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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 3 MARZO 2015 Rom fuori campo

Confronti marzo 2015 (parziale)

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Anno XLII, numero 3Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: G. Battaglia, A. Bruno, M. Felici, S.M.Fiammelli, M. Iannucci, D. Losurdo, E.Marzo, R. Mazzoli, T. Perna, D. Salkàno-vic, L.Savarino, C. Stasolla, M. Ventura,R. Zaccaria.

Le immaginiRom fuori campo • Andrea Sabbadini, copertinaRom: solo un numero civico • Rocco Luigi Mangiavillano, 3

Gli editoriali«Europeizzare» di più l’immigrazione • Roberto Zaccaria, 4Uscire dalla gabbia d’acciaio europea • Tonino Perna, 5Libertà religiosa in cerca di legge • Marco Ventura, 6

I serviziMedio Oriente La favola della «lotta al terrorismo» • Mostafa El Ayoubi, 7

E l’apprendista stregone Occidente «creò» l’Isis • (int. a) D. Losurdo, 9Società I razzismi «costruiti dall’alto» • Roberto Mazzoli, 12

I campi: una vergogna tutta italiana • (int. a) Stasolla e Salkànovic, 13I rom? Mandiamoli a casa! • Rocco Luigi Mangiavillano, 16

Etica Obiezione di coscienza: quali confini? • Luca Savarino, 17La legge 194 ha fatto dimezzare gli aborti • (int. a) Adriana Bruno, 19

Ebraismo Una stella di David arcobaleno • Daniela Mazzarella, 21Ebreo e omosessuale: identità non in contrasto • (int. a) M. Fiammelli, 22

Armeni A cento anni dal genocidio • Maria Immacolata Macioti, 24Laicità Il papa e i nanetti litigiosi • Paolo Naso, 26

Se manca la leva, nulla si risolleva • Enzo Marzo, 27Chiesa cattolica Perché Francesco entusiasma e turba • Luigi Sandri, 29Cultura I rom e le identità «cucite addosso» • Gino Battaglia, 31

Le notizieAmbiente Polveri e ozono fuori controllo: la denuncia di Legambiente, 33Diritti umani La Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, 33Immigrazione La comunità marocchina in Italia conta mezzo milione di persone, 33

Quando gli immigrati siamo noi. E non ci vogliono più, 34Società Una cooperativa di giovani nel rione Sanità di Napoli, 34Media La classifica di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa, 34Medio Oriente Un convegno a Roma con lo storico israeliano Ilan Pappé, 35Pluralismo «Dai culti ammessi alla libertà religiosa», 35Ecumenismo Lo scontro tra Egitto ed Etiopia sulla diga sul Nilo Azzurro, 36

Libby Lane è la prima donna-vescovo della Chiesa d’Inghilterra, 36Economia Prosegue la raccolta firme contro il Ttip, 37Eutanasia «Liberi fino alla fine»: la campagna sull’eutanasia legale, 37

Le rubricheDiario africano In Sud Sudan è ormai catastrofe umanitaria • Enzo Nucci, 38In genere Uno sforzo verso un femminismo musulmano • Stefania Sarallo, 39Note dal margine Gli spazi della tradizione • Giovanni Franzoni, 40Osservatorio sulle fedi Non nominate il nome di Dio invano! • Antonio Delrio, 41Cibo e religioni Alimentazione halal: i precetti dell’islam • Marisa Iannucci, 42Spigolature d’Europa La vie en rose di Marine Le Pen • Adriano Gizzi, 43Opinione Scuola: sbagliare meglio • Giuliano Ligabue, 44Libro Le donne che si parlano in silenzio • Marcella Felici, 45Segnalazioni 46

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI3/MARZO 2015

WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

L’accesso alla casa è il primo segnale di «normalizzazione» sociale e un diritto per tutti.Le foto che illustrano il numero sono di Rocco Luigi Mangiavillano e riprendono alcuni momenti

di «Europa Spa - Strumenti di partecipazione attiva nell’Europa del XXI secolo», promosso dalla Commissione europea e attuato in Italia da Eurobic Toscana Sud,

in partnership con Provincia di Roma e Cilap Eapn Italia. Il cantiere «presa di parola dei rom» è stato curato da Coop. Ermes

insieme ai rappresentanti rom di alcuni insediamenti di Roma.

ROM: SOLO UN NUMERO CIVICO

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GLI EDITORIALI

Ancora tragedie a largodelle nostre coste.L’operazione Triton ha sostituito Marenostrum, ma comeampiamenteprevedibile si è rivelatadel tutto inadeguata e la solidarietà europea è mancata di nuovo: il peso maggiore deglisforzi ricade ancorasull’Italia. Nessunoinfatti parla di rivedereil «sistema Dublino»,magari predisponendoquote proporzionali di accoglienza tra i vari paesi.

«Europeizzare» di piùl’immigrazioneRoberto Zaccaria

L a «contabilizzazione» degli arrivi viamare, in Italia nel 2014, è stata dram-matica: oltre 850 sbarchi, oltre 170mi-la persone, in gran parte rifugiati, ap-

prodate sulle nostre coste, oltre 3.000 mortio dispersi. Tutto questo nonostante uno sfor-zo straordinario, vorrei dire eroico, delle no-stre forze militari e civili, nonostante Marenostrum e nonostante il grande impegnoeconomico del nostro paese. Tutto questodopo la tragedia di Lampedusa dell’ottobredel 2013, che aveva colpito l’opinione pubbli-ca italiana ed internazionale in maniera de-vastante. Ricordiamo ancora le parole duris-sime di papa Francesco, ricordiamo le mestevisite dei governanti italiani ed europei e ri-cordiamo i solenni impegni di solidarietà diquei giorni.

In termini politici si è cercato innanzituttodi predisporre in Italia, con il concorso delloStato, delle Regioni e dei Comuni, un pianodi accoglienza e di solidarietà straordinario.Si è cercato di sostenere questo sforzo conun piano di risorse finanziarie maggiori e sisono potenziate anche le strutture per il va-glio delle domande di asilo. Naturalmentenella consapevolezza che tutti questi sforzicontinuano ad essere insufficienti di frontealla crescita esponenziale del fenomeno mi-gratorio.

In termini politici si è agito anche versol’Europa per ottenere un maggior coinvolgi-mento nelle operazioni in mare e per rivede-re il «sistema Dublino» che sostanzialmenteobbliga gli stati di arrivo ad esaurire al lorointerno le procedure di asilo e di accoglienzadei rifugiati. L’esatto contrario di quel prin-cipio di solidarietà europea che ispira la let-tera e lo spirito dei principi dell’Unione.

Il risultato su questo piano è stato decisa-mente modesto. L’operazione Mare nostrumè stata sostituita da Triton (sostanzialmentenel perimetro di Frontex), caratterizzata damezzi e da regole di ingaggio decisamenteinsufficienti. Di riformare Dublino (attraver-so la predisposizione di quote proporzionalidi accoglienza tra i vari paesi) nessuno in Eu-ropa parla seriamente.

L’inizio del 2015 si è subito caratterizzatocon dati ancora più preoccupanti. La situa-zione internazionale, dopo gli eventi dram-matici di Parigi e di altre capitali europee, hamesso in primo piano gravissimi problemi disicurezza; le vicende della Libia, con l’acuir-si dell’instabilità politica, dell’avanzata delletruppe dell’Isis, della partenza del nostro am-basciatore, hanno reso drammatica la situa-zione in quel paese. Gli attraversamenti viamare, nonostante le condizioni avverse delperiodo invernale, sono ripresi ad un ritmoquasi raddoppiato rispetto a quello dell’annoprecedente e purtroppo si sono verificatenuove tragedie nelle acque di Lampedusa.Molti sono stati i morti e in alcuni casi dram-maticamente per assideramento quando lepersone già si trovavano sui mezzi di salva-taggio. Moltissimi i dispersi. Si è dato inizioad una contabilità di proporzioni ancora piùgravi rispetto al passato.

L’operazione Triton ha rivelato, come si sa-peva o si poteva prevedere, la sua assolutainadeguatezza. La solidarietà europea è par-sa lontana dal delinearsi ed ancora una voltail peso maggiore degli sforzi ha finito con ilricadere sul nostro paese.

Naturalmente di fronte ad una situazioneobiettivamente drammatica, non mancanole operazioni spregiudicate di ulterioredrammatizzazione. Risulta più che mai fa-cile mescolare impropriamente i terminiimmigrazione e terrorismo, suscitando al-larmi crescenti nel paese e nella comunitàinternazionale. Proprio questo è il momen-to invece di usare la maggiore razionalitàpossibile. Bande criminali e forse anchefrange di terrorismo speculano a monte sultraffico collegato ai viaggi dei rifugiati e deimigranti. Per questo la comunità interna-zionale e l’Europa devono cercare paesi eluoghi di accesso protetto ovunque sia pos-sibile, in Africa, nel Medio oriente, vicinoalle aree di crisi, per evitare fin dall’inizioquesti viaggi verso la morte.

Se e quando questi disperati si imbarcas-sero per attraversare il Mediterraneo è indi-spensabile con mezzi navali adeguati: sal-varli, identificarli, arrestare i trafficanti e re-quisire o distruggere i natanti. Tutte questemisure, anche se costose, sono essenzialiper coniugare insieme accoglienza, solida-rietà e sicurezza. Una volta che queste per-sone siano approdate in un qualunque pae-se europeo di primo ingresso, devono esse-

Zaccaria è professore di Diritto costituzionaleall’Università di Firenze.

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GLI EDITORIALI

«I diktat della troikahanno impoveritobrutalmente la societàgreca come mai erasuccesso in tempo dipace. Non per caso si èparlato di “guerraeconomica” che insiemea quelle che sono statedefinite “guerreumanitarie” hannocostituito le due nefastecoordinate dentro lequali la classe politicadominante ha pensatodi costruire l’Unioneeuropea negli ultimidecenni».

re rigorosamente identificate, dal punto divista personale e del loro fabbisogno sanita-rio, curate, assistite in termini di prima ac-coglienza. Deve essere valutata l’esistenzadei presupposti per rimanere e poi le pre-senze debbono essere ripartite tra i varipaesi, tenendo conto della situazione perso-nale e dei possibili ricongiungimenti, secon-do un fondamentale ed elementare princi-pio di solidarietà.

Solo se l’Europa sarà in grado di gestirecon una visione d’insieme tutti questi pas-saggi il problema potrà essere governato nelquadro di un sistema comune. E solo allorapotremo dire di esserci incamminati sullastrada giusta.

Uscire dalla gabbiad’acciaio europeaTonino Perna

L a vittoria di Syriza alle elezioni politi-che in Grecia ha aperto una finestranella triste politica dell’austerity cheimperversa da quando è scoppiata la

crisi finanziaria. La trattativa/negoziazionedi Tsipras e Varoufakis (il ministro delle Fi-nanze) con i vertici di Bruxelles andrà avan-ti per mesi e non sappiamo come finirà.Quello che sappiamo è che per la prima vol-ta un piccolo paese della Ue, con appena il2% del Pil della Comunità, è riuscito ad alza-re la testa ed a mettere in discussione l’ideo-logia dei mercati finanziari e la religione deldebito come colpa che i cittadini devonoscontare, anche se non sono loro i responsa-bili del processo di indebitamento.

Come sappiamo, i diktat della troika (Com-missione europea, Banca centrale europea eFondo monetario internazionale) hanno im-poverito brutalmente la società greca comemai era successo in tempo di pace. Non percaso si è parlato di «guerra economica» cheinsieme a quelle che sono state definite«guerre umanitarie» hanno costituito le duenefaste coordinate dentro le quali la classepolitica dominante ha pensato di costruirel’Unione europea negli ultimi decenni. A cuiva aggiunta la terza coordinata che è emersachiaramente negli ultimi tempi: la guerra aimigranti. Con questi tre assi la burocrazia ela classe politica dominante nella Ue hanno

di fatto eretto, in nome della «sicurezza fi-nanziaria» una grande gabbia d’acciaio (fab-bricato nella Ruhr) che ci sta stritolando.

Dopo la caduta del muro di Berlino l’Ueavrebbe potuto portare avanti una politicadi pace e disarmo, mettendo in discussionela stessa sopravvivenza della Nato, che ave-va perso la sua ragione sociale con la scom-parsa del «pericolo rosso». Ed invece abbia-mo continuato ad essere succubi delle stra-tegie militari Usa, seguendo la superpoten-za nelle «guerre umanitarie», all’insegna del-l’esportazione della nostra democrazia, fa-cendoci complici dei danni gravissimi cheabbiamo prodotto in Somalia, Iraq, Afgha-nistan, Libia (per citare i casi più eclatanti).Ed oggi siamo succubi dell’espansione dellaNato sotto le porte di Mosca, che ha porta-to alla guerra in Ucraina ed alle sanzioni al-la Russia che colpiscono soprattutto la no-stra economia. In breve: abbiamo perso l’oc-casione storica per allargare l’Unione euro-pea ed includere la Federazione Russa,creando un grande mercato interno, parago-nabile a quello della Cina o dell’India.

Allo stesso tempo, abbiamo chiuso le por-te e le finestre al Mediterraneo, impedendoal momento opportuno (inizi del secolo) chela Turchia entrasse nell’Unione europea, co-struendo un ponte culturale importante colmondo islamico, prima che questo paese ca-desse nelle mani di un governo islamico chesta sotterrando la sua tradizione laica. Infi-ne, abbiamo intrapreso una vigliacca «guer-ra ai migranti», guerra non dichiarata cheproduce ugualmente decine di migliaia dimorti. In breve: ci siamo chiusi in una gabbiapensando di essere autosufficienti. Una scel-ta miope e suicida che ci porterà all’implo-sione se non cambiamo registro.

Come uscirne? Il popolo greco scegliendoSyriza ci ha indicato una finestra che ci po-trebbe permettere di respirare nel breve pe-riodo, che potrebbe allentare la morsa dellaguerra economica che sta colpendo in tuttala Ue le fasce deboli della popolazione e lostesso ceto medio. Ma, non basta. Occorreallo stesso tempo rompere con la strategiamilitare Usa e rivendicare un ruolo di paceper la Ue, un nuovo rapporto con i popoli delMediterraneo e dell’est europeo. A partiredalla irrisolta, tragica, questione della Pale-stina. Così come rispetto all’inarrestabileflusso di migranti dalla sponda sud del Me-diterraneo, spesso frutto di guerre che noi

Economista e sociologo, Perna è docente di Sociologiaeconomica alla Facoltà di Scienze politichedell’Università di Messina.

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GLI EDITORIALI

Molti gli interventi alconvegno che si è svoltoal Senato il 17 e 18febbraio sul tema «Daiculti ammessi allalibertà religiosa». LaFcei, promotricedell’incontro, harinnovato il suo appelloper norme sulla libertàreligiosa adeguate ainuovi bisogni e la Chiesacattolica è apparsapronta a dialogare.

abbiamo sostenuto o volutamente ignorato,deve essere avviato un reale e fruttuoso pro-cesso di cooperazione con tutti i paesi dellasponda sud e sud-est del Mediterraneo, nondimenticando che è un «mare di mezzo» traterre che per millenni hanno intrecciato leloro storie, culture, economie. La gabbiad’acciaio va spezzata, nel nostro interesse edi quello dell’intera umanità.

Libertà religiosa in cerca di una leggeMarco Ventura

S ono maturi i tempi perché il Parla-mento abroghi le norme sui culti am-messi del 1929-1930 e le sostituiscacon disposizioni adatte al nuovo con-

testo. Convergono in proposito gli attori in-tervenuti al convegno tenutosi presso il Se-nato il 17 e 18 febbraio 2015. Le Chieseevangeliche in Italia hanno promosso l’ini-ziativa. Si battono da lunga data per unalegge sulla libertà religiosa. Sono un inter-locutore autorevole del governo e delle for-ze politiche. Hanno una leadership moraletra le confessioni e comunità religiose diver-se dalla cattolica. Nel convegno al Senato, laFederazione delle chiese evangeliche ha rin-novato il suo appello per norme sulla libertàreligiosa adeguate ai nuovi bisogni. La Chie-sa cattolica è apparsa pronta a dialogare.Già la presenza al convegno del segretariogenerale della Conferenza episcopale italia-na, una storica prima volta, ha rappresenta-to un segno di grande valore.

Le parole di monsignor Galantino hannodato corpo al segno. Davanti a «situazioniconsolidate» come la legislazione sui cultiammessi, ha affermato il vescovo, è difficile«rivedere i nostri atteggiamenti». Ma neces-sario: in giro c’è ancora «troppa pigrizia in-tellettuale». Fedele a Francesco, la Chiesacattolica è «Chiesa in uscita», che «giocad’anticipo»; anzitutto «su se stessa». Inevita-bile la conseguenza sulla libertà religiosa. Peril segretario generale, l’impostazione «so-spettosa e avara» della legislazione sui cultiammessi «va superata». Servono norme ispi-rate alla «corretta laicità» quale definita dal-la Corte costituzionale, all’eguaglianza nellalibertà, ai valori del pluralismo. Monsignor

Galantino ha espresso il timore dei vescovicattolici per «amnesie» e «strabismi», peruna laicità «monista, alla francese», per unalegge che incoraggi «movimenti pseudo-re-ligiosi e sette», il «livellamento al basso» el’«omogeneizzazione verso l’alto». Nondime-no la Chiesa cattolica è capace «di confron-tarsi su tutto», ed è pronta ad «approfondireinsieme un intervento legislativo», ha ag-giunto il vescovo, convinto che questo tem-po sia «propizio per cercare insieme». È uncontributo incoraggiante perché aggredisceil nemico peggiore di questi anni: l’inerzia,l’immobilismo.

L’intervento del presidente del Senato haportato l’avallo dell’attore statale alla conver-genza tra attori confessionali. Grasso ha au-spicato la «rapida e necessaria revisione del-la legge del 1929». Ha invitato a «garantire apieno i principi costituzionali», «in modopragmatico e realistico», mediante una rispo-sta legislativa alle «sfide poste dal pluralismoreligioso e culturale» che sostenga lo «svilup-po della società italiana ed europea». Il lavo-ro per una nuova legge, ha concluso il presi-dente Grasso, è oltre che una «battaglia po-litica», un «impegno culturale», e addirittu-ra «un dovere etico per il nostro Paese».

Alla convergenza registratasi al convegnova ora data sostanza. È forte la responsabi-lità degli attori religiosi. Dalle associazionidei musulmani e dai vescovi cattolici, inparticolare, si attendono passi coraggiosi. Lasfida è non meno delicata in casa dell’attorestatale. Il governo deve assumersi la sua re-sponsabilità. Sul piano politico, certo. Maanche su quello tecnico. Le sue articolazio-ni con competenze in materia di politica re-ligiosa dovranno coordinarsi o quanto me-no non ostacolarsi. La sede decisiva, tutta-via, resta il Parlamento. Proprio perché co-sì significativa sul piano simbolico e prati-co, una legge sulla libertà religiosa è possi-bile solo se si sa dare risposta alle remoredegli eletti e alle inquietudini degli elettori.Pezzi cospicui del paese hanno paura del-l’immigrazione e dell’islam. Esistono forzepolitiche determinate a trarne vantaggio. Lodimostra la sciagurata legge anti moscheadella Regione Lombardia. Nelle ragioni, neiprincipi, nel testo, nel percorso parlamen-tare, la legge sulla libertà religiosa dovràconvincere eletti ed elettori. Può nascere, lalegge, solo se è risposta democratica allarealtà del paese.

Ventura è docente di Diritto delle religioni e Diritto canonico nelleUniversità di Lovanio e Siena.

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MEDIO ORIENTE

Mostafa El Ayoubi

I l mondo arabo continua a non trovare pa-ce. Il linguaggio delle armi, con tutto ciòche comporta in termini di ingenti perdi-te di vite umane, di instabilità politica, so-

ciale ed economica, è quello che la fa da pa-drone in Paesi come l’Iraq, la Siria e la Libia.La repressione è il sistema più consono ai re-gimi che «governano» Paesi come il Bahreine l’Egitto. E lo Yemen – da tanti anni oggettodi operazioni militari americane mediante idroni, lontano dai riflettori dei media – versaoggi nel caos totale: dopo decenni di sotto-missione al regime saudita, Sana’a è passata inmano ai ribelli houthi, sciiti, vicini all’Iran.

A contribuire al permanere e al peggiora-mento della già grave situazione di instabilitàin queste nazioni, sono i regimi arabi settaridel Golfo: Arabia Saudita, Qatar e anche Emi-rati Arabi; Paesi sotto dittatura assoluta, cheoltre a perpetrare una forte repressione, all’oc-correnza privano i loro oppositori del titolo dicittadinanza! Un oppositore al regime saudi-ta rischia di perdere la sua cittadinanza contutto ciò che ne consegue: perdita di beni, didiritti ecc. Queste arcaiche monarchie del pe-trodollaro hanno contribuito in maniera de-cisiva al dilagare del terrorismo, la cui massi-ma espressione oggi è il famigerato Isis, orga-nizzazione derivante da Al-Qaeda.

Quattro anni fa si evocava una «primaveraaraba»; si parlava di vento di libertà e demo-crazia che avrebbe interessato l’intero mondoarabo. Chi ha coniato e diffuso questa novel-la, oggi non osa più menzionarla. È stata unafavola per addormentare le coscienze dell’o-pinione pubblica, per orchestrare dei cambidi regimi non funzionali agli interessi dellegrandi potenze mondiali (alcuni che non losono più come l’Egitto, altri che non lo sonomai stati come in Libia e in Siria).

L’espressione forse più azzeccata oggi inquesta fase buia della storia del mondo arabo-islamico è «primavera jihadista». Per i jihadi-sti è una «primavera», un successo, perchéoggi occupano parte della Siria, dell’Iraq e del-la Libia, Paesi una volta governati da regimilaici (non democratici ovviamente, ma d’al-tronde è un problema che riguarda l’interomondo arabo). Ma quanto durerà questo suc-cesso dei jihadisti? Il tempo necessario perconsentire loro di portare a termine la distru-zione totale dell’apparato dello Stato, delle sueinfrastrutture e del sistema economico pro-duttivo in questi Paesi. In Libia l’operazione ègiunta al termine. Affidando questo compitoai jihadisti, gli Usa (con la partecipazione deiloro alleati) sperano di poter appropriarsi del-la sovranità di quei Paesi. Per il governo ame-ricano, i jihadisti sono un efficace strumentoper l’attuazione di un piano che consente ditrasformare il Medio Oriente in un «protet-torato americano» (come afferma Losurdo;vedi la sua intervista a pagina 9) mediante una«guerra per procura». Questa regione è stra-tegica per il gas, il petrolio, l’acqua. E control-larla significa frenare l’espansione geopoliticae geo-economica di potenze regionali comel’Iran e mondiali come la Cina e la Russia (lequali a loro volta mirano a promuovere i pro-pri interessi).

Il marasma in cui vive oggi il mondo araboha poco a che fare con le questioni dei dirittiumani e della democrazia; quello che è in gio-co sono gli interessi geostrategici. Il repubbli-cano Henry Kissinger, segretario di Statoamericano tra 1973 e il 1977, disse una volta:«Se noi dobbiamo scegliere tra i nostri inte-ressi e la democrazia, sceglieremo sempre inostri interessi». Per la cronaca, Kissinger eb-be un ruolo determinante nel colpo di Statoin Cile che condusse al potere il sanguinarioregime di Pinochet.

La strategia moderna per promuovere econsolidare i propri interessi nel MedioOriente è la «guerra per procura» per desta-bilizzare i regimi non allineati. Questo com-pito è stato «appaltato» ai regimi oscurantistidel Golfo in primo luogo. I jihadisti di Al-

È ormai evidente – anche agli ottimisti più irriducibili – che le spe-ranze suscitate in tutto il mondo dalle cosiddette primavere arabesono rimaste del tutto disattese. Piuttosto, oggi assistiamo a unarigogliosa «primavera jihadista», che spiana la strada alla realizza-zione del progetto statunitense di egemonia sul Medio Oriente.

La favola della «lotta al terrorismo»