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DECALOGO PER IL CORRETTO USO DEGLI ANTIBIOTICI E PER IL CONTENIMENTO DELLE RESISTENZE BATTERICHE IN ITALIA VERSIONE PRELIMINARE

DECALOGO - Gisa Antimicrobial Stewardship Italia · • Definizione di nuove linee guida nazionali in contesti critici (esempio le Enterobacteriaceae ... 3.Tentare di diminuire gradualmente

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DECALOGO PER IL CORRETTO USO DEGLI ANTIBIOTICI E PER IL CONTENIMENTO DELLE RESISTENZE BATTERICHE IN ITALIA

VERSIONE PRELIMINARE

La preoccupante realtà epidemiologica italiana che coniuga un elevato consumo di antibiotici con un livello di resistenza antimicrobica non trova apparente giustificazione.Infatti il nostro SSN non soffre di tangibili carenze di risorse, i nostri ospedali non hanno in genere inadeguatezze strutturali ed il nostro personale sanitario (medici, infermieri) non può essere considerato impreparato.

Quello che sembra mancare allora è la capacità di trasferire nella pratica clinica quotidiana quanto correttamente riportato in raccomandazioni e linee guida (buon uso degli antibiotici, buone pratiche assistenziali).Probabilmente la formazione del personale sull’uso degli antibiotici ed il controllo delle infezioni è inadeguata o troppo teorica e gli strumenti di verifica sono troppo spesso assenti: non si ha alcun riscontro della qualità e dei risultati del nostro lavoro.

Persiste poi una rilevante disparità a livello regionale: ventuno diverse realtà che garantiscono risposte, sul territorio ed in ospedale, molto disomogenee, che si riflet-tono poi in una erogazione di servizi assistenziali che risulta di qualità molto diversa, con il classico gradiente Nord-Sud.

L’idea di una specifica “Guida” che definisca le azioni prioritarie e che contribuisca a trasformare i buoni propositi in realtà consolidata appare una scelta naturale per una società scientifica multidisciplinare di recente costituzione come il GISA (Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica) che vuole promuovere la cultura dell’appro-priatezza nel trattamento delle infezioni e nel controllo della resistenza antimicrobica.

L’abbiamo realizzata con il contributo di specialisti di alto livello nei vari campi (igienisti, microbiologi, farmacologi, farmacisti, infettivologi) e la proponiamo alla comunità scientifica nazionale ed internazionale ed ai rappresentanti delle istituzioni e della politica, ben convinti che l’approccio One Health, che si interessa della salute umana, di quella animale ed anche della tutela ambientale, sia l’unica strategia poten-zialmente in grado di contrastare la sfida della resistenza antimicrobica che, secondo le stime correnti, potrebbe provocare entro il 2050 sino a 10 milioni di morti.

Francesco MenichettiProfessore di Malattie Infettive, Università di PisaPresidente del GISA (Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica)

PREFAZIONE

FABIO ARENA Dipartimento di Biotecnologie Mediche, Università di Siena

LUCA BUSANI Dipartimento di Malattie Infettive - Istituto Superiore di Sanità, Roma

FRANCESCO G. DE ROSA, SILVIA CORCIONE, LUCA SCAGLIONE, GIOVANNI DI PERRIDipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino

PIER LUIGI LOPALCODipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa

FRANCESCO MENICHETTIDipartimento di Malattie Infettive, Università di PisaPresidente del GISA (Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica)

ANDREA NOVELLI, ELIA ROSIDipartimento di Scienze della Salute, Sezione di Farmacologia Clinica e Oncologia, Università degli Studi di Firenze

ANGELO PAN, ALESSIA ZONCADADipartimento di Malattie Infettive, Azienda Socio-Sanitaria Territoriale, ASST Cremona

GIAN MARIA ROSSOLINIDipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Firenze; Laboratorio di Microbiologia e Virologia, AOU Careggi, Firenze

CARLO TASCINIDipartimento di Malattie Infettive Ospedale Cotugno, Napoli

BRUNO VIAGGIDipartimento di Anestesia, AUO Careggi, FirenzeCTS GiViTi Istituto Mario Negri, Ranica (BG)

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI

1. VACCINI NEGLI ADULTI E OSPITE COMPROMESSO Pier Luigi Lopalco, Pisa

2. PROFILASSI ANTIBIOTICA NELLA CHIRURGIA E NELL’OSPITE COMPROMESSO Carlo Tascini, Napoli

CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

3. CONTROLLO DELLE INFEZIONI Angelo Pan, Alessia Zoncada, Cremona

4. CONTROLLO DEGLI ANTIBIOTICI NEGLI ANIMALI E NEGLI ALIMENTI Luca Busani, Roma

DIAGNOSI RAPIDA DELLE INFEZIONI BATTERICHE E DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

5. RUOLO DEI MARCATORI SURROGATI Bruno Viaggi, Firenze

6. 7. DIAGNOSI DELLE INFEZIONI BATTERICHE E TEST DI SENSIBILITA’(AST) Gian Maria Rossolini, Firenze; Fabio Arena, Siena

UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

8. STRATEGIE DI GESTIONE DEGLI ANTIBIOTICI Francesco G. De Rosa, Silvia Corcione, Luca Scaglione, Giovanni Di Perri, Torino

9. IL LABORATORIO FARMACOLOGICO PER L’OTTIMIZZAZIONE DEGLI ANTIBIOTICI Andrea Novelli, Elia Rosi, Firenze

10. PROGRAMMA DI GESTIONE ANTIMICROBICA Francesco Menichetti, Pisa

DECALOGO PER IL CORRETTO USO DEGLI ANTIBIOTICI NELLE INFEZIONI E PER IL CONTENIMENTO DELLE RESISTENZE BATTERICHE IN ITALIA

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SOMMARIO

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI

1. VACCINI NEGLI ADULTI E OSPITE COMPROMESSO pag. 10 Pier Luigi Lopalco

• Garantire un’adeguata copertura vaccinale per malattie selezionate ha un impatto positivo sull’utilizzo di antimicrobici e, di conseguenza, sulla resistenza agli antimicrobici.• Occorrerebbe mettere in atto una strategia vaccinale multicomponente al fine di massimizzare l’impatto della vaccinazione sulla resistenza antimicrobica.• Occorrerebbe attuare le seguenti azioni: 1. Mantenere livelli di copertura elevati dei vaccini esavalenti, dei vaccini pneumococcici coniugati, nonché migliorare la copertura vaccinale per la vaccinazione contro il meningococco durante l’infanzia. 2. Rafforzare la vaccinazione dei gruppi a rischio, attuando nuove e più efficaci strategie. Il ricovero ospedaliero può rappresentare un’ottima opportunità, ed è possibile somministrare il vaccino prima della dimissione a tutti i pazienti che appartengono a gruppi a rischio. 3. Deve essere migliorata la copertura vaccinale per il vaccino contro influenza e pneumococco tra le persone al di sopra dei 65 anni di età. 4. Gli operatori sanitari devono essere vaccinati contro l’influenza. 5. Occorre attuare strategie di comunicazione efficaci, al fine di contrastare la titubanza a vaccinare.

2. PROFILASSI ANTIBIOTICA NELLA CHIRURGIA E NELL’OSPITE COMPROMESSO pag. 14 Carlo Tascini

1. Promuovere linee guida di riferimento per la profilassi batterica nella chirurgia o nell’ospite compromesso. 2. Promuovere l’approccio multidisciplinare necessario per produrre linee guida adeguate. 3. Attuazione dell’aderenza a linee guida sulla profilassi di riferimento. 4. Strategia di intervento per ridurre l’impiego inadeguato di antimicrobici nella profilassi chirurgica (farmaco, dose, via di somministrazione, durata). 5. Strategia di intervento per aumentare l’impiego adeguato della profilassi medica nell’ospite compromesso (esempio: neutropenia).

CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

3. CONTROLLO DELLE INFEZIONI pag. 18 Angelo Pan, Alessia Zoncada

1. Definire il controllo delle infezioni come priorità chiave del sistema di assistenza sanitaria, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale • Sostenere azioni su infezioni associate all’assistenza sanitaria e resistenza antimicrobica, mediante comunicazione e istruzione a tutti i livelli nel sistema dell’assistenza sanitaria; • Coinvolgimento del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità; • Coinvolgimento di società scientifiche selezionate; • Programmi di formazione obbligatori durante i diversi livelli dell’istruzione, nei corsi universitari, nelle scuole di specialità e nell’ambito di programmi di ECM, sulle infezioni associate all’assistenza sanitaria per tutti gli operatori sanitari; • Definizione di nuove linee guida nazionali in contesti critici (esempio le Enterobacteriaceae produttori di carbapenemasi – CPE).

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2. Campagna di sensibilizzazione dedicata agli amministratori ospedalieri (Direzioni Aziendali, Assessorati alla Salute, Agenzie di Sanità) • Gruppi di lavoro sul controllo delle infezioni a livello regionale con programmi condivisi; • Risorse (bilancio, fondi per la ricerca).

3. Gestione dei dati sulle infezioni associate all’assistenza sanitaria • Valutazione dell’aderenza alle linee guida nazionali sul controllo delle infezioni già disponibili (esempio: Compendio INF OSS, MRSA); • Partecipazione più ampia (obbligatoria?) al sistema di sorveglianza nazionale già disponibile (Infezione del sito chirurgico - SNICh e infezioni nell’unità di terapia intensiva - SITIN) da parte di tutte le regioni; • Definizione di un programma per nuovi sistemi di sorveglianza nazionale su aspetti critici: CLABSI, VAP, CAUTI, C. difficile.

4. CONTROLLO DELL’IMPIEGO DEGLI ANTIBIOTICI NEGLI ANIMALI E NEGLI ALIMENTI pag. 24 Luca Busani

1. Stabilire obiettivi di riduzione dell’impiego di antimicrobici negli animali d’allevamento. 2. Limitazioni sull’impiego di antibiotici critici negli animali d’allevamento e da affezione. 3. Riduzione della dispersione ambientale degli antibiotici attraverso i reflui degli allevamenti e il letame e riduzione dei residui di antibiotici negli alimenti di origine animale. 4. Miglioramento della sorveglianza integrata sull’impiego di antibiotici e sulla diffusione della resistenza antimicrobica sia nella medicina umana che in quella veterinaria. 5. Sensibilizzazione sui rischi per la salute inerenti alla resistenza antibiotica, compreso l’impiego imprudente e l’abuso di antimicrobici negli animali.

DIAGNOSI RAPIDA DELLE INFEZIONI BATTERICHE E DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

5. RUOLO DEI MARCATORI SURROGATI pag. 28 Bruno Viaggi

1. Vi sono chiare evidenze a sostegno dell’impiego della procalcitonina (PCT) nell’ambito di una valutazione multiparametrica della gestione delle infezioni nei pazienti settici. 2. La terapia antibiotica su base di PCT si traduce in una significativa riduzione del numero di giorni di esposizione agli antibiotici, in un minore effetto correlato ai farmaci e in un minore tasso di resistenza agli antibiotici. 3. Il valore della PCT deve essere inquadrato ed interpretato nel contesto clinico. 4. Il cambiamento dinamico della PCT nelle prime 48-72 ore esprime il valore predittivo della sopravvivenza e dell’efficacia della terapia antibiotica con un impatto significativo sui risultati di sopravvivenza del paziente. 5. Avvalendosi della PCT, un clinico può anche differenziare, o per meglio dire ipotizzare, un’infezione batterica da Gram-negativi o da Gram-positivi e, concentrandosi sul Valore Predittivo Negativo (VPN) di questo biomarcatore, in presenza di condizioni di sepsi, un valore di PCT di <2 ng/ml può rafforzare il sospetto clinico di eziologia fungina, permettendo quindi una diagnosi rapida più mirata. 6. In presenza di un paziente con sepsi/shock settico con PCT negativa o estremamente bassa, a causa della gravità del quadro clinico, un clinico attento dovrebbe indirizzare rapidamente la diagnosi verso l’esclusione di quadri clinici quali ascessi profondi e/o raccolte compartimentalizzate, meningite/ventricolite, endocardite senza embolia, polmonite atipica, BSI causate da CoNS o da miceti.

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6. 7. DIAGNOSI DELLE INFEZIONI BATTERICHE E TEST DI SENSIBILITÀ (AST) pag. 32 Gian Maria Rossolini, Fabio Arena

1. Produrre su base regolare (almeno ogni sei mesi) rapporti stratificati su dati AST cumulativi a livello di nosocomio, per assistere gli ASP (Antibiotic Stewardship Programs) nello sviluppo di linee guida locali per la terapia empirica. 2. Fare ogni sforzo possibile per ridurre tempi di esecuzione di ID (identificazione) e AST (adottare MALDI-TOF e sistemi diagnostici molecolari per ID microbica e rilevamento dei meccanismi di resistenza più importanti). 3. Disegnare flussi di lavoro diagnostici personalizzati e razionalizzare l’impiego di nuove tecnologie adottando criteri di stratificazione dei pazienti (gravità della forma morbosa e/o rischio di rapida progressione clinica). 4. Sostenere attivamente i componenti degli ASP e gli altri clinici nell’interpretazione dei risultati del CML (Clinical Microbiology Laboratory).

UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

8. STRATEGIE DI GESTIONE DEGLI ANTIBIOTICI pag. 34 Francesco G. De Rosa, Silvia Corcione, Luca Scaglione, Giovanni Di Perri

1. Contrastare la spirale dell’empirismo terapeutico mediante ricerca sistematica di una diagnosi etiologica. 2. Monitorare sempre i dati epidemiologici e sulla resistenza locali a livello del reparto, per adottare regimi antibiotici empirici. 3. Tentare di diminuire gradualmente la terapia antibiotica di associazione ad ampio spettro empirica passando ad una terapia antibiotica mirata a spettro ristretto il prima possibile. 4. Tentare di identificare i pazienti a rischio elevato (esempio: colonizzazione rettale da batteri MDR) meritevoli di approcci empirici “mirati”. 5. Tentare di ridurre la durata del ciclo della terapia antibiotica (esempio: usando la PCT).

9. IL LABORATORIO FARMACOLOGICO PER L’OTTIMIZZAZIONE DEGLI ANTIBIOTICI pag. 38 Andrea Novelli, Elia Rosi

1. Richiamare l’attenzione su gli aspetti farmacologici correlati al fallimento clinico e microbiologico e alla potenziale emergenza di chemioresistenza: scelta inappropriata dell’antimicrobico, dosaggio, modalità di somministrazione durata della terapia non corretti. 2. Ricordarsi che le soglie di chemiosensibilità batterica possono non essere attendibili in clinica, soprattutto nel paziente critico, per le modificazioni cinetiche correlate alle sue condizioni. 3. Il parametro farmacodinamico può essere modificato sia per gli antibiotici concentrazione-dipendenti (Cmax/MIC; AUC/MIC) che tempo-dipendenti (T/MIC) aumentando la concentrazione del farmaco o abbassando la MIC con la terapia di associazione. 4. Nel paziente critico, il monitoraggio terapeutico (TDM) dell’antibiotico può risultare utile per ottimizzarne il dosaggio, sia per aumentarne l’efficacia che per ridurne la tossicità. 5. Evidenziare il ruolo del laboratorio farmacologico per l’ottimizzazione della terapia antimicrobica.

SOMMARIO

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10. PROGRAMMA DI GESTIONE ANTIMICROBICA pag. 42 Francesco Menichetti

1. Campagna di sensibilizzazione pubblica a livello politico e governativo • Sostenere azioni su infezioni associate all’assistenza sanitaria e resistenza antimicrobica, per favorire regole nuove per la registrazione “rapida” degli antibiotici nuovi (AIFA, EMA). • Coinvolgimento del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità, di società scientifiche. • Raccomandazioni nazionali per l’ASP. • Attività di lobby.2. Campagna di sensibilizzazione dedicata agli amministratori ospedalieri (Direzioni Aziendali, Assessorati alla Salute, Agenzie di Sanità). • Risorse (bilancio, fondi per la ricerca).3. Gestione degli antibiotici nuovi • Linee guida e raccomandazioni multidisciplinari ed eque. • Gestione condivisa tra consulente ID e specialista del modulo AIFA. • Regole chiare e coerenti dell’impiego “off-label” degli antibiotici nuovi. • Supervisione del farmacista ospedaliero.4. Approccio “One Health” • Coinvolgimento del medico di base. • DTP (diagnostica e piano terapeutico) per le infezioni più comuni (ad esempio: URTI).

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PREVENZIONE DELLE INFEZIONI

1. VACCINI NEGLI ADULTI E OSPITE COMPROMESSO Pier Luigi Lopalco

Azioni chiave• Garantire un’adeguata copertura vaccinale per malattie selezionate ha un impatto positivo sull’utilizzo di antimicrobici e, di conseguenza, sulla resistenza agli antimicrobici.• Occorrerebbe mettere in atto una strategia vaccinale multicomponente al fine di massimizzare l’impatto della vaccinazione sulla resistenza antimicrobica. In particolare, occorrerebbe attuare le seguenti azioni: ❖ Mantenere livelli di copertura elevati dei vaccini esavalenti, dei vaccini pneumococcici coniugati, nonché migliorare la copertura vaccinale per la vaccinazione contro il meningococco durante l’infanzia; ❖ Rafforzare la vaccinazione dei gruppi a rischio, attuando nuove e più efficaci strategie. Il ricovero ospedaliero può rappresentare un’ottima opportunità, ed è possibile somministrare i vaccini prima della dimissione a tutti i pazienti che appartengono ai gruppi a rischio; ❖ Deve essere migliorata la copertura vaccinale per il vaccino contro influenza e pneumococco tra le persone al di sopra dei 65 anni di età; ❖ Gli operatori sanitari devono essere vaccinati contro l’influenza; ❖ Occorre attuare strategie di comunicazione efficaci, al fine di contrastare la titubanza a vaccinare.

Definizione dei problemiLa vaccinazione svolge un ruolo cruciale nella prevenzione e nel controllo delle malattie infettive. L’impatto della vaccina-zione sul fardello delle malattie infettive è lampante: il vaiolo è stato debellato; la diffusione della poliomielite è limitata a poche aree del pianeta; il tetano e la difterite sono praticamente scomparsi dove sono in vigore programmi vaccinali efficaci; pertosse, morbillo, rosolia, infezioni batteriche invasive sono sotto controllo in molte aree del pianeta. I benefici dei programmi vaccinali non si limitano esclusivamente alla protezione dei singoli individui dalle malattie pericolose, ma si estendono ad alcuni importanti effetti collaterali positivi. Innanzitutto, la protezione indiretta di coloro che (per ragioni mediche o per scelta personale) non sono vaccinati, grazie all’effetto dell’immunità di gregge. Inoltre, la ridotta circolazione degli agenti infettivi dovrebbe tradursi anche in una diminuzione dell’impiego degli antimicrobici e delle opportunità di selezionare ceppi resistenti. L’utilizzo scorretto di antimicrobici è la causa principale della resistenza antimicrobica, problema prioritario a livello mondiale. Garantire un’adeguata copertura vaccinale a livello di comunità per malattie selezionate e l’immunizzazione di gruppi a rischio mirati può avere un impatto positivo sull’utilizzo di antimicrobici e, di conseguenza, sulla resistenza agli antimicrobici.

Evidenze scientifiche e lacune nelle conoscenzeHaemophilus influenzae tipo bLa malattia invasiva provocata da ceppi di Haemophilus influenzae tipo b (Hib) è sotto controllo nei paesi che hanno attuato in maniera efficace specifici programmi di immunizzazione. Nell’era precedente le vaccinazioni si stimava che l’incidenza media annuale della malattia Hib invasiva nei bambini al di sotto dei cinque anni di età fosse di 41 su 100.000 in Europa e 88 su 100.000 negli Stati Uniti. Secondo gli ultimi dati sulla sorveglianza, i tassi di segnalazione dei casi di H. influenzae invasivi variano da 0 a 1,9 su 100.000 nei paesi dell’Unione Europea. Oggi i casi dovuti a ceppi di tipo b sono estremamente rari. In Italia, nel periodo di sei anni compreso tra il 2011 e il 2016, sono stati segnalati sol-tanto 34 casi a livello nazionale. Nell’era precedente le vaccinazioni, l’Hib aveva già sviluppato resistenza all’ampicillina, con conseguenti raccomandazioni di utilizzare cloramfenicolo e cefalosporine ad ampio spettro per il trattamento empirico della meningite.L’impatto della vaccinazione contro l’Hib sul consumo di antibiotici è difficile da valutare e al riguardo le evidenze disponibili sono scarse. D’altro canto, considerando che le infezioni da Hib sono state le cause principali di infezioni batteriche invasive negli infanti durante l’era precedente le vaccinazioni, l’impatto della vaccinazione contro l’Hib sull’utilizzo di antimicrobici può essere considerevole.

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Malattia da meningococco invasivaIn 17 paesi dell’Unione Europea sono stati attuati programmi vaccinali contro il meningococco C (MenC). L’impatto di detti programmi è stato evidente in particolare in quei paesi, come nel Regno Unito, in cui l’endemicità del meningococco era maggiore durante l’era precedente le vaccinazioni. In Europa, grazie alla vaccinazione con MenC, la percentuale della malat-tia da meningococco invasiva dovuta ai ceppi B, al momento, è la più rilevante. La vaccinazione contro il meningococco B è un’introduzione molto recente, pertanto è ancora impossibile valutarne l’impatto. In Italia, l’incidenza delle infezioni inva-sive da meningococco oscillava tra 0,23 e 0,38 su 100.000 durante il periodo 2012-16 e il sierogruppo B era predominante (48-65%) ad eccezione del 2015 e del 2016, quando la circolazione di un ceppo ST-11 ipervirulento in Toscana ha reso più prevalente il sierogruppo C. Lo stesso vale per l’Hib, sono disponibili scarse evidenze sull’impatto della vaccinazione con MenC sul consumo di antibiotici. D’altro canto, considerando che ogni singolo caso di meningite da meningococco è seguito da un ampio impiego di antimicrobici per la profilassi secondaria dei contatti, è possibile che l’impatto della vaccinazione contro il meningococco sull’utilizzo degli antimicrobici sia considerevole.

Infezioni da pneumococcoStreptococcus pneumoniae è la causa principale delle infezioni batteriche invasive sia nei bambini che negli anziani. Il fardel-lo di questa malattia da pneumococco è rilevante anche negli adolescenti e negli adulti a rischio elevato di contrarre malattie invasive batteriche, ad esempio soggetti con una malattia cronica polmonare, cardiaca, epatica o renale, asma, diabete o condizioni che indeboliscono il sistema immunitario (splenectomia, HIV/AIDS, tumore). Oltre alle malattie invasive come sepsi e meningiti, l’otite media rappresenta il principale fardello della malattia in relazione alle infezioni da pneumococco. S. pneumoniae è un colonizzatore comune della nasofaringe e il tasso di ceppi resistenti agli antimicrobici nei pazienti colonizzati può raggiungere il 70%, particolarmente in gruppi speciali come i bambini che frequen-tano le scuole materne. L’otite media acuta (OMA) è una malattia molto comune tra i neonati e i bambini e S. pneumoniae costituisce il 28-55 per cento dei casi. L’OMA è una delle cause principali del consumo di antimicrobici nei bambini: in uno studio italiano, sono stati prescritti antibiotici a oltre l’80% dei bambini a cui è stata diagnosticata OMA, e i tassi di prescrizio-ne non sono diminuiti dopo l’attuazione delle linee guida pediatriche basate su una strategia di “vigile attesa”.La vaccinazione coniugata contro lo pneumococco con il vaccino eptavalente (PCV7) viene attuata sempre più a livello mon-diale, a partire dal 2003. Ne è stato dimostrato l’impatto sulla riduzione dei ceppi resistenti agli antimicrobici sia nei casi della malattia che nei pazienti colonizzati.Dopo l’introduzione del PCV7, è stata osservata la sostituzione del sierotipo delle infezioni da pneumococco da sierotipi non contenuti nel PCV7. Di particolare importanza è stata l’osservazione che i livelli di resistenza antibiotica aumentavano in isolati non di vaccino responsabili delle infezioni dopo l’introduzione del vaccino. In particolare, il tipo 19A, che aveva anche tassi elevati di non suscettibilità alla penicillina, è emerso nella maggior parte dei paesi con tassi di copertura di PCV7 elevati, e ha eroso i guadagni contro la malattia resistente. Al fine di coprire sei dei sierotipi prevalenti che non sono stati inclusi nel PCV7, compreso 19A, è stato introdotto il PCV13. Al momento, non è chiaro se si osserveranno la sostituzione del sierotipo e l’aumento dei tassi di resistenza antimicrobica per ceppi non coperti da PCV13. In ogni caso, l’impatto complessivo della vaccinazione con PCV sull’utilizzo scorretto dell’antimicrobico e sulla resistenza all’antimicrobico è evidente. È importante notare che S. pneumoniae è la causa principale di malattia batterica invasiva (meningite e sepsi) in Italia, malgrado sia stato attuato con successo un programma di vaccinazioni pediatriche. Nel 2016, a livello nazionale sono stati segnalati 1.462 casi di infezioni invasive (2,4 su 100.000).

InfluenzaIl virus dell’influenza è la causa principale di malesseri respiratori durante la stagione invernale nell’emisfero settentrionale. Le vaccinazioni riducono significativamente l’incidenza dell’influenza e, prevenendo una parte di questi casi, è possibile ridurre sia le prescrizioni dell’antimicrobico appropriate che quelle non appropriate. L’utilizzo di fluorochinolone è fortemente associato all’influenza e si stima che una riduzione dell’attività dell’influenza del 20% ridurrebbe le prescrizioni dell’8%. L’utilizzo non appropriato dell’antimicrobico è molto presente durante la stagione influenzale. In uno studio condotto negli Stati Uniti, gli antibiotici sono stati prescritti al 21,6% di un esteso campione di pazienti con diagnosi di influenza. Il trattamento non appropriato con antibiotici è stato confermato nel 79% di questi pazienti.

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PREVENZIONE DELLE INFEZIONI

Azioni prioritarieProgramma di vaccinazioni dell’infanzia di routineÈ della massima importanza sostenere l’elevato livello di copertura dei vaccini inclusi nel programma dell’infanzia. In particolare, dovrebbero essere considerate prioritarie le seguenti azioni: 1. Mantenere sotto controllo le infezioni da Hib, mantenere livelli di copertura elevati con i vaccini esavalenti; 2. Mantenere sotto controllo le infezioni da pneumococco tra i bambini sani mediante le vaccinazioni dell’infanzia di routine; 3. Mantenere livelli di copertura elevati per la vaccinazione contro il meningococco C e sostenere l’introduzione del vaccino contro il meningococco B, estendendone il più possibile le fasce d’età con l’offerta del vaccino attivo.

Vaccinazione dei gruppi a rischioDeve essere rinforzata la vaccinazione dei gruppi a rischio, attuando strategie nuove e più efficaci. In particolare, la copertura con il vaccino antinfluenzale in soggetti con condizioni soggiacenti è molto bassa. Dovrebbe essere offerta una corretta vacci-nazione mirata a ogni paziente con le condizioni soggiacenti quando si accede a servizi di assistenza sanitaria. In particolare, la necessità della vaccinazione potrebbe essere facilmente identificata durante il ricovero ospedaliero, e si potrebbe sommi-nistrare il vaccino prima della dimissione senza alcun impatto di rilievo sull’organizzazione dell’ospedale.

Vaccinazione degli anzianiDeve essere migliorata la copertura vaccinale per il vaccino contro influenza e pneumococco tra le persone al di sopra dei 65 anni di età. È necessaria una forte collaborazione tra diversi settori del sistema di assistenza sanitaria (medici di base, servizi di vaccinazione, ospedali, ambienti di assistenza a lungo termine, etc.) e devono essere elaborate strategie nuove per rimuovere tutte le barriere alla vaccinazione tra gli anziani.

Vaccinazione degli operatori sanitariGli operatori sanitari devono essere vaccinati contro l’influenza sia per ridurre il rischio di diffondere la malattia negli ambien-ti dell’assistenza sanitaria durante la stagione influenza che per il fatto che gli operatori sanitari devono fungere da modello nel sistema dell’assistenza sanitaria. Un operatore sanitario non vaccinato contro l’influenza non può essere preso seriamente come modello della vaccinazione antinfluenzale.

Comunicazione per contrastare la titubanza a vaccinareLa titubanza a vaccinare è la nuova epidemia degli ultimi decenni. Nella popolazione si sta diffondendo scetticismo nei con-fronti delle vaccinazioni, che in Italia sta raggiungendo livelli preoccupanti. Contrastare la titubanza a vaccinare è importante al fine di pianificare e attuare strategie nuove necessarie per migliorare i programmi vaccinali elencati precedentemente.

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Bibliografia

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PREVENZIONE DELLE INFEZIONI

2. PROFILASSI ANTIBIOTICA NELLA CHIRURGIA E NELL’OSPITE COMPROMESSO Carlo Tascini

Azioni chiave 1. La profilassi antimicrobica chirurgica, in associazione con altre misure, può ridurre il rischio di infezioni di ferite chirurgiche. 2. La profilassi antimicrobica chirurgica non dovrebbe durare più di 24 ore. 3. La profilassi antimicrobica chirurgica dovrebbe prevedere antibiotici a spettro ridotto. 4. Dovrebbe essere implementata la sorveglianza attiva sull’uso degli antibatterici e sugli eventi avversi in chirurgia. 5. La profilassi antimicrobica in popolazioni particolari può ridurre il rischio di infezioni.

Considerazioni generaliL’espressione “profilassi antimicrobica” si riferisce alla somministrazione a breve termine di un antibiotico al fine di ridurre il rischio di infezioni in popolazioni specifiche prive di infezioni, per esempio quelle da sottoporre a interventi chirurgici o pazienti immunocompromessi come quelli con splenectomia, anemia falciforme, in gravidanza o a elevato rischio di endocardite.

Profilassi antibiotica chirurgica (SAP)Lo scopo della SAP è di ridurre il rischio di infezioni delle ferite chirurgiche. Di solito la SAP è appropriata solo in caso di inter-venti puliti-contaminati (Tabella 1); in questi casi:• La terapia antibiotica deve essere attuata contro la flora batterica che ha un’elevata probabilità di provocare infezioni alle ferite post-operatorie, non contro ogni specie e ogni infezione;• L’antibiotico selezionato deve i) avere lo spettro più ristretto necessario; ii) essere il più tollerato possibile; iii) essere facile da somministrare; iv) non essere utilizzato solitamente nel trattamento delle infezioni gravi o della sepsi;• L’infusione antibiotica deve essere avviata nei 60 minuti precedenti l’incisione chirurgica; generalmente non è necessaria una seconda somministrazione (se il tempo dell’intervento non supera le 2,5 emivite dell’antibiotico selezionato); solitamente si sconsigliano antibiotici somministrati mediante una via diversa da quella endovenosa, ad eccezione dell’indicazione specifica riportata nella tabella.• Viene sottoposta periodicamente a revisione in considerazione dell’epidemiologia locale e degli schemi di resistenza.Inoltre, al fine di organizzare la SAP e di verificarne l’utilità: ❖ Deve essere fornita una definizione di SAP (appropriatezza della SAP, scelta dell’antibiotico, organizzazione della somministrazione, ecc.) da parte del comitato locale sul controllo delle infezioni, in concerto con i rappresentanti dei chirurghi; ❖ La somministrazione della SAP deve essere gestita dall’anestesista che partecipa all’intervento; ❖ Occorre organizzare periodicamente ispezioni su consumo di antimicrobici, incidenza della colite da Clostridium difficile, eventi avversi attribuibili alla SAP e farmacovigilanza

Profilassi antimicrobica per pazienti con splenectomia e asplenia funzionaleI pazienti che sono stati sottoposti a splenectomia o con asplenia funzionale, per esempio coloro che hanno l’anemia falciforme, hanno un maggiore rischio di infezioni, particolarmente sepsi, a causa di batteri capsulati. La principale misura di profilassi è la vaccinazione contro questi batteri. Inoltre, è consigliata la profilassi antimicrobica nelle seguenti condizioni specifiche: • Popolazione pediatrica con asplenia: amoxicillina/acido clavulanico 125 mg ogni 12 ore dall’età di 2 mesi all’età di 3 anni, quindi amoxicillina/acido clavulanico 250 mg ogni 12 ore fino all’età di 5 anni o per almeno 1 anno dopo la splenectomia • Anemia falciforme: penicillina V 125 mg ogni 12 ore dall’età di 2 mesi all’età di 5 anni, quindi penicillina V 250 mg ogni 12 ore. Il tempo di sospensione non è ben determinato. • Per pazienti immunocompromessi e pazienti con talassemia e precedenti episodi di sepsi, la profilassi può apportare benefici fino all’età di 18 anni.

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Tipo di operazione SAP di prima lineaa

Chirurgia cardiovascolare:• ricostruzione dell’aorta addominale• interventi con incisione dell’inguine• interventi con inserimento di corpi estranei• chirurgia cardiaca/trapianto di cuore• amputazione delle estremità inferiori a causa di ischemia• impianto di PMK/ICD• riparazione di aneurisma, rivascolarizzazione

Cefazolina 2 gbb

Chirurgia gastroduodenale / biliare:• chirurgia gastroduodenale• elevato rischio di applicazione di PEG• pancreaticoduodenectomia• colecistectomia aperta

Cefazolina 2 g

• ERCP con ostruzione Piperacillina/tazobactam 4,5 g

Chirurgia colorettaleCefazolina 2 gpiùMetronidazolo 500 mgcc

Chirurgia di testa e collo:• con coinvolgimento orale/faringale• non necessario per interventi puliti

Cefazolina 2 gpiùMetronidazolo 500 mgc

Procedure neurochirurgiche:• procedure pulite senza impianto• chirurgia con shunt del CSF, pompe intratecali

Cefazolina 2 g

• procedure pulite-contaminate con coinvolgimento dei seni o della naso/orofaringe Clindamicina 900 mg

Chirurgia ostetrica e ginecologica:• isterectomia vaginale o addominale• taglio cesareo per rottura prematura delle membrane o travaglio attivo

Cefazolina 2 g

• aborto chirurgico (primo trimestre) Doxiciclina per os 100 mg prima della procedura più 200 mg dopo la procedura

Chirurgia ortopedica:• sostituzione delle articolazioni• artroplastica

Cefazolina 2 g

• riduzione aperta di frattura chiusa con fissazione interna Ceftriaxone 2 g

Chirurgia urologica:• cistoscopia con manipolazione• biopsia prostatica transrettale

Ciprofloxacina 500 mg per os 2 ore prima dell’incisione

• intervento pulito con o senza accesso al tratto urinario e con o senza impianto di protesi Cefazolina 2 g ± gentamicina 3 mg/kg

• intervento pulito-contaminatoCefazolina 2 g piùMetronidazolo 500 mg

Chirurgia oftalmica Neomicina-garamicina-polimixina B topica 1 goccia oftalmica ogni 5-15 minuti per 5 dosi

Altro:• chirurgia della mammella• erniorrafia• toracotomia

Cefazolina 2 g

Note: a) somministrazione ev nei 60 minuti precedenti l’incisione chirurgica (a meno che sia specificato diversamente); b) alcuni autori consigliano di continuare con cefazolina 2 g ogni 8 ore per 1-2 giorni; c) generalmente associata a preparazione intestinale meccanica e solfato di neomicina orale ed eritromicina orale.

La Tabella 1. riassume i regimi di SAP consigliati; gli interventi chirurgici non segnalati non richiedono la SAP

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PREVENZIONE DELLE INFEZIONI

Profilassi antimicrobica durante la gravidanzaLo scopo della profilassi antimicrobica durante la gravidanza è di prevenire l’insorgenza precoce della malattia da streptococco del gruppo B (SGB) nel neonato. Il regime consigliato è il seguente:• Penicillina G, 5 mlnU come dose iniziale, quindi 2,5-3 mlnU ogni 4 ore fino al parto.La profilassi antimicrobica è appropriata nei seguenti casi:• Neonato precedente con malattia da SGB invasiva;• Batteriemia da SGB durante qualsiasi trimestre della gravidanza in corso (non indicata se viene effettuato un parto cesareo prima dell’insorgenza del travaglio e con membrane amniotiche intatte);• Coltura di screening vaginale o rettale positiva all’SGB nella fase finale della gestazione durante la gravidanza in corso;• Condizione di SGB ignota all’insorgenza del travaglio e una o più delle seguenti condizioni: ❖ Parto prima della 37esima settimana di gestazione; ❖ Rottura della membrana amniotica ≥18 ore; ❖ Temperatura intrapartum ≥38°C; ❖ NAAT intrapartum positivo per SGB.

Le linee guida di recente pubblicazione consigliano anche la vaccinazione contro Bordetella pertussis e Influenza nella parte finale della gravidanza.

Profilassi antimicrobica nei soggetti a rischio elevato di endocarditeAl giorno d’oggi si consiglia la profilassi antimicrobica per ridurre il rischio di endocardite infettiva solo in alcune circostanze specifiche.In caso di interventi odontoiatrici con manipolazione della regione gengivale o periapicale dei denti o con perforazione della mucosa orale, la profilassi antibatterica è consigliata nei seguenti casi:• Pazienti con qualsiasi valvola prostetica o utilizzo del materiale prostetico per la riparazione della valvola cardiaca;• Pazienti con precedente endocardite infettiva;• Pazienti con malattie cardiache congenite (qualsiasi tipo di malattia cardiaca congenita cianotica, qualsiasi tipo di malattia cardiaca congenita riparata con un materiale prostetico nei 6 mesi successivi all’intervento o permanente se rimane uno shunt residuo o rigurgito valvolare).

Le procedure invasive del tratto respiratorio, gastrointestinale o urogenitale e/o della cute e dei tessuti molli non costitui-scono un’indicazione per la profilassi antimicrobica per prevenire l’endocardite infettiva.Lo schema di profilassi antimicrobica consigliato è il seguente:• Amoxicillina 2 g per os o ev• Clindamicina 600 mg per os o ev in caso di allergia alla penicillina.

Azioni prioritarie a livello nazionale 1. Definizione e attuazione di un’efficace strategia di intervento per ridurre l’impiego degli antimicrobici nella profilassi chirurgica. Controllo da parte delle autorità sanitarie dell’aderenza alle linee guida nazionali. 2. Sorveglianza attiva dell’impiego di antimicrobici nei reparti di chirurgia e della diffusione di resistenze antimicrobiche nelle stesse unità. 3. Proposta di sorveglianza degli eventi avversi alla profilassi antibiotica inclusa nell’incidenza della colite da Clostridium difficile, avanzata dagli esperti del Ministero della Salute. 4. Sviluppo di programmi di comunicazione e istruzione al fine di sensibilizzare sugli eventi avversi dovuti all’impiego inappropriato degli antibiotici per la profilassi chirurgica.

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Bibliografia

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CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

3. CONTROLLO DELLE INFEZIONI Angelo Pan, Alessia Zoncada

Azioni chiave • Definire il controllo delle infezioni come priorità chiave del sistema di assistenza sanitaria, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale. • Organizzare campagne di sensibilizzazione dedicate agli amministratori di ospedali al fine di aumentare la conoscenza di questa problematica (Direzioni Aziendali, Assessorati alla Salute, Agenzie di Sanità). • Definire un nucleo di competenze sul controllo delle infezioni (e della resistenza antimicrobica) per tutti gli operatori sanitari. • Migliorare o riattivare i progetti che sono già stati organizzati dal Ministero della Salute: migliorare l’adesione all’igiene delle mani, favorire l’aderenza a misure di prevenzione e controllo come indicato nel Compendio INF OSS, rafforzare il controllo dello Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA), migliorare la sorveglianza delle Enterobacteriaceae produttori di carbapenemasi (CPE). • Diffondere l’uso dei programmi di sorveglianza CCM esistenti delle infezioni del sito chirurgico (Sistema Nazionale di sorveglianza delle Infezioni del sito Chirurgico (SNICh), e delle infezioni nelle unità di terapia intensiva (Sistema nazionale di sorveglianza delle Infezioni in Terapia Intensiva - SITIN).

Controllo delle InfezioniCome dichiarato dal padre della medicina, Ippocrate di Kos, più di 2.400 anni fa, uno degli obiettivi principali di tutti gli operatori sanitari è di non provocare danni ai pazienti. Tra il 5 e il 10% di tutti i pazienti ricoverati in intensiva ospedali per pazienti acuti (ACH) e tra il 3 e il 7% dei pazienti in strutture residenziali (LTCF) sviluppa un’infezione ospedaliera correlata all’assistenza (ICA). Per ridurre il rischio di acquisizione di un’ICA, devono essere messe in atto strategie che mirano a pre-venire e controllare queste infezioni in popolazioni suscettibili, sia in ambito di ACH che di LTCF: le buone pratiche per il controllo delle infezioni. La resistenza antimicrobica aumenta fortemente la complessità della prevenzione, del controllo e della gestione delle ICA.

Le buone pratiche di controllo delle ICA, cuore dei programmi di sicurezza dei pazienti, rappresentano una strategia centrale per controllare la diffusione della resistenza antimicrobica: a) limitando direttamente la trasmissione crociata di organismi multi-farmaco resistenti (MDRO) nei diversi ambiti dell’assistenza sanitaria e b) limitando la selezione della resistenza an-timicrobica mediante la riduzione dell’impiego degli antibiotici attraverso la prevenzione delle ICA. Si stima che mediante idonee politiche di controllo delle infezioni sia possibile prevenire almeno il 50% delle ICA.Al fine di disporre di un programma di controllo delle infezioni efficace, è necessario un coordinamento di alta qualità tra il livello centrale e il livello periferico: si tratta di un punto cruciale, su cui si farà ritorno nel testo. La mancanza di coordina-mento può determinare un aumento incontrollato della resistenza antimicrobica, come è successo con la diffusione rapida di Entereobacteriaceae produttori di carbapenemasi (CPE) in Italia, dove in un periodo triennale compreso tra il 2009 e il 2011, Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi è aumentata dall’1,2% al 26,7% e si è stabilizzata attorno al 35% nel 2014.Conferma la forte necessità di un intervento coordinato il fatto che molte strategie necessarie per un adeguato controllo delle infezioni sono già state pianificate e organizzate dal Ministero della Salute (MdS), compresi per esempio una campagna di promozione nazionale dell’igiene delle mani o il sistema di sorveglianza delle infezioni del sito chirurgico (ISC). In ogni caso, questi progetti probabilmente non hanno goduto di sostegno sufficiente dalle istituzioni centrali, né hanno avuto un’ampia diffusione nelle Regioni per poter esercitare un impatto forte sull’epidemiologia nazionale. Parallelamente a questo punto, varie Regioni hanno organizzato programmi efficaci, ma spesso senza alcuna forte collaborazione. Pertanto, il coordinamento e l’estensione di sistemi già disponibili sembra essere la strategia più necessaria e promettente per migliorare il controllo delle infezioni in Italia.

Nel presente lavoro si analizzano otto aree in cui l’attuazione di strategie nuove potrebbe avere un impatto positivo sui pro-grammi di controllo delle infezioni, sia a livello centrale, inteso come MdS e Regioni, che a livello periferico, in questo caso riguardando le strategie che devono essere applicate a livello della singola struttura.

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Organizzazione del programmaCome già affermato precedentemente, senza un programma ben organizzato la probabilità di controllare adeguatamente la resistenza antimicrobica è estremamente limitata.

Livello centrale: programmi centrali che mirano a controllare le ICA sono in funzione da oltre 30 anni. Malgrado il tempo trascorso, in molte parti del paese c’è ancora carenza di coinvolgimento centrale nel controllo delle ICA. Come primo punto, il MdS dovrebbe definire il controllo delle infezioni come priorità chiave del Sistema Sanitario, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale. Il MdS dovrebbe identificare un insieme semplice di programmi da attuare e verificare a livello nazionale e regionale, con scadenze temporali definite. Analogamente al livello regionale, dovrebbero essere raccolte informazioni criti-che standardizzate dai singoli ospedali. I dati inerenti agli interventi dovrebbero essere restituiti regolarmente alla comunità scientifica nonché ai contribuenti.Dovrebbe essere applicata una strategia analoga agli altri ambiti dell’assistenza sanitaria, compresi LCTF, strutture per la ria-bilitazione e comunità. Questo ampliamento dei confini del controllo delle infezioni è dovuto ai cambiamenti osservati nella medicina negli ultimi decenni, con una parte importante dei pazienti gestita al di fuori degli ACH.

Livello periferico: a questo livello, un sistema di controllo delle infezioni efficace deve essere sotto la responsabilità della direzione dell’ospedale, e deve includere il Comitato per il Controllo delle ICA (CIO) e il Gruppo Operativo per il Controllo delle Infezioni (ICT), con risorse formalmente dedicate. A seconda delle caratteristiche di ogni struttura, può essere attuata una rete di infermieri e di dottori di collegamento, in stretta collaborazione con l’ICT e il CIO. A causa dell’universalità del rischio di ICA, i programmi di controllo delle infezioni devono avere un approccio pienamente multidisciplinare, con professionisti di molti settori diversi, inoltre devono tenersi regolarmente riunioni sia del CIO che dell’ICT. Queste dovrebbero identificare le problematiche di maggiore criticità per la loro istituzione sulla base dei dati del mondo reale, e monitorare, ispezionare e fornire feedback sulle criticità regolarmente.

FormazioneLa formazione sul controllo delle infezioni e sulla resistenza antimicrobica svolge un ruolo centrale nell’avere un sistema ben strutturato e, assieme ad una buona organizzazione, è la base per risultati duraturi.

Livello centrale. Tra le diverse opzioni possibili in questo ambito, occorre definire e applicare rapidamente un curriculum di base - core curriculum - sul controllo delle infezioni e sulla resistenza antimicrobica per tutti gli operatori sanitari. Inoltre, il controllo delle infezioni e la resistenza antimicrobica devono costituire una parte rilevante di programmi di formazione continua in tutte le unità operative, concentrandosi in primo luogo su quelle ad elevato rischio di controllo delle infezioni e della resistenza an-timicrobica, come terapia intensiva, medicina interna, pneumologia, nefrologia e dialisi, trapianto di organi, chirurgia generale.

Livello periferico. Ogni singola struttura o azienda deve includere nei programmi di istruzione argomenti di controllo delle infezioni e della resistenza antimicrobica che siano strettamente correlati alle caratteristiche della struttura stessa ed all’epidemiologia locale.

Linee guida e raccomandazioniLa disponibilità di linee guida nazionali e di linee guida e protocolli locali rappresenta una parte focale di qualsiasi program-ma di controllo. Ad oggi, sono già disponibili linee guida nazionali che si concentrano sui principali problemi di controllo delle ICA. Le recenti leggi sulla responsabilità medica forniscono l’opportunità di migliorare rapidamente la diffusione e l’impiego di linee guida sul controllo delle infezioni.

Livello centrale. Sono state pubblicate linee guida nazionali sul controllo delle infezioni nel 2009, mentre quelle relative al controllo dello Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) sono state pubblicate nel 2011. In altri ambiti, per esempio la prevenzione e il controllo di CPE, la diarrea associata a Clostridium difficile (CDAD), o le ISC, dove sono state pub-blicate linee guida regionali e di società scientifiche, dovrebbero essere redatti singoli documenti nazionali condivisi.Le Regioni dovrebbero favorire l’applicazione delle linee guida disponibili a livello della singole strutture ospedaliere.

Livello periferico. Ogni struttura dovrebbe redigere protocolli locali che devono adattare le indicazioni delle linee guida alle proprie caratteristiche e necessità. Occorre inoltre effettuare regolarmente verifiche sull’aderenza ai protocolli di controllo delle infezioni.

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CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

SorveglianzaÈ necessario avere un’ampia visuale della realtà al fine di identificare le priorità, sia a livello centrale sia a livello periferico. La raccolta e la diffusione di dati sulla resistenza antimicrobica e sulle ICA, pertanto, sono della massima importanza per controllare questo problema. I dati dimostrano che l’organizzazione di un sistema di sorveglianza, è di per se associata ad una riduzione dell’infezione sorvegliata, come confermato anche da dati italiani sulle ISC.

Livello centrale. Nell’ambito dei programmi del Centro per il Controllo delle Malattie (CCM) sul controllo delle ICA vi sono due sistemi di sorveglianza attivi, istituiti nel 2010, il primo sulle ISC, il Sistema Nazionale di sorveglianza delle Infezioni del sito Chirurgico (SNICh), il secondo sulle infezioni nelle unità di terapia intensiva (ICU), il Sistema nazionale di sorveglianza delle Infezioni in Terapia Intensiva (SITIN). Ad oggi solo una Regione ha definito obbligatoria la raccolta di dati per le ISC. Dovrebbe essere compito del MdS ampliare la raccolta dati per questi due progetti già attivi, fornendo indicazioni forti alle Regioni per favorire l’organizzazione di idonei sistemi di sorveglianza.Un altro programma di sorveglianza già esistente è quello sulle batteriemie da CPE. A causa della rilevanza epidemiologica dei CPE oggi in Italia, questo sistema dovrebbe essere un obiettivo primario del MdS. I dati sulla sorveglianza dovrebbero essere pubblicati regolarmente, ogni tre-sei mesi, al fine di identificare miglioramenti e criticità.Dovrebbero essere effettuati studi regionali di prevalenza puntiforme sulle ICA e sull’impiego degli antimicrobici, basati sul protocollo dell’ECDC: malgrado tutti i limiti delle indagini di prevalenza, questo tipo di studio è relativamente semplice da svolgere, fornisce informazioni generali sulle ICA e può inoltre sensibilizzare gli operatori sanitari su questa problematica.Sarebbe poi auspicabile riprendere esperienze di sorveglianza regionale, come quella del 2012-2013 sulla CDAD effettuato in Emilia-Romagna e Lombardia, estendendo il progetto ad altre Regioni.

Livello periferico. Quando le singole istituzioni identificano criticità epidemiologiche e organizzano sistemi di sorveglianza locali, si consiglia fortemente di strutturare tali sistemi sulla base dei protocolli nazionali, europei e internazionali disponibili, al fine di rendere comparabili i dati.

Igiene delle maniL’igiene delle mani svolge un ruolo cruciale nella prevenzione e nel controllo di tutte le ICA. Nel 2006 il CCM ha avviato un’importante campagna sull’igiene delle mani, nell’ambito di un progetto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) denominato “Le cure pulite sono cure più sicure”, con un cambiamento significativo nell’organizzazione del sistema e un miglioramento all’adesione all’igiene delle mani. Malgrado i miglioramenti osservati in questo progetto, l’adesione all’igiene delle mani rimane piuttosto bassa nel paese, sia negli ACH che nelle LTCF, con consumi di soluzione alcolica per il friziona-mento delle mani ai livelli più bassi osservati in Europa.

Livello centrale. Il MdS dovrebbe sponsorizzare un nuovo lancio del progetto sull’igiene delle mani, con il coinvolgimento formale di ogni Regione. Indicatori facili da produrre, come il consumo di soluzione alcolica, devono essere regolarmente monitorati e aggiunti al debito informativo che le Regioni hanno nei confronti del MdS, parallelamente a quello del consumo di antibiotici.

Livello periferico. Ogni singola struttura, comprese le LTCF, devono avere accesso alle soluzioni alcoliche. L’adesione all’igiene delle mani deve essere calcolata valutata, utilizzando il protocollo dell’OMS, in particolare nei reparti con pazienti ad alto rischio o con un’elevata diffusione di organismi MDRO.

Igiene ambientaleNegli ultimi anni l’importanza di un ambiente pulito nella prevenzione e nel controllo delle ICA ha attirato un notevole inte-resse. Problemi in questo ambito che richiedono un’analisi sono la mancanza di linee guida nazionali, la difficoltà di verificare il livello di pulizia al di là delle ispezioni visive standard, anche per la scarsa disponibilità di nuove tecnologie, ed una rapido ricambio del personale addetto alle pulizie, che spesso lavora per aziende esterne. Il MdS dovrebbe affrontare in modo siste-matico queste problematiche.

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Impiego dei dispositivi medici e bundle di prevenzione L’impiego dei dispositivi medici ha migliorato significativamente i risultati per i pazienti, ma si è associato ad un significativo aumento del rischio di ICA. Come già affermato precedentemente, ad oggi nel nostro paese i sistemi di sorveglianza su queste infezioni sono limitati. Gli interventi per ridurre le ICA più comuni, comprese le ISC, le infezioni del torrente circolatorio asso-ciate a catetere venoso centrale (CLABSI), le infezioni del tratto urinario correlate a catetere (CAUTI), le polmoniti associate a ventilazione meccanica (VAP), o le CDAD, si sono dimostrati generalmente efficaci. Per esempio, programmi sulle CLABSI sono stati associati ad una riduzione degli episodi di le batteriemia fino al 67%. La maggior parte degli programmi di controllo prevenzione si basa sull’introduzione di una serie di interventi, detti bundle, ovvero 3-6 procedure di efficacia dimostrata, da applicare congiuntamente sullo stesso paziente.

Livello centrale. Come indicato precedentemente, il MdS ha pubblicato linee guida sulla gestione dei dispositivi medici nel 2010. Queste indicazioni devono essere ampiamente diffuse sia a scopo didattico sia per valutare l’adesione alle pratiche consigliate.

Livello periferico. Ogni struttura dovrebbe identificare le proprie criticità ed attuare strategie tese a ridurre le ICA. È della massima importanza che ci si avvalga di un sistema di sorveglianza comune per la raccolta dei dati, al fine di poter effettuare confronti con altre strutture. Si consiglia fortemente di sottoporre ad audit almeno le procedure di maggiore criticità.

Interventi per specifici organismi multi-farmaco resistentiL’Italia ha alcune delle percentuali più elevate in Europa per molti MDRO, compresi MRSA, CPE, Enterobacteriaceae produttrici di beta-lattamasi a spettro allsargato (ESBL), Acinetobacter baumannii resistente ai carbapenemi, Pseudomonas aeruginosa resistente ai carbapenemi. Gli interventi per limitare la diffusione di molti MDRO sono assolutamente prioritari e, come detto precedentemente, devono essere adeguatamente coordinati. Gli ottimi risultati, in termini di significativa riduzione della re-sistenza, che si sono osservati in altri Paesi, indicano come un programma nazionale di questo genere sia alla nostra portata.

Livello centrale. Dal momento che la diffusione di CPE, che ormai ha raggiunto un livello endemico, costituisce un problema nazionale, l’intervento specifico mirato a ridurre la quantità di Enterobacteriaceae resistenti ai carbapenemi deve essere reso obbligatorio per ogni singola Regione. Analogamente, deve essere fortemente incoraggiata una strategia nazionale per controllare l’MRSA.

Livello periferico. Ogni singola struttura dove organizzare programmi per limitare la diffusione di MDRO, concentrandosi sui patogeni più comune a nel proprio contesto . È assolutamente necessaria una forte integrazione fra le strutture che hanno un elevato scambio di pazienti, al fine di contrastare meglio questo problema.

In conclusione, sono necessarie numerose strategie per migliorare il controllo delle infezioni. La base teorica e pratica del controllo delle ICA è già stata definita da diversi progetti, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale. È necessario un forte impegno sia da parte del MdS che delle Regioni per migliorare il controllo delle ICA e per ridurre la resistenza antimicro-bica. Per contrastare questo importante problema sono assolutamente necessari progetti di alto livello ed un elevato grado di collaborazione.

Azioni prioritarie 1. Definire il controllo delle infezioni come priorità chiave del Sistema Sanitaria Nazionale ed identificare finanziamenti specifici entro il 2018. 2. Attuare una campagna nazionale sull’igiene delle mani in tutte le istituzioni di sanitarie, sia nelle strutture di assistenza per acuti che nelle strutture residenziali, entro il 2018. 3. Aumentare la diffusione dei programmi di sorveglianza (CPE, SSI) entro il 2018.

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CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

Bibliografia

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CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

4. CONTROLLO DELL’IMPIEGO DEGLI ANTIBIOTICI NEGLI ANIMALI E NEGLI ALIMENTI (ONE HEALTH APPROACH) Luca Busani

Azioni chiave • Definizione di obiettivi di riduzione dell’impiego di antibiotici negli animali da allevamento. • Limitazioni sull’impiego di antibiotici di importanza critica negli animali da allevamento e da affezione. • Miglioramento della sorveglianza integrata sull’impiego di antibiotici e sulla diffusione della resistenza antimicrobica sia nella medicina umana che in quella veterinaria. • Sensibilizzazione sui rischi per la salute inerenti alla resistenza antimicrobica, compreso l’impiego imprudente e l’abuso di antibiotici negli animali.

Definizione dei problemiNella produzione degli alimenti di origine animale, gli antibiotici vengono impiegati per vari scopi: 1. Trattamento specifico delle infezioni in animali clinicamente malati, preferibilmente con diagnosi microbiologica di laboratorio (impiego terapeutico); 2. Trattamento di gruppo di animali clinicamente sani e di animali con segni clinici (metafilassi); 3. Trattamento di animali sani in un periodo di stress o maggiore suscettibilità alle infezioni, al fine di prevenire le malattie (profilassi); 4. Inclusione di antibiotici a ciclo continuo nell’alimentazione degli animali per migliorare l’accrescimento ponderale (promozione dell’accrescimento).Il ricorso alla profilassi può essere un segno di problemi di gestione, ed in molti paesi non viene considerato legale o prudente.L’utilizzo di antimicrobici come promotori dell’accrescimento è vietato in Europa (UE) dal 2006, ma questa prassi è ancora consentita in molti altri paesi.In molti paesi, l’entità dell’impiego di antibiotici negli animali supera quella dell’utilizzo nell’uomo.

Sebbene rimangano indubbiamente delle lacune nelle evidenze, c’è un consenso sempre più condiviso sul fatto che l’impiego non necessario e l’abuso di antibiotici negli animali e in agricoltura costituisce una significativa preoccupazione per la salute dell’uomo. Queste pratiche promuovono lo sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici e di geni di resistenza, che possono essere trasferiti all’uomo mediante gli alimenti, il contatto diretto con animali d’allevamento o attraverso l’ambiente. Inoltre, poiché gli animali d’allevamento e gli alimenti di origine animale vengono commercializzati a livello globale, possono favorire l’introduzione e la diffusione della resistenza agli antibiotici anche in paesi lontani da quelli in cui è originata.

Impiego di antimicrobici di importanza critica nel bestiameL’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato alcune classi di antibiotici come “antibiotici di importanza critica per la medicina umana” (WHO, 2012).Secondo l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA-ESVAC), gli antibiotici di importanza critica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono usati frequentemente negli animali d’allevamento nei principali paesi della UE.

Rischi emergenti di sanità pubblica potenzialmente correlati con l’impiego di antibiotici nel bestiameÈ ampiamente riconosciuto che l’utilizzo crescente di antibiotici nel settore veterinario nel corso degli ultimi dieci anni ha contribuito all’emergenza di una serie di batteri resistenti negli animali da allevamento, come ad esempio l’E. coli produttore di beta lattamasi a spettro esteso (ESBL), la Salmonella ESBL, il Campylobacter resistente ai fluorochinoloni e lo Staphylococ-cus aureus resistente alla meticillina (MRSA). Recentemente negli isolati di E. coli e Salmonella di suini, polli e, in misura minore, bovini, è stata identificata una resistenza trasferibile alla colistina, legata ad una “famiglia” di geni (geni mcr). L’emergenza di geni plasmidici di resistenza alla co-listina causa grande preoccupazione per l’importanza della colistina come antimicrobico “critico” ultima risorsa in caso di infezioni da batteri multiresistenti, ed enfatizza la necessità urgente di un’azione globale coordinata nella lotta ai batteri Gram-negativi resistenti a tutti gli antibiotici.

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Residui di antibiotici negli alimentiL’impiego degli antibiotici negli animali potrebbe tradursi nel deposito di residui negli alimenti (carne, latte e uova) per il consumo umano. La preoccupazione sui residui di antibiotici negli alimenti di origine animale ha luogo per due ragioni: la prima è che può produrre effetti tossici o allergici diretti nell’uomo, la seconda è legata al rischio che l’esposizione protratta agli antibiotici a dosaggi ridotti possa alterare la microflora intestinale, e di conseguenza, provocare malattie e favorire lo sviluppo di ceppi resistenti tra i batteri intestinali, i quali possono causare infezioni in situazioni critiche (ad esempio soggetti ospedalizzati per altre patologie) di difficile gestione con la terapia antibiotica.La ricerca di residui negli alimenti di origine animale viene effettuata di routine dalle autorità nazionali preposte alla sicurezza alimentare; nel 2016 in Italia sono stati testati oltre 13.000 campioni, ed è stato accertato che lo 0,04% conteneva residui di antimicrobici al di sopra delle soglie stabilite.

Impiego di antibiotici negli allevamenti in ItaliaI dati relativi alle vendite di antibiotici per allevamenti in Italia per il periodo compreso tra il 2010 e il 2014 (ESVAC), eviden-ziano che l’impiego di antibiotici negli allevamenti è stato eccezionalmente elevato, ben al di sopra della media UE. Circa il 94% dell’impiego di antibiotici negli allevamenti in Italia è per il trattamento “di massa”, cioè a gruppi di animali con la somministrazione degli antibiotici negli alimenti o nell’acqua di bevanda.Inoltre, negli allevamenti è elevato anche l’impiego di antibiotici classificati come “di importanza critica in medicina umana”, quali i fluorochinoloni e le cefalosporine di terza e quarta generazione. Anche l’impiego dell’antibiotico colistina negli alleva-menti italiani è eccezionalmente elevato.

Situazione normativa in ItaliaIn Italia, come nel resto dell’Unione Europea, dal 2006 non si possono usare antibiotici per la promozione della crescita, e per gli antibiotici somministrati a scopo terapeutico è sempre necessaria una prescrizione veterinaria. Tuttavia, la maggior parte dei paesi europei, compresa l’Italia, consente ancora l’impiego degli antibiotici di routine per la prevenzione delle malattie (metafilassi), prassi considerata non prudente negli animali.Ad oggi, l’Italia ha fatto poco per ridurre l’impiego di antibiotici negli allevamenti e la resistenza antimicrobica nel settore veterinario. Riguardo alla percezione del rischio della resistenza antimicrobica e alle conoscenze degli antibiotici nella popo-lazione generale, l’Italia è tra i paesi con la minore percezione del rischio e le minori conoscenze.

Figura 1. Panoramica di alcuni dei più importanti agenti patogeni resistenti agli antibiotici e sovrapposizione tra i vari serbatoi (animali d’allevamento e uomo sia nella comunità che in ambiente nosocomiale). Le sfumature di grigio indicano la rilevanza del serbatoio (più scuro per una rilevanza elevata, più chiaro per una rilevanza ridotta).

R Pseudomonas aeruginosa; R Acinetobacter baumanni; R Klebisella pneumoniae

R Salmonella

R E. ColiVRE

C. difficile R Streptococcuspneumoniae

MRSA

R Haemophilusinfluenzae

MRSA And

R Staphylococcus aureus

R E. ColiVRE

C. difficile

R E. ColiR Campylobacter

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Adattato alla situazione italiana da Aarestrup, 2015

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CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

Evidenze scientifiche e lacune nelle conoscenzeSebbene la prova assoluta di una relazione di causa ed effetto tra l’uso di antibiotici nel settore veterinario ed i rischi per la salute umana legata ad infezioni da batteri resistenti agli antibiotici possa essere estremamente difficile da reperire poiché in medicina veterinaria e umana vengono utilizzati gli stessi antibiotici (o delle stesse famiglie), gli scienziati hanno accertato per una serie di condizioni, una chiara connessione tra l’impiego degli antibiotici negli animali da allevamento e la resistenza nell’uomo. Si riporta qui di seguito un elenco di esempi: • Per alcune principali infezioni batteriche umane, come Salmonella e Campylobacter, gli animali da allevamento sono la fonte più importante di resistenza batterica. • Per certe altre infezioni umane, come E. coli ed enterococchi, ci sono forti evidenze che gli animali d’allevamento costituiscano una fonte importante di resistenza agli antibiotici. • Per alcune infezioni, come quelle da MRSA e Clostridium difficile, sono stati identificati serbatoi animali e ci sono evidenze che l’impiego in allevamento degli antibiotici contribuisce a problemi di trattamento di queste infezioni in medicina umana. • Per una serie di agenti patogeni umani resistenti agli antimicrobici, non ci sono ancora evidenze di alcun legame con l’impiego di antimicrobici in allevamento, tuttavia esiste un solido sospetto teorico che la trasmissione orizzontale di geni di resistenza generati con l’uso di antibiotici negli animali d’allevamento potrebbe contribuire all’aumento dei casi da patogeni resistenti o multiresistenti nell’uomo. • Per molte altre infezioni, come la tubercolosi multi-resistente e l’ampia gamma di infezioni provocate da ceppi resistenti agli antibiotici di Streptococcus pneumoniae, l’impiego di antibiotici in allevamento non svolge alcun ruolo nel problema della resistenza in medicina umana.Sebbene il quantitativo preciso del contributo alla resistenza antimicrobica da parte del serbatoio degli animali d’allevamento non sia stato ancora determinato, ci sono evidenze sufficienti per concludere che ha comunque un impatto sulla salute umana che richiede attenzione e intervento immediati.

Azioni prioritarie a livello nazionale 1. Definizione e attuazione di una strategia di intervento efficace per ridurre l’impiego di antibiotici negli animali, con particolare enfasi sugli antibiotici di importanza critica. La strategia, gli obiettivi principali e le risorse verranno definiti dalle autorità (il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e il centro/laboratorio nazionale di riferimento per la resistenza antimicrobica in medicina veterinaria), congiuntamente agli attori nazionali rilevanti (associazioni mediche e veterinarie, rappresentanti dei produttori alimentari e farmaceutici) e ai rappresentanti della società civile (consumatori). L’esperienza attuale indica che una riduzione dell’impiego di routine degli antibiotici negli animali d’allevamento ha effetti negativi molto limitati o persino effetti positivi per la salute ed il benessere animale, oltre che per l’economia dell’azienda. Sono disponibili diversi modelli di intervento a livello internazionale, che dovrebbero essere presi in considerazione e adattati alla situazione nazionale. 2. Miglioramento della sorveglianza integrata (One Health approach) sull’impiego di antibiotici e sulla diffusione della resistenza antimicrobica sia nella medicina umana che in quella veterinaria. La proposta sulle priorità di sorveglianza e la valutazione dei risultati dovrebbe essere condivisa tra esperti del Ministero della Sanità, dell’Istituto Superiore di Sanità, del centro/laboratorio nazionale di riferimento per la resistenza antimicrobica in medicina veterinaria e da rappresentanti delle società mediche scientifiche rilevanti per l’argomento. Questa azione sarebbe utile nel fornire ulteriori informazioni per concepire strategie di intervento su misura e per seguire l’impatto delle misure attuate. 3. Sviluppo di programmi di comunicazione e di istruzione per sensibilizzare sui rischi per la salute relativi alla resistenza agli antibiotici. Questi programmi dovrebbero contemplare l’impiego imprudente e le strategie per la lotta all’abuso degli antibiotici negli animali e dovrebbero coinvolgere la popolazione in generale e i professionisti del settore sanitario. Questa attività dovrebbe coinvolgere sia le istituzioni (Ministero della Sanità, Istituto Superiore di Sanità e altre istituzioni rilevanti nel settore) che i rappresentanti della società civile. La conoscenza del problema e le misure da intraprendere anche a livello individuale per contrastare la diffusione della resistenza agli antibiotici è parte integrante della strategia nazionale complessiva.

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DIAGNOSI RAPIDA DELLE INFEZIONI BATTERICHE

5. RUOLO DEI MARCATORI SURROGATI Bruno Viaggi

Procalcitonina: le evidenzeVi sono chiare evidenze a sostegno dell’impiego della procalcitonina (PCT) nell’ambito di una valutazione multiparametrica della gestione delle infezioni nei pazienti settici. • Liliana Simon (2004): prima review e metanalisi che ha paragonato PCT e CRP come marcatori di infezione batterica, concludendo che la PCT fosse più sensibile (88% vs. 75%) e più specifica (81% vs. 67%) della CRP nella differenziazione di un’infezione batterica di origine non infettiva. • Lo studio proCAP: che ha usato la PCT nella decisione di sospendere la terapia antibiotica in una fase precoce, dimostrando che in media i 151 pazienti con PCT sospendevano la terapia antibiotica durante CAP (Polmonite Acquisita in Comunità) dopo 5 giorni soltanto rispetto a 12 nel gruppo di controllo, con una riduzione nella prescrizione al ricovero da 99% a 85%. • Lo studio ProHOSP (2009), che ha esteso l’analisi a tutte le infezioni del tratto respiratorio inferiore analizzando 1.359 pazienti in uno studio multicentrico RCT, ha confermato che il gruppo con PCT aveva un’esposizione minore agli antibiotici ed una percentuale inferiore di eventi avversi attribuibili al farmaco rispetto al gruppo di controllo per un esito simile. • Lo studio PRORATA: che ha sostenuto l’impiego clinico attuale della PCT, ha fornito la conferma definitiva che il tasso di mortalità tra i 307 pazienti nel gruppo con PCT (algoritmo per iniziare e/o sospendere la terapia antibiotica guidata da PCT) a 28 e a 60 giorni si sovrapponeva perfettamente a quello dei 314 pazienti nel gruppo di controllo, ma con un’esposizione giornaliera agli antibiotici significativamente minore. • La Cochrane Collaboration (2012) ha pubblicato una review di 14 studi clinici randomizzati e controllati sulle infezioni acute del tratto respiratorio, concludendo che l’impiego di PCT all’inizio o alla sospensione della terapia antibiotica non mostrava un tasso di mortalità e/o un tasso di insuccesso terapeutico più elevati, mentre c’era una significativa riduzione nel numero di giorni di esposizione antibiotica, un minore effetto attribuibile al farmaco ed un minore tasso di resistenza all’antibiotico. • Un’ulteriore metanalisi nel 2013 ha introdotto il concetto secondo cui il valore della PCT dovrebbe essere contestualizzato ed interpretato all’interno del contesto clinico; non è un valore assoluto che dovrebbe essere considerato, bensì il significato che detto valore ha in quello specifico ambiente clinico. A esprimere il valore predittivo della sopravvivenza e l’efficacia della terapia antibiotica è il cambiamento dinamico nella PCT nelle prime 48-72 ore. Dimostra che, il quarto giorno, una diminuzione di oltre l’80% del valore della PCT rispetto al basale è relativo all’efficacia della terapia antimicrobica in corso, con un impatto significativo sui risultati di sopravvivenza del paziente, soprattutto nei pazienti in terapia intensiva. • La PCT è stata anche associata alle nuove tecnologie di diagnostica microbiologica e di identificazione rapida per ottimizzare il trattamento delle infezioni gravi nel paziente critico. La PCT è stata inclusa anche in tutti i più avanzati Programmi di Antimicrobial Stewardship. • I dati sulla riduzione della mortalità nel gruppo guidato da PCT sono stati pubblicati con i risultati di un grande RCT olandese, in aperto, di 1.575 pazienti divisi in due gruppi (guidati da PCT e guidati da terapia standard), dove il tasso di mortalità a 28 giorni nel gruppo con PCT ammontava al 19,6% vs. 25% nel gruppo di controllo. • Usando PCT, un clinico può anche differenziare o per meglio dire ipotizzare una infezione da Gram-negativi da un’infezione da Gram-positivi, dal momento che la prima normalmente è caratterizzata da valori molto più elevati. • Dove i valori sono solo leggermente più elevati, appena al di sopra di 1 ng/ml, l’infezione batterica potrebbe aver avuto origine da stafilococchi coagulasi-negativi o funghi. • È provato che un valore di 2 ng/ml contrassegna un valore soglia tra infezioni batteriche e fungine. In presenza di condizioni di sepsi ben comprese, in pazienti con fattori di rischio, un valore della PCT di <2 ng/ml può rafforzare il sospetto clinico di una causa fungina, traducendosi in una diagnostica mirata più rapida.

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Procalcitonina: impiego moderno e razionale

• Al momento, chi usa PCT in maniera avanzata e innovativa si concentra sull’elevato VPN del marcatore, in assenza, tuttavia, di focolai infettivi noti e comuni come BSI (Infezione ematica) di origine nota e/o IVAC (Complicanza correlata a infezione associata alla ventilazione). • In presenza di un paziente con sepsi/shock settico con PCT negativa o estremamente bassa, occorre considerare sindromi quali ascessi profondi e/o compartimentali, meningite/ventricolite, endocardite senza embolia, polmonite specifica atipica, BSI causate da CoNS o da micosi in cui si sa che la PCT rimane molto bassa o persino negativa. • Si può ricorrere alla diagnostica strumentale, con scansioni TC avanzate con mezzo di contrasto ed MRI. Un altro test diagnostico di riferimento è l’ecocardiografia transtoracica (o piuttosto transesofagea), che mira a escludere la vegetazione valvolare.

Bibliografia Conclusioni

Clin Infect Dis 2004; 39:206-217 Review PCT superiore a CRP come marcatore di infezione batterica e metanalisi Sensibilità 88% vs. 75% Specificità 81% vs. 67%

Am J Respir Crit Care Med 2006; Studio ProCAP Minore esposizione agli antibiotici nel gruppo con PCT, 174:84-93 durante CAP, 5 giorni vs. 12 giorni per il gruppo di controllo con esito simile

JAMA 2009;302(10):1059-1066 Studio ProHOSP Minore esposizione agli antibiotici nel gruppo con PCT, durante LRTI*, e minore percentuale di eventi avversi attribuibili al farmaco per un esito simile rispetto al gruppo di controllo

Lancet 2010;375(9713):463-74 Studio Prorata Significativa riduzione di esposizione giornaliera agli antibiotici nel gruppo con PCT rispetto al gruppo di controllo per un risultato simile

The Cochrane Library 2012; issue 9 Review di RCT Significativa riduzione dell’esposizione agli antibiotici, dell’effetto attribuibile al farmaco e del tasso di resistenza agli antibiotici nel gruppo con PCT rispetto al gruppo di controllo sospendendo la terapia antibiotica precocemente in assenza di tassi più elevati di mortalità e/o insuccesso terapeutico

Lancet Infect Dis 2013;13(5):426-35 Metanalisi Il valore della PCT deve essere interpretato con attenzione nel contesto dell’anamnesi clinica e non ha alcun significato se il test viene effettuato su un singolo punto al di fuori del contesto clinico

Crit Care Med 2017;45(5):781-789 L’importanza della variazione del tasso cinetico della PCT J Shock 2011;36(6):570-574 nelle prime 48-72 ore nel determinare l’efficacia di una J Crit Care 2011;26(3): 331.e1-7 terapia e nell’avviare precocemente la sospensione della stessa (importanza della tendenza rispetto al singolo valore iniziale)

Clin Infect Dis 2013;56(1):996-1002 Forte conferma del ruolo svolto dalla PCT nei programmi Intensive Care Med 2014; 40:1580-1582 avanzati di gestione antimicrobica in terapia intensivaIntensive Care Med 2015;41(5):776-95 sulla rapida sospensione della terapia antimicrobica per Intensive Care Med 2016;42(12):2063-2065 una condizione clinica migliorata (regole di sospensione)

*LRTI: Infezioni del tratto respiratorio inferiore

Riassunto degli studi clinici

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DIAGNOSI RAPIDA DELLE INFEZIONI BATTERICHE

Azioni prioritarie da intraprendere 1. Presentare l’impiego appropriato della PCT e la sua cinetica (monitoraggio quotidiano almeno per le prime 48-72 ore dalla diagnosi dell’evento settico) congiuntamente all’evoluzione clinica del paziente, per ridurre sistematicamente la durata della terapia antibiotica, specialmente in un ambiente intensivo. 2. Sviluppare adeguati percorsi di formazione che consentano al clinico di comprendere l’impiego della PCT in programmi di gestione antimicrobica. 3. Sensibilizzare i colleghi di laboratorio sull’utilità clinica della PCT.

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DIAGNOSI RAPIDA DELLE INFEZIONI BATTERICHE

6. 7. DIAGNOSI MICROBIOLOGICA E TEST DI SENSIBILITÀ (AST) Gian Maria Rossolini, Fabio Arena

Concetti generali e razionale delle raccomandazioniL’identificazione (ID) degli agenti patogeni microbici e l’esecuzione dei saggi di sensibilità antimicrobica (AST) sono tra i com-piti più tradizionali e più frequentemente eseguiti dal Laboratorio di Microbiologia Clinica (CML) a sostegno della scelta della chemioterapia antimicrobica mirata per i singoli pazienti. L’utilità degli AST è ulteriormente aumentata nello scenario attuale di crescente resistenza agli antibiotici, dove la gestione antimicrobica è diventata sempre più importante per migliorare i risultati clinici, minimizzando la pressione selettiva causa dello sviluppo di resistenze. Inoltre, i dati di AST cumulativi sono importanti per la stesura di rapporti di sorveglianza epidemiologica delle resistenza agli antimicrobici, che vengono utilizzati come guida per la selezione di regimi antibiotici empirici e per monitorare l’evoluzione delle resistenze antimicrobiche nel tempo.L’impatto della diagnosi microbiologica sulla gestione antimicrobica dovrebbe essere più elevato quando la rapidità di comu-nicazione del risultato è maggiore. Infatti, recenti studi hanno dimostrato che tempi di refertazione dei dati di laboratorio più brevi correlano con una riduzione della lunghezza della degenza ospedaliera dei pazienti (sia nelle unità di terapia intensiva che nell’ospedale in generale) e del consumo di antibiotici, con conseguenti riduzione dei costi per il sistema sanitario e contenimento della pressione selettiva.Alcune nuove tecnologie recentemente introdotte, come i metodi basati su PCR, l’ibridazione in-situ e la spettrometria di massa MALDI-TOF hanno accelerato il tempo di identificazione dei patogeni batterici e fungini. L’utilità clinica e l’impatto positivo sulla gestione antimicrobica dell’identificazione tramite MALDI-TOF sono stati chiaramente documentati. Anche sullo scenario degli AST esistono alcune tecnologie innovative che permettono di ridurre il tempo di risposta, come l’uso di colture liquide accoppiato a lettura in light scattering, tecnologie basate sulla microscopia time-lapse e l’utilizzo di metodi moleco-lari per il rilevamento rapido dei determinanti genetici di resistenza antimicrobica. I metodi molecolari per l’identificazione microbica e il rilevamento di geni di resistenza possono essere eseguiti anche direttamente da campione clinico (ad es. campioni respiratori o brodo di emocoltura positivo), fornendo informazioni rilevanti per la gestione antimicrobica in tempi più brevi (1-5 ore). Alcuni di questi sistemi sono stati progettati per combinare ID rapida e rilevazione dei meccanismi di resistenza con un approccio sindromico. Tuttavia, questi metodi forniscono informazioni qualitativamente diverse e limitate rispetto ai tradizionali ID e AST. Infatti, i metodi molecolari non sono in grado di distinguere tra patogeni morti e vitali e la loro capacità di predire la sensibilità agli antibiotici o la resistenza è influenzata dal disegno e dalla copertura del test stesso.In un contesto di risorse limitate, considerato il loro costo più elevato rispetto ai metodi convenzionali, l’uso di nuovi approcci (almeno nel prossimo futuro) dovrebbe essere limitato a campioni ottenuti da pazienti gravi e/o pazienti con maggiore rischio di rapida progressione clinica.

Raccomandazioni specifiche per i laboratori di microbiologia clinica

• Produrre regolarmente (almeno ad intervalli semestrali) report sui dati di sensibilità AST cumulativi, stratificati a livello di reparto (o gruppi di reparti ospedalieri), per assistere i componenti dell’ASP (Antibiotic Stewardship Program) nella stesura di linee guida locali per la terapia empirica. • Effettuare ogni sforzo possibile per ridurre i tempi di refertazione di identificazione microbica (ID) e (AST) (adottare la tecnologia MALDI-TOF e sistemi diagnostici molecolari per identificazione microbica e rilevazione dei meccanismi di resistenza più importanti a livello epidemiologico locale). • Sviluppare flussi di lavoro diagnostici personalizzati e razionalizzare l’uso di nuove tecnologie secondo criteri di stratificazione dei pazienti (gravità della malattia e/o rischio di rapida progressione clinica). • Supportare attivamente i componenti dell’ASP e altri clinici nell’interpretazione dei risultati CML (Laboratorio di Microbiologia Clinica).

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UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

8. STRATEGIE DI GESTIONE DEGLI ANTIBIOTICI Francesco G. De Rosa, Silvia Corcione, Luca Scaglione, Giovanni Di Perri

Azioni chiave 1. Sorge un paradigma: come contrastare la spirale dell’empirismo mediante la ricerca sistematica dell’eziologia e come applicare trattamenti empirici per diminuire la mortalità, specialmente in ospiti immunocompromessi e pazienti con più comorbilità e ricovero prolungato. 2. Sono obbligatorie strategie di trattamento antibiotico empiriche in presenza di neutropenia febbrile, infezioni intraddominali, sepsi grave o shock settico e nella maggior parte delle sindromi polmonari. 3. Le strategie di trattamento antibiotico empiriche dovrebbero basarsi sugli schemi di resistenza locali. 4. Effettuare qualsiasi sforzo per ridurre rapidamente la terapia empirica ad ampio spettro e la terapia antibiotica di associazione indirizzandosi verso un trattamento mirato a spettro ristretto. 5. Dovrebbe essere perseguito ogni sforzo per identificare correttamente pazienti a rischio elevato di colonizzazione da parte di patogeni MDR (esempio: colonizzazione rettale da MDR) talvolta meritevoli di un approccio terapeutico cosiddetto “empirico mirato”. 6. Ridurre la durata del ciclo della terapia antibiotica (ovvero, con biomarcatori come ad esempio la PCT). 7. Le problematiche della profilassi batterica in gruppi a rischio elevato (ovvero: neutropenia) dovrebbero essere adattate e discusse con l’epidemiologia locale, specialmente della resistenza ai Gram-negativi.

Terapia antibiotica empirica vs. Terapia antibiotica empirica mirataLe terapie antibiotiche empiriche sono essenziali in ambiti critici, come la sepsi o lo shock settico; come indicato dalle linee guida più recenti della Campagna di Sopravvivenza alla Sepsi (SCC), lo scopo della terapia è la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro entro tre ore dal triage del dipartimento di emergenza.

Nella prassi clinica, i medici devono spesso cominciare a somministrare antibiotici empirici ad ampio spettro al fine di mas-simizzare la possibilità di trattare gli organismi causativi e minimizzare la possibilità di omettere un’infezione trattabile. Le tecniche diagnostiche batteriche tradizionali richiedono che l’organismo sia fatto crescere su mezzo di coltura, processo che normalmente richiede 2-3 giorni, pertanto i medici sono obbligati a fare delle “previsioni ragionevoli” mentre attendono di ottenere dati diagnostici più definitivi.

Tuttavia, l’uso eccessivo della terapia con antibiotici ad ampio spettro può portare ad un aumento della pressione di sele-zione, promuovendo la resistenza antimicrobica. Pertanto, è stata consigliata la diminuzione graduale degli antibiotici verso uno spettro più ristretto non appena diventano disponibili i risultati microbiologici, per minimizzare l’emergenza di organismi resistenti ai farmaci, nonché i costi, durante il trattamento di pazienti con infezioni gravi. Regimi di trattamento antibiotico empirici rappresentano ancora strumenti clinici estremamente importanti nell’ambito della prassi clinica quotidiana e do-vrebbero essere accompagnati su base periodica da una revisione microbiologica o da una relazione di valutazione, se possi-bile con manuali e linee guida critiche locali.

Purtroppo, vi sono regimi antibiotici “persistentemente empirici” che possono tuttavia essere ridotti con sforzi clinici, dia-gnosi differenziale e strategie che mirano a ridurre tossicità, effetti indesiderati e danni collaterali. Mentre la maggior parte degli ospedali dispone di raccomandazioni ampiamente promosse in ambiti specifici, come ad esempio neutropenia febbrile, infezioni intraddominali, polmonite, meningite, pochi ospedali dispongono di un formulario terapeutico o anche solo di un manuale di terapia antibiotica empirico basato sull’epidemiologia locale (http://www.cittadellasalute.to.it/images/stories/MOLINETTE/ area_documentale/linee_guida/Terapia_antibiotica_empirica_vers_2_Tabelle.pdf). Trattamenti empirici vengono somministrati e scelti sulla base di una serie di fattori quali gravità della malattia, probabilità di certe eziologie batteriche, fonte dell’infezione, disponibilità di test microbiologici come colorazione Gram e altri test ra-pidi ove appropriato, fattori ospite e loro farmacologia. Esistono strategie ampiamente adattate di trattamento antibiotico empirico in pazienti con neutropenia febbrile, dove la presenza di febbre si traduce nella somministrazione, dopo la corretta raccolta di campioni per studi microbiologici, di regimi empirici in pazienti sia in gruppi ad alto rischio che a basso rischio. Le strategie di trattamento della neutropenia febbrile rappresentano la pietra miliare dell’empirismo, dal momento che tra i fattori di rischio specifici di questa popolazione è facilmente comprensibile l’elevato rischio di ritardare il trattamento

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antibiotico. Il tasso di trattamento antibiotico empirico può essere valutato dal punto di vista della gestione in una serie di sindromi cliniche di gravità variabile: sepsi (con definizione chiara per il medico curante), infezioni intraddominali, polmonite, entità dell’immunosoppressione. I regimi empirici dovrebbero essere sottoposti a rivalutazione continua, con stato clinico, risultati microbiologici e possibilmente biomarcatori. La procalcitonina (PCT) è un biomarcatore prodotto in presenza di infezioni batteriche. La PCT è correlata alla gravità della malattia e non è alterata da neutropenia o altri stati di immunocom-promissione, il che la rende più vantaggiosa rispetto ad altri biomarcatori clinici. Grazie a questi vantaggi, la PCT è stata stu-diata per aiutare i clinici nelle terapie di riduzione graduale. La PCT deve essere sempre interpretata nel contesto clinico del paziente è può essere usata in programmi di gestione per aiutare i medici nell’interpretazione di valori della PCT e successivi cambiamenti antibiotici basati sui livelli della PCT.

La scelta antimicrobica e lo spettro devono essere rivalutati, dal momento che lo spettro d’azione andrebbe ristretto sulla base della diagnostica microbiologica, la dose deve essere corretta a seconda delle necessità ed è sempre necessario effet-tuare un’attenta rivalutazione dello stato infettivo e della diagnosi differenziale. Tra i fattori che sono stati costantemente associati ad una efficace de-escalation, ovvero semplificazione terapeutica, vi sono la scelta degli antibiotici empirici corretti, l’aderenza alle linee guida per il trattamento dei pazienti neutropenici, la documentazione di un’eziologia microbiologica (ovvero, diagnostica microbiologica), minore gravità sintomatologica all’esordio e rispetto delle linee guida normative nazionali. Inoltre, il passaggio da terapie empiriche alla terapia della riduzione graduale non ha un impatto negativo sulla mortalità nei pazienti, rispetto alla prosecuzione della somministrazione di antibiotici ad ampio spettro.

Vi sono diverse strategie di trattamento in pazienti che si sanno essere colonizzati da batteri resistenti, quali MRSA, batteri Gram-negativi produttori di ESBL o Enterobacteriaceae produttori di carbapenemasi o profili di resistenza antimicrobica com-plessi in isolati di P. aeruginosa o A. baumannii. Sebbene non vi sia una risposta semplice e universale, è stata proposta l’espressione “trattamento empirico mirato” per evidenziare uno speciale spettro antimicrobico in ospiti colonizzati da mi-crorganismi specifici, quando vengono attuate strategie specifiche per lo screening appropriato di ospiti a rischio in ambiente nosocomiale.

La gestione appropriata di questi pazienti è complessa e richiede protocolli di controllo delle infezioni nonché strategie terapeutiche tempestive e appropriate, con un approccio integrato. La produzione di un manuale di trattamento antibiotico empirico può essere associata ad un miglioramento della definizione di trattamento antimicrobico empirico mirato, almeno in ambito locale. I trattamenti mirati rappresentano un’opportunità di misurare ed ottimizzare qualsiasi programma di ge-stione antimicrobica mediante la scelta appropriata degli antibiotici, del loro dosaggio, della durata dell’infusione, dei giorni di trattamento, anche per ridurre le tossicità associate.

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UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

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UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

9. IL LABORATORIO FARMACOLOGICO PER L’OTTIMIZZAZIONE DEGLI ANTIBIOTICI Andrea Novelli, Elia Rosi

IntroduzioneL’incremento delle chemioresistenze batteriche e l’emergenza di nuovi patogeni sono riconducibili a numerose cause. Tra queste, tre fattori chiave sono correlati agli aspetti farmacologici e includono: scelta inadeguata dell’antibiotico, posologia non corretta e durata eccessivamente lunga della terapia.Le evidenze disponibili indicano che nel caso sia giustificato utilizzare un antibiotico, l’uso appropriato e la più breve durata del trattamento legata al raggiungimento dell’efficacia clinica e microbiologica si tradurranno in una minore incidenza di insuccesso o di recidive, nonché in una minore insorgenza di chemioresistenze.

Principi farmacologici per dosaggio e durata ottimali del farmacoLe prerogative farmacocinetiche (PK) e farmacodinamiche (PD) sono differenti non solo tra le varie classi di antibiotici, ma anche tra le varie molecole all’interno della stessa classe, finendo così per condizionare la loro attività antimicrobica alle concentrazioni o alla esposizione ottenute durante la terapia.Possiamo dividere gli antibiotici in due gruppi principali in funzione dell’attività antimicrobica: Farmaci tempo-dipendenti o concentrazione-dipendenti. I fluorochinoloni, i macrolidi semisintetici, gli aminoglucosidi, la colistina, la daptomicina, i nuovi lipo-glicopeptidi dalbavancina e oritavancina e gli antifungini polienici, che presentano la maggiore attività battericida quando raggiungono elevate concentrazioni (con elevati rapporti Cmax/MIC o AUC/MIC), anche se mantenute per un periodo di tempo relativamente breve, sono considerati antibiotici concentrazione-dipendenti. Pertanto, al fine di massimizzare l’e-sposizione, questi farmaci vengono somministrati generalmente a dosi elevate e a intervalli prolungati (ovvero in monosom-ministrazione giornaliera o al massimo in due somministrazioni). Pertanto, la posologia di questo tipo di antibiotici viene ottimizzata dalla somministrazione di dosi elevate. Inoltre, gli intervalli tra le somministrazioni possono essere allungati in funzione di un persistente effetto post-antibiotico (PAE).Al contrario, le betalattamine, i carbapenemi, i macrolidi naturali, i glicopeptidi, gli oxazolidinoni, la tigeciclina e gli antifun-gini triazolici posseggono un’attività tempo-dipendente e le concentrazioni di farmaco libero nel sito di infezione dovrebbero essere mantenute al di sopra della MIC per il patogeno in causa, per un tempo relativamente prolungato al fine di ottimiz-zarne l’esposizione. Una batteriocidia tempo-dipendente e prolungati effetti persistenti caratterizzano il modello finale di at-tività. Sebbene concentrazioni più elevate del farmaco non siano in grado di aumentarne l’attività battericida, esse finiscono tuttavia per produrre una prolungata soppressione della ricrescita batterica. Per questi farmaci l’obiettivo è rappresentato dalla ottimizzazione della quantità di farmaco (Tabella 1).

Le caratteristiche farmacocinetiche, quando vengano considerate come un aspetto di uno specifico regime posologico, pos-sono aiutare a determinare l’andamento delle concentrazioni nel sangue, nei tessuti e fluidi corporei e nel sito di infezione. In generale, dobbiamo ricordare che per gli antibiotici idrofili soltanto una frazione della concentrazione plasmatica è in grado di diffondere nei tessuti e la penetrazione può essere persino ridotta in presenza di comorbidità come il diabete. Di conse-guenza, in alcune circostanze cliniche, il trattamento ottimale delle infezioni batteriche potrebbe richiedere uno schema posologico più aggressivo: per gli antibiotici tempo-dipendenti, può essere utile la somministrazione in infusione prolungata o continua, mentre per le molecole concentrazione-dipendenti potrebbero essere efficaci dosi più elevate.Viceversa le molecole lipofile possono raggiungere concentrazioni tissutali maggiori delle contemporanee plasmatiche e la loro penetrazione nel fluido interstiziale è generalmente elevata e spesso non viene alterata dallo stato fisiopatologico di base. Pertanto, per questi farmaci l’ atteggiamento posologico standard potrebbe essere adeguato nella maggior parte dei casi.In alcune specifiche situazioni, principalmente nei pazienti in terapia intensiva, potrebbe essere estremamente utile il mo-nitoraggio terapeutico (TDM) delle concentrazioni di antibiotico al fine di ottimizzare la terapia. Sebbene il TMD sia stato concepito tradizionalmente come una modalità per ridurre il rischio di eventi avversi in pazienti che ricevono farmaci po-tenzialmente tossici, attualmente è considerato importante per l’ottimizzazione del risultato terapeutico, sia in termini di guarigione che per la soppressione delle resistenze.In anni recenti si è iniziato a realizzare che a livello clinico, molte soglie di chemiosensibiiltà batterica sono ancora troppo elevate.Possiamo individuare esempi sia tra gli antibiotici tempo-dipendenti (ad esempio: glicopeptidi) che tra le molecole concen-

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trazione-dipendenti (ad esempio: aminoglucosidi), dato che i loro parametri PK-PD di riferimento, possono non essere otte-nuti a livello clinico per molti patogeni con valori di MIC ai limiti superiori dell’intervallo di chemiosensibilità. Anche le MIC possono variare a seconda del sito di infezione e del tipo di paziente (comorbidità, stato immunitario, grado di funzione degli organi e così via), dal momento che queste variabili influenzano fortemente la possibilità di raggiungere e mantenere l’obiettivi dinamico-cinetici ottimali, che possono variare di per sé.D’altra parte, i programmi di restrizione per ridurre la resistenza spesso non sono riusciti nell’intento. La correlazione tra ridu-zione nella prescrizione e resistenza non è chiara. I livelli di resistenza dipenderanno dal tipo di utilizzo dell’antibiotico, dall’in-terazione specifica tra il microrganismo e l’antibiotico stesso e dalle caratteristiche potenziali di trasmissione delle resistenze.Dal momento che la restrizione nell’uso degli antibiotici è importante, ma non sufficiente per ridurre le resistenze, i medici devono prestare maggiore attenzione a scegliere posologie e durata della terapia appropriate. Infatti, basse dosi e lunga du-rata di terapia sono due dei principali fattori della resistenza.Pertanto, nel trattare i pazienti, dobbiamo prestare grande attenzione alla sicurezza e all’efficacia dei farmaci. Occorre sce-gliere strategie terapeutiche realmente applicabili in clinica al fine di massimizzare l’efficacia minimizzando al contempo gli effetti indesiderati. I profili di sicurezza variano sia tra le diverse classi di antibiotici, che per le singole molecole nell’ambito di ciascuna classe. Infine, si possono ridurre i costi mantenendo la terapia per un periodo di tempo corretto. Infatti, un ciclo ottimale di terapia può comportare vantaggi non solo economici ma anche clinici. Molti studi hanno dimostrato che una scelta corretta dell’antibiotico ed un suo dosaggio adeguato correlato ad una durata minore della terapia in corso di polmonite, bronchite, sinusite e infezioni urinarie, possono risultare efficaci al pari di tratta-menti più lunghi.

Se la rotazione degli antibiotici non è definitivamente consigliata e le politiche restrittive possono avere paradossalmente l’effetto di aumentare le resistenze, esistono tuttavia strategie applicabili nel quotidiano, in grado di aiutare a contenere la chemioresistenza, direttamente o grazie a una aumentata probabilità di successo clinico. La Tabella 2 riassume questi suggerimenti, molti dei quali sono ampiamente conosciuti e generalmente accettati come strategie singole, ma non sono stati necessariamente considerati in passato nell’ambito di un approccio terapeutico complessivo. In effetti, è stato dimo-strato che l’applicazione dei principi dinamico-cinetici (PK/PD) contribuisce a ottimizzare la terapia antimicrobica in termini di successo clinico e ridotta tossicità. Attualmente vi sono sempre maggiori evidenze (sia a livello sperimentale che clinico) che l’applicazione dei principi dinamico-cinetici può contribuire anche a controllare la chemioresistenza evitando di esporre i microrganismi a dosi di antibiotico che finiscono per esercitare solo una pressione selettiva anziché eradicarli.

Parametro di correlazione con l’efficacia Cmax/MIC AUC/MIC T > MIC

Esempi AminoglucosidiFluorochinoloniMetronidazoloFosfomicina

FluorochinoloniGlicopeptidiDaptomicinaQuinupristina/Dalfopristina

PenicillineCefalosporineCarbapenemiNitrofurantoinaCotrimoxazolo

Batteriocidia Concentrazione-dipendente Tempo-dipendente

Obiettivo terapeutico Massimizzare l’esposizione Ottimizzare la durata dell’esposizione

TigeciclinaLinezolidTedizolid

Tabella 1. Chemioterapici antimicrobici: parametri PK/PD predittivi dell’efficacia terapeutica

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UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

Tabella 2. Cosa possiamo fare in ambito clinico

Adattare l’impiego degli antibiotici alla epidemiologia locale

Conoscere i parametri dinamico-cinetici di riferimento per lo specifico antibiotico in uso

Selezionare la modalità di somministrazione più appropriata secondo i parametri dinamico/cinetici

Considerare che le soglie standard di chemiosensibilità possono non essere applicabili in ambito clinico

Massimizzare il dosaggio, soprattutto nelle infezioni gravi, tenendo conto della funzionalità renale, limitando la durata della terapia quando possibile

Eseguire, quando possibile, la determinazione delle concentrazioni ematiche di antibiotico

Utilizzare una terapia di associazione per 48-72 ore e quindi rivalutare la terapia empirica

Adottare misure di sorveglianza attiva

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UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

10. LA STEWARDSHIP ANTIMICROBICA Francesco Menichetti

DefinizioneGoverno della terapia antimicrobica, frutto del confronto equo tra specialisti (infettivologo, microbiologo, farmacologo, farmacista, igienista) e prescrittori (intensivisti, internisti, chirurghi, trapiantologi, onco-ematologi etc.) che esprimono raccomandazioni condivise per l’uso appropriato della terapia antimicrobica nei diversi setting assistenziali ed in accordo all’epidemiologia locale.

RazionaleProgrammi di stewardship antimicrobica (ASP) sono necessari ed utili per gestire il complesso delle problematiche connesse alle infezioni, alla resistenza antimicrobica, alla gestione equa e condivisa dei nuovi antibiotici. L’impegno multidisciplinare e paritario può generare consenso e risultati stabili; l’approccio gerarchico, apparentemente più semplice, genera frutti meno consistenti e duraturi.

ObiettiviI programmi di stewardship antimicrobica (ASP) hanno come obiettivi: • Migliorare l’outcome del paziente; • Ridurre l’uso inappropriato degli antimicrobici; • Contenere gli eventi avversi; • Controllare il fenomeno della resistenza antimicrobica.

Strumenti (elementi costitutivi di un ASP) 1. Programmi “ad hoc” 2. Gruppo di lavoro: “core” dell’ASP + prescribers 3. Raccomandazioni terapeutiche condivise 4. Laboratorio di microbiologia (metodiche rapide) 5. Laboratorio di farmacologia (TDM etc.) 6. ID consultation, supportata dal sistema di “alert microbiologico” 7. Sistema di “infection control” adeguato ed integrato 8. Supervisione del farmacista ospedaliero 9. Piattaforma informatica di gestione complessiva

Modelli organizzativi Si distinguono: 1. Modello ASP “front-end”: lista limitativa di antibiotici e necessità di ID consultation autorizzativa; libertà prescrittiva per intensivisti ed onco-ematologi; 2. Modello ASP “back-end”: uso libero di tutti gli antimicrobici per 48-72 ore ed intervento dell’ID consultant per proseguire le terapie “speciali”.

L’ASP deve essere “locally tailored”, costruita quindi sulle risorse e sulle competenze disponibili nella realtà specifica.

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Indicatori di percorso e di risultato Indispensabili per valutare correttamente l’impatto degli ASP.

Rappresentano indicatori di percorso: 1. Consumo di antibiotici; 2. Spesa per antibiotici.

Rappresentano indicatori di risultato: 1. Durata delle degenza ospedaliera; 2. Mortalità.

Analisi delle criticità ed azioni prioritarie 1. Sensibilizzazione della politica e del governo: • Azioni mirate di ADVOCACY sulle problematiche correlate alla resistenza antimicrobica, alle ICA, alla necessità di “fast-track” registrativo per i nuovi antibiotici (AIFA, EMA); • Ruolo del MdS e ISS; • Linee di indirizzo nazionali per l’ASP; • Ruolo delle Società Scientifiche (SS) di settore; • Lobby delle IF.

2. Sensibilizzazione degli amministratori (Direzioni Aziendali, Assessorati alla Salute, Agenzie di Sanità) • Ruolo dei professionisti dei settori coinvolti (leadership); • Linee di indirizzo regionali per l’ASP; • Risorse (allocazione di budget specifici, fondi di ricerca).

3. Gestione dei nuovi antibiotici • Raccomandazioni e linee d’indirizzo multidisciplinari condivise; • “Gestione condivisa” della scheda AIFA di richiesta del farmaco; • Regole e procedure uniformi per l’uso “off-label” (sul territorio nazionale/regionale); • Coinvolgimento dei farmacisti ospedalieri.

4. Approccio “One-Health” • Poiché il 90% dell’uso complessivo degli antimicrobici avviene a domicilio è necessario coinvolgere direttamente i MMG ed i pediatri di base, disegnando con loro e con le ASL, percorsi diagnostico-terapeutici (PDT) che riducano la necessità di uso improprio di antibiotici (diagnostica x IRS virali, implementazione dei programmi vaccinali nell’adulto e nei pazienti fragili, etc). • L’uso di antibiotici negli animali a scopo terapeutico va ulteriormente regolato, quello a scopo di crescita rapida fortemente limitato (medici veterinari). • La presenza di antibiotici negli alimenti va tracciata e contenuta.

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UTILIZZO APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI E CONTENIMENTO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA

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