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2.1.6 SISTEMI DI COMBUSTIONE STAZIONARIA
Caratteristiche generali
La combustione diretta può avvenire sostanzialmente in tre tipi di sistema a seconda della taglia dell’impianto
e delle condizioni operative da imporre:
⇒ a polverino di carbone (particelle 10-100 µm): è il sistema più utilizzato per la generazione di forti
potenze e impongono condizioni termiche molto severe (velocità di riscaldamento molto elevate 104-
105 °C/s e tempi di residenza brevi);
⇒ a letto fluido (particelle 0.5-5 mm): il carbone “galleggia” in un materiale inerte, generalmente
sabbia di dimensioni uniformi che fa da volano termico, imponendo condizioni termiche abbastanza
severe; la velocità di riscaldamento va da 103 a 104 °C/s, mentre i tempi di residenza possono essere
sull’ordine dei minuti (letti fluidi bollenti) o pochi secondi (letti circolanti) anche a seconda della
pezzatura del combustibile;
⇒ a letto fisso (pezzatura 1-10 cm): la combustione avviene su griglie con velocità di riscaldamento più
blande e tempi di residenza dell’ordine dei minuti o delle ore.
REACTORS
Pulverizedboilers
Fluidizedbeds
Fixed beds
Fuelsize 10-100 µm 0.5 -5 mm 1-10 cm
Plantsize
Thermalseverity
Cyclo
ne b
oiler
sRo
tativ
e co
nes
Gra
tes
Bubb
ling
beds
Saranno studiati i sistemi a polverino di carbone a causa della loro diffusione e dell’importanza che hanno
nella produzione energetica. Questo permetterà di affrontare e capire meglio i trattamenti necessari per
ridurre le emissioni inquinanti. Saranno studiati di seguito anche i reattori a letto fluido, perché è un sistema
all’avanguardia sia per quanto riguarda l’efficienza energetica sia per il trattamento degli inquinanti. Inoltre,
questa soluzione come si vedrà consente una maggiore versatilità di impianto, adattabile a diversi
combustibili (fossili e alternativi) e a diversi processi (combustione, co- combustione pirolisi, gasificazione).
Un processo di combustione industriale per la produzione di energia è in genere stazionario, a differenza di
quanto avviene nel settore dei trasporti e nel riscaldamento civile, ed è principalmente finalizzato alla
produzione di vapore utilizzato come vettore energetico. Il sistema per realizzare tale processo è costituito
da diversi sotto sistemi, ognuno dei quali è progettato ed esercito allo scopo di ottimizzare la produzione di
energia, quindi con elevati rendimenti di trasformazione, e di minimizzare la produzione di inquinanti, con
conseguente limitazione dell’impatto ambientale dell’intero processo.
La seguente figura riporta uno schema “riduzionistico” del sistema “generatore di vapore”. Si ha una sezione
di preparazione e alimentazione del combustibile, uno o più bruciatori, una camera di combustione (la
caldaia) in cui avviene lo scambio termico tra fumi caldi e il sistema acqua - vapore che alimenta la turbina.
Della sezione di trattamento fumi, non riportata nello schema, accenneremo nel seguente capitolo.
COMBUSTIBILE
BRUCIATORE
CAMERA DI COMBUSTIONE
DISPERSIONE
AERODINAMICA DI FIAMMA
SCAMBIO TERMICO
COMBUSTIONE INCOMBUSTI INQUINANTI
Figura 2.11: Schema riduzionistico dei processi di combustione industriale
La camera di combustione (cenni)
La camera di combustione è a tutti gli effetti un reattore chimico in cui avvengono sia le reazioni di
combustione che quelle di formazione e riduzione degli inquinanti. Sono valide tutte le definizioni associate a
reazioni e reattori, come conversione, selettività, resa…
L’idea di fondo di questo nuovo approccio consiste nel guardare la caldaia mettendo in secondo piano le
problematiche relative alla generazione del vapore e considerare gli aspetti reattoristici della camera di
combustione.
Il generatore di vapore, in quest’ottica, può essere considerato un’apparecchiatura in grado di trasformare i
reagenti (aria, combustibile), a cui potrebbero essere aggiunti altri composti, in prodotti (essenzialmente
anidride carbonica ed acqua) minimizzando, e questa è la novità, la produzione di inquinanti.
In generale è possibile dividere il reattore -
caldaia in due zone: nella prima, camera di
combustione (“furnace”), sono collocati i
bruciatori, nella seconda, sezione di scambio,
posta a valle della zona di combustione, i fumi
caldi scambiano calore con le pareti del
generatore.
La prima zona è caratterizzata da alte velocità di
reazione, vigorosi fenomeni di scambio di calore
e di materia, nella seconda invece le reazioni di
conversione dei combustibili sono pressoché
esaurite, ed il fenomeno principale è lo scambio
termico, essenzialmente radiativo, tra fumi e
pareti tubiere.
La differenza tra queste due zone dal punto di
vista reattoristico è evidente quando si
confrontano tra loro i gruppi dimensionali che caratterizzano i flussi in esse reagenti.
Quando si parla di impiegare la caldaia come reattore chimico, ci si riferisce essenzialmente alla seconda
zona della camera di combustione che viene utilizzata come sede di reazioni volte all’abbattimento delle
sostanze inquinanti.
La combustione si fa avvenire miscelando opportunamente l’aria (preriscaldata) al combustibile solido (10-
100 µm che è movimentato pneumaticamente con un flusso di aria primaria) attraverso i bruciatori. Saranno
quindi studiati i singoli bruciatori, per capire i fenomeni più importanti che avvengono nella combustione di
getti di particelle e le tecnologie usate per assicurare il miscelamento, e poi la disposizione dei bruciatori
all’interno della camera di combustione. Oltre a fattori fluidodinamici, campi di temperatura e scambi di
calore e di materia, questi aspetti hanno una forte influenza sulla formazione degli inquinanti o dei loro
precursori, come vedremo nel prossimo capitolo. Lo studio di base permetterà quindi di valutare gli
accorgimenti migliori per limitare le emissioni di inquinanti già in camera di combustione.
Nello schema della figura seguente si possono individuare le zone di combustione (con i bruciatori, le linee di
alimentazione del carbone e dell’aria preriscaldata) e le zone di scambio termico (con successivi recuperi
termici).
Aerodinamica e stabilità della fiamma
I bruciatori servono per introdurre nella camera di combustione il combustibile e l’aria. All’uscita del
bruciatore si forma la fiamma, le cui proprietà sono fortemente influenzate dalle caratteristiche del
bruciatore. Si esamineranno ora queste fiamme riguardo all’aerodinamica e alla stabilità.
I getti
I bruciatori sono dispositivi che generano getti più o meno liberi di correnti gassose bifasiche (cioè con
particelle solide o liquide disperse in una corrente gassosa). Il primo passo verso la comprensione
dell’aerodinamica delle fiamme è la conoscenza delle proprietà dei getti; esistono numerosi lavori
sull’argomento, dal “Combustion aerodynamics” [J. Beer, N. Chingier], fino a recenti reviews, che forniscono i
mezzi per caratterizzare completamente il campo di moto generato da un getto. Occorre ricordare che il
getto, trascinato dal fluido circostante (entrainment), provoca un aumento della portata lungo l’asse ed il
conseguente miscelamento tra i due flussi man mano che ci si allontana dall’ugello.
È possibile predire i profili di velocità e concentrazione per ugelli di forme diverse e per getti coassiali.
Quando un getto è confinato, cioè alimentato in un ambiente di dimensioni paragonabili a quelle dell’ugello,
le pareti limitano la sua espansione, con la conseguente formazione di zone di ricircolazione. Alcuni esempi di
campi di moto generati da getti diversi sono mostrati nelle figure seguenti.
Caratterizzazione delle regioni in un getto singolo non confinato
ugello
linee di flusso: trascinamento aria esterna
potential core
uo
mixing region
Figura 2.15: Getto singolo (linee di flusso e profili di velocità)
ugello centrale
aria secondaria in condotto concentrico
Figura 2.16: Getto coassiale
ugello
zona di ricircolazione
Figura 2.17: Getto confinato
Stabilizzazione della fiamma
Per garantire una elevata potenza termica per unità di volume, la velocità di efflusso della miscela aria-
combustibile deve essere generalmente maggiore di 10-20 m/s, mentre la velocità di propagazione della
fiamma in condizioni turbolente non supera i 5-10 m/s; è ovvio che occorre stabilizzare la fiamma, cioè
realizzare una più bassa velocità di efflusso, per impedire che essa, se generata da semplici getti, si stacchi
dal bruciatore.
Stabilizzare la fiamma significa creare una sorgente continua di ignizione, e questo avviene quando la
velocità del flusso è uguale a quella della fiamma stessa; questo si realizza in pratica generando una zona di
ricircolazione interna, che riporta verso l’ugello i gas combusti.
Descrivere dettagliatamente quanto accade in una zona di ricircolazione è difficile, poiché i fenomeni che
concorrono alla stabilizzazione della fiamma sono di natura diversa (aerodinamica, termica e chimica) e di
notevole complessità. Esistono delle trattazioni specifiche semplificate che assumono che ci sia un fattore
controllante e che gli altri abbiano minore importanza; tali trattazioni possono essere divise in tre categorie:
1. modello di reazione nella zona di ricircolazione: si assume che la zona di ricircolazione sia assimilabile
ad un reattore completamente miscelato e si confrontano il tempo di residenza τR ed il tempo
caratteristico di reazione τC; se τR<τC la fiamma si distacca.
2. modello dello stato termico della zona di ricircolazione: se il calore generato nella zona di
ricircolazione ad opera della combustione è inferiore al calore ceduto dalla zona stessa al flusso
esterno, la fiamma non è stabile e si estingue.
3. modello dell’ignizione: si valuta la capacità della zona di ricircolazione di accendere la miscela che
fluisce fuori da essa. Si assume che non avvenga reazione all’interno della zona di ricircolazione e
che essa sia composta essenzialmente dai prodotti di combustione. Se il tempo di residenza della
miscela di reagenti al bordo della zona di ricircolazione è inferiore al tempo di ignizione (ignition
delay), che dipende, tra l’altro, dalla temperatura dei gas combusti e dalla loro composizione, la
fiamma si estingue.
Ovviamente in realtà saranno presenti tutti i fenomeni e i differenti criteri avranno più o meno validità a
seconda dei casi. In definitiva si può comunque dire che il ricircolo stabilizza la fiamma, perché i fumi,
rientrando alla radice della fiamma, portano calore e radicali attivi.
Dispositivi per la stabilizzazione della fiamma
In genere le camere di combustione sono grandi rispetto ai getti, che quindi non sono confinati abbastanza
da formare zone di ricircolo: senza particolari accorgimenti non si otterrebbero fiamme stabili con semplici
getti.
Gli accorgimenti per creare zone di ricircolazione sono:
⇒ uso di Bluff Bodies (corpi tozzi), cioè ostacoli che creano un vortice; si parla anche di “flusso
bloccato”;
⇒ la presenza di un condotto divergente (quarl) aumenta il ricircolo. I parametri usati per
caratterizzarlo sono l’angolo della gola ed il rapporto L/d.
Figura 2.18: Effetto dei bluff bodies (a) e del quarl (b).
⇒ ottenimento di flussi swirlati in uscita dal bruciatore: con particolari dispositivi, detti swirler, si
impone alla/e corrente/i di aria una componente di velocità tangenziale, che a valle dà luogo ad una
zona di ricircolazione. Si definisce numero di swirl S il rapporto tra momento della quantità di moto
angolare, Ltang ed il prodotto tra la quantità di moto lungo l’asse, GX, e una dimensione caratteristica
del bruciatore, L (che può essere, ad es., il diametro dello sbocco). Lo swirl si può realizzare in flusso
assiale oppure radiale. Il numero di swirl ha forte influenza sul campo di moto.
Figura 2.19: Effetto dello swirl
I bruciatori industriali impiegano generalmente tutti e tre i sistemi; la stabilità della fiamma dipende da tutti i
parametri del bruciatore.
I bruciatori reali vengono caratterizzati sperimentalmente in modo da definire i campi di esistenza di fiamme
stabili al variare delle condizioni operative.
Schema di funzionamento di un bruciatore
Schema di bruciatore
Regimi di funzionamento e problemi specifici della caldaia/reattore
Le considerazioni fatte per la combustione di spray circa la complessità dei fenomeni in un sistema multifase,
non isotermo, con ricircolazione, ecc. valgono anche in questo caso. Nella figura seguente si riporta uno
schema dei fenomeni che avvengono in un sistema di combustione a polverino. Per semplicità si riporta solo
un bruciatore. Poiché lo stadio lento della combustione è l’ossidazione del char, l’ignizione e la stabilizzazione
della fiamma avviene ad opera dei volatili che sono emessi nei primi istanti dopo l’alimentazione del carbone
con l’aria primaria, la miscelazione con l’aria secondaria preriscaldata, il riscaldamento e l’essiccamento.
Le caldaie presentano una notevole varietà di situazioni fluidodinamiche. La collocazione dei bruciatori nella
camera di combustione determina infatti, a parità di ogni altra condizione, campi di moto estremamente
diversi, e poiché a questi è collegato il profilo di generazione del calore nelle caldaie, risultano differenti
anche i campi di temperatura.
Nella classificazione tecnica, le caldaie tradizionalmente vengono divise in frontali e tangenziali, a seconda
che i bruciatori siano collocati negli angoli o sulle pareti della camera di combustione.
Figura 2.12: Possibili configurazioni del sistema di combustione nelle caldaie industriali
Visione dall’alto di una caldaia con bruciatori tangenziali
Diversità nei tipi di flusso (flow- pattern) sono inoltre determinate dalle dimensioni della camera di
combustione e dalla natura del combustibile1.
Un elemento determinante ai fini dell’utilizzo della caldaia come reattore chimico è la temperatura dei gas
nella zona di reazione, caratterizzata da rilevanti gradienti. Infatti, mentre la temperatura media del
generatore dipende essenzialmente dall’intensità di combustione, dal tipo di combustibile usato e dallo stato
di sporcamento delle superfici di scambio, la struttura del campo di temperatura risente del posizionamento
dei bruciatori nella camera di combustione.
Questa influenza è importante in prossimità della zona principale di combustione, ma via via che ci si avvicina
all’uscita della caldaia si assiste ad un livellamento delle temperature e ad una omogeneizzazione del campo
termico.
Nella figura seguente si riportano alcuni grafici significativi di distribuzione di temperatura e campi di moto
ottenuti attraverso simulazioni del processo di combustione. La conoscenza di queste caratteristiche
permette la valutazione e distribuzione dei tempi di permanenza nel “reattore”, che può essere utilizzato per
la riduzione di inquinanti.
Rimangono adesso da valutare gli aspetti legati alla presenza dei reagenti all’interno del generatore. Si tratta
di distinguere i prodotti indesiderati da eliminare dai reagenti necessari per le reazioni di abbattimento;
mentre i primi si possono considerare uniformemente distribuiti nei fumi che lasciano la prima zona, i
reagenti necessari per le reazioni di disinquinamento sono generalmente introdotti dall’esterno.
Considerando le elevate portate dei fumi in gioco e le bassissime concentrazioni degli inquinanti, appare
subito evidente la difficoltà di miscelare alcuni chilogrammi di reagenti esterni con centinaia di tonnellate di
fumi. La strategia da impiegare dipende dallo stato fisico del reagente e dalla zona nella quale esso deve
essere iniettato, che a sua volta dipende dalle reazioni che si vogliono attivare.
Date le notevoli dimensioni della caldaia, è necessario introdurre il disinquinante in più punti con l’obiettivo di
raggiungere il più alto grado di miscelamento possibile, questo perché il processo può considerarsi in regime
diffusivo, dato che le reazioni sono generalmente molto veloci.
1 Le dimensioni della camera di combustione devono essere tali da garantire un tempo di permanenza dei reagenti sufficiente per
il completamento della reazione, anche in relazione al miscelamento e all’eccesso d’aria. Il flusso termico sulle pareti varia da1.4 a 2·106 BTU/hr·ft2. Il carbone, a causa della velocità relativamente bassa di ossidazione del char, richiede tempi dipermanenza, e quindi volumi, più grandi. L’olio richiede tempi più bassi per il completamento della combustione, ma occorreun volume più grande di quanto valutabile dai tempi di permanenza, in quanto occorre ridurre i picchi del flusso termico. Ilgas dà un rilascio più uniforme, per cui permette volumi minori.
Caldaia tangenziale Caldaia frontale
Confronto delle (simulazioni di) due configurazioni di caldaie con bruciatori tangenziali e frontali:linee di flusso (in sezione longitudinale e nel piano dei bruciatori) e campi termici nelle diverse regioni
Studio fluidodinamica di un letto fluido
Si consideri un letto di particelle solide poste in un condotto. Alla base sia alimentata una portata di gas con
velocità ug, riferita al condotto vuoto. Facendo aumentare progressivamente la velocità del gas si può
valutare la perdita di carico ∆P attraverso il letto. Il solido rimane nelle condizioni iniziali (letto fisso) per
valori relativamente bassi di ug. In tali condizioni ∆P aumenta linearmente con ug. La velocità di minima
fluidizzazione umf corrisponde alla velocità del gas in corrispondenza del quale la spinta esercitata dal gas sul
solido bilancia il peso del letto. Tale velocità (e il grado di vuoto corrispondente εmf) definisce una proprietà
del sistema gas-solido considerato. Aumentando ug oltre il valore di umf la perdita di carico attraverso il letto
rimane costante. Viceversa, il letto tende ad espandersi (aumenta l’altezza del letto fluido e quindi il suo
grado di vuoto) e aumenta la velocità di slip (differenza fra le velocità medie effettive di gas e solido). In
queste condizioni (letto bollente), il letto è costituito da una fase densa (particelle solide con gas interstiziale)
e una fase diluita (costituita da bolle di gas che risalgono velocemente lungo il letto). Aumentando
ulteriormente ug si riduce il carattere bifasico e si parla di letto turbolento, che presenta una discreta
omogeneità della distribuzione del solido nella corrente gassosa. Tale regime si conserva fino alla velocità di
trasporto utr (blowout velocity), alla quale le particelle solide sono trascinate verso l’uscita del condotto.
Questo porterebbe allo svuotamento del letto. Nel caso di letti circolanti si fa in modo che le particelle siano
recuperate e alimentate alla base del letto (riser) per assicurare la continuità del circuito.
Perdite di carico di un gas che attraversa un letto di particelle solide
Configurazioni fluidodinamiche del sistema gas-particelle di solido all’aumentare della velocità del gas
Fluidizzazione ideale gas-solido
Nella condizione di minima fluidizzazione il peso del solido è bilanciato dalla perdita di carico della corrente
gassosa per cui:
∆P = g(ρs – ρg)(1 - εmf)Hmf
dove ρs e ρg sono le densità di solido e gas, rispettivamente, e Hmf è l’altezza del letto. Sopra la velocità di
minima fluidizzazione, l’altezza del letto e il grado di vuoto sono in proporzione:
H / Hmf = (1 - εmf)/(1 - ε)
Per il calcolo della velocità di minima fluidizzazione esistono varie correlazioni. Per Re<1:
)1(150)( 32
mf
mfgsmf
gdU
εµερρ
−−
= (equazione di Kozeny – 1927 e Barman – 1937)
con d il diametro delle particelle e µ la viscosità del gas.
Nella pratica, il regime di fluidizzazione si discosta dalle condizioni ideali a causa della distribuzione
granulometrica non uniforme delle particelle, della forma e delle proprietà superficiali delle stesse, della non
uniformità della densità. Si può assumere allora un diametro medio più idoneo a caratterizzare il
comportamento del materiale (diametro equivalente superficiale o di Sauter) e un fattore di sfericità. In base
alle dimensioni e alle proprietà dei solidi si fa una classificazione dei solidi (diagramma di Geldart 1973):
gruppo A – (ρs < 1400 kg/m3, d fra 30 e 150 µm) formano letti che si espandono notevolmente prima della
formazione di bolle e creano una forte circolazione dei solidi (es. cemento, ceneri leggere);
gruppo B – (ρs fra 1400 e 4000 kg/m3, d fra 40 e 500 µm) formano letti bollenti già alla minima
fluidizzazione, le bolle risalgono nel letto con velocità superiore a quella interstiziale del gas e tendono
a crescere per coalescenza (es. allumina, sabbia quarzifera);
gruppo C – sono costituiti da materiali di piccole dimensioni (d < 30 µm) o di alta adesività per cui le forze
superficiali sono elevate, la fluidizzazione risulta difficile perché si formano canalizzazioni in cui il gas
passa preferenzialmente oppure il letto è sospinto come un tappo (es. talco, farina di calcare);
gruppo D – (ρs > 4000 kg/m3, d > 600 µm) presentano un’elevata umf, la velocità interstiziale è maggiore di
quella di risalita delle bolle, per cui si ha uno scambio di materia bolla-letto accentuato (es. granuli
plastici, sferette metalliche).
Classificazione dei solidi particellari (Geldart, 1973)
Elutriazione.
Per un letto costituito da particelle con una certa distribuzione granulometrica la perdita di materiale
(entrainemnt) verso la zona sovrastante il letto (freeboard) può essere notevole anche a bassi valori di ug. Le
frazioni granulometriche con velocità terminale ut inferiore alla velocità di fluidizzazione sono dette fini. La
produzione di fini può avvenire anche durante i processi termici e le reazioni all’interno del reattore
(fenomeni di frammentazione, reazioni di combustione o gasificazione che consumano il solido, attrito fra le
particelle e le superfici del reattore). Tali particelle possono venire allontanate dal letto (elutriazione) con
perdita di materiale e quindi di efficienza del processo. L’altezza minima sopra il letto in cui risultano
trascinate nella corrente gassosa solo le particelle per cui ut < ug è detta “transport disengaging height”
(TDH). Il disengagement (cioè la ricaduta delle particelle dal freeboard nel letto) può interessare anche
particelle non fini proiettate dalle bolle che scoppiano alla superficie libera del letto. Sopra TDH il
trascinamento e la concentrazione delle particelle sono costanti. Pertanto, per avere il maggior beneficio
dall’effetto della gravità nel freeboard (e limitare l’elutriazione) l’uscita del gas deve essere prevista sopra
TDH. Esistono correlazioni empiriche per il calcolo, fra queste la più semplice è quella di Horio (1980):
TDH = 4.47 db0.5
dove db è il diametro equivalente di una bolla alla superficie.
Schematizzazione del freeboard in un reattore a letto fluido
La combustione in letto fluido
Sebbene i fenomeni fisici e chimici che coinvolgono la combustione in letto fluido siano molteplici e
dipendano anche dalla soluzioni impiantistiche e tecnologiche adottabili, in generale si può dire che:
- la maggior parte del letto è costituita da sabbia che fa da volano termico, mentre il combustibile
solido (alimentato per via pneumatica o dall’alto) varia da 1 a 5% in peso;
- si possono alimentare combustibili solidi differenti in un ampio range di composizione, dimensioni e
proprietà;
- la temperatura del letto è abbastanza uniforme e decisamente più bassa (intorno a 900°C) dei
combustori a polverino;
- il letto fluido sottopone le particelle di combustibile alimentate a un rapido riscaldamento, per cui le
fasi di essiccamento, devolatilizzazione e ossidazione dei volatili avvengono in un tempo
relativamente breve (si veda la figura seguente);
- il regime fluidodinamico del letto influenza fortemente la velocità di combustione;
- i coefficienti di trasferimento di calore fra il materiale del letto e le superfici di scambio termico sono
in genere molto elevati (si veda il grafico in figura);
- in seguito alla devolatilizzazione, i volatili tendono a essere trascinati dal gas fluidizzante per cui la
loro combustione può avvenire di preferenza nel freeboard;
- a causa delle temperature relativamente basse la reazione di combustione del combustibile solido (o
char) con l’ossigeno può avvenire sia sulla superficie esterna delle particelle sia all’interno dei pori;
- frammentazione, attrito e reazioni eterogenee variano la distribuzione granulometrica del solido nel
letto durante il processo di combustione con possibilità di elutriazione;
- si possono alimentare catalizzatori direttamente nel letto (per es. per la desolforazione in situ);
- reattori a letto fluido operanti in pressione presentano maggiore efficienza e riducono notevolmente i
volumi; a parità di portata di alimentazione la velocità diminuisce all’aumentare della pressione e le
dimensioni delle bolle diminuiscono.
Temperatura della particella alimentata ad un combustore a letto fluido
Coefficiente di trasferimento di calore in letti fluidi al variare delle dimensioni del materiale
La combustione in letto fluido presenta alcuni svantaggi e limitazioni:
- la caduta di pressione per fluidizzare il letto di particelle è relativamente alta (proporzionale al peso
del letto stesso);
- l’inerzia termica è elevata, questo rende problematiche le operazioni di start-up e di variazioni delle
condizioni operative;
- la distribuzione del gas per la fluidizzazione è un punto critico nella progettazione dei letti fluidi per
evitare dannose fluttuazioni di pressione nel reattore, assicurare il rimescolamento del letto e
ottimizzare l’efficienza dell’apparecchiatura;
- il gas prodotto contiene una elevata quantità di polveri;
- fenomeni di agglomerazione delle particelle (dovuti all’adesione fra particelle ad opera di composti
bassofondenti, generati per esempio da elementi alcalini presenti nelle ceneri del combustibile) può
portare a defluidizzazione del letto con gravi problematiche di esercizio e fermi d’impianto;
- per reattori in cui il rapporto fra altezza del letto e il diametro della sezione è elevato si può
presentare il fenomeno di slugging, con formazione di bolle di diametro pari a quello della sezione
del reattore; viceversa, per rapporti altezza/diametro bassi si può incorrere a fenomeni di revealing
channel, per cui il gas attraversa il letto secondo cammini preferenziali (diminuiscono le perdite di
carico e si riduce drasticamente l’efficienza dell’apparecchiatura);
- l’alimentazione di combustibili bassofondenti (per es. plastiche) può causare occlusioni delle linee di
alimentazione e agglomerazione delle particelle e quindi richiede particolare attenzione.
Approccio alla modellazione della combustione in letto fluido
La teoria delle due fasi è la base di partenza per lo sviluppo di molti modelli matematici per la progettazione
di reattori chimici a letto fluido. Si ipotizza che il flusso di gas alimentato si divida in due correnti distinte: una
destinata ad oltrepassare l’insieme di particelle del letto attraverso i percorsi interstiziali presenti, l’altra (e si
assume che sia il gas in eccesso rispetto a quello necessario per la minima fluidizzazione) pronta a formare
bolle di gas. Il gas, in ciascuna delle due fasi, è caratterizzato da tempi di permanenza e modalità di contatto
con le particelle solide diverse. In pratica però si tende a sovrastimare la portata di gas come bolle Qb per cui
si introduce un coefficiente Y che dipende dal materiale del letto:
0.8<Y<1.0 per polveri del gruppo A
Qb = Y S(u-umf) con 0.6<Y<0.8 per polveri del gruppo B
0.3<Y<0.6 per polveri del gruppo D
dove S è la sezione del letto vuoto.
E’ generalmente accertato che le bolle di gas in letto fluido siano prive di particelle e le occasioni di
interazione tra fase gas e fase solida siano limitate. Lo scambio di materia tra la fase diluita (bolle) e la fase
densa reattiva può avvenire nella zona di contorno della bolla, con significativo aumento del valore della
conversione raggiunta.
Si suppone quindi che il letto fluido sia costituito da due reattori in parallelo:
PFR per la fase diluita (bolle);
CSTR per la fase densa, in cui avvengono le reazioni.
Tuttavia, si suppone possibile lo scambio di materia (per esempio dell’ossigeno che ha una concentrazione
maggiore nelle bolle rispetto alla fase densa) fra le due fasi considerando le resistenze caratteristiche:
- diffusione dalla bolla alla fase densa
- diffusione dalla fase densa alla superficie della particella reattiva (combustibile o char)
- diffusione nei pori della particella
- reattività intrinseca del combustibile (o del char);
- diffusione dei prodotti secondo il cammino inverso.
SPLASHING REGION
FREEBOARD
Gas inlet
Fuel feeding
exit
densephase
bubblephase
CSTR PFR
CSTR
PFR
BED REGION
Schematizzazione del letto fluido e modellazione del letto fluido secondo la teoria delle due fasi(A indica la sezione del letto vuoto, C la concentrazione dell’ossigeno nelle varie zone del letto)
Rappresentazione schematica dei fenomeni da studiare durante la combustione di una particella di carbone in letto fluido
Le bolle che si formano in un sistema gas-solido non si differenziano molto da quelle tipiche dei sistemi gas-
liquido. Esse hanno forma simile, tendono a risalire con velocità paragonabile, esercitano la medesima
influenza sul sistema che le circonda, hanno la stessa tendenza a coalescere e a rompersi. Le bolle
caratterizzano profondamente il comportamento del sistema a letto fluido perciò è molto importante saper
valutare e determinare le proprietà intrinseche delle bolle. Nelle situazioni tipiche, le bolle sono presenti in
gran numero, tuttavia per meglio approfondire la conoscenza di questi elementi occorre dapprima valutare
caratteristiche e proprietà della singola bolla. Se indisturbata la singola bolla si presenta con forma ben
identificata, sferica e senza particelle all’interno. La velocità di risalita delle bolle ub può essere facilmente
calcolata:
gdu bb ⋅⋅Ψ= con
mdsemdsed
mdse
t
tt
t
16.111.06.1
1.064.04.0
≥=Ψ≤≤⋅=Ψ
≤=Ψ
(Werther, 1978)
dove db è il diametro della bolla e dt è il diametro del letto.
Il valore della costante di proporzionalità varia significativamente a causa della natura sperimentale della
correlazione descritta. Il carattere di debolezza della bolla aumenta man mano che essa ingrossa divenendo
così via via più instabile. In caso di elevate velocità e intensi sforzi di taglio, le bolle entrano in contatto
alterando il valore della viscosità della fase gassosa. Le bolle tendono a coalescere velocemente: la velocità
di tale fenomeno dipende strettamente dalla vicinanza e dalla concentrazione di queste. Vi sono molte
correlazioni di natura empirica disponibili in letteratura per la valutazione delle dimensioni medie di un
insieme di particelle (Darton, 1977).
Gasificazione in letto fluido
Come visto in precedenza, la gasificazione di combustibili solidi ha molte analogie con la combustione.
Tuttavia i tempi caratteristici sono più elevati poiché la reattività di un combustibile organico (carbone o
biomassa) dipende dall’agente gasificante nell’ordine:
O2 >> H2O > CO2
per cui si utilizzano diverse soluzioni impiantistiche:
- letti fissi (1-3 ore, particelle 5-50 mm, 850-1000°C, 1-20 atm);
- letti fluidi (20-150 min, particelle 0.5-2.5 mm, 850-1100°C, 1-100 atm);
- letti circolanti (0.5-12 s, particelle 0.05-0.2 mm, 900-1400°C, 1-300 atm).
La soluzione più tecnologicamente avanzata (e quella più competitiva anche perché è inseribile in un ciclo
combinato) è quella del letto circolante o trascinato il cui schema è riportato in figura seguente:
Schema di impianto di gasificazione in letto fluido circolante (DoE 2002)
In questa soluzione la movimentazione dei solidi non pone problemi: il riser funziona come una linea di
trasporto pneumatico con particelle dal basso verso l’alto. All’uscita si prevede che la corrente bifasica sia
separata: il gas passa alle sezioni di trattamento (filtrazione, eliminazione di inquinanti e conversione ulteriori
a seconda del prodotto desiderato – per es. reattori di water gas shift reaction se il prodotto desiderato è
idrogeno); il solido composto da materiale inerte (che fa da volano termico) e char non reagito viene
trasportato verso un altro letto circolante dove si può alimentare una corrente di aria che brucia il char e
riscalda la sabbia a temperatura maggiore rispetto al riser. La sabbia calda è poi di nuovo alimentata al riser
per apportare il calore necessario alle reazioni di gasificazione.
Altre soluzioni possono prevedere l’utilizzo di un solo letto circolante in cui si alimentano gas ossidanti (aria o
ossigeno in quantità sub-stechiometrica per una parziale ossidazione che fornisca il calore necessario alle
reazioni di gasificazione) e gasificanti (vapore e gas di ricircolo ricchi di CO2 che permettano sia la
circolazione del letto sia la reazione di gasificazione) a opportune altezze.
Gasificatore con parziale ossidazione del combustibile solido (Corella 2005)
Schema di processo di un impianto di gasificazione per la produzione di energia elettrica (Greve in Chianti)