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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 5 MAGGIO 2015 ALL’INTERNO: GIUBILEO - FONDAMENTALISMI - MEDIA ANTISEMITISMO - USA/IRAN - JOBS ACT Sangue nostrum

Maggio 2015 (parziale)

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5MAGGIO 2015

ALL’INTERNO:GIUBILEO - FONDAMENTALISMI - MEDIAANTISEMITISMO - USA/IRAN - JOBS ACT

Sangue nostrum

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Anno XLII, numero 5Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: R. Bertoni, F. Ferrarotti, P. Larese, M.Mazzoli, U. Melchionda, G. Sporschill,L. Tomassone, D. Tonelli.

Le immaginiSangue nostrum • Francesco Piobbichi, copertinaLa fuga verso la morte • Francesco Piobbichi, 3

Gli editorialiLe responsabilità per i morti in mare • Ugo Melchionda, 4Neoliberismo a colpi di Jobs Act • Marco Mazzoli, 5Usa-Iran: il nodo nucleare • Mostafa El Ayoubi, 6

I serviziReligioni Il fondamentalismo e le sue derive armate • Enzo Pace, 8

I fondamentalismi non sono tutti uguali • Paolo Naso, 10Chiesa cattolica Un Giubileo per dire e fare misericordia • Luigi Sandri, 13

Tra misericordia e giustizia • (intervista a) Paolo Ricca, 16Mass media Sospesi tra progresso e barbarie • Franco Ferrarotti, 18Teoria di genere L’identità sessuale va oltre il dato biologico • (int. a) Debora Tonelli, 20

Gender e Chiese: dove sta l’ideologia? • Letizia Tomassone, 22Antisemitismo Gli ebrei prima e dopo la Nostra aetate • David Gabrielli, 24

Una verità molto sfumata • Michele Lipori, 26Teologia Olre i dogmi, la Bibbia • (intervista a) Georg Sporschill, 27

Le notizieDiritti Quasi la metà delle richieste di asilo vengono bocciate, 29

Rapporto sulla condizione dei rom e dei sinti in Italia, 29Migrazioni Un progetto per aprire un canale umanitario in Marocco, 30

#Milionidipassi: la campagna di Medici senza frontiere, 30Nigeria Amnesty denuncia i crimini di Boko Haram, 30Economia Leader religiosi e Banca mondiale contro la povertà, 31Acqua L’Osservatorio su prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, 31Ecumenismo Papa Francesco commemora il centenario del genocidio degli armeni, 31Turchia Ankara critica Bergoglio sull’accusa di genocidio, 32Fedi Una ricerca sull’appartenenza religiosa in Europa, 33Chiesa cattolica Noi siamo Chiesa e Cdb di S. Paolo scrivono ai vescovi, 33

Uscito l’Annuarium statisticum Ecclesiae, 33Medio oriente La campagna per la liberazione dei prigionieri palestinesi, 34Ricordo Scomparso il teologo padre Ortensio da Spinetoli, 34Agenda Appuntamenti, 35

Le rubricheDiario africano In Kenya la corruzione dà una mano al terrorismo • Enzo Nucci, 36Note dal margine Religioni ed eccidi nella storia • Giovanni Franzoni, 37Osservatorio sulle fedi Sunniti e sciiti: l’islam plurale • Antonio Delrio, 38Cibo e religioni Buddhismo: senza carne non per forza ma per scelta • M. Angela Falà, 39Ricordo Elio Toaff, un «uomo in cui c’è spirito» • Daniele Garrone, 40Opinione Come sperare nell’ecumenismo? • Maria Cristina Laurenzi, 41Libro L’Italia tra creduli e credenti • Paolo Naso, 42Libro Una guida per fare «turismo multiculturale» • Stefania Sarallo, 43Libro L’Isis e la complessità del male • Roberto Bertoni, 44Segnalazioni 45

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI5/MAGGIO 2015

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IL SERVIZIO IMMAGINI

Le guerre economiche, militari e culturali nei confronti dei Paesi poveri – come quelli del sud del Mediterraneo – costringono molti uomini, donne e bambini

a fuggire verso i Paesi europei occidentali, in gran parte responsabili, storicamente e geopoliticamente, di queste devastanti guerre.

Molte di queste persone, nella loro fuga dal terrore, incontrano la morte e su questa drammatica situazione il mondo politico e i media speculano miseramente.

I disegni che illustrano il numero sono di Francesco Piobbichi.

LA FUGA VERSO LA MORTE

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GLI EDITORIALI

«Migrazioni volontarie emigrazioni forzate,migranti economici eprofughi/richiedentiasilo/rifugiati, regolarie “clandestini”... tutte queste categorienon ci permettono di comprendere il fattopiù importante: siamodi fronte a esseri umaniche avevano e hannoabbandonato quel pocoche avevano, che hannoaffrontato un viaggiopericoloso, spessoconclusosi con la morte,per chiedere la nostra protezione».

Le responsabilità per i morti in mareUgo Melchionda

N ella vera e propria jungla di notizie,allarmi, dichiarazioni, prese di posi-zione degli ultimi giorni qual è il filorosso da seguire, quali i fatti princi-

pali da ordinare, per chiedere al lettore dimettere a fuoco una riflessione?

Che 700 profughi siano annegati domeni-ca 19 aprile al largo delle coste della Libia,dopo che martedì 14 altri 400 erano morti,nel tentativo di raggiungere le nostre coste?

Che diecimila profughi in fuga dalle condi-zioni di guerra e dall’impossibilità di soprav-vivere siano sbarcati tra venerdì 10 e martedì14 aprile sulle coste italiane e che tra di lorooltre 500 fossero bambini, minori, spesso so-li e non accompagnati?

Che 15 migranti musulmani appena sbar-cati da una di queste imbarcazioni cariche didisperazione e di speranza, siano stai arresta-ti, accusati di aver gettato a mare 12 cristiani?

Che il Ministero dell’Interno abbia cerca-to 6.500 posti di prima accoglienza in piùper i profughi, autorizzando i prefetti anchea requisire o confiscare, se necessario, po-sti letto vuoti per garantire la prima acco-glienza e che le Regioni Veneto e Lombardia,tra le più avanzate dal punto di vista econo-mico, sociale e culturale del paese, abbianorisposto «zero posti disponibili!», mentre Si-cilia e Lazio ospitano un terzo di tutti i pro-fughi, e la Basilicata abbia affermato di esse-re disponibile a raddoppiare il numero diposti disponibili?

Che rappresentanti autorevoli di partiti po-litici siano stati in grado di affermare senzaesitazione né remore intellettuali, che siamodi fronte a «Un’invasione clandestina. Orga-nizzata dalle mafie. Sostenuta dal terrorismo.Con la complicità del governo italiano»? (IlTempo del 16 aprile, pagina 9).

Che il Ministro degli Esteri Gentiloni ab-bia ripetutamente richiesto ai paesi dell’U-nione europea più fondi per affrontare l’e-mergenza umanitaria, trovando la piena so-lidarietà formale del commissario europeoall’immigrazione Avramopoulos, mentre l’Ueha appena bocciato la «Direttiva 55» cheavrebbe garantito un’immediata possibilità di

protezione temporanea per motivi umanita-ri a tutti coloro che provengono da situazio-ni in cui sono a serio rischio di violazione deipropri diritti?

In realtà, i 10mila profughi sbarcati, i 500bambini tra di loro, i 1.100 morti in pochigiorni vanno al di là della nostra capacità diparlare, di utilizzare gli strumenti offerti dal-la letteratura internazionale sulle migrazio-ni, dalla giurisprudenza, dalla politica, dal-l’informazione o dalla propaganda, che di-stinguono tra migrazioni volontarie e migra-zioni forzate, tra migranti economici e pro-fughi/richiedenti asilo/rifugiati, tra regolarie «clandestini». Tutte queste categorie nonci permettono di comprendere il fatto piùimportante: che siamo di fronte a esseriumani che avevano e hanno abbandonatoquel poco (o nulla, ndr) che avevano, chehanno affrontato un viaggio pericoloso,spesso conclusosi con la morte, per chiede-re la nostra protezione.

È questa nostra responsabilità morale neiloro confronti il dato vero e unico. 1100 mor-ti in pochi giorni tra 10mila e oltre poveri di-sgraziati che ci interrogano su cosa costitui-sce la realtà delle migrazioni: «flussi misti»in cui sfollati, profughi, richiedenti asilo, mi-granti per motivi ambientali, migranti eco-nomici che non trovano «decreti flussi» checontemplino il loro arrivo, minori non ac-compagnati, donne vittime di tratta e donneche vogliono sfuggire alla tratta, perseguita-ti per motivi religiosi, politici o etnici si me-scolano sui barconi per costituire una sola eunica scia. O invasione dei «clandestini» chenon rispettano le regole del gioco?

È questa definizione diversa della situazio-ne che separa coloro che, mettendo in giocole proprie certezze, prospettano soluzioniper loro e per noi, cercano di salvare la lorovita e la nostra dignità, da quelli che fannoappello all’egoismo e alla xenofobia degli ita-liani. Dall’una o dall’altra definizione derive-ranno conseguenze reali per loro, per noi,per tutti.

Ugo Melchionda è presidente del Centro studi e ricerche Idos - Roma.

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GLI EDITORIALI

Molti gli aspetticontroversi del «Jobs Act»: dal demansionamentodel dipendenteattuabile dall’impresain modo quasi arbitrarioalla sostituzione del reintegro conl’indennizzo nel caso di licenziamento senza giusta causa,dalla norma suilicenziamenti collettivial fatto che, in caso di lunga malattia del dipendente, non èassolutamente scontato il reintegro.

Neoliberismo a colpi di Jobs ActMarco Mazzoli

L’ espressione «Jobs Act» era stata pro-nunciata per la prima volta dal capodel governo, Renzi, quando, fresco dinomina ed attento alla propria im-

magine giovane e decisionista, si espresseper una decisa svolta di politica economicaper rilanciare l’occupazione. L’utilizzo di unalocuzione anglosassone non era casuale perun leader così attento all’immagine e l’aspet-to mediatico è stato centrale in tutta la vi-cenda. Il quadro economico italiano era giàappannato prima della crisi, iniziata nel 2007(ed estesasi nel 2008, ndr) con la crisi dei«subprime», figlia della deregulation finan-ziaria neoliberista, in cui i top manager fi-nanziari potevano guadagnare 500 volte lostipendio di un operaio e in cui alcuni ma-nager di imprese pubbliche tuttora guada-gnano oltre 800mila euro l’anno: compensicertamente non legati alla loro produttività...Ebbene, già nel quinquennio 2001-2006 iltasso medio annuo di crescita del Pil realeitaliano era stato dell’1%, specchio di un’eco-nomia debole e affetta da quattro patologiecroniche che, a detta di quasi tutti gli anali-sti economici, ostacolano da tempo gli inve-stimenti e, di conseguenza, la crescita dellanostra economia.

La prima è la scarsa innovazione di un’in-dustria concentrata prevalentemente in set-tori tradizionali, poco innovativi e dove laspesa in ricerca è tra le più basse d’Europa.La seconda è la preoccupante diffusione del-la corruzione e della criminalità organizzata:Arnone e Iliopulos, nel libro La corruzionecosta (edito da Vita e Pensiero), già nel 2005stimavano che la corruzione potesse arriva-re a ridurre il Pil fino al 5%. La terza e laquarta sono l’alta evasione fiscale (causa, inparte, della forte pressione fiscale) e i grava-mi burocratici per la nascita e lo sviluppodelle imprese... Quattro problemi di cui po-co si è parlato e che poco presenti sembranonella comunicazione e nelle azioni del gover-no, le cui previsioni vedono, per il 2015, unostriminzito 0,7% di crescita del Pil, pur nellasituazione estremamente favorevole del«quantitative easing» e dell’euro debole ri-

spetto al dollaro e nonostante l’approvazio-ne del «Jobs Act».

Tra gli aspetti controversi del provvedi-mento, in caso di licenziamento senza giustacausa, la sostituzione del reintegro con l’in-dennizzo: due mensilità di retribuzione perogni anno di anzianità di servizio, fino ad unmassimo di due anni di retribuzione. È ovvioche molte imprese sceglieranno di interrom-pere il rapporto di lavoro con i giovanineoassunti precari sostituendoli con altrineoassunti prima che scatti un livello signi-ficativo di «tutela» del lavoratore. Nelle im-prese ad alta tecnologia esiste già per naturaun incentivo a stabilire rapporti prolungaticon dipendenti altamente qualificati, ma lascarsa innovazione delle imprese è, per l’ap-punto, un tipico problema italiano, su cuinon ci risulta che siano in corso iniziative go-vernative di rilievo.

Il «Jobs Act» non lascia dunque prevedereragionevolmente nessuna riduzione del pre-cariato, che, anzi, sarà incentivato dal decre-to Poletti, che ha totalmente liberalizzato ilcontratto a termine fino a 3 anni di durata.Molto controverso è anche il demansiona-mento del dipendente (in generale associabi-le ad una riduzione di salario), che ora l’im-presa può attuare abbastanza arbitrariamen-te senza particolari difficoltà, la norma sui li-cenziamenti collettivi (parificati di fatto ai li-cenziamenti individuali) e il fatto che, in ca-so di lunga malattia del dipendente, non è as-solutamente scontato il reintegro. È legitti-mo domandarsi se e quanto spazio esista an-cora per la tutela del lavoratore e della lavo-ratrice da potenziali discriminazioni, da mo-lestie sessuali e dal mobbing, che, in molticasi, risulterà un’attività poco costosa. Inogni caso, il quadro che emerge non è unchiaroscuro... è decisamente oscuro.

Marco Mazzoli è professore di Politica economicaall’Università di Genova.

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GLI EDITORIALI

Il 30 giugno prossimodovrebbe essere siglatal’intesa raggiunta ad aprile sul nucleare iraniano. La preoccupazione deipaesi arabi del Golfo, inparticolare l’ArabiaSaudita, e soprattuttola contrarietà assolutadi Israele, che vedel’Iran come unaminaccia gravissima.Soddisfatto Obama, mala maggioranzarepubblicana delCongresso è contrariaalla linea di aperturaall’Iran. Le ragioni chehanno portato gli StatiUniti a cambiarestrategia e leimportantitrasformazionigeopolitiche nellaregione mediorientale.

Usa-Iran: il nodo nucleareMostafa El Ayoubi

L’ accordo preliminare sul nucleare tral’Iran e il gruppo 5+1 (i cinquemembri permanenti del Consiglio disicurezza dell’Onu più la Germa-

nia), firmato a Losanna all’inizio di aprile,costituisce un nuovo elemento importanteda tenere in considerazione nel complessopuzzle geopolitico del Levante e del Golfo.Salvo imprevisti, il 30 giugno prossimoverrà siglata l’intesa che metterà fine a piùdi trent’anni di sanzioni ed embarghi impo-sti dagli Usa e dall’Ue al governo di Tehe-ran, con l’impegno di quest’ultimo di rinun-ciare alla produzione del nucleare per sco-pi militari, l’atomica in sostanza!

«Un’intesa storica», l’ha definita il presi-dente Usa Obama, mentre i paesi arabi delGolfo, in particolare l’Arabia Saudita, si so-no mostrati molto preoccupati e Israele l’haconsiderata un precedente pericoloso chemette a rischio la sua sicurezza. Sulla stes-sa linea anche il Congresso americano amaggioranza repubblicana, vicina a Ne-tanyahu.

E, nonostante alcune critiche avanzatedall’opposizione interna, il governo irania-no ritiene di aver portato a casa un risulta-to positivo che consentirà al Paese di pro-seguire con meno difficoltà nel suo proget-to di diventare una grande potenza econo-mica e militare della regione, nonché un at-tore di prim’ordine nella geopolitica delmondo islamico.

Questa apertura verso l’Iran è stata volu-ta in gran parte dal governo americano cheda anni, e sotto banco, conduceva delle trat-tative con il suo omologo iraniano. Cosa na-sconde questa mossa strategica della CasaBianca di oggi? E cosa l’ha convinta cheTeheran non costruirà la bomba atomica?

Gli americani sapevano sin dall’inizio chel’Iran degli ayatollah non aveva nessuna in-tenzione di sviluppare un’industria nuclea-re per scopi militari. Nel 1988 l’imam Kho-meini si era espresso apertamente contro learmi di distruzione di massa: una specie difatwa. Il suo successore, l’attuale guida del-la rivoluzione, Ali Khamenei, aveva dichia-

rato nel 2005 che l’Iran non avrebbe co-struito la bomba atomica perche è contro idettami della religione islamica.

Il programma nucleare iraniano risalivagià all’epoca dello Shah, che era filo occi-dentale e quindi non era un problema. Ma,dopo la rivoluzione islamica del 1979, l’Iranè uscito dalla sfera d’influenza degli ame-ricani. Questi ultimi da allora hanno sem-pre cercato di recuperare la loro egemoniasul paese, ma senza successo: le varie formedi sanzioni, la guerra dell’Iraq contro l’Irantra 1980 e 1988, la rivoluzione «colorata»del 2009 contro Ahmadinejad ecc.

Il cambio di strategia di Washington è det-tato molto verosimilmente dagli sviluppigeopolitici nel mondo arabo negli ultimi an-ni. Il caos «costruttivo» che gli americanihanno creato attraverso i loro alleati delGolfo, Arabia Saudita in primis, ha finito perfavorire alla fine l’Iran, che si sta conferman-do come una potenza regionale. Oggi, oltread appoggiare la rivolta nel Bahrein e i mo-vimenti palestinesi, l’Iran è influente in Siria,in Iraq, in Libano e anche nello Yemen.

La guerra lanciata il 25 marzo scorso daisauditi contro quest’ultimo è un tentativo direcuperare la sua egemonia su Sana’a orasotto controllo dei Houthi, sciiti, zeiditi ye-meniti alleati di Teheran.

L’aggressione militare dei ricchi sauditicontro lo Yemen, il paese più povero delmondo arabo ha provocato «circa un mi-gliaio di morti, più di tremila feriti e una si-tuazione umanitaria catastrofica» (Le Mon-de, 22 aprile 2015). Tra i paesi arabi, l’Egit-to è stato uno dei primi ad appoggiare que-sta aggressione. E oltre a Usa, Gran Breta-gna e Francia, anche l’Italia ha approvatoquesto intervento bellico che non aveva al-cuna legittimità stando ai trattati interna-zionali. Nessun mandato Onu ha autorizza-to i sauditi a bombardare le città yemenite,compresa la capitale. Una delle conseguen-ze indirette di questa guerra è il rafforza-mento dell’imprevedibile organizzazioneterroristica al Qaeda nello Yemen – che so-lo i Houthi combattono seriamente – e lapossibilità della sua infiltrazione in modomassiccio anche in Arabia Saudita.

Il piano americano per destabilizzare ilMedio Oriente – per rimodellarlo e con-trollarlo ancora di più, eliminando le sacchedi resistenza come quella siriana, irachena,libanese (di hezbollah) – affidato alle (poli-

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GLI EDITORIALI

ticamente, culturalmente e socialmente)fragili monarchie arabe del Golfo non haprodotto i risultati sperati, anzi al contrarioha rafforzato l’influenza dell’eterno nemicosciita, l’Iran, ora diventato un attore deter-minante nelle dinamiche geopolitiche dellaregione.

Gli Usa temono che il loro fedele alleatonella regione, ovvero l’Arabia Saudita, per-da il suo peso politico a causa dei litigi in-terni alla famiglia Al Saud per il potere edella guerra che ha scatenato contro il vici-no Yemen e che potrebbe avere dei risvoltinegativi anche all’interno dello stesso regno.Un’eventuale crisi politica e sociale in Ara-bia Saudita potrebbe compromettere gli in-teressi Usa nella Regione. In tal caso occor-re un «piano B». L’Iran potrebbe diventareil nuovo alleato strategico nel Levante e nelGolfo. Tanto gli Usa non ragionano in ter-mini di amici o nemici, ma solo di interes-si. E il nemico di ieri potrebbe diventare l’a-mico di domani se è funzionale agli interes-si di Washington!

Teheran, da parte sua, potrebbe approfit-tare di questa potenziale apertura degliamericani per cercare di risolvere i proble-mi interni economici e sociali, in parte do-vuti alle eterne sanzioni, e dedicare maggio-re attenzione e risorse a quelle riforme po-litiche e sociali – urgenti e necessarie – perconsentire maggiore libertà e democraziaper gli iraniani.

Ad aprile è scomparsa la nostra amica pastora Caterina Dupré. La redazione e tutti gli amici di Confronti esprimono il loro affetto

alla mamma Annemarie e a tutta la famiglia.

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RELIGIONI

Enzo Pace

N ato come corrente teologica all’inter-no del Protestantesimo agli inizi delNovecento, il fondamentalismo è di-ventato una parola-chiave usata per

classificare tutti quei movimenti che, sortipoi, in tempi più recenti, in diversi ambien-ti religiosi, predicano il ritorno alla purezzadelle fede, generalmente contenuta nei Li-bri sacri, considerati depositari di verità as-soluta così come di modelli di società per-fette e virtuose fondate sulla legge divina.

Tali movimenti sono presenti oggi non so-lo nel mondo protestante, ma anche in quel-lo musulmano ed ebraico, nonché in am-biente induista e buddhista. Nel cattolicesi-mo si parla piuttosto d’integrismo, giacché,rispetto alle altre religioni appena ricorda-te, manca il riferimento all’inerranza di untesto sacro; nei movimenti integralisti c’è,tuttavia, l’idea della superiorità della leggedivina, autorevolmente custodita e interpre-tata dal capo supremo della Chiesa cattoli-ca, su quella umana.

Il fondamentalismo è diventato nel corsodel tempo, e soprattutto nel terzo Millennio,sinonimo di estremismo religioso, terrenodi coltura di gruppi radicali politico-religio-si che possono arrivare a legittimare il ricor-so alla lotta armata, agli attentati di tipo ter-roristico, dalla guerra rivoluzionaria all’eli-minazione fisica di tutti quelli che sonoconsiderati impuri e infedeli, dagli attacchisuicidi ai rapimenti di turisti presi comeostaggi politici. La deriva armata è la pato-logia senile di movimenti all’origine fonda-mentalisti. Non necessariamente dalla vio-lenza e intolleranza simbolica si passa aquella fisica e armata.

L’attentato alle Twin Towers di New Yorkdell’11 settembre 2001 può essere conside-

rato, a tutti gli effetti, un evento cerniera: ilpassaggio da una forma specifica di crede-re, in particolare, nell’assolutezza dei testisacri, che ha preso forma in un coerenteprogetto politico di rifondazione degli Sta-ti secolari su basi religiose, alla teoria e pra-tica della lotta armata per conquistare il po-tere politico e per imporre tale progetto. L’e-stremismo religioso ha generato una formadi radicalismo dell’agire che ha portato mol-ti gruppi fondamentalisti a giustificare com-portamenti che sovente e in linea di princi-pio sono censurati dalle rispettive tradizio-ni religiose di riferimento, come nel caso delsuicidio o della violenza rivolta a civili.

Il ricorso al metodo bellico di tipo terro-ristico non costituisce certo una novità nelcorso della storia moderna e contempora-nea. Ciò che appare nuovo è l’emergere diun profilo di combattente che, in nome diun’idea religiosa portata alle estreme conse-guenze fideistiche, è disposto a compiereazioni di estrema violenza, compreso il sa-crificio della propria vita per infliggere alnemico il maggior numero possibile di vit-time, in una situazione di rapporti di forzamilitare asimmetrici. In molti casi alla di-mensione religiosa si sovrappongono moti-vi più strettamente politici, come la lottaper l’indipendenza nazionale o la difesa diun territorio occupato militarmente (Afgha-nistan, Iraq, Palestina), o ancora la ribellio-ne alla sovranità di uno Stato che non tolle-ra alcuna rivendicazione di autonomia od’indipendenza di parti del suo territorio(come nel caso della Cecenia o dello SriLanka). In quest’ultimo caso una fazione dimonaci buddhisti dello Sri Lanka, che si ri-conoscono in un movimento chiamato Bo-nu Bala Sena (Bbs: letteralmente: il poteredella forza buddhista), hanno sviluppatouna tendenza fondamentalista, invocando apiù riprese la necessità della guerra santa(dharma yudhaya) contro il movimento in-dipendentista Tamil (in maggioranza hin-du). La richiesta d’indipendenza è stata con-siderata dai monaci buddhisti e dal governocome una dissacrazione della terra e non

Se per Lenin l’estremismo era «la malattia infantile del comuni-smo», la deriva armata può essere la «patologia senile» dei movi-menti fondamentalisti. Il passaggio dalla violenza simbolica – l’in-tolleranza – a quella fisica non è automatico, ma oggi il fondamen-talismo è ormai considerato sinonimo di violenza e attentati.

Il fondamentalismo e le sue derive armate

Enzo Pace è docente di Sociologia delle religioniall’Università di Padova.

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RELIGIONI

solo come una minaccia all’unità nazionale.Tutto ciò ha finito alla lunga per sospingeresia una parte dei Tamil sia altre minoranzereligiose, come quella musulmana peresempio, verso posizioni ideologiche chepossiamo assimilare al fondamentalismo. Lavicenda si è conclusa in un bagno di sangue,nell’inverno del 2009, con la vittoria dell’e-sercito cingalese sulle formazioni armateTamil. In molti movimenti fondamentalisti,come quello di matrice buddhista o neo-hindu, dalla rivendicazione o dalla difesadella propria identità religiosa si passa a in-

vocare la sacralità della terra dove si abita.Si finisce così per giustificare tale politicad’identità con ragioni di carattere religioso.Quando la tensione con i regimi al poterecresce, si rafforza, nella coscienza di chi sisente represso e non ascoltato, la convinzio-ne del ricorso necessario alla violenza estre-ma. Combattere in nome di un dio è senti-to allora come un dovere sacro. Il passaggiodalla guerriglia all’azione terroristica, moti-vata anche religiosamente, diviene semprepiù plausibile.

Laddove il progetto fondamentalista rie-sce a imporsi, i conflitti politici e religiosi siacuiscono; in tal modo, i problemi reali chealimentano l’ideologia fondamentalista nonsono risolti, anzi si complicano ulterior-mente. L’ideale della città virtuosa e puranell’unica fede ritenuta vera e assoluta com-porta inevitabilmente la pulizia etno-reli-giosa di tutte quelle minoranze considerateeretiche o deviate. L’intransigenza di grup-pi fondamentalisti oggi frena i progetti diuna ragionevole pace fra Israele e l’Autoritàpalestinese così come, specularmente, ilmovimento radicale Hamas blocca tutti glisforzi di quanti fra le fila politiche palesti-nesi si adoperano per la soluzione di duepopoli/due stati. Su un altro fronte, la con-vivenza pacifica fra cristiani e musulmani èmessa seriamente in pericolo dall’insorgen-za di gruppi radicali islamici che predicanola purificazione della casa dell’islam (dar al-islam) dalle influenze occidentali così comeda tutti quelli che, ai loro occhi, professa-no una religione infedele. Il gruppo nigeria-no Boko Haram (letteralmente chi combat-te per la difesa degli insegnamenti del Pro-feta e per il jihad contro l’educazione e l’in-fluenza dell’Occidente), nato nel 2002 inuno Stato del Nord (Borno), ha progressiva-mente spostato il suo bersaglio da obiettivimilitari (sino al 2009 prevalentemente postidi polizia o caserme dell’esercito) a luoghidi culto cristiani. In tal modo la convivenzafra cristiani e musulmani è sempre più dif-ficile in larghe zone del paese africano. Al-lo stesso modo, la conquista di ampie zonedel territorio siriano e iracheno da parte deigruppi del salafismo armato (la versione piùintransigente del primo fondamentalismoislamico degli anni Settanta del secolo ap-pena trascorso) si accompagna a una siste-matica pulizia etnica che prende di mira ya-zidi e cristiani, sciiti e drusi.

i servizi maggio 2015 confronti

Quando la tensione coni regimi al potere cresce,si rafforza, nellacoscienza di chi si senterepresso e nonascoltato, laconvinzione del ricorsonecessario alla violenzaestrema. Combattere innome di un dio è sentitoallora come un doveresacro. Il passaggio dallaguerriglia all’azioneterroristica, motivataanche religiosamente,diviene sempre piùplausibile.