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Centro Stampa Politecnico di Torino NUMERO: 1 DATA: 140/2014 A P P U N T I STUDENTE: $LPDU MATERIA: 7HFQRORJLH $HURQDXWLFKH 3rof. )UXOOD WWW.CENTROSTAMPAPOLITECNICO.COM Corso Luigi Einaudi, 55 - Torino Appunti universitari Tesi di laurea Cartoleria e cancelleria Stampa file e fotocopie Print on demand Rilegature

CEAAIECICLe prove di resilienza si eseguono secondo due diversi procedimenti unificati che impiegano ciascuno provette con intagli differenti. La macchina di prova è il pendolo di

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Centro Stampa Politecnico di Torino

NUMERO: 1018 DATA: 14/07/2014

A P P U N T I

STUDENTE: Aimar

MATERIA: Tecnologie Aeronautiche

Prof. Frulla

WWW.CENTROSTAMPAPOLITECNICO.COM

Corso Luigi Einaudi, 55 - Torino

NUMERO: 1326A - ANNO: 2015

A P P U N T I

STUDENTE: Pizzamiglio Cristiano

MATERIA: Meccanica del Volo - Esercitazioni + Tobak Schiff + FVC - Prof.ssa F. Quagliotti - a.a. 2015 - 2016

Appunti universitari

Tesi di laurea

Cartoleria e cancelleria

Stampa file e fotocopie

Print on demand

Rilegature

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Il presente lavoro nasce dall'impegno dell’autore ed è distribuito in accordo con il Centro Appunti.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi riproduzione, copia totale o parziale, dei contenuti inseriti nel

presente volume, ivi inclusa la memorizzazione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti

stessi mediante qualunque supporto magnetico o cartaceo, piattaforma tecnologica o rete telematica,

senza previa autorizzazione scritta dell'autore.

AT T E N Z I O N E: Q U E S T I A P P U N T I S O N O FAT T I D A S T U D E N T I E N O N S O N O S TAT I V I S I O N AT I D A L D O C E N T E . I L N O M E D E L P R O F E S S O R E , S E R V E S O L O P E R I D E N T I F I C A R E I L C O R S O .

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COSTRUZIONI AERONAUTICHE

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Le prove meccaniche, ovvero quelle convenzionali vengono suddivise in quattro ulteriori classi, a seconda della variazione del carico nel tempo: -statiche -dinamiche -periodiche -di scorrimento

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ESTENSIMETRI Viene definito estensimetro lo strumento atto a misurare deformazioni di macchine od elementi strutturali sottoposti ad un generico stato di sforzo, derivante da carichi di qualsiasi tipo..Tali strumenti, hanno la capacità di rilevare le variazioni di distanza relativa fra due qualsiasi punti dell’elemento in prova lungo la loro congiungente, misurandone quindi la deformazione, pari al rapporto fra la variazione subita dai due punti considerati a causa del carico applicato e la loro distanza prima dell’applicazione del carico, definita analiticamente come e = Dl \ l , dove i è la distanza fra i due punti prima della deformazione. I più comuni sono così classificati: · estensimetri meccanici · estensimetri acustici · estensimetri pneumatici · estensimetri ottici · estensimetri elettrici. Caratteristiche e proprietà che un estensimetro deve necessariamente possedere affinché possa rendersi utilizzabile, sono le seguenti: - la costante di taratura dell’estensimetro deve essere stabile, non deve in altre parole essere sensibile alle variazioni di effetti termici od altri fattori ambientali; - deve effettuare una misurazione della deformazione puntuale, locale, e non quella media, tra due punti quindi molto vicini. - deve essere economicamente accessibile per permetterne un impiego diffuso. Data l’entità delle grandezze in gioco, la misura non può essere diretta, infatti la deformazione è di solito molto piccola ed è quasi impossibile riuscire a quantificare la deformazione cosi come anticipatamente definita, tanto è vero che la sua unita di misura è mm / m. Gli estensimetri elettrici Gli estensimetri elettrici sono sicuramente oggi i più comuni ed i più usati. Vengono così chiamati perché effettuano la misura della deformazione indirettamente, grazie alla variazione di resistività che essi stessi subiscono. Come noto il valore della resistenza elettrica è direttamente proporzionale alla resistività del materiale in uso e alla lunghezza del conduttore considerato, e inversamente proporzionale all’ area della sezione del conduttore stesso: R = rL / A , con R valore di resistenza elettrica, r resistività del materiale, L lunghezza del provino e A area della sezione esaminata. Se pensiamo ora che il nostro provino, su cui è stato opportunamente incollato un tratto di conduttore, che possa subire fedelmente ogni variazione di sezione subita dal

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fondamentale importanza la sensibilità espressa attraverso il fattore di taratura dell’estensimetro, più noto con il termine anglosassone di gage factor o ingegneristicamente, k dell’estensimetro. Tale coefficiente è, per definizione: k = DR / Re ossia il rapporto tra variazione di resistenza e suo valore iniziale, rapportata alla deformazione. Valori tipici della sensibilità degli estensimetri, nel caso di estensimetri metallici, sono: k = 2, con tolleranze del 1% + 2%. I materiali più comuni sono la costantana (lega rame-nichel), o diverse leghe nichel-cromo (nicromo V), con l’aggiunta di piccole percentuali di ferro, alluminio o molibdeno. I CIRCUITI DELL’ESTENSIMETRO Come già abbiamo detto, la stima della variazione di resistenza dovuta alla deformazione non avviene con misura diretta, ma occorre mediare a questa tramite l’utilizzo di certe leggi; per quanto riguarda gli estensimetri elettrici si sfrutta la Legge di Ohm. Solitamente per gli estensimetri il condizionamento del segnale avviene attraverso il ponte di Wheatstone. La sequenza a cui quindi l’estensimetro viene sottoposto può quindi essere riassunta così: Applicazione carico, sollecitazione della sezione del pezzo, deformazione del provino, variazione di resistenza, e a questo punto entra in gioco il ponte prima citato, in grado di commutare una variazione di resistenza in una variazione di tensione. Arrivati al segnale elettrico, la misura consisterà quindi nel procedere col passaggio inverso, ottenendo dal DV , la forza applicata. Il circuito a ponte è un tipo di circuito assai comune, le cui proprietà sono ben note dall’elettrotecnica. Si tratta di un circuito costituito da due coppie di resistenze ( R1,R2,R3 eR4 ), messe a quadrato, sulle cui diagonali vi si trova un generatore di tensione E ed un circuito di misura. Inserire formula del ponte di w

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LE PROVE DISTRUTTIVE LA PROVA DI TRAZIONE È la più importante prova convenzionale meccanica. Si esegue su ogno materiale allo scopo di rilevare le caratteristiche di resistenza, di deformabilità e di elasticità: è pertanto fondamentalmente una prova di collaudo, di riconoscimento, di selezione. Offre al progettista valori di riferimento per il calcolo e il dimensionamento degli organi di macchine. La prova a temperatura ambiente consiste nel sottoporre una provetta a uno sforzo di trazione generalmente fino a rottura. I parametri che individuano le caratteristiche meccaniche di resistenza, di deformabilità e di elasticità si osservano sul diagramma delle deformazioni che per gli acciai ricotti assume la forma della figura seguente, caratterizzata da una netta separazione delle fasi.

Regime elastico. In questa fase i costituenti del corpo solido cristallino si deformano elasticamente in quanto la deformazione è reversibile, pertanto tutto il lavoro necessario per l’allungamento viene assorbito sotto forma di energia potenziale elastica , dovuta alla variazione delle distanze interatomiche nel reticolo: questa energia resta csi pienamente disponibile per la deformazione inversa. Pertanto si può definire l’elasticità la proprietà del materiale come virtù della quala i corpi metallici deformati temporaneamente per effetto di un carico esterno riacquistano la forma e le dimensioni originarie al cessare di questo. In questa fase esiste la proporzionalità diretta fra i carichi e gli allungamenti. Pertanto il segmento OA è un tratto rettilineo corrispondente al campo di validità della Legge di Hooke :

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Qui vi sarà il carico ultimo Fu.Queste fasi sono più o meno distinti a seconda dei materiali testati.Alcuni di essi passano dalle piccole alle grandi deformazioni plastiche senza soluzioni di continuità.

Grandezze estrapolabili dalla prova a trazione:

- modulo di elasticità E fornito dalla pendenza del tratto rettilineo della curva.- limite elastico σe, valore della sollecitazione oltre alla quale il materiale si deforma plasticamente.Si adotta convenzionalmente limite elastico con σ0.02 dove la deformazione permanente vale 0.02%.- resistenza a rottura σr che indica lo sforzo massimo supportato- deformazione a rottura εr

εr = (Lr – L0 )/L0 Lr = lunghezza a rottura.

-strizione C che è una variazione localizzata della sezione iniziale S del provino, nella zona dove si manifesta la rottura

C = (S – Sr) / S ( % ) e ciò fornisce una indicazione della duttilità del materiale.

Dala strizione è possibile risalire al coefficiente di poisson che misura, in presenza di una sollecitazione monodirezionale longitudinale,[1] il grado in cui il campione di materiale si restringe o si dilata trasversalmente

Un’altra modalità di esecuzione della prova di trazione prevede provini di sezione non più circolare ma a sezione rettangolare.si usa questa forma particolare perché si può aver bisogno di studiare le caratteristiche di lamierati.Si comprende quindi che questo secondo tipo di provino è molto comune in ambito aeronautico dato che l’utilizzo di profili sottili e lamiere è preponderante.

Infine si svolge la prova di trazione anche su fibre di materiali utilizzati per creare compositi.

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LA PROVA DI RESILIENZA Si definisce resilienza la resistenza alla rottura a flessione per urto. Ha lo scopo di determinare un indice di qualità dinamica per orientare alla scelta del materiale da utilizzare per organi soggetti ad urti, e per controllare la corretta esecuzione dei processi tecnologici. Le prove di resilienza si eseguono secondo due diversi procedimenti unificati che impiegano ciascuno provette con intagli differenti. La macchina di prova è il pendolo di charpy: costruita e messa in opera in modo da essere rigida e stabile affinchè le perdite di energia nell’incastellatura siano trascurabili. Il provino viene posto in una posizione che verrà intersecata dalla traiettoria del pendolo, il quale cadendo, colpirà lo stesso rompendolo e quindi cedendogli energia utilizzata per la rottura. Dato che il pendolo parte con una certa quantità di energia potenziale, da una certa altezza, e ne sacrifica una parte per rompere il pezzo in esame, non riuscirà più a raggiungere una altezza finale paragonabile a quella iniziale, ma sarà inferiore. A questo punto risulta, dalla misura della quota finale, quanta energia è stata assorbita dal provino e quindi quanto sarà elevata la sua resistenza agli urti.

Per materiali fragili, ovvero quei materiali che non subiscono deformazione plastica ma pervengono direttamente a rottura dopo una adeguata deformazione elastica, l’energia assorbita per rompersi è minore dell’energia assorbita dai materiali duttili, essendo che questi ultimi devono assorbire l’energia per deformare elasticamente e quella necessaria per deformare plasticamente fino a rottura. Anche la temperatura ha un effetto molto interessante sui materiali che vengono testati con questo tipo di prova: si nota come sia presente una temperatura di transizione, al di sotto del quale il materiale sotto studio presente caratteristiche assimilabili ad un comportamento fragile, subendo deformazione quasi totalmente elastica. Superata questa soglia, procedendo verso temperature maggiori il comportamento mutua fino ad assumere un identità duttile, e assorbendo maggiore energia nell’urto.

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LE PROVE NON DISTRUTTIVE DEI MATERIALI LA PROVA DI DUREZZA La durezza è la resistenza superficiale che il materiale oppone alla penetrazione di un altro corpo rigido e come tale è legata ai fenomeni di scorrimento plastico indotti dalla compressione localizzata. La prova di durezza è una prova statica non distruttiva nel senso che sebbene rimane sul provino o sul componente un piccolo segno ad indicare la deformazione plastica avvenuta durante il test, questo non influisce particolarmente sul compito che lo stesso dovrà compiere. Le prove di durezza principali sono tre: prova di durezza Brinell prova di durezza Rockwell prova di durezza Vickers prova Brinell consiste nel premere un penetratore a sfera levigata in acciaio temprato o di metallo duro di diametro D, per un prestabilito intervalo di tempo con una prefissata forza premente F, contro la superficie del provino. Si misurera a carico cessato il diametro dell’impronta residua rimasta sulla superficie sottoposta ad esame. La durezza brinell è definita come il rapporto tra il carico di prova F e l’area della superficie in mm quadrati. Durezza Brinell = F/S Prova Vickers E ' il metodo standard per misurare la durezza dei metalli, in particolare quelli con superfici estremamente dure: la superficie è sottoposta a una pressione per un tempo standard , il penetratore è un diamante a forma piramidale. Viene misurata la

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PROVE SIMULATE Come è stato descritto nel primo capitolo, durante la introduzione, le prove sui materiali si distinguono in tre gruppi differenti. Le prime ad avere luogo sono quelle convenzionali, ovvero quelle adoperate per conoscere il materiale, e per scegliere quello giusto in fase di progettazione dei vari elementi. Le prove che seguono sono le prove simulate, dove il progetto è finito e bisognoa capire se è valido e corretto, o se è da rivedere a causa di un esito non aspettato di eventuali test di resistenza dei componenti. in seguito vengono quindi descritte una serie di prove che vengono svolte in campo aeronautico su prodotti finiti. In particolare verranno analizzate: -prova di un motore aeronautico -prova di flessione di una semi-ala Queste prove sono dette simulate perché, vengono provati,uno alla volta, singoli componenti che andranno a costituire l’insieme finale “velivolo”. PROVA DI UN MOTORE AERONAUTICO GE90-115B Innanzi tutto per effettuare un test su un motore aeronautico a getto generico, serve una struttura adeguata che riesca a mantenerlo in posizione. La struttura deve essere costruita in base a diverse necessità, tra le quali le più importanti: deve supportare il peso del motore stesso deve supportare la spinta che il motore eserciterà, essendo questa tra i primi parametri che si andrà a verificare. Deve essere in grado di ospitare diversi tipologie di motore quindi dovrà possedere giunti standard e mobili per riuscire a bloccare motori di dimensioni e pesi differenti. Il motore in questione verrà sottoposto alle seguenti analisi: capacità di mantenere la spinta ad un dato livello (122000 lbs) icing certification mediante insuflaggio di acqua vaporizzata a bassissima temperatura test di grandinata water ingestion (water ingestion ratio: 4 ton per minute) bird ingestion (5.5lbs) dove dopo una verifica a motore spento non si devono rilevare deformazioni o perdite del materiale costituente il motore(specialmente le palette delle turbine e del compressore). Il motore aeronautico che supera il test, è quello che non cessa di funzionare, o non perde potenza e non subisce danni strutturali a seguito delle precedenti prove. Solo una volta ottenuto l’ok potrà essere utilizzato per impiego aeronautico. Il motore in questione, per esempio, equipaggia il boeing 777, due per ogni velivolo.

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MATERIALI COMPOSITI L’industria aeronautica, come si evince dal sottostante grafico, sta ora vivendo un periodo di grande rinnovamento legato all’uso diffuso e fortemente innovativo, sia in campo militare che in campo civile, dei materiali compositi. Questi negli ultimi venti anni hanno rivoluzionato il modo di pensare e progettare le strutture permettendo di ottenere prestazioni altrimenti inarrivabili.

Si definiscono compositi tutti quei materiali non esistenti in natura, caratterizzati da una struttura non omogenea costituita dall’unione di due o più elementi di differenti caratteristiche chimico-fisiche, ciascuna mantenendo la propria identità senza mescolarsi o dissolversi nell’altra. Dal punto di vista strutturale il materiale composito può essere considerato come unione di due fasi di cui una fibrosa detta di rinforzo ed una omogenea detta matrice. Che ha il compito di trasferire la sollecitazione alle fibre stesse. Anche se le matrici esistono di diverse tipologie, tra le matrici metalliche, quelle ceramiche e quelle polimeriche, sicuramente sono le ultime le più utilizzate in aeronautica. Per matrici polimeriche si intendono matrici termoindurenti in scala maggiore, ma con un certo utilizzo anche di resine termoplastiche. Le resine polimidiche e le resine epossidiche sono le più sfruttate, con le seconde che vengono considerate al primo posto data la loro maggiore resistenza e le loro proprietà meccaniche elevate rspetto ad un peso contenuto. Per quanto riguarda le fibre, le più importanti in campo aeronautico sono le fibre di vetro, le fibre di carbonio e le fibre aramidiche. Analizzando i grafici e le rappresentazioni che seguono si può avere una immagine chiara di quali fibre sono le più utilizzate e performanti, quali sono i vantaggi che esse portano rispetto ai vari materiali metallici, e quali invece gli svantaggi.

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Produzione dei componenti in materiale composito. la tecnica principale per la produzione di componenti in materiali compositi è quella dello stampo. Viene in sostanza creato una figura in negativo, tridimensionale, dell’oggetto che deve essere creato. In particolare in campo aeronautico si può osservare questa modalità di produzione nella costruzione di fusoliere di velivoli per l’aviazione generale dove la superficie di materiale non è smisurata e quindi dove il tempo di preparazione dello stampo è limitato. Una volta ottenuta la forma desiderata, si inserisce tramite stenditura manuale, che è più precisa di una stenditura meccanica e automatizzata, una serie di fogli di fibra, del tipo che si vuole usare. I fogli vengono disposti in base alla inclinazione delle fibre che viene stipulata a progetto a seconda della direzione che i carichi seguiranno. Questa superficie di materiale che viene stesa all’interno dello stampo deve poi essere impregnata con la miscela uniforme che andrà a costituire la matrice capace di tenere unite le fibre, ancora disgiunte. Tale processo termina con una cottura, ovvero l’inserimento dello stampo in un forno capace di cuocere il componente ad una temperatura che sta tra i 130 e i 160 gradi centigradi e dalle 2 alle 5 ore, a seconda delle resine.

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Una tecnica molto utilizzata per posare gli strati di fibre su superfici molto estese come possono essere quelle delle fusoliere dei velivoli per il trasporto passeggeri, è la tecnica a rocchetto o di filament wilding. In questa procedura, il corpo dello stampo, viene fissato alle due estremità da parte di supporti specifici, e viene conferita ad esso la capacità di ruotare sotto l’azione di un motore elettrico ad esso collegato. Mentre avviene la rotazione una striscia di materiale fibroso viene srotolata da una matassa per essere arrotolata sulla superficie del corpo stesso grazie ad un testa mobile che scorre lungo tutta la forma. La fibra posata passa in un sistema capace simultaneamente di bagnarla con resina. Anche per questo sistema è necessario poi l’utilizzo di un forno per completare l’opera. In figura si può vedere la parte frontale della fusoliera di un boeing 787 realizzata proprio tramite questo metodo.

MECCANICA DEI MATERIALI COMPOSITI Vm = volume della matrice. Vf = volume delle fibre. Legge della miscela: le proprietà del composito sono date dal contributo pesato delle stesse proprietà riferite alla matrice e rinforzo tenendo conto dela percentuale volumica. Proprietà del composito : Pc = Ff Pf + Fm Pm = Ff Pf + (1-Ff) Pm

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DIFETTI COMUNI NEI MATERIALI COMPOSITI Si devono innanzi tutto distinguere i difetti nati in sede di creazione del materiale, da quelli che vengono creati in fase di costruzione del prodotto. Per esempio gli impatti e gli urti sono causati durante la vita operativa del componente mentre la corrosione e l’umidità sono effeti che possono avere luogo anche in fase di produzione del materiale. Un ulteriore esempio può essere quello della porosità che nasce in fase di creazione del pezzo durante la cottura, né in fase di utilizzo, né in fase di produzione della resina. Disbonding: è un difetto che riguarda l’attaccamento di due superfici. Questo produce una giunzione di due lembi o di due superfici creando una discontinuità dove potrebbero accumularsi sforzi fino a portare a rottura il componente. Problema questo che affligge una particolare classe di materiali compositi: le travi a sandwich, di cui parleremo in seguito. Anche le bolle d’aria o di gas da cottura possono provocare questo difetto. Erosione: dovuta all’umidità a contatto del materiale o da parte di elementi trascinati dalle correnti Danni da impatto: in questo caso dobbiamo distinguere gli impatti a bassa energia e ad alta energia. I danni creati dal primo tipo di urto sono i più pericolosi dato che non provocano una perforazione visibile della sua superficie, bensì producono una rottura, una cricca dal lato opposto della superficie, ovvero quello che quasi sempre è nascosto. Anche se alla vista non sembra essere danneggiato, potrebbe crearsi una rottura estesa molto pericoloso. Questo genere di impatto provoca danni anche ai materiali di tipo sandwich andando a rovinare la parte interna che è la meno resistente.

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Come si sa, in questi casi, la trave subisce una flessione che genera uno sforzo normale lunghe le sezioni trasversali alla direzione della lunghezza. Questa flessione sollecita in maggiore quantità la sezione coincidente con il vincolo ad incastro. È in quel punto che dovremo effettuare i calcoli di verifica della trave. Serve innanzi tutto il dato del momento di inerzia della sezione della trave:

Trovati i momenti di inerzia delle sezioni del cuore, e delle pelli possiamo calcolare lo sforzo agente su di essi.

per quanto riguarda lo sforzo nel materiale composito

per quanto riguarda l’anima in materiale plastico I valori ottenuti dimostrano che sotto questo carico la struttura manterrebbe la sua integrità.

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toccò ad un terzo aereo che, ancora una volta decollato da Roma, cadde nelle acque antistanti l'isola di Stromboli. Finalmente venne deciso di sospendere l'attività dei Comet e quella che ne seguì divenne una delle più approfondite indagini tecniche fino ad allora realizzate; il compito dei tecnici della de Havilland era ovviamente duplice: ricercare le cause di tanti incidenti e tentare (per quanto possibile) di ricostruire la fiducia nei confronti del loro velivolo, dissoltasi in un brevissimo lasso di tempo. Il 19 ottobre 1954, il governo britannico istituì una commissione d’inchiesta sotto la guida di Lord Cohen al fine di esaminare le dinamiche e le cause della catena di incidenti. I test furono condotti dal direttore del RAE, Sir Arnold Hall, a Farnborough, il quale sin dall'inizio aveva ipotizzato che la causa principale potesse essere quella del progressivo indebolimento della fusoliera, iniziando così una serie di prove di pressione estensive volte a verificare lo stress sulle superfici dei pannelli di copertura. Tali supposizioni furono confermate con il recupero e l’analisi di grosse sezioni di fusoliera dell’esemplare precipitato all'Isola d'Elba: dai rottami emerse infatti che le lacerazioni si propagavano dalle aperture di finestrini e antenne del sistema ADF. La conferma arrivò con i test condotti sull’esemplare il quale venne sottoposto a lunghe sessioni di sovra-pressurizzazioni in vasca ad acqua fino alla sua distruzione: i risultati rivelarono che se la maggior parte delle superfici della fusoliera rispondeva agli elevati stress in modo brillante (va ricordato che le nuove leghe con cui il Comet fu costruito furono un notevole passo in avanti nel campo dell’aviazione), negli angoli dei finestrini rettangolari lo stress metallico aveva valori tripli rispetto al resto della struttura. Questo fenomeno, noto come effetto intaglio, combinato al fatto che qualsiasi spigolo rappresenta un innesco di cricca, causò un lento e progressivo formarsi di micro-crepe all’interno delle lamiere, le quali ad un certo punto non più capaci di sopportare lo stress della pressurizzazione, si laceravano violentemente causando la catastrofe.

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Le strutture e, molto spesso, gli organi delle macchine sono soggetti a sollecitazioni che si ripetono per un numero di cicli molto elevato, anche per milioni di volte. Storicamente il primo ricercatore ad affrontare in modo sistematico il fenomeno della fatica fu un ingegnere tedesco, il Wohler, che lavorava presso le ferrovie dello stato. Egli notò come gli assali dei treni manifestassero nel tempo delle rotture dovute a sollecitazioni in esercizio molto inferiori a quelle statiche a cui erano stati sottoposti in laboratorio. Il fenomeno della fatica è un comportamento caratteristico e importante dei materiali metallici, la cui importanza deriva proprio dal fatto che il cedimento del materiale può verificarsi anche per sollecitazioni inferiori ai valori di snervamento, se tali sollecitazioni sono ripetute nel tempo: è come se il materiale si affaticasse. Questo fenomeno è assai attuale sia dal punto di vista teorico che da quello pratico: nonostante i notevoli progressi compiuti a riguardo, ancora oggi le rotture per fatica costituiscono oltre l’80% di tutte le rotture in esercizio; sono interessati i settori dell’automobile, dell’aeronautica, della chimica e delle macchine utensili, cioè quelli in cui gli organi meccanici vengono sottoposti a sollecitazioni cicliche o a vibrazioni. Le rotture per fatica sono molto insidiose perché possono avvenire anche dopo un tempo breve di esercizio senza alcun segno premonitore. Per questo aspetto si potrebbe pensare che le rotture a fatica si avvicinino a quelle di tipo fragile: in realtà ne differiscono per cause e velocità di propagazione. L’andamento delle sollecitazioni può essere ricondotto a uno dei casi fondamentali: - Sollecitazione alternata simmetrica - Sollecitazione alternata asimmetrica - Sollecitazione oscillante dall’origine -Sollecitazione pulsante

L’idealizzazione di un ciclo sinusoidale dipendente dal tempo è il modo più adatto di idealizzare la sollecitazione alternata che produce il fenomeno della fatica. Si veda a tal proposito la seguente formula:

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Si torna spesso sul fattore superficie proprio perché la superficie è il primo luogo da cui parte una cricca a fatica, per poi espandersi all’interno del materiale (immagine precedente).

Un indicatore molto importante è il rapporto di tensione tra il valore minimo e il valore massimo di tensione durante i cicli analizzati. Si ha che dunque:

Oltre al fattore R, uno strumento molto utile in fase di progetto è il diagramma di Goodman. Questa rappresentazione aiuta il progettista a capire, per un dato materiale e fissata la durata della vita utile del componente, quale sforzo massimo può sopportare e quale sforzo medio deve essere esercitato sul componente; assolutamente non devono essere superati questi valori.

Il diagramma di Wohler viene generalmente riferito a un ciclo con tensione media nulla. Per come è stata definita la tensione di ciclo nel paragrafo 1, si vede come essa non dipenda soltanto dalla sollecitazione alternata di ampiezza σa, ma anche da valore dell’ampiezza media di tensione σm. E’ opportuno quindi analizzare come varia il comportamento a fatica, e quindi la curva di Wöhler, nel caso che la tensione media non sia più diversa da zero.:

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TIPOLOGIE DI CARICO SU UN VELIVOLO. Il velivolo durante la sua vita operativa, e più precisamente in ogni volo che dovrà compiere subirà una serie di carichi su molti degli elementi che lo compongono. Considerando un velivolo di trasporto passeggeri, possiamo definire un ciclo come l’insieme delle varie fasi di taxi, decollo, crociera e atterraggio. Ognuna delle fasi vede una componente che viene sollecitata periodicamente. Per esempio, durante la crociera l’ala dovrà generare la portanza adeguata al sostentamento, cosi come gli alettoni e i vari impennaggi dovranno conferire la possibilità di orientarsi correttamente interagendo con l’aria circostante. Ogni atterraggio provvederà a fornire sui carrelli carichi ciclici dovuti all’impatto con il suolo e dovuti alle frenate. La fusoliera sarà soggetta ad uno sforzo dovuto alla differente pressione tra interno ed esterno dovendo garantire una corretta pressurizzazione. Ogni elemento dovrà essere costruito per poter reggere i l carico per un numero di cicli adeguato. Per prevedere le sollecitazioni che agiranno sul componente è quindi necessario utilizzare il metodo degli spettri di carico: rappresenta la serie di sforzi che durante un ciclo della vita operativa il velivolo e i suo sistemi dovranno sopportare. deve essere rappresentativo dell’effettiva condizione di carico sperimentata in volo.La necessità di disporre di spettri di carico standard è legata sia alla esigenza di utilizzare spettri realistici, sia alla necessità di poter confrontare i risultati di diverse prove con spettro identico. Ne esistono molti, tra i quali:

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Numerose equazioni sono state proposte in letteratura per correlare la velocità di propagazione della cricca alla variazione del fattore di concentrazione applicato sotto un carico affaticante di ampiezza costante. Equazione elaborata da Paris che la introdusse negli anni ’60: il limite di tale espressione è che ha validità solo nel settore II della curva, quello di crescita lineare

I TRATTAMENTI MECCANICI I metodi più utilizzati nell'industria per introdurre degli stati di sforzo residui in compressione nei materiali sono la rullatura a freddo e la pallinatura. La rullatura a freddo è appropriata nel caso di pezzi di grandi dimensioni, mentre la pallinatura, che consiste nel sottoporre la superficie del componente da trattare all'urto con piccole sfere di acciaio da fusione lanciate a grande velocità, è più adatta nella lavorazione di parti di massa contenuta. Anche se la resistenza del materiale subisce alcune alterazioni in seguito all'incrudimento derivante da lavorazioni plastiche, il miglioramento della resistenza a fatica è principalmente dovuto allo stato di sforzo residuo in compressione che si riesce a produrre sulla superficie. L'influenza della rullatura a freddo o della pallinatura si sente maggiormente su vite a fatica molto lunghe, mentre per vite brevi il loro effetto è trascurabile. L’effetto dei trattamenti meccanici che inducono uno stato di sforzo residuo in compressione sulla superficie del pezzo, analogamente ad altri fattori di modificazione della resistenza a fatica, può essere tenuto in conto attraverso fattori di correzione. Questi ultimi cambiano il valore dello sforzo limite di durata σe che, nel caso della pallinatura, viene incrementato di un fattore pari a 1.5 ÷ 2.0 I TRATTAMENTI TERMOCHIMICI I trattamenti termochimici di cementazione o nitrurazione degli acciai sono processi che si basano sulla diffusione di Carbonio o Ammoniaca sulla superficie del componente. Questi alliganti sono interstiziali; cioè, i loro atomi vanno a riempire gli spazi lasciati liberi dagli atomi adiacenti del Ferro senza distorcerne le strutture cristalline. Entrambi i metodi agiscono nel senso di aumentare la resistenza all'usura

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D1 +D2 +...+Di−1 +Di ≥1 L'esperienza mostra che la combinazione lineare dei danneggiamenti parziali è una semplificazione a volte eccessiva della realtà; in particolare, non tiene conto della sequenza secondo la quale i diversi livelli di deformazione vengono raggiunti dal materiale. Inoltre, il danneggiamento si accumula sempre nella stessa maniera, senza riguardo alla storia temporale delle deformazioni subite fino a quel momento. Nei casi reali, la somma di Miner, alla rottura, può essere maggiore o minore di 1, a seconda delle sequenza di carico cui è soggetto il componente esaminato. Se la sequenza dei carichi è pressoché casuale, la regola di Palmgren-Miner è sufficientemente accurata. La verifica sperimentale mostra infatti che, al momento della rottura, la somma dei danneggiamenti è con buona approssimazione pari ad 1. La normativa tenta di far fronte a questi effetti affermando che se non c'è nessun ciclo associato ad un livello di sforzo maggiore di quello di rottura per 10^7 cicli, allora non viene accumulato alcun danneggiamento. Se, al contrario, esiste almeno un ciclo che supera questo livello di sforzo, tutti gli altri cicli concorrono ad accumulare una quota di danneggiamento. Questa correzione tiene conto del comportamento osservato nel materiale. Quando si verifica un ciclo che fa propagare la cricca, tutti i successivi cicli, che fino a questo momento non avevano prodotto danneggiamento, contribuiscono ad incrementare le dimensioni della cricca. La scelta del livello di sforzo di rottura a fatica per 10^7 cicli deriva dal fatto che lo sforzo in questo punto è vicino alla soglia per l'avanzamento della cricca. Pertanto, basta che un solo ciclo superi questa soglia per dare luogo alla propagazione a cui partecipano tutti i successivi cicli di carico. Il metodo S-N si presta allo studio di strutture saldate, giunti complessi, rivettature, saldature a punti o se si trattano materiali compositi. Il metodo S-N deve essere sempre usato quando non si conoscono esattamente le proprietà del materiale o qualora una o più tra le ipotesi fondamentali del legame sforzi-deformazioni vengano meno.

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COLLEGAMENTI BULLONATI In aeronautica i collegamenti bullonati sono generalmente usati per trasmettere carichi elevati per quanto riguarda la trazione ed il taglio. I dadi sono spesso di acciaio o di alluminio. Esiste un sistema di classificazione per i bulloni, per i dadi e per le viti: AN - airforce/navy standard NAS - National aircraft standard Tramite questi standard si possono trovare I valori di sforzo ammissibile massimo per le varie misure di diametro del bullone.

Se però un bullone subisce lo sforzo di taglio e di trazione contemporaneamente devono essere usati criteri che tengano conto della combinazione delle sollecitazioni

Bullone singolo, strutture:

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Un primo metodo è quello del dado contro dado, che è un metodo molto economico e rapido che per contro conferisce maggiore peso alla struttura. Un secondo dispositivo si basa sull’uso di materiali polimerici ad alto coefficiente di attrito inseriti all’interno del bullone, capaci cosi di andare a contatto della vite e di rendere difficoltoso lo svitamento

Come terzo metodo esiste l’uso di spine passanti all’interno della vite in appositi fori, e capaci di intersecare il dado, formato in modo da prevedere delle gole capaci di accogliere questo elementi aggiuntivo.

Un’ulteriore soluzione è rappresentata dalla legatura del dado a degli elementi di supporto presenti sul pezzo da collegare. In particolari casi è possibile utilizzare un gruppo di dadi vicini tra loro per legarli assieme. Questo sistema è molto usato nei mozzi per le eliche data la sua elevata efficacia. In fine, come ultimo sistema si evidenza l’utilizzo di rondelle a deformazione plastica, non piane, che subendo la pressione del bullone, reagiscono spingendolo e creando un maggiore momento di attrito tra bullone e vite.

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Venne allora studiato il modo di eliminare la sporgenza della testa inserendo rivetti a testa svasata di modo da conferire nuovamente una linearità alla superficie del velivolo.

Il fatto di usare il rivetto a testa svasata, o in inglese il countersunk rivet presente nella figura, porta però dei problemi in termini di affidabilità del giunto, che deve assumere una determinata forma per non perdere efficacia in tempi molto brevi: questo problema è portato dall’effetto di taglio del bordo tagliente della lamiera.

Una particolare classe di rivetti sono quelli di tipo blind rivets. Questi rivetti hanno molti pregi tra i quali i più importanti : utilizzabili quando un lato dell’elemento da giuntare è nascosto necessario un solo operatore l’attrezzatura è facilmente reperibile, e facilmnte trasportabile richiesta una minore specializzazione dell’operatore hanno caratteristiche meccaniche superiori rispetto ai rivetti comuni il più grande contro che hanno è l’elevato costi, molto più alto di quello da sostenere per rivetti comuni, e questo comporta che vengano usati solo ed esclusivamente nelle applicazioni dove sono richiesti. Se entrambi i lati sono visibili si preferisce l’adozione di tipologie più economiche.

Un’altra categoria interessante di rivetti è la famiglia Hi-lok. Questi particolari rivetti richiamano il funzionamento di una vite con il suo dado. Necessitano di entrambi i lati del collegamento in vista.

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Ciò che interessa è allora la determinazione dei picchi tensionali che si presentano nell’intorno dell’intaglio e nei paragrafi successivi verrà illustrato un metodo pratico che fa uso di grafici ottenuti per via analitica o sperimentale. C’è comunque da sottolineare che allo stato attuale dell’arte spesso i progettisti utilizzano strumenti informatici (FEM:finite elements method) che consentono la determinazione dello stato tensionale anche in componenti meccanici di geometria complicata.

Concentrazione delle tensioni nell’intono di un foro Considerando un elemento meccanico che presenta un intaglio risulta possibile determinare la tensione nominale prescindendo dalla irregolarità geometrica. Definiamo con Kt il fattore teorico di concentrazione delle tensioni, o semplicemente fattore d’intaglio, il rapporto

con -σmax = tensione massima nell’intorno dell’intaglio -σ0 = tensione nominale in assenza dell’intaglio Noto il Kt e calcolata la tensione nominale è possibile dunque risalire alla tensione di picco:

Il fattore d’intaglio viene fornito in forma di grafici definiti in base alla geometria del componente, alla geometria dell’intaglio e alla tipologia di sollecitazione alla quale è sottoposto il componente.

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Se ora aumentiamo gradualmente la forza di trazione la tensione nell’intorno del foro essa ad un certo punto raggiungerà la tensione di snervamento del materiale. Continuando ad aumentare la forza di trazione la tensione, ove ha raggiunto lo snervamento, non può aumentare ulteriormente in quanto le ipotesi fatte sul materiale non lo consentono. Per equilibrare la forza esterna di trazione la tensione non può che aumentare nelle altre zone fino a raggiungere il valore della tensione di snervamento, come riportato nella figura seguente.

Aumentando ancora la tensione viene quindi a ridistribuirsi al valore della tensione di snervamento per tutta la sezione, come indicato in figura:

Nel caso reale il comportamento del materiale non è elastico-perfettamente plastico e quindi la ridistribuzione è comunque accompagnata da un incremento delle tensioni oltre il limite di snervamento. L’esempio è comunque utile a comprendere cosa si intende per ridistribuzione delle tensioni in un materiale duttile e perché in questo caso sia possibile trascurare il Kt. In aeronautica, questo concetto non è applicabile e deve essere considerato il materiale come materiale fragile, o comunque non va trascurato il fattore Kt essendo che le temperature alle quote più elevate possono ridurre notevolmente la duttilità dei materiali metallici utilizzati. Serve dimensionare il foro, o scegliere il numero di fori adeguato ad abbassare oltre il limite di sicurezza le tensioni attorno a queste discontinuità. Nel caso di carichi dinamici è altrettanto pericoloso trascurare il fattore di concentrazione delle tensioni, anche per materiali duttili. Infatti, come vedremo trattando il fenomeno della fatica, le rotture dovute ai carichi dinamici (che chiameremo affaticanti) prendono origine proprio dalle zone nelle quali la tensione raggiunge valori elevati a causa della presenza di intagli.

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Verranno di seguito elencate le principali metodologie di saldatura, e il loro principio di funzionamento. SALDATURE A GAS Gruppo di procedimenti di saldatura per fusione nei quali il calore necessario per provocare la fusione dei lembi è prodotto dalla combustione di un gas o di una miscela di gas con l’ossigeno. Saldatura ossiacetilenica al cannello La fiamma ossiacetilenica è ottenuta dalla combustione dell’acetilene con l’ossigeno. La fiamma presenta tre zone: il dardo, la zona riducente, il fiocco. Il volume di ossigeno fornito dalle bombole si riduce a 1,1-1,2 volte il volume di acetilene. Il punto di massima temperatura (3200°c) è a qualche millimetro dall’estremità del dardo mentre la zona riducente è ad una temperatura di 2600°c. Nel fiocco sono presenti i prodotti finali della combustione più azoto e ossigeno libero dell’aria, pertanto questa zona risulta ossidante e la tempartura è mediamente 1200°c. Il fiocco deve risultare neutro e quresta condizione si verifica quando la zona riducente non è visibile e il dardo è di lunghezza regolare, concentrato e chiaramente visibile. Una postazione individuale di saldatura ossiacetilenica è costituito da: -una bombola di ossigeno -una bombola di ossiacetilene -un canello -uno o due riduttori di pressione -tubi, valvole di sicurezza, manometri -materiali d’apporto -polveri disossidanti IL CANNELLO OSSIGAS sono apparecchi meccanici atti a realizzare la combustione della miscela gas combustibile, gas comburente , evitandone la esplosione. I cannelli si raggruppano in due classi: i cannelli ad alta pressione e i cannelli a bassa pressione. I più utilizzati son i secondi dato che sono adattabili a qualsiasi mezzo di produzione ed erogazione dell’acetilene.

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SALDATURA AD ARCO Questo procedimento, con elettrodi fusibili, è attualmente il più utilizzato . Utilizza l’elevata temperatura di un arco elettrico voltaico ( 3200°c) che scocca tra l’elettrodo e i pezzi per portare contemporaneamente allo stato liquido il materiale d’apporto (per l’appunto, l’elettrodo) ed i lembi dei pezzi da unire. L’esecuzione può essere manuale, semiautomatica, automatica. Nell’esecuzione manuale l’operatore provvede a muovere l’attrezzatura e a caricare le bacchette di materia d’apporto. Nella procedura semi automatica la bacchette vengono ricaricate tramite un caricatore, mentre nella procedura automatica è tutto controllato da software.

Si noti come viene collegato il materiale da saldare affinchè possa esserci un vero e proprio passaggio di corrente tra esso e il filo in materiale conduttore che compone l’elettrodo. Se cosi non fosse in effetti non potrebbe esserci passaggio di corrente elettrica e quindi nemmeno di un arco fondente. Le tre principale tipologie di saldature ad arco sono le seguenti: TIG: saldatura ad arco in gas inerte protettivo con filo elettrodo infusibile. (tungsten inert gas). MIG: saldatura automatica ad arco in gas inerte con filo elettrodo fusibile continuo (metal inert gas) MAG: saldatura automatica ad arco in gas protettivo attivo con filo elettrodo fusibile (metal active gas) Nel metodo TIG l’arco scocca tra un filo elettrodo conduttore non rivestito di tungsteno puro od attivato ed i pezzi da saldare preventivamente preparati e puliti. Il gas inerte fluisce con continuità lungo l’elettrodo e ricoprendo il bagno di fusione tiene lontana l’aria impedendo ossidazione e la formazione di azoturi. Il materiale d’apporto viene fornito da una bacchetta fondente di materiale opportuno. Nel metodo MIG sistema spray-arc il trasferimento a spruzzo dele gocce di metallo dal filo al bagno di saldatura avviene senza corti circuiti, con intensità di corrente di

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SALDATURA A RULLI Anche questa tecnologia si basa sul principio della saldatura per resistenza, ed è molto simile alla saldatura per punti. L’unica differenza riscontrabile è la presenza di due rulli elettrodi non fondenti che applicano la pressione e fanno passare corrente sui pezzi invece di avere due punte.

SALDATURA AD ATTRITO È un procedimento nel quale il calore necessario è prodotto dall’attrito di strisciamento fra le due superfici di testa dei due pezzi da unire: un pezzo è mantenuto fermo mentre l’altro ruota velocemente a contatto con il primo ad una velocità periferica media di 2,5 – 3 m/s. Generato il calore necessario per ridurre il materiale allo stato plastico nella zona di contatto si aresta il pezzo rotante e si applica fra i due pezzi una pressione che ne determina la saldatura per diffusione in quanto le molecole delle parti a contatto

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capace di generare ed amplificare radiazioni di frequenza ottica, basato sul principio dell’emissione stimolata il cui fascio incide sul pezzo da saldare. Il laser può essere definito come un generatore di luce coerente (cioè caratterizzata dalla stessa lunghezza d’onda e dalla stessa fase) che parte da un meccanismo di eccitazione atomico - molecolare in una configurazione in cui gli elettroni che girano attorno al nucleo possono stare, di volta in volta su un solo livello energetico. Nella saldatura laser si utilizzano normalmente due tipi di sorgente: - a corpi solidi: impiegati nella microsaldatura di lamiere fino allo spessore di 1mm e costruiti per potenze del fascio fino a qualche centinaio di watt. Le prestazioni quantitativamente maggiori sono riguardanti la saldatura di circuiti stampati miniaturizzati, di componenti per macchine fotografiche, di semiconduttori, di coppie bimetalliche, ecc. - al CO2 impiegato nella saldatura di lamiere con spessori superiori a 1 mm per potenze fino a 10 kw con velocità di saldatura fino a 5 m/min I maggiori vantaggi prevedono: - nessun utilizzo di materiale di apporto - possibilità di saldare materiali differenti -ridotte solecitazioni termiche sul pezzo - possibile effettuare la saldatura sotto vuote o in atmosfere protettive -possibilità di concentrare il fascio in zone molto limitate ( 20 micrometri ) SALDATURA PER DIFFUSIONE È un procedimento di saldatura per pressione che generalmente non richiede materiale d’apporto nel quali i pezzi in corrispondenza delle superfici da unire, oppure in tutta la loro massa vengono mantenuti a contatto da una pressione che agisce con continuità e riscaldati per un tempo determinato ad una opportuna temperatura ( pari normalmente alla metà della temperatura di fusione). Come conseguenza si hanno deformazioni plastiche locali e un intimo contatto delle parti da unire, con diffusione di atomi attraverso le superfici a contatto e realizzazione della completa continuità del materiale. Normalmente è un processo che viene eseguito sotto vuoto o in atmosfera a gas protettivo o in un fluido. SALDATURA AL PLASMA Procedimento ad arco nel quale la fusione localizzata del materiale base è ottenuta riscaldando con un arco strozzato che scocca tra l’elettrodo ed il pezzo. Presenza o meno di materiale d’apporto. Il plasma è un gas che portato ad altissima temperatura si ionizza: degli elettroni si staccano dagli atomi acquistando piena libertà di movimento pur rimanendo vincolati ai nuclei.

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LA TECNICA DELL’ INCOLLAGGIO La tecnica dell'incollaggio negli ultimi anni si è dimostrata in grado di soppiantare o di coadiuvare svariate applicazioni in tecnologie convenzionali quali la chiodatura, la saldatura e i collegamenti meccanici. La resistenza e la durata di strutture incollate nelle costruzioni aeronautiche e nelle strutture di legno sono state dimostrate nell'arco di molti anni, mentre l'estensione di questa tecnologia ad altre applicazioni strutturali è al confronto limitato. Agli albori di questa tecnologia erano conosciute solo poche tipologie di colle derivanti da vegetali o animali, che per altro erano utilizzate per l’incollaggio di strutture aeronautiche in legno già dalla prima guerra. ci si accorse, però, che avevano una resistenza limitata all'umidità ed alle muffe e non potevano essere considerate una vera e propria risorsa per il futuro. Il rapido aumento dell'uso degli adesivi in campo industriale fu permesso dallo sviluppo delle resine sintetiche, che non presentano le limitazioni dei prodotti naturali e che possono incollare sia i metalli sia altri materiali non porosi. La prima resina sintetica d’uso comune è stata la fenolformaldeidica, che è stata ampiamente usata per incollare il legno. La seconda guerra mondiale, ha visto lo sviluppo delle resine epossidiche e fenoliche modificate per incollaggi tra metalli in campo aeronautico e da allora sono stati preparati diversi tipi di gomme e resine sintetiche. L'incollaggio è divenuto oggi giorno una importante tecnica nel campo aeronautico per determinati motivi quali la riduzione del peso, l’aiuto nella resistenza meccanica che può comportare unito ad altre metodologie di giuntaggio e alla relativa velocità con la quale si possono unire due superfici anche molto estese. Per merito dei vantaggi che presenta in numerose applicazioni, l'incollaggio offre nuove possibilità di produzione a basso costo. Per quanto riguarda la riduzione di peso, per esempio, si noti che con gli incollaggi si possono usare elementi più sottili, mentre fino ad ora lo spessore era determinato dalla necessità di evitare le distorsioni causate dalla saldatura per punti e dalla rivettatura. Leghe leggere dello spessore di soli 0,35 mm, sono state incollate con risultati soddisfacenti e film metallici dello spessore di 0,05 mm sono stati usati in strutture sandwich a nido d'ape. VANTAGGI E SVANTAGGI DEGLI INCOLLAGGI, BENEFICI OTTENUTI MEDIANTE L'USO DEGLI INCOLLAGGI. VANTAGGI -La possibilità di unire materiali diversi, che possono differire per composizione, coefficienti di dilatazione, moduli elastici e spessore (si possono incollare lastre sottili e fogli che, se uniti con metodi diversi, avrebbero risentito di deterioramenti o distorsioni).

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meccanici con un unico incollaggio e l'unione di diversi componenti nello stesso tempo. SVANTAGGI -Tra gli svantaggi dell'incollaggio che hanno portato ad alcune restrizioni nel loro impiego ci sono la dipendenza della durata dell'incollaggio dalle condizioni in cui esso è stato eseguito. -la necessità di particolari forme del giunto per evitare la rottura per fessurazione. -la limitata resistenza dell'adesivo nell'uso in condizioni estremamente critiche, specialmente dovute al calore. Per esempio resine termoindurenti poliammidiche ed epossidiche modificate sono adatte al funzionamento per lunghi periodi a 250 °C, oltre ai quali si assiste ad una perdita delle caratteristiche meccaniche del collante. Materiali inorganici come i silicati possono funzionare come adesivi fino a 1500 °C, ma sono fragili, soggetti a shock termici e meccanici ed hanno una scarsa adesione ai metalli. -Tensioni residue in giunti incollati possono presentare problemi; queste tensioni si manifestano quando si usano elevate temperature di cottura e sono la conseguenza della diversa espansione termica dell'adesivo e del materiale della superficie. La resistenza ottimale dell'incollaggio normalmente non è raggiunta istantaneamente, come avviene invece con la saldatura o il collegamento meccanico, ma deve passare un periodo di “invecchiamento” per permettere al collante di legare correttamente e reagire totalmente. -Molti adesivi termoindurenti hanno bassa resistenza alla pelatura. -gli adesivi termoplastici tendono allo scorrimento viscoso sotto carichi insistenti. La resistenza degli incollaggi può scendere nel tempo in base agli ambienti e agli agenti chimici che entrano in contatto degli stessi. Il clima, la temperatura, le radiazioni ed il deterioramento possono causare degrado conosciuto solo attraverso metodo statistici e prove in laboratorio. A volte potrebbe esserci il rischio che a causa di stress prolungati il materiale sia maggiormente degradato rispetto a quanto ci si aspetta. -L'infiammabilità e la tossicità sono caratteristiche di molti adesivi a base di solventi e questo aumenta i rischi nel montaggio. -Strutture incollate non sono facilmente smontabili per la riparazione, e non è facilmente monitorabile il loro stato, il che ci riporta a quanto detto due punti sopra. PREPARAZIONE DELLA SUPERFICIE La resistenza del giunto dipende dalle forze di coesione che si sviluppano tra l’adesivo e le parti da incollare, e dall’area della superficie dell’incollaggio su cui esse si esercitano. L’adesione avviene in una zona di interfaccia di dimensioni molecolari dove l’adesivo incontra la parte da incollare, e può essere ridotta dove siano presenti contaminazioni o strati di superficie debolmente aderenti. Ne consegue

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Dopo il procedimento iniziale di pulitura, gli incollaggi ad alta resistenza tra metalli normalmente richiedono anche un trattamento chimico volto a rimuovere un insoddisfacente strato superficiale come scaglie di ossido o a creare uno strato adatto sulla superficie. Generalmente i procedimenti chimici o elettrochimici di preparazione superficiale sono più economici e producono una superficie più uniforme, permettendo di ottenere un incollaggio più affidabile di quello che si potrebbe ottenere con l'abrasione meccanica. Questi trattamenti comprendono l'uso di reagenti acidi o alcalini che vanno da quelli deboli a quelli forti. GEOMETRIA DEL GIUNTO Ci sono, d'altra parte, complicazioni aggiuntive nella progettazione di un giunto, dal momento che accade raramente che in pratica un giunto sia sottoposto ad un solo genere di tensioni, ma piuttosto ad una combinazione di tipi diversi. Talvolta, per esempio, una distorsione delle parti da incollare induce tensioni secondarie, e in questi casi diventa estremamente importante un’adatta geometria del giunto. I giunti a sovrapposizione sono stati studiati in modo molto dettagliato e sono i più comunemente usati. Sottoporre un giunto a semplice sovrapposizione ad una forza di trazione causa una distribuzione non uniforme delle tensioni.

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la robustezza maggiore è ottenuta con uno strato sottile di adesivo termoindurente nel campo dei 0,025-0,1 mm anche se dalla teoria dell'elasticità siamo portati ad affermare che strati più spessi dovrebbero essere più resistenti di quelli sottili. Nel caso di adesivi rigide e fragili, la discrepanza è attribuita alla non uniformità delle tensioni. La concentrazione delle tensioni secondo la teoria dell'elasticità è descritta dal coefficiente adimensionale:

dsEGI⋅⋅

⋅2

dove I è la lunghezza della sovrapposizione, G è il modulo di elasticità tangenziale dell'adesivo, E è il modulo elastico delle parti da incollare, s il loro spessore e d lo spessore dello strato di adesivo. De Bruyne (1967) ha suggerito che a parità dei valori delle altre variabili, la quantità s/l è un utile parametro per confrontare la resistenza del giunto. Dato un sistema adesivo - parti da in- collare, semplici giunti a sovrapposizione preparati in condizioni paragonabili e aventi lo stesso spessore totale del giunto avranno valori paragonabili di resistenza a taglio se il fattore di incollaggio s/l è simile. per avere lo stesso fattore di incollaggio s/l e una resistenza a taglio comparabile al giunto con spessore della lamiera pari a 0,5 mm e una lunghezza di sovrapposizione di 10 mm (s/l = 0,05), un giunto con lamiere dello spessore di 2 mm deve essere lungo 44mm. Si veda il grafico per capire il concetto

Di seguito è presente uno schema in cui sono presenti le tipologie di giunto più utilizzate sempre rispettando la teoria fino ad ora studiata.

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Il liquido deve essere disteso con continuità sulla superficie per evitare di inglobare sacche di aria o altro gas, dalle quali oltre tutto può partire il fenomeno di pilling che possono compromettere l’integrità. Il terzo difetto che può insorgere in un incollaggio, è la separazione di una delle due superfici dell’adesivo, con la superficie su cui aderiva, causa di uno sforzo troppo elevato agente su di esso. Elencare tipologie di resine! MATERIALI DI IMPIEGO AERONAUTICO Il campo aeronautico è un campo dove la tecnologia e i materiali sono in continua evoluzione. Questo fatto accade perché le strutture da costruire, ideate dalle aziende leader nel settore devono rispondere a nuovi regolamenti sempre più stringenti in termini di eco-compatibilità, resistenza meccanica, e i velivoli progettati essendo sempre più grandi, veloci e sofisticati hanno bisogno di una base tecnica solida e che garantisca uno stato adeguato di sicurezza. In generale le caratteristiche desiderate dal materiale di impiego aeronautico sono una buona resistenza meccanica agli sforzi unità all’elevata leggerezza. In poche parole servono i materiali che portano con se un elevato rapporto resistenza/peso. Unitamente a queste le caratteristiche più ricercate sono: -omogeneità (materiale isotropo) -bassa infiammabilità -resistenza alla corrosione -resistenza alla fatica -reperibilità sul mercato a prezzi adeguati e competitivi. In base ai criteri appena elencati si possono identificare cinque famiglie di materiali, che sono le leghe di alluminio, le leghe di titanio, le leghe di magnesio, gli acciai, e i materiali compositi. Cerchiamo di approfondire il concetto di rapporto resistenza peso: l’acciaio ha una resistenza a trazione pari a 1100N/mm^2 ed una massa volumica di 7,7kg/dm^3 mentre le leghe di alluminio presentano una densità di 2,7kg/dm^3 e una resistenza a trazione di 440N/mm^2. Si può notare come i rapporti resistenza peso siano quasi uguali: 163 per le leghe di alluminio e 142 per l’acciaio. Si noti però come l’acciaio pesi a pari volume, tre volte tanto l’alluminio, e la sua resistenza è quasi tre volte superiore. Ciò significherebbe che si potrebbe usare una lamiera di acciaio sottile tre volte tanto rispetto ad una lamiera in alluminio per la stessa applicazione. Detto questo, è logico che lavorare con spessori molto ridotti di materiale porta delle conseguenza negative dovute a probabili instabilità del materiale.

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Si esamini i principali. TEMPRA l trattamento di tempra o tempera in generale consiste nel brusco raffreddamento di un materiale dopo averlo portato a temperatura di austenizzazione. Questo processo è molto comune per i metalli L'elevata velocità di raffreddamento inibisce l'azione diffusiva atta al ripristino dell'equilibrio e il numero di vacanze (e quindi di cluster, cioè raggruppamenti di difetti puntuali) che compete alla temperatura di tempra è conservato a temperatura ambiente. Più in generale si può dire che la tempra, inibendo i processi diffusivi necessari alla stabilizzazione termodinamica, trasferisce a temperatura ambiente uno stato termodinamicamente competente a temperatura maggiore. Un monocristallo così trattato ha resistenza meccanica maggiore rispetto al monocristallo raffreddato lentamente. Grazie alla tempra, per esempio, si trasforma la struttura perlitica dell'acciaio in martensitica: si porta la lega da temprare a una temperatura di circa 50 °C sopra quella di austenizzazione e lo si raffredda molto rapidamente fino a temperatura ambiente (non necessariamente essa viene raggiunta); non avendo così il tempo per diffondere, il carbonio rimane intrappolato all'interno della cella gamma, che si trasforma in cella alfa a temperatura ambiente; ciò porta ad avere una struttura tetraedrica, che è appunto la martensite. La trasformazione dell'austenite in martensite, bainite o perlite comporta l'aumento del volume; dato che cuore e superficie non si trasformano contemporaneamente, nascono delle tensioni di trazione e compressione. La situazione più favorevole vede la sollecitazione a compressione del guscio esterno e a trazione del cuore, attuando una sorta di "deformazione sferica" che non solo non presenta motivi di pericolo, ma anzi favorisce la resistenza a fatica e a flessione (dato che si sommano algebricamente ai carichi esterni). RINVENIMENTO

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duri e che distorcono il reticolo cristallino. Il meccanismo di rafforzamento che quindi interviene è quello di Orowan. Lo spessore dello strato indurito è minore di quello ottenuto per carbocementazione, ma in compenso la sua durezza, che varia a seconda della composizione dell'acciaio, può (con certi tipi di acciaio) raggiungere 1000 HV e rimane stabile fino a temperature di 600-700 °C. CARBONITRURAZIONE La carbo-nitrurazione è un processo metallurgico che consiste nell'investire pezzi di acciaio, riscaldati a temperature comprese fra 721 °C e 910 °C, con unamiscela gassosa o liquida capace di cedere carbonio e azoto (UNI 5479-70). In pratica la carbo-nitrurazione viene effettuata ad una temperatura di circa 775 °C. Con un permanenza di 3/4 ore, si ottiene uno strato cementato profondo 0,10/0,15 mm. Lo spessore carbo-nitrurato può variare da 0,05mm a 0,55mm. La carbo-nitrurazione viene eseguita su pezzi di acciaio a basso tenore di carbonio. I pezzi, prima della carbo-nitrurazione, devono essere sottoposti a un trattamento di distensione. Vantaggi: -La carbo-nitrurazione non produce deformazioni e pertanto può essere eseguita su pezzi di piccolo spessore -I pezzi carbo-nitrurati presentano, rispetto ai pezzi nitrurati, una maggiore resistenza all'usura a secco. -Le superfici carbonitrurate posseggono una minore tendenza all'ingranamento e perciò la carbo-nitrurazione è particolarmente indicata per le superfici di contatto dei pezzi dotati di moto relativo. -L'indurimento dei pezzi carbo-nitrurati permane anche a temperature di circa 360 °C e pertanto la carbo-nitrurazione viene spesso preferita alla carbo-cementazione. APPLICAZIONI DEGLI ACCIAI NELLE STRUTTURE AERONAUTICHE - Acciai legati, da cementazione e da bonifica:usati in particolare per la costruzione di ingranaggi dove è necessaria una elevata resistenza alla usura e una altissima durezza superficiale, conseguita appunto con la carbo-cementazione. Alcuni esempi sono 15NC11, 18NC16, ecc. Per quanto riguarda gli acciai da bonifica sono applicati principalmente acciai al nickel cromo molibdeno con resistenza a trazione compresa tra 800 e 1200 N/mm^2. Vengono usati per supporti di carrelli di atteraggio, attacchi alari, leve di servocomandi, ecc. - Acciai inossidabili: caratterizzati da una elevata resistenza, buona resistenza alla corrosione elettro-chimica, alla ossidazione a caldo e allo scorrimento viscoso. Vengono usati per parti strutturali molto sollecitate, per separatori di zone calde, per bordi di attacco di velivolo supersonici, per pannelli di rivestimento dei vani motore.

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TITANIO Il Titanio è un elemento che occupa la ventiduesima posizione nella tavola di Mendelev e appartiene alla IV colonna del gruppo dei metalli di transizione. Questo metallo, rispetto ad altri in uso fin dall’età preistorica (ferro, rame, bronzo), è stato scoperto relativamente di recente, in Inghilterra nel 1790, dal chierico William Gregor, che aveva intuito la presenza di un altro elemento nell’ilmenite, un minerale presente sopratutto in rocce di origine lavica. Solo cinque anni più tardi, il tedesco Heinrich Klaproth ne individuo la presenza nel rutilo, un cristallo che fino ad allora veniva confuso con la tormalina, me che il ricercatore scoprì essere composto da diossido di Titanio (TiO2). Il nuovo metallo, per le sue caratteriste meccaniche eccezionali e fino ad allora irraggiungibili, fu battezzato con il nome dei primi figli di Giove ed Era, i mitologici Titani, non dei ma abbastanza potenti da ribellarsi a loro. L’isolamento del metallo puro, però richiederà un altro secolo di studi prima di poter essere isolato: al 95% nel 1887 da Lars Nilson e Otto Peterson e infine al 99.9% ( percentuale definita commercialmente pura, per definizione) nel 1910 da Matthew Hunter con la collaborazione della General Electric. Nonostante questo, la produzione in quantità industriale del Titanio non si realizzò fino al termine della seconda guerra mondiale mondiale, quando il lussemburghese William Justin Kroll dimostrò che si potevano produrre grandi quantità dell’elemento attraverso un processo di riduzione dal cloruro di Titanio (tiCl4) attraverso l’ossidazione del magnesio. Da allora questo processo di ossidoriduzione è diventato lo standard ancora oggi largamente impiegato per ottenere il metallo. A qualche anno di distanza dalla dimostrazione in laboratorio della possibilità di produrre Titanio commercialmente puro in quantità industriali l’industria aerospaziale si rese conto che l’utilizzo di leghe di questo prezioso elemento avrebbero potuto cambiare drasticamente la storia dell’aviazione: in effetti studi su leghe di Titanio con piccole percentuali di Alluminio, Ferro, Molibdeno e Vanadio dimostrano che potevano tranquillamente sostituire gli acciai inossidabili austenitici fino ad allora ampiamente utilizzati per parti critiche di turbogetti consentendo un risparmio del peso anche superiore al 50%, per giunta, il comportamento di queste leghe ad alta temperature, ad esempio, quelle riscontrabili nei primi stadi della turbina di un jet, era anche superiore a quello delle migliori leghe ferrose. Il “wonder metal” dell’industria aerospaziale però, presentava, e per certi versi presenta tuttora, dei problemi non indifferenti, principalmente legati all’elevato costo della sua produzione, che come si è visto, si basa sulla riduzione dell’elemento dal suo cloruro tramite l’uso del magnesio, e d’altro canto, proprio dalle caratteristiche che lo rendono così appetibile per ‘uso aerospaziale: l’estrema resistenza lo rende di difficile lavorazione per le macchine utensili (torni, frese, tutte quelle basate sull’asportazione di truciolo), inoltre, la sua bassa conduttività fa si che il calore non venga distribuito uniformemente ma che rimanga concentrato nelle zone prossime a dove l’asportazione del materiale in eccesso viene effettuata, con risultante pericolo di deformazioni, rotture del pezzo in lavorazione nonché usura e frattura degli

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Le leghe beta, Ti – Mn 8% oppure Ti –V 13% Cr 11% Al 3% possiedono buona resistenza meccanica e buona lavorabilità plastica, anche a temperatura ambiente. Infine esistono le leghe di titanio alfa + beta. Le leghe alfa-beta contengono sia elementi alfa stabilizzanti che beta stabilizzanti; queste leghe possono essere rinforzate con trattamento termico o con lavorazioni termo-meccaniche. Le leghe alfa-beta hanno un’alta resistenza ma sono meno formabili delle leghe alfa; la saldatura per fusione si ottiene con efficienze del 100%. Questa classe di leghe di titanio incide su oltre il 70% di tutto il titanio impiegato commercialmente. Le più usate in aeronautica sono le ultime descritte. Le loro applicazioni sono: data la notevole resistenza a caldo si usano per costruire elementi strutturali delle gondole motore quali ordinate di forza, pannelli, inversori di spinta e nei bordi di attacco per i velivoli supersonici soggetti a temperature elevate dovuto all’impatto dell’aria con il materiale. Possono poi essere ritrovate in luoghi ad alta sollecitazione meccanica quali gli attacchi dei carrelli o nelle guide di estrazione dei flap. Un caso di elevata sollecitazione termica dovuta alla pressione e alla temperatura di arresto che si verificano ad alte velocità, è l’SR 71. vediamo più approfonditamente come venne costruito questo velivolo.

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lambisce l'aereo, temperature che un normale rivestimento in lega di alluminio non sarebbe in grado di sopportare senza degrado delle caratteristiche meccaniche; l'elevata temperatura provoca addirittura un cambiamento di colore da nero a blu.

LE LEGHE DI MAGNESIO L’interesse nei confronti del magnesio, per quanto riguarda l’impiego in campo meccanico, è diventato considerevole negli anni Dieci del XX secolo. A una azienda tedesca, la Chemische Fabrik Griesheim, è dovuto il termine Elektron, con il quale sono state conosciute per lungo tempo le più importanti leghe di magnesio. Questa denominazione è apparsa per la prima volta nel 1909, per designare il materiale ultraleggero col quale era stato realizzato il basamento di un motore d’aviazione; si trattava di una proposta ardita, che non passò inosservata. Nel 1925 la Elektronmetall ha presentato lo Spaz, un velivolo con svariati componenti in Elektron, tra i quali spiccavano le ruote, in lamiera stampata. Nello stesso periodo, sempre in Germania, hanno avuto inizio le ricerche relative all’impiego della pressofusione di questo materiale, per realizzare parti meccaniche. Hanno anche cominciato ad essere impiegate, in campo aeronautico, ruote in magnesio ottenute per colata in terra o in conchiglia. Gli anni Trenta hanno visto una importante crescita, con notevole aumento dell’interesse dei tecnici per questo metallo, che ha iniziato ad essere impiegato anche in settori diversi da quello automobilistico e aeronautico. In quest’ultimo sono diventati di uso comune serbatoi, pannelli, ruote, rivestimenti e coperchi in lega di magnesio, mentre per quanto riguarda le auto spicca il significativo uso di questo materiale anche per componenti come la scatola del cambio. Nella seconda metà del decennio si è avuta una ulteriore accelerazione, con l’industria aeronautica sempre in primo piano. Il magnesio è stato impiegato per realizzare cappottature di motori, flabelli, carenature di ruote, sedili, carter di compressori e perfino supporti motore. Questi ultimi sono una esclusività tedesca, nata alla Junkers per volontà del direttore tecnico Hertel; forgiati in lega AZ 855, sono stati impiegati dal 1939 in poi anche dalla Messerschmitt e dalla Focke-Wulf. Pure su alcuni velivoli francesi (Caudron) e inglesi (De Havilland) il magnesio ha avuto ampia utilizzazione.

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MATERIALI COMPOSITI: APPLICAZIONI Dei materiali compositi in questo testo se ne è già parlato molto, definendo quali sono le loro principali caratteristiche meccaniche, chimiche e tecnologiche. Inoltre si è parlato anche dei metodi di realizzazione dei componenti e delle tecnologie usate per dare forma alla fibra, unita poi alla matrice che ne fornisce la solidità necessaria. In questo paragrafo quindi si vuole fornire degli esempi pratici sul loro utilizzo in campo aeronautico che vede sempre una maggiore partecipazione di questi elementi alla realizzazioni di velivoli, sia militari che civili. Per avere una idea basta vedere infatti l’immagine della composizione strutturale del boeing 787 all’inizio del capitolo, dove la percentuale di utilizzo di questi materiali raggiunge il 50 % del totale, surclassando ogni altro tipo di componente, metallico o meno. Gli esempi che si andranno ad esaminare presenteranno tre ambiti molto differenti tra loro cosi da poter fornire una visione più ampia di quanto questa tecnologia stia modificando profondamente l’aviazione mondiale in ogni sua forma. Analizzeremo per il caso del trasporto civile la struttura del airbus a380, mentre per l’aviazione generale analizzeremo il caso del velivolo …….extra 330 sc In campo militare ci occuperemo dell’aereo ……..eurofighter typhoon EUROFIGHTER TYPHOON L’Eurofighter è un velivolo estremamente leggero e compatto, se si considerano i molteplici ruoli d’impiego. Questo è il risultato del coerente utilizzo di materiali moderni e tecniche di progettazione d’avanguardia. Il 70% del rivestimento esterno dell’Eurofighter e il 40% del suo peso strutturale sono costituiti da materiali compositi, il che riduce il peso di quasi 1.500 kg rispetto a una struttura convenzionale. Materiali compositi in fibra di carbonio vengono utilizzati per la fusoliera, le superfici portanti, ampie parti dell’impennaggio verticale e le superfici di controllo interne (flaperon), mentre le canard (alette d’anatra), le guide degli ugelli di scarico e le superfici di controllo esterne (flaperon sul bordo d’uscita) sono in titanio; le superfici portanti/i collegamenti della fusoliera, l’ingresso dell’aria, gli ipersostentatori di bordo d’entrata (slat), i pod sulle punte della superficie e parti dell’impennaggio verticale, invece, sono realizzati in una lega leggera di alluminio e litio. Circa il 12% della superficie esterna è costituito da materiale composito in fibra di vetro, inclusi il radom e la copertura dell’antenna nella parte superiore dell’impennaggio verticale. Con la diminuzione di circa il 30 % sul peso totale, grazie a questi materiali, l’eurofigther vede crescere le sue prestazioni in velocità, raggio operativo e autonomia, oltre ad una maggiore invisibilità per i radar.

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EXTRA 330 SC Il velivolo extra 330 SC è un velivolo acrobatico mono-posto con una configurazione ad ala bassa ed un carrello tradizionale, che si posiziona ai vertici della produzione della sopra citata azienda costruttrice. Nella tabella sottostante sono presenti le caratteristiche salienti del velivolo

La particolarità del velivolo, come molti nel suo genere, è quella di essere fornito di ali interamente costruite in fibra di carbonio, nelle quali viene integrato il serbatoio. Oltre alle ali, anche gli impennaggi sia orizzontali che verticali vengono realizzati in materiale composito. Questa tecnologia permette di avere una inerzia molto bassa attorno agli assi velivolo, dove avvengono le rotazioni. Ciò significa che le operazioni di questa tipologia di aeroplani avvengono con una elevatissima rapidità, richiesta per altro proprio dalla attività sportiva che devono compiere, e quindi fornendo un doppio guadagno, oltre al contenimento del peso generale del velivolo. Un altro elemento realizzato in fibra di vetro è la carenatura del carrello, e molte sue parti all’interno.

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Apertura alare 60 metri 47.6 m

Dalla tabella si notano molti dati interessanti che sono conseguenza di un utilizzo elevato di materiali leggeri nella struttura del boeing 787. Innanzi tutto il range, che vede un autonomia più elevata di quasi 2500 km avendo pur sempre un numero confrontabile se non identico di passeggeri trasportati. Inoltre si nota quanto la misura del peso trasportabile sia maggiore consentendo una elasticità gestionale nei servizi per i passeggeri e per i servizi di stivaggio bagagli utilissima. Come ultimo dato si riporti la velocità che data da una minore richiesta di portanza da parte delle ali permette di generare una resistenza aerodinamica inferiore e permette uno spostamento più rapido. In conclusione la realizzazione di strutture più snelle, mantenendo comunque le caratteristiche meccaniche richieste dalla normativa, consente al costruttore, e poi alle compagnie di poter avere mezzi più efficienti, ecosostenibili, e capaci di prestazioni maggiori. LEGHE DI ALLUMINIO DI IMPIEGO AERONAUTICO L'alluminio è l'elemento chimico di numero atomico 13. Il suo simbolo è Al ed è identificato dal numero CAS 7429-90-5. Si tratta di un metallo duttile color argento. L'alluminio si estrae principalmente dai minerali di bauxite ed è notevole la sua morbidezza, la sua leggerezza e la sua resistenza all'ossidazione, dovuta alla formazione di un sottilissimo strato di ossido che impedisce all'ossigeno di corrodere il metallo sottostante. L'alluminio grezzo viene lavorato tramite diversi processi di produzione industriale, quali ad esempio la fusione, la forgiatura o lo stampaggio. L'alluminio viene usato in molte industrie per la fabbricazione di milioni di prodotti diversi ed è molto importante per l'economia mondiale. Componenti strutturali fatti in alluminio sono vitali per l'industria aerospaziale e molto importanti in altri campi dei trasporti e delle costruzioni nei quali leggerezza, durata e resistenza sono necessarie. Proprietà fisiche: densità = 2.7 g/cm3 coefficiente di dilatazione lineare =24*10^6 per grado punto di fusione per l’alluminio puro al 99.99% = 660.2 °C resistività elettrica dell’alluminio puro al 99.99% a 20 °C = 2.6548*10-8 ohm Proprietà meccaniche: modulo di Young = 64 GPa modulo di rigidità a torsione = 25 MPa modulo di Poisson = 0.34.

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T2 Raffreddamento da fuso e ricottura T3 Solubilizzazione, lavorazione a freddo ed invecchiamento naturale T4 Solubilizzazione ed invecchiamento naturale T5 Raffreddamento veloce da fuso ed invecchiamento artificiale T6 Solubilizzazione ed invecchiamento artificiale T7 Solubilizzazione, invecchiamento artificiale e stabilizzazione T8 Solubilizzazione, lavorazione a freddo ed invecchiamento artificiale T9 Solubilizzazione, invecchiamento artificiale e lavorazione a freddo T10 Raffreddamento veloce ad alta T, invecchiamento artificiale e lavorazione

a freddo LA SERIE 2000 ( Al-Cu ) Questa classe comprende leghe leggere di grande importanza dette durallumini, molto impiegate in parti strutturali fortemente sollecitate. L'elemento principale di lega e' il rame, ma possono essere presenti magnesio, silicio, manganese. Il rame da solo, o associato al magnesio, conferisce elevate caratteristiche meccaniche (tensili e di durezza superficiale) e rende la lega suscettibile di trattamento termico. Anche le caratteristiche meccaniche a caldo vengono migliorate pur se si riduce, in modo sensibile, la resistenza alla corrosione. Oltre alle caratteristiche tensili, importanza fondamentale per queste leghe (come per tutte le altre d'impiego strutturale) assume la caratteristica di tenacità alla frattura, cioè la capacità di resistenza alla propagazione di una certa cricca che può essere presente o originarsi accidentalmente nel pezzo a causa di particolari concentrazioni degli sforzi. Queste considerazioni vanno estese al caso in cui il materiale operi con sollecitazioni meccaniche in ambiente corrosivo. La resistenza a rottura per tenso-corrosione e' una proprietà essenziale che condiziona l'uso delle leghe leggere ad elevata resistenza meccanica. Tra le tante caratteristiche positive, le leghe di alluminio contenenti rame ne presentano una negativa: esse sono particolarmente sensibili ai fenomeni di corrosione specie in ambienti marini. A tale inconveniente e' stato ovviato con l'ideazione del duralluminio placcato con alluminio puro (Alclad): leghe Al/Cu placcate con alluminio puro. Lo strato protettivo viene fatto aderire passando al laminatoio le leghe rivestite di un foglio di alluminio. Quanto maggiore e' il titolo dell'alluminio impiegato per il rivestimento, tanto più esso e' efficace per proteggere le leghe dalla corrosione; per questa ragione la placcatura viene fatta con alluminio non inferiore al 99,5%. E' importante che le leghe placcate non subiscano riscaldamenti perché altrimenti il rame contenuto nella lega può diffondere verso la superficie riducendone la resistenza. E' quindi da evitare che le leghe placcate subiscano trattamenti termici e lavorazioni a caldo o che comunque possano provocare la diffusione del rame nello strato protettivo diminuendone l'efficacia.

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raffreddamenti molto drastici e per spessori non molto grandi e' possibile ottenere una risposta ottimale all'invecchiamento. D'altro canto tempre molto drastiche comportano l'insorgere di elevate tensioni interne nel materiale pregiudicandone o limitandone l'impiego alle sollecitazioni richieste. Per ovviare a questo inconveniente sono state elaborate leghe con totale o parziale sostituzione del cromo con zirconio. Queste leghe (denominate 7010, 7012,7050) rappresentano fino ad oggi il massimo risultato ottenuto in fatto di resistenza meccanica, tenacità alla frattura e resistenza alla tenso-corrosione. Tra le leghe di questa serie, le più utilizzate in aeronautica sono di certo quelle elencate di seguito. EN AW 7075 e ENAW 7079 Leghe Al-Zn-Mg-Cu ad alta resistenza, disponibili sotto forma di lamiere sottili, piastre, barre estruse, in stati di trattamento termico tipo T6, T73 e T76. Tra le leghe ad alta resistenza della serie 7000 sono le più diffuse nella meccanica strutturale applicata ai velivoli. Agli stati tipo T6 competono la massima resistenza meccanica, ma per contro le caratteristiche minori di tenacità e, eccezion fatta per le sezioni sottili, caratteristiche esigue di resistenza a tenso-corrosione. Gli stati tipo T73 sono caratterizzati da resistenza meccanica minore, ma da resistenza a tenso-corrosione decisamente più elevata rispetto agli stati T6. Gli stati tipo T76 sono caratterizzati da resistenza meccanica intermedia e da limitata resistenza a tenso-corrosione. LA RESISTENZA A TENSOCORROSIONE La tenso-corrosione (Stress Corrosion Cracking SCC ) è la formazione di cricche intergranulari per effetto dell'influenza combinata di sollecitazioni a trazione e di un ambiente corrosivo (per le leghe di alluminio ad alta resistenza le comuni atmosfere urbane costituiscono un ambiente corrosivo, e quindi luogo di rischio possono essere considerati gli aeroporti). Le sollecitazioni a trazione possono provenire da carichi esterni insistenti o da cause interne (tensioni dovute al trattamento termico, alle lavorazioni o al montaggio). Le conseguenze della tenso-corrosione sono generalmente catastrofiche, in quanto essa genera rotture di schianto per sovraccarico statico dovuto a riduzione della sezione resistente ed effetto di intaglio, ovvero innesca rotture per fatica. Il fenomeno è particolarmente insidioso in quanto la maggior parte della superficie del componente aggredito rimane integra, e le cricche si propagano localmente con scarsissima produzione di prodotti di corrosione.Le misure da intraprendere per prevenire l'insorgere del fenomeno sono: -Scegliere materiali poco sensibili a SCC. -Ridurre le tensioni interne.

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LA CORROSIONE La corrosione è un problema molto risentito da molte strutture aeronautiche in svariati ambiti. Molto spesso il velivolo ed in particolare la sua struttura, viene a contatto con elementi che possono intaccare la sua integrità, compromettendo la resistenza. Per elencare una serie di esempi capaci di chiarire il problema vengono descritti due casi di seguito: -velivolo in atterraggio su pista umida, in inverno, su cui è stato sparso materiale, in polvere o liquido, de-ghiacciante o anti-ghiacciante. -velivolo su portaerei, o in prossimità del mare, a contatto con aerosol. Durante la mia esperienza scolastica di studi in ingegneria aeronautica ho avuto la possibilità di sostenere un tirocinio presso l’aeroporto di Cuneo nel periodo invernale. Una tra le mansioni a cui ho collaborato era quella di capire quale tra i vari elementi dei ghiaccianti e anti ghiaccianti fossero meno corrosivi, non tanto per la pista, ma perché per normativa, l’aeroporto deve garantire materiali in grado di sciogliere o prevenire il ghiaccio senza intaccare pesantemente le strutture aeronautiche. A pensarci bene, infatti, quando un velivolo è in fase di atterraggio su una pista che è umida o bagnata con una miscela corrosiva a base di acqua, vede molte sue parti esposte al rischio di corrosione da agenti esterni. In primis viene bagnato da questa soluzione il carrello, che è principalmente in acciaio e quindi attaccabile per esempio dal carbonato di sodio, in maggior quantità rispetto a quanto farebbe l’urea artificiale (industrialmente chiamata urea prilled). Ovviamente un velivolo che si trovi in questa situazione, con gli pneumatici solleva una nuvola di soluzione vaporizzata che ne colma le superfici della fusoliera e anche il ventre delle ali. Oltre tutto, in questa fase gli sportelli che contengono i carrelli sono spalancati e all’interno non è difficile che il liquido polverizzato possa insinuarsi andando ad appoggiarsi direttamente sulle superfici di elementi portanti come correnti, longheroni e centine, spesso costruiti in leghe di alluminio. È necessario quindi da parte dell’aeroporto fornire il servizio anti-ghiacciante adeguato, considerando oltre tutto il rischio di usare materiali fortemente corrosivi capaci di insinuarsi fino all’interno delle strutture portanti del velivolo.

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LA CORROSIONE IN AMBIENTE UMIDO Si ha corrosione puramente chimica quando la superficie del metallo è ricoperta da un velo liquido (condensa): gli agenti sono l’acqua presente nel velo e i gas atmosferici disciolti in esso. In questa categoria rientra praticamente la corrosione atmosferica, ciò l’azione ossidante sui metalli dell’aria e degli altri gas disciolti in essa, contenente ossigeno: colui che è il responsabile dell’ossidazione. Anche i gas solforati possono agire in fase gassosa corrodendo i metalli come pure altri gas aggressivi ( cloro ed altri alogeni ). Si ha corrosione elettrochimica quando due elementi metallici diversi sono collegati direttamente tra loro con continuità elettrica in presenza di un elettrolito (liquido conduttore che funziona come veicolo per gli ioni ) e manifestano differenze nei potenziali elettrolitici. Questo tipo di corrosione è più conosciuto come corrosione Galvanica ed è molto noto in aeronautica dato l’alto numero di accoppiamenti di materiali metallici differenti, a volte non compatibili e giuntabili direttamente a causa del effetto appena introdotto. Ordinando i metalli secondo il valore del loro potenziale elettrochimico normale riferito al potenziale di un particolare elettrodo (elettrodo normale ad idrogeno)il cui valore viene assunto convenzionalmente a zero, si ottiene una serie potenziale ( o serie elettrochimica ) che costituisce un adeguato criterio della tendenza di un metallo a passare in soluzione sotto forma di ioni: i metalli nobili (corrosione difficile ) hanno un potenziale positivo rispetto all’idrogeno, mentre i metalli reattivi (corrosione facile) hanno potenziale negativo. L’entità dell’attacco elettrolitico dipende principalmente dalla differenza di potenziale dei due metalli.

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Se invece l’ossido che si forma ha un volume superiore rispetto al metallo la superficie ossidata si gonfia e riesce a proteggere il metallo sottostante. Per esempio, il rame riesce a creare questo tipo di fenomeno con il suo ossido. La corrosione per sintesi chimica rientra nei fenomeni della corrosione in ambiente a secco in quanto l’ossidazione del metallo avviene ad opera di sostanze deposte sulla superficie o sospese nell’atmosfera. Ad esempio le ceneri dei fumi dei combustibili corrodono i metalli per cessione di ossigeno: il biossido di carbonio sopra i 560°C viene diviso a contatto delle superfici metalliche e, in presenza di ferro forma monossido di carbonio e ossido ferroso. La corrosione sotto tensione (tenso-corrosione) è un tipo di corrosione localizzata che si palesa con la comparsa di cricche normalmente trans granulari ramificate all’interno del materiale e si produce per l’applicazione di tensioni applicate o residue e di un mezzo corrosivo a debole azione variabile secondo il tipo di lega. Se la temperatura aumenta essa viene favorita. Le tensioni non devono essere per forza quelle dei carichi applicati alla struttura, ma possono essere intrinseche nel materiale a causa di lavorazioni meccaniche o di trattamenti termici in fase di produzione. Anche durante il montaggio se gli accoppiamenti non sono completamente allineati e uniformi possono nascere sforzi residui. La corrosione di fatica si presenta come quella appena descritta solo che è cosi definita a causa della situazione in cui si verifica, ovvero sotto sforzi ciclici durante la vita operativa del componente. Deve essere presente anche un agente corrosivo perché abbia inizio. Ecco perché oggetti soggetti ad elevate vibrazioni si rompono, se immersi in ambiente corrosivo, dopo un numero modesto di cicli. Infatti per gli effetti degli allungamenti e accorciamenti del materiale la pellicola sulla superficie si rompe ciclicamente lasciando scoperta la parte sottostante. La corrosione intergranulare, rilevabile soltanto al microscopio, è caratterizzata da una dissoluzione localizzata dei bordi dei grani. Il fenomeno interessa molti metalli tra i quali molto soggetti sono gli acciai inox.

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