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CIÒ CHE UN VOLONTARIO CARITAS NON PUÒ NON SAPERE 15 maggio 2014 – Luca Gabbi CARITAS DIOCESANA IMOLA

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CIÒ CHE UN VOLONTARIO CARITAS

NON PUÒ NON SAPERE

15 maggio 2014 – Luca Gabbi

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Funzione pedagogica della Caritas 

La Caritas diocesana di Imola ha fortemente investito, in questi ultimi anni, per offrire un servizio pedagogico, e pertanto culturale, che le è proprio (cfr.: “Comunicare il vangelo in un mondo che

cambia. Orientamenti pastorali della CEI per questo decennio”). Tale servizio lo si è promosso coinvolgendo diversi destinatari, e co-protagonisti, che sono:

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la comunità cristiana mediante l’accompagnamento alle Caritas parrocchiali affinché diventassero testimonianza concreta di carità verso i bisognosi, vivendo l’amore di Dio;

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la comunità civile e politica grazie ad un’azione di difesa dei diritti delle famiglie (advocacy) di fronte ad un arretramento preoccupante dei servizi pubblici nei confronti della fascia debole della popolazione; questa azione si è dipanata in svariate proposte e sollecitazioni;

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le persone seguite, attraverso i due Centri di Ascolto (CdA) di Imola e Lugo, che sono sempre più numerose; siamo diventati un importante punto di riferimento sul territorio grazie ad un investimento di qualità effettuato sugli operatori che prestano il loro servizio nei CdA;

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i volontari mediante un’intensa formazione a tutto campo che è ormai ininterrotta da tanti anni.

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Abbiamo promosso l’azione pedagogica anche grazie ad un deciso riorientamento dei servizi resi dalla Caritas diocesana. Abbiamo, infatti, in quanto “istituzione promossa dalla Gerarchia ecclesiastica e da essa ufficialmente sostenuta” (Lettera apostolica Intima Ecclesiae Natura, 2012, Proemio), tagliato quel ‘cordone ombelicale’ che associava la Caritas al ‘dare’, al distribuire, privilegiando l’ascolto, l’accompagnamento, l’affiancamento alle parrocchie per animare sempre più il servizio della carità. Ciò è avvenuto attraverso una ‘spogliazione’, cioè un abbandono della distribuzione diretta di vestiario (privilegiando un accordo con la Croce Rossa che garantisce maggiore dignità alle persone, pur mantenendo internamente i vestiti solo per i Senza Fissa Dimora) e di viveri (attraverso la nascita di un Emporio della Solidarietà insieme ad altre sei realtà locali).

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Infine, la nostra funzione pedagogica si è espressa nella promozione di ‘servizi segno’, cioè di opere quanto più possibile profetiche e innovative. In pochi anni sono sorti servizi quali: il microcredito, le case di prima e di seconda accoglienza gratuite o a costi bassissimi, i corsi di formazione per l’orientamento e l’inserimento lavorativo di giovani, le ristrutturazioni di case sfitte per poi offrirle a locazione inferiore al 50% del prezzo di mercato, i tirocini formativi per il reinserimento sociale, il supporto psicologico e legale, la promozione del volontariato giovanile, la creazione di lavori di comunità quale è il progetto ‘Quartiere Marconi in rete’, ecc.

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E noi, che cosa chiediamo per poter meglio svolgere questa funzione pedagogica? Di essere aiutati nel promuovere una maggiore sensibilità sul tema dell’amore nei confronti del prossimo. Ci siamo infatti troppo spesso trovati a svolgere un’attività di supplenza, cioè ad avere una delega sulla carità a nome di tutta la comunità. Chiediamo anche un aiuto per diffondere una cultura che non sia assistenzialistica ma evangelica, maturante, educativa. Una cultura, inoltre, che abbia il coraggio di diffondere un nuovo stile di vita consono ai nostri tempi. Siamo certi che la ‘nuova evangelizzazione’ passerà nel futuro in modo privilegiato attraverso questi temi, attraverso gesti di carità concreti che raggiungano le svariate ‘periferie esistenziali’ della nostra società, con un’attenzione agli ultimi assunta come metodo, strada, strumento.

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Chiediamo, inoltre, ciò che chiedeva papa Benedetto nella Lettera IEN, all’art.9, cioè di “creare in ogni parrocchia un servizio Caritas parrocchiale o analogo, che promuova anche un’azione pedagogica nell’ambito dell’intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità”.

Chiediamo, infine, che tutte le ‘realtà ecclesiali socio-assistenziali’ della diocesi abbiano sempre più il desiderio di lavorare in comunione di intenti, anche grazie al coordinamento effettuato dalla Caritas diocesana a cui compete statutariamente.

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…e Papa Francesco che cosa ci dice?

Evangelii Gaudium:

n.169: La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro.

n.223: …occuparsi di iniziare [attivare] processi più che possedere spazi [di potere]…Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgano altre persone e gruppi che le porteranno avanti [il buon samaritano non ha fatto tutto…].

n.274: Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita […quindi nessuna ansia prestazionale…].

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…e la Caritas Italiana (cfr. Convegno Cagliari 2014)?

Dalla relazione di mons. Nosiglia:

“La fede diventa credibile testimonianza della gioia del Vangelo quando si fa concretamente carico della vita e dei problemi di chi è in necessità, come Gesù che predicava il Regno di Dio mostrandolo realizzato nelle opere dell’amore che compiva verso malati, lebbrosi, ciechi e zoppi, poveri ed emarginati”.

“Oltre che qualificare sempre più i servizi, emerge che la persona necessita oggi più che mai di accoglienza, di dialogo, di relazioni cariche di condivisione e di amore disinteressato e sincero che aiuti a ritrovare speranza e forza in se stessi.

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Sì, le nostre comunità devono promuovere una rete di prossimità e di vicinato che vada oltre l’organizzazione e la programmazione efficientista propria delle Ong. Attiviamo una presenza capillare nel quotidiano delle strade, delle case, degli androni dei palazzi, dei luoghi dove ci soni i poveri, tra la gente, per attivare quella micro solidarietà del dono di sé e dell’interscambio di cui tutti ci si può far carico. L’intuizione di Paolo VI che la Caritas a tutti i livelli dovesse preoccuparsi di sostenere una mentalità, una formazione e un’animazione e progettazione della comunità cristiana, perché la carità ne diventasse l’anima trainante della sua evangelizzazione e testimonianza, deve essere posta alla base del nostro impegno.

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Come Caritas non mettiamoci solo sulla via di avviare sempre nuovi servizi efficienti che costano risorse e abbisognano di personale sempre più ampio e specializzato. Ma attiviamo queste reti di volontariato quotidiano e locale, che valorizza il vicinato e il prossimo della porta accanto…Non intendo negare l’importanza delle opere, spesso egregie e necessarie; ma intendo sottolineare che occorre di pari passo far crescere nell’ampia base popolare sia ecclesiale che civile il desiderio e la gioia di farsi prossimi del fratello o sorella che si incontra o vive nello stesso ambiente e territorio”.

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“C’è la necessità di mantenere vivo e forte il richiamo per gli operatori e volontari del mondo del sociale, oltre che sulla qualità del loro impegno, ad essere e a vivere da cristiani per nutrirsi dei tre pani e dunque di Cristo e donarlo con spirito gratuito e disinteressato. Anche ogni operatore della carità e volontario deve sentirsi un evangelizzatore sulla frontiera più avanzata della missione della Chiesa”.

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…e madre Teresa di Calcutta?Diceva che alla fine della giornata non dobbiamo essere piene di azioni, ma di azioni fatte con amore. Ci insegnava a dare in nome di Dio anche un semplice bicchiere di acqua.

sr. … delle Suore Missionarie della Carità: “Noi cerchiamo di aiutare questa povera gente per quel poco che possiamo con cibo, indumenti, ecc. ma soprattutto li incoraggiamo a pregare, a rafforzare la loro fede in Dio…”.

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LESSICO MINIMALE

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ProselitismoDCE 31c: “La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l'azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l'uomo. Spesso è proprio l'assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore. Egli sa che Dio è amore (cfr. 1Gv 4, 8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient'altro viene fatto fuorché amare. Egli sa che il vilipendio dell'amore è vilipendio di Dio e dell'uomo, è il tentativo di fare a meno di Dio. Di conseguenza, la miglior difesa di Dio e dell'uomo consiste proprio nell'amore. È compito delle Organizzazioni caritative della Chiesa rafforzare questa consapevolezza nei propri membri, in modo che attraverso il loro agire — come attraverso il loro parlare, il loro tacere, il loro esempio — diventino testimoni credibili di Cristo”.

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Diritti / DoveriLa radice dei diritti è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano, ricordandosi, ben inteso, che c’è una reciproca complementarità tra diritti e doveri, tra loro indissolubilmente congiunti: “ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto” (PT ’63).

Ai diritti è tributato spesso un rispetto puramente formale. La proclamazione dei diritti è quotidianamente contraddetta dalla dolorosa realtà di violazioni sul nostro territorio:

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a. il diritto nell’essere aiutati ad inserirsi nel mondo del lavoro (mentre oggi non vengono neppure più attivati i tirocini formativi per le fasce deboli);

b. il diritto di ricevere un credito per intraprendere un’attività o per far fronte a spese impreviste (mentre c’è solo lo strumento del microcredito attivato da noi);

c. il diritto degli sfrattati di ricevere per sé e la propria famiglia un tetto sotto il quale stare in dignità, cioè rispettoso della situazione reale di quella famiglia;

d. il diritto di ricevere un tozzo di pane senza far conto unicamente delle risorse economiche della società civile;

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e. il diritto dei giovani di essere accompagnati nella ricerca attiva del lavoro attraverso sgravi fiscali a loro dedicati;f. il diritto di ricevere un sostegno economico da risorse pubbliche per fronteggiare situazioni di indigenza, mentre oggi sembra normale (purtroppo) che gli esborsi economici effettuati dalla Caritas siano paragonabili a quelli della pubblica amministrazione;g. il diritto di investire sulla prevenzione nel sociale, soprattutto sugli adolescenti (dopo aver abbandonato l’educativa sul territorio e nei centri sociali).

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SussidiarietàLa sua formulazione risale all’enciclica Quadragesimo Anno di Pio XI (1931).

Questo principio dice come deve essere dato l’aiuto ai diversi gruppi sociali, ossia non comprimendo l’autonomia e la libera iniziativa, non sostituendosi alle persone e alla loro libertà di azione, bensì favorendole e accrescendo la loro capacità di autorganizzarsi e autopromuoversi.

P.P. Donati: “Il principio sostiene che le comunità di ordine ‘superiore’ (per ampiezza, funzioni, complessità) non devono prevaricare su quelle di ordine ‘inferiore’, ma devono invece aiutarle nel raggiungere e mantenere la loro soggettività, in concreto la loro autonomia”.

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Pertanto, l’azione di un soggetto, qualunque esso sia (ad esempio l’Ente Pubblico), deve essere sussidiaria all’altro soggetto (nel nostro caso il Volontariato) non semplicemente in quanto gli presta un aiuto in caso di necessità, ma in quanto lo rispetta e lo promuove nella sua dignità e nella sua responsabilità salvaguardandone la libertà e l’autonomia. Essere sussidiario permette di far esprimere al meglio le specifiche potenzialità dell’interlocutore.

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Rapporti con l’Ente Pubblico Partenariato

Dalla sussidiarietà consegue la necessità che sia sempre più riconosciuta a noi, che siamo parte della società civile, una capacità propositiva sulle scelte, sulle strategie, e non solo sulla fruizione dei servizi (e quindi sia riconosciuta una pari dignità). Per ottenere ciò, occorre crescere in conoscenze, in progettualità, in autonomia.

Siamo chiamati ad essere vigili di fronte al principio di sussidiarietà rovesciato: l’Ente Pubblico, non potendo gestire certi servizi (o non ne avendone più l’interesse), li affida al volontariato attraverso convenzioni. Non dobbiamo rientrare in una logica di esternalizzazione pubblica dei servizi!

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Il mondo dell’associazionismo dà un suo specifico apporto di originalità che offre al mondo del sociale strumenti di innovazione, evoluzione, creatività.

L’obiettivo raggiungibile è quello del lavoro di rete (Partenariato), che vede il mondo del Terzo Settore, sia cattolico che non, in grado di dare risposte non frammentate alla complessità sociale.

Dobbiamo poter svolgere a pari titolo dell’Ente Pubblico il ruolo di: collaboratori nella lettura dei bisogni del territorio; individuazione delle priorità sociale; progettazione di nuovi servizi; denuncia di carenze e sprechi.

Abbiamo un ruolo PUBBLICO, dove pubblico va inteso come rivolto a tutti e non significa esclusivamente statale.