla materia fattuale dell’esperienza, trasponendo così la riflessione dalpiano dell’essere a quello del dover essere (si pensi, per esempio, alla considerazionesimbolica degli avvenimenti storici esemplificata ne L’idea di costituzione repubblicana  ). In

    questo legame le produzioni simboliche, con il loro progresso in fatto di razionalità ecapacità di conoscere e di formare dell’uomo sembravano promuovere, agli occhi diCassirer, un parallelo progresso in campo etico-pratico. Tale progresso sarebbe statomanifesto nella diffusione e consolidamento di valori e dei principi alla loro base, e nellaloro graduale traduzione storica entro forme di governo a essi adeguate, in un’ottica nonlontana da quella esposta da Kant nei propri scritti dedicati all’indagine filosofica delproblema della destinazione dell’uomo in rapporto al piano empirico della storia19.

    Negli anni ’40, attraverso The Myth of the State   e i saggi a esso collegati20, Cassirerritorna su questa posizione, dovendosi dolorosamente trovare ad ammettere che formedi pensiero reputate superate e primitive, in particolar modo quelle legate alla

    concettualità mitica, costituiscono invece una possibilità sempre presente nell’animoumano:“noi eravamo persuasi che il mito appartenesse a uno stadio culturale e mentale

    consegnato definitivamente al passato. Che questa forma ‘primitiva’ potesse resuscitare(...) era qualcosa che contraddiceva le nostre convinzioni più radicate. Il ‘mito del

    laddove l’esperienza del sonno e del sogno si connota per la sua esclusività e privatezza (fr. 89Diels).17 Per questa definizione cfr. R. Pettoello, Introduzione a L’idea di costituzione repubblicana , p. 8,dove l’interprete parla di inveramento e trasfigurazione di alcune forme simboliche in altre,superiori, processo che conduce alla dissoluzione delle forme di partenza. Nella Prefazione al

    secondo volume della Filosofia delle forme simboliche , Il pensiero mitico, p. XIV, Cassirer si riferisceesplicitamente alla Fenomenologia dello spirito  di Hegel, inscrivendo la questione del mito “nellacerchia generale di problemi che Hegel ha contrassegnato come ‘fenomenologia dello spirito’”.Per un’analisi dei rapporti tra Cassirer e Hegel, in particolare a riguardo del pensiero mitico, cfr.Leo Lugarini, Cassirer e il mito come problema filosofico, in «aut aut», 101, settembre 1967.18 L’idealismo critico come filosofia della cultura , in Simbolo mito e cultura , p. 98.19 In particolare: Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico  (1784), Inizio congetturaledella storia degli uomini  (1786), Per la pace perpetua  (1795), Il conflitto delle facoltà . In tre parti. Seconda parte.Il conflitto della facoltà filosofica con quella giuridica. Riproposizione della questione: se il genere umano sia incostante progresso verso il meglio (1798) raccolti in Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli,Laterza, Roma-Bari, 1995. 20 Ernst Cassirer, The Myth of the State , Yale University Press, 1946, pubblicato postumo, tr. it. a

    cura di C. Pellizzi Il mito dello stato, SE, Milano, 2010. Per i saggi, cfr. in particolare Filosofia e politica  (1944), Il giudaismo e i miti politici moderni   (1944), La tecnica dei nostri miti politici moderni (1945) , raccolti in Simbolo, mito e cultura .

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     ventesimo secolo’ non aveva termini di confronto né precedenti; esso giunse come unasmentita di tutti i nostri principi intellettuali”21.

     All’analisi del ritorno di forme di pensiero tipiche della coscienza mitica Cassirerdedica i suoi ultimi lavori. Nella sua elaborazione teoretica precedente il mito emergevacome oggetto di indagine filosofica, in quanto espressione fondamentale e primigenia

    della capacità formatrice della ragione umana, la cui nascita è strettamente legata a quelladel linguaggio. La forma simbolica mitica sarebbe stata poi superata da forme piùcomplesse e via via sempre più astratte, mantenendo tracce della sua presenza primigeniain manifestazioni più elevate dello spirito umano, come ad esempio quelle artistiche.L’interesse dell’elevazione delle forme di coscienza mitica a oggetto di studio filosoficorisiedeva nel fatto che in esse si poteva rintracciare per la prima volta operativa quellacapacità umana di rivolgersi attivamente verso il mondo circostante e di imporvi unordine, che Cassirer pone alla base di ogni produzione spirituale, inclusa quellascientifica.

     Tuttavia l’aver creduto nella stabilità di questo superamento costituì, a posteriori, ilgrande errore di Cassirer e di chi, come lui, filosofava immerso nell’imperturbabile

    convincimento dell’avvenuto trionfo della ragione. Con i suoi ultimi lavori Cassirer tentadi rimediare alla sua insufficiente lungimiranza tracciando le linee guida di un’analisi delritorno e della trasformazione del mito.

    Il riemergere delle forme di pensiero mitico, per loro natura strettamente collegatealla natura sociale e politica dell’uomo, venne, nella ricostruzione di Cassirer, ampiamentesollecitato e sfruttato da parte dell’ideologia e della propaganda naziste, al fine di coltivareil consenso e livellare la capacità critica della popolazione nei confronti del regime. Daespressione di un libero gioco dell’immaginazione il pensiero mitico venne trasformato inun processo artificiale ed eterodiretto, innescato, diffuso e alimentato dall’alto secondoun piano ben delineato e finalizzato. Tale azione, definita una vera e propria “tecnica didominio ignota a tutte le età precedenti”22, fu, nella lettura di Cassirer, preparata in una

    certa misura dall’elaborazione filosofica e di pensiero a essa precedente23

    , che andò ainteragire con il clima di sfiducia, difficoltà materiale e tensione sociale degli anni delprimo dopoguerra.

    La polemica di Cassirer si incentra in particolare su opere come Il tramonto dell’occidente  di Spengler24, Il mito del xx secolo  di Rosenberg 25, On Heroes   di Carlyle26, il Saggio  diGobineau27 e, soprattutto, Essere e tempo di Heidegger28. Esse avrebbero significativamente

    21 Cfr. Il giudaismo e i miti politici moderni , in Simbolo mito e cultura , pp. 238-239.22 Cfr. La tecnica dei nostri miti politici moderni , in Simbolo mito e cultura , p. 256.23  Cfr. Il giudaismo e i miti politici moderni , in Simbolo mito e cultura , pp. 237-238: è stata precisaresponsabilità della filosofia quella di aver fornito le “armi spirituali, destinate a completare e

    perfezionare le armi materiali” durante il periodo compreso tra le due guerre mondiali. Cassirerinterpreta questo periodo come una prosecuzione della guerra con altri mezzi, in modo nonsostanzialmente diverso dallo Schmitt de Il concetto del politico. È degna di nota l’assonanza traqueste parole di Cassirer e quelle di Marx contenute nella Introduzione alla Critica della Filosofia deldiritto di Hegel , secondo le quali la filosofia fornisce al proletariato le sue armi spirituali.24 Oswald Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte , 2 voll., Wien (1918) e München (1922); tr. it. a cura di S. Zecchi e di J. Evola Il tramonto dell'Occidente.Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale , Parma (2002).25 Alfred Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelisch-geistigen Gestaltenkämpfeunserer Zeit , München, 1930, tr. it. a cura di Paolo Castruccio Il mito del 20° secolo: la lotta per i valori ,Edizioni del Basilisco, Genova 1981. 26 Thomas Carlyle, On Heroes, Hero Worship, and the Heroic in History , London 1841, tr. it. a cura di

    R. Campanini Gli eroi e il culto degli eroi e l'eroico nella storia, UTET, Torino, 1954.27 Arthur de Gobineu,  Essai sur l'inégalité des Races humaines , Didot, Paris, 1853, 1855, tr. it. a curadi M. L. Spaziani Sull'ineguaglianza delle razze , Longanesi, Milano, 1965. 

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    contribuito a creare, grazie alla loro vasta diffusione, un clima culturale capace di aderirea forme di pensiero e di politica improntate all’irrazionalità e facenti leva su emozioni ebisogni primordiali29.

    Uno degli effetti più disastrosi individuati da Cassirer nella sua analisi del risvegliodella coscienza mitica consiste nello smarrimento del senso della responsabilità

    individuale, con il conseguente tracollo dei valori etici e morali. Per argomentare talefenomeno Cassirer si rifà alla definizione di mito come desiderio collettivo personificato,elaborata da Edmond Doutté30. Ai demoni e alle presenze spirituali della mitologiaprimitiva succede la figura del capo, la cui persona diviene il centro focale el’incarnazione del desiderio collettivo. Il capo moderno assume le prerogative e i poteridello stregone tribale: ha la funzione di signore assoluto, si presta all’attribuzione dipoteri taumaturgici nei confronti della società, è in grado di pronunciare profezie sulfuturo. Tutti gli sguardi sono rivolti a lui e l’azione si collettivizza nella ripetizione di riti edi parole d’ordine31. Il rito, in particolar modo, con la sua ripetitività e l’introiezione dischemi comportamentali e mentali forniti dal vertice che suscita, ha l’effetto di sollevareil singolo dal proprio senso di responsabilità individuale: “(...) in tutte le società primitive

    dominate e governate dai riti la responsabilità individuale è sconosciuta, esiste solo laresponsabilità collettiva. Il ‘soggetto morale’ non è l’individuo, bensì il gruppo”32.Dal punto di vista dell’elaborazione filosofica tale fenomeno viene agevolato sul

    piano della teoria tramite l’accento posto su concetti quali quelli di “destino” e di“esistenza”, a loro volta parte importante del lessico di regime del tempo. Su questopunto il confronto con Heidegger, della cui opera si è potuto affermare che conferì“serietà filosofica e rispettabilità professionale alla tresca con l’irrazionalità e con la mortedi cui tanti tedeschi furono schiavi in quegli anni duri”33, è dirimente.

    28 Martin Heidegger, Sein und Zeit , 1927, in Heidegger-Gesamtausgabe , Bd. 2, Abt. 1, VeröffentlichteSchriften  1914 – 1970, Hrsg. von F. – W. v. Herrmann, Klostermann, Frankfurt am Main 1977, tr.it. a cura di F. Volpi sulla versione di P. Chiodi Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2005.29 Cfr. Ernst Cassirer, Sprache und Mythos. Ein Beitrag zum Problem der Götternamen , Leipzig 1925, tr.it. a cura di V. E. Alfieri Linguaggio e mito. Contributo al problema dei nomi degli dèi , Il Saggiatore,Milano 1961, in particolare Capitolo terzo: l’insorgere del concetto mitico, formazionequalitativamente e funzionalmente diversa da quella del concetto della conoscenza teoretica, èaccompagnato da una scarica travolgente di paura e speranza, definite da Cassirer ne La tecnica deinostri miti politici moderni   le “più generali e profonde” tra le emozioni umane (in Simbolo mito ecultura , p. 262).30 Edmond Doutté,  Magie et religion dans l’Afrique du Nord , p. 601, citato in Cassirer, Il mito dello

    stato, p. 298.31  L’azione sul linguaggio è un elemento fondamentale della tecnica del mito politico: il vocabolario viene alterato e arricchito con parole di nuovo conio o risemantizzate. Si crea unlessico di regime improntato all’espressione dell’emotività viscerale, violenta, e tale da far ricadereil linguaggio nella sua funzione magica. Cfr. Il mito dello stato, pp. 300-302. Per un’analisi delleorigini dei fenomeni di ritualizzazione della vita collettiva, della creazione e diffusione dellasimbolica e delle parole d’ordine nazionaliste in un’ottica storico – processuale più ampia cfr.George L. Mosse, The Nationalization of the Masses: Political Symbolism and Mass Movements in Germany from the Napoleonic Wars through the Third Reich , Howard Fertig, New York 1975.32 Ivi, p. 302.33 Peter Gay, Weimar culture: the outsider as insider , Penguin, Harmondsworth, 1974, tr. it. a cura diC. Cases La cultura di Weimar , Dedalo, Bari 1978, pp. 116-17; nelle righe precedenti si legge “I

    termini chiave della sua filosofia non furono dopotutto desueti (...) parole come angoscia, pena,nulla, esistenza, decisione e morte (...) erano tutti termini che già poeti e scrittori di teatroespressionisti avevano reso familiari (...)”. 

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    La lettura cassireriana di Heidegger non può prescindere dalla prospettivatrascendentale della sua filosofia. L’idealismo critico, così come egli non cessa diaffermare, produce una filosofia della cultura, nella quale l’analisi delle condizioni dipossibilità della produzione di forme simboliche conduce necessariamente al problemaetico: una considerazione filosofica deve svilupparsi sistematicamente secondo un

    principio, e il principio non può trarsi empiricamente dalla materia osservata, ma deve venire imposto a essa a partire dalla ragione, in base al fondamento della libertà. Tenendo a mente questi brevi cenni, è possibile comprendere il senso delle obiezioni

    di Cassirer a ciò che egli chiama l’ Existenzialphilosophie  di Heidegger34. Cassirer caratterizzatale orientamento come una “antropologia filosofica”, la quale “pretende di esserel’interpretazione autentica di ciò che può dirsi l’esistenza dell’uomo”35. Ma il concetto diesistenza rimane ambiguo: tramite esso non vengono sfiorati i problemi attinenti alrapporto tra libertà e necessità, in quanto esso si muove interamente su un piano di“Essere oggettivo”, laddove la considerazione dell’uomo, per Cassirer, non può checondurre al piano del “valore oggettivo”36, del dover essere.

    È proprio sul rapporto tra la nozione di Dasein  e la concezione della libertà umana

    che si incentrò il famoso confronto pubblico tra Heidegger e Cassirer avvenuto a Davosnel 1929. Durante tale incontro il tema fu veicolato dalla discussione delle differentiposizioni dei due pensatori a riguardo della filosofia kantiana, emergendo tuttavia a piùriprese con chiarezza e in modo diretto nelle parole dei due filosofi 37. Facendoriferimento a concetti fondamentali della filosofia heideggeriana, Cassirer affermadurante uno dei suoi interventi che “la filosofia può liberare l’uomo soltanto nella misurain cui egli può venir liberato. Così, sicuramente lo libera dalla paura in quanto mero statoemotivo. Ma lo scopo ultimo è la libertà in senso diverso, ossia di chi si è sbarazzato diogni paura del mondo reale (è il goethiano Werft die Angst des Irschen von Euch!  ). È questa laposizione idealistica dalla quale non mi sono mai allontanato”38.

    Il rimprovero di Cassirer a Heidegger si delinea come rimprovero per il permanere

    nella dimensione del particolare, rinunciando ad affermare quell’universale che inveceCassirer trova nella forma e che oppone alla considerazione dell’ Existenzialphilosophie . Lacapacità di innalzarsi alla forma è ciò che testimonia fondamentalmente l’esercizio della

    34 Cassirer si riferisce in tal modo alla filosofia di Heidegger. Come noto Heidegger, in Letterasull’«Umanismo» rifiuta l'appellativo di esistenzialista che gli era stato affibbiato dopo la ripresa di Essere e Tempo ad opera di Sartre. Heidegger preferirebbe parlare, a proposito della propriaelaborazione, di ermeneutica o di analitica dell'esistenza. Cfr. Martin Heidegger, Brief über den“Humanismus”  (1946), in Heidegger Gesamtausgabe , Bd. 9, Wegmarken (1919–1961), Hrsg. F.-W. vonHerrmann, 1976; tr. it. a cura di F. Volpi Lettera sull’«Umanismo» , Adelphi, Milano 1995.35 Cfr. L’idealismo critico come filosofia della cultura , 1936, in Simbolo mito e cultura , p. 90.36 Ibid .37  Cfr. Heidegger, Gesamtausgabe , Bd. 3 Kant und das Problem der Metaphysik, Hrsg. F.-W. v.Herrmann, Klostermann, Frankfurt am Main 1990, in particolare pp. 255-311, per i testi originali.Per un resoconto dell’epoca cfr. «Davoser Revue. Zeitschrift für Literatur, Wissenschaft, Kunstund Sport», IV Jahrgang, Nummer 7, 15 aprile 1929. Il volume di G. Schneeberger, Ergänzungenzu einer Heidegger-Bibliographie , Bern 1960, contiene al suo interno una testimonianza di O. F.Bollnow e J. Ritter, a sua volta tradotta in inglese in C. H. Hamburg,  A Cassirer-Heidegger Seminar ,in «Philosophy and Phenomenological Research», 25, 1964, pp. 208-222. La stessa testimonianzadi Bollnow e Ritter è stata resa pubblica in una versione ampliata nell’edizione francese a cura diP. Aubenque, J.-M. Fataud e P. Quillet, Débat sur le kantisme et la philosophie (Davos, mars 1929) etautres textes de 1929-31, Beauchesne, Paris 1972. Per un contributo recente alla discussionesull’incontro cfr. F. Cecchetto, Distruggere e costruire. Heidegger e Cassirer a Davos , Il Poligrafo,

    Padova, 2012.38  Cfr. C. H. Hamburg,  A Cassirer-Heidegger Seminar , in «Philosophy and PhenomenologicalResearch», 25, 1964, p. 218, citato in Simbolo, mito e cultura , p. 42.

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    libertà da parte dell’uomo. È questa in fondo la stessa obiezione che egli aveva sollevatonei loro scambi precedenti quando, in risposta alle critiche mosse da Heidegger neiconfronti del secondo volume della Filosofia delle forme simboliche 39, aveva riaffermato lapropria indagine sulle condizioni di possibilità del tempo-forma “in quanto condizione dipossibilità di porre un ‘essere’ il quale trascenda l’esistenzialità del particolare”40.

    Non sembra esservi comunicazione possibile tra quanto appena affermato e il“differente concetto di libertà” di Heidegger, come egli lo illustra nella sua risposta diDavos a Cassirer: “(...) liberazione vuol dire divenire propriamente liberi per la finitezzadell’esistenza ed entrare nella Geworfenheit ”41. L’individuo non è responsabile della propriaGeworfenheit , ma è a partire dal proprio essere reale, dall’essere legato al proprio corpo e a“ciò che c’è ( Seiendem  )”, che deve “aprirsi a forza la strada attraverso di esso” tramite“irruzioni”, durante le quali, ma solo raramente e in modo contingente e casuale, “l’uomoriesce a esistere nella pienezza delle proprie possibilità”42.

    Franz Rosenzweig, nel breve scritto Vertäuschte Fronten 43, fornisce un punto di vistainteressante sull’incontro di Davos. Con una metafora prettamente bellica, Rosenzweigcaratterizza il dialogo tra i due filosofi come uno scambio di fronti: Cassirer, portavoce

    del vecchio kantismo di Marburgo, si misura con un Heidegger che, nella lettura diRosenzweig, si era fatto erede della svolta di pensiero effettuata da Cohen al terminedella propria produzione44. Questo contatto tra Heidegger e l’ultimo Cohen starebbenella scelta del punto di partenza del filosofare, ovvero l’individuo effettivo, con latransitorietà dei suoi stati emotivi e sentimenti, di contro all’eternità della cultura. Setuttavia Cohen inscriveva la considerazione filosofica dell’individuum quand même  entro unorizzonte religioso, Heidegger rinuncia a porre la questione dell’eterno, pervenendo a unaconsiderazione temporale dell’uomo che non può e non vuole sollevarsi da taletemporalità.

    Ma, tornando a Cassirer, la libertà dell’uomo non può essere un qualcosa che sieserciti di tanto in tanto, a certe condizioni casuali e nell’immersione completa all’interno

    di ciò che è dato. La libertà è da intendersi in senso etico come autonomia, secondo ilconcetto kantiano dell’agire in base alla regola che ci si è autonomamente imposti,guadagnando così uno sguardo rivolto all’universale e non al contingente45. Quellacondizione cui Heidegger dà il nome di Geworfenheit  viene accostata dal Cassirer de Il mito

    39 Cfr. la recensione di Heidegger al secondo volume della Filosofia delle forme simboliche , apparsanella «Deutsche Literaturzeitung », 21, 1928, pp. 1011-1012, citata inSimbolo, mito e cultura , cit., p. 38.40 Ernst Cassirer, Filosofia delle forme simboliche , vol. III, 1, p. 218, nota.41 Con questa espressione, ottenuta sostantivando il participio passato del verbo werfen , gettare,Heidegger si riferisce allo stato in cui l’uomo, nella sua fatticità, si trova a essere, e in cui ignora lasua provenienza e la sua destinazione (cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, §§ 29, 31, 38, 58, 68 b). In

    italiano il termine viene reso con le traduzioni “esser - gettato”, “gettatezza”; per riferirsi a esso difronte a un pubblico anglofono Cassirer adotta l’espressione “the being-thrown” (cfr. The Myth ofthe State , cit., p. 293).42 Cfr. C. H. Hamburg, A Cassirer-Heidegger Seminar , cit., p. 219.43 Cfr. F. Rosenzweig, Kleinere Schriften , Schocken Verlag/Jüdischer Buchverlag, Berlin 1937, pp.354-356. Karl Löwith commenta queste pagine in apertura al suo saggio  M. Heidegger e F.Rosenzweig. Ein Nachtrag zu “Sein und Zeit” , «Zeitschrift für philosophische Forschung», vol XII,1958, pp. 161-188, originariamente apparso in America con il titolo M. Heidegger e F. Rosenzweig, orTemporality and Eternity , «Philosophy and Phenomenological Research», 3, 1942, pp. 53-77; latraduzione italiana, a cura di E. Greblo e M. Pelloni, è condotta sul testo tedesco e intitolata  M.Heidegger e F. Rosenzweig. Poscritto a “Essere e tempo” , « aut aut » , 222, novembre-dicembre 1987, pp.76-102.44

     H. Cohen, Die Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums , Leipzig, 1919, tr. it. a cura di A.Poma Religione della ragione dalle fonti dell'ebraismo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1994. 

    45 Cfr. Cassirer, Il mito dello Stato, p. 305.

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    dello stato al concetto di destino, “uno dei più antichi motivi mitici”46, che egli ritrova ne Iltramonto dell’Occidente . Per Cassirer l’atteggiamento di resa e consegna al destino, allasituazione storica contingente, è uno degli aspetti più deplorevoli del libro di Spengler,del quale egli addita con crudezza la mancanza di scientificità e l’analogia che si puòstabilire tra esso e l’opera di un astrologo. Spengler concludeva le proprie profezie sulla

    fine della cultura occidentale con l’esortazione a cavalcare l’onda di questa distruzioneper creare un mondo nuovo e su di esso costruire una nuova forma di dominio tecnico epolitico. “La stessa tendenza di pensiero appare nell’opera di un filosofo tedescomoderno, che, a prima vista, sembra avere molto poco in comune con Spengler (...)” 47.Nel 1945 Cassirer non risparmia un attacco diretto all’avversario. Il terreno della teoriafilosofica deve adesso fare i conti con la prassi. Il concetto di Geworfenheit  conduce allaresa nei confronti delle condizioni storiche della nostra esistenza. Se esse si presentanocome ineluttabili, il passo verso la considerazione mitica è ormai breve. E se Cassirer,poche righe dopo, si astiene dall’affermare una relazione diretta  tra le dottrine filosofichedi Heidegger e lo sviluppo dell’ideologia politica nazista, è certo che, nella suainterpretazione, esse ebbero come minimo l’effetto di minare e indebolire la capacità di

    resistenza razionale all’avvento dei miti politici moderni48

    .

    Queste considerazioni conducono al secondo punto fondamentale della criticaretrospettiva di Cassirer, quello relativo al compito e alla concezione della filosofia. Come

     visto in precedenza, Cassirer aveva già posto da tempo il problema del rapporto tral’elaborazione filosofica e l’azione politica. Questa questione viene risollevata in Filosofia e

     politica , testo redatto nel 194449. In esso viene criticamente esposta l’idea per cui, essendol’agire umano determinato da impulsi, emozioni e dalla sfera dei bisogni immediati, lafilosofia non avrebbe alcun punto di contatto con il “mondo reale”, con l’ambitodell’azione, della pratica e in particolare dell’agire politico. Di contro a questa visione chesepara nettamente un ambito dall’altro Cassirer afferma: “Ad ogni grande crisi

    intervenuta nei pensieri dell’uomo si è di solito accompagnata una crisi profonda nellasua condotta morale e sociale”50.Per esemplificare il suo pensiero egli si rifà, riprendendo la tematica dell’Idea di

    costituzione repubblicana , alla difesa illuministica dei principi posti alla base delladichiarazione di indipendenza americana, della carta dei diritti della Virginia, delladichiarazione universale dei diritti dell’uomo, della rivoluzione francese. Nella sua visionetutti questi atti politici sono stati sorretti da un movimento di pensiero che ha riflettutosui loro fondamenti, li ha difesi, esaltati e diffusi, con un effetto di ricaduta positiva sulmodo generale di sentire del pubblico, partecipe di quel mondo comune il cui campo

     viene aperto e edificato dalla produzione culturale. Il massimo esaltatore di questoprocesso di interazione positiva tra i fatti storici e la loro concettualizzazione filosofica è

    Kant. Cassirer fa riferimento qui alla valutazione kantiana della Rivoluzione francese, percui l’importanza di questo evento, ciò che la fa diventare un avvenimento e non una merarassegna di fatti di cronaca storica, è l’effetto di partecipazione da essa esercitato sulpubblico, sugli spettatori. È la natura disinteressata e appassionata di tale partecipazioneche testimonia “nella natura umana una disposizione a una facoltà per il meglio (...)”51.

    Se nel testo del 1928 Cassirer si arrestava a questo punto della ricostruzione, ponendol’attualità della Repubblica di Weimar in continuità con quel movimento di pensiero, egli

    46 Ivi., p. 308.47 Ivi., p. 310.48 Ivi. p. 311.49

     Cfr. Filosofia e politica , in Simbolo mito e cultura , p. 223 ss.50 Ivi. p. 224.51 Ivi, p. 227, e cfr. I. Kant, Il conflitto delle facoltà , cit., pp. 228-229.

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    pone adesso a tema la questione della perdita di contatto, in Germania, con la tradizioneculturale dell’Illuminismo, frattura drammaticamente testimoniata dal crollo dellarepubblica e dall’ascesa del nazismo. Egli individua retrospettivamente il filo conduttorein quelle correnti di pensiero sorte all’indomani della Rivoluzione e delle guerrenapoleoniche, che fecero affondare il valore e la difesa dei principi illuministici nella

    reazione. Da un lato Cassirer punta il dito contro il romanticismo, con la sua svalutazionedell’agire politico e la critica esplicita all’idea dei diritti naturali dell’uomo, dall’altro dàdella filosofia hegeliana un’interpretazione in chiave reazionaria e oppressiva52. Con unasorta di rassegnazione, il pensiero filosofico ha abbandonato allora l’idea di poterriformare il mondo ritirandosi nella sfera dell’analisi epistemologica.

    Non vi è dubbio che l’analisi dei fondamenti e delle condizioni del sapere razionale,cui Cassirer aveva dedicato tanta parte della propria riflessione, rivesta un’importanzacentrale per la filosofia, come Cassirer aveva debitamente messo in luce nel corso dellasua elaborazione teoretica. Tuttavia, se si limita a ciò la filosofia viene meno al proprioruolo etico-pratico, definito riprendendo la distinzione kantiana tra il concetto scolastico( Schulbegriff  ) e quello cosmico ( Weltbegriff   o conceptus cosmicus  ) della filosofia53. In accordo

    con questa distinzione la filosofia, per non essere esercizio di sapere riferito a se stesso,attento solo alla perfezione logica del sistema che elabora, deve avvicinarsi quanto piùpossibile all’ideale della filosofia rapportata al mondo, ponendo così la questione dellaconnessione di tutta quanta la conoscenza con i fini essenziali della ragione umana. Talequestione, nella breve citazione kantiana, chiama in causa il filosofo nella sua persona, ilquale deve assumere il ruolo di legislatore della ragione umana nei due domini dove essaè originariamente legislatrice e direttamete in relazione con i suoi fini essenziali: la naturae, in ruolo preminente, la libertà. Il ruolo del filosofo in questo senso non può che essereun ideale a cui conformarsi senza mai poter considerare il compito (  Aufgabe  ) interamentesvolto, o che un risultato definitivo possa considerarsi dato (  gegeben  ) una volta per tutte. Èfacile vedere come queste poche righe kantiane siano dense di significato agli occhi di

    Cassirer.Da un lato si avverte il rimprovero mosso contro se stesso per non aver voltosufficientemente lo sguardo al di fuori delle questioni teoretiche, non riconoscendo cosìper tempo i segni della crisi imminente. Dall’altro, e con peso ancora maggiore, vieneribadita la necessità da parte di chi esercita la filosofia di assumersi personalmente laresponsabilità del proprio operato, senza nascondersi dietro una pratica impersonale delsapere.

     A dar voce per primo a tali rimproveri, ponendo in modo esemplare questo“problema di coscienza” era stato Albert Schweitzer, filisofo, medico e teologoprotestante54. Egli rimprovera alla filosofia contemporanea di non aver vigilato su

    52 Cfr. La teoria hegeliana dello Stato, in Simbolo mito e cultura  e le sezioni dedicate rispettivamente alRomanticismo e a Hegel all’interno de Il mito dello stato.53 Cfr. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft , A 838-9, B 866-7, tr. it. a cura di P. Chiodi Critica dellaragion pura , Utet Libreria, Torino, 1967, pp. 626 - 627. Il riferimento da parte di Cassirer ècontenuto nel discorso inaugurale dell’attività all’università di Göteborg, riportato nel testo Ilconcetto di filosofia come problema filosofico (1935), in Simbolo, mito e cultura , p. 68.54  Nato a Kayserberg, in Alsazia, nel 1875, e morto nel 1965 a Lambarene, in Gabon, albertSchweitzer fu un uomo dai molteplici interessi e un instancabile filantropo. Dal 1913 fino allamorte, con un interruzione dovuta alle vicende della Grande Guerra, svolse un’intensa attivitàcaritativa in Gabon, che gli valse l’assegnazione del premio Nobel per la pace nel 1952. A tale

    attività egli accompagnò una fertile produzione intellettuale. Alle riflessioni teologiche emusicologiche egli affiancò, a partire dagli anni ’20, una profonda e lucida critica della cultura edella società del suo tempo. Per Cassirer egli rappresenta un modello di eticità nella società

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    presente, di non aver ammonito il mondo attorno a lei del collasso etico e culturale55.Nelle parole di Schweitzer: “la filosofia era colpevole perché non ammetteva il fatto... la

     vocazione ultima della filosofia è quella di essere la guida e il guardiano della ragione ingenerale; sarebbe stato suo dovere (...) confessare al mondo che gli ideali etici non eranopiù sorretti da alcuna concezione del mondo ma (...) erano abbandonati a loro stessi e

    dovevano farsi strada nel loro mondo con la loro sola forza intrinseca. (...) Nell’ora delpericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci sveglio dormiva, cosicché noi nonopponemmo resistenza alcuna”56.

    Cassirer chiosa queste parole riconducendole alla distinzione tracciata tra i due diversimodi del filosofare: “mentre conformavamo i nostri doveri al concetto scolastico dellafilosofia, immersi nelle sue difficoltà fino a restar imprigionati nelle sue sottigliezze,troppo spesso abbiamo perso di vista l’autentico concetto della filosofia nel suo nessocon il mondo”57.

    Con il suo monito egli vuole infine ricondurre la filosofia al suo dovere nell’eserciziodel proprio interno potere, ovvero delle sue “facoltà ideative”. Se esso si esplica, anche,nella forma di idee della ragione, non bisogna fare l’errore di intenderle alla maniera di

    sostanza, ma come funzione, come sempre rinnovantesi compito da assolvere (qui insenso eminentemente etico), qualcosa non di attuale, ma di “perennemente in via diattualizzazione”, in un’eterna opera di autorinnovamento dello spirito. Questaesortazione trova articolazione concreta e esplicita nelle righe finali de Il mito dello stato: inesso il problema fondamentale del proprio tempo è individuato nella manipolazione dellecoscienze tramite il mito, pertanto la filosofia deve, attivamente, andare incontro alnemico, analizzarne le tecniche e smascherarne le origini, senza che questo procedimentosi limiti a una registrazione della situazione di fatto, ma invece abbia come obiettivoquello di “pensare oltre e contro il proprio tempo”58.

    Ci sono alcuni punti da mettere in evidenza per quanto riguarda le riflessioni

    dell’ultimo Cassirer. Innanzitutto, per quanto esse assumano la forma di unaconstatazione ex post del mancato riconoscimento, da parte della filosofia, delleavvisaglie della tragedia morale e politica consumatasi in Germania tra gli anni ’30 e ’4059,la posizione di Cassirer è positiva, in quanto egli riafferma, in conclusione, un compito eun ruolo precipui per la riflessione filosofica. La riaffermazione della vocazione etico-morale ultima della filosofia, della sua azione in rapporto al mondo, costituisce la parscostruens della dura opera critica del pensatore tedesco.

    Questa riaffermazione, in qualità di ripetizione, non costituisce un novum nellariflessione di Cassirer, ma si inscrive pienamente nel quadro generale del

    contemporanea, capace di denunciarne la decadenza morale e lo smarrimento mentre, intorno alui, la filosofia taceva, e di puntare il dito contro la venuta meno della riflessione al suo dovere.55 Una resistenza critica e accorata all’avanzata dei nazionalismi e della barbarie era nondimenopresente negli ambienti culturali del tempo: basti pensare alla vivacità dei circoli culturali viennesi,alla denuncia di Joseph Roth e Franz Werfel, all’opera di Stephen Zweig, per comprendere comeil mondo intellettuale di allora non fosse né cieco né inconsapevole di fronte all’enormità dellacrisi.56 A. Schweitzer, Kulturphilosophie . Bd. 1: Verfall und Wiederaufbau der Kultur , Beck, München 1923.Citato in Il concetto di filosofia come problema filosofico , e Filosofia e politica , in Simbolo, mito e cultura ,rispettivamente pp. 69-70 e p. 237.57 Cfr. Il concetto di filosofia come problema filosofico, in Simbolo mito e cultura , p. 70.58 Cfr. Il mito dello stato, p. 314. Per fare ciò, si potrebbe aggiungere, condizione essenziale è quella

    di non rimanere immersi nella corrente del tempo, ma di sollevarsi al di sopra di essaguadagnando un punto di vista superiore agli avvenimenti.59 Senza con ciò dimenticare quanto avvenuto altrove in Europa: Italia e Spagna in primo luogo.

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    trascendentalismo della sua opera nel complesso. Se egli da un lato rinuncia allaconcezione di un progresso stabile delle facoltà sul piano dell’essere, dall’altro nonrinuncia a postularne la necessità etica sul piano del dover essere, mantenendo cosìl’istanza fondamentale del suo pensiero. Ma se “il vecchio pensiero”60  non è stato ingrado di contrastare, o quanto meno riconoscere, l’avanzata del problema, si può ritenere

    che esso costituisca uno strumento adeguato per poterlo fare in seguito?61

     In un certo senso quella di Cassirer si pone come figura emblematica della fine diun’epoca, trovatasi a fronteggiare la disgregazione dell’universale sul piano del pensiero62 e la crisi del mondo e dell’ordine del mondo precedenti ai Trattati di Versailles sul pianodella storia. Su questo terreno di scontro, nel quale Cassirer cerca di battersi con vecchiearmi, si porrà negli anni seguenti Karl Löwith, esponente di una diversa generazione dipensatori e cresciuto sotto l’influenza dominante di Heidegger, di cui fu a lungo allievo.Entrambi gli autori si pongono il problema della temporalità e delle implicazioni politichesottese alla filosofia heideggeriana. Tuttavia a differenza di Cassirer, che si muovecostantemente sul piano del proprio orizzonte filosofico, Löwith critica il pensiero diHeidegger calandosi a fondo in esso. Nel fare ciò egli pone esplicitamente una questione

    che in Cassirer rimane semplicemente sfiorata tramite l’appello alla figura di Schweitzer,quella del rapporto del pensiero filosofico con la teologia, a fronte dei limiti dimostratidalla filosofia nei confronti della crisi storica e morale. In tal modo, il pensiero di Löwithoffre l’occasione per porre nuovamente il problema di come vada intesa la filosofia e delsuo ruolo.

    Nato nel 1897 a Heidelberg, Löwith si formò a Monaco studiando biologia efilosofia. Da qui si spostò a Friburgo per frequentare i corsi di Husserl e Heidegger, esuccessivamente a Marburgo, dove ottenne l’abilitazione in qualità di allievo diHeidegger63. Come Cassirer, anche Löwith dovette abbandonare la Germania dopo il ’33,recandosi inizialmente in Italia, poi in Giappone e, infine, negli Stati Uniti. Nel 1952 feceritorno in Germania64.

    60 A cui, nella lettura di Rosenzweig, si contrappone il nuovo pensiero inaugurato da Cohen.61  Una tale domanda sembra essere sollevata dalle osservazioni negative di Leo Straussriguardanti sia l’incontro di Davos che The Myth of the State . In una recensione a quest’ultimaopera, comparsa in «Social Research», 14, 1947, pp. 125-128, Strauss osserva: “(...) an adequateanswer to the challenge raised by the doctrines favoring the political myth of our time (...) wouldhave been not an inconclusive discussion of the myth of the state, but a radical transformation ofthe philosophy of symbolic forms into a teaching whose center is moral philosophy, that is,something like a return to Cassirer’s teacher Hermann Cohen, if not to Kant himself.Considering the criticism to which Kantian ethics is open, this demand is not met by Cassirer’soccasional restatements of Kantian moral principles”. Il giudizio sull’opera dell’ultimo Cassirer la

    qualifica quindi come insufficiente rispetto agli obiettivi posti dall’autore. Strauss va ancora oltre,affermando che il confronto diretto con Heidegger avvenuto a Davos avrebbe rivelato “achiunque avesse occhi per vedere lo spaesamento ( lostness  ) e la vacuità di questo importanterappresentante della filosofia accademica costituita”: per Strauss, Cassirer non si sarebbe neancheposto il problema dell’etica, esplicitamente affrontato da Heidegger nella forma del suo rigetto(cfr. Introduzione all’esistenzialismo di Heidegger , in Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politicodell’Occidente , a cura di Roberto Esposito, Einaudi, Torino, 1998, p. 358).62 La figura emblematica è, in questo senso, Heidegger, ma non si dimentichino altri contributifondamentali in questo senso, come quelli di Schmitt e Scheler.63  Il testo dell’abilitazione è Das Individuum in der Rolle des Mitmenschen. Ein Beitrag zuranthropologischen Grundlegung der ethischen Probleme , München 1928.64 Di queste difficili vicende biografiche è testimonianza esemplare il carteggio tra Löwith e Leo

    Strauss, recentemente riedito in Italia: Leo Strauss, Karl Löwith, Oltre Itaca. La filosofia comeemigrazione. Carteggio (1932-1971), tr. it. a cura di M. Rossini con un’introduzione di C. Altini,Carocci editore, Roma 2012. Cfr. anche Karl Löwith,  Mein Leben in Deutschland vor und nach 1933.

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    Durante gli anni dell’esilio Löwith diede luce ai suoi lavori più noti65 e, al contempo,riflettè criticamente sull’opera del maestro, con il quale intrattenne un rapportocomplesso, sui presupposti del suo pensiero e sulla sua relazione con il nazismo66. Comenoto, Heidegger aderì pubblicamente al nazismo: le sue scelte politiche culminarono nella

     vicenda dell’assunzione del rettorato all’università di Freiburg nel 1933. A fronte degli

    avvenimenti epocali di cui fu testimone, Löwith non può che interrogarsi sul rapporto trala filosofia di Heidegger e il suo agire politico, sulla sua responsabilità come individuo ecome filosofo la cui influenza ebbe un effetto dirompente sulla formazione di un’interagenerazione di studenti e su un vastissimo pubblico di lettori. Nel riferirsi all’attività didocente di Heidegger, Löwith mette in luce come essa abbia avuto l’effetto di deprezzarel’intera storia del pensiero occidentale da Platone in avanti, di stabilire “nuovi canoni”,persuadendo l’uditorio del fatto che “la ‘logica’ e la ‘ragione’ si devono dissolvere nel‘turbine di una impostazione più vicina alle origini’; che l’etica, la cultura e l’umanità (...)non costituiscono dei propositi seri (...)”67.

    La critica non è rivolta al piano meramente teorico: facendo riferimento a alcunidiscorsi e lezioni di Heidegger, nonché alle concrete direttive da lui emanate in quanto

    rettore dell’università di Friburgo, Löwith mostra in che modo egli piegò e adattò illessico e la concettualità filosofici di  Essere e tempo  alla propaganda e al lessico delnazionalsocialismo, propugnando esplicitamente l’appoggio incondizionato al Führer68.

    La domanda allora non può che essere: in che misura questi esiti politici eranocontenuti nella filosofia di Heidegger e nei suoi presupposti?69 Per darvi una risposta leriflessioni critiche di Löwith si articolano su di un doppio piano. Da una parte la criticaopera per così dire dall’esterno, mettendo crudamente in luce l’arbitrarietà del metodo

     Ein Berich  [1940], Metzler, Stuttgart 1986, tr. it. a cura di E. Grillo La mia vita in Germania prima edopo il ’33, il Saggiatore, Milano 1988 e Enrico Donaggio, Una sobria inquietudine. Karl Löwith e la filosofia , Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2004.65

     Del novero della produzione di Löwith di questo periodo fanno parte:  Jacob Burckhardt. Der Mensch inmitten der Geschichte , Luzern 1936, tr. it. a cura di L. Bazzicalupo Jacob Burckhardt: l’uomo nelmezzo della storia , Laterza, Roma-Bari 1991; Von Hegel bis Nietzsche , Zürich-New York 1941, tr. it. acura di G. Colli Da Hegel a Nietzsche , Einaudi, Torino 1949; Meaning in History , Chicago-London1949, tr. it. a cura di F. Tedeschi Negri Significato e fine della storia: i presupposti teologici della filosofiadella storia , Edizioni di Comunità, Milano 1963;  Nietzsches Philosophie der ewigen Wiederkehr desGleichen , Stuttgart 1956, tr. it. a cura di S. Venuti  Nietzsche e l’eterno ritorno, Laterza, Roma-Bari1982;.66 Di questa riflessione critica fanno parte, oltre al già citato M. Heidegger e F. Rosenzweig. Poscritto a“Essere e tempo” , apparso per la prima volta negli Stati Uniti nel 1942, l’articolo Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger , in «Les temps modernes», n° 14, novembre1946, Paris, pp. 343-360, ristampato in «Les temps modernes» , 2008/4 (n° 650), pp. 10-25,

    Gallimard, Paris, e i saggi raccolti sotto il titolo Heidegger. Denker in dürftiger Zeit , Frankfurt amMain 1953, tr. it. a cura di C. Cases e A. Mazzone Saggi su Heidegger, Einaudi, Torino 1966.67 Cfr. L’esistenza che si accetta e l’Essere che si dà , in Löwith, Saggi su Heidegger , p. 14.68 Cfr. Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger .69  Cfr. Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger , p. 23: “Face à cetteappartenance substantielle du philosophe au climat et aux modes de pensée du national-socialisme, il eût été inopportun de critiquer, ou d’excuser isolément, sa décision politique, au lieude l’expliquer à partir du principe  même de la philosophie heideggérienne. Ce n’est pas Heideggerqui en prenant parti pour Hitler «se serait mal compris lui-même», mais ceux-là ne l’ont pascompris qui ne voyaient pour quelle raison il pouvait agir ainsi”. Come scrive Stanley Rosen, ènecessario considerare il nesso “(...) between the speeches and deeds of Heidegger. One wouldhave to be unsually naïve not to be interested in the political activities of the greatest ‘thinker’ of

    the epoch, (...) who teaches (or taught) the need for authentic choice and existence”, StanleyRosen, Nihilism, A Philosophical Essay , Yale University Press, New Haven and London 1969, pp.120-121.

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    delle etimologie di Heidegger e l’effetto mistificatorio del suo uso del linguaggio. Mafermarsi a una riflessione di questo tipo non sarebbe sufficiente. Questa considerazioneconduce, a un livello molto più profondo, a colpire ciò che Löwith indica come il centrostesso del suo pensiero. Come già Cassirer, anche Löwith individua nella concezioneheideggeriana della temporalità il punto focale che la critica deve andare a colpire:

    “La difficoltà, evidentemente, non è del linguaggio, ma della cosa stessa, e consiste nelcarattere di un pensiero di essere orientato essenzialmente alla ventura temporale e non aciò che è vero in ogni tempo, e che non è dunque affatto pensiero, nel senso della

     volontà critica di conoscenza, ma piuttosto con-rispondenza al ‘moto profondo della crisimondiale’, dove ‘mondo’ significa peraltro solo il nostro mondo umano”70.

    Dall’altra parte egli intende “contrapporre Heidegger a Heidegger”71, mettendo aconfronto i testi anteriori e posteriori alla cosiddetta “svolta” costituita dalla Letterasull’umanismo72: nel fare questo Löwith penetra nella peculiare logica dell’autore, ma senzaaccettarne l’assolutismo, la pretesa che essa costituisca l’unica dimensione possibile del

    pensare. Questa operazione consente di mettere in luce la sostanziale continuità el’uniformità di presupposti tra le opere dei due periodi al di là delle differenze nellinguaggio e nell’atteggiamento da esse espresso. Ciò che Löwith contesta a Heidegger èla “comprensione dell’essere a partire dal tempo”73, e questo tipo di considerazione e lesue implicazioni si ritrovano immutate sia prima che dopo la svolta. Comprenderel’essere a partire dal tempo implica infatti, nella critica di Löwith, assumere un momentofuturo come termine a partire dal quale interpretare il presente e il passato:

    “L’uso contemporaneo ci ha abituati a chiamare ‘storico’ un pensiero che, come questo, èrivolto al futuro in una prospettiva epocale ed escatologica, benché il senso originario enaturale della ‘storia’ [ Geschichte  ] intenda esattamente il contrario di questo futurismo”74.

    Per compredere meglio il senso di questa affermazione è necessario por menteall’elaborazione di Significato e fine della storia , nel quale Löwith problematizza le concezionifinalistiche della storia come frutto di una visione teologica del mondo 75. Nel lessico enell’impostazione di Heidegger Löwith riconosce la medesima impostazione teologica,privata tuttavia di qualunque riferimento alla divinità, dando luogo a una “riscostruzioneescatologica della storia universale come evenienza dell’Essere”76.

    Secondo la lettura di Löwith, in  Essere e tempo  il limite, il punto finale futuro, eracostituito dalla morte, mentre nei testi successivi alla “svolta” lo sguardo si rivolge versola venuta dell’essere, caratterizzato con tratti che richiamano l’ambito della mistica e dellareligione77. Ma questo atteggiamento quieto di accettazione, di apertura verso ciò che

    70 Cfr. L’esistenza che si accetta e l’Essere che si dà , in Saggi su Heidegger , p. 16.71 Ivi., p. 4.72 Ivi., pp. 16 e 22-23. Cfr. M. Heidegger, Lettera sull’«Umanismo» .73 Cfr. L’esistenza che si accetta e l’Essere che si dà , in Saggi su Heidegger , p. 17.74 Cfr. Evenienzialità, storia, ventura dell’essere , in Saggi su Heidegger , p. 50.75 Che, tramite il lento fenomeno della secolarizzazione, ha dato luogo a quelle concezioni che,mentre fanno a meno della concettualità religiosa, ne mantengono al contempo la prospettivaantropocentrica ed escatologica, mantenendo la fede nel progresso dell’umanità in un processoche si fa infinito e indeterminato.76 Cfr. Evenienzialità, storia, ventura dell’essere , in Saggi su Heidegger , p. 64.77

     Esplicativo del modo in cui Löwith giudica quest’ultimo orientamento è il paragone che egliistituisce tra questo e Lucrezio in quanto simbolo della tradizione classica: “(...) nessun filosofoclassico fece della meditazione della vera natura dell’Essere materia a una preparazione

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    l’Essere invierà e di attesa per la sua venuta non è poi sostanzialmente diverso da quellodella riflessione heideggeriana precedente alla svolta, rivolto aggressivamente in avanti

     verso la decisione anticipatrice e la risoluzione calata nella contingenza storica. Inentrambi i casi il restringimento della libertà umana è estremo e la temporalità radicaledell’esserci permane. È dunque questo il punto su cui si concentrano le analisi di Löwith

    nell’indagare i presupposti e le implicazioni politiche del pensiero del maestro.

    Nella sua ricostruzione il punto di partenza della concezione di Heidegger èl’individuo, gettato senza possibilità di appello in una situazione storica determinata. Intale condizione, a fronte della dispersione nell’esistenza inautentica del si 78 , il pianodell’autenticità può essere guadagnato solo tramite la comprensione autentica dell’essereper la morte e, grazie a questa acquisita consapevolezza della propria radicale finitezza,alla decisione risoluta riguardo alle possibilità “autentiche” che la propria esistenzadischiude.

    L’argomentazione di Löwith contro questa concezione punta il dito sul fatto che essaparte dall’individuo e ritorna su di esso, facendolo risultare sempre più chiuso all’interno

    della propria circolarità ontologica man mano che l’analisi procede, radicalmente isolatodalle relazioni per via dell’essere-per-la-morte. “L’Esserci di Essere e tempo, per il quale ‘ne va’ sempre e soltanto ‘di se stesso’, è disperatamente chiuso entro la decisione che pone ase stesso. All’interrogativo circa il senso del proprio essere non gli risponde né un Dio néil prossimo”79. Il presupposto della morte come punto estremo di un’esistenza gettata,non conduce, come poteva fare la prospettiva teologizzante di Rosenzweig,all’acquisizione di una verità eterna sulle cose, ma alla radicalizzazione della storicità. Lapossibilità di essere un tutto, aperta dall’essere per la morte, può essere sostanziata sulpiano dell’esistenza solo attraverso la decisione. Essa viene caratterizzata da Löwith comedecisione per la decisione, un “postulato vuoto e formale”80. La decisione devemantenersi libera, può essere revocata, non si conclude mai: il riempimento non può che

     venire dall’esterno, dalla concreta situazione storica in cui l’Esserci si trova gettato,dall’attimo che deve cogliere e in cui agire con risolutezza81. Di fronte a taleassolutizzazione della singolarità e del particolare, in base a cosa si possono giudicare glieventi cui risolutamente si sceglie di partecipare?

    Nei fatti, sarà l’ideologia nazional-socialista a fornire il materiale per la decisionerisoluta. Uno dei documenti emblematici dell’adesione di Heidegger al nazismo ècostituito dal testo della prolusione che egli pronunciò nel 1933, in occasionedell’assunzione ufficiale della carica di rettore dell’università di Friburgo82. Di talediscorso Löwith ebbe a dire che riuscì a piegare le categorie esistenziali e ontologiche

    all’avvento dell’essere e alla storia ventura. Solo più tardi l’escatologia cristiana renderà possibilela futurizzazione storicistica” (Cfr. Evenienzialità, storia, ventura dell’essere, in Saggi su Heidegger , p. 69).78  Con tale termine, che in italiano traduce il tedesco man , corrispondente al pronomeimpersonale, Heidegger indica quel modo di esistere inautentico in cui l’esserci non si farealmente carico della decisione riguardo a cosa fare di se stesso, ma la rimette a ciò che gli altrifanno, dicono e pensano “innanzitutto e perlopiù”, livellando se stesso sulla medietà impostadalla “dittatura del si”. Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo §§25-27, 35-38, 51, 52, 59.79 Cfr. M. Heidegger e F. Rosenzweig. Poscritto a “Essere e tempo” , p. 86.80 Ivi., p. 90.81 Cfr. Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger , p. 15, in cui Löwith parladella “position moderne de l’exister nu, mais résolu”, nel quale l’essere e il dover esserecollassano l’uno sull’altro.82

      Martin Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität. Das Rektorat 1933-34 , inGesamtausgabe , Bd. 16, Hrsg. H. Heidegger, Klostermann, Frankfurt a. M. 2000, tr. it. a cura di C. Angelino L’autoaffermazione dell’università tedesca , Il melangolo, Genova 1988.

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    all’istante storico, facendo convergere così bene i concetti filosofici e la retorica delpartito che la sua conclusione lasciava incerti tra l’andare a leggere la raccolta Diels-Kranzdei frammenti dei presocratici o l’arruolarsi nelle SA83.

    In un orizzonte concettuale come quello di Heidegger, non si dà la possibilità ditrovare un criterio per giudicare degli avvenimenti storici che sia esterno agli avvenimenti

    stessi. Il testo del discorso del rettorato mostra la “equivoca confusione tra storiaeffettuale ed evenienza autentica dell’Esserci”84. Alla rovinosa scelta di Heidegger Löwithcontrappone la posizione assunta da Karl Barth, teologo protestante il quale, nello stesso1933, rifiutò di allinearsi con i Deutsche Christen85, seguitando di contro a proclamareuna “verità di fede non meramente legata alla storia attuale”86. La figura di Karl Barthrappresenta per Löwith quella “superiore libertà di fronte alla potenza del tempo”, quel“libero distacco dagli avvenimenti” che, “giusto e appropriato per il teologo”, “dovrebbeesserlo anche per chi non ‘crede’ ma ‘pensa’”87.

    La scelta di termini adottata da Löwith non può che richiamare alla memoria le paroledi Weber contenute ne La scienza come professione . In quanto filosofo, Löwith non èdisposto al sacrificio dell’intelletto prospettato da Weber: nondimeno, egli deve

    riconoscere che, nel momento della necessità, una certa teologia ha saputo dimostrarsisuperiore alla filosofia, mantenendosi capace di sostenere le proprie verità eterne senzalasciarsi travolgere dalla corrente del momento storico presente. Il confronto con lateologia permette inoltre a Löwith di riaffermare la pertinenza filosofica della questionedell’eterno come mezzo per non cadere nell’errore di “comprendere il tempo a partire daltempo, senza un altro criterio filosofico per giudicare gli avvenimenti”88.

    Di tale capacità critica di giudizio la scelta di Heidegger denuncia la mancanza inmodo lampante: egli “non tocca neppure il problema platonico dello stato giusto”,domanda filosofica posta da un punto di vista eterno, ma “pensa da smarrito e portatore di

    83 Cfr. Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger , p. 17.84

      Cfr.  Evenienzialità, storia, ventura dell’essere , in Saggi su Heidegger , p. 57. Löwith prosegueaffermando che non vi è alcuna differenza tra il “rivolgimento completo dell’esistenza tedesca”atteso da Heidegger attraverso in nazionalsocialismo e il “mutamento nell’essenza dell’uomo” dicui egli parla negli scritti del periodo successivo.85 Quello dei Deutsche Christen, cristiani tedeschi, fu un movimento fondato nel 1932 dal partitonazista al fine di riunire quei gruppi di protestanti che auspicavano la fondazione di una chiesaprotestante del Reich, in linea con il regime e la Nuova Germania. All’interno di tale gruppo vierano anche tendenze di allineamento radicale all’ideologia dominante, favorevoli ad esempio alla“de-giudaizzazione” del Vangelo. Nel 1933 Karl Barth pubblicava Theologische Existenz, heute! , in«Zwischen den Zeiten», V, 2 (tr. it. a cura di E. Genre in Volontà di Dio e desideri umani . L’iniziativateologica di K. Barth nella Germania hitleriana , Claudiana, Torino 1986). Attraverso l’operato dellaDeutschen Evangelischen Kirche  Barth si oppose apertamente al regime, tanto che nel 1935 fu espulso

    dalla Germania. Per una visione delle vicende delle Chiese nella Germania nazista cfr. Le religioni eil mondo moderno, a cura di G. Filoramo, vol. I, Cristianesimo, Einaudi, Torino 2008, pp. 428-434.86 Cfr. Evenienzialità, storia, ventura dell’essere , in Saggi su Heidegger , p. 57. Come riporta Löwith, Barthosservava che “una motivazione profondamente filosofica degli avvenimenti suole lasciarsitrovare tanto più sicuramente quanto più a fondo ci si è lasciati ‘prendere dalla realtà’” (ibid.).87 Ibid . Un giudizio esattamente concorde aveva espresso Leo Strauss in una sua lettera a Löwithdel 5 settembre 1933: “Confronti solo la chiara e personale professione di Barth per la rivelazionecon quella di Heidegger per l’ateismo (...) e la critica   cristiana di Barth agli avvenimenti con lasottomissione a critica di Heidegger” (cfr. Leo Strauss, Karl Löwith, Oltre Itaca. La filosofia comeemigrazione. Carteggio (1932-1971), p. 94, corsivi nel testo). Sull’esemplarità di Barth per Löwith cfr.Lorenzo Calabi, La filosofia della storia come problema. Karl Löwith tra Heidegger e Rosenzweig , EdizioniETS, Pisa 2008; questo tema viene ripreso ampliando la considerazione fino a comprendere la

    figura di Bultmann nel contributo  Ancora su Löwith e la filosofia della storia , di prossimapubblicazione in «Rivista di storia della filosofia».88 Cfr. Evenienzialità, storia, ventura dell’essere , in Saggi su Heidegger , p. 57.

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    smarrimento in modo ‘storico-evenienziale’”89. A tal proposito si possono richiamare i versidi Goethe:

    “Wer in der Weltgeschichte lebt,Dem Augenblick sollt’er sich richten?

     Wer in die Zeiten schaut und strebt,Nur der ist werth zu sprechen und zu dichten”90.

    D’altro canto, il pensiero di Heidegger non avrebbe potuto che condurre a questi esiti,alla presa di posizione per la “rivoluzione del nichilismo”91, dal momento che, perLöwith, esso si fonda e giustifica sulla situazione storica radicale del primo dopoguerra,attraversata dalla consapevolezza di quel presunto declino dell’occidente cui il libro diSpengler aveva dato espressione. Il principio della filosofia heideggeriana, l’esistenzanuda e storicizzata, “correspond (...) à l’état radical de la situation historique réelle aveclaquelle la philosophie heideggérienne de l’existence comprise dans le temps et l’histoires’est identifiée en termes explicites”92.

    È opportuno menzionare, a questo punto, alcune critiche cui la riflessione di Löwitha proposito del pensiero di Heidegger è stata sottoposta. In un volume di recentepubblicazione, contenente i risultati di un vivace dibattito francese93, si contestal’interpretazione di Löwith del “decisionismo vuoto” di Heidegger, asserendo che neitesti del filosofo, e in particolare nei paragrafi di  Essere e tempo direttamente analizzati daLöwith, si possono trovare espliciti indizi di una presa di posizione determinata neiconfronti della decisione. La risolutezza propugnata da Heidegger non sarebbe affatto larisolutezza di un individuo radicalmente isolato verso una decisione priva di contenuto,ma sarebbe piuttosto orientata in modo determinato nella medesima direzionedell’ideologia nazional-socialista. Secondo questa interpretazione Löwith fraintenderebbe

    radicalmente Heidegger, mancando di tener conto della doppia modalità, secondol’opposizione autentico/decaduto, di ogni esistenziale: la tesi dell’individualismo estremosarebbe contraddetta allora dalla lettura approfondita del testo. All’essere-insiemeinautentico si affiancherebbe una modalità autentica, orientata direttamente verso ladimensione comunitaria propugnata dal nazional-socialismo94. A ciò si legherebbero altri

    89 Ivi., corsivo mio. Si potrebbe accostare un tale tipo di interpretazione al giudizio che Hannah Arendt espresse sul comportamento di Eichmann, caratterizzandolo come incapacità di pensare,di esercitare correttamente il giudizio (cfr. Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem: a report on thebanality of evil , Viking press, New York 1964, tr. it. a cura di P. Bernardini La banalità del male -

     Eichmann a Gerusalemme , Feltrinelli, Milano 2003). Oppure, o anche, si può pensare alle parole diBlumenberg: “...was ‘Seinsgeschichte’ allein dem menschen offenhält: Unterwerfung”, “...l’unicacosa che la storia dell’essere   lascia aperta all’uomo: la sottomissione” (traduzione mia). Cfr. HansBlumenberg, Die Legitimität der Neuzeit , Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1997, p. 220, tr. it. a curadi C. Marelli La legittimità dell’età moderna , Marietti, Genova 1992, p. 204.90  “Chi vive in dimensione storica/Dovrebbe regolarsi sul momento?/Solo chi scruta nelleepoche e agisce/È degno di parlare e di scrivere”. J. W. Goethe, Zahme Xenien I , in J. W. Goethes  Werke , hrsg. im Auftrage der Großherzogin Sophie von Sachsen, Weimar Ausgabe, I Abteilung:Werke , Bd. 3, p. 230, tr. it. a cura di R. Fertonani e E. Ganni in Tutte le poesie , Mondadori, Milano1989, vol. 2, p. 1225.91 Cfr. Les implications politiques de la philosophie de l’existence chez Heidegger , p. 25.92 Ibid.93

     Emmanuel Faye (a cura di), Heidegger, le sol, la communauté, la race , Beauchesne Éditeur, 2014.94 Cfr. J. Fritsche, La communauté, l’historicité et la mort dans Être et temps selon Heidegger et Löwith , inHeidegger, le sol, la communauté, la race , p. 49-67. L’interprete si riferisce ai paragrafi 26 e 74 di Essere e

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    contenuti sapientemente esplicitati tra le pieghe del testo e dei discorsi heideggeriani,come i riferimenti alle nozioni di suolo e di razza95. A fronte delle prove testuali esibitedagli studiosi, la lettura di Löwith dell’opera di Heidegger viene definita fuorviante e,quanto meno, troppo benevola nei confronti del maestro. Si può chiosare una taleposizione menzionando la risposta di Löwith a Delio Cantimori, che ne aveva definito il

    saggio su Heidegger “cattivo ma bello”; a tale affermazione Löwith replica “Perchécattivo? In fondo è un’apologia di Heidegger”96.

    La critica a Heidegger è connessa in modo fondamentale con elementi propri delpensiero di Löwith. Di contro alla soggezione alla ventura storica, la ricerca filosoficadeve orientarsi verso ciò che è vero in ogni tempo: questo significa che è necessarioporre nuovamente, in filosofia, la questione dell’eterno, seguendo in questo l’esempiodato dai teologi. Tuttavia Löwith non può giungere, come Rosenzweig, ad affermare chei teologi debbano filosofeggiare e viceversa, a trovare nel concetto di rivelazione quelponte tra la soggettività estrema e l’oggettività universale97. Löwith infatti pone grandeattenzione nel separare la fede dal sapere, la ricerca filosofica dal dogmatismo teologico.

    Per quanto indirizzata alla ricerca di verità eterne, la filosofia non può accettare deicontenuti senza sottoporli al vaglio critico di un pensiero attraversato dal dubbio,secondo un atteggiamento scettico che si pone agli antipodi dell’accettazione religiosadella verità rivelata:“Filosofare scetticamente significa girar con la ricerca attorno a tutte le risposte possibili,ma non essere consapevoli di una verità rivelata. Pensare cristianamente vuol direpensare sulla base della fede, e chi crede veramente in fondo non cerca più, ma hatrovato nel verbo e nell’appello di Dio la verità che lo libera e salva, anche se egli devecredere sempre di nuovo”98.

    Il punto fondamentale del contrasto tra la skepsi e la fede sembra doversi trovarenell’opposizione tra il cercare e il trovare: “Il filosofare nel senso socratico e scettico

    cessa dove comincia la fede perché l’indagine della skepsi cessa quando si sia trovata la verità”99.

    tempo, nel secondo dei quali emerge la comunità del popolo come contenuto positivo delladecisione.95 Per una panoramica cfr. E. Faye, Introduction , Heidegger, le sol, la communauté, la race , pp. 9-24. Nonsi può non menzionare, infine, la recente pubblicazione dei cosiddetti Schwartze Hefte   in MartinHeidegger, Gesamtausgabe , Bd. 94, Überlegungen II-VI  ( Schwarze Hefte  1931-1938), Hrsg. P. Trawny,Klostermann, Frankfurt am Main 2014.96  Lettera di Löwith a Cantimori del 9 gennaio 1948, conservata nel Fondo Cantimori della

    Scuola Normale Superiore di Pisa, citata in E. Donaggio, Una sobria inquietudine , p. 93.97 Cfr. M. Heidegger e F. Rosenzweig. Poscritto a “Essere e tempo” , p. 79.98 Cfr. Skepsi e fede , in Karl Löwith, Storia e fede , Laterza, Roma-Bari 1985, p. 14. Questa visioneskeptica della filosofia si può accostare alla concezione zetetica del filosofare elaborata da LeoStrauss, come egli la riconosce, ad esempio, nei dialoghi di Platone: per Strauss infatti la filosofiatratta dei problemi fondamentali, dai quali dipende il senso della nostra vita, ma tali problemisono destinati a rimanere aperti, senza soluzione. Cfr. la lettera di Strauss a Löwith del 19 luglio1951, nella quale Strauss commenta l’articolo dell’amico: “Socrate non è uno scettico in senso volgare, poiché egli sa   di non sapere – egli sa innanzitutto che cos’è il sapere  – e questo non ènulla. Egli sa inoltre che cosa sono i problemi , i  problemi, quelli rilevanti  – ovvero, ciò che è rilevante  (...) egli sa  che il filosofare è l’unum necessario”, Leo Strauss, Karl Löwith, Oltre Itaca. La filosofia comeemigrazione. Carteggio (1932-1971), p. 160, corsivi nel testo. Sulla concezione zetetica della filosofia

    in Strauss e nella sua lettura di Platone cfr. A. Fussi, La città nell’anima. Leo Strauss lettore di Platone eSenofonte , Edizioni ETS, Pisa 2011.99 Ibid.

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    Per questo stesso motivo Löwith espone criticamente il succedersi delle versioniescatologiche della storia nella loro versione secolarizzata, in quanto il presupposto difondo di ognuna di esse rimane oggetto di fede e non di sapere, e in tal senso nonfilosoficamente accettabile. Dalla lettura di Löwith emerge un nesso stretto tra laconcezione del tempo e quella del mondo, natura o cosmo: la concezione

    antropocentrica del mondo, inteso come a disposizione dell’uomo, strumentale al suosviluppo e perfezionamento, è derivata dall’antropocentrismo tipico dei grandimonoteismi tanto quanto la visione teleologica della storia. In entrambi i casi, infatti, si fariferimento a una concezione del tempo inteso come tempo umano, definito da un finefuturo che lo orienta e determina. Tale concezione estromette dalla riflessione la visione,tipica della filosofia antica, del tempo naturale, ciclico, del tempo di un kosmos, intesocome un tutto superiore alle parti che lo compongono, incluso l’uomo. In esso l’uomo èsoggetto ai cicli di ascesa e distruzione tipici di ogni processo naturale, secondo unacircolarità eterne che, se correttamente intesa, consente di ricollocare le azioni umanenella giusta prospettiva100.

    Dal punto di vista pratico l’esito di questa concezione della filosofia è quello di un

    libero distacco nei confronti degli avvenimenti storici, un’equilibrata presa di distanza checaratterizza la figura di Löwith nelle sue vicende biografiche e nella sua attività dipensatore.

    Conclusioni

    Il tragitto percorso suggerisce alcune riflessioni. Nel contesto di pensiero enunciatoda Weber e richiamato in apertura, la filosofia di Heidegger e l’avvento del nazismo sonodue avvenimenti che pongono la riflessione filosofica di fronte a se stessa e di fronte allastoria. L’accostamento di due autori distanti tra loro come Cassirer e Löwith si rivelafecondo nel momento in cui l’analisi mostra in che modo, nell’eterogeneità delle loro

    prospettive filosofiche, essi abbiano individuato e affrontato un problema comune. Lerispettive interpretazioni si rivelano tanto più fruttuose al confronto in quanto inentrambi i casi la questione dirimente viene individuata nel rapporto con la temporalità.La riproposizione di una forma di trascendentalismo da un lato, e l’appello alla questionedell’eterno dall’altro, mirano in fondo a uno stesso obiettivo: quello di sottrarre lariflessione filosofica al corso del tempo e di collocarla su di un livello superiore, tale dagarantire l’accesso, se non certo alle verità eterne, alla posizione dei problemifondamentali. Il guardiano dei valori è anche colui che incessantemente si interroga,ponendo in questione il reale e l’apparentemente dato, senza mai accontentarsi diun’accettazione dell’esistente che ne è poi, in fondo, sempre una giustificazione.

    100 Per esemplificare questo genere di visione Löwith fa riferimento a Lucrezio, cfr. La fatalità del progresso, in Storia e fede , p. 150.

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    Riferimenti bibliografici

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