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Clockwork Princess By Cassandra Clare Capitolo 1 (Pubblicato online dalla stessa autrice)

Clockwork Princess By Cassandra Clare

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Traduzione del primo capitolo di Clockwork Princess, che è stato pubblicato dalla stessa autrice nei giorni scorsi.

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Page 1: Clockwork Princess By Cassandra Clare

Clockwork Princess

By Cassandra Clare

Capitolo 1

(Pubblicato online dalla stessa autrice)

Page 2: Clockwork Princess By Cassandra Clare

TRADUZIONE:

SHADOWHUNTERS ITALIA

Alessandra Silveri e Hypa

www.shadowhunters-italia.com

 

E  assolutamente  vietato  riprodurre  questa  traduzione  su  altri  siti,  fan  page,  o  pagine  facebook  senza  

riportare  la  fonte,  ovvero  il  link  del  sito.  

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Una terribile attesa

Sposati di lunedì per la salute

Martedì per la ricchezza

Mercoledì che è il miglior giorno di tutti

Giovedì se vuoi problemi,

Venerdì se vuoi perdite

Sabato se non vuoi fortuna alcuna

Filastrocca Popolare

"Dicembre è un periodo felice per un matrimonio", disse la sarta, parlando con la bocca piena di spilli con una facilità dovuta ad anni di pratica. "Come si dice ‘Quando a Dicembre la neve cade veloce, sposati, e il vero amore durerà.’ Appuntò un ultimo spillo al vestito e fece un passo indietro. "Ecco. Che ne pensa? È tagliato su un modello Worth".

Tessa guardò il proprio riflesso nello specchio della sua stanza da letto. L'abito di seta era di un oro intenso, come consuetudine degli Shadowhunters, i quali ritenevano che il bianco fosse il colore del lutto e che non bisognava indossarlo per i matrimoni, nonostante la regina Vittoria avesse proprio lanciato la moda di sposarsi in bianco.

Il pizzo duchessa orlava il corpetto aderente e cadeva morbido dalle maniche. “È adorabile!” Charlotte batté le mani e si sporse in avanti. I suoi occhi scuri brillavano di gioia. “Tessa, il colore ti dona moltissimo.”

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Tessa si dimenò davanti allo specchio. L'oro regalava colore alle sue guance che ne avevano terribilmente bisogno. Il corsetto a clessidra modellava le sue forme ovunque dovesse farlo, e l’angelo meccanico al suo collo la confortava col suo ticchettio. Al di sotto era appeso il ciondolo di giada che le aveva donato Jem . Aveva allungato la catena in modo che potesse indossarli insieme, non volendo fare una scelta tra i due. “Non credi che, forse, il pizzo sia un pochino troppo come ornamento?” “Assolutamente no” Charlotte si appoggiò allo schienale, una mano inconsapevolmente poggiata sul ventre, con fare protettivo. Era sempre stata troppo minuta - smilza, in verità - per avere davvero bisogno di un corsetto, e adesso che stava per avere un bambino, aveva cominciato a indossare abiti formali da pomeriggio che la facevano sembrare un uccellino.

“È il giorno delle tue nozze Tessa. Se esiste mai una scusa per ornamenti eccessivi, è proprio questa. Prova a pensarci.”

Tessa aveva passato molte notti a fare proprio questo. Non era ancora sicura di dove lei e Jem, si sarebbero sposati, il Consiglio stava ancora discutendo sulla loro situazione. Ma quando immaginava il matrimonio, era sempre in una chiesa, con lei che avanzava lungo la navata, forse al braccio di Henry, senza guardare né a destra né a sinistra, ma dritto verso il suo fidanzato, come dovrebbe fare qualunque sposa.

Jem avrebbe indossato la divisa – non quella da combattimento ma una appositamente disegnata per l’occasione, simile a una divisa militare: nera con fasce d'oro ai polsi, e rune dorate raccolte lungo il colletto e l’abbottonatura.

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Erano così giovani. Erano entrambi così giovani. Tessa sapeva che era insolito sposarsi a diciassette e diciotto anni, ma stavano sfidando il tempo. Il tempo della vita di Jem, prima che si esaurisse.

Si portò la mano alla gola, e sentì la vibrazione familiare del suo angelo meccanico, le ali che graffiavano il palmo della sua mano. La sarta la guardò con ansia. Era una mondana, non una Nephilim, ma aveva la Vista, come tutti quelli che servivano gli Shadowhunters. “Vuole togliere il pizzo, signorina?”

Prima che Tessa potesse rispondere, si sentì bussare alla porta, e una voce familiare. “Sono Jem. Tessa, sei lì?”

Charlotte balzò a sedere. “Oh! Non devi vederti nel tuo vestito!” Tessa rimase sbalordita. "Perché mai no?"

"E’ un’usanza degli Shadowhunter - porta male!" Charlotte si alzò in piedi. "Presto! Nasconditi dietro l'armadio!"

"L’armadio? Ma - " Tessa si interruppe con un grido quando Charlotte l'afferrò per la vita e la costrinse ad andare dietro il guardaroba come farebbe un poliziotto con un criminale particolarmente resistente. Una volta libera, Tessa sprimacciò il vestito e fece una smorfia a Charlotte, ed entrambe sbirciarono oltre il lato del mobile non appena la sarta, dopo uno sguardo smarrito, aprì la porta.

La testa argentea di Jem comparve sull’uscio. Sembrava un pò spettinato, la sua giacca di traverso. Si guardò intorno perplesso, prima che il suo sguardo si illuminasse alla vista di Charlotte e Tessa, mezze nascoste dietro l'armadio. "Grazie a Dio", disse. "Non avevo idea di dove foste andati tutti. Di sotto c’è Gabriel Lightwood, e sta facendo una delle più terribili attese."

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"Scrivigli, Will," disse Cecily Herondale. "Per favore. Solo una lettera." Will gettò indietro i suoi capelli scuri sudati e la guardò. "Metti i piedi in posizione," fu tutto quello che rispose. Indicò con la punta del pugnale. "Là e là."

Cecily sospirò, e spostò i suoi piedi. Sapeva di essere fuori posizione; l’aveva fatto deliberatamente, per punzecchiare Will. Era facile punzecchiare suo fratello. Questo è quanto si ricordava di lui quando aveva dodici anni. Anche allora quando lo sfidava a fare qualcosa, come salire sul tetto spiovente della casa padronale, il risultato era lo stesso: un’infuriata fiamma blu nei suoi occhi, una mascella indurita, e talvolta Will con una gamba o un braccio rotto alla fine di tutto. Naturalmente questo fratello, il Will quasi adulto, non era il fratello che ricordava dalla sua infanzia. Era diventato sia più esplosivo che più riservato. Aveva tutta la bellezza della loro madre, e tutta la testardaggine del loro padre, e, temeva, la propensione del padre ai vizi, anche se l’aveva intuito solo da sussurri tra coloro che vivevano all'Istituto.

"Alza la lama", disse Will. La sua voce era fredda e professionale come quella della sua governante. Cecily la sollevò. C’era voluto un po’ di tempo per abituarsi alla sensazione della divisa sulla pelle: la tunica larga e i pantaloni, la cintura intorno alla vita. Ora ci si trovava a suo agio più di quanto fosse la più comoda delle camice da notte.

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"Non capisco perché non vuoi scrivere una lettera. Una sola lettera."

"Non capisco perché non vuoi tornare a casa", disse Will. “Se tu accettassi di tornare nello Yorkshire, potresti smetterla di preoccuparti dei nostri genitori e io potrei organizzare --"

Cecily lo interruppe, avendo sentito questo discorso mille volte. "Vuoi accettare una scommessa, Will?" Cecily era sia felice che un po’ delusa nel vedere la scintilla negli occhi di Will, proprio come accadeva a suo padre quando gli veniva proposta la scommessa di un gentiluomo. Gli uomini erano così facili da prevedere.

"Che tipo di scommessa?" Will fece un passo avanti. Indossava la divisa; Cecily poteva vedere i Marchi che avvolgevano i polsi, la runa Mnemosyne sulla sua gola. C’era voluto un pò di tempo perché considerasse i Marchi come qualcosa di diverso da uno sfregio, ma adesso si era abituata a loro, come si era abituata alla divisa, alle grandi risuonanti sale dell'Istituto e ai suoi particolari abitanti. Indicò la parete di fronte a loro. Un vecchio bersaglio era stato dipinto in nero sul muro: un occhio di bue all'interno di un cerchio più grande. "Se colpisco il centro per tre volte, dovrai scrivere una lettera a papà e mamma e dirai loro come stai. Devi raccontargli della maledizione e del perché te ne sei andato."

Il viso di Will si chiuse come una porta, nel modo in cui faceva sempre quando lei avanzava tale richiesta. “Ma, non lo colpirai mai tre volte senza mancarlo, Cecy."

"Bene, allora non dovrebbe essere un grande problema per te accettare la scommessa, William." Aveva usato il suo nome completo di proposito. Sapeva che gli dava fastidio, pronunciato da lei, sebbene

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quando il suo migliore amico Jem – no, il suo parabatai; aveva imparato dal suo arrivo all’'Istituto che si trattava di cose molto diverse - lo faceva, Will sembrava considerarlo come una manifestazione d’ affetto. Forse era perché se la ricordava ancora che trotterellava appresso a lui sulle gambe paffute, chiamando Will, Will, in gallese senza fiato dietro di lui. Non l'aveva mai chiamato "William," sempre e solo "Will", o il suo nome gallese, Gwilym.

Strinse gli occhi, quegli occhi blu scuro dello stesso colore dei suoi. Quando la loro madre aveva detto affettuosamente che Will avrebbe spezzato dei cuori quando fosse cresciuto, Cecily l’aveva sempre guardata con incredulità. Will era stato tutto braccia e gambe e poi smilzo e spettinato e sempre sporco. Ora poteva vederlo, sebbene l’avesse capito quando aveva messo piede nella sala da pranzo dell'Istituto e si era fermata stupefatta, e aveva pensato: quello non può essere Will.

Aveva girato gli occhi su di lei, gli occhi della madre, e aveva visto la rabbia in essi. Non era stato contento di vederla, per niente. E dove nei suoi ricordi c’era stato un ragazzo magro con un groviglio selvaggio di capelli neri come uno zingaro e foglie sui suoi abiti, adesso invece c’era quest’uomo alto e spaventoso. Le parole che avrebbe voluto dire si sciolsero sulla sua lingua, e lei lo corrispose, sguardo contro sguardo. E così era stato da allora, Will sopportava a malapena la sua presenza come fosse stata un sassolino nella scarpa, un fastidio costante ma lieve. Cecily trasse un profondo respiro, sollevò il mento, e si preparò a lanciare il primo coltello.

Will non lo sapeva, non l’avrebbe mai saputo, delle ore che lei aveva trascorso in quella stanza, da sola, allenandosi, imparando a bilanciare il peso del coltello nella mano, scoprendo che un buon lancio col coltello

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iniziava da dietro il corpo. Teneva entrambe le braccia abbassate e tirò indietro il braccio destro, dietro la sua testa, prima di portarlo assieme al peso del suo corpo, in avanti. La punta del coltello era in linea con il bersaglio. Lo lasciò e la mano scattò indietro, aspirando con un rantolo. Il coltello si bloccò, piantato nel muro, esattamente al centro del bersaglio. "Uno", disse Cecily, lanciando a Will un sorriso di superiorità.

Lui la guardò impassibile, strappò il coltello dalla parete, e glielo porse. Cecily lo lanciò. Il secondo tiro, come il primo, volò direttamente verso il suo obiettivo e si bloccò lì, vibrante come un dito beffardo.

"Due", disse Cecily con tono tetro.

La mascella di Will si serrò mentre impugnava nuovamente il coltello e glielo porgeva. Lei lo prese con un risolino. La fiducia in se stessa scorreva nelle sue vene come sangue nuovo. Sapeva che poteva farlo. Era sempre stata in grado di arrampicarsi più in alto di Will, di correre più veloce, di trattenere il respiro più a lungo…

Lanciò il coltello. Colpì il suo obiettivo, e lei fece un salto in aria, battendo le mani, dimenticando se stessa per un momento nel brivido della vittoria. I suoi capelli sfuggirono dalle forcine, e si riversarono sul viso, lei li cacciò indietro e sorrise a Will.

"Devi scrivere quella lettera. Hai accettato la scommessa!" Con sua sorpresa, lui le sorrise.

"Oh, la scriverò," disse. "La scriverò, e poi la getterò nel fuoco." Alzò una mano verso la sua esplosione di indignazione. "Ho detto che l’avrei scritta. Non ho mai detto che l’avrei spedita".

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Il respiro di Cecily uscì da lei in un rantolo. "Come osi ingannarmi in questo modo!"

"Te l’avevo detto che non avevi la stoffa dello Shadowhunter, altrimenti non ti saresti fatta ingannare così facilmente. Non ho intenzione di scrivere una lettera, Cecy. E 'contro la Legge, e con questo abbiamo chiuso."

"Come se ti fossi mai preoccupato della Legge!" Cecily batté il piede, e lui s’indispettì più che mai, detestava le ragazze che battevano i piedi. Will socchiuse gli occhi. "E non t’interessa diventare uno Shadowhunter. Sai cosa? Scriverò una lettera e te la darò se prometti di consegnarla a casa tu stessa - e di non tornare."

Cecily si ritrasse. Aveva molti ricordi di scontri urlati con Will, di bambole di porcellana che aveva posseduto e che lui aveva rotto facendole cadere da una finestra della soffitta, ma c'era anche la gentilezza nei suoi ricordi, il fratello che fasciava un taglio al ginocchio, o riallacciava i nastri dei suoi capelli quando si scioglievano. Quella gentilezza era assente dal Will che ora le stava davanti. La mamma aveva pianto nei primi anni dopo che Will se n’era andato; le aveva detto, stringendo Cecily a sé, che gli Shadowhunters ‘l’avrebbero prosciugato di tutto l’amore.’ Gente fredda, disse a Cecily, persone che avevano proibito il suo matrimonio col marito. Che cosa aveva a che fare con loro, il suo Will, il suo piccolo? "Non andrò", disse Cecily facendo abbassare gli occhi al fratello. "E se insisti sul fatto che devo, io, io..-"

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La porta della soffitta si aprì, e Jem apparve nel vano della porta. "Ah," disse, "vi minacciate l’un l’altro, capisco. Va avanti da tutto il pomeriggio, o avete appena iniziato?”

"Lui ha cominciato," disse Cecily, alzando il mento verso Will, anche se sapeva che era inutile. Jem, il parabatai di Will, la trattava con la dolce distante gentilezza riservata alle sorelle piccole dei propri amici, ma avrebbe sempre appoggiato Will. Gentilmente, ma con fermezza, metteva Will sopra ogni altra cosa al mondo.

Beh, quasi tutto. Era stata molto colpita da Jem quando arrivò all’Istituto la prima volta – lui aveva una bellezza ultraterrena, insolita, con i suoi capelli d’argento e gli occhi e i lineamenti delicati. Sembrava il principe di un libro di fiabe, e lei avrebbe potuto pensare di affezionarsi a lui, se non fosse stato così assolutamente chiaro che era completamente innamorato di Tessa Gray. I suoi occhi la seguivano dove lei andava, e la sua voce cambiava quando parlava di lei. Cecily una volta aveva sentito sua madre dire con divertimento che uno dei figli dei loro vicini guardava una ragazza come se fosse "l'unica stella nel cielo" e quello era il modo in cui Jem guardava Tessa.

Cecily non era risentita: Tessa era piacevole e gentile con lei, anche se un po’ timida, e con il viso sempre sprofondato in un libro, come Will. Se questo era il tipo di ragazza che Jem voleva, lei e lui non sarebbero mai stati compatibili - e più a lungo rimaneva all’Istituto tanto più si rendeva conto di quanto imbarazzanti avrebbero potuto essere le cose per Will. Era ferocemente protettivo verso Jem, e l'avrebbe sempre osservata nel caso l’avesse mai messo in difficoltà o ferito in qualche modo.

No, era molto meglio che lei rimanesse fuori dall’intera faccenda. "Stavo solo pensando di impacchettare Cecily e darla da mangiare alle

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anatre in Hyde Park", disse Will, spingendo indietro i suoi capelli bagnati e omaggiando Jem con un raro sorriso. «Potrei necessitare della tua assistenza."

"Purtroppo dovrai ritardare un po’ i tuoi piani fratricidi. Gabriel Lightwood è al piano di sotto, e ho due parole per te. Due delle tue parole preferite, almeno quando le metti insieme."

"Totale babbeo?" chiese Will. "Inutile cafone?"

Jem sorrise. "Sifilide demoniaca'" disse.

Sophie sorreggeva in equilibrio il vassoio in una mano e, con grande facilità, segno di una lunga pratica, bussò alla porta di Gideon Lightwood, con l’altra mano.

Udì il suono di carte mescolarsi e poi la porta si aprì. Gideon era fermo davanti a lei con indosso solo pantaloni, bretelle e una maglietta bianca arrotolata fin su ai gomiti. Le sue mani erano bagnate, come se avesse appena passato le dita nei capelli, anch’essi umidi. Il cuore di Sophie sussultò un pochino prima di inchinarsi. Si sforzò di non mostrare alcuna espressione.

“Signor Lightwood,” disse. “Vi ho portato le focaccine che avete richiesto, e che Bridget ha fatto per voi insieme a un piatto di panini.”

Gideon fece un passo indietro per permetterle di entrare. Era come le altre stanze dell’Istituto; arredamento scuro e pesante, un letto a baldacchino, un grande camino, e alte finestre, che in questo caso si affacciavano sul cortile. Sophie potè percepire il suo sguardo su di lei

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mentre camminava attraverso la stanza posizionando il vassoio sul tavolo, poco più avanti del camino.

Si raddrizzò e si voltò verso di lui, le mani giunte sul grembiule.

“Sophie-” iniziò.

“Signor Lightwood,” lo interrupe. “C’è altro che posso fare per voi?”

Assunse un’espressione accigliata e crucciata. “Vorrei che mi chiamassi Gideon.”

“Ve l’ho detto, non posso chiamarla con il suo nome di battesimo.”

“Sono uno Shadowhunter; non ho un nome di battesimo. Sophie, per favore.” Fece un passo verso di lei. “Prima che prendessi la residenza in Istituto, pensavo che avessimo chiarito la nostra posizione di amicizia. Ma già dal giorno dopo in cui sono arrivato, sei stata fredda con me.”

La mano di Sophie andò involontariamente sul viso. Ricordò Master Teddy, il figlio del suo vecchio datore di lavoro, e il modo orribile in cui la costrinse in angoli bui, le sue mani sotto il corpetto e la sua voce nell’orecchio che le mormorarono di essere più gentile con lui, se aveva un po’ di amor proprio. Quel pensiero la fece rabbrividire.

“Sophie.” Gideon stropicciò gli occhi con fare preoccupato. “Cosa c’è? Ho forse fatto qualcosa? Qualche offesa, per favore dimmi cosa c’è e vi porrò rimedio. – ”

“Non avete fatto nulla di sbagliato, nessuna offesa. Voi siete un gentiluomo e io sono una domestica; non c’è nulla di familiare in ciò. Per favore non mi faccia sentire a disagio Sig. Lightwood.”

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Gideon, che aveva sollevato la mano, la fece ricadere sul fianco. Sembrò così afflitto, che il cuore di Sophie s’intenerì. Ho tutto da perdere, e lui non ha niente da perdere. Se lo ricordò ancora una volta. Era ciò che si era detta a se stessa quella notte tardi, sdraiata nel suo letto, con il ricordo di un paio di occhi del colore della tempesta, che assillavano la mente. “Pensavo che fossimo amici.” Disse.

“Non posso essere vostra amica.”

Si avvicinò di un passo. “Che accadrebbe se stessi per chiederti- ”

“Gideon!” Era Henry, sull’uscio della porta aperta, senza fiato, che indossava uno dei suo gilet a righe arancioni e verdi. “Tuo fratello è qui. Di sotto.- ”

Gli occhi di Gideon si spalancarono. “Gabriel è qui?”

“Sì. Sta urlando qualcosa su tuo padre, ma non vuole dirci nulla finché tu non ci raggiungi. L’ha giurato. Forza vieni.”

Gideon esitò, i suoi occhi scorrevano da Henry a Sophie, che cercò di sembrare invisibile. “Io..”

“Vieni subito, Gideon.” Henry raramente dava ordini, e quando lo faceva, l’effetto era convincente. “E’ ricoperto di sangue.”

Gideon sbiancò, e raggiunse la spada appesa a due ganci dietro la porta. “Sto arrivando.”

Gabriel Lightwood era appoggiato contro il muro delle porte dell’Istituto, la sua giacca andata, la sua maglietta e i pantaloni ricoperti di rosso scarlatto.

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Attraverso le porte aperte, Tessa poteva vedere fuori, la carrozza dei Lightwood, con la fiamma impressa sul lato, disegnata ai piedi degli scalini. Gabriel deve averla guidata da solo fin là.

“Gabriel” Charlotte disse in modo rasserenante, come se cercasse di calmare un cavallo selvatico. “Gabriel, per favore dicci cosa è successo.”

Gabriel, alto e snello, capelli marroni dritti misti a sangue che sporcavano anche il suo viso, anche le mani erano insanguinate. “Dov’è mio fratello? Devo parlare con mio fratello.”

“Sta arrivando. Ho mandato Harry a chiamarlo e Cyril sta preparando la carrozza dell’Istituto. Gabriel sei ferito? Hai bisogno di un Iratze?” Charlotte aveva un tono materno, quasi come se quel ragazzo non avesse mai osato affrontarla dietro la sedia di Beneditc Lightwood; come se non avesse mai cospirato con suo padre per prendere possesso dell’Istituto.

“Quello è un bel po’ di sangue,” disse Tessa, spingendosi verso di loro. “Gabriel, non è tutto tuo, non è vero?”

Gabriel alzò gli occhi e guardò Tessa. Era la prima volta, pensò Tessa, che lo vedeva senza la sua solita postura dritta. C’era solo un’impressionante paura nei suoi occhi, paura e confusione.

“No…è il loro-”

“Il loro? Chi sono loro?” Era Gideon, che correva giù per le scale, una spada nella sua mano destra. Insieme a lui c’era Henry, e Jem, e dietro Will e Cecily.

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Jem si fermò sulle scale sorpreso, e Tessa realizzò che aveva visto uno scorcio del suo abito da sposa. I suoi occhi si spalancarono, ma gli altri stavano già scendendo e lui fu spinto giù come una foglia nella corrente.

“Nostro padre è ferito?” Gideon iniziò fermandosi poco prima del fratello. “E tu?” Alzò la mano e prese il viso del fratello facendolo voltare. Nonostante Gabriel fosse più grande in altezza, lo sguardo rincuorato era trasparente sul suo viso, suo fratello era là, con il suo tono perentorio, era sollevato.

“Padre…” Gabriel. “Nostro padre è un verme.”

Will fece un risolino. Era in tenuta da cacciatore, poiché veniva dalla stanza degli allenamenti, e i suoi capelli si arricciavano indisciplinati sulle tempie. Non stava guardando Tessa, ma lei a questo ormai ci si era abituata. Will difficilmente le rivolgeva gli occhi, a meno che non doveva farlo. È

“È bello vedere che sei entrato nella nostra prospettiva, Gabriel, ma è uno strano modo per annunciarlo.”

Gideon lanciò a Will uno sguardo accusatorio prima di tornare a guardare suo fratello. “Cosa intendi Gabriel? Cosa ha fatto nostro Padre?”

Gabriel scosse il capo. “He un verme” disse di nuovo, con un tono più basso.

“Lo so. Ha portato vergona sul nome dei Lightwood, ha mentito a entrambi. Ha distrutto e disonorato nostra madre. Ma non dobbiamo essere come lui.”

Gabriel si spostò dalla presa del fratello, i suoi denti si mostrarono rabbiosi. “Non mi stai ascoltando.” disse. “E’ un verme. Un verme! Il suo

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corpo ha le sembianze di un serpente. Da quando Mortmain non gli manda più le sue medicine, ha cominciato a peggiorare. A cambiare. Quelle piaghe sulle sue braccia, hanno cominciato a ricoprirlo tutto. Le sue mani, il collo, la sua faccia..”

Gli occhi verdi di Gabriel cercarono Will. “E’ sifilide, non è vero? Sai tutto a riguardo vero? Non sei …tipo un esperto?”

“Beh, non avere quel tono come se mi fossi inventato tutto,” rispose Will. “Solo perché IO credo che esista. Ci sono molte storie a riguardo… nella biblioteca.”

“Sifilide demoniaca?” Chiese Cecily, la sua faccia divenne confusa. “Will ma di che sta parlando?”

Will aprì la booca, e le sue guance arrossirono. Tessa trattenne un sorriso. Erano passate settimane da quando Cecily era arrivata all’Istituto, ma ancora la sua presenza annoiava e infastidiva Will.

Non sembrava sapere come comportarsi con la sua giovane sorella, che non era più la ragazzina che ricordava, e la cui presenza insisteva a dire, non era gradita. E Tessa l’aveva sorpreso mentre seguiva Cecily con gli occhi, gli stessi occhi protettivi con cui a volte guardava Jem. Sicuramente l’esistenza della sifilide demoniaca, e il modo in cui una persona la prende, era l’ultima cosa che lui averebbe voluto spiegare a Cecily. “Niente di cui tu debba venire a conoscenza” mormorò.

Lo sguardo di Gabriel si rivolse a Cecily, e le sue labbra si aprirono in segno di sorpresa. Tessa poté vedere quanto ne rimase colpito. I genitori di Will dovevano essere stati davvero di bella presenza, pensò Tessa, perché Cecily era bella quanto Will, e con gli stessi capelli neri lucenti e quegl occhi di un azzurro scintillante.

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Cecily ricambiò lo sguardo, la sua espressione era curiosa; sicuramente si stava chiedendo chi fosse quel ragazzo, che sembrava non apprezzare molto suo fratello.

“Nostro padre, è morto?” Gideon domandò, con un tono di voce crescente. “La sifilide demoniaca l’ha ucciso?”

“Non ucciso,” disse Gabriel. “Cambiato. L’ha cambiato. Alcune settimane fa ha traslocato tutta la famiglia a Chiswick. Non disse il perché. Poi alcuni giorni fa si chiuse a chiave nello studio. Non usciva mai, nemmeno per mangiare. Questa mattina mi sono recato nel suo studio per cercare di spronarlo. La porta era stata scardinata e c’era la scia di una specie di liquido viscoso che scendeva verso l’atrio. L’ho seguito giù per le scale fino in giardino.” Si guardò intorno nel silenzio generale. “E’ diventato un verme. E’ quello che cerco di dirti.”

“Suppongo non sia stato possibile,” intervenne Henry rompendo il silenzio, “schiacciarlo?” Gabrel lo guardò con disgusto. “Ho cercato nei giardini. Ho trovato alcuni dei servitori. E quando dico “trovato” alcuni di loro, intendo letteralmente. Erano stati fatti a pezzi.” Rabbrividì e si guardò i vestiti. “Ho sentito un rumore – una sorta di vento ululante. Mi sono voltato e l’ho visto venire verso di me. Un grande verme cieco come i draghi delle leggende. La sua bocca era aperta, e spuntavano dei denti affilati. Mi sono voltato e sono scappato via, oltre i cancelli. La creatura – nostro padre – non mi ha seguito. Credo abbia timore che venga visto dalla gente.”

“Ah” disse Henry. “Quindi era troppo grande per poterlo schiacciare.”

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“Non sarei dovuto scappare,” riprese Gabriel guardando suo fratello. “Sarei dovuto restare e combattere la creatura. Forse ci avrei potuto ragionare, forse nostro Padre è ancora lì dentro da qualche parte.”

“E forse ti avrebbe fatto in due,” disse Will. “Quello che stai descrivendo, la trasformazione in un demone, è l’ultimo stadio della sifilide.”

“Will!” Charlotte gesticolò, “Perché non l’hai detto?”

“Sai, i libri sulla sifilide demoniaca sono in biblioteca,” rispose Will con tono offeso. Non ho mai privato nessuno dal consultarli.”

“Si, ma se Benedict si stava per trasformare in un serpente gigante, non pensi che almeno avresti dovuto menzionarlo,” continuò Charlotte “in termini di interesse generale.”

“Primo,” disse Will, “Non sapevo si stesse per trasformare in un verme gigante. L’ultimo stadio della sifilide demoniaca è la trasformazione. Doveva esserci qualche segnale. Secondo, il processo di trasformazione dura settimane. Credevo, che anche un idiota come Gabriel qui, avrebbe avuto l’accortezza di avvisare qualcuno.”

“Avvisare chi?” chiese Jem, giustamente. Si era avvicinato a Tessa mentre la conversazione proseguiva. Mentre erano uno accanto all’altro il dorso delle loro mani si sfiorarono.

“Il conclave. Il postino. Noi. Chiunque,” disse Will, mostrando uno sguardo irritato verso Gabriel, che stava iniziando ad assumere un’espressione furiosa.

“Non sono certamente un idiota-”

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“Mancanza di una certificazione difficilmente provano intelligenza,” mormorò Will.

“E come ho già detto, nostro Padre, si è chiuso a chiave per settimane nel suo studio-”

“E non hai pensato di avvisarci di questo?” disse Will.

“Tu non lo conosci,” rispose Gideon in un tono di voce piatto che a volte aveva utilizzato quando parlava della sua famiglia. Si voltò verso suo fratello e posò una mano sulla spalla di Gabriel, parlando piano, in un tono di voce che nessuno poteva sentire.

Jem, vicino Tessa, incrociò le sue dita sottili a quelle di lei. Era diventato un gesto di affetto abitudinario, uno di quelli a cui tessa si era ormai affezionata, tanto che spesso le capitava di farlo quando lui le stava accanto. “E’ quello il tuo abito da sposa?” le chiese trattenendo il respiro.

Tessa fu salvata dall’apparizione di Bridget che portava la tenuta da cacciatore, e Gideon che si girò velocemente e disse verso gli altri “Chiswick. Dobbiamo andare. Gabriel e io, nessun altro.”

“Andate soli?” domandò Tessa, senza voltarsi. “Perché non volete che vengano anche gli altri con voi?”

“Il conclave,” disse Will, i suoi occhi vivaci. “Non vuole che in Conclave sappia di suo padre.”

“E tu lo vorresti?” disse Gabriel in modo deciso. “Se fosse la tua famiglia?” fece una smorfia con la bocca. “Lascia stare. Non che tu sappia cosa significhi essere leali-”

“Gabriel” la voce di Gideon catturò la sua attenzione. “Non parlare a Will in quel modo.”

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Gabriel rimase sorpreso, e Tessa non potè biasimarlo. Gideon sapeva della maledizione di Will, e credeva che questa fosse la fonte della sua ostilità e le sue brutte maniere, come tutti nell’Istituto sapevano di ciò, ma la storia di Will era una cosa privata, e nessuno all’esterno ne era a conoscenza.

“Verremo con voi, ovviamente.” Disse Jem lasciando la mano di Tessa e facendo un passo in avanti. “Gideon ha prestato servizio con noi. Non l’abbiamo dimenticato, non è vero Charlotte?”

“Certo che no,” disse Charlotte voltandosi. “Bridget, la tenuta –”

“Io sono già in tenuta da cacciatore,” disse Will mentre Henry si toglieva il soprabito per indossare una giacca da combattimento, e una fascia con le armi. Jem fece lo stesso, e in un attimo l’entrata dell’Istituto si animò – Charlotte parlava in tono basso a Henry, la sua mano sfiorò il suo ventre. Tessa distolse gli occhi da quel momento intimo, e vide una testa scura piegarsi con una chiara. Jem era al fianco di Will e con il suo stilo, cominciò a tracciare una runa al lato della gola di Will. Cecily osservò la scena e si accigliò.

“Anche io sono già in tenuta,” annunciò.

Will sollevò la testa, mentre Jem si lamentava per il gesto improvviso. “Cecily, assolutamente no.”

“Non hai nessun diritto di dirmi si o no.” I suoi occhi si accesero. “Io vengo.”

Will si voltò a cercare Henry che aveva già assunto un’espressione di discolpa. “Ne ha diritto. È stata allenata per mesi.”

“E’ solo una ragazzina!!”

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“Ma tu facevi lo stesso a quindici anni,” disse Jem pacatamente, e Will si voltò verso di lui. Per un momento tutti sembrarono mantenere il respiro, persino Gabriel. Jem sostenne lo sguardo di Will, senza fare una piega, e, non era la prima volta, Tessa ebbe la sensazione che si stessero parlando mentalmente.

Will sospirò con gli occhi chiusi. “Anche Tessa vorrà venire.”

“Certo che vengo,” disse Tessa. “Non sarò una Shadowhunter, ma mi sono allenata. Jem non andrà senza di me.”

“Ma sei nel tuo abito da sposa!” protestò Will.

“Bene, ora che tutti l’avete visto, non potrò sposarmi con questa veste.” Rispose Tessa. “Porta sfortuna, lo sapete.”

Will borbottò qualcosa in irlandese – anche se incomprensibile, si capì dal suo tono abbattuto che si sentiva sconfitto.

Jem rivolse a Tessa un sorriso preoccupato. La porta dell’Istituto si aprì in quel momento, lasciando entrare un raggio di sole autunnale nella sala d’entrata. Cyril era fermo sulla soglia, senza respirare.

“La seconda carrozza è pronta.” Disse. “Chi viene, allora?”

Page 23: Clockwork Princess By Cassandra Clare

A: Consigliere Josiah Wayland

Da: Il Consiglio

Caro Signore,

Com’è stato senza dubbio comunicato, il termine di servizio come

Consigliere, dopo dieci anni, sta giungendo al termine. E’ arrivato il tempo di

proclamare un successore.

Per quanto ci concerne, stiamo seriamente considerando di nominare

Charlotte Branwell, nata Fairchild. Ha fatto un ottimo lavoro come responsabile

dell’Istituto di Londra, e crediamo fermamente di avere la Vostra approvazione, per

darle l’incarico, poiché è stato nominato lei come tutore dopo la morte del padre.

Vista l’alta considerazione e stima che abbiamo nei Vostri confronti,

apprezzeremmo ogni suo consiglio e pensiero in merito.

I nostri più graditi saluti,

Victor Whitelaw, Inquisitore, per conto del Consiglio

CLOCKWORK  PRINCESS  uscirà  in  lingua  inglese  il  19  Marzo  2013