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X* DODICI OMELIE DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO M. 5»DI?D(LI) ^39Tl®-»eiSia-9 volgarizzate DALL 9 AB, JACOPO BERNARDI, VENEZIA, ro’ TIPI DI PIETRO 1URATOVIC1I. 1845. Digitized by Google

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X*

DODICI OMELIE

DI

S. GIOVANNI CRISOSTOMO

M. 5»DI?D(LI) ^39Tl®-»eiSia-9

volgarizzate

DALL9AB, JACOPO BERNARDI,

VENEZIA,ro’ TIPI DI PIETRO 1URATOVIC1I.

1845.

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2 suo (fcccllfttjtt ttaicrcnìósaiimi

FILIPPO ARTICOVESCOVO D’ASTI E PRINCIPE

PRELATO DOMESTICO ASSISTENTE AL SOLIO PONTIFICIO

COMMENDATORE DEL SACRO MILITARE ORDINE

DE’ SS. MiUìlXIO E LAZZARO EC. EO.

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forre/Ar)? ; ce<7

efi ( ve itti c/fjjèniH

.S^x finito tempo DeAiDetxox iuiuIiau alt bcct(tea1CV

\;oAttx una. puéPPtcx leoUuioiuxurx Deffx Devozioue e Deffa

ucouoAoeutx iuuv. 3f oofcjxu tramenio dtt impioti d'tL OuuXu

Def C^iiòoàtomo af popofo (flutto cl> eoo, cxpo-fxooto Deff efocjueu-

tiAAuuo ‘laDte, uu Dà il metto Di/ xDempicte x coDe.lto voto Del

mio cuoce.

trulli oeOtxuuo fe costoni Detta uux DeDicx, cD io lite uè

auDtò fitto Dt xoet potuto tuo Aitate di DxpptcAAo Due uoiui efir

iieffx Aoaoitx Def Dite <*L DxppteAAo Ai xecotDxuo

.

^ìlti totueix poi Def titanio te condotto if veDcte, Aeuipte

die x c|ticote px^iue titouu, off f &cee£feurx ^oòtex coff occfno

Deffx .jcitetoAx Pernottila Aux oetAo Di lue fe ^uatDxox.

AD. GIACOMO BERNARDI.«

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OMELIA I.

Esortazione al Popolo perchè generosamente si leggo nelle

soprastanti minacele, mentre da guel che avvenne a

Giobbe e a ’ Niniviti, può trarre baslevoli esempi a non

temere la morte. Che cosa vogliasi dire morir malamente,

e come devansi evitare con ogni sollecitudine i giura-

menti.

Parve che ieri la narrazione dei tre fanciulli e della

fornace di Babilonia la carità vostra alquanto riconfor-

tasse : mi si aggiunse poi l1

esempio di Giobbe ed il suo

mondezzajo d1

ogni regai trono più rispettato : che dalla

vista di un regai trono non ne viene alcun profitto ai

riguardanti, ove tolgasi quell’ unico terreno allettamento

che non dà frutto di sorta, mentre la contemplazione del

putrescente letto di Giobbe tornerà utile assai, e sarà

di molta filosofia c di molti conforti ad una saggia pazienza

feconda. V’hanno infatti non pochi di presente che dagli

ultimi confini della terra imprendono il lungo viaggio ma-

rittimo dell’Arabia per mirare quel sudiciume e, poiché

la viddero, baciar la terra spettatrice degli aspri combat-

timenti di quel trionfatore e sparsa della tabe di ogni oro

più prezioso; chè la porpora non darebbe certamente uno

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splendore pari allo splendore eli1

emetteva allora quel

corpo non dell’altrui, ma del proprio sangue rosseggiante.

Il valore poi di quell’ ulcere a quello di ogni altra ma-niera di gemme grandemente soprastava

3poiché le

margarite, nè tornano ad alcun reale profitto della nostra

vita, nè valgono ad alcuno degli usi necessarii per coloro

che le posseggono3e le ulceri invece riescono a conforto

d’ogni tristezza. E perchè apprendiate come questo sia

vero, ponete che alcuno perda 1’ unigenito amatissimo

figlio, schierategli dinanzi quante più gemme volete nonritrarrà perciò ne consolazione al dolore, nè all’angoscia

alleviamento3ma se lo richiamerete alla ricordanza delle

piaghe di Giobbe vi sarà facile di spargere sovr’ esso unbalsamo risanatore, ove così a parlar vi facciate: a che

piagni, o mortale? tu perdesti un sol figlio: ah! ti ri-

corda di lui che nei giorni della sua felicità non venne

unicamente privato della numerosa sua prole, ma fu di

piaghe colpito nella stessa sua carne, e gettato nudo a

penare nel fracidume, coperto tutto di marcie cancrenose

che grado grado gli corrodeano le membra3eppur era

giusto, veritiero, pietoso verso il Signore, schivo d’ogni

Opera malvagia, e che aveva Dio a testimonio delle pro-

prie virtudi. Se pronuncierete cotesle parole ogni tri-

stezza andrà lunge da chi struggevasi in lagrime, ed

ogni dolore dileguerassi : di tal guisa le piaghe del giusto

hanno in se quel vantaggio che aver non possono le

gemme. Raffiguratevi pertanto quell’ atleta, e fate che vi

paja d» vedere quell’ immondezze ed egli starsene in

mezzo. Io non saprei trovare una statua d’oro o di

gemme screziata che sapesse reggere al paragone,poiché

ciascuna materia, per preziosa che sia, di gran lunga da

quel corpo cruentato si riman vinta. Per tal modo la

condizione di quella carne era sopra ogni altro oggetto

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il più ricerco pregevole, e quell1

ulceri appariaoo de raggi

solari più sfolgoranti ; che questi allumano gli occhi del

corpo, quelle gli occhi dell’anima rischiarano e valsero

ad acciecare pienamente il demonio -, mentr’ egli dopo il

mostrarsi di quelle piaghe si ritrasse, nè più comparve.

Imparate dunque anche da ciò, o miei diletti, quanta

ullità dalla tribolazione derivi, se dalle ricchezze e dalia

pace di che godeva trarre il demonio argomento d’ac-

cusa contro del giusto, e quantunque falsamente, pur

ebbe onde esclamare: Giobbe onora egliJorse il Si-

gnore senza profitto? Ma dappoi che lo spogliò di

lutto e Io trasse alla miseria non ardì fiatare ne anco.

Nei giorni delle dovizie si accigneva a combattere con-

tr’esso e minacciava espugnarlo, ma volse il tergo allora

che il vide povero, e nello estremo del bisogno e della

angoscia ridotto. Com’era pieno di vigore il corpo di lui,

gli ponea d’ attorno le mani, ma tosto che la carne fu

adempiuta di piaghe, si diè per vinto e fuggissi Com-prendeste come la povertà prevalga alle ricchezze, la

fralezza e l’ infarmitade alla salute, come la tentazione

torni a’ vigili più conveniente e vantaggiosa ed a com-

1 «altere più forti e valorosi li renda? Chi vide, od intese

a parlarle di sì mirabili pugne? I lottatori ne’ profani

combattimenti, com1abbian ferito il capo degli avversarli

si gridano vincitori, ed hanno la palma: qui invece,

poich’ ebbe piagato il corpo del giusto d’ ogni maniera

d’ ulceri coprendolo, e poiché l’ebbe estremamente af-

fievolito, allora fu vinto e rilirossi dal campo. Come gli

traforò di spessi colpi i fianchi non ne trasse alcun utile

perchè non giunse a rapirgli il tesoro ben custodito •, ed

anzi in maggior luce lo pose, mentre pur mezzo di

quelle trafitture fece in guisa che tutti veder potessero

r uomo dal di dentro e tutti conoscere le sue ricchezze

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A

d’ onde ue venne che allorquando sperava di vincere fu

costretto con assai vergogna a dipartirsene, c a non dar

più una parola. Che mai accadde, o spirito delle tene-

bre? Perchè ten fuggi? forse non ottenesti tulio che

bramavi, forse al giusto non uccidesti le greggie, gli

armenti, le torme de’ cavalli e dei muli? Non Io facesti

orbo de’ molti snoi figli e lacero in tutta la sua carne?

Perchè adunque ne andasti lunge? Perchè, risponde,

avvennero sì tutti gl’infortunii eh’ io volli; ma ciò che

il più bramosamente anelava, al cui fine ogn’ altro infor-

tunio era da me diretto, non avvenne. Egli infatti non

bestemmiò, e questo era il frutto che da’ molti miei ten-

tativi desiderava raccogliere; e non avendolo conseguito,

non trassi alcun vantaggio nè dalla dispersion dei tesori,

nè dall’ uccisione dei figli, nè dai laceramenti del corpo;

anzi accadde il contrario delle mie speranze, poiché fui

stromeuto ad accrescere i trionfi e le glorie del mio

nemico. Comprendeste dunque, o carissimi, quanto sia

grande il profitto della tribolazione. Era pur vago ed

integro il corpo di Giobbe, ma d’assai più pregevole

apparve allora che fu di tante ferite coperto. Non e al-

trimenti della lana eh’ è bella anche prima che la si tin-

ga, ma non può gareggiare colla bellezza ed il prezzo

che assume quando abbia tratto in se il color della

porpora. Che se il demonio non l’avesse dispogliato

non avrem potuto conoscere a prova la maschia tempra

del vincitore; se di spessi colpi non avesse trapassato il

suo corpo, gl’interni raggi non avrebbero fuor lancialo

la propria luce, e se non lo avesse gettato nel lezzo

non sarebbersi mai falle palesi le sue ricchezze; chè

di certo non havvi re sul proprio trono sfolgorante

circondato di quell’ onore e di quella gloria che ador-

nava Giobbe nel sudiciume, poiché dietro il regai

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trono vi sta la morte, e dietro il sudiciume il reguo

de’ cieli.

Richiamandoci dunque a mente codeste verità

nella tristezza che ne opprime riconfortiamci;eh’ io non

vi pongo innanzi questi fatti perchè abbiate a lodare le

mie parole;sibbene perchè cerchiate d’ imitare la virtù

e la pazienza de’ magnanimi personaggi, ed apprendiate

dallé opere loro che niun danno terreno è grave, ove si

tolga il peccato. Non è grave la povertà, non lo sono le

malattie, le contumelie, le calunnie, le ignominie, non lo

è la morte che sembra l’estremo di tutti i mali. I nomi

infatti di codeste calamità per chi vi inedita sopra son

nomi privi di soggetto*, ma una vera calamitade si è

l’ offendere Iddio, e adempiere alcun atto ebe a lui non

piace. Mi si dica : la morte propriamente che cosa ha in

se stessa di crudele? forse il tradurre che faccia cou

troppa sollecitudine ad un porto tranquillo e ad una

vita felice ? Concediamo che i giorni dell’ uomo non si

troncassero 5 v’ ha nientemeno una legge di natura che

grado grado insinuandosi dovrà quando che sia il corpo

dadi’ anima disciogliere: e parlo di questa guisa non già

reggendo nella morte alcun che di spaventevole e crur

dele, ma vergognandomi per coloro che la paventano.

Se te ne stai, o mortale, aspettando que’beni che occhio

non vide, orecchio non ascoltò, nè al cuore d’ alcu-

no manifestaronsi,perchè dilazioni, a goderne, li ne-

gligi e intorpidisci? Nè intorpidisci soltanto ma ti

lasci cogliere dal timore e dallo spavento. E comenon devi credere che sia per te disonorevol cosa l’at-

tristarti in faccia alla morte, se invece lamentavasi

l’apostolo Paolo di questa vita, e scrìvendo ai Ro-mani diceva : Gemono le create cose ed io pureportando in me le primizie dello spirito m addolo-

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ro(i)?ed esprimeasl così non per condanna che lanciasse

contro alla vita presente, ma per desiderio della futura.

Ho gustato, esclamava, la grazia e non soffro indugio,

possedo le primizie dello spirito e m’affretto di giugnere

all’intero conseguimento: salii fino atterzo cielo, hoveduto quella gloria ineffabile e lo splendore di quella

regia, ho appreso di quali beni men vada privo rima-

nendo quaggiù, ed è perciò che m’addoloro di rima-

nerci. Ditemi, se alcuno conducendovi entro a regali

stanze, vi avesse mostrato le pareti d’ oro ovunque sfol-

goreggianti ed ogni altro ricco adornamento;indi, co-

stringendovi a rimanere in una povera casuccia, vi avesse

promesso di ricondurvi fra breve in quella regia e di

assegnarvi in essa un’ immortale dimora, non sareste

travagliati da continui desiderii e per quanto pochi fos-

sero i giorni non vi tornerebbero tormentosi. E d’uopo

che pensiate lo stesso rispetto il cielo e la terra e v’ ad-

doloriate con Paolo non per la morte, ma per la vita

presente. Ma voi soggiugncrete, fateci simili a Paolo ed

allora non temeremo la morte. E che v’impedisce di

farvi simili a Paolo? Forse ch’egli non era povero, ac-

conciatore di stuoje, idiota ? Se fosse stalo nobile e do-

vizioso i poveri per avventura avrebbero potuto addurre

a scusa la propria povertade, ove chiamati venissero ad

imitamelo,ma ciò non ha luogo ora che sapete eh’ egli

era un operajo e che traeva dalle giornaliere fatiche il

proprio sostentamento. Voi fin dalla culla beeste da’ pa-

dri vostri il latte della pietade, e foste da’ primi anni

educati negli ammaestramenti delle sacre scritture, ed

egli per lo contrario fu l’ uomo delle bestemmie, delle

persecuzioni, delle contumelie e dei guasti arrecati alla

chiesajpure di un tratto cangiossi in guisa da lasciarsi

(1) Ai Romani VITI. V. 22.

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addietro ogn’ altro nella operosità e nel fervore, sino ad

esclamare : Siate miei imitatori,eom’ io lo sono di Cri-

sto (i). Egli imitò il padrone, e voi non imilarete un

vostro conservo? Voi che da prima attigneste alle fonti

della verità non imiterete colai che per un mutamento

avvenuto in appresso alla verità s’accostava? Non cono-

scete che quelli che trovasi in peccato, quantunque vi-

vano, tuttavia son morti? ed invece nella morte si adem-

pian di vita quegli altri che adorni son di giustizia ? Nèquesta maniera di parlare è mia

jè una sentenza di Cri-

sto che disse a Marta : Ognuno che in me s' affidi, ben-

ché sia morto,

vivrà (a). E i nostri donami sarebbero

forse altrettante favole ? Se tu se’ cristiano, abbi fede in

Cristo, e se in Cristo hai fede, appalesa cotesta fede

coll’ opere. E di che guisa appaleserai nell’opera la tua

fede ? se ti dimostrerai superiore alla morte. È questa la

principal prova in che ci mostriamo dagl’infedeli dis-

giunti. Non a torto paventano la morte coloro che non

hanno alcuna speranza di risorgimento : ma voi che per

miglior sentiero v’indirizzate, voi che valete a profondarvi

nella meditazione delle speranze avvenire, voi che nel

risorgimento futuro confidate di quale scusa mai sarete

meritevoli, ove temiate la morte al par di quelli che nel

risorgimento non credono. Pur voi soggiugnerete, nontemiamo la morte

;che in sè il morir non ne accuora,

sibbene il morir tristamente e il sentirci la scure

in sul capo. Dunque la morte di Giovanni fu tri-

ste ? Eppure gli si recise la lesta. Fu triste la

morte di Stefano ? Eppur lapidossi. Dunque secondo

il parer vostro i martiri tutti miseramente perirono,

perchè al fuoco o al ferro soggiacquero, e questi lan-

ci ) 1 a’ Corinti XI. 1

.

(2) S. Giovanni c. XI. v. 25.

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s

ciati nel mare, quelli giù volti da un precipizio, que-

gli altri offerti ai denti bramosi delle fiere vi trovaron

la morte? Ah! miei figliuoli, il compiere per altrui vio-

lenza i suoi giorni non è un infelice morire, sibbene il

morir nella colpi. Ascoltate non pertanto il Profeta che

a questo proposito egregiamente filosofando esclama:

La morte de'peccatori sarà pessima (i). Non disse che

sarà pessima la morte violenta, ma quella invece dei

peccatori. E giustamente, poiché partitisi di questa vita,

li attende una pena insoffribile, un sempiterno cruccio,

un verme corroditore, un’inestinguibile fiamma, una

tenebria la più fitta, e catene indissolubili, e stridore

di denti, e tribolazioni e angustie e dannazione eterna.

Che se tanti sono i tormenti che aspettano i pec-

catori, qual utilitade per essi quand’anche la vita abbia

il suo fine fra le domestiche pareti e sul proprio lor letto?

Mentre per lo contrario niun danno ne viene ai giusti

perchè dal foco o dal ferro sieu tronchi i giorni dell’esi-

stenza loro terrena, se di qui passar deggiono all’ irn-

mortalitadc felice. Dunque veramente pessima è la morte

dei peccatori. Tale si fu la morte del ricco insolente

sprezzatore di Lazzaro che, dopo di aver Gno all’ ultimo

compiuto il novero de’proprii giorni nelle sue stanze, in

sul proprio letto, e d’ogni maniera di soccorso provveduto

se ne moriva per andarsene ad ardere eternamente senza

che dai molli agi di questa vita potesse ritrarre il minimo

refrigerio. Pur lo stesso a Lazzaro non accadde; a Lazzaro,

che giacea fuor dell’uscio sul nudo pavimento, cho aspetta-

va a corteggio i cani che gli lambisser le piaghe, che finiva

di una morte violenta: poiché il morir di fame è lungo e

penoso a preferenza d’ogni altro, ma levato di là era

(J) Salmo XXXIII. 22.

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lietamente accolto nel sen d’Àbramo perchè avesse a

fruire dei beni eterni. Di qual nocumento gli tornò

adunque la violenza del suo morire? Di qual profitto al

dovizioso tornò invece la niuna offesa. Ma voi soggiun-

gerete: noi ci accuoriarno di morir per violenza, sibbene

per ingiustizia, e ci duole d’ esser puniti insieme a’ rei,

non avendo tentato nulla di quello che ci sospettano.

Che dite mai ? Yi accuora l’ingiustizia della morte? Vor-

reste dunque meritamente morire? S’è duopo temer la

morte, è duopo temerla allora che giustamente ne minac-

ciasse, mentre coluiche alla morte ètrascinato ingiustamen-

te per ciò stesso verrà messo a parte della gloria dei beati.

Nè son pochi gl’ illustri personaggi accetti al Signore che

ad un’ ingiusta morte dovettero soggiacere, e Abele pri-

ma degli altri : egli che non avea commesso errore con-

tro al fratello, nè offeso in guisa alcuna Caino, ma che

fu scannato soltanto perchè onorava il Signore. E Iddio

lo permise forse per amore, o per odio che avesse con-

tro di lui? Per amor certamente, perchè cioè gli venisse

la più bella delle palme dalla più ingiusta delle uccisioni.

Comprendete quindi come non sia da temersi il morir

per violenza o per altrui ingiustizia, ma sibben nella

colpa. Abele moriasi ingiustamente: visse Caino fra la

trepidazione ed i gemiti. E d’ essi due qual più felice ?

Quegli che avea sortito il riposo de’ giusti, o l’ altro che

vivevasi nella colpa ? quegli che soggiacque ad una mor-

te immeritata, o l’altro che soffriva i meritati gastighi?

Volete forse che per vostro bene vi dica la causa per cui

paventiamo la morte ? L’ amore del regno eterno non ne

commuove, il desiderio della futura felicità non ne in-

fiamma, poiché allora ad imitazione di Paolo tutte dis-

petteremmo le lusinghe di questa vita. Dopo questo non

temiamo lo inferno e perciò temiamo la morte : non co-

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nosciamo la gravezza iotollerabile di que’ tormenti ed

abbiam paura di dar la vita io soddisfazion delle colpe,

che se il timore de’ futuri giudicii le nostr’anime per-

vadesse, il presente non troverebbe alcun modo ad insi-

nuarsi. Nè del mio asserto andrò a cercarne lunge le

prove che le trarrò dappresso, e adoprerommi farvelo

manifesto da quel che avvenne di questi giorni tra noi.

Non appena infatti promulgossi l’imperiale editto che ne

imponeva il pagamento d’ un tributo a giudicio vostro

insopportabile che tutti si diedero a tumultuare e con-

tendere, e tutti lamentevoli e sdegnosi al primo scon-

trarsi che facessero, esclamavano: È egli propriamente

un vivere il nostro ? la città è ammulinata e non trove-

rassi chi possa reggere all’ impostaci gravezza, e tutti si

addolorano come se corressero il danno estremo. Ora

poi che que’temerarii concetti si consumarono, ed alcu-

ni crudeli e malvagissimi uomini calpestaron le leggi,

infransero le statue, e sul capo di tulli provocarono il

pericolo della morte; ora che nell’ irritato animo del-

l’ imperatore ci sta la minaccia delia nostra vita mede-

sima, più non ne stringe d’angoscia la perdita del di-

naro, ed ascolto invece che dalle labbra comuni se ne

escono quest’ altre parole dalle prime ben diverse : ab-

biasi pure l’imperatore le sostanze nostre, nè ci dorrà

lo spogliarci de’ campi e delle nostre suppellettili, ove

alcuno soltanto ne guarentisca la vita. Di tal guisa, comeprima della minaccia della morte la pena pecuniaria

crucciavane, ma lo spavento della morte, pegli orribili

misfatti che si commisero sopravvenuto, spense il dolor

del dinaro ; cosi, dove il timor dello inferno colto avesse

l’anime nostre, più non avria trovato luogo quel della

morte, e sarebbe avvenuto di noi quel che suole av-

venire nei corpi allorché due sono i dolori che li

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*<

il

travagliano,

e sembra che il minore dal più acu-

to soprovanzato sen taccia : ciò sarebbe di presente

avvenuto, dicea, e se la paura degli eterni supplicii

non si fosse dilungala dalla nostr’ anima, quella dei

terreni non avrebbe avuto il mezzo di farsi inten-

dere. Quindi è che se alcuno farà di tenersi in-

nanzi agli occhi della mente sempre l’ inferno, disprez-

zerà la morte, e non solo andrà immune dalle angustie

di questa vita ma toglierassi alle fiamme dell’avvenire;

poiché quel desso che di continuo paventa lo inferno,

non ne proverà il rigore, gastigato abbastanza dalla con-

tinua tema che n’ebbe. Concedetemi adunque che oppor-

tunamente in questo luogo vi dica : O fratelli non

vogliate farvi fanciulli nelle sensitive impressioni,

sib-

bene siatelo nella malizia, (i) Ed è veramente puerile

timor nostro, quando paventiamo la morte e non il

peccato. Difatto i pargoletti temono delle larve ma non

del foco, e se avvenga che lor si metta dinanzi una lu-

cerna accesa sporgono sconsideratamente le mani alla

lucerna insieme c alla fiamma. Non altrimenti anche

noi temiamo la morte eh’ è larva degna di spregio, nè

temiamo la colpa che esser dovrebbe duddovero temuta

e che a guisa di foco logora la coscienza. Questo poi non

ci accade per legge di natura, ma per nostra ignoranza :

che se pensassimo bene ciò eh’ è la morte non la paven-

teremmo giammai. E che cosa è dessa propriamente?

Nell’altro che la deposizion d’un vestito; poiché alla fog-

gia di un vestito il corpo all’anima sta d’ intorno, e come

sia deposto per breve tempo, lo riassumeremo, e più

splendido d’assai. E che cosa è la morte? Un passeggero

pellegrinaggio, un sonno dell’ ordinario più lungo. Se

(1) S. Paolo 1 a’ Cor. XIV. 10.

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paventate la morie, paventate dunque anche il sonno, e

se vi dolete per que1

che muojono, doletevi ancora per

que1

che mangiano e beeono, mentre l’una cosa e l’ al-

tre son proprie della natura, nè gli effetti naturali de-

vono contristarvi, ma bensì quelli che derivano dalla

malvagità del volere, e non già chi muore ma piangete

colui che vive in peccato.

Volete che vi ricordi un’ altra causa che ne fa te-

mere la morte? Non viviamo colla rettitudine necessaria,

nè possiam vantarci di una coscienza pura *, che se ciò

fosse, nè la morte, nè la fame, nè la perdita del dinaro,

nè alcun altro infortunio varrebbe a spaventarci. Niuna

avversità basta ad offendere chi ha la virtude per com-pagna della sua vita, nè può toglierlo alPintime compia-

cenze cui prova, mentre, pasciuto coni1è di grandi

speranze, sta in sicuro affatto d1

ogni assalto della tri-

stezza. E vi è chi valga a prostrare il magnanimo uomonello avvilimento? Gli si rapiranno i dinari? Ma egli

ha riposto in cielo le sue ricchezze. Lo si caccierà dalla

patria? ma egli seguirà il suo viaggio alla superna città

permanente. Lo si porrà in catene? ma è sciolta la sua

coscienza e non s’accorge dei legami esterni. Priverassi

della vita il suo corpo? ma sorgerà nuovamente. Quindi

è che al modo stesso di chi s’adopra a menar contro

l’ombra o Paria fierissimi colpi non percuote nessuno j

così quegli che contro al giusto combatte, combatte colla

ombra unicamente e sperde le proprie forze senza che

arrecar possa la minima ferita. Pertanto fate eh1

io mitrovi nella piena fiducia di ottenere il regno de’ cieli, e

se volete uccidetemi tosto, eh’ io sarovvi dell1

uccisione

riconoscente, perchè aprirammi la via più sollecita a

quella felicitade. Ma qui ripiglierete : l’oggetto principale

delle lagrime anche per noi, è, che la moltitudine delle

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colpe ne impedisce di conseguire il regno di Dio : ces-

sate adunque di piagnere la morte e piagnete le colpe

vostre per cancellamele. Poiché a pensar bene la tri-

stezza non è già ordinata in noi a lamentare la perdita

delle ricchezze, la morte od altra sventura di simil fatta,

ma propriamente a distruggere le colpe, e che ciò sia

vero vel dichiari il seguente esempio. Gli apparecchi

medicinali valgono per que’ morbi soltanto che posson

guarire, non per quegli altri cui non tornano a giova-

mento di sorta. Imaginatevi, voglio rendere ancor più

chiaro il mio linguaggio, imaginatevi un medicamento

che sol possa giovare a colui ch’è infermo d’occhi, e

non ad altro qual sia genere di malije potremo allora

dir con ragione che cotesto medicamento è fatto per la

•ola infermità d’occhi non già per lo stomaco, nè per le

mani, nè per alcun altro membro. Volgasi ora il nostro

discorso alla tristezza, e troveremo eh’ ella non può soc-

correrci in alcuno degli avvenimenti di questa vita, ove

si tolga la correzion delle colpe;dunque potrassi con-

chiudere che ei si diede a quest’ uopo unicamente. Per-

corriamo la famiglia innumerevole dei mali che ne mi-

nacciano, mettiamei sopra la tristezza e vediamo il

profitto eh’ ella ne arreca. Si costrinse alcuno ad una

pena in dinaro? attristossì, ma per questo non pagò il

debito: perdette il figlio ? sen dolse, ma per questo non

resuscitò il morto, nè gli tornò di vantaggio che fosse*

Alcuno fu percosso di flagelli, di schiaffi, di contumelie ?

rammaricossi, ma non trovò nel rammarico un riparo

alle ingiurie. Tal altro fu colto da malattia e malattia

gravissima? angustiossi, ma non tolse il male, che il

fece anzi più grave. Vedete come a ninno di costoro

fosse P affliggersi vantaggioso. Vi fu invece un colpevole

che provò dolore ? Egli ha cancellata la colpa e pagato

3

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il debito. Chi ne assicura di tanto? la parola del Signore,

che intorno a tal uomo che avea prevaricato, disse: Cercai

di rattristarlo un poco per le suecolpe, e poiché vidi che

attristassi realmente e se ne dolse,lo richiamai sul sen-

tiero della virtude ( i ). Quindi anche Paolo scrisse: Quella

tristezza che viene da Dio è operatrice di penitenza aristabilirne in salute (a). Avendo pertanto l’orazion no-

stra dimostrato che la tristezza non apporta rimedio nè

alla perdita dei dinari, nè alle contumelie, nè alle calun-

nie, nè alle percosse, nè alle malattie, nè alla morte, nè

ad alcun altro simile infortunio e che sol basta a can-

cellar le colpe e distruggerle*, rimane che sia per questo

fine unicamente creata. Non rammarichiamci più adun-

que sulle perdute ricchezze, ma rammarichiamci allor

che pecchiamo, mentre grande è il profitto che di qui ne

deriva. Soggiacesti ad una multa? non dolerti, chè il

dolor non ti giova. Hai tu peccato? ten duoli, che utile

sarà il dolerti, e pensa alla prudenza ed alla divina sag-

gezza. Il peccato ne diè questi due frutti, il dolore e la

morte. Qualunque giorno, disse Iddio,

ti ciberai d'esso

sarai colpito dalla morte (3) : e alla donna: Partorirai

nel dolore li tuoi figliuoli (4), e si valse dell

1

uno e

l’altro di questi frutti per distruggere il peccato, e volle

che dai figli si togliesse di mezzo la madre. Che poi dal

dolore e dalla morte distruggere il peccato appare chia-

ramente anche dai martiri, appar dalla maniera di favel-

lare che tiene Paolo coi peccatori, ove dice : Per ciò ve

ne hanno mollo tra di voi che sono infermi ed imbecilli

(1) Isaia LVH. 17.

(2; S. Paolo II a’ Cor. VII. 10.

(3) Genesi li, 1 7.

(1) Genesi HI, 1 6.

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e dormienti (i)j d’uopo è dunque che ciascuno sen

inuoja pe’ suoi peccati, affinchè il debito dei peccati

paghisi colla morte: e ripiglia dicendo: Se noi di per

noi stessi ci giudicheremmo,non sarem giudicati : nè

altra cosa verso di noi è il giudizio di Dio quaggiù che

un correggerne perchè non andiam dannati col mon-

do. E come avviene del verme che nasce dal legno e

poi Io corrode, e della tignuola che logora la lana da cui

ripete l’origin sua*, Jo stesso è del dolore e della morte

che nacquero dal peccato ed il peccato distruggono. Nonpaventiam dunque la morte, ma il peccato, e sia per

esso il dolor nostro. Sia lunge che con queste parole in-

tenda aggravare il timor vostro, intendo solo di profit-

tarne in guisa di rendervi persuasi che dovete coll’opere

adempiere la legge di Cristo. Se v'ha diss’Egli, chi non

tolga sopra di se la sua croce e mi segua,non è degno

di me (a). Nè dicea questo, perchè su delle spalle por-

tassimo un legno, ma perchè avessimo sempre dinanzi

gli occhi la morte;ciò che ben fece Paolo morivasi cia-

scun giorno e disprezzava la morte, nè curavasi nulla

affatto di questa vita. Tu sei un soldato sempre sul campodella battaglia*, nè il soldato che ha timor della morte potrà

mai portarsi da valoroso. Sappi adunque che l’ uom cri-

stiano che nei pericoli è pavido non vale a fornire alcu-

n’azione magnanima ed onorata, ma sarà sconfitto facil-

mente, mentre l’ intrepido e di gran cuore rimarrassi

fermo ed inespugnato. Di quel modo che i tre fanciulli

che non temetter le fiamme alle fiamme si sottrassero $

così anche noi non tementi della morte alla morte ci

sottraremo. Que’ fanciulli infatti non paventaron del

(1) S. Paolo I a* Cor. XI. 30.

(2) S. Matteo X.

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«-V

16

fuoco, perche Tesser arsi noo era un delitto, ma ebber

timore della colpa, e tale era T accondiscendere alle bra-

me dell’ empietade. Imiliamli ancor noi, e diverrem

tutti simili ad essi, e andremo illesi dalle minaccie per

ciò che non le temiamo.

Non son io Profeta, nè figliuol di profeta: non

pertanto conosco apertamente il futuro e ad alta voce e

chiarissima grido, che se muterem di costume, e ci fa-

remo solleciti di provvedere al bene della nostr’ anima

non avremo a temer nulla d’ increscioso ed avverso che

ne sopravvenga, ed ho ben motivo di argomentarlo dalla

divina misericordia e dal modo che tenne cogli uomini

partitamente, con le città, con le provincie, con le intere

popolazioni. Minacciò infatti la città de’Niniviti e disse:

ancor tre giorni e Ninive cadrà distrutta ( i ). Rispon-

detemi: cadde per questo Ninive nella distruzion mi-

nacciata ? No : che avvenne anzi il contrario, e sorse più

bella e vigorosa a tale, che sì gran tempo trascorso non

potè distruggere la sua gloria, ed è tuttavia T oggetto

degli encomii e della comun meraviglia. Ebbero allora

que’peccatori tutti un porto sicuro a ricovrarsi, che alla

disperazione li tolse, che li chiamò a penitenza; per cui

quel che fece, e quel che ottenne codesta città dalla

misericordia di Dio ne persuade a non deporre giammai

la lusinga della propria salvezza, ma sì raccogliendoci

a miglior vita, e migliori speranze nutrendo, guardar

con tutta fiducia nella meta un bene che sta per succe-

derne. Chi dunque, per quanto accidioso egli sia, nou

ritrarrà dall’esempio de’Niniviti un forte eccitamento ?

Iddio, anziché permettere la distruzione di quella città,

permise che fallisce il suo vaticinio, ma nè anco il vati-

fi) Giona HI. 5.

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17

ciaio andò fallito: poiché taluno potrebbe sorgere nella

accusa del vaticinio che non ottenne lo avveramento al-

lora che avessero quegli uomini nella primiera malvagità

perseverato ma dove mutaron essi, e dalla malvagità si

ritrassero, deponendo anche il Signore il giusto suo sde-

gno, qual v’ ha ragione di riprendere la profezia ed ac-

cusamela di menzogna? Iddio non le che adempiere an-

che di que’ giorni il patto che fin dal principio avea

conchiuso con tutti gli uommi per bocca del suo Profe-

ta. E qual è cotesto patto ? Eccolo: Alla perfine par-

lerò allepopolazioni ed ai regni per distruggerli, schian-

tarli,

disperderli ; ma verrà che se farami essi peni-

tenza delle proprie colpe pentiiommi aneli io deli ira

che ho minacciato di consumare sopra di loro (i). Fe-

dele pertanto a questo patto salvò i pentiti, e tolse l’ira

dal capo di quelli che dal vizio si dilungarono. Conoscea

bene quanto valesse l’energia di quel popolo feroce e

perciò infiammava l’ animo del suo veggente e nell’ udir

la parola profetica si commosse, com’ ora, la città tutta,

ma dal timore non trasse offesa, sibben giovamento; chè

il timore fu principio di salvezza, la minaccia liberò dal

pericolo, e la sentenza di sovvertimento al sovvertimento

fu scudo. O cosa ammirabile veramente ed inaudita ! una

denuncia che portava con se la morte per effetto ebbe la

vita;ed una sentenza, poiché promulgossi, divenne inva-

lida, al contrario di quello che nei giudizii forensi acco-

stumasi. Ne’giudicii terreni infatti, come proclamisi la

sentenza sortir deve l’effetto : ma la cosa è diversa pres-

so il Signore che il proferirsi della sentenza ne toglie lo

avveramento, chè se stata non fosse proferita i peccatori

non l’avrebbero intesa, se non l’avessero intesa non si sa-

(1) Geremia XVIII. 7 .

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rebber pentiti, nè avrebbero dilungata la pena, nè avreb-

bero ottenuto quell’ ammirabile conversione a salvezza.

E come non ammirabile se il giudice fulminò la senten-

za ed i rei col pentimento la cancellarono? Non pensa-

rono ad abbandonar la città com’or facciam noi, ma ri-

manendovi, com’ era vacillante, l’ assodarono. Era un

agguato, e la convertirono in luogo di sicurezza, era una

voragine ed un precipizio e la fecero torre ioespugna-

bile. Udirono che gli ediflcii loro cadrebbero, ma non

fuggirono gli edificii, sibbene i peccati, non dilungaronsi

dalle proprie abitazioni, come facciam noi,ma ciascuno

dilungossi dalla via dell’iniqnitade, e andava sciamando:

furon’esse per avventura le muraglie che sopra ne pro-

vocarono lo sdegno di Dio? Noi fummo gli autori della

ferita, noi dunque dobbiamo apparecchiare la medicina:

quindi appoggiarono le speranze della propria salute,

anziché al mutamento di luogo, alla conversion dei co-

stumi.

Uomini barbari diportaronsi in questa guisa •, e noi

non proviamo vergogna, e non cerchiamo di toglierci

alla considerazion di noi stessi, sapendo eh’ essi cangia-

rono di costumi e noi cangiamo invece di sito, e, non

altrimenti che fossimo inebbriali, ci portiam dietro gli

averi nostri. Il Signore si adira contro di noi, e noi,

cessando di estinguere l’ira di lui, muoviamo in giro

cogli addobbi di nostra casa, e audiam qua e là erranti

in traccia di un luogo ove deporre il nostro equipaggio,

se dovremmo cercar quello ove deporre l’anima nostra:

ma non sarebbe d’ uopo neppure di cercar questo, comeci assicurassimo col ritorno alla virtù e colla rettitudine

della vita. Che se avvenisse a noi, montati in cruccio e

indignazione contro di un servo, ch’egli nulla affatto

curando di scusarsi discendesse nella sua stanza, raccat-

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tasse i vestiti ed ogni altro fardello e si mettesse in sulla

fuga;non perdoneremo così facilmente a cotesto nuovo

disprezzo. Cessiamo dunque dallo affannarci in simil

guisa improvvidissima, e ciascuno si rivolga al Signore

dicendo : Dove me ri andrò lunge dal tuo potere e dove

rnai sarammi dato nascondermi alla tua vista (i)? Imi-

tiamo la sapienza dei barbari', eglino alla penitenza ap-

pigliaronsi in tutta la incertezza dell’avvenire : chè non

dicea già la diviua minaccia : se vi convertirete ad opere

di pentimento, rassoderò la città *, ma semplicemente :

Ancor tre giorni e Ninive sarà distrutta. Ed essi di ris-

contro: Chi sa poi se pentirassi il Signore del gastigo

di cui ne ha minacciato (a). Chi sa ? Non conoscono il

(ine, eppur fanno penitenza : ignorano il costume della

divina misericordia, e nella incertezza si cangiano: nè

avean sott’ occhio degli altri Ninivita, a cui riguardare,

salvati dalla penitenza che fecero : non avean letto i Pro-

feti, non ascoltato i patriarchi, non seguito il consiglio

di alcuno. Non avea ritrovato chi facesse lor securtade,

e nè anco di per se stessi avean potuto persuadersi che

di certo a mezzo della penitenza sarebbesi Iddio placato;

che questo non conteneva in se la sentenza, e quindi

tementi erano e dubbiosi, nullameno con tutto il fervore

si raccolsero a penitenza. Qual vi sarà dunque scusa in

prò nostro, se coloro che pur non aveano donde ripro-

mettersi la sicurezza del fine offersero un sì mirabile

mutamento e noi invece che pienamente potremmo ap-

poggiarci alla divina misericordia e che frequenti e

grandi caparre abbiam ricevuto dell’ amor suo, noi che

udimmo i profeti e gli apostoli, e ch’ebbimo gli avveni-

(1) Salmo CXXXVIII. 7.

(2) Giona III. g. .

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2.J*

f 20

menti stessi a maestri noi ci adopreremo di toccare

quella meta di virtù cui toccarono i Niniviti. Fu grande

la virtù di quel popolo, ma fu maggiore di molto la mi-

sericordia di Dio, come ben puossi argomentare dal ri-

gore medesimo delle minaccie. Iddio poi nella sentenza

non aggiunse : Perdonerò se farete penitenza;perchè

promulgando una minaccia senza limite alcuno, e con

ciò accrescendo il timore, fossero più celeremente ridotti

a pentirsi. 11 Profeta che prevede il futuro e coughiet-

tura che non si awerebbero i suoi detti un pò si rat-

trista*, ma non s'attrista il Signore che una sol cosa

addimanda, ed è la salvezza degli uomini, e corregge il

suo servo. Non sì tosto mis’ egli infatti il piede in sulla

nave che si fé’ gonfio e tempestoso l’ oceano per inse-

gnarne che dove trovasi il peccato, ivi pur trovasi la

tempesta, ove l’inobbedienza, ivi l'agitazione. Traballava

la città per le colpe dei Niniviti, e parimenti traballava

la nave per la disobbedienza del Profeta. I naviganti

adunque lanciaron Giona nel mare ed il naviglio acque-

tossi : noi pure anneghiamo le colpe e la città rimarrassi

del tutto in sicuro;che non ne può venir dalla fuga

vantaggio alcuno a quel modo che non ne venne al pro-

feta eh’ ebbe anzi dalla fuga non lieve danno. Sottraevasi

alla terra non già allo sdegno di Dio : sottraevasi

alla terra e portò la tempesta nel mare; c tanto fu

lunge dal trovar sicurezza nella sua diserzione che

trasse in gravissimo pericolo que’medesimi che l’ebbero

accolto. Quando stavasi assiso nella nave circondato dai

nocchieri, dai piloti, e da ogni nautico apparecchio mi-

nacciato era dal pericolo estremo; ma quando poi fu

lanciato nel mare e depose per la sofferta pena la colpa,

benché sortisse un naviglio daddovero disadatto, qual

erasi il ventre di una balena, pure godeva di maggiore

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tranquillilade: da cui (leggiamo apprendere che se non

basla il naviglio a salvare il colpevole, chi scevro è dalle

colpe non dee lemero nè il mar che lo ingoja, nè i mo-

stri che lo divorino. Lo accolsero pertanto t onde e noi

soffocarono, lo inghiottì la balena e non l’uccise; mal’animale e l’elemento a Dio ritornarono indenne il de-

posito loro affidato. Di tal guisa ammaeslravasi il Pro-

feta a diportarsi con pietà e mansuetudine ed a non

essere più crudele degli stolti nocchieri dell’ onde indo-

mite e delle bestie. I nocchieri infatti noi gettarono in

sulle prime dal naviglio, ma soltanto allora che toccava-

no il pericolo estremo, il mare poi e l’immane cetaceo

con molla sollecitudine, giusta la volontà divina, il cu-

stodirono. Fece dunque il suo ritorno, la sua predicazion

le minaccio, e persuase a salvezza e spaventò e corresse,

e ciò tutto nella prima ed unica predica ottenne. Nonebbe d’uopo di molti giorni, non di lunghe disamine;

ma quelle nude parole ch’egli annunciò bastarono a

convertir tutti a penitenza. Vedete poi come Dio nou rab-

bia tolto di un tratto dalla nave e alla citlade condotto,

mentre invece i nocchieri lo diedero al mare, il mare

alla balena, la balena a Dio, Iddio a Ninivili; sicché

fornì un lungo giro pria che sen ritornasse il fuggitivo,

per cui tutti possono apprendere eh’ è impossibile sot-

trarsi alla destra dell’onnipotente. E certo che dovunque

muoviamo, portando con noi la colpa, saremo soggetti a

patimenti infiniti, e quand’anche ci dilungassimo da ogni

faccia d’ uomo, ci staranno d’ intorno tutte le altre crea-

ture e con assidue minaccia ne incalzeranno. Non ripo-

niamo adunque la salvezza nostra nella fuga, bensì nella

mutazion dei costumi. E d’onde avviene che voi fuggi-

te? forse perchè dal rimaner vostro in cittade lo sdegno

di Dio s’accende ? ah! che lo sdeguo di Dio dalle colpe

4

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vostre deriva. Spogliatevi dunque della colpa, c nella

causa della ferita la sorgente pure d’ogni danno si chiu-

da. Impongono anch’-essi i medici che le malattie pei

contrarii rimedii guariscansi. Riconosce la febbre dalla

intemperanza l’origin sua? tolgasi col digiuno. Nacque

in tal altro da tristezza l’ infermitade ? Abbiasi medicina

opportunissima nella gioja. E duopo che nell’ infermità

dell' anime usiamo del medesimo accorgimento. L’infin-

gardaggine fè di noi altrettanti oggetti di sdegno? Siamo

dunque operosamente solleciti ad allontanarlo e un

grande mutamento ne preceda. II digiuno esser può il

principale nostro soccorritore e compagno, e dietro il

digiuno le presenti angustie ed il timor del perìcolo.

Questo dunque è il tempo di attendere all’anima e fa-

cilmente poterne persuadere a noi stessi tutto che me-

glio vorremo;poiché il pauroso, trepidante, lunge trat-

to da’ terreni allettamenti, e viveutesi con in faccia la

minacciosa fortuna vale a raccogliersi in alte medita-

zioni sopra se stesso e mettersi con assai fervore in sul

sentiero della virtude.

E primieramente cercherò persuadervi a dar prin-

cipio alla riforma vostra dalla fuga de’ giuramenti. Quan-

tunque ieri e ier l’altro v’abbia di cotesto argomento

parlato, pure uè quest’oggi, nè l’ indimane, nè il giorno

appresso cesserò di parlarne. E che mai dico l’indimane

o il giorno che verrà appresso ? Non cesserò fin a che

voi nou vi sarete emendati; che se coloro che infrangon

la legge non si fan riguardo alcuno di peccare contr’essa,

molto meno dobbiam farcelo noi di reodervene frequen-

temente avvertiti, noi che vi annunciamo il comando di

non infrangerla. Le continue ammonizioni poi sulle me-

desime colpe non tornano ad accusa di chi parla, sibbeue

di que’ che ascoltano, mentre ciò manifesta che han

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2 *

d’ uopo di essere incessantemente richiamati all’ adem-

pimento de’ più semplici e facili precetti. Qual cosa più

facile dello schivare i giuramenti ? Si richiede soltanto l’a-

bitudine: qui non fa di mestieri alcun travaglio di corpo

o sacrificio alcuno in dinaro. Volete apprendere la ma-

niera di vincere cotesto vizio, e sciogliervi dalla malva-

gia abitudine contratta? io ve l’additerò ed agevole di

molto; e vi assicuro che osservandola ne otterrete pie-

nissimo trionfo. Quando vedrete voi stessi od alcun

altro, come il servo, il figliuolo, la moglie vostra lasciarsi

andare a codesta colpa, e benché di spesso avvertiti pur

non correggersi coslringansi a porsi a letto senza la cena,

e sia questa la condanna imposta a voi medesimi e agli

altri, condanna che non riesce di perdita ma di profitto.

Di simil guisa d’ordinario procedono la modificazion

dello spirito e ne viene sollecito perfezionamento e van-

taggio. La lingua infatti, ove patisca alcun poco, per

quantunque manchi ogn’ altro ammaestramento, pur si

ammaestra abbastanza di per se stessa mentre angoscia

per sete o per fame addolorasi, e quand’ anco fossimo

ignorantissimi, nullameno incalzati di continuo dalla

forza di quest’avviso non avrem d’uopo d’altri consi-

glieri o maestri. Approvaste le cose dette: ma dimostra-

tene coi fatti l’approvazione. Se non è questo, qual al-

tro frutto da’miei discorsi ? Se un giovanetto va ciascun

giorno alla scuola ma non impara nulla, varrà forse a

scusamelo in faccia nostra l’essere stato uditore di cia-

scun giorno ? o piuttosto non penseremo aggravarsi

grandemente il suo difetto per ciò che portandosi quo-

tidianamente alla scuola, il faccia indarno? Questo pen-

siero medesimo ritorni sopra di noi, e diciam tra noi

stessi: se da lungo tempo accorrendo alla chiesa ed en-

trando a parte de’giudicii terribilissimi ch’esser dovreb-

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2 4

bero del massimo profilio, usciam della chiesa gli stessi

che siamo entrati senza 1’ emendazione di alcun difetto

qual è il vantaggio del nostro accorrere? V’hanno di

molte cose adempiute non già per se stesse, ma pel

frutto che ne deriva. JNe volete uu esempio? Il semina-

tore non semina per seminare soltanto, ma per racco-

gliere. Dove poi questo non avvenisse ne avrebbe il

danno della semente gettata indarno in balia della putre-

fazione. Il mercatante non solca il mare per solcarlo

soltanto ma per accrescere colle sue peregrinazioni il

patrimonio. Come ciò non accada, soffriranno assai le

sue sostanze e il mercantile suo viaggio tornerà danno-

so. Giudichisi» lo stesso di noi: di noi, die non venia-

mo in chiesa per venirci soltanto, e per qui trattenerci,

ma per dipartircene forniti di qualche grande spirituale

vantaggio. Che se per lo contrario ce ne usciremo vuoti

affatto e senza nulla aver conseguito il nostro accorrere

servirà ad argomento di condanna. Perchè ciò adunque

non avvenga e per togliere da voi la minaccia di sì gran

danno, come ve ne uscirete di qua e gli amici tra loro,

e i genitori co' figli, ed i padroni co’ servi fatevi a medi-

tare e adopratevi a compiere quello che vi s’ impone :

acciò qui ritornando, ed ascoltandomi ad insistere sul-

l’argomento di prima, non abbiate, pe1

rimorsi della co-

scienza, a prendere vergogna di voi medesimi, sibbene

ad esultare e consolarvi con voi conoscendo che di già

poneste la massima parte dell’ammaestramento a profitto.

Nè basta che a ciò sentitamente si pensi in questo luo-

go, chè la prova di pochi istanti non può svellere il reo

germoglio; ma conviene che nella famiglia, il marito

dalla moglie e la moglie dal marito ascoltino ripetersi

le medesime cose, e nasca da tutti che desiderano di

giugnerc alla pratica di questa legge una scambievole

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25

emulazione e chi primo valse a praticamela, 6Ìa di rim-

provero a lui che trova di aver mancato e gli serva di

maggiore eccitamento: chi poi falba nella impresa, e non

raggiunse ancora la meta, guardi a quello che gli va in-

nanzi, e s’affretti a mettersi di paro con esso celere-

mente. Ove i nostri pensieri in ciò si raccolgano, ove a

ciò tendano le sollecitudini nostre, in breve piegherassi

a buon fine tutto che ne risguarda. Voi pensate alle cose

di Dio e Dio penserà di provvedere alle vostre. Nè mivenite a dire : che faremo se alcuno ne imponga la ne-

cessità di giurare? Se non ci crede altrimenti? Il fatto

è questo: che dove si tratta di violare la legge non vale

metterle innanzi necessitade che sia. La necessità unica

ed inevitabile è di non offendere Iddio. Tuttavia di

presente v'adoprate a questo di recidere i giuramenti

inutili e proferiti in casa fra gli amici ed i servi all’im-

pazzata e senza bisogno di sorta, chè se varrete a libe-

rarvi da cjuesti pegli altri non avrete più d’ uopo di me.

Tosto infatti che avremo avvezze le nostre labbra a te-

mere c fuggire la frequenza del giuramento, non ritor-

neremo a quell’ abitudine, nè anco *se alcuno in mille

modi ne provochi *, e se di presente a gran fatica e con

indicibile turbamento, usando d’ogni maniera di terrori,

minaccia, avvertimenti e consigli pur non abbiamo otte-

nuto di cangiare la malvagia consuetudine antica, anche

allora non vi sarà forza per quantunque imperiosa e

veementissima che trascinar ne possa ad infrangere la

legge divina. E di quella guisa che non vi sarebbe uomoche discendesse a trangujar volentieri il veleno sotto alla

più forte minaccia, così non vorrà discendere a’ giura-

menti. Se ciò otterrete vi servirà di conforto e di grande

sprone ad eseguire gli altri precetti della virtude. Chi

non fa nulla intorpidisce, e si perde ben presto d’ ani-

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mo; ma chi rende conto a se stesso di aver adempiuto

anche un sol precetto, da ciò piglia argomento a sperar

bene, e con maggior lena imprende l’adempimento degli

altri : come poi sia giunto a compierne un secondo con

tutta sollecitudine perviene al terzo, ed arresterassi al-

lora soltanto che avrà toccata la cima. Che se nelle ric-

chezze avviene clic più ne desideri quegli che più ne

ammassa ; vedrete che questo ha luogo massimamente

nei beni spirituali. Quindi è ch’io mi affretto ed incalzo

perchè diassi mano a principii, e negli animi vostri si

gettino le fondamenta della virtù, e vi supplico e vi

scongiuro che siate ricordevoli delle mie parole non

adesso e in questo luogo unicamente, ma in casa, nel

foro e dovunque vi troverete. Se mi fosse concesso di

conversare con voi non avrei avuto mestieri di sì lungo

discorso : non potendo adunque conseguire codesto

desiderio,

richiamate voi a memoria le mie parole

quando sarò lontano, e allor che sedete a mensa imma-

ginatevi di vedermi entrare, pormi a voi dappresso e

ripetervi quelle cose tutte ch’ora v’annuncio, e sempre

che di me favelliate sopra tutto ricordatevi del precetto

che vi diedi, e questa sia la ricompensa dell’ amore

ch’io nutro per voi; che ove intendiate a ciò ottenni il

tutto e la mercede delle mie fatiche è compiuta. Per ac-

crescere dunque in me le sollecitudini più amorose, in

voi le speranze più belle, ed apparecchiarvi più facile il

mezzo alla pratica degli altri precetti, imprimete opero-

samente nel vostro cuore la legge non ha guari insinua-

tavi, e ne vedrete della legge il vantaggio. Un’ aurea

veste sembra bella anche di per se stessa, ma ne apparirà

più bella come sia posta d’intorno al nostro corpo;non

altrimenti i precetti divini son belli anche allor che si

enunciano, ma son più belli quando mostransi in atto

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27

e si adempiono: che loderete sì la verità delle nostre

parole nel breve spazio di tempo in che furono pronun-

ciate, ma se le proverete coll’opera, avrete in ciascun

giorno e sempre da lodarvi di me e di voi stessi. Nèil lodarci scambievolmente è gran cosa, sibbene è gran-

de il compiacersene che farà il Signore, nè solamente

compiacerassi, ma ne ricambierà di sublimi ed ineffabili

doni. Perchè dunque tutti noi possiamo conseguirli ne

valga la grazia di Gesù Cristo nostro Signore, pel quale

e col quale sia gloria al Padre, insieme ed allo Spirito

Santo, ora e sempre e per tutti i secoli de’ secoli.

Così sia.

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OMELIA II.

Dimostra primieramente come torni utile il timore de ma-gistrati, poi narra gtimpedimenti che si frapposero a

(puellì che portavano l'annuncio della sedizione all'Im-

peratore, e ripetendoli da Dio, conforta alla speranza

del perdono il popolo antiocheno. Segue a provare che i

patimenti sofferti generosamente valgono a sodisfazione

delle colpe commesse, parla di nuovo intorno a'fanciulli

della fornace Babilonica, e conchiudc insistendo sopra i

giuramenti.

Ho consecrali molti giorni a consolare la fedele

adunanza vostra, nè tuttavia smetterò codesto argomen-

to, e finché rimanga la piaga della tristezza, adoprerom-

mi ad apprestare il rimedio della consolazione. E se i

medici lasciano di curare le ferite ilei corpo allora solo

che veggano del tutto estinto il dolore: questo con più

ragione convien si faccia nelle ferite dell anima. E una

ferita dellaniina la tristezza, dunque è d’uopo di con-

tinuo con affettuose parole addolcirla. Nè poi la virtù

delle calde acque tanto giova d’ammorzare l’enfiagione

delle carni, quanto la soave abbondevolezza di favella

consolatrice ad allenire le angosce dello spirito. Qui non

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è d’uopo della spugna usata da’medici, ma della spugna

tien le veci la liugua;non è d’ uopo della fiamma che

l’ acqua riscaldi, ma invece della fiamma adopreremo la

grazia dello spirito. Su dunque sia questo lo scopo an-

che dell’ odierno ragionamento;che s’ io non valgo ad

arrecarvi alcun conforto, d’ onde avranno il conveniente

sollievo le vostre angosce? I giudici spaventano consolino

dunque i sacerdoti : minacciano i magistrati, dunque la

chiesa rassicuri. Questo è quel clic avvien dei fanciulli:

i maestri li sgridano, li percuotono e li rimandano la-

gninosi alte proprie madri*, le madri poi accogliendoli

al seno e affettuosamente comprimendoli, tergendo loro

dagli occhi il pianto, li baciano e la dolente lor anima

racconsolano, cercando persuaderli del vantaggio che ri-

trar possono dal timor dei precetti. Poiché dunque i

magistrati v’intimorirono, e vi gettarono nell’ambascia*,

la chiesa eh’ è nostra madre comune ne dischiuse il suo

seno, e stendendo ciascun giorno le sue braccia amore-

voli, ne aspetta a ricevere i suoi conforti, e ne dice es-

ser utile lo spavento destatoci dai magistrati, utili le

consolazioni che di qui ne derivano;chè il timore non

permette che nella infingardaggine ci stemperiamo, le

consolazioni non ci lasciano soggiacere alla tristezza, e

Iddio, che servesi di quello, e di queste, va preparan-

doci alla salvezza. Ch’ egli il Signore armò i magistrali a

spavento dei temerarii, elesse i sacerdoti a consolazion

degli afflitti : e che ciò sia vero, gli esempi delle scritture

e la continua esperienza cel provano. Che se trovandosi

i magistrati con le milizie loro in sull’ armi, pure il

furore di pochi rivoltosi e di alcuni stranieri in brevi

istanti valse ad eccitare un vastissimo incendio e solle-

varne d’ attorno sì gran procella, da farci temere, l’ uni-

versale naufragio; a che mai non sarebbero que’furibondi

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pervenuti, come avesser potuto dal timore de’magistrati

francarsi interamente ? avrebbero fino dalle fondamenta

sovvertita questa ciltade, e, ponendo tutto a soqquadro,

ci avrebbero alla per fine privati della esistenza. Se to-

gliete infatti i giudicii do’tribunali togliete con essi l’or-

dine intero della società *, come se levate dalla nave il

pilota la sommergete, e se dispogliate l’esercito del ca-

pitano è lo stesso che dar i soldati in balìa dell’inimico.

Così è: manchino le città di magistrature e noi condur-

remo vita più irragionevole delle irragionevoli fiere, la-

cerandoci gli uni gli altri, essendo dal più potente il

più povero, dal più temerario il più mansueto divorato.

Di questi giorni però niuna di simili ingiustizie si com-

mette, che, ove ci raccogliamo in braccio della religione,

non abbiam d’uopo d’altro freno che ne governi: poiché

sta scritto: che la legge non sì promulga pei giusti (i).

Non pochi tuttavia inchinevoli al male, se colti non erano

dallo spavento della soprastante minaccia, avrebbero tutta

con gravissimi danni la città desolata. Nè codeste con-

seguenze sfuggivano all’apostolo Paolo allor che disse :

Non v è potere che non venga da Dio,e qualunque

legittima sovranitade ritrovasi è da Dio costituita (2).

Quel vantaggio che porta l’ union delle travi negli edifi-

co, lo portano i magistrati nelle città;e di quella guisa

che al togliersi delle travi, le disciolte pareti ripiombano

sopra se 6lesse -, non altrimenti, se tolgansi i magistrati

ed il timore che incutono, c le famiglie, e le città e le

nazioni licenziosamente disfrenandosi si sfascieranno,

non essendovi alcuno che valga a contenerle, a correg-

gerle, a persuadernele ad achetarsi sotto il timor del ga-

stigo. Non corrucciamoci adunque, o miei diletti, per la

(1) S. Paolo a Timoleo I, c. 3, v. 9.

(2) S- Paolo ai Romani XIII. 1.

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SI

tema che ne viene dai magistrati, ma rendiam grazie »

Dio che n’ abbia désto dall’ infingardaggine nostra, e ne

abbia fatto operosi nel bene. Qual danno infatti deri*

varne dalla diligenza e dalla sollecitudine usata? Siam

divenuti più onesti, più mansueti, più raccolti ed atten*

ti: non vediam più alcun ubbriaco intuonare oscene

canzoni, ma invece un continuo avvicendarsi di voti, di

lagrime, di preghiere: cessarono le risa importune, le

sconcie parole ad ogni maniera d’impudicizia, e la don-

na modesta e saggia è l’esempio della cittade intera

imitato. Vi dolete forse per questo? ma è d’ uopo per

lo contrario che vi rallegriate, a Dio offerendo i vostri

ringraziamenti, perchè sotto alla minaccia di pochi gior-

ni ha dileguato quel torpore che su di voi grandemente

pesava. Ciò non possiam negare, soggiugnerete, ma per

nostro profitto sarebbe stato bastevole lo arrestarci al

timor del pericolo, ora poi paventiamo il progredire

della minaccia e il rischio estremo a cui siamo esposti :

ma, perchè non temiate, l’apostolo Paolo vi conforta

col dirvi : Iddio vi dàfedele promessa che non permet-

terà che le prove superino le vostreforze,ma farà in

modo che negli assalti delle tentazioni crescano, affin-

chè possiate sostenerli,mentre fu egli che disse non ti

lascierò,nè ti abbandonerò giammai ( i ). Che s’ egli

avesse voluto, servendosi di questi mezzi, farne cadere

sotto alla gravezza dei mali minacciati, non ci avrebbe

per tanti giorni lasciati in preda al timore;poich’egli

spaventa allora che non vuole che soccombiamo al ga-

sligo. Come infatti avesse propriamente deciso di puni-

re, a che varrebbero i timori, a che le minaccie? Noi

da qualche tempo abbiam trascinato una vita peggiore

(1) S. Paolo ai Corinti X. 13.

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di mille morti, e durammo gl’interi giorni nella paura,

nel tremito, nel paventare le stesse ombre, pagando la

pena medesima di Caino e sorgendo di mezzo al sonno per

la continua angoscia che ne opprimeva;cosicché, quan-

d’anche avessimo irritato il Signore, col pagarne un

fio si amaro, ce lo avrem ritornato propizio;e se tutta-

via la soddisfazione non fosse pari alla colpa, pur baste-

vole sarebbe alla divina clemenza.

Nè sopra di ciò soltanto, ma sopra ben altri motivi

molti fondar si deve la confidenza nostra; che a quest’ora

il Signore ne offerse caparre non lievi di consolazione, e

la prima di tutte si è che i portatori dell’ infausta no-

vella partitisi di qui come avessero l’ ale a’ fianchi,

credevano di giugnere in breve al campo, e invece

indugiano tuttora circa la metà della strada;

tanti

furono gli ostacoli e gl’ impedimenti che lor si frap-

posero;ond’ è che, lasciati i cavalli, or vengono por-

tati innanzi da traini, per cui è d’ uopo che il loro viag-

gio sia ritardato di molto. Poiché infatti il Signore ecci-

tò il nostro vescovo e cornun padre, e lo persuase ad im-

prendere ed assumere sopra se stesso un’ambasciata a

nostro favore, ritenne gli altri a mezzo il viaggio, affin-

chè prevenendolo non accendessero il foco, e non faces-

sero che tornasse inutile ogni rimostranza del nostro

proteggitore alle regali orecchie di già infiammate. Che

poi cotesto ritardo fosse posto propriamente da Dio, si

appalesa da ciò, che degli uomini che in simili pellegri-

naggi tutta trascorrono la propria vita, ed hanno per

continua occupazione il maneggiar de’ cavalli, ora venis-

ser meno per istancliezza del cavalcare, e succedesse

tutto il contrario di quello che avvenne a Giona;men-

tr’esso fu spinto da Dio quando ricusava d’ andarsene,

e questi che andar vorrebbero sono impediti. O nuovo

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prodigio ed ammirabile veramente! Quegli non voleva

predicare un sovvertimento e il Signore contro sua vo-

glia vel trasse, questi affrettano, onde recare l’annuncio

di sovversione, e il Signore loro malgrado li ferma. Equal n’è il motivo pertanto? che qui la sollecitudine

convertivasi in danno, là invece portava conforto, e quin-

di Giona per mezzo della balena affrettossi ed i messag-

geri furono da’ cavalli arrestati. Vedete sapienza di Dio!

Quel mezzo, per cui ciascuno la maggior celeritade at-

tendessi,

fu causa a ciascuno d’ impedimento. Giona

pensò di sottrarsi valendosi di una nave, e la nave,

divenne suo inciampo;questi sperarono di presentarsi

più presto allo imperatore portati da’cavalii, ed i ca-

valli servirono di ostacolo-, anzi non i cavalli a questi,

come a Giona non fu la nave, sibbene la provvidenza

divina, che a seconda del suo sapere infinito ordina tut-

te cose. Esaminate poi le vie per cui la provvidenza ne

apportò spavento e consolazione; il giorno in che si com-

misero tapti delitti permise a’ messaggeri di uscirsene,

come fossero per raccontar tutto allo imperatore, e per

ciò atterrì ciascuno colla celerità della lor dipartita. Madove se n’andarono, e due e tre giorni trascorsero, sì

che giudicavano inutile l’ ambasciata del nostro vescovo,

come quegli ch’.era per giugnere dopo di essi, allora di-

leguò in parte, confortandone, lo spavento, e li tratten-

ne, come dissi, a metà del viaggio; facendosi che quelli

che a noi sen venivano ci fossero annunciatori delle tra-

versie che loro avvennero per istrada, affinchè respiras-

simo un poco; e ciò appunto veriGcossi mentre d’assai

si acchetarono le nostre angosce. Inteso appena cotesto

annuncio, riconosceremmo Iddio per autore di tutto,

Iddio che più sollecito di qualunque padre agli avveni-

menti provvide che ci risguardano col suo potere invi-

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sibile, que’ messaggeri funesti soffermando e solo rite-

nendosi dall’ esclamare : A che vi affrettate ? Perchè af-

faticarvi cotanto a distruggere volonterosi mia tale città ?

Forse è lieto l’ annuncio che al re vi porta ? Costì fer-

matevi, fin a che ottenga dal mio servo che quasi medico

all’uopo opportunissimo lasciandovi addietro nel viaggio,

vi prevenga. Che se, allorquando inaspriva la piaga della

prevaricazione, ci venne offerto sì gran pegno di prov-

videnza •, è facile argomentare che maggior calma conce-

derassi dopo la conversione,dopo la penitenza, lo spavento,

le lagrime e le preghiere. A Giona tornava opportunissi-

mo lo sprone, perchè doveva richiamare a penitenza, mavoi già offriste un grand’ esempio di penitenza e di con-

versione*, quindi abbisognate di couforto, e non d’ unmessaggere che vi minacci. A quest’uopo pertanto il co-

mun nostro proteggitore eccitava, e lo eccitava quando

molti erano gli ostacoli: che se non avesse avuto riguar-

do alla nostra salvezza non lo avrebbe tratto a determi-

narsi ma gli avrebbe anzi impedito di uscire quando

pur egli il volesse.

JVli soccorre un terzo argomento che può destarvi

a speranza, ed è la presente solennità (i), che quasi

tutti gl’ infedeli medesimi rispettano, e il nostro religio-

so imperatore osservata la volle ed onorata in guisa da

superare in questa parte nella pietà quanti imperatori

lo precedettero. Di questi giorni infatti avendoci inviata

una lettera a maggior decoro di tanta festa, volle con es-

sa che si ponessero in libertà quasi tutti coloro che sta-

vano in carcere; e, tosto che gli sarà data udienza, il

nostro vescovo leggerà questa lettera all’imperatore, e,

richiamandolo a’ suoi proprii statuti, diràgli : Prendi da

(1) Ricorrevano allora le feste Pasquali.

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le consiglio, e di te stesso ricordati, che ti sta dappres-

so un esempio di misericordia, per cui, non volendo che

una giusta uccisione si consumasse, soffrirai che un in-

giusta s’ adempia ? Per molto rispetto alla solennità la*

sciasti liberi que’ eh’ erano convinti e condannati;c con-

dannerai gl’innocenti che nulla osarono in special guisa

ne’ giorni stessi solenni ? Questo non avverrà, o impe-

ratore.

Tu nell’ inviare cotesta lettera a tutte le città di-

cevi: Oh mi fosse dato di far si che risorgessero ancora

t morti ! adesso di sì grande pietade e di queste ma-

gnifiche parole abbisogniamo. I re nel vincere gl’inimici

non acquistano gloria pari a quella che hanno nel domar

le passioni e gli accessi del proprio sdegno*,che là ri-

chiedesi il soccorso dell’ armi e de’ soldati, qui invece

tutto è trionfo di un solo, e non v’è alcuno che venga

a dividere la gloria della sapienza col vincitore. Sape-

sti frenare le barbariche rivolte, frena dunque anco

la regai ira;ed apprendano gl’ infedeli tutti che il

timore di Cristo basta a tener soggetta ogni potenza.

Rendi gloria al tuo Signore, perdonando le colpe

de’ tuoi fratelli, affiuch’egli pure ti faccia più sempre

glorioso, e nel giorno del giudicio ricordevole della tua

clemenza ti volga uno sguardo pacifico e benigno. Que-

ste ed altre più cose dirà egli, ed interamente ci sot-

trarrà allo sdegno regale. Per quanto poi riguarda noi

stessi, non solo questo digiuno ci è di grandissimo aju-

to a persuadere l’imperatore, ma ne giova anco a sop-

portare con generosità le presenti sventure;mentre non

è lieve il conforto che dalle odierne pratiche riceviamo.

Molle angosce infatti ci vengono scemate dall’ unirci

che facciamo in ciascun giorno, dal fruire della spiega-

zione delle divine scritture, dal vederci e piagnere e

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pregare a vicenda, e dal ritornarcene a casa dopo la

ricevuta benedizione. Non ci lasciamo adunque cadere

di animo, nè ci spinga il timore a tradire noi stessi-, masoffermiamci nella speranza del bene e prestiamo orec-

chio agl’insegnamenti*, poiché oggi pure bramo discor-

rervi nuovamente intorno al disprezzo della morte. Ie-

ri vi dissi che temiamo la morte, non già perch’essa

è terribile, sibbene perchè 1’ amore del regno di Dio

non c’ inGamma nè lo spavento dello inferno ci assa-

le ed anche perchè non abbiamo una retta coscienza.

Volete forse che ricordi il quarto motivo di un’ angoscia

così importuna non meno verace degli accennati? Nonsi vive con quella austerità che ad uomini cristiani con-

verrebbe, ed amiamo invece una vita facile, molle, dis-

soluta-, quindi è che agevolmente le cose di quaggiù

ne lusingano. Che se invece trascorressimo i nostri

giorni fra i digiuni, le veglie, la scarsezza del cibo-, se

troncassimo le brutali nostre cupidigie, se allontanassi-

mo la volultade e reggessimo ai sudori delle virtù, se ad

esempio di Paolo, gastigando il nostro corpo e riducen-

dolo in servitude, non giudicassimo che la carne ci

fosse data a sfogo de’ malvagi desidero, ma tenessimo

UDa strada scabrosa ed angusta assai, tosto colle brame

ci affretteremo all’avvenire, anelando di liberarci dalle

molte angustie presenti. E a comprendere che non è

fallace il mio linguaggio,

vi basti di salire sulle vette

de’ monti, e considerar ivi que’cenobiti che vestono di

sacco, che vivono in mezzo a cilicii, a digiuni, a tenebre

e li vedrete tutti desiderosi della morte chiamandola il

proprio riposo. Conciossiacbè di quella guisa che il

pugnatore è sollecito di uscir dall’agone, per sottrarsi

alle percosse, e l’ atleta brama che sorgano gli spettatori

per cessare dalle durissime sue fatichej

così quegli che

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virtuosamente vive di una vita aspra ed austera, guarda

con piacere al suo fine, perchè viene tolto alle presenti

angustie, adergendosi nella confidenza delle preparate

corone;mentre si dirige ad un porto tranquillo, ed ap-

proda là dove non v’ è più da temere alcuu naufragio.

Quindi è che Dio ci preparò quaggiù una vita natural-

mente faticosa e grave, affinchè, dai travagli d’ogni di

stimolati, del desiderio c’ infiammassimo del futuro. Che

se, mentre incorriamo con tanta frequenza nelle sventu-

re, nei pericoli, nei timori, nelle sollecitudini che ovun-

que ne circondano, sì volentieri ci tratteniamo in questa

vita;dove non vi fosse nulla di tutto questo, dove sen-

za alcuna tristezza e travaglio tutti discorressero i nostri

giorni, quando mai nascerebbe in noi la brama dell’ av-

venire ?

Iddio non diportossi altrimenti cogli ebrei, poiché

volendoli trarre al desiderio della partenza e persuadere

all’abborrimento dell7

Egitto, permise che condannati

fossero a’ lavori de' mattoni e della creta;

acciò dalla

gravezza travagliati di tante tribolazioni e fatiche, di

nuovo a Dio convertendosi, lui chiamassero in ajuto.

Che se, di là usciti dopo le sofferte ambasce, pur si

richiamarono alla memoria dell’ Egitto e della schiavitù

primitiva, e avrebbero voluto piegar di nuovo il collo a

quel tirannico giogo; quando mai, se non avessero spe-

rimentato la fierezza di que’ barbari, sarebbersi persuasi

ad abbandonare quella regione straniera ? Perchè dunque

anche noi attaccati alla terra ed avidi del presente non

avessimo a marcire nella infingardaggine ed obbliare il

futuro, ci fu dal Signore dato in retaggio un vivere

pieno d'angustie. Lo attendere pertanto alle cose di

quaggiù non oltrepassi i limiti prescritti. Infatti, qual

mai profitto cen viene ? quale ricchezza maggiore dalla

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soverchia bramosìa del presente ? Volete sapere coinè

giovi la vita d’ oggidì? Giova in quanto si fa argomento

ed occasione della futura, ed è come uno stadio per

l’acquisto delle corone; che se non avesse questo di

bene, sarebbe di mille morti più triste, e se vivendo

non avessimo a meritarci l’amicizia di Dio, sarebbe d’as-

sai meglio il morire. Che v’ha di più? che ci resta di

avvantaggio? Non è forse il medesimo sole e la mede-

sima luna che noi veggiamo? Il verno e la state non si

succedono forse ad un medesimo modo ? Non è lo stesso

il corso di nostra vita? Che cosa è mai ciò che fa? Lostesso di quello che sarà ? Quali sono le sofferte vicen-

de ? le medesime di quelle che avverranno ( i ). Non è

dunque che abbiamo a stimare felici que’ che vivono e

a piagnere sopra i morenti;invece le nostre lagrime si

riservino per coloro, che, sien vivi o morti, soggiacciono

al peso delle colpe;e giudichiamo felici, ovunque si

trovino, coloro che vivono nella giustizia. Voi trepidate

e piagnete per una sol morte : ma Paolo che moria cia-

scun giorno, invece di versar lagrime, rompeva in gau-

dio ed esultazione. Oh mi fosse dato, esclamava Egli, di

espormi per Iddio a più gravi cimenti e non prenderne

alcun pensiero! E perciò che neppur voi di presente

dovete affliggervi, mentre non è solo colui che soffre

per Iddio che meriti premio, ma sì lo merita que-

gli pure che, soggetto ad ingiuste persecuzioni, le sop-

porta generosamente,

e rende grazie a Dio che le

permette*, poich’Egli non ò per nulla meno stimabile di

colui che in accrescimento della divina gloria patisce.

Anche il bealo Giobbe fu colpito di molle, intollerabili

tribolazioni che indarno, e impudentemente, e senza

(1) L’ Ecclesiaste I. 9.

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motivo insidiavanlo;ma perchè fu pazientissimo nel

soffrire, perchè ringraziò Dio, senza cui permissione

nulla avea luogo, così intatta fu la corona eh’ egli mer-

cossi. Non vi rattristate pertanto della morte, ch’ella è

necessario effetto della natura; sì rattristatevi dei peccati

che sono altrettanti mancamenti di volontà. Che se volete

piagnere sopra i morti, piagnete pur anco sopra quelli

che nascono; mentre questo, come l’altro, è un fatto

puramente naturale. Quindi, ove succeda che alcuno vi

minacci della morte, rispondetegli : Cristo c’ insegnò di

non temere coloro che tolgono al corpo la vita, ma poi

togliere non la possono all’ anima. Ove della perdita vi

minacci delle sostanze, rispondete: Nudo. me ne uscii

dal ventre di mia madre, e nudo ritornerovvi ( i ). Connoi non abbiam nulla portato in questo mondo, ed è

certo che non potremmo portare nulla fuori di esso.

Che se non vi dispoglierete di per voi, verrà a dispo-

gliarvene la morte;se non morrete in faccia a voi stes-

si, la legge della natura verrà portando seco il vostro

fine. Cessi adunque il timore di ciò che naturalmente

succede, e quello temiamo che dalla volontà malvagia

deriva; poiché per questo ci è preparato il gastigo. Ein quelle sventure che d’improvviso ci piomban sopra

pensiamo di continuo che, quand’ anche ci lasciassimo

cogliere per esse dalla più grave angoscia, non le ren-

diara più miti, e quindi cesserem d’ angustiarci;inoltre

pensiamo ancora che se ora sopportiamo ingiustamen-

te alcun male, nella sofferenza ci è dato di purgare

le nostre colpe. È senza dubbio un grande vantaggio il

poter soddisfare alla pena quaggiù, anziché nell’ altra

(1) Giobbe II. 21. Dove nella Volgala ci stanno le parole adtumulum, mancano al Crisostomo che dice unicamente: x*c yupyft

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vita *, poiché quel ricco che qui non avea nulla sofferto,

era di là crucciato. E che questo fosse veramente il mo-tivo per cui non godeva conforto alcuno è Abramo che

ve lo dice, ascoltatelo: Figliuolo ricevesti i beni che ti

spettavano,ora dunque ricevi i tormenti (i). Che poi

Lazzaro fosse ricolmo di beni per ciò che pazientemente

avea sofferto i mali innumerevoli. Di questa vita è il

patriarca medesimo che ne lo accenna. Poiché infatti

egli disse al ricco : Ricevesti i beni che li spettavano :

soggiunse, e Lazzaro i mali,quindi ora ne ricevi i

conforti. Ed è pur vero, che, dove gli uomini che vivo-

no nelle tribolazioni e nella virtù si procacciano undoppio premio, quelli per lo contrario che fruiscono dei

piaceri e sono viziosi avranno un doppio gastigo. Ripi-

glio pertanto, non accusando i fuggitivi, poiché sta scrit-

to: Non conturberai F anima afflitta (2); non per bra-

ma di rimproverarvi, poiché 1’ ammalato ha d’ uopo di

consolazione}ma sì per desiderio di correggervi, che

non dobbiamo riporre la nostra salvezza nel darci alla

fuga, ma nella fuga sibbene delle colpe e nel richiamo

dalle vie della iniquitade. Se farem ciò, per quantunque

fossimo cinti da schiere innumerevoli, non temeremo

offesa che sia : ma se ricuseremo di farlo, quando ascen-

dessimo in sulla vetta dei monti, numerosissimi anche

là ci si farebbero contro i nemici. Di nuovo adunque

ricordatevi di que’ tre fanciulli che, posti in mezzo alla

fornace, non provarono patimento alcuno, e di coloro che

ve li aveano lanciati, i quali rimanendo fuori della forna-

ce, vennero tutti quant’erano dalle damme consunti. V’è

forse alcun fatto più maraviglioso di questo? Il foco lasciò

(1) S. Luca XVI. 25.

(2) L’ Ecclesiastico IV. 3.

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intatti coloro che ardevano nel suo seno, e gli altri, che

erano esclusi consunse! perchè dunque apprendiate che

non il luogo, ma la qualità de’ costumi è causa di sal-

vezza o gastigo, per ciò si sottrassero gli ardenti nel

mezzo e furono arsi quelli che se ne stavano al di fuori.

E gli uni e gli altri aveano i corpi medesimi, non però

i medesimi sentimenti, dunque non doveano esser pari

le tribolazioni. Di fatto, ove si ponga il fieno allo intor-

no, anche ad una qualche distanza celeremente divam-

pa;ma l’ oro per lo contrario, benché lanciato nel cen-

tro, più brillante apparisce.

Dove son ora que’ che vanno dicendo : l’ impera-

tore si pigli tutto, purché lasci libero il nostro corpo?

apprendan essi che cosa vogliasi dire cotesta libertà del

corpo;poiché non è l’andar immuni dal supplicio che

renda libero il corpo, sibbene il vivere continuamente

nella giustizia. I corpi adunque di que’fanciulli erano li-

beri, anche lanciati nella lomace, mentre non erano op-

pressi dalla schiavitù della colpa. E questa la sola vera-

ce libertà, non quella di schivare un supplicio, o di non

soffrire alcuu che di penoso. Quando poi udite il nomedi fornace ricordatevi il torrente di fuoco in quei dì tre-

mendo apparecchiato*, e come nella fornace gli uni fu-

rono arsi, gli altri rispettati,così avverrà di que’ torrenti

e se ritroverassi chi abbia delle legna, del fieno, delle

stoppie, questi sarà materia di foco; se invece porterà

seco dell’oro e dell’argento diverrà più raggiante. Que-

sta sia dunque la materia da noi raccolta, sopportando

generosamente le angustie ch’ora ci affliggono, sapendo,

se vogliam ragionare davvero, che le tribolazioni di

quaggiù ne liberano da’ gastighi eterni, c, se attendiam

bene, rendono migliori non solo noi, ma di spesso quelli

ancor che ne crucciano. E sì grande il potere di questa

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A 2

filosofia, potere che anco allora in quel tiranno verificos-

si. Udite, com’Egli, poiché vide che non aveano sofferto

alcun danno, si cangiasse. O servi deir Altissimo Iddio,

esclamò, uscite e fatevi innanzi (i). Forse non era lo

stesso che poco prima diceva: Qual v'ha Dio che vi

possa togliere dalle mie mani? Che avvenne inai ? d’on-

de tal mutamento? Vedesti divorati coloro che fuor se

ne stavano, e chiami quelli eh’ eran posti uel mezzo?

Qual mai fantastico sogno ti coglie? Pensaste bene al

cangiamento nel Re operato ? Allorché non aveali ancora

avvinti, bestemmiava; poiché li ebbe nelle fiamme lan-

ciati, s’accinse a pensare maturamente. Iddio quindi

permise che si adempiesse quel tutto che voleva il ti-

ranno, affinchè apparisce chiaramente che niuno poteva

offendere coloro che raccolti erano sotto alla sua custo-

dia, e rinnovò con essi quanto aveva operato con Giobbe.

Lasciò infatti che il demonio contro di lui tutta esauris-

se la sua potenza, e posciachè vuotò gli strali e non gli

rimase più mezzo alcuno alle insidie, allora trasse dall’a-

rena il pugillatore, onde rendere incontrastabile e lumi-

nosa la sua vittoria, nè diversamente diportossi co’ tre

fanciulli. Volle il tiranno sovvertire la città loro, e Iddio

noi vietò : volle condurli captivi e non lo impedì: volle

circondarli di funi e il concesse: lanciar li volle nella for-

nace e il permise : volle che sì accendessero oltre misura

le fiamme e non si oppose : ma quando null’allro rima-

neva, e vuotato si era interamente il vase della vendetta

allora Iddio fe’ trionfare la sua potenza e la virtù de’fan-

ciulli. Conoscete pertanto che il Signore tollerò che fino

all’estremo giugnessero le tribolazioni, affinchè agl’insi-

diatori la sapienza degl’ insidiali si manifestasse e la

(1) Daniele III, 27.

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provvidenza sua. E l’una e l’altra ben apprendeva il ti-

ranno esclamando: O servi delF Altissimo iddio uscite

e fatevi innanzi. Voi però attendete al magnanimo di

portarsi di que’ fanciulli : Pria d1

allora non diedero un

grido per non far credere che temessero il foco, chiamali

entro non si trattennero d’ avvantaggio per non parere

colerici ed ambiziosi. Poiché, ripetono, apprendesti di

chi siam servi, poiché tu hai conosciuto il nostro padro-

ne, usciamo al cospetto di tutti, ond’ essere i banditori

della divina onnipotenza : nè soltanto essi lo furono, cliò

l’inimico medesimo con le proprie esclamazioni e paro-

le e per via di lettere ovunque predicava la costanza

de’ campioni e la virtù de’ combattenti. E come i ban-

ditori nel proferire in mezzo del circo il nome degli at-

leti vittoriosi, quello pure del lor paese ricordano, allor-

ché dicono che alia tal cittade appartiene *, non altrimenti

anche il tiranno il nome del Signore loro annunciava c-

sclamando: O Sidrach,Misach

,Abdenago servi deliAl-

tissimo Iddio uscite e fatevi innanzi. E perchè mai tu

li chiami servi del Signore? non eran forse tuoi ser-

vi ? Ma, soggiugni, distrussero il mio regno, calcarono

la mia superbia, e fecero col fatto palese il vero Iddio

loro. Se fossero stati i servi degli uomini il foco non li

avrebbe temuti, la fiamma non avrebbeli rispettati, che

le create cose prestar non saono riverenza ed onore ai

servi degli uomini. Quindi ripete di nuovo: Benedetto

il Signore di Sidrach,Misach

,ed Abdenago. Voi però

osservate come dapprima celebri il proteggilore : Bene-

detto il Dio che mandò il suo angelo e fa salvi i fi-

gliuoli suoi. E questa l’opera della potenza divina, masia glorificata anco la virtù degli atleti. Perchè confida-

rono in esso, al rogai comando non si piegarono,ed

offersero il proprio corpo in balia dei tormenti per non

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servire agii dei stranieri (i). E v’ha forse cosa che reg-

ger possa al paraggio della virtude ? Allor che dissero in

pria: Non serviamo agli dei stranieri,

si accese con

maggiore intensità la fornace;ora poi che il dimostraron

col l'atto non solo non isdegnossi, ma soggetto li fe’d’en-

comio ed ammi razione, perchè non obbedirono a’ suoi

comandi. La virtù adunque è sì gran bene che si cattiva

gli elogi e le meraviglie de’ suoi nemici medesimi. Essi

pugnarono e vinsero, ed il Re vinto rendeva grazie, per-

chè la vista delle fiamme non li avesse atterriti, ma in-

vece nella speranza del Signore si fossero confortati : e

dai tre fanciulli apprende a chiamarlo il Signore dell’ u-

niverso, senza por limite alcuno al suo impero, quasiché

tre fanciulli fossero il mondo tutto. Quindi lasciando ad-

dietro i tiranni, i re, i principi tutti che al suo cenno

aveano obbedito, ammira tre servi e prigionieri che di-

sprezzarono la tirannica sua potenza. Nè questo era il frut-

to delle contese, ma della sapienza loro, non dell’ arro-

ganza, ma della religione, non di un eccesso di superbia

ma di una profonda penetrazione di carità. Oh adunque

il gran bene eh’ è quello di sperar nel Signore ! Lo co-

nobbe pur egli il crudele tiranno, e dimostrando che per

questo eransi all’ imminente pericolo sottratti, esclamò :

Sottraronsi perchè in Dio confidarono.

Di presente cotcste cose io v’accenno, e percorro

tutte le storie nelle quali si parla di tentazioni, di sven-

ture, di regali ire e d’ insidie, affinchè nuli’ altro temia-

mo che l’offesa di Dio. Anche allora accesa era una for-

nace •, ma l’accesa fornace disprezzarono, e temettero

in quella vece la colpa, sapendo, che, quando pure fos-

sero orsi, non avrebbero nulla di male veramente pali-

ci )Daniele III, 19.

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10 ;mentre, operando la iniquitade, meritato avrebbero

11 daDno estremo. Se tuttavia non soffrissimo gastigo di

sorta, pure il peccato sarebbe un grave snppIicio di per

se stesso; di quella guisa che sotto ai patimenti medesi-

mi ritrovasi la gloria e la tranquillità più invidiabile nel

vivere virtuosamente. Le colpe infatti ne separano da

Dio, com’egli medesimo il dice: forse le vostre colpe

tra me e voi non pongono il muro della separazione (i )?

I patimenti per lo contrario ne riconducono a Dio, di-

cendo per la stessa sua bocca : Donaci al/in la pace chè

ormai ci guidasti per ogni via (2). Se v’ha chi afflitto sia

d’una piaga, deve temere la putrescenza, o il taglio della

mano chirurgica? il ferro, o il continuo rodere della cancre-

na? Il peccato è la marcia corrompitrice, il gastigo è il ferro

medicinale. Allo stesso modo pertanto che malamente la

si comporta colui che ha una putrida piaga per quan-

tunque non se la tagli, e piega alla peggio allora appun-

to che non la taglia;anche quegli che pecca, per quan-

tunque nou venga punito, è tra gli uomini un infelice,

e più infelice è allora che non soffre nè patimento, nè

gastigo che sia. E come quelli che penano d’idrope o di

milza, quando siedono a larga mensa e con fredde be-

vande e dilicati e saporosi manicaretti si ristorano, ag-

gravano le proprie miserie, accrescendo con tali appe-

titose imbandigioni la malattia *, chè se invece obbedienti

alle mediche prescrizioni reggessero agli stimoli della

fame e della sete, avrebbero una qualche speranza di

guarigione; non altrimenti quelli che vivono nella mali-

zia, se vengano puniti aver possono una qualche lusinga

di riparare in salvo; ma se nella iniquitade vengono ab-

(1) Isaia LIX. 2.

(2) Isaia XXVI. 12.

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bandonali ai piaceri ed alla dissolutezza, sono più infe-

lici degl’idropici che si danno allo stravizzo; e tanto più

10 sono quanto l’anima è del corpo assai più preziosa.

Se pertanto vedrai degli uomini in braccio alle medesi-

me colpe, ed alcuni dalla continua fame, e da mali in-

numerevoli travagliati, altri ubbriaconi, baldanzosi, goz-

zoviglianti, pensa che di loro stan meglio quelli che più

patiscono;conciossiachè le fiamme de’ piaceri in mezzo

alle angustie si estinguono, e si raccoglieranno forse con

qualche confidenza, come si vedranno dappresso al fu-

turo giudicio ed al terribile tribunale di Dio, avendo

espiate molte iniquità nei patimenti di questa vita. Mabasta quel che dissi a vostro conforto; or è d’uopo con-

secrare ciò che resta del tempo nelle riflessioni intorno

alla fuga dei giuramenti, onde togliere quelle freddissime

ed inutili scuse, che addur sogliono gli spergiuri. Allor-

ché infatti ci facciamo a riprenderli, ne mettono innanzi

molti altri che fanno lo stesso, e dicono: e questi, e quelli

giurano anch’essi. E noi ripiglieremo controdi loro:

ma v’hanno e questi e quelli che non giurano. Il Signo-

re poi nel suo giudicio metterà in piena luce coloro che

operarono il bene, e dove i peccatori che furono mal-

vagio esempio d’ iniquità non possono giovare di nulla

que’ tutti che l’ imitarono; gli altri, che rettamente vis-

sero, serviranno ai peccatori medesimi di condanna.

Furon molti quelli che non diedero da mangiare e da

bere a Cristo; ma perciò non si prestarono alcun soccor-

so a vicenda;di quella guisa che nè anco le cinque ver-

gini non poterono 1’ una per l’altra ottenere il perdono,

mentre fu diversa la condizione di chi diportossi giusta

11 dovere; e quindi le imprudenti egli avari soggiacquero

al gasligo ed alla meritata condanna. Francali adunque

da questa miserabile scusa, non guardiamo a coloro che

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caddero, sibbeue a quelli che si tennero diritti, e cer-

chiamo di profittare del digiuno di questi giorni. E sic-

come non di rado ci risovviene il tempo in che abbiam

fatto acquisto d1

una veste, d’ un servo, d’ un vase pre-

zioso, e andiam tratto tratto dicendo: nella tal festa ho

comperato quel servo, nel tal giorno mi sou provveduto

di quel vestito: non altrimenti, allorché sarà per noi

adempiuta cotesta legge, andremo dicendo. In questa

quaresima appresi a correggere i giuramenti, fino ad

essa ho giurato, ma tosto che udii le giuste riprensioni,

mi astenni dalla colpa. Pure è cosa assai difficile a cor-

reggersi la consuetudine. Lo conosco anch’io, e perciò

vi affretto ad assumere un’altra consuetudine che sia

buona e vi apporti grande vantaggio. Àllor che dite : è

cosa ardua molto lasciare la consuetudine, procurate in-

siemi di lasciarla, sapendo che, se incontrerete 1’ altra

consuetudine di non giurare giammai, non avrete più

d’ uopo di fatica che sia. È più difficile il non giurare, o

reggere ai latrati della fame per tutto un giorno, e rima-

nersi col bever acqua ed assaggiar poco cibo ? Certo è

che questa è maggior pena di quella : eppure la consue-

tudine torna agevole e pronta sì che al sopravvenir del

digiuno, per quantunque ripetutamente veniamo solle-

citati anco a forza a prendere un po’ di vino, o a gu-

stare alcun che dalla legge proibito, siamo disposti a

soffrir tutto, anziché approfittarci del vietato nutrimen-

to. E quand’ anco siamo tratti dal piacere sensibile verso

le imbandigioni, nullameno per consuetudine che ne

viene dalla coscienza, resistiamo nostro malgrado a tutto

generosamente. Lo stesso avverrà pure nei giuramenti;

e com’ ora conservate la consuetudine vostra sotto alla

più grande necessità che in contrario alcuno mai v’ im-

ponesse-, così in appresso dalla consuetudine non vi

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/. 8

richiamante,quando pur foste le mille volte solleci-

tati.

Portatevi frattanto a casa e ripetete quello che

udiste a’ vostri famigliari tutti;e come spesso molti ri-

tornando dai prati colgono una rosa, una viola od alcun

altro fiore, e sen vanno portandolo fra le dita} altri poi,

uscendo dal recinto delle piante, svelgono qualche ramo

di dove pendano le fruita, ed altri infine, levandosi dai

sontuosi banchetti, raccolgono pei congiunti ciò che del-

P apparecchio posero in serbo; così parimenti ancor voi,

allontanandovi di qua, riportate a’ figli, alla moglie, ai

vicini i ricevuti ammaestramenti; che questi ammaestra-

menti souo più utili dei prati, dei frutteti e della men-

sa. Queste rose non marciscono mai, queste frutta non

avvizzano, queste imbandigioni non si corrompono. Che

se dai fiori, dalle frutta e dalla mensa si coglie un tem-

poraneo diletto, qui è continua l’utilitade che ne deri-

va; nè il piacere della virtù nasce dopo l’adempimento,

ma nell’ atto medesimo di adempierla. Pensate adunque

che cosa vogliasi dir propriamente lasciar addietro tutte

le occupazioni e pubbliche e private per attendere uni-

camente alla legge di Dio e nella mensa, e nel foro, e

negli altri convegni. Se ci consacreremo a ciò, non vi

sarà per noi più nulla di periglioso e di nocevole, nè,

contro la volontà, peccheremo;e mentre la sventura ne

minaccia, profittando di questa maniera di ammaestra-

menti, potremo alla salvezza dell’ anima provvedere; nò

ci terrà più angustiati quella sollecitudine con che an-

davamo chiedendoci a vicenda. Le cose operate giunsero

ancora all’ orecchio dell’imperatore ? Si adirò egli? Qual

è mai la sentenza eh’ emise ? Trovossi alcuno che implo-

rasse mercè? Soffrirà poi che una città sì magnifica c

popolata si schianti interamente? Lasciamo la cura di

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À9

queste ed altre simili cose a Dio e procuriam solo di

adempiere i suoi precetti. Di questa guisa toglieremo

dal nostro capo ogni minaccia, e, quando fossero dieci

soltanto quelli che tra noi operassero il bene, in breve

que’ dieci diverran venti, i venti cinquanta, i cinquanta

cento, i cento diverran mille, i mille la città intera. Ecome dieci lampane accese potrebbero agevolmente dif-

fondere la luce per tutta la casa;non altrimenti nelle

cose dello spirito, se dieci soli vivranno da giusti, ba-

steranno ad accendere per tutta la cittade una pira di

tanta luce, che varrà ad apportare la sicurezza comune.

La natura infatti della Gamma non è sì pronta ad ac-

cendere le materie combustibili a cui dappresso si appi-

glia, come l’amore della virtù appigliatosi a poche anime

grado grado insinuandosi è pronto a pervadere la città

tutta. Concedetemi dunque eh’ io possa gloriarmi di voi

e nella vita presente e nella iutura, a cui, proGttandovi

degli affidati talenti verrete ammessi. A me delle fatiche

è bastevole mercede la vostra palma, e, se vedrovvi

tradurre i giorni vostri nella pietà religiosa, io ricevetti

tutto che mai sperava. Adempiete quindi ciò che jeri

vi annunciava, che oggi ripiglio, che non cesserò di

ripetervi mai : imponendo un’ equa ammenda contro a

quelli che giurano, un’ ammenda che vi torni non già

di danno, ma di vantaggio; preparatevi a darmi una

caparra del proGtto che traeste. Finita questa ora-

zione procurerò di portare in lungo un qualche discorso

con ciaccuno di voi, per vedere nelle molte parole se vi

siete corretti;e dove ne trovassi alcuno che tuttavia

giurasse, lo manifesterò a que’ tutti che si emendarono,

affinchè riprendendolo, sgridandolo, correggendolo, lo

si tolga in breve alla malvagia abitudine sua. È meglio

assai che rimproverato si richiami quaggiù, di quello che

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sia confuso e punito pubblicamente in quel giorno in

che alla presenza di tutto il mondo saranno svelate le

nostre colpe. Ma tolga il cielo che alcuno di questa

adunanza quel giorno si mostri in tante augosce: invece

mercè le preghiere de’ santi Padri cerchiamo convertirci

da tutte le nostre colpe, ed offrire copiose frutta di

virtù, onde partircene fiduciosi da questa vita per gra-

zia e misericordia del nostro Signor Gesù Cristo pel

quale e col quale insieme sia gloria al Padre ed allo

Spirito Santo per tutti i secoli de’ secoli. Così sia.

s

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OMELIA III

Fa conoscere come la tristezza torni soltanto profittevole a

cancellare le colpe, indi dopo di at>er accennato che le

Sante Scritture ammaestrano insieme e confortano, si

trattiene sopra quelle parole : Nel principio creò Iddio il

cielo e la terra; e sopra quelle altre Adamo dove sei? ed

in sul fine parla dei giuramenti.

Ieri e alla dilunga, e intorno a molti argomentitrattenni la pietosa adunanza vostra, che se, di tante cose

che si dissero, vi è difficile il ritenerle tutte, vi pregoalmeno di non dimenticarvi principalmente che Iddionon per altro ci volle afflitti, che per causa delle nostre

colpe, dimostrandocelo apertamente co’ medesimi fatti»

Ove il dolore e le nostre lagrime avessero per iscopo le

pene pecuniarie, le malattie, la morte ed altre sventuredi simil genere, non solo non ne ritrarremmo alcun con-

forto, ma per ciò stesso sarebbero aggravate di molto;mentre per lo contrario il dolore e le lagrime sopra le

nostre colpe, diminuiscono la grandezza delle colpe me-desime, e riduciamo a poco quello eh’ era gravissimo, e

non di rado Io cancelliamo interamente. Compiacetemi

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r,2

nel ricordarvi ciò di continuo, affinchè il dolor vostro

miri sempre il peccato senza eh’ abbia riguardo ad altra

cosa che sia, oltre a ciò guardate come il peccato, che

porta la tristezza e la morte in questa vita, venga dal-

l’una e l’altra distruttojlo che abbiam dimostrato colla

maggiore chiarezza superiormente. Non siavi pertanto

cosa da temersi come la prevaricazione e la colpa. Nontemiamo la pena per sottrarci alla per\a-i< in quella guisa

che i tre fanciulli non temettero la fori# ce, e andaron

salvi dalla fornace : chè tali conviene che siano i veri

servi di Dio. Che se coloro che furono ammaestrati nel

veochio testamento, quando non era ancor doma la

morte, nè infrante le porte di bronzo, nè stritolati i

ferrei cardini, offersero l’esempio di tanta eroica gene-

rosità in faccia alla morte;quale scusa avrem noi o qual

mai perdono, noi che dopo di aver ottenute grazie così

solenni, dopo che la morte rimase un nome ignudo

senza soggetto, non arriviamo ad uguagliare nella virtù

quegli antichi ? La morte infatti altro non è che un

sonno, un passaggio, una dipartila, un riposo, un tran-

quillo porto, una calma dai turbamenti, un disciogli-

mento dai travagli di questa vita. Ma qui si lascino le

parole di conforto, essendo già cinque giorni che mi

adopro a temperare il duolo della pietosa adunanza

vostra, sicché sembrerovvi molesto anche di troppo. Aque’ che sentono bene, è bastevole ciò che dissi, ma i

poveri di spirito non profitteranno, quand’ anche molte

altre cose potessi aggiugnere, ed è ornai tempo che

volgasi il mio discorso alla spiegazione delle sacre Scrit-

ture, poiché di quella guisa che taluno mi avrebbe dato

il nome di crudele ed inumano, se detto non avessi al-

cuna cosa intorno alla presente angustia, così il discor-

rere sempre di essa mi varrebbe a condanna di pusilla-

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dime. Affiliando pertauto a Dio i vostri cuori, a qual

Dio che può parlare al vostro intelletto e bandire dal

rostro seno ogni tristezza, passiamo a9solili insegna-

menti, in ispecial guisa dove la spiegazione di tutta la

Scrittura è un aiuto ed un continuo conforto.

Quindi, per quantunque sembri che cessi dal con-

solare, pure, venendo alla esposizione degli argomenti

scritturali, è d’ (,apo che alla materia stessa me ne ri-

torni. Ora poi i farò manifestamente conoscere cometutta la Scrittura serva di continua consolazione a quel-

li che ben vi pensano y nè volgendo qua e là le storie

scritturali, andrommi cercando o questo o quel sermoneconsolatorio, ma, per mettervi più evidentemente sotr

t’ occhio la proya dell’ assunto, sceglierò il libro che

abbiamo letto quest’ oggi, e se vi piace il principio edil proemio dello stesso, che a prima giunta parrebbe

non offrire vestigio alcuno di coasolazione, nè contene-

re in se un germe di confortevoli parole; e, tosto ?dr

docendolo, cercherò convincervi di quanto affermo. £qual è infatti codesto proemio? Eccolo: Nel principio

Iddio creò il cielo e la terra,ma questa era invisibile

e disadorna,e le tenebre si distendeano sopra F abis-

so (i). Di queste parole ve ne ha pur una che sembri

a voi contenere qualche alleviamento alla tristezza.9

Non è forse una narrazione isterica ed uno sviluppo

della creazione?

Bramate adunque che vi dimostri ove in queste

voci nascosto trovisi il conforto? Sorgete e fatevi dietro

attentamente a ciò ch'io sono per dire. Allor che venite

a conoscere che il cielo, la terra, il mare, P aria, le ac-,

quo, le innumerevoli stelle, i due lumi maggiori, le pian-

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(1 )Genesi, I. 1

.

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te, i quadrupedi, i pesci, i volatili, e tutto ciò che uni-

versalmente si vede è per voi creato da Dio e a vostra

gloria e salvezza, non è forse questo un grande motivo

di consolazione, e non ne deriva una grandissima prova

dell’amore di Dio, quando si pensa che un mondo per

siffatta guisa e bello, e vasto, e meraviglioso, per noi

picciole creature fu tratto dal nulla ? Come dunque

udrete : Iddio nel principio creò il cielo e la terra, non

oltrepassate senza rifletterci le parole, ma scorrete colla

immaginazione l’ampiezza della terra, e guardate a qual

mensa e copiosa e ricchissima ne invitasse, e quanti in

essa ne apparecchiasse argomenti di gioia. Quello poi

che massimamente dobbiamo attendere è che non c’ im-

partì a mercè di nostre fatiche, nè in premio de’ nostri

ineriti uu mondo di tale e tanta magnificenza, ma con

esso creò pur noi, e volle di questo impero onorata la

nostra stirpe, dicendo: Facciamo I uomo ad immagine

e similitudine nostra (i). E che vuoisi dire: ad imma-

gine e similitudine nostra? L’ immagine vuoisi dire del

Principato, poiché siccome in cielo non evvi cosa al-

cuna a Dio superiore, così anco in terra non ve ne ha

alcuna superiore all’ uomo. E prima e principalmente

glorificò 1’ uomo formandolo ad immagine sua;

poscia

offrendogli un impero che non era premio di nostre fa-

tiche, sibbene manifestazione della generosa benignità

sua;iu terzo luogo che di questo gli fè tal dono, che

divenne diritto della natura umana. L’impero infatti o

dalla natura o dall’elezione deriva: dalla natura quello

del leone sopra i quadrupedi, dell’aquila sopra gli uc-

cellijderiva dall’ elezione quello del nostro imperatore;

e come quest’ultimo impero sopra i proprii confratelli

(1) Genesi, I. 2.

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non procede dalla natura, così avviene tal fiala che si

può perdere, che tutto ciò che non si appoggia alla na-

tura è tale da ammettere in se facilmente una variazio-

ne ed un travolgimento. Non è però così del leone che

per natura sortì il dominio dei quadrupedi, nè dell’a-

quila che sopra i volatili medesimamente l’ottenne;che

sempre alla propria specie va congiunta la forma del

regno che hanno, nè alcuno vedrà il leone perdere que-

sta maniera di principato. Un simile impero fu da Dio

concesso agli uomini fin da principio, preponendoli a

tutte cose, nè questo fu il solo onore che alla nostra

natura elargiva; chè le assegnò un luogo di distinzione

coll’ offrirle a dimora un magnifico paradiso, col fre-

giarla della ragione, coll’ inspirarle un’anima immortale.

Nè qui s’arrestano gli argomenti; poiché affermo: tanta

essere la sovrabbondanza di amor divino, che non solo

da ciò che fece a nostro vanto, ma da quello che diede

a nostro gastigo, possiamo egualmente far conoscere la

bontà c la misericordia di lui.

E vi prego a diligentemente osservare questo fat-

to principalissimo : che Dio è buono allora non solo che

dispensa grazie ed onori, ma quand’anche ne gasliga e

flagella. Quindi è che io dimostrerò la clemenza di lui

non solamente in quello che fece a nostro favore, nia a

nostra punizione, quand’anco venir dovessi a gravi

contese e combattimenti contro gli eretici intorno alla

bontà di Dio. Che s’egli fosse buono allora solo che lar-

gheggia in premi!, noi fosse allor che gastiga, sarebbe

buono a metà ; ma che sia così in fatto essenzialmente

ripugna. Non è (unge dal vero che ciò avvenga negli

uomini, che dalla passione e dall’ ira infiammati andar

sì lasciano a’gaslighi; ma Iddio che non è soggetto n

passione alcuna, sia che benefichi, sia che punisca, è

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sempre egualmente buono : nè, meno del regno eterno,

la minaccia della eterna condanna è argomento delta

bontà di lui;ed esporrò la ragione di questo. Se non

avesse minaccialo le fiamme infernali, se non avesse

preparato la punizione, non sarebbero molti quelli che

avessero potuto conseguire l’ eterno regnojchè la pro-

messa dei beni non alletta gli uomini alla pratica della

virtù, di quella guisa che l’aspetto dei mali col suo ti-

more gli sprona e gli eccita a prendersi qualche cura del-

l’ anima. Per quantunque infatti lo inferno sia diretta-

mente opposto al regno de’ cieli, pure e l’ lino e P altro

tèndono al medesimo fine, ch’è la salvezza degli uomi-

ni, il primo invitando, il Secortdq respingendo verso

del primo, e stimolando i più infingardi collo spavento.

Nè crediate che indarno io porti a lungo questo

discorso, mentre spesso al sopràggiugnere della fame e

delle siccità, all"* infierir delle guerre e degli sdegni re-

gali, e ad altre simili disavventure, molti de’ meno ac-

corti s’ ingannano, dicendo che cotest£ cose non sono

degne della provvidenza di Dio, Per non lasciarci illu-

dere adunque, e per assicurarci che, quando Iddio

chiama sopra di noi la fame, la guerra od altro gastigo

di simil genere, anche ciò è effetto di sua clemenza e

«lei sommo amor che ne porla, ho dovuto trattenermi

in questo argomento;poiché i padri medesimi, che più

degli altri amano i proprii figli, col tenerli lontani dalla

mensa, col percuoterli, coll’ aggravarli di una qualche

vergogna, o con alcun altro di questi mezzi, che sono

pressoché innumerevoli, correggono l’ imbaldanzir loro :

tuttavia sono padri non mica soltanto allora che pre-

miano, ma quand’anche adempiono tutto questo, e

quando lo adempiono sono padri massimamente. E se

crediamo che gli uomini, i quali ppr isdegno e furore

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spesso dal giusto se ne dipartono, puniscano coloro che

amano non già per barbaro sentimento e crudele, ma

per premura o caritade ehe hanno, quanto più vera-

mente conviene che ciò si pensi di Dio, che nella gran-

dezza della sua bontà di gran lunga ogni paterna bene-

voglienza sorpassa ! Perchè poi non crediate ch’io dica

COnghielturando codeste cose, ritorniam tosto alle pa-

role della Scrittura. Vediamo di qual guisa Iddio, dap-

poiché 1’ uomo fu sedotto ed ingannato dalla malvagità

del demonio, si diportasse verso di lui, subito che di-

venne reo di tanta colpa. Forse lo volle interametlte

perduto? Eppur dimandava giustizia per suo diritto che

fosse tolto di mezzo e senz’ altro disperso colui, che non

avendo nulla operato di bene, dopo aver ricevuto i trat-

ti dell’amore il più generoso, fino da’ primi istanti ri-

belloSsi : Iddio però noi permise, nè fè oggetto d’ abbo-

minio e di vendetta la creatura che si mostrò cotanto

ingrata verso del suo creatore;ma venne ad essa, come

sen viene il medico all’ammalato. Nè vogliate passar

oltre senza attenzione cotesto fatto, o carissimi;pensate

che non fu spedito un Angelo, un Arcangelo, nè alcun

altro di quelle schiere, ma che venne Iddio stesso al

prevaricatore, onde rialzarlo caduto, ed accostossi da

solo a solo, come un amico ad altro amico sventurato e

che fii ridotto allo estremo della miseria. Che poi ciò

egli facesse per molto amore, lo dichiarano le parole me-

desime d’ ineffabile misericordia che gli rivolse. E' d’ uo-

po forse che tutte io le ripeta ? Bastano certamente le

prime a far palese l’ infinita demenza di Dio. Non disse

infatti quello che ben sarebbesi convenuto a tale che

avea sofferto un’ingiuria, non disse : O scellerato o mal-

vagissimo uomo, tu eh’ eri di tanta mia benevoglienza

onorato, ad un regno sì mirabile assunto, a tutte cose

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terrestri senza tuo merito che fosse preposto, tu che

avevi ricevuto tanti pegni della mia sollecitudine e tante

prove reali della mia provvidenza verso di te, tu, più

presto che il tuo signore e custode amoroso, credesti il

demonio, abborrito e crudele nemico di tua salvezza,

meritevole della tua confidenza? Che mai ti diede egli

di quel che feci per tuo vantaggio? Non ho forse creato

il cielo per te? non la terra, il mare, il sole, la luna, le

stelle tutte? Gli angeli non avean certamente d’uopo di

eodest’ opere della creazione, ma per tuo pacifico seggio

e profitto formai un mondo di sì grand’ordine e mole;

pur tu giudicasti «Ielle sterili parole, ed una promessa

ingannevole cd una lusinga piena di frode, poste a con-

fronto con beneficii c dimostrazioni singolari di provvi-

denza, più degne d’ esser credute; e per lui guisa ab-

bandonasti in sua balìa te medesimo, e conculcasti i

miei precetti. Questi ed altri rimproveri assai, offeso

coni era, avrebbe potuto ripetere; nulla meno Iddio

non diportossi così; ma invece tutto il contrario, poiché

fin dalla prima parola ricoufortollo, ed avvilito, e pau-

roso, e trepidante, com’era, il trasse a speranza, chia-

mandolo egli il primo. Nè già chiamandolo solo, ma nel

chiamarlo impartendogli il proprio suo nome, e dicendo :

.

Adamo,ove sei? manifestò l’amore e la premura che

in onta all’ avvenuto ei si prendeva di lui. E che questo

sia un pegno sicurissimo di amicizia tutti ve lo sapete %

abbastanza. Un egual modo tengono infatti coloro che

richiamano i proprii morti, ripetendone con frequenza

i lor nomi;come a rincontro quelli eh’ odiano alcuno e

nutrono contro di Ini sensi di nimistade, non soffrono

che neppure il nome si ricordi dell’offensore. Quindi

Saule, che pur non uvea ricevuto alcun’ ingiuria, masibbene mollissime e gravi ne aveva ordite a Davidde,

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posciaehò lasciò libero il freno all’ inimicizia e all’odio

contr’esso, neppur soffriva che si rammentasse il suo no-

me, ma quando furono tutti raccolti, e vide eh’ ei non

veniva, che disse? Non disse: dove sei, o Davidde? masibbene : dov è il figliuolo di Jesse (

i) ? dal nome

chiamandolo di suo padre. Ed i Giudei fecero lo stesso

di Cristo; allora infatti che gli spiravano contro sde-

gno e Vendetta, non dissero : dov’ è Cristo ? ma dove è

colui (2) ?

Iddio però volendo palesare anche in questo che il

peccato non aveva spento il suo amore, e la disobbe-

dienza non avea tolta di mezzo la sua misericordia,

ch’era tuttavia intesa a provvedere e vegliare sopra il

caduto, disse-: Adamo,dove sei? non ignorando ov’egli -

si nascondesse, ma ben sapendo che i delinquenti hanno

le labbra chiuse, perchè la colpa è un grave impedi-

mento alla lingua, e la coscienza la tien legata, c sen ri-

mangono istupiditi e stretti dal silenzio, come fosse una

catena che gli opprimesse. Volendo per tanto il Signore

metterlo in qualche confidenza e libertà di parlare, e

provocarlo alla confessione di ciò che aveva commesso,

onde meritarsi un qualche perdono, lo chiamò egli il

primo, troncandogli nel chiamarlo una gran parte del-

I’ angoscia, togliendogli il timore, ed aprendogli per così

dire la bocca. Pertanto ripeteva: Adamo,dove sei

?

Evoleasi dire, in altro stato io ti lasciai ed in altro or ti

ritrovo. Ti lasciai nella sicurtà e nella gloria, e ti ritrovo

ora nel silenzio e nella confusione. E qui considerate la

cura eh’ Iddio si prende. Non chiamò Èva, non il ser-

pente; ma fè comparire il primo dinanzi al suo giudicio

(1) 1. dei Re XX. 27.

(2) S. Giovanni VII. 2.

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no

quegli che più leggermente d’ ogni altro ave» peccato,

affinchè da lui cominciando che potea ripromettersi una

qualche maggior facilità nel perdono, potesse indi pro-

ferire una sentenza più mite contro colei che avea più

gravemente peccato. I nostri giudici, ove si tratta dei

proprii confratelli c di coloro che partecipano alla me-

desima natura, non si abbassano u sostenerne lo esame,

ma invece eleggono un qualche ministro che serva loro

di mezzo, ed impongono eh’ egli porti al reo le interro-

gazioni che dettai) essi, e per questo tramite lutto che

loro aggrada dicono ed ascoltano, mentre istituiscono

il criminale processo (i). Iddio invece non appigliossi a

mediatore alcuno coll’ uomo, ma viene ei medesimo a

stendere il giudicio e a consolarlo. Nè la meraviglia sta

in ciò unicamente, che di più egli corregge le colpe. I

giudici, se catturarono de’ladri o de’ sacrileghi, non pen-

sano al modo di renderli migliori, ma di far loro pagare

il Co dei commessi delitti (a). Iddio poi, come raggiun-

ga un qualche peccatore, non pensa già al supplicio da

imporgli, ma alla maniera di correggerlo, di renderlo mi-

gliore, e in appresso alla colpa inaccessibile. Dunque Id-

dio nel medesimo tempo è un giudice, un medico, un

precettore •, e qual giudice esamina, qual medico risana,

qual precettore insegna, additando a’ prevaricali le vie

tutte della sua legge. E se una brevissima parola dimo-

stra tanta sollecitudine in Dio, che ne verrebbe se tutto

discorressimo il processo, e tutte spiegassimo le inspi-

rale espressioni? Vedete voi come tutta la Scrittura al-

tro non sia che un ammaestramento c un conforto ?

Ma ciò sarà spiegato a suo tempo, per ora è neces-

(1) P.irc die questo fosse allora il modo d'instituire i processi.

(2) Se i giudici nell’ imporre la pena ai rei uou guardavano a

correggerli, a ebe fjrnc delle carceri?

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sano dire quando siasi promulgato codesto libro. Que-

ste cose noti si scrissero dapprincipio, non subito dietro

Adamo, ma dopo molte generazioni;ed è prezzo del-

l’opera il ricercare perchè si dettassero dopo molte gene-

razioni, e, alla fine, pegli Ebrei solamente e non per tutti

gli uomini. Perchè nella lingua ebraica, perchè nel de-

serto di Sina? Nè già l’Apostolo all’impensata oltrepassa

cotesto luogo; ma ne richiama sovr’esso ad una seria

attenzione, dicendo: Due sono i patti,ìun del monte

Sina che genera a servitude (i).

Gioverebbe pur muovere le nostre incideste intor-

no a molti altri argomenti, ma veggo che il tempo non

ne concede di spiegare a tanto oceano le vele dell’orazio-

ne. Rimettendo adunque tutto questo ad altra circostan-

za più opportuna, vengo a parlarvi di nuovo intorno al

divieto di giurare, e pregherò la religiosa attenzion vostra

che sopra di ciò con molta diligenza raccolgasi. Non sarà

forse un assurdo che il servo non osi chiamar a nome il

padrone Senza premettere una significazione d’ossequio;

e che noi qua e là temerariamente e a disprezzo lancia-

mo il nome del Sovrano dominatore degli angeli ? Se vi

convenga prender fra mani il Vangelo, in pria le lavate,

indi paurosi e trepidanti il prendete con molta diligenza

e religioso rispetto, e dimenerete impudentemente per

la bocca ad ogn’istante il padrone dello stesso Vangelo?

Volete apprendere come lo appellino e con qual tremito,

con quale riverenza, con quanta ammirazione le virtù

celesti? Vidi il Signore che sedeva, dice Isaia, sopra di

un trono magnifico ed elevato,

i Serafini gli stavano

allo intorno,e gli uni agli altri faceano intendere la

propria voce,ed esclamavano

,Santo, Santo

,Santo il

(1) S. Paolo ai Galali, IV. 24.

9

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62

Signore Iddio degli eserciti,tutta la terra è piena della

sua gloria (i). Comprendeste con quanta riverenza e ti-

more lo chiamino, benedicendolo e glorificandolo, a no-

me? Voi per lo contrario nei voti e nelle vostre preghie-

re, in cui dovreste trepidar per ossequio, essere vigilanti

e sobrii,lo invocate con molta tiepidezzajma nel giurare,

allorché sarebbe d’uopo ommettere del tutto codesto

nome ammirabile, a più riprese e l’un sopra l'altro riu-

versando i giuramenti, lo profanate. E qual perdono e

quale scusa meriteremo, per quantunque adduciamo le

mille volle iu favor nostro la consuetudine? Di certo

oratore profano, che per istraua abitudine di continuo

l’omero destro innalzava, dicesi che da celesta abitudine

si togliesse col porre quinci e quindi sopra degli omeri

due spade acutissime, affinchè dui timore della trafittura

fosse contenuta la spalla che iu modo ridicolo si move-

va (a). Fate voi pure lo stesso colla lingua, e invece del-

la spada poneteci il timore del supplicio eterno, e così

giugnerele a correggervi finalmente. E' impossibile, è im-

possibile, ripeto, che, ove si usi d’una seria meditazione

e diligenza, ove si adempia quant’io prescrissi, ci lascia-

mo vincer gianunui. Or fate plauso olle cose esposte, mail farete maggiore, quando vi sarete corretti, e allora

encomierete non solo noi, ma voi stessi, e sarà più dolce

il piacere che dalle sacre orazioni coglierete, e da una

coscienza pura saliranno u Dio le vostre preghiere, a quel

Dio che lauta si prende cura di voi da prescrivervi che

non giuriate nè anco pel vostro capoìmentre voi lo dis-

prezzale così da giurare per la stessa sua gloria. E elio

farò io, ripiglierà taluno, contro coloro che necessariamen-

(1; Ts.iia, VI. I.

(2) Drmoslcno.

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le mi provocano? Qual mai necessità, o uomo? Sappianotutti cbe tu vuoi piuttosto reggere ad ogni offesa, chetrasgredire la legge di Dio, e dall

1

indurti alla vantata ne-cessità cesseranno. INè poi sono i giuramenti cbe-rendanogli uomini meritevoli dell’altrui fede, sibbene la testimo-

nianza della vita, l’integrità del conversare e l’equità del-

1 animo;poiché lalfiata molti si disciolsero in giuramenti

e non persuasero mai, mentre allo incontro alcuni altri af-

fermarono solo e furono creduti meritevoli di maggior fe-

de. Conoscendo pertanto tutto questo, e avendo innanzi

agli occhi la pena stabilita a coloro che rompono in giura-

menti e spergiuri, resistiamo alla malvagia abitudine,

affinchè avviandoci quaggiù al perfezionamento d’ogn’o-

pera virtuosa, possiamo giugnere al conseguimento della

felicità avvenire, cui ci si conceda ottenere per la grazia

e misericordia del Signor nostro Gesù Cristo, pel quale

e col quale insieme al Padre ed allo Spirito Santo sia

gloria, impero ed onore, ora e sempre e per tutti i se-

coli de’secoli. Così sia.

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OMELIA IV.

Dà molti ammaestramenti e stimoli alla virtù, indi spie*?»

quelle parole della Genesi: Presso jl meriggio iddio cam-

mina lungo il paradiso, e conchiude col pqrlare dei giu-

ramenti.

Udiste non ha guari come tutta la Scrittura, an-

che allora che in racconti istorici si diffonde, apporli

refrigerio e consolazione. Infatti quelle parole : Nel prin-

cìpio Iddio creò il cielo e la terra,altro non erano che

«no storico svolgimento;ma il discorso ebbe a provar-

vi che que’ detti abbondavano di conforti, di quella

guisa che sono gli altri con cui si narra che Dio appre-

stò un doppio argomento di utilitade ( i)per noi creando

(t)Nel testo greco si legge (JijrXfiy rpoine&v che corrispondereb-

be all’italiano doppia mensa, la qual mensa quand'anche potesse ac-

cordarsi col mare e colla terra per la ragione dei pesci e degli animali

che nutrono, non s’ accorda poi nè co* due luminari, nè col giorno

e colla notte;quindi avendo trovato, che anco Aristofane usò della

parola vrpotne^a in senso che sion è quello di mensa, la spiegavo anche

io a seconda di quello che mi parve richiedesse il contesto.

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OS

insieme la terra e il mare, facendo splendere dall’ alto i

due gran luminari che sono il sole e la luna, e stabilen-

do al tempo un corso Ira se diverso, ch’è quello del

giorno e della notte, perchè l’ uno servisse all’ opera,

l’altra al riposo. Nè di certo la cede al giorno, ne’ van-

taggi di che è ministra, la notte, ed avvien quello che

altrove intorno alle piante ho dichiarato, che cioè le in-

feconde nell’utilità pareggiano le fruttifere, facendo si

che possiamo lasciar intatte le dimestiche nella costru-

zione degli edificii$

lo che avvien pure degli animali

mansueti, di cui non è minore il profitto che ne deriva

da’ selvaggi e feroci, che per tema di loro entro ne spin-

gono alle città, ne rendono più accorti, ne affratellano

insieme, e servono a tenere in esercizio la robustezza

di alcuni, a sciogliere d’ altri le malattie, chè da essi i

medici traggono molti rimedii •, e di più valgono a te-

nerci viva la rimembranza della colpa antica. Di fatto

allorché mi ricordi: Timide e trepidanti stiano dinanzi

a voi tutte le bestie della terra (a), e poi vegga per-

duto codesto onore, mi sovverrà della colpa, che agli

animali tolse la soggezione, e scemò la nostra sovranila-

de;e quind^ com’ abbia considerato i danni che nacque-

ro dalla colpa, diverrò più mite e prudente. A quel mo-do adunque, come dissi in pria, che tutte l’esposte cose

tornano a vantaggio della vita, nè soltanto 1* esposte, maben altre molte conosciute da Dio che le fece

;così an-

che la notte uguaglia nel giovamento che ne arreca il

giorno, mentre serve a riposo dalle fatiche e a medicina

dei mali. Conciossiachè non di rado i medici con molti

tentativi, e coll’ uso d’ innumerevoli rimedii non pote-

rono togliere dall’ infermo la malattia, e il sonno, che

(1) Genesi, IX. ’L

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spontaneamente sen venne, fu causa di guarigione, e li-

berò gli ammalati dalla gravissima ambascia che gli op-

primeva*, nè soltanto ai dolori del corpo, ma a quelli

pure dell’anima è medicina la notte, acchetando le fiere

angosce dello spirito. Tal fiata alcuno che avea perduto

il proprio figliuolo non valse a ricevere i conforti d’ in-

finiti consolatori, e a temperare i gemiti e i pianti*, quan-

do al sorvenir della notte, vinto, cesse allo impero della

stanchezza, chiuse le palpebre al sonno, e trasse unqualche alienimerito alle afflizioni della giornata. Ormai

però è tempo da ritornarsene là dove F orazion nostra

dipartissi3 poiché m’ avveggo che voi tutti a questo ane-

lale, volendo ciascuno apprendere per qual motivo co-

testo libro non si promulgasse fin dal principio3per cui

sembra che neppur questa sia la circostanza opportuna

all’ uopo. E perchè mai ? Perchè la settimana già volge

al suo termine, ed io mi trattengo dal toccare una ma-

teria di cui dovrei tosto interrompere lo svolgimen-

to. Il soggetto abbisogna della fatica di molti giorni, e a

dilungo richiede che ci fermiamo sovr5esso, quindi pen-

so che lo abbiamo a differir nuovamente. Perchè poi

non vel portiate a disgrado, vi prometto che verrò a

pagare il debito con usura, mentre ciò anche a me che

sono il debitore è spcdiente. Oggi per tanto esporrò

quello che jeri si lasciò addietro. E che dunque si lasciò

addietro ? Presso il meriggio,sta scritto, Iddio cammi-

nava lungo il paradiso (1). Che mai si dice : Iddio cam-

minava? Non già camminava al modo eh’ egli è dovun-

que presente, e di se stesso adempie tutte cofce, ma de-

stando in Adamo un sentimento di simil fatta3

affinchè

egli stesso, onde non essere all’istante annichilato, aves-

(1 ) Genesi III. 8.

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se ad imporsi un qualche gastigo, e col fuggire e col

nascondersi dar luogo ad una scusa compassionevole pria

che pure si pronunciasse una parola. E di quella guisa

che i rei di gravissimi delitti, che vengono tratti ad udi-

re la propria sentenza, si mostrano laceri, squallidi, me-

sti, e nello abbandono di se agli occhi dei giudici, onde

coll’ atteggiamento stesso trarneli a compassione, a mi-

sericordia e perdono;non fu altrimenti di Adamo. Era

d’ uopo che fosse tratto ad ascoltare la sua sentenza,

perciò Iddio lo prevenne e lo corresse. Ma perchè s’ac-

corse del camminare d’ alcuno,d’ onde ne avvenne che

pensasse essere Iddio quello che camminava ? E' questa

la consuetudine dei peccatori : sospettano di tutto, te-

mono l’ ombre, paventano ogni strepito, e credono che

tutti vengano contro di loro. Sempre infatti, come veg-

gano alcuni che al proprio ufficio s’ affrettino, pensano

i peccatori che sovr’ essi si scaglino, e, come osservino

degli altri a discorrer tra loro, consapevoli che sono del-

le proprie colpe, credono d’ entrar essi a soggetto di

que’ discorsi. .

Il peccato propriamente è tal cosa che senza 1’ al-

trui deposizione si manifesta, senza le altrui accuse si

condanna, rende pauroso e trepidante il peccatore, a quel

modo «he succede il contrario della giustizia. Attendete

pertanto come la Scrittura ponga sott’ occhio il timore

dell’ uno e la franchezza dell’altra: L' empio,disse,Jug-

ge senta che alcuno il persegua ( i ). Come sen fugge

zenz’ essere perseguito ? Ha dentro di sè un vivo accu-

satore nella coscienza, e lo porla ovunque, e di quella

maniera che non può fuggire se stesso, così uè anche lo

stimolo che iulernamenlc Io preme;ma dappertutto che

(1) Proverbi! XXY'IT, 1.

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discorra ne prova i flagelli, e sente i morsi dell' insana"

bile piaga. Non è cosi del giusto: come adunque? ascol-

tate. Sta scritto, il giusto è confidente al par d'uri leo-

ne. Tale crasi Elia, che vide il He che veniva a lui, di-

cendogli : A che sovverti tutto Israello ? E soggiugneva :

lo non sovverto Israello,ma ben tu e la casa del pa-

dre tuo ( i ). Sì veramente, il giusto al par li un leone

confida, poiché al par di un leone si aderse contro del

Re, come fosse un vii cagnolino, e benché quegli si a-

vesse la regai porpora, questi coperto era di una pelle

di pecora più venerabile assai della porpora; mentre

quella porpora fu causa d’ una gravissima carestia, e

questa pelle di pecora raltenne il corso alle sventure,

divise il Giordano, e d’ Eliseo fece un secondo Elia. Ocom’ è grande la virtù dei santi ! Non solo i corpi e le

parole, ma le medesime lor vestimenla sono in perpe-

tua venerazione delle creature. Questa pelle di pecora

divise il Giordano, e i calzari de’ tre fanciulli conculca-

rono il foco. Il bastone «li Eliseo cangiò la natura delle

acque e fe1

che portassero il ferro alla superficie;

la

verga di Mose separò il Mar Rosso e franse la pietra; la

veste di Paolo guarì dalle malattie; 1’ ombra di Pietro

fugò la morte, e le ceneri de’ santi Martiri lunge cac-

ciarono i demonii. Quindi è che i giusti tutte cose for-

niscono fiduciosi, lo che avvenne di Elia, che non guar-

dando nè al diadema, nè alla esterna regale magnificenza

del Re, sibbene all’anima cenciosa, piena di squallidezza

e sozzura, e in atteggiamento più compassionevole d’ogni

reo, come quella che dentro era captivi e schiava de’pro-

prii viziì, per questo ne dispettò la grandezza;

concios-

siaché gli parve di ve«lere non già un He di fatto, ma in

(i) III dei Rr, XVIII. 17.

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sulla scena. A che far della molta ricchezza esteriore,

quando dentro di noi fossimo poverissimi ? E qual dan-

no dalla miseria se i tesori fossero nell anima nostra rac-

colti ? Tal leone si era anche san Paolo : infatti non entrò

appena le carceri, che al suono delle sue parole tutte si

scossero le fondamenta, e caddero le catene lacere nongià per forza dei denti, ma della voce *, quindi conviene

che non solamente leoni si chiamino i giusti, ma qualche

cosa ancora più dei leoni, chè il leone lulfìata caduto

nelle reti s’impiglia, e i santi avvinti che siano crescono

in fortezza, come lo diede a conoscere allora Paolo nella

carcere, che disciolsc gl’iucatenati, sgominò le pareti, e

legò il carceriere strigncndolo colla forza della religione

cristiana. Il leone rugghia e mette in fuga tulle le bestie:

grida anche il santo e scaccia da tulle parli gli spiriti

infernali. Le armi del leone sono l orror della giubba, la

ferocia delle tigne adunche, e l’acutezza dei denti;le armi

dei giusti sono il vero sapere, la temperanza, la pazien-

za e il disprezzo di tutte cose presenti. Chiunque sia

fornito di codeste difese, non è che sia maggiore soltan-

to agli assalti di tutti gli uomini malvagi, ma a quelli pur

anco di tutte le potestà nemiche. Cerca pertanto, o uomo,

di vivere giusta il volere di Dio, e non vi sarà alcuno

che valga a domarti, e, quantunque tu sembrassi il più

vile di tutti, pure sarai di tutti il più potente, di quella

guisa che tenendo in non cale la virtù dell’animo, quan-

tunque fossi agli altri superiore in potenza, pure pofrai

essere facilmente espugnato da chi li assalga: e ben gli

accennati esempli lo dimostrarono. Che se il volete pro-

curerò di farvi conoscere coi fatti clic indomabile è la

forza dei giusti, come facile ad esser vinta quella dei

peccatori. Osservate pertanto in che modo il Profeta ce

le dipinga : Non così,non così gli empi

,ma quasi poi

-

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vere che il vento caccia a fior di terra (i). Alla manie-

ra infatti che la polvere è apparecchiata ad esser sospin-

ta da ogni soffio di vento, anche il peccatore viene da

ogni tentazione espugnato. Che s’egli è in contrasto con

sè medesimo, e porta seco di continuo cotesta pugna,

qual v’ha speranza di salvezza per colui ch’è assalilo in

propria casa, e nella coscienza trascinasi dietro sempre

il proprio nemico ? Non avviene però lo stesso del giu-

sto. E che cosa è egli adunque ? Udite il medesimo Pro-

feta ch’esclama : Quelli che confidano nel Signore sono

come il monte di Sionne. E che vuol dire essere come il

monte di Sionne ? Che non si smuove in eterno (2), sog-

giugne. Adoprinsi quante macchine si vogliano, si lanci-

no tutte offese volendo scassinare il monte, e il monte

rimarrassi insuperabile. Che adunque ? Chi in ciò si ado-

pra vedrà cader infranti gli ordigni suoi e dispersa la

propria forza. Non è altrimenti del giusto, che da qua-

lunque trama venga assalito egli non soffre nulla per

questo, e fa tornar vuoti i tentativi degli insidiatori, nè

degli uomini solo, ma degli stessi demoni. Udiste altre

volte quante insidie usasse con Giobbe lo spirito infer-

nale, ma non solo non ottenne nulla contro di quel mon-

te, che dovette ritirarsi stanco, con gli strali spezzati, e

con le macchine rese inoperose da quel conflitto.

Ammaestrati pertanto di tutto questo, al bene at-

tendiamo di nostra vita, senza perderci nè dietro le ric-

chezze che ci abbandonano, nè dietro la gloria che man-ca, nè dietro il corpo che invecchia, nè dietro la bellezza

che guastasi, nè dietro i piaceri che si dileguano, mavolgendo ogui nostra cura all’anima e interamente ad

essa consecraudoci. Il risanare le membra inferme non

{ 1 ) SjIido I. (.

,q) Salmo GX XIV. t.

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è cosa da tutti, ma per tutti è facilissimo l'apprestare un

qualche rimedio all'anima afflitta;la guarigione del corpo

addiraanda medicamenti e danaro onde procacciarli; maquella dell'anima è d’un acquisto facile a tutti e senza spesa

di sorta. È proprietà naturale della carne, che a molta fa-

tica si rimargina dalle ferite che la corrodono, abbisognan-

do spesso l’uso del ferro e delle medicine più amare, do-

ve nell’anima non richiedesi nulla di tutto questo, poiché

basta vojere e desiderare e con ciò si ottiene ogni cosa.

E questa fu opera provvidenlissima del Signore, poiché

dalle infermità del corpo non può venirne un gran danno,

mentre quand'anche non ammalassimo mai, pur la mor-

te, che deve arrivarci, fia che disciolga e corrompa inte-

ramente le membra nostre;ma per lo contrario tutto è

riposto nella salute della nostr’anima:perciò Iddio fece

sì che agevolissima fosse la cura della parte più utile e

sola necessaria, e che potesse imprendersi senza spesa e

dolore. Quale scusa addurremo adunque, e quale merite-

remo perdono se del corpo, per cui dobbiamo sborsare

danaro, chiamare i medici, e reggere a’ dolori più acuti,

ci prendiam tanta cura, dove pure non è grave il danno

che dalla infermità sua ne deriva, ed invece non faccia-

mo conto alcuno dell'anima, per cui non è mestieri nè

trar fuori l’argento, nè rompere l'altrui riposo, nè prova-

re trafitta alcuna;per cui si addimanda solo che a risa-

narla del tutto adopriamo il proponimento e la volontà,

e sappiamo davvero che, se ciò non adempiremo, ci at-

tenderà il novissimo dei gastighi, ove tormenti e suppli-

cii che non finiscono mai ? Ditemi in vostra fede, se al-

cuno per qualche istante promettesse d’insegnarvi l’arte

medica senza vostro dispendio e fatica, noi credereste un

grande benefattore? Non vi assoggettereste a fare e sof-

frire tutto ch’egli dopo queste solenni promesse vi coman-

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72

classe? Eccovi adunque l’istante in clie senza patimenti

di sorta v’è concesso di trovare i rimedii alle piaghe non

già del corpo, ma dell’anima vostra, e ricondurla a per-

fetta sanitade senza sperimentare un’angoscia che sia-,

deh! non lasciamo per negligenza trascorrere codesto 1-

stante. Qual angoscia infatti, mostratemela, nel perdonare

all offensore? L’angoscia sta nel ricordare le ingiurie, non

già nel conchiuder la pace. Qual fatica nel pregare e chie-

dere dal Signore quegl’ innumerevoli doni ch’agli e di-

sposto a concedere? Qual fatica per non detrarre

alla fama altrui? Quale difficoltà a smettere l invidia ed

il livore? Quale molestia ad amare il prossimo? Qual

danno per non proferire sconcie parole, e non lasciarsi

andare alle villanie cd alle ingiurie contro degli altri ?

Qual penoso assunto per non giurare? Ed eccomi aver

tocco di nuovo il solito avvertimento. Anzi pena gravissi-

ma nel giurare -,poiché spesso per ira e per furore bol-

lenti abbiam giurato di non venire a patti più mai con

alcuno di quelli che ci davano travaglio, ma poscia allo

estinguersi dell’ira e all' acchetarsi del furore, volendoci

rappacificare con esso, e trovandoci impediti dalla neces-

sità clic ci ponemmo nel giuramento, ci siam doluti assai,

come fossimo stretti da un laccio e da catene indissolu-

bili avvinti. Nè ciò sfuggiva al demonio, che avendo co-

nosciuto appieno che l’ira è un foco facile ad estinguersi,

e che, estinta l’ira, ne segue la brama della riconciliazione

e dell'amicizia-, desiderando che codesto loco sen rimanes-

se inest inguibile, ne impacciò non di rado nel giuramento -,

affinché, quand'anche cessasse l'ira, sussistendola necessi-

tà della cosa giurata, fosse dentro di noi alimentatoli con-

cepito ardore, e dovessimo rompere ad uno di due scogli,

ch’è, od essere spergiuri riconciliandoci, o costituirci rei

ilei peccato di odio tenendoci da ogni conciliazione lontani.

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Poiché ciò apprendemmo, apprendici pure a schi-

vare i giuramenli, e la nostre labbra si adoprino a ripe-

tere spesso Credi: e sarà principalissimo argomento del-

la religion nostra.. La lingua infatti, ch'è avvezza a pro-

nunciare questa parola, si vergogna e confondesi a pro-

nunciarne dell’ altre sconcie ed assurde, e se inanellerà

di nuovo all’abitudine impresa, avendo moltissimi accu-

satori, richiamerassi. Couciossiacliè dove alcuno udrà chi

non giura aprire a discorsi immondi le labbra, è facile

che lo rampogni, il derida, e riprendendolo dica: O tu

che vai ripetendo sempre Credi,ned osi pronunciare un

giuramento, perchè mai con parlari osceni contamini la

tua lingua? Quindi è che anco nostro malgrado, eccitati

da’ circostanti, ritorneremo alla pietà religiosa. Ma qui,

soggiugne taluno, a che ci appiglieremo se v’abbia la

necessità di giurare? Oh! non v è necessità dove la vio-

lazion della legge. Ed è possibile, tuttavia ripiglia,

il non

giurare interamente? Che dici? Lo impose Iddio c ar-

disci richiedere s é possibile l’adempimento della legge ?

Anzi è impossibile il non adempierlo; e a persuadervi

che non è impossibile il non giurare, ma sibbene il giu-

rare, voglio trarne le prove dalle presenti aogustie. Aquelli che dimorano in città fu imposto l’esborso di tal

somma di danaro che sembra ecceda il potere di molti-,

eppure la maggior parte è già raccolta, e possiamo lutto

giorno ascoltare i gabellieri che a questo c a quello vnn

ripetendo: a che più ritardi? a che ne tieni di giorno

io giorno sospesi? Già non puoi scapparla: è legge del-

1 imperatore, e non patisce indugio, (die si va dicendo

pertanto? L’imperatore prescrisse di pagar la gabella e

non può avvenire che non la paghi, e Iddio prescrisse

di fuggire i giuramenti, e si ripete: Non possiamo fug-

girli? E’ questo il sesto giorno che vi trattengo intorno

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74.

a questo precetto, in seguito vorrò venire agli accordi di

pace, facendo grado grado mostra di ritirarmi, perchè

vi ritiriate ancor voi. Non vi avrete più scusa, non più

perdono, in ispecial guisa essendo certo che, quando

pure io non vi avessi parlato, dovevate correggervi di

per voi stessi •, cliè non è poi cosa sottile nè bisognevole

di molta preparazione. Che se vi furono dati tanti av-

vertimenti e consigli, a quale scampo vi appiglierete come

deporrassi contro di voi dinanzi il terribile tribunale di

Dio, allorché dovrete ricevere la condauna di questa

colpa?. Non vi si offrirà scusa di sorta, e sarà d'uopo, o

andarne assolti, perchè emendati, o non emendati sog-

giacere alla pena e piombare nel supplicio estremo. Ri-

pensate a quel che vi dissi, e partendovi di qua con mol-

to raccoglimento, cercate di soccorrervi a vicenda, onde

serbare diligentemente nel vostro spirilo le verità che vi

furono esposte in questi giorni, acciò, quand’ anche io

mi tacessi, possiate farvi l’un l’altro da maestri, e, ser-

vendovi di edificazione e stimolo al bene, abbiate a far

palese il mollo profitto che traeste; e quinci, adempien-

do gli altri precetti della legge, giugniate finalmente alle

corone eterne, cui ne sia concesso di conseguire median-

te la grazia e la misericordia del Signor nostro GesùCristo, pel quale e col quale si renda gloria al Padre in-

sieme ed allo Spirito santo per lutti i secoli de’ secoli.

Cosi sia.

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;.v

OMELIA V.

Loda quelli che s’ erano dispogliati dell'abitudine di giurare,

indi viene a distruggere la superstizione di quelli che

dopo il cibo ricusavano di portarsi in chiesa ad ascolta-

re il discorso;passa poi alla questione che per lo innan-

zi si avea proposto intorno al ritardo che occorse nella

promulgazione delle Scritture. Spiega le parole del Sal-

mista : I Cieli narrano la gloria di Dio, e conchiude col

precetto di non giurare.

Non ha guari io vi parlai ed ora torno a parlarvi

di nuovo. Oh!potessi trattenermi sempre con voi, ma

con voi ci sarò sempre, se non colla presenza corporale,

collo spirito almeno di carità: che la mia vita siete voi

propriamente c la sollecitudine della vostra salvezza. Edi quella guisa che il colono tutte volge le sue cure alle

sementi ed a’ maggesi, ed il nocchiere all1

acque ed ai

porli; così quegli che parla lutto si lascia andare a’pro-

prii uditori, e cerca il loro profitto, come di presente lo

cerco io. Quindi è che vi porto quanti siete nella mia

mente, nè qui soltanto, ma nelle domestiche mie pareti

pur anco. Che se numeroso è il popolo e breve assai la

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76

misura del mio cuore, tuttavia è abbastanza ampia la

curiladc, e dentro di me l’un I altro non vi premete;

nè dirò di più, poiché so che neppur io sono angustialo

dentro di voi. Ma d onde m’è ciò palese? Vidi molti che

mi dissero, abbiamo eseguito il datoci consiglio, e ci sia-

mo imposti delle leggi collo stabilire una pena a quelli

che giurano c col dimandare soddisfazione a tulli che la

legge imposta violassero: pena è questa opportunissima

all’uopo e indino di carità ferventissima. Nè mi vergo-

gno di tener dietro a codesto fallo, poiché in esso non

v è curiosità di sorta, sibbene desiderio di provvidenza;

e dove non disdice al medico rintracciare la condizione

deH'uinmuIalo, nou disdirà uè anco a me il muovere

continue inchieste sopra un delitto di’ è tanto nocevole

alia vostra salvezza. Di (al maniera avvertili di ciò clic

avole impreso, e di ciò che avete trascurato, mi sarà

concesso di apprestare dietro un ordine conveniente i

rimedii che tuttavia rimangono. Dopo di aver pertanto

diligentemente investigato, conobbi tulio questo o ren-

detti grazie a Dio, perchè non seminai sulla pietra, uè

ho sparso i germi fra le spine, nè ci fu d’uopo di lunga

stagione o di molto indugio alla raccolta delle messi.O O

Quindi è che vi trovo sempre nel cuor mio, e rinfran-

calo dal profitto degli uditori, non m’accorgo della fa-

lica nell istruirli. E questa la sola mercede che può ri-

parare le perdute forze ed accrescerle, e tenermi sempre

in veglia c pronto a superare in prò’ vostro ogni osta-

colo per arduo che fosse. Poiché dunque voi mi deste

molli contrassegni di gratitudine, vengo anch’io a pa-

garvi quel debito che non ha guari mi sono assunto,

benché non vegga presenti coloro tulli che mi stavano

intorno allora che vi feci la solenne promessa. E di ciò

qual n’ è il motivo? Che mai li tenne lungo dal nostro

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banchetto? Pare che mi giudichi indegno di accostarse-

ne chiunque sedette alla mensa terrena, come fosse dis-

dicevole il porgere ascolto alle verità celesti dopo di a-

ver pasciuto il corpo. Ma in ciò non pensano bene, poi-

ché, quando fosse un assurdo, Cristo non avrebbe di

tanto prolungato i suoi discorsi dopo quella mistica ce-

na, nè, quando disdicesse, avrebbe sì ripetute volte ri-

storata di cibo la moltitudine nel deserto, seguendo,

come pasciuta l’ ebbe, ad ammaestramela. Che se mi si

concedesse dire alcuna cosa fuor dell’ opinione comune,

direi anzi che in simili circostanze torna vantaggiosissimo

il dover poi ascoltare la parola di Dio -, mentre, ove sap-

piate, che dopo di aver mangiato e beuto v’è mestieri

intervenire all’adunanza della chiesa, anche vostro mal-

grado userete di molta sobrietà, nè vi abbandonerete al-

la gozzoviglia ed all’ebbrezzajchè la sollecitudine e l’at-

tenzione di portarsi al tempio, fa che si mangi e si be-

va con assai temperanza, affinchè entrando e mescen-

dosi a'compagni, il grave odore del vino e gl'immodesti

gemiti dello stomaco non ci rendano oggetto di de-

risione ai vicini. E questo il dico non già a voi che in-

terveniste, sibbene a quelli che mancano, e il dico per-

chè Io riportiate ad essi. Loro adunque riporterete, che

non il cibo, ma il torpore è d’impedimento ad ascoltare.

Voi che giudicate esser delitto il non digiunare, incor-

rete in un altro d’ assai più grave, che ricusate di par-

tecipare alla sacra mensa, e, mentre nudrite il corpo,

lasciate perir di fame l’anima vostra. E qual mai scam-

po vi avrete? Nel digiuno forse varravvi a scusa la fisi-

ca debolezza;ma circa l’udire la parola di Dio che cosa

potrete addurre? La debolezza del corpo non è l’impedi-

mento che basii a tenervi lunge dagli spirituali discorsi.

Se aveste detto niuno intervenga dopo di aver pranzato,

11

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1 8

ninno ascolti dopo del cibo, v’avreste una qualche ra-

gione-, ma ora invece che foste scopo alle chiamate, agli

allettamenti, agli stimoli nostri, quale scusa avete per

riGutarvi ? Sarebbe uditore inopportuno, non già colui

che ha mangiato e bevuto, ma sibben quegli che non

porgesse orecchio alle parole, che se ne stesse peritoso

e distratto, che, mentre colla persona è qui, va errando

altrove colla mente; questi, per quantunque digiuni, non

può trar dal sermone proGlto alcuno. Quegli allo incon-

tro che stassene desto, pronto e collo spirito ioteso, ò

fra tutti gli uditori il migliore. Che se ne’tribunali e nel

foro ebbe giustamente luogo la contraria legge, questo

avvenne, perchè gli uomini mal sauno governarsi a se-

conda della ragione, e mangiano non già per vivere, maper iscoppiare, e bevono oltre misura, rendendosi per

tal guisa inetti all’amministrazione della pubblica cosa;

quindi sul mezzogiorno e sulla sera non occupano nè il

senato, nè il foro, Tolga Iddio che qui sia lo stesso di

noi. Quegli che mangia deve nella moderazione dell’animo

essere eguale a chi digiuna*, poiché mangia e beve, non

perchè gliene scoppii il ventre e s intenebri la ragione, maperchè le membra affievolite si riconfortino.

Qui abbia Gne la riprensione, eh’ è ornai tempo di

passare all’ argomento proposto, quantunque il pensier

mio rifugga ed esiti in parte circa la dottrina da esporsi,

e ciò a motivo di quelli che non intervennero. E comeè di una madre amorevole che se dopo di aver imban-

dita la mensa non vede presenti tutti i suoi Ggliuoli,

s’addolora e geme; tal è di me che ora soffro, e pen-

sando alla mancanza de’ nostri G-atelli, per poco mi riti-

rerei dall' adempiere le promesse, uia voi potete toglier-

mi a questa incertezza : mentre se mi promettete di

riportare esattamente ad essi tutto che io dirò, allora

d by Goosle

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V 9

li

Vengo a soddisfarvi pienamente;che le mie parole saran-

no conforto alla loro assenza, ammaestramento alla vo-

stra carità, e voi mi ascolterete più attentamente sapen-

do che v’è d’uopo riferire agli altri le cose esposte. Af*

finche però più chiaro proceda il mio discorso, giovi ri-

chiamarlo a quello che si disse superiormente. Testé

chiedevamo per qual motivo le Scritture fossero pro-

mulgate tanti anni dappoi*, chè non a’ tempi di Adamo,di Noè, di Abramo, sibbene a quelli di Mose venne in

luce cotesto libro;ed ascolto ripetersi da molti, che se

quel libro era utile, doveva essere promulgalo da prin-

cipio, se inutile non facea di bisogno neppure appresso.

Ma il ragionamento è affatto assurdo*, poiché quella cosa,

che piò tornare in seguito proGttevole, non dev’ esser

data assolutamente da principio*, nè se dapprima conce-

desi alcuna cosa, è assolutamente necessario che sempre

sussista. E' utile anche il latte, pure non ci si dà di con-*

linuo, ma quando siamo bambini : sono utili anche le

solide sustanze nutrienti, pure non v’ ha chi ce le porga

da bambini, sibbene allora che siamo usciti dell’ eluda

infantile. Di più: è utile la state, ma non dura sempre)

è vantaggioso il verno, ma passa anch’ esso, E perchè a-

dunque, ripiglierà alcuno, non sono utili la Scritture?Cer-

to utilissime, anzi necessarie. Ma insisterà egli: dove sien

utili, per qual ragione non si promulgarono fin dal prin-

cipio? perchè non a mezzo della parola scritta, ma sì dei

fatti voleva Iddio ammaestrare la natura umana. E che

cosa vuoisi dire a mezzo dei fatti ? a mezzo delle mede-

sime creature. Uscendo in questo sentimento l’Apostolo,

e scagliandosi contro i Gentili che dicevano : Da princi*»

pio non apprendersi la cognizione di Dio dalle Scritture)

udite ciò che dà loro in risposta. Dopo di aver detto i

Dal cielo manifesterassi l'ira del Signore sopra ogni

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80

empietà ed ingiustìzia di quegli uomini che volgono adopere inique la verità di lui (i), ed accorgendosi del-

l’obiezione che gli potea venire a rincontro, e di molti

che avrebbero potuto chiedere, d’onde i Gentili avessero

conosciuto la verità di Dio, insiste dicendo : Perchè tut-

to di è noto di Dio è pur manifesto in essi. E in qual

maniera è manifesto in essi ? In qual maniera potevano

conoscere Iddio? INè di’ : Chi ad essi lo insegnava ? Iddio

stesso 1 ha manifestato loro,soggiunge. E con qual mez-

zo? Quale inviò Profeta, quale Evangelista? Qual dot-

tore, se le Scritture ancora non esistevano? he invisibili

cose di lui,ripiglia, dalla creatura terrena per via di

quelle che si veggono,a mezzo della intelligenza

,si

percepiscono e con esse la sua virtù sempiterna e la

divinitade. E tale è veramente la cosa, come la dimostrò;

poiché Iddio pose dinanzi agli occhi di tutti le create

cose, affinchè dalle create cose argomentassero del Crea-

tore*, quindi è che im altro ripeteva: Dalla grandezza

e venustà delle creature con giusta proporzione si ascen-

de all’ autor delle stesse (2). Ne vedeste la grandezza ?

Considerate, meravigliando, la potenza di chi le creava.

Ne vedeste la venustà? Magnificate adunque la sapienza

di chi le adornava;lo che ebbe a notare il Profeta, di-

cendo : I cieli narrano la gloria di Dio (3). Ma come, io

chiedo, la narrano ? Non ban voce, non hanno bocca, non

lingua, come narrano adunque? Col mostrarsi che fanno.

Allorché infatti scorgete la bellezza, la magnificenza, l’ele-

vatezza, il sito, la forma loro sussistere per sì gran tem-

po, di là se n’ esce quasi una voce che grida e ma-..

...

(1) S. Paolo ai Romani t, 1 8, e seguenti.

(2) Sapienza, XIII, !».

(5) Salmo XVIII, 1.

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81

nifestandosi v’ apprende ad adorare colui che corpi si

vaghi e meravigliosi creava. Tace il cielo, ma la sua

presenza emette un suono di quello d’ ogni squilla più

acuto, che, per le orecchie non già, ma ne ammaestra

pegli occhi;e questo senso è per legge di natura del-

l’ altro assai più certo e più chiaro. Se ci avesse insegna-

to per via di lettere e di libri, avrebbe dagli scritti ap-

preso chi n’ è conoscitore, ma l’ ignorante se ne sarebbe

andato senza profitto alcuno, quando non avesse chiamato

in suo soccorso alcun altro. Pel ricco sarebbe stalo facile

il comperare il libro, ma il povero non avrebbe potuto

fare altrettanto. Indi quegli che conosceva le voci espres-

se a mezzo delle lettere ne penetrava pur anco il senso,

ma lo Scita, il Barbaro, l’ Indiano, l’ Egizio e tulli gl' i-

gnari di quella lingua non avrebbero inteso nulla. Que-

sto però non puossi dire del cielo -, che lo Scita, il Bar-

baro, l’ Indiano, l'Egizio, ciascun uomo che cammina so-

pra la terra vale a comprenderne la parola -, chè invece

dell’ orecchie usa degli occhi onde entrare nella nostr’ a-

niina, e in un modo medesimo entriamo a parte delle

cose visibili, non già diverso, com’è quel delle lingue.

Nel libro del cielo può leggere egualmente e l’ idiota, e

il saggio, e il povero, e il ricco, e qualunque altro ap-

presterassi a guardamelo, ne trarrà dalla sua vista gli op-

portuni ammaestramentijed a ciò alludendo il Profeta, e

dimostrando, che le create cose fanno udire la propria

voce a’popoli barbari e civili e a tutti che vivono nel-

l’universo, voce facile ad essere intesa, diceva: Non v'ha

discorso o parola in che non suonino le lor voci ( i ). Eciò eh

1

ei dice è verissimo, poiché non evvi nazione o

favella che non comprenda il linguaggio dei cieli, linguag-«

(1) Stimo XVIII, 3.

àoogle

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•I

gio che si guadagna ascolto dagli nomini tutti : e tale si

è non già soltanto quello de’ cieli, ma del giorno e della

notte ancora. E in qual maniera quello del giorno e della

notte? I cieli colpiscono colla bellezza, colla magnificenza

e con le altre lor meraviglie gli spettatori, e li traggono

a glorificare chi li creò;ma il giorno e la notte che cosa

possono mostrar mai? Nulla di tutto questo, ma ben al-*

tri prodigii degli accennati non inferiori. Che, dove pen-

serete, come ciascuna cosa venga nell’annuo corso distri-

buita, c come apparisca quasi da lina misura e bilancia

la lunghezza dell’intero spazio divisa, ammirerete certa-

mente Quegli che a codest’ ordine ha preseduto. Non al-

trimenti infatti da quelle germane che divisa abbiano

tra loro 1’ eredità paterna senza lasciarsi andare ad alcu-

na offesa; così anche il giorno e la notte egualmente dis-

trihuironsi con tutta esattezza l’ intero corso dell anno,

ed osservano i propini limiti, nè a vicenda si usurpano

mai ciò che loro individualmente appartiene. Nel verno il

giorno non fu mai lungo, nè mai lunga la notte nella

state per quante furono le generazioni che ne precedet-

tero;ma nella stagione e nel medesimo punto 1’ uno non

ebbe più dell’ altra, nè una mezz’ ora, nè un briciol di

tempo, nè un batter di ciglio-

Quindi anco il Salmista meravigliato di tanta ag-

giustatezza esclamava, dicendo : La notte è alla notte di

sapienza dichiaratricej e dove ben sapeste ragionare so-

pra di ciò, sareste presi di riverenza verso Colui che fin

da principio pose que’ limiti inviolabili. Codesti latti li

osservino gli ai-ari ed anelanti aU'altrui roba, ed imitino

1* eguale giustizia del giorno e della notte. Li osservino i

vanitosi che superbamente si adergono, nè vogliono ce-

dere agli altri il primato;veggano come il giorno si ri-

tira in faccia alla notte senza oltrepassare i proprii con-

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85

fini, e si vergognino di non volere impartir mai a' proprii

fratelli quell’onore di che essi godono sempre. Considerate

d’ avvantaggio con meco la sapienza del supremo Legis-

latore : volle che le notti fossero luogbe nel verno, quan-

do le sementi sou molli e di refrigerarsi abbisognano, nè

reggerebbero al sole troppo infuocato; ma come sien cre-

sciute, con esse va pure crescendo il giorno, e diviene

più lungo allora che più sode sono le frutte, Nè questo

conviene soltanto ai seminati, che ne profittano i corpi

stessi : poiché nel verno il nocchiere, il pilota, il vian-

dante, il soldato e l’ agricoltore se ne stanno alla dilunga

in casa impediti dal ghiaccio, per cui il verno è la sta-

gione dell’ ozio; perciò Iddio stabilì che nella notte il

maggior tempo si consumasse, affinchè non tornasse inu-

tile la maggior lunghezza del giorno agli uomini inope-

rosi. Chi poi varrebbe a descriver V ordine delle stagioni

dell’anno? Com’esse, al par di altrettante vergini che

danzino in giro, con molta accortezza si avvicendino, e

come grado grado senza la minima alterazione quelle di

mezzo non cessino di dar mano all’ opposte? Quinci dal

verno la state non ne riceve, nè il verno immediatamente

dalla state che passò;ma frapposta è la primavera, affin-

chè, l’un l’allro mitemente succedendosi i giorni, i con-

densali nostri coipi vengano senza offesa condotti alla

stagione estiva;e mentre i repentini e conlrarii muta-

menti porterebbero cou sè e danni e malattie gravissime;

così il Signore ordinò che dal verno ne ricevesse la pri-

mavera, dalla primavera 1’ estate, e dalla state l’ autunno

che dovea ricondurne di nuovo allo inverno. Per cui

succedendosi a poco a poco gl' indenni mutamenti delle

contrarie stagioni dell’anno, vengono dalle intermedie

condotti in giro. E qual havvi uomo sì miserabile ed in-

felice, che guardando al cielo, guardando al mare, alla

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*4

terra, olle stagioni che in sì mirabil modo si attemprano, '

guardando all’ ordine inalterabile del dì e della notte, si

pensi che queste cose avvengano all* impazzata, nè adori

Colui che con sapientissimo accorgimento le dispose? Ep-

pure ho da dirvi qualch’altra cosa di più;chè uon la sola

magnificenza c bellezza, ma il modo stesso della creazio-

ne dimostra come il sovrano ordinatore sia grande. Perchè

adunque non eravamo presenti a Lui che da principio

creava e poneva il tutto a suo luogo, e nè anco, se fos-

simo stali presenti, avremmo potuto conoscere come

Egli facesse, chè ciascuna cosa per invisibile virtù com-

ponevasi;così lasciò che il processo della creazione ne

valesse il miglior maestro, mostrandoci come tutto che si

formava traesse da una soprannatural conseguenza l’o-

rigin sua. Forse quello che dissi è soverchiamente o-

seuro: è d’uopo adunque che si venga ad una più chia-

ra dimostrazione. Tutti confessar devono eli’ è una con-

seguenza naturale, che l’ acqua sopra la terra, non già

che la terra sia portata dall’acqua, mentre la terra densa,

compatta, non cedevole, e solida com’ è, può facilmente

sostenere la natura acquea’, ma l’acqua ch’è liquida, fie-

vole, labile, sfuggevolissima e dividentesi ad ogni osta-

colo che le sorvenga, non varrebbe a sorreggere alcun

corpo per quantunque leggerissimo ei fosse; poiché di

spesso, ove le cada sopra una pietruceia, cede e si riti-

ra c la lascia cadere sino al suo fondo. Allorché pertanto

vedete non una picciola pietra ma tutta la terra esser por-

tata sovra dell’ acque senza sommergersi, ammirate la po-

tenza soprannaturale che prodigiosamente opera tutto

questo. E d’onde rilevasi che la terra si porti sopra del-

l’ acque? Dal Profeta che dice: Ei sovra dentari pose

le suefondamenta,e sovra dei fiumi innaìzolla (>). E

(1) Salmo XXIir, ..

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85

di nuovo:Quegli che stabilì sopra dell' acque la terra .

Che di tu, o Profeta? L’acqua non può sostenere alla

sua superficie un sassolino, e sorregge poi una mole co-

sì vasta coni è la terra co’ suoi monti, e colli, e città, e

piante, ed uomini, ed animali, c non si sommerge ? Eche dico soltanto non si sommerge ? Per qual ragione

dall’ acqua che da sì gran tempo le sta al di sotto non

fu disciolta e non cangiossi in fango? Se la natura lignea,

per poco che rimanga nell’acqua, s infracida e si corrom-

pe: ma che parlai della natura lignea, se non v’ha cosa

più resistente «lei ferro? Eppure anch’esso affralisce come

sempre giaccia entro all’acqua, e nou a torto, traendo

dalla terra l’essenza sua. Quindi alcuni degli schiavi che

disertarono, poiché si trassero lungamente addietro i

ceppi e le catene, dove giungano alla riva di qualche fiu-

me, calano giù nell’ acque gli avvinti piedi, e, ammol-

lendo il ferro di questa guisa, lo sbattono poi co macigni,

e lo spezzano. Dunque per mezzo della sostanza acquea

il ferro affievolisce, imputridiscono i legni, corromponsi

le pietre, e la vasta mole della terra, sovrapposta da tauli

secoli all’ acque, non è sommersa, non disciolta, non au-

cor dileguata ( i)?

Chi non islupisce e non si meraviglia di ciò, c con-

fidentemente non esclama, che non può essere l’opera

della natura, ma sibbene d una provvidenza alla natura

di mollo superiore? Quindi è che un altro disse di Dio:

(1 ) Lo sviluppo di lutto questo argomento, ove il Ciisoslomo

vuol dichiarare che con una conseguenza sovrannaturale la lena fu

posta sopra dell' acque, s’appoggia alle teorie di que’ giorni, cui al pi-

gliare clic (accasi dalla Scrittura i testi a spiegazione delle verità fisiche

in que’ luoghi ove la Scrittura non intende scicntificamcutc .spiegamele,

sibbene enfaticamente rappresentarle. Quindi cotesto sviluppo e le se-

guenti deduzioni mancano di quel vigore di che ordinariamente abbon-

da il Padre deli' eloquenza cristiana,

12

v-..

yf

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86

Che sospese la terra sopra del nulla (i); e il primo an-

cora: Stanno in sue mani i cardini della terra (a), e al-

trove : Sopra dei mari l'aderse (3). I quali detti, mentre

sembrano esser contrarii tra loro, s’accordano perfetta-

mente, Quegl’ infatti che disse: che taderse sovra dei

mari,non disse diversamente da quello ch’esclamò: a-

verla Iddio posta sopra del nulla;che il porla sopra del-

l’acque è lo stesso che sopra il nulla, Dov’è adunque po-

sta e sospesa? Si ascolti il medesimo che soggiugne : Nel-

le mani di Dio stanno i cardini della terra;non perchè

Iddio abbia mani, ma perchè apprendiate che provvede

a tutto quella potenza che la terrena mole porta e con-

tiene. E se non credete alle parole, credete almeno a

quello che vedesi, e vi sarà dato di trovare in un altro

elemento una simile meraviglia. E” natura del foco quella

di tendere in alto, e di salire sublimemente, e per salire

ha ricevuto la forza dalla natura;quindi per quanti osta-

coli si frappongano c lo premano, egli non soffre d' es-

ser cacciato allo ingiù. Epperò tal fiata, prendendo fra

mani una face accesa, c rovesciandola col lucignolo, uon

iuforziam mica il foco a giù volgere il proprio empito,

ma di là allo in su si raddrizza, e s’ affretta a guadagna-

re precipitosamente la cima. Iddio nullameno fè tutto il

contrario nel sole che volge i propri! raggi alla terra,

sicché allo ingiù rinversa la luce,per cui nel fatto ap-

pare, benché non suonino le parole, che Iddio gli dices-

se: Guarda a te di sotto, c manda la tua luce agli uomi-

ni, mentre per essi fosti crealo. E dove la fiamma d’una

lucerna non può essere costretta a tanto, un astro si

grande e mera\iglioso inferiormente si volge e guarda alla

(1) Giobbe XXVI, 7.

(2) Salmo XCIV, <.

(5) Salmo XXIII, 2.

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87

lerra contro la potenza del foco, ma per quella ili chi

glielo impose. Volete che vi richiami ad altro prodigio

di simil l'atta? Le volte di questo cielo che noi reggiamo

sono dalle acque ovunque recinte, acque che non Scor-

rono, che non traboccano, quantunque veramente la na-

tura dell1

acque non sia tale, poiché vanno spontanea-

mente a metter capo nei bacini, e dove s" abbattano in

qualche corpo convesso giù colano da tutte parti, men-

tre in alcun luogo sovr’csso non possono trattenersi. Macotesto miracolo fu operalo nel cielo, c quindi il Profe-

ta, accennandolo, diceva: Lodale il Signore voi,accjue

,

che siete sopra del ciclo (i). Nè le acque spensero il

sole, nè il sole percorrendo la prossima region sottopo-

sta asciugò le acque clic gli stan sopra (2). Ma deside-

rate forse di ritornar sulla terra, c di trar quinci gli og-

getti delle meraviglie vostre? Non vedete codesto mare

da fiotti c da furiosi venti agitato? Ma cotesto mare ed

ampio, e profondo, e burrascoso è ritenuto da un am-

masso di lievissima arena. Ed ammirate la sapienza di

Dio, la quale non permise che stesse piano e sen rima-

nesse in calma, affinchè non si pensasse esser questa la

condizione della natura sua; ma fermandosi entro a po-

sti confini mormora, si conturba, altamente ruggisce, c

solleva a smisurate altezze i proprii flutti: quaudo poi

presso il lido giugno a toccare la fragilissima arena, si

frange ritornando in se stesso, c per l’uno c l’altro di

questi fatti ne insegna che non è opera della natura lo

starsene di’ ei fa ne’limiti segnati, ma potenza di colui

(1) Satino CLXXXIV, 4.

(2) Questo sistema c l’altro esposto superiormente intorno al

Sole sono a dir vero singolari. Noi profittammo, noi niego, d’assai

nelle conoscenze fisiche; ma quelli die vcrran dietro rideranno forse

di molte nostre opinioni.

*

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9*

88

clic il raffrena. Quindi è che innalzò una diga delude as%

sai, non opponendo nè travi, nè macigni, nè monti dap-

presso ai lidi, acciò non si credesse che il terribile ele-

mento fosse per essi tenuto in freno. Quindi è che il Si-

gnore un tempo rimproverando gli Ebrei sciamava : Nonavete paura di me, che ho dato per confine al mareVarena, e il mare non oltrepasseral/a (i). Ne il mera-

viglioso, o nomo, si limita a ciò, che il Signore abbia

latto cotesto mondo e grande e magnifico, che l’abbia

creato per via di sovrannaturali conseguenze, ma di più,

che stabilito lo abbia su principii in opposizione tra loro,

che sono il caldo e il freddo, la siccità e 1’ umido, il foco

e l’acqua, la terra e l'aria, e questi contrarii elementi,

da cui l’universo è formato, mentre pugnan fra loro, fra

loro non si consumano, e il foco non sorviene a discio-

gliere in cenere, e l’ acqua non si versa a sommergere

l’orbe intero. Pure succede ne’nostri corpi die le accre-

sciute concrezioni biliari generino la febre, e tutto al-

terino il sistema animale, e dagl’ indigesti alimenti, ove

soverchiino, hanno origine moltissime malattie, e corrom-

pono le forze della vita. Nell’universo però non avvien

nulla di tutto questo, ma ciascifha cosa, come governata

fòsse da un freno e dalle proprie sue briglie, si ferma

per voler del creatore a guardia de’proprii conGni, e dal

vicendevole combattimento nasce per P universo la ra-

gione della pace. Forse anche il cieco non vede, e P i-

diota non comprende che nelle cose creale ci volle una

provvidenza a formarle ed a reggerle ? Havvi uomo sì

pazzo c stupido che volgendo gli sguardi ad una mole sì

vasta, e tanta bellezza, ed ordine, e continua pugna di

elementi, ed opposizione, c perseveranza contemplando,

(1) Geremia, V, 22.

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non ragioni seco stesso ed esclami : 0\e non esistesse

una provvidenza forte abbastanza per governare la gran-

dezza di tonti corpi ed impedire che si disciogliessero,

non avrebbero avuto nè sussistenza, nè durata che fosse?

Tant’ ordine nelle stagioni dell’anno, tanto accordo del

giorno c «Iella notte, tante specie di animali irragione-

voli, di piante, d’erbe, serbano tuttavia la propria na-

tura, e nulla fino a quest’oggi andò perduto, Giulia fu in-

teramente consumato !

Nè qui farebbe sosta l1

orazione, cbè si avrebbe

potuto narrare altre cose sublimi assai, e discorrere anco

intorno all’ uomo', ma, differendo all’ indomane, cerchia-

mo di scolpire ben addentro nell’anima ciò clic si disse,

e riferirnelo agli altri. So che le orecchie vostre non sono

avvezze alla profondità delle sentenze scritturali*, ma, per

poco che attendiate, ne piglierete la consuetudine, e po-

trete divenire maestri altrui. Frattanto è d’uopo clic

la religiosa vostra pietà dica a se stessa : di quella guisa

che Iddio volle glorificare 1’ uomo per mezzo di tante

cose create, conviene che noi rendiamo onore a lui nei

nostri discorsi. I Cieli narrano la gloria di Dio col solo

mostrarsi che fanno, e noi pure celebriamo la magnifi-

cenza di Dio non solo parlando, ma tacendo ancora, e

procuriamo di trarre tulli gli uomini ad ammirarne colla

santità della nostra vita: Risplendala vostra luce infac-cia agli uomini

,affinchè veggano le vostre opere buone

e glorifichino il Padre vostro c/tè nel cielo ( i). Allorché

iufalli T infedele vedrà voi credenti composti, modesti,

adorni di virtù, raccoglierassi sopra se stesso e (lira : Ohsì, eh’ è veramente grande il Dio dei Cristiani ! Quali

uomini formossi Egli mai? E quanto diversi da quel

(1) S. Malico, V, 16.

1

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1

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eh’ erano li fece? D’uomini in angeli si cangiarono. Se

alcuno li oltraggia, non rompono in ischiatnazzi;se li

percuote, mostrano di non accorgersi; se li caricano

d’ingiurie, pregano per quelli che li offesero;non hanno

alcun inimico, non nutrono odio di sorta, non sanno fol-

leggiare, non appresero a dir menzogne, non si lasciano

andare a spergiuri, anzi neppure a giuramenti;che voi'*

rebbero cadesse loro di bocca la lingua più presto che

usar di essa a giurare. Diamo ad essi motivo di dir tut-

to questo, c togliamo da noi la malvagia abitudine di giu-

rare, e concediamo almeno a Dio quell'onore medesimo

che a' nostri più preziosi vestili. E non è forse assurdo

l’astenersi dal pori aite con frequenza una veste eh’ è mi-

gliore delle altre, e poi temerariamente e dovunque

strapazzare così alla ventura il santo noine di Dio? Vi

prego pertanto e vi scongiuro di non tenere sì a vile la

vostra salvezza; e la cura che usavain da principio in-

torno a questo precetto, sino al termine si prolunghi.

E' perciò che di continuo io vi parlo de giuramenti, non

a condanna della infingardaggine vostra, ma perchè so

che vi siete per la massima parte corretti, e bramo ed

affretto 1 istante in che tutto si compia, ed abbiasi il fi-

ne desiderato. Non altrimenti diportansi gli spettatori

ch’eccitan quelli che stanno dappresso al palio. Non i-

slauchiamoci adunque, giacché siamo presso il termine

della correzione, c la difficoltà trovavasi nel principio.

Come iufatti si tolse il maggior nerbo alla consuetudine,

e ne rimane assai poco; non v ha neppure mestieri di

gran fatica, ma di un po' d attenzione, e con qualche di-

ligenza otterremo in breve d essere corretti noi medesimi

per far da maestri agli altri, onde celebrar fiduciosi le

sacre feste pasquali e con la più dolce compiacenza al-

legrarci due c tre volle più dell usato. Che la gioia non

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r *'•

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dee venirci tanto dall' essere ornai liberi dal peso e dalla

diflicollà del digiuno, quanto dal farci incontro a code-

sta eccelsa solcnnitade cou qualche merito cd una qual-

che spiendida corona, corono che non sarà per infraci-

dirc giammai. Per emendarvi poi più presto fate quel

che vi dico: Ritraete sulle pareli di vostra casa, e in

ispccial guisa sulle pareli del vostro cuore, quella l’alce

che volando ruota, e pensale che ruota a maledizione (i ).

Meditatela spesso, e se udrete alcun altro a giurare, cor-

reggetelo, raltcuetelo, e prendetevi cura de' vostri servi.

E se ci studieremo non solo ad operar noi rettamente,

ma a trarre gli altri nel medesimo proposito, presto

ghigneremo al fine : poiché facendoci a correggere gli

altri, proveremo confusione e vergogna se tralasciassimo

di far noi quello che agli altri imponiamo. Né si richie-

dono più parole, ché molte già se ne dissero per lo in-

nanzi, e queste furono ripetute soltanto ad eccitamento

della memoria. Iddio pertanto, che assai più di noi al

bene della nostr anima provvede, ed in questa ed in o-

gni altra virtù ne faccia pcriclii, affinchè, dopo di aver

prodotto ogni frutto di giustizia, possiamo esser fatti de-

gni del regno de’ cicli per la grazia e la misericordia del

nostro Signor Gesù Cristo, pel quale e eoi quale al Pa-

dre insieme ed allo Spirilo Santo sia gloria per tutti i

secoli de secoli. Così sia.

(i) 1/ imaginc è del Profeta Zaccaria, V, 1.

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OMELIA VI.

jot*

Loda cortesemente coloro che dopo il cibo vennero ad ascoi-

tarlo, segue la narrazione della magnificenza e bellezza

delle cose create ; poscia si volge contro i Gentili che «-

doravano come l)io le creature, e finisce col parlare de

giuramenti.

Mi raìlegro con tutti voi e vi ringrazio perchè a-

dempieste col fatto l’ avvertimento che testé vi porgeva

intorno a coloro che non digiunando si tenevano pur

lontani dalle nostre adunanze. Mi penso eh oggi saranno

intervenuti molti di quelli che già pranzarono a rende-

re gradevole ed affollata codesta udienza, e di questo

n’è indicio il maggiore spazio occupato che mi si offre,

e il numero accresciuto degli uditori. Non indarno per-

tanto, come scorgesi, consecrai molte parole per essi

esortando la carità vostra a trarneli in seno alla madre

e persuaderneli che dopo anche il nutrimento del corpo

lor si concede entrare a parte della mensa spirituale.

Quando poi per vostra fede, o miei cari, vi diportaste

meglio? Nell adunanza passata, allorché dopo la mensa

vi abbandonaste al sonno, od ora che dopo la mensa ad

ascoltare i divini precetti conveniste? Allorché vi Ira t-

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tenevate nel foro unendovi a que’convegni ehc non avean

nulla di buono, ed ora che vi associaste a’vostri fratelli,

onde porgere orecchio alle senteuze profetiche ? Non è

vergogna il mangiare, o miei diletti, sibbene il fermarvi

in casa dopo di aver mangiato, e l’andar privi di questa

sacra funzione. Trattenendovi in casa più e più vi stem-

prerete nell’ozio e nella infingardaggine;qua accorren-

do il sonno ed il torpore partirassi da voi, nè il torpore

soltanto, ma deporrete ogni tristezza e vi troverete più

lieti ed agili ad ogni evento. Non è mestieri dirvi «li

più. State dappresso a quelli che digiunano e sentirete

come olezzino soavemente. Chi digiuna infatti è un un-

guento spirituale, e dagli occhi, dalla lingua, dappertut-

to traspira la santa attitudine di quell'anima. Nè questo

io dissi ad accusa di quelli che si cibarono, sibbene a

dimostrare quali vantaggi derivino dal digiuno. Nè chia-

mo digiuno solamente l’astinenza dai cibi, ma, più che

questa, la fuga delle colpe •, mentre anche quegli che,

pasciuto, interviene colla modestia che gli si addice, da

chi digiuna non è superato di molto;come per lo con-

trario il digiunatore che non attende con diligenza ed

amore alle cose che qui si dicono, non trarrà certo gran

profitto dal suo digiuno. £ chi piglia cibo e si accosta

con la richiesta compostezza al sacro sermone, è di mol-

to preferibile all’altro che non mangia e si sta lontano;

chè non ci può tanto giovare la fame, quanto ne giova-

no e si tramutano in nostro bene gli ammaestramenti

dello spirito. Dove per vostra fede udrete le cose che

si ragionano in questo luogo? Se andrete nelle piazze,

troverete delle risse e delle contese: se nella curia, la

sollecitudine delle cose civili;se in casa, vi preme ovun-

que l’amministrazione delle sostanze private; se ne’ cir-

coli e nc consessi del foro, udrete che sol d oggetti ter-

1

5

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[)A

reni e corruttibili si parla*, cioè di merci, di tributi, di

laute mense, di rendite di campi o simili contralti, di

testamenti, di eredità, e d’altre cose di questa fatta che

vanno per la bocca di que’ch’ivi s’adunano. Che se po-

neste piede nella medesima reggia, ascoltereste ciascuno

anche là parlar di danaro, di potenza e di quella gloria

che pone ivi il suo seggio, ma di spirito nulla. Qui per

lo contrario si parla unicamente di oggetti celesti*, del-

l’anima e della vera nostra vita;e perchè siara creati,

perchè dimoriam tanto tempo quaggiù *, dove ce ne an-

dremojquinci dipartendoci che cosa apparecchicrassi

per noi dopo questo pellegrinaggio, per qual motivo

sono fragili le membra, qual sia la natura della morte,

e quale finalmente la vita d’oggidì e l’avvenire: nè di

terra v ha discorso, sibbene son tutti spirituali ed offe-

renti una buona provvista pel viaggio alla nostra eterna

salvezza, per cui di qui confortali dalla più felice spe-

ranza cen partiremo.

Poiché adunque non gettammo indarno le seinem

ti, e come io vi esortava avete guadagnato que’tutti eh*'

nella trascorsa adunanza mancavano, permettete che

dopo avervi retribuito della gratitudine che meritate, e

dopo avervi richiamato a memoria alcune delle cose già

esposte, vi soddisfaccia di ciò che resta. Quali sonopertanto

le cose esposte? Indagammo la ragione e il modo con

che Dio provvide al nostro ammaestramento prima che si

promulgassero le Scritture, e abbiam detto che a mez-

zo delle create cose erudì il genere umano, dispiegando

sovra di noi il cielo e ponendolo innanzi a tutti, perchè

fosse il libro massimamente utile agl idioti, ai saggi, ai

poveri, ai doviziosi, agli Sciti, ai barbari, a quanti abi-

tano l’universo, utile più assai d’ogni moltitudine di

precettori. Discorremmo lungamente ancora intorno al

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dì ed alla notte, allonimo ed ulluccordo che con tutta

esattezza serbano tra di loro;discorremmo del numero

delle stagioni e dell' equabile avvicendamento che han-

noj e come il dì e la notte ueU iutero annuo corso non

profittano d’uua mezz’ora che loro individualmente

non appartenga;

così anco le stagioni egualmente si di-

visero i giorni tutti. Quindi inferiva, che non la magni-

ficenza soltanto e la bellezza delle cose create manife-

stavano il proprio facitore, ma la maniera dell union

loro, e l’essere la creazione una conseguenza sovra l’or-

dine della natura. Era cioè naturai conseguenza che

l’acqua sovra la terrestre mole ondeggiasse, e nel latto

invece vedcsi il contrario, poiché la terra è portata dal-

le acque.

Era naturai conseguenza che il loco temiesse allo

insù, e nel fatto vedesi il contrario, poiché i raggi solari

volti sono verso la terra. Sovra del cielo v’hanno delle

acque che non si consumano mai, e il sole che sull’esse

si volge non si spegne, come la sovrastante umidità non si

asciutta (i). Aggiugnemmo che l’universo è composto da

quattro elementi tra se stessi in opposizione ed in lotta,

e che 1 uno l’altro non distrugge, per quantunque l’uno

dall’altro dovesse essere annichilato; ond’è chiaro che

una virtù invisibile tutte cose rattiene ed annoda, ed è

questa la volontà di Dio. Bramo raccogliervi oggi più a

lungo sopra questo argomento, ma voi statevene in ve-

glia e porgetemi diligente attenzione. Perchè poi la me-

raviglia apparisca più luminosa, prenderò a soggetto di

queste indagini il nostro corpo. Il nostro corpo infatti

ch’è pur picciolo e ristretto, è composto da’quattro ele-

(1) nielliamo a <|uc>lo luogo le note apposte all’ Omelia prece-

dente.

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menti, cioè dall’igneo eh’ è il sangue, dal secco che il

fiele, dall’umido ch’è la flemma, dal freddo cb’è f atra-

bile (i). JNè v’abbia ebi pensi inopportuno questo par-

lare, poiché : IjO spirituale giudica dogni cosa e non è

giudicato da alcuno (2). Quindi anche Paolo, ove ne

parla della Risurrezione, piglia dalfagricoltura 1 imma-

gine, dicendo. Stolto : non vedi che non si riproducono

le sementi se pria non muoiono (3) ? Che se all’Apostolo

valeva ad argomento l’agricoltura, non v’abbia chi miaccusi, dov’io me ne profitti dell’arte medica, mentre il

nostro discorso ora volge intorno alla creazione, e le me-diche dottrine ci si rendono indispensabili. Di quella

guisa pertanto che accennai di sopra, il nostro corpo è

composto di quattro elementi, e se discordi una parte

dall’insieme, da questa opposizione si genera la morte,

e ciò, a mo’di esempio, avviene quaudo per la sovrab-

bondauza della bile producesi la febre, la quale, dove

prevalga oltre il limite stabilito, tronca repentinamente

la vita. Lo stesso ha luogo nella copia soverchia del-

l’umor freddo, poiché allora nascono le paralisi, i tre-

miti, le apoplessie ed altri innumerevoli morbi, per cui

l’eccedere di cotesti elementi è la causa di tutte le sva-

riate forme dei mali, allorché 1 un d essi uscendo dai

proprii confini, insorge contro degli altri, e rompe il se-

gnato accordo. Volgetevi ora e addiinandate colui che

(1 )La bile che, secondo l’opinione degli antichi, componeva due

degli elementi del corpo, distinguevasi co’due epiteti di flava ed atra.

Eccone la definizione forre! liniana : « Ilumor qui calidus est et siccus,

ab aureo colore flava bitis appellatur, est que idem acfet, praecipuatn

in vasis hepatis sedei» babens: alter qui frigidus est atra-bilis: quam-» vis aterque bilis sarpius dicitur. « Clic dicono i moderni seguaci di

Esculapio di rodeste dottrine?

(2) S. Paolo I. ai Corintii II. 1 5.

^3) S. Paolo I. ai Corintii XV. 56.

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afferma, tufi e cose prendere da se il nascimento e da se

medesime conservarsi;addimandatelo diceva : Se il no-

stro corpo, ch'è picciolo e ristretto, ch’è dalle medicine

e dall’arte che le prescrive soccorso, che ha l’anima che

10 informa e della filosofia e d’altri moltissimi aiuti sen

vale, pur di continuo non conserva nel proprio vigore

l’essere suo, ma si logora c si corrompe dai turbamenti

che in esso avvengono, come l’universo ch e tanto va-

sto, e in se contiene corpi di sì gran mole e de mede-

simi elementi composti, potrebbe da lunghi secoli ri-

manersi imperturbato, dove una mirabile provvidenza

non lo reggesse ? Nè vi sarebbe certamente ragione che

11 nostro corpo d" interiore ed esterna provvidenza for-

nito, non bastasse alla conservazion di se stesso*, e il

mondo senza provvedimento alcuno, vasto com è, e da

tanti anni, non soffrisse nulla di quello a cui il corpo

nostro è soggetto, di qual maniera mai, chiedo io, niu-

no di codesti elementi non varcò oltre i propri i confini,

nè mise gli altri tutti a soqquadro ? Chi dapprincipio

li univa, li accordava, infrenavali ? Chi da sì gran tem-

po li governa? Se la mole dell’universo fosse semplice

ed uniforme, non sembrerebbe nè anco impossibile ciò

che si afferma*, ma, se dapprima vi fu tanta lotta negli

elementi, chi è sì pazzo da credere che si accordassero

insieme, e nel convenuto accordo si conservassero, sen-

za un principio che li governi ? Che se noi, non già per

natura, ma ridotti ad una vicendevole contraddizione

di per noi stessi, non corriamo ad unirci, fiuch’è viva la

nimistade, e nell’animo alimentiamo la concepita di-

scordia, ed abbiain d’uopo d’un terzo che ne avvicini,

ed avvicinati che n’abbia, ne rannodi e ne persuada a

mantenere la pace e non dilungarci di nuovo,

in che

guisa mai gli elementi che non sono forniti nè di ragio-

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>t' J

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ne, uè di sensibilità alcuna, ma son nemici e j>er na-

tura in opposizione tra loro, avrebbero potuto strignersi

in amichevole nodo, e l’un l'altro rimanere congiunti,

se stata non vi fosse una potenza ineffabile che posti li

avesse in accordo e nel medesimo accordo con perenue

vincolo conservati ?

Non v1

accorgete voi come codesto corpo al di-

partirsene dell anima si scomponga, s’infracidi, si dis-

perda, e ciascun elemenlo alla primiera sua condizione

ritorni ? Anche nell’universo avverrebbe lo stesso, ove la

virtù che di continuo lo governa, de’suoi provvedimen-

ti lo dispogliasse. E se la nave senza pilota non dura,

ma sommergesi facilmente*, come varrebbe a sussistere

il mondo da tanti secoli, privo ch’ei fosse d’un reggito-

re? E per non usare d’altre imagini, fingetevi che il

mondo sia appunto una nave, che ha .per carena la ter-

ra soggetta, per vele il ciclo, per viaggiatori gli uomini,

per mare l'abisso che le sta sotto :perchè adunque da

mollo non gli toccò un naufragio? Lasciate il naviglio

per un sol giorno senza pilota e nocchieri, e lo vedrete

tosto pericolatoj

il mondo invece non ruppe in alcuna

di queste disavventure, benché annoveri cinque mila

anni e più. Ma a che vi parlo io d’un naviglio? Havvi

chi rassettasi una capannuccia nella propria vigna, e

tosto che si raccolsero i frutti abbandonolla, e non pas-

sano di spesso due giorni eh' è disciolta e caduta. Untugurio pertanto senza alcuno che gli proveda non si

conserva;

e una creatura sì bella, grande e meraviglio-

sa, le invariabili leggi del dì e della notte, le alterne

danze dell ore, e il corso della natura sì vario e multi-

forme nella terra, nel mare, nell’aria, nel cielo, nelle

piante, ne’ volatili, nei pesci, ne’quadrupedi, nei rettili

c nell umana specie che avanza le altre tulle per sì gran

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trailo, avrebber durato sì a lungo senza chi loro peren-

nemente provvedesse ? Inoltre meco percorrete colla vo-

stra imaginazione i prati, i giardini, i generi de’ fiori,

l’orbe tutte e gli usi loro, la soavità, le forme, i soli no-

mi, le piante fruttifere ed infeconde, la natura de’ me-

talli, degli ammali terrestri, marini, fluviatili e che vo-

lan per l’ariajpercorrete i monti, i colli, i boschi, e

dopo il prato soggetto anco il superiore, chè v’ han due

prati, l’uno in terra, nel cielo l’altro, ove a’ Cori valgo-

no le stelle, e mentre al di sotto s’incappellan le rose, al

di sopra l’iride si distende. E volete forse vedere un

prato anco negli uccelli? Considerate il corpo del pa-

vone svariatissimo, ch’eccede ogn’ altro colore, e con es-

so i minori uccelli porporeggianti. Osservate di grazia

la bellezza del cielo che pur è vecchia, uè perciò alte-

rata menomamente, ma come fosse nata oggi, è nitida e

lucentissima. E il ventre della terra che da tanti secoli

partorisce, come non islancò ancora la sua virtude ?

Pensate al modo corf che le sorgenti d’ acqua scaturi-

scono, e da allora che furon create uon manchino, ma dì

e notte continuamente discorrano. Pensate al mare che

nel suo seno tanti fiumi accogliendo, i proprii limiti non

trascende: e quando cesserera di aggirarci per codesti

misteri incomprensibili ? In ciascuna delle cose accen-

nate è d uopo esclamare: Oh quanto sono magnifiche

le tue opere,o Signore : tu ordinasti giusta la tua sa-

pienza V universo Ma che sogliono gl’infedeli get-

tarci rincontro a questi fatti, quantunque volte ricor-

diam loro la magnificeuza, l’ adornamento, la grandezza

dell universo, e la dovizia che in tutte cose dimostrasi ?

Ciò stesso, ripigliano, eh’ è lo aver fallo il mondo sì

(1) Salmo OHI, 24.

t

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/o*

magnifico e bello, è iu Dio gravissimo argomento di col-

pa; perchè, ove sì magnifico e bello non lo avesse crea-

to, non avrem detto che il medesimo è Dio, ma ora

scossi dalla sua magnificenza e dalla sua bellezza mara-

vigliati, ci siam compiaciuti di ritenerlo per tale. Ma co-

desto parlare è affatto ridicolo : e che la maestà e l’a-

dornamento dell’universo non sieno il motivo alla ini-

quiladc, ma invece la loro ignoranza, lo proviam noi,

che non pensiamo allo stesso modo. Per qual ragione

non gl’impartimmo divini onori? Forse non lo guardia-

mo con gli occhi medesimi ? Forse non ci serviamo

quant’ essi delle medesime cose create ? Non abbiamo

l’ anima stessa? Non possediamo lo stesso corpo? Noncalchiamo la medesima terra ? Perchè dunque la ma-

gnificenza e bellezza del mondo non ne trasse a’ mede-

simi sentimenti ? Nè questa conseguenza fuor esce da

ciò unicamente, ma da ben altre cose moltissime, e se

1’ hanno divinizzato per la sua bellezza, non già per la

loro propria ridicolaggine, ne dicano poi il motivo, per

cui adorarono le simie, i coccodrilli, i cani e gli altri a-

nimali più abbietti ? Oh sì, che andarono errando nei

proprii pensamenti,ottenebrassi lo stolto loro cuore

,e

mentre dissero (f esser saggi,

impazzirono (i). Nulla-

meno la risposta non sarà questa sola, chè ci occorrono

molti altri argomenti da sviluppare.

Iddio che fin da principio previde questo, e troncar

volle secondo la sua sapienza ogn’ adito agl’ infedeli, gran-

de creò l’universo e meraviglioso, ma insieme il fé’ cor-

ruttibile e perituro, ponendo in esso molli segni di sua

fralezza;e non diportossi col mondo diversamente da

quello che usò cogli apostoli. E qual fu la maniera che

(1} S. Paolo ai Romani, I. 21.

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tenne Iddio cogli apostoli? Poiché operavan essi molti

prodigi e grandi e meravigliosi miracoli, perciò permise

che non di rado fossero percossi, scacciati, tradotti in

carcere, soggetti a gravissime malattie, ed in continue

tribolazioni ; e perchè la grandezza delle operate cose

non li facesse credere altrettanti dei in fàccia agli uomi-

ni, volle che nel fornirli di tante grazie rimanessero

mortali le membra loro, e mentre impartivano la salute

agli altri, essi le proprie infermità conservassero, acciò

fossero della fragile lor natura avvertiti. Nè questa ma-

niera di parlare è mia, sibbenc dell’apostolo Paolo, che

dice: Ove intendessi di gloriarmi, non sarei pazzo', ces-

so non pertanto,avvegnaché niuno stimi di me sopra

ciò eli egli mi vede essere,ovvero ascolta da me (i)j

e in altro luogo : Portiamo il nostro tesoro entro a vasi

di creta (a). E che cosa vogliono dire questi vasi di

creta? Il nostro corpo, soggiugne, eh’ è mortale e cor-

ruttibile. Come di fatto per mezzo del fango e del foco

si compongono i vasi, non altrimenti il corpo di quei

santi divenuto era un vase, perchè, essendo composto

di creta, avea ricevuto in se il foco spirituale. E per

qual ragione mai un simile tesoro e tanta copia di gra-

zie s' infusero io un corpo oorrultibile e mortale ? affin-

chè si vegga che ogni virtù non già da noi, ma dal Si-

gnore deriva. Quando infatti vi si offrono gli apostoli

che risuscitano i morti ed essi poi sono ammalati, uè

valgono a risanarsi, conoscerete chiaramente che il ri-

sorgimento da morte non avvenne per la virtù di chi

suscitava, ma sibbene dello spirito operatore. Che poi

ammalassero di frequente n’è testimonio 1 Apostolo, che

(i) S. Paolo II. ai Corinlii XII. 6.

(i) Ivi IV. 7.

14

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10%

così parla del suo Timoteo: Usa di poco vino a cagio-

ne dello stomaco e delle spesse tue in/ermiladi (i); a

altrove: Lasciai Troftno eh’ era infermo a Milelo (2);

e scrivendo a’ Filippesi, aggiugneva: Epafrodito am-malò presso a morte (3 ). Che se in onta a tutto questo

li credevano altrettanti numi, e si apprestavano a por-

ger loro dei sacrifico, esclamando: Vennero a noi de-

gli uomini simili agli dei (4) *, a qual grado d’ empietà

in vista di tanti miracoli sarebbero pervenuti, ove non

fossero stati a tanti mali soggetti ? Come adunque negli

apostoli per la grandezza dei lor prodigi permise Iddio

che perseverassero nelle infermità della natura, e nella

frequenza delle tentazioni, affinchè non si ritenessero

per altrettanti dei, così alcun che di simigliante operava

nelle terrene cose create$chè belle e magnifiche le for-

mò,ma corruttibili ad un istante. E le Scritture l’ uno

e l’altro fatto ne mostrano; poiché in un luogo descri-

vendo la maestà dei cieli ripetono : I Cieli narrano la

gloria di Dio (5 ); e di nuovo : Iddio svolse il cielo co-

me una tela,

e lo distese a foggia di un padiglione

sovra la terra (6); e di nuovo ancora: Iddio sostiene

la volta del cielo (7). Dimostrando poi che, per quan-

tunque grande e bello, pur è corruttibile, soggiunse:

Dapprincipio,o Signore, tu hai stabilita la terra

,ed i

cieli sono ! opera delle tue mani. Ma essi periranno e

tu rimarrai lo stesso, invecchieranno come un vestilo ;

(1)S. Paolo I. a Timoteo V. 23.

() S. Paolo II. a Timoteo IV. 20.

(3) S. Paolo ai Filippesi II. 27.

(4) Adi degli Apostoli XIV. 15.

(5) Salmo XVIII. 1.

() Isaia XI. . 22.

(?) Ecclesiastico X l.l II.

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103

vorrai che si cangino a guisa di una coperta,e si can-

gieranno (i). Alludendo al sole il medesimo Davidde

ripigliava : Come uno sposo ei s' alza dal proprio tala-

mo, e come un gigante anela a percorrere la p>-opria

strada (a). Udiste il modo con die vi pose sottocchio

la maestà e la bellezza di codest astro? Come uno spo-

so che fuori sbalzi dal nuzial Ietto, cosi anche il sole

presso l’aurora emette i suoi raggi, adorna il cielo quasi

d’un croceo velo, imporpora le nubi, c corre impertur-

bato il dì intero, senza interrompere per ostacolo che

sia il proprio viaggio. Udiste pertanto la descrizione di

sua bellezza, udiste quella di sua magnificenza;

udite

pur anco quella di sua fragilità. Mettendocela infatti

dinanzi un noni sapiente diceva : Che cosa v ha più

sfolgorante del sole? Eppure vien meno aneli esso (3).

Nè la fralezza del sole iu ciò unicamente si manifesta,

che n’ è prova lo stesso accalcarsi delle nubi;mentre

avviene che le nubi gli corran di sotto, ed ei vibri i

suoi raggi sforzandosi di romperle, ma non ottenga nul-

la, perchè le nubi sono più dense e ricusano di cedere

alla sua forza. Voi perù soggiugnete: il sole nutre le se-

menti, ed io ripiglio non è unicamente il sole che le nu-

tra, ma abbisogna della terra c della rugiada, e delle

pioggie e de’ venti, e del corso felice delle stagioni: poi-

ché, ove tutto ciò non concorra, anche l’opera del sole

tornasi vana. Non è poi attributo di Dio aver mestieri

dell’opera altrui alla formazione di ciò che vuole; che a

lui massimamente si addice il non abbisognare di chi si

sia. Egli non trasse dalla terra le sementi, ma comandò,

.?! .uv/x.i fit

,( ? ,t!l// limmi) f*|

.».// ««kfc e>

(i) Salmo CI. 26.

(a) Salmo XVIII. 6.

(3) Ecrlciiaftico XVII. 30.

,

-.i

uULi

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//t.

104

e la germogliazione fu piena. E per far Conoscere anco

dappoi che non la natura degli elementi, ma la forza

de’ suoi precetti produce ogni cosa, lasciò senz altro ca-

der la manna ai Giudei, e sta scritto ch’egli diede loro

il pane del cielo (i). Ma che dico io il sole abbisognare

degli altri elementi per la germogliazione e il tramuta-

mento dei frutti, mentre di molti ha d’uopo a sostenere

se stesso, non potendo egli a se stesso bastare? Per

correre la sua via ha mestieri del cielo, che gli serve

come di pavimento, ed a risplendere dell’aria che sia

rara e purissima. Che se questa oltre misura si addensi,

egli non può far pompa della sua luce, e per non essere

insopportabile a tutti, e tutte cose non abbruciare, gli

viene opportunissima la rugiada e il raffreddamento.

Che se il sole è superato dagli elementi che vengono a

sopperire all’impotenza sua, se riman superato dalle

nubi, dalle muraglie e da molli altri corpi che non

permettono il passaggio alla luce-, se ve n hanno di

quelli che temprano l’ eccessivo ardore, come le rugia-

de, le fonti e il rinfrescamento dell’aria, in che modopuò egli mai essere un Dio ? E d’ uopo che Iddio non

abbia nè difetto, nè bisogno di nulla: è d’ uopo che sia

1’ autor d’ogni bene e non soffra ostacolo di sorta : è

d’uopo che si riconosca quale ce lo dipingono l’apostolo

Paolo ed il profeta Geremia. Questi infatti nella perso-

na del medesimo Dio esclama: Jo riempio il cielo e la

terra,dice il Signore (2)5 e di nuovo : Jo sono il Dio

che sta dappresso,non già il Dio che sta lontano ; e

Davidde ripigliava : Dissi al Signore : Tu sei il mio

Dio,perchè de* miei beni non abbisogni (3 ). Paolo poi

(i) Salmo LXXVII. 28.

(a) Geremia XXIII. 24.

(5) Salmo XV. 1.

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dimostrando che la ricchezza di lui non patisce difetto

alcuno, e mettendo soli occhio che a Dio massimamen-

te convengono i due attributi,di non aver mestieri di

nulla e d’impartire a tutti ogni bene, ripete: Iddio che

fece il cielo,la terra e il mare

,a cui nulla manca

,

egli dona a ciascuno la vita,

lo spirito e tutto che

ha (i).

Potevamo discorrere per gli altri elementi ancora,

e far palese come il cielo, l’aria, la terra e il mare sieno

manchevoli, come ciascuno abbisogni del suo vicino, e

senz' esso venga meno e disciolgasi. La terra, ove andas-

se priva delle fonti e dell1

umidità che dal mare e dai

fiumi le si trasfonde, arsa in breve disperderebbesi;si-

milmente gli altri elementi a vicenda, come l'aria dal so-

le e il sole dall'aria, si soccorrono;ma per non prolun-

gare di molto il discorso, basti nelle cose accennate aver

offerto a que’ che vogliono argomenti non pochi di lun-

ghe meditazioni. Che se il sole, più meraviglioso d’ ogni

altra cosa creata, tuttavia si manifesta e povero e frale,

lo saranno a maggior ragione le altre parli del mondo *,

e queste cose io ricordava per offrimele a soggetto delle

ricerche de1

più studiosi, ch’io frattanto verrò a mostrar-

vi con le parole della Scrittura, che non il sole unica-

mente, ma il mondo intero è corruttibile. L1

un f altro

infatti venendo a distruggersi gli elementi, sì che F ac-

cresciuto freddo che sopravviene smorza la potenza del

sole, c il caldo che invigorisce alla sua volta discaccia il

freddo, e ciò perla natura e qualità contrarie che hanno

le sostanze elementari che tendono ad opporsi e nuocersi

a vicenda, n’esce quindi l'argomento della universal cor-

ruzione in ciò tutto che si vede, poiché tutto è sostanza

(i) Ani degli Apostoli XVII.

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•"t

106

corporea. Ma perchè codeslo parlare eccede la brevità

dell’ ingegno nostro, così richiamandovi alle dolcissime

fonti delle Scritture, cercherò di allettare con esse le vo-

stre orecchie. Non vi parlerò esclusivamente del cielo e

della terra, sibbene di tutte insieme le creature, poiché

di tutte ne parla anco fApostolo, ed apertamente ne mo-stra che ogni cosa creata è soggetta a corruzione, e per-

chè Io sia, e quando cangierassi, e in quale natura. Dap-

poi che disse infatti: Che le sofferenze del tempo pre-

sente non sono alte ad uguagliare la gloria avvenire

che mani/èslerassi in noi,soggiunse: avvegnaché il de-

siderio della creatura è in attesa della rivelazione de’

figliuoli di Dio,che la creatura è soggetta a venir me-

no,e questo

,per suo volere non già

,ma per volere di

lui che ve la sottopose nella speranza ( i ). Ciò poi che

disse è un fatto, poiché la creatura ha sortito un essere

corruttibile, e questo voglionsi dire quelle parole: è sog-

getta a venir meno. Formossi poi corruttibile per co-

mando di Dio, e Dio lo volle in riguardo dell’ amati ge-

nere, poiché dovendo nutrire l’ uomo eh’ è corruttibile,

doveva anclt ella esser tale5ned era conveniente che dei

corpi manchevoli vivessero in mezzo ad incorruttibili

creature. Ripiglia dunque l'Apostolo, che tale non rimar-

ra ssi, ma la medesima creatura sarà tolta al servaggio

della corruzione (2). Indi alludendo al tempo in che ciò

avverrà ed al motivo pur anco, va ripetendo: Come giun-

ga alla sua pienezza la gloria de'figliuoli di Dio. Al-

lorché risorgeremo, ei dice, riprendendo i nostri corpi

falli incorruttibili, lo stesso corpo del cielo, della terra c

di tutto il mondo immanchevole pur esso diverrà ed in-

(1)S. Paolo ai fi nmnni Vili. 1 8.

(a) S. Paolo ai Romani Vili. 21.

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1 07

corrotto (i). Dove pertanto voi veggiate il sole che na-

sce, date gloria al creatore; dove il veggiate quando si

cela e dagli occhi vostri dileguasi, apprendete la fralez-

za di sua natura per non adorarlo quasi egli fosse unDio. Questa fralezza poi di natura che v’ è negli elemen-

ti, non solo in ciò che dissi fin qui Iddio si compiacque

manifestamela, ma nel precetto ancora che diede agli

uomini suoi servi di comandare agli elementi;affinchè

se ricusassimo di conoscere la lor soggezione solo a ve-

demeli, apprendessimo da chi loro comanda che sono

altrettanti nostri conservi. Quindi Giosuè dice: Sifermiil Sole contro di Gabaon

,e la lana contro la valle

(fElon (2). Ed Isaia profeta a’ tempi del re Ezechia

fe che il sole tornasse addietro, e Mosè anch’ esso co-

mandò all’ aria, al mare, alla terra, ai macigni;Eliseo

cangiò la natura dell’ acque, e i tre fanciulli vinsero il

foco. Vedete voi dunque come il Signore ne mostrasse

doppiamente la sua provvidenza, invitandone colla bel-

lezza degli elementi a glorificare la divinità sua, e per

la fralezza loro vietando che li adorassimo ?

Celebriamo pertanto in tutte queste maraviglie il

nostro reggitore supi*emo, nè lo dichiarino le parole sola-

mente, ma le opere e le abitudini nostre, come in tutto il

resto, così pure nello astenerci dai giuramenti. Non ogni

peccato è soggetto alla medesima pena, chè quelli, che so-

no più facili a correggersi, avran la più grave. Lo che avver-

tendo il medesimo Salomone diceva : Non islupisco se

il ladro venga sorpreso,allorché ruba per satollare la

(«) Questa opinione era invalsa appresso di molti. Se dopo l'uni-

versale sfar mento della natura in parte risorgerà aneli’ essa incorrotta

lu conosce Iddio, a cui c possibile tulio che non inchiuda un’ esscnrialc

contraddizione.

(?) Giosuè X. 12.

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108

//

propria fame ; ma quegli che commette adulterio, per-

chè scemo di mente,va a procacciarsi la ruina delPa-

nima sua. E la cusa è tale propriamente. 11 ladro è di

certo un uomo abbominevole, ma non però abbomi-

nevole come l’adultero. Quegli infatti, per quantunque

sia lieve il motivo, tuttavolta può sempre addurre a scu-

sa la necessità che nasce dall’ esser povero: questi inve-

ce, senza necessità che lo sproni, va per sola stoltezza a

cacciarsi entro alla voragine del peccato. Dicasi lo stesso

di que’che giurano*, poiché essi pure, ove si tolga il dis-

prezzo, non possono mettere innanzi pretesto di sorta

alcuna. Anch io Io conosco che sembrerò soverchiamente

importuno c noioso, e coll’ assiduità di codesta ripren-

sione pesante: tuttavolta non cesso, affinchè, se non

d altro, staochi dell’ importunità mia, abbiate ad aste-

nervi dall iniqua consuetudine di giurare. Che se quel

giudice indomabile e severo stimolalo dalle pertinaci in-

chieste della vedova cangiò costume, molto più lo farete

voi, ed allora massimamente che sappiate muovermi sup-

plichevole a ciò non per mio vantaggio, ma per la vo-

stra salvezza : anzi non nicgherò di farlo anche per la

salvezza mia, confidando che il vostro bene a mio me-rito si converta. Vorrei che come io di presente mi ado-

pro ed affatico per la felicità vostra, così voi pure vi

prendeste un’egual cura della vostr’ anima;avverrebbe

allora il conseguimento del Gne grandemente desiderato.

Occorrono forse altre parole ancora ? Se non vi fosse un

inferno, una pena pei contumaci, una mercede pe' con-

vertiti, ed io presentandomi a voi ve lo chiedessi in gra-

zia, perchè non dovreste accordarmela ? Come rifiutare

a chi ve lo chiede un favore che vi costa sì poco? Edove è Dio che la chiede, e il fa per dare a voi un pre-

mio, non già per ricever egli un vantaggio, troverassi

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alcuno si ingrato,miserabile ed infelice che a Dio che

addimanda quest’ opera beneOca,

la dinieghi,mentre

quegli che la concede sarà per godere interamente del

beneficio. Pensando adunque a ciò, e dentro a voi stessi

raccogliendovi, ripetete quel tutto che udiste, e per o-

gni guisa adoperatevi a correggere i pertinaci, onde rice-

vere la retribuzione de’ vostri e degli altrui meriti per la

grazia e misericordia del nostro Signor Gesù Gristo, pel

quale e col quale sia gloria al Padre insieme ed allo

Spirito Santo ora e sempre, e per tutti i secoli de’ se-

coli. Così sia.

.V -Ài —

15

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f/\S

OMELIA VII.

Rrndc grazie a Dio pei conforti eh’ erano venuti al popolo

antiocheno nelle me gravissime angustie, che sono con

molta delicatezza e tivacità ricordate, indi prosegue Par-

gomento della creazione dell'uomo, fermandosi in ispe-

cial guisa a descrivere, clocfuentemerite gli organi prin-

cipali del corpo, e in fine ritorna ai giuramenti.

Pensando all ornai trascorsa tempesta ed alla tran-

quillità presente, non cesso dallo esclamare : Sia bene-

detto quegli che ordina tutte cose e le trasmuta, che

fé’ nascere la luce dalle tenebre, che guida fino alle

porte dello inferno e ne ritraggo, che gastiga e non

ispegne: c voglio che ripetiate ciò stesso anche voi,

nè vi stanchiate giammai. Che s'egli ne porse insigni

benefici! coll’opera, di qual perdono potrem essere me-

ritevoli dove non gli corrispondiamo almeno con le pa-

role? Pertanto io vi scongiuro a non ristare dal ringra-

ziarlo. Che se gli mostrerem gratitudine de’ primi favori,

di certo ne otterremo degli altri più magnifici anco-

ra. Ripetiamo dunque incessantemente: Benedetto il

Siguore, che a noi concesse d’ imbandirvi con gaudio

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111

l’ usata mensa, e a voi d'ascoltare con sicurezza i nostri

discorsi. Benedetto Iddio, perchè non più coll’ ansia de-

gli esterni pericoli, ma col desiderio della sua parola

qua tulli ci raccogliamo: non più accorrendo con dub-

bii, c spavento, e vicendevoli angosce, ma con fidu-

cia, e deposti que’ fieri crucci da che eravamo ne’ giorni

addietro dilacerati, non altrimenti che fossimo di mezzo

al mare travolti, e vedessimo d ora in ora minaccioso il

naufragio. Sì, innumerevoli erano le agitazioni che ci te-

neano sospesi, travagliati, e ci assediavan dovunque, e,

affrettando ciascun giorno che passava, andavamo chie-

dendo bramosamente: Venne alcuno dal campo? E ve-

nendo qual mai nuova arreconne? E vero o falso quel

che si dice? E trascorrendo iutanto le notti insonni,

guardavamo lagrimosi alla città, quasi dovesse schian-

tarsi in breve. Quindi è eh’ io pure ne passati giorni mi

tacqui, poiché la città era pressoché tutta deserta, men-

tre la massima parte cercato aveva un rifugio nella soli-

tudine, e gli altri da tenebrosa nube di tristezza giaceansi

oppressi5nè I anima una volta che sia ripiena d'angu-

stie è atta a porgere ascolto. Per cui anche gli amici che

si appressarono a Giobbe, come videro tutta sangue la

casa sua, e quel giusto tutto coperto di ulceri, starsi

nel mondezzaio, stracciamosi le vesti, gemettero, e senza

altro gli si posero accosto seduti, volendo con ciò si-

gnificare, che niuna cosa tornava a mesti di quella fatta

più conveniente del riposo e del silenzio, che d'ogni

consolazione era maggiore la tristezza. Similmente anco

i Giudei, costretti a faticare intorno alla creta ed s mat-

toni, quando scorsero Mosè che veniva alla lor volta,

non potevano intendere ciò ch’egli diceva per la fiac-

chezza e le tribolazioni sotto alle quali gemevano. Equal meraviglia se giunsero a tanto degli uomini di po-

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Ito

112

co spirito, dove troviamo che i discepoli medesimi di

Cristo toccarono a questo estremo? Dopo infatti la misti-

ca cena, allorché Cristo, trattili in disparte, parlava agli

eletti alla gran missione, dapprima gli chiedevano, dove

ten vai ? ma posciachè annunciò loro i mali che dietro

tosto attendeanli, le guerre, le persecuzioni, le nimistà

generali, i flagelli, le carceri, le condanne e gli esigli,

sentironsi cader l'animo oppresso quasi da peso insop-

portabile, che poi sotto allo spavento di questi annunci

ed ali’ angoscia de' futuri danni rimase istupidito. Quindi

è che il Maestro divino veggendoli così afllitti e di ciò

rimproverandoli, soggiugneva: Sono per andarmi al

Padre mio, e niuno di voi m interroga, dove ten vai ?

Ma perchè diedi a voi questi annunci,

la tristezza ha

di già riempiuto il cuor vostro ( i ). Per questa ragion»*

ho taciuto anch'io ne’ trascorsi giorni, attendendo la

circostanza. Che se quegli che dee chiedere istantemen-

te, quantunque abbia a proporre cosa che alla lagion si

conformi, pure aspetta l’ occasione opportuna a discor-

rere, onde ritrovare d’ animo tranquillo e ben disposto

colui dal quale dipende il pieno adempimento alla in-

chiesta, e di tal guisa cerca il soccorso del tempo per

ottenere ciò che desidera -, a più forte ragione codesto

tempo opportuno richiedesi dall’oratore per volgere sue

parole ad un uditorio che ben gli si appresti, e sciolto

sia d’ogni ansia e d’ogni tristezzaj lo che non ha guaii

io medesimo adempieva.

Or adunque, giacché ebber tregua le angosce, vo-

glio richiamarvi dapprima alla memoria delle cose eh»*

si discorsero, acciò più chiara vi giunga l’orazion mia.

Ricordivi pertanto che parlando della creazione del

(i) S. Giovanni nel Vangelo XVI. 5.

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mondo dicemmo, che Iddio noi fece solo vago, magni-

fico e grande, ma fragile insieme e corruttibile;dicem-

mo che di ciò ne offerse mollissime pruove, mettendoci

le una e le altre dinanzi unicamente a nostro vantaggio,

facendone per via della bellezza salire alla contempla-

zione della maestà del Creatore, rivocandone per la man-

chevol natura dal tributare un culto alle cose create, e

questo si appalesa nel nostro corpo medesimo;

alcuni

poi tra’ nemici della verità e tra’ Cristiani pur anco, ove

di esso discorrano, indagano per qual ragione mortale e

corruttibile si creasse. Molli però degli eretici e de' pa-

gani affermano che il corpo non è formato da Dio, che

pensano cosa indegna della creazione divina le immon-

dezze, i sudori, le lagrime, le fatiche, le malattie e gli

altri disagi che al corpo umano s’appigliano. Io pertan-

to, poiché si toccò questo argomento, potrei fin dalle

prime rispondere : Non mi ponete sotl’ occhio f uomoche prevaricò, che dispogliossi della natia grandezza,

che ricevè la condanna: ma, se volete conoscere qual

ibsse veramente il corpo che Iddio da principio creava,

è d’ uopo che ce ne andiamo nel paradiso, ed ivi con-

templiamo f uomo come uscì dal volere supremo. 11

corpo allora non era corruttibile, qual di presente, e

mortale, ma simile ad una statua d’oro tratta non ha

guari dalla fornace, e nitida e sfolgorante. Quel corpo

andar dovea scevro di tutte corruzioni, nè provare i

travagli della fatica, nè i danni del sudore, nè le cure

insidiose, nè le ansie della tristezza, nè alcuu’altra offeso

che fosse. Poiché dunque nella sua felicitade non tem-

perossi, e recò grave ingiuria al suo benefattore, e giu-

dicò il menzognero demonio più meritevole di credenza,

che non fosse Iddio suo reggitore e che in tanta gloria

nvealo costituito, e ardì sperare di farsi Dio egli stesso,

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/zt-

114

concependo un'opinione d'assai maggiore dell'essenzia-

le sua dignità: allora, sì allora Iddio, ammaestrandolo

col fatto, il fece corruttibile e mortale e di tanti bisogni

circondollo, non per odio e per abominio, ma per prov-

vedere al suo bene e per correggere fin da’ primordii

quella pestifera ed iniqua superbia che in lui s’aderse;

non permettendo che procedesse oltre, e col mezzo dei

fatti avvertendolo eh’ era corruttibile e mortale, affinchè

avesse a persuadersi che non erano per lui que' pensieri

e que’ sogni. Il demonio avea detto: Sarete altrettanti

dei ( i),

e Dio, volendo svellere dalle radici codesta opi-

nione, gli fè tosto provare difetti e malattie nel corpo,

acciò dalla medesima natura apprendesse a tenersi lunge

sempre dall’ empio vaneggiamento. Che poi ciò sia vero,

si conosce apertissimamente da quanto accadde;mentre

la pena venne dietro all’aspettazione in che s’era posto.

E considerate meco il procedere sapientissimo di Dio:

non permise ch’egli il primo morisse, sibbene che il suo

figliuolo vi soggiacesse, affinchè, guardando a quel corpo

sanguinoso e fracido, una grande lezione di sapienza ap-

prendesse da quella vista, conoscesse a prova il danno

operato, e così da questo mondo fortemente corretto sen

dipartisse. Tutto che dissi impertanto e dagli esposti av-

venimenti in principal modo deriva, e da quello che si

dirà in appresso maggiormente confermerassi. Che se,

per quantunque da codesta necessità nel corpo nostro

costretti, per quantunque ciascuno sen muoia, distem-

prisi in corruzione, sotto gli occhi di tutti imputridisca,

e ritorni finalmente in polvere; per quantunque i filoso-

fi comprendano in una sola definizione tutto il genere

umano, e, richiesti che cosa sia l’uomo, rispondano:

(i;Grnrsi III, 5.

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Uu animale ragionevole e soggetto a morte;se per quan-

tunque tutti convengano in questo fatto, pure trovaronsi

alcuni che osarono farsi credere immortali nell’opinione

di molti, e mentre gli occhi erano testimoni i della mor-

te, ottennero di essere celebrati come dei, e come tali

con religioso culto riveritij dove non si fosse fatta in-

nanzi la morte, c avesse predicato la fralezza e corrutti-

bilità universale della natura, a qual estremo d’iniquità

non avrebber prorotto moltissimi degli uomini ? Ascol-

tate ciò che dice il Profeta di un re barbaro colto da si-

mile frenesia: Innalzerò sopra gli astri il mio solio, e

diverrò eguale alF Altissimo (i). Umiliandolo poi ed il

suo fine manifestando, esclama: La putredine sarà il

tuo letto,e da coltre ti serviranno i vermini : nè in ciò

v:

ha nulla eh’ ecceda. E l’ uomo che deve attendersi que-

sto fine osò montare in pensamenti sì alteri. E d’altro

re parimente, quello de Sirii, reo della medesima ini-

quità, e che voleva essere tenuto in conto di Dio, sta

scritto: Tu non sei Dio,ma uomo diran coloro che ti

feriranno a morte (•2 ). Quindi il Signore ne diede un

corpo sì fragile per toglierne fin da principio e del tutto

un argomento di superbia e d idolatria. E qual meravi-

glia se tanto opcrossi nel corpo, dove si attenda a ciò

che 1 anima stessa sofferse? Iddio non la fé’ già mortale,

sibbene lasciò che godesse della immortalità sua *, pure

la fé’ soggetta all obblio, all’ ignoranza, alla tristezza, ed

alle sollecitudini d’ogni maniera, e volle che così fosse,

perchè guardando alle proprie doti, l’ uomo non si for-

masse un concetto soverchiamente altero della sua digni-

tade. E se con tutto ciò nuilauicno alcuni osarono dire,

( 1)Imù XIV. 1 5.

(•j) Etcchiclc XXVIII. 9.

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116

tVy

esser ella parte della divina sostane, dove scevra andas-

se degli accennati difetti, a qual grado di temerità non

avrebbero portate le proprie dottrine? Tuttavia quel

che diceva della creazione del mondo, intorno al corpo

il ripeto, e nell’ una e nell’altra proprietà di che lo for-

niva ammiro egualmente la provvidenza di Dio, e per-

chè il fé’ corruttibile, e perchè nella corruzione tanto

raggio v’infuse di sua virtù e di sapienza. Che poi for-

mar lo potesse d’ una miglior materia, ne sono prova i

corpi celesti, ed il sole massimamente5poich’egli che

di simil tempra creò que’corpi, come lo avesse voluto,

poteva crear eguale anche il corpo dell’uomo, ma la cau-

sa della fragilità sua è quella che sopra esponevamo. Nèquesto toglie nulla alla potenza mirabile del Creatore,

anzi più lumioosa la manifesta;chè la materia vile è ai*-

gomeoto della destrezza e del sovrano magistero nell’ar-

te se alla cenere ed alla creta impartiva tanta armonia,

0 sentimenti si multiformi e svariati, e capaci di reggere

e di servire a tanta forza della ragione.

Per cui quando più accusaste la fralezza della sostan-

za, più grand’elogio tributereste al meraviglioso artificio di

Dio; mentre non ammiro così lo scultore che trae dall’ 010

una vaga statua; come l’altro che vale a rappresentare

una figura di nuova ed inconcepibil bellezza, e tutto per

fino magistero dell’ arte nella friabilissima creta. Il primo

ha la materia che anch’ essa all’ opera corrisponde, que-

sti non mostra che l’arte affatto ignuda. E voi come vo-

gliale apprendere quanto sia grande la sapienza di lui

che ne formò, pensate che cosa alla per fine traggasi

dalla creta. Non altro che delle pentole e dei mattoni.

Ma Dio supremo artefice della materia, d’onde si trag-

gono le pentole ed i mattoni soltanto, valse a trarre un

occhio sì bello che tutti, che il veggano, rimangono sba-

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lorditi, e valse ad infondere in esso tanta forza da lan-

ciarsi via per l’inimensnrubile altezza dell’ aria, e col soc-

corso di minutissima pupilla abbracciare tanti corpi ad

un punto, e monti, e boschi, e colli, e mari, e cielo. Nòmi opporrete gli occhi loschi e cisposi, che codesti di-

fetti vennero dietro alla vostra colpa;ma invece racco-

glietevi sulla bellezza e sul nerbo della vista, e considera-

le com’ ella percorrendo sì lunghi tratti dell’etereo vano,

non si dolga, nè s affatichi •, e mentre i piedi per poco

che procedano s’addolorano c stancano, l’occhio per lo

contrario, che a tanta altezza trasvola e sì ampiamente

discorre, da ciò non riceve danno che sia. E poiché d’ ti-

gni altro membro è l’occhio il più necessario, così Diti

noi fe’ soggetto sì facilmente alla stanchezza, acciò l’oflì-

cio suo ne tornasse e libero e speditissimo. Chi poi var-

rebbe a dipingere con parole la piena virtù di quest’or-

gano? Che dir dovrebbesi della pupilla e della poteuza

di vedere? Che se vi fermaste od osservare soltanto le

palpebre dell’occhio, che sembrano uno tra più vili stra-

nienti, anche in esse grande vi apparirebbe la provvi-

denza divina. Di quella guisa infatti che nelle spiche le

reste, come altrettanti sparsi pungiglioni, tengono lunge

gli uccelli, non permettendo che si posin sul frutto e in-

frangano il debolissimo stelo: non altrimenti anche negli

occhi, a foggia delle reste c de’ pungiglioni, dispiegansi

i peli delle palpebre, tenendo fuori degli occhi la polve-

re, i fuscellini e tutto che potesse lor nuocere, nè per-

mettendo che le palpebre medesime vengano offese. Os-

servereste anco un’altra provvidenza non minore di que-

sta nelle sopracciglio. Non c forse oggetto da ammirarsi

la posizion loro, mentre nè si protendono oltre la giusta

misura ad offuscare la vista, nè più di quello convenga

5 accorciano; ma, come una grondaia della casa, sporgo-

1 0

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flt

118

no un po fuori al di sopra, onde segnare il corso al su-

dore che stilla dal capo, impedendo ogni disturbo degli

occhi? Quindi è che anco alle sopracciglie stanno af-

fissi dei peli che per la densità loro respingono ciò che

giù cola, proteggono accuratamente gli occhi c servo-

no loro di bellissimo decoro. Nè dobbiamo fermarci qui,

cbè v’ hanno altre cose meritevoli di non minor mera-

viglia. Per qual ragione, chiedo io, crescono e si tosano i

capelli in sul capo, non mai le sopracciglie ? Nè questo

dev’essere avvenuto ciecamente e alla ventura, ma per-

chè prolungandosi non intenebrassero gli occhi, incomo-

do che provano coloro che toccano alla decrepitezza.

Qual uomo sentirehbesi poi atto a descrivere la sapienza

tutta che nel cerebro si appalesa ? Primieramente Iddio

lo fè molle, poiché in esso v’ ha f origine di tutti i sen-

si; poscia, acciò non patisse danno la naturai sua costi-

tuzione, quinci e quindi lo assicurò delle ossa; ma per-

chè dall’asprezza loro attrito non si schiacciasse, vi

distese una membrana frammezzi) : c che dissi una sola ?

una prima, e una seconda; quella perchè sottesa fosse

al teschio sovrastante, questa perchè superiormente la

carne del cerebro ravvolgesse, e la prima è assai più

dura della seconda. E in tal guisa fu disposto, sì per la

causa accennata, come per la ragione che subito il cere-

bro non venisse offeso dalle ferite che si facessero al ca-

po, ma, frapponendosi codeste membrane al colpo, dis-

perdessero la violenta impressione, e indenne lo con-

servassero. Di più: non essendo il cerebro continuo, nè

uno soltanto l’osso che lo ricopre, così po’ varii connet-

timenli che nascono dalle molte sue parli sorge un

motivo di maggior sicurezza per esso. Per mezzo poi di

que’ connoti imeni i che lo rattengonn, possono a tutto

agio uscire colla respirazione i vapori, acciò non restino

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Ili)

a soffocarlo, c se gli cada sopra una qualche offesa, non

ne provi un danno universale;mentre, dove l’osseo in-

volucro fosse un solo e continuo, la ferita scagliata iu

una parte tutto I* offenderebbe;lo che non può avvenir

ora che in molte parti è diviso. Come avvenga infatti il

laceramento d1

una qualche porzione, riman colpito l’os-

so che in quella determinata porzione è posto, conser-

vandosi illese le altre circostanti;poiché con la division

delle ossa fu tolto il progredir dell’ offesa, che non valse

ad estendersi nella porzione vicina. Ecco quindi il mo-

tivo per cui Dio compose di molte parti il cerebrale av-

volgimento, e di quel modo che v’ hanno alcuni che

nell’ edificare una casa al tettole tegole sovrimpongono:

non altrimenti anche il Signore sopra il cerebro piantò

fossa, indi vi fe spuntare i capegli, acciò per molti te-

nessero luogo di caschetto. Nè fu dissimile la sapienza

usata da Dio intorno al cuore. Essendo infatti il cuore

tra gli organi nostri il principalissimo, a cui il sussistere

di tutta la nostra vita è affidato, e succedendo la morte

alla più lieve percossa eh’ ei soffra : così aneli’ esso fu

circoscritto ovunque da spesse e durissime ossa, e quin-

ci assicuralo dalle prominenze del petto, quiudi dalle

scapole della schiena; e quanto accorgimento si tenue

nelle membrane cerebrali, se ne mostra altrettanto in

quelle del cuore. Conciossiachè a prevenire i colpi e le

offese che potesse ricevere dall’irtezza delle vicine ossa

ne1

palpiti frequenti e ne’ moti accelerali dell ira, sopra

vi stese molte membrane, c sotto vi pose il polmone,

che quasi mollissimo strato a’ battiti si prestasse, per

guisa che potesse a suo piacimento crescere in essi sen-

za provarne alcun danno. Ma che dire del cervello e del

cuore, se chi tenesse dietro anche alle ragioni dell’ un-

ghie, chiara ivi pure troverebbe una manifestazione del-

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la sapienza di Dio sì dalla forma loro, che dalla natura

e dal sito? Avrem potuto anche rintracciare, per che

siano in grandezza tra lor disuguali le dita, e molle ai

tre cose u queste somiglianti; ma per que’ che voglion

pensarci, le cose dette bastano a far palese come in lut-

to rifulga la sapienza di Dio nostro creatore, per cui,

lasciando questa parte libera alle diligenti ricerche de-

gli studiosi, passo a ribattere un’altra obbiezione che

ne si adduce.

Trovansi molli che, non paghi di ciò che opposero

finora, nuovamente insistono, dicendo: se )' uomo è il

sovrano degli animali irragionevoli, perchè in forza,

snellezza e celerità è da non pochi tra loro superato ? E'

più veloce dell’uomo il cavallo, più tollerante delle fati-

che il bue, l’ aquila più snella ed il leone più forte. Eche possiamo rispondere a quest’ obbietto ? Che da ciò

stesso appare la sapienza di Dio, e l’ onore di che siamo

insigniti. Il cavallo è sì più veloce dell’ uomo, ma per

fornire un lungo pellegrinaggio 1’ uomo è del cavallo

più adatto. Infatti il cavallo più 'celere e robusto che

siavi può appena correre in un giorno duecento stadii,

mentre f uomo aggiogando successivamente molti ca-

valli al suo cocchio, potrà farne due mila. Quindi, se la

velocità al cavallo, impartì all’uomo la ragione e l’arte

con misura abbondevole assai;

e, dove certamente non

ha i piedi celeri a! par del cavallo, pure ha i suoi pro-

prii e quelli del cavallo insieme che gli si prestano mi-

rabilmente. Non evvi infatti animale irragionevole che

al suo servigio assoggettar ne possa alcun altro, ma l’tio-

mo a tulle cose si arcigne, e per quell’artificio svaria-

tissimo che Iddio gli concesse, cattivasi in obbedienza

que’ bruti che piu valgano a’ suoi bisogni. Che se i piè

degli uomini lusserò stali forti come quelli de’ cavalli,

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prestato non si avrebbero ad altri offìcii. a superare l'a-

sprezza de1luoghi, le vette dei monti, le salite degli al-

beri; che la sodezza dell' unghia suol essere d’ostacolo

a chi si mette in simili imprese. Laonde, quantunque i

piedi umani siano più dilicati,

tuttavia tornano profit-

tevoli in più maniere assai, e la delicatezza loro non

riesce a danno, mentre si valgono della virtù dei caval-

li, e nella varietà del cammino sopra i cavalli stessi pri-

meggiano. L aquila è fornita d’ale più agili certamente,

ina noi abbiamo la ragione e 1 arte, per cui possiam

trur giù tutti gli animali e pigliarli. Che se poi vogliate

vedere l’ ale di che son io armato, conoscerete che ne

ho di molto più snelle, che volano, non già per dieci

stadii, nè per venti, nè fino al cielo, ma sopra il cielo

del cielo dov’ è Cristo assiso alla destra del Padre. I

bruti d’avvanlaggio portan l’armi nel proprio corpo,

come il bue le corna, il cignale i denti, il leone, le un-

ghie*, a noi invece Iddio non diede le armi naturalmente

infisse nel corpo, ma ne le offerse al di fuori, mostran-

do che l’uomo tra gli animali è mite, e che non deve

usar sempre di codest’armi: di fatto frequentemente le

deponiamo, prendendole talvolta di nuovo. Perchè si

vegga adunque che siamo liberi e sciolti, e non costretti

a portar l’ anni continuamente, perciò volle Iddio che

andassero separate dalla nostra natura. Nè l’essenza no-

stra ragionevole è la sola che ne rende superiori ai bru-

ti; sibbene stiamo sovr’ essi anche pel corpo, corpo che

alla generosità dell’ anima nostra conviene, ed è atto a

raggiugnere il fine per cui Dio lo concesse. Nè possiam

credere che ciecamente si formasse codesto corpo, sib-

bene quale era d’ uopo che fosse un ministro della ra-

gione; e se di tal guisa non si attemperasse, rimarreb-

bero grandemente impedite le operazioni dell’anima, e

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nr

122

ciò ben si scorge nelle infermitadi. Avvegnaché, dove

Io stato della carne dall ordinaria sua costituzion si tra-

muti, anche le operazioni dell’ anima rimangono sospe-

se, come quando più dell’ usato si riscaldi o raffreddi il

cervello. Inoltre la provvidenza di Dio nel corpo umano

rilevasi ancora, più presto che dal considerare come da

principio fosse creato migliore di quello che ora è, dalla

gloria assai più grande, per cui trarrassi dal sepolcro.

Volendo poi conoscere d’altronde quanta sapienza ab-

bia Iddio dimostrato intorno al corpo, dirò quello che

sembra fosse da Paolo fatto oggetto principale delle sue

meraviglie. Ed è? Che volle Iddio o per questa o per

quella virtù si distinguessero individualmente le mem-bra, non concedendo mai tutto ad un solo

\e quindi

prescrisse che queste avvantaggiassero le altre nella bel-

lezza, quelle nella forza}come son belli gli occhi, ma

più forti i piedi;prezioso il capo, ma non può dire alle

gambe : Io non ho bisogno di voi ’, c questo si manifesta

anco nei bruti, e parimenti in tutta la vita. Il re per-

tanto ha d uopo dei sudditi, ed i sudditi del re, non

altrimenti che il capo dei piedi. E venendo ai bruti, gli

uni sono più forti, gli altri più vaghi, questi ne alletta-

no, quelli ne ammantano: ne alletta il pavone, ci nutro-

no le galline ed i maiali, ne vestono le pecore e le ca-

pre, ne giovano delle loro fatiche f asino ed il bue. V e

ne hanno poi degli altri che non ci prestano alcuno de-

gli accennali vantaggi, ma servono di sprone alla nostra,

virtù, confò delle fiere che crescono fortezza ai caccia-

tori, e colla paura rendono più saggia e prudente la no-

stra specie, e porgono anche non lieve tributo alla me-

dicina colle proprie membra. Quando peiù alcuno vi

addiinandi : come siate i dominatori dei bruti voi che

temete il leone? rispondete, ehe da principio a questi

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termini ridotte non erano le cose, allorché gli uomini

da Dio si tenevano in pregio ed abitavano il paradiso;

ma poiché si offese il Signore, demmo nelle insidie «lei

nostri servi; non del tutto però, poiché ne rimase un’

arte per cui superiamo di gran lunga le fiere. Accade lo

stesso ne’ palagi dei grandi, ove i figli, per quantunque

nobili, finché hanno pochissima autorità si fan paura di

molti servi, e la paura cresce quando vengano in qual-

che fallo scoperti. Dicasi pertanto lo stesso delle serpi,

degli scorpioni, delle vipere, che per la nostra colpa di-

vennero formidabili.

Nè solamente nel nostro corpo, nella multiforme

eondizion naturale, e nei bruti, ma nelle piante ancora

n è dato di riscontrare codesta varietà in guisa che tale

vilissima all’aspetto non di rado supera la più bella;

affinchè si vegga, che tutto in ciascuna paratamente non

si raccoglie, ed abbiam mestieri di tutte, e da tutte

possiam conoscere quanto sia feconda la potenza crea-

trice. Non vogliate pertanto volgere ad argomento d ac-

cusa in Dio la «irruzione del corpo, sibbene per <-iù

stesso apprendete a maggiormente adorarlo, ed ammirare

la saggezza e provvidenza di lui. La saggezza, perchè

valse ad offrire in un corpo cotanto facile a corrompersi

un’armonia sì prodigiosa; la provvidenza perchè lo for-

mò corruttibile a vantaggio dell anima, onde compri-

mere i gonfi desiderii, e gastigare la sua superbia. Qui

jierò soggiugnerà alcuno:perchè Iddio noi lece così da

principio? Ed egli giustificandosi, o uomo, in tàccia tua,

se non a parole, va con le opere stesse dicendoli : lo ti

avea destinato un più onorevole posto, ma tu medesi-

mo li rendesti indegno di tanto dono, escludendoti

dal paradiso; tuttavia nè anco in tal condizione li ho

reietto,- chè per mezzo della pena venuta dietro alla tua

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/;z

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colpa, Ijo cercalo di ricondurli al cielo. V olli per quello

che grado grado e per molli anni si andassero logoran-

do e corrompendo le lue forze, affinchè sì lungo tempo

di corruzione ti valesse a continua scuola di umiltà, e

ad impedire che in te sorgessero i primi affetti malvagi.

Rendiamo dunque grazie al clementissimo Iddio per

queste opere tutte, e rispondiamo co’ falli alla sollecitu-

dine che si prese di noi,sollecitudine che torna a tanto

nostro vantaggio; e cerchiamo di adempiere esattamente

quel precetto di che spesso io vi parlai, nè cesserò di

parlarvi fino a che voi non vi avrete perfettamente cor-

retto : mentre da me non si chiede, se vi avrò con molte

o poche parole ripreso, ma se tanto vi avrò ripreso che

bastasse a persuadervi. Quindi il Signore a Giudei per

mezzo del suo Profeta diceva : Se digiunale a liti ed a

contese, a che digiunate mai (i)? E per mio mezzo vi

dice: Se digiunate a giuramenti e spergiuri, a che di-

giunate mai? Qual maniera di prepararsi alla Pasqua

è mai cotesla ? Come ci accosteremo al santo olocausto ?

Come avrem f ardire di comunicare a’ celesti misteri

con quella lingua che di spesso ha conculcato la legge

di Dio? Con quella lingua che sì bruttamente ha mac-

chialo l’ anima? Che se ci tratterremmo dal toccare la

regia porpora, ove immonde fossero le nostre mani, co-

me riceveremo il corpo del Signore su d una lingua

eh’ è lorda? Il giuramento sarà pel malignatore demonio,

il sacrificio poi pel Signore? Qual v’ è comunanza tra

le tenebre e la luce,qual accordo tra fìelial e Cri-

sto (2)? Conosco apertamente che tutti v adoprale a

spogliarvi di questa colpa, ma, poiché ciascuno di per

(1) K-»i.» I.VIII, 1(2) S. l’agio, Il ai Corioti VI. 1 (»,

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I2r>

se slesso non potrà ghignerò ad ottenere il fine brama-

to, così facciamo delle società e delle classi: e in quella

guisa che si diportano i poveri nel fornire un banchetto,

allorché niuno da se solo potrebbe compiutamente im-

bandirlo, e invece nel presentarsi che fanno lutti porta-

no secondo il patto la propria porzione*, diportiamoci

anche noi, e dove ci sentiamo nn po’ tardi, dhidiam le

sollecitudini, ed accordiamoci di raccogliere in comunei particolari consigli, gli avvisi, le esortazioni, i rimpro-

veri, le minaccie, affinchè per l'opera di ciascuno lutti

facciamo il bene. E se noi siamo più avveduti a notare

i difetti del prossimo che i nostri proprii, vegliamo ai-

fi altrui custodia, c a vicenda affidiamo agli altri la no-

stra*, e nasca in questo modo un utije gara tra noi, ac-

ciò, vinta la malvagia consuetudine di giurare, confidenti

possiamo alla prossima solennità apparecchiarci, ed es-

ser fatti partecipi del santo sacrificio nella pace della

coscienza e nelle speranze più liete per la grazia e mi-

sericordia del nostro Signor Gesù Cristo, pel qnale e

col quale sia gloria al Padre insieme ed allo Spirilo

santo pei secoli de' secoli. Così sia.

AltlCiitrO i)/C Nttwihiin.u

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17

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OMELIA AHI.

— -

Rinnova i rendimenti di grazie a Dio per gli ottenuti benefi-

di, richiama per poco il discorso intorno alla creazione

del mondo, indi passa all' argomento della legge na-

turale da Dio infusa nelF nrnan cuore,

e termina col

parlare intorno a' giuramenti.

Dissi anco ieri: sia benedetto Iddio, cd oggi ri-

petei ò lo stesso. Quantunque cessarono le angoscio,

pure non cessi dell’ angoscio provate la rimembranza,

non per dolercene, ma per mostrarci riconoscenti. Che

se la memoria dei mali trascorsi rimarrà con noi, non

avrem d’ uopo di nuovi che vengano ad eccitarne. Fa

di mestieri forse 1 esperienza, ove la memoria basti a

correggere? Di quella guisa pertanto che Dio non per-

mise che la procella ne sommergesse ; così anche noi,

acchetale le minaccia, che ne stempri la infingardaggine

non permettiamo. Ne confortò allora eli’ eravam mesti,

ora che siamo lieti rendiamogli grazie}ne porse conso-

lazioni in mezzo ai sospiri, e non ci lasciò abbandonati-,

dunque nè anco noi nella prosperità non dubbiar» tra-

dire noi stessi, e lasciarci cader nell'accidia', poiché sta

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I

127

scrillo: NelP abbondanza ricordatevi del tempo dedia

fame (i). Conviene perciò clic noi pure ci ricordiamo

i giorni della tentazione in que’ di salvezza, e ci appi-

gliarne alla pratica medesima nei peccali. Conciossiachè,

se cadrete in qualche colpa, e Dio ve la farà perdonata;

ricevetene il perdono e ringraziatelo;tuttavia serbate la

rimembranza della colpa, non per logorare in codesto

pensiero voi stessi, ma per temperare il soverchio rigo-

glio dell’anima, e non cadere negli errori di prima. Félo stesso anche Paolo, il quale dopo di aver detto: Id-

dio m' ha credulofedele coll affidare a me il ministe-

ro apostolico ;soggiunse, a me chefui da prima reo

di bestemmie,di persecuzioni^ d'insulti (2). Espongasi,

«lice, la vita del servo, affinchè la misericordia del pa-

drone si manifesti, e se m’ebbi il perdono delle mie

colpe, sappiasi clic non ne I10 cancellata la memoria.

Nè ciò valeva solo a celebrare la bontà di Dio, ma sì

anco a maggior gloria del convertito. Come infatti avre-

te appreso quello ch’egli era dapprima, vi desterà mag-

gior meraviglia dappoi;e come veggiale qual divenisse

da quello che era, saran più magniGci gli elogi che gli

darete; e quand'anche state fossero innumerevoli le

vostre colpe, dopo il mutamento a belle speranze rina-

scerete; poiché, oltre a ciò che si disse, codest’ esempio

è sprone a1

medesimi disperali e a miglior vita li tragge.

E ciò otterrassi pure in questa nostra città, mentre i

fatti che accaddero dimostrano c la virtù di voi che a

mezzo della penitenza valeste a divertire tanto sdegno

dal vostro capo, e predicano la clemenza di Dio, che

per sì poco tempo di conversione, disciolse le minaccie

di sì terribile tempesta. Quindi bastano a destare coloro

(1 )EcrlcsiaMieo XVItT, 25.

(2) S. Paolo t, a Timoteo 13.

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f

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128

medesimi die giacessero disperati, facendo ad essi co-

noscere dall esperienza nostra, che quegli, che guarda

al cielo ed al soccorso che viene da Dio, benché dovun-

que intorno gli s'accavallino innumerevoli flutti, tutta-

via non può sommergersi. Chi vide, chi intese mai

avvenimenti simili ai nostri? Temevamo ciascun giorno

che la nostra città fosse per essere co’ suoi abitatori di-

strutta;pure, allorché il demonio sperava che la nave

se n’andasse a fondo, Iddio ritornò serenissima la cal-

ma. Non poniamo dunque in dimenticanza la gravezza

dei mali, onde ricordarci la grandezza dei beneficii che

Iddio ne concesse;avvegnaché colui che ignora 1 indole

della malattia, ignorerà pur anco il merito eh1

ebbe il

medico nel guarirla. Questi avvenimenti ripeteteli a' fi-

gli vostri, e tramandateli a mille generazioni future;

affinché tutti apprendano come lo spirilo infernale cer-

casse distruggere la città, e come Iddio dallo stalo di

suo abbattimento e prostrazione si adoprassc ad eriger-

la di bel nuovo, non permettendo che soffrisse alcun

danno, togliendole ogni timore, e dal minacciato peri-

colo allontanandola celeremente. La settimana infatti

ornai trascorsa, aspettavamo lo spoglio d’ogni aver no-

stro, e ci parea di vedere starne sopra le soldatesche c

con esse molti altri indicibili danni;ma già quelle ango-

scie tutte passarono a foggia di nube od ombra che si

dilegua, e fummo abbastanza puniti colfansia delle te-

mute calamiladi, né puniti soltanto, ina corretti e can-

giati in migliori di prima; perchè Iddio franse l’animo

dell’imperatore. Ripetiam dunque ciascun dì e senza

tregua : Sia benedetto il nostro Padre celeste, e con più

diligenza frequentiamo le religiose adunanze ed accor-

riamo alla chiesa, d’onde ne venne sì gran vantaggio.

Voi sapete ove dapprima vi rifuggiste, ove foste raccol-

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129

li, ove s aprirono le fonti della vostra salvezza. Appi-

gliamoci pertanto a quest àncora, e coni’ ella non ne fallì

il giorno del pericolo, similmente anco noi non abban-

doniamola in quelli del perdono; ma stiamo fermi, e

sien perenni le adunanze c le nostre preghiere, ed a-

scolliamo spesso la parola di Dio; e il tempo che per-

devamo nell’ inquietudine, nel chiedere bramosamente,

nel correr d’ attorno a que’che venivano dal campo, e

nel tener dietro a’ pensieri delle sovrastanti tribolazioni,

occupiambio lutto nello ascoltare i divini precetti, schi-

vando ogni tumulto inutile ed importuno per non es-

sere alle strettezze de’ primieri affanni novellamente ri-

dotti.

Ne’ tre giorni passati spiegavamo una delle manie-

re proposte alla conoscenza di Dio, e cercavamo svol-

gerla pienamente, interpretando come i cieli narrino

la gloria di Dio,e come si debba intendere quella sen-

tenza di Paolo: Le invisibili cose di Lui,per via di

quelle che si veggono^ a mezzo della intelligenza si

percepiscono; c dimostrammo di qual maniera pel ma-

gistero del mondo creato, del cielo, della terra, del ma-

re diasi gloria al creatore. Oggi pertanto dopo di aver

ancora per poco ragionalo sopra questo argomento, ad

altro volgeremo il discorso : che Iddio non creò soltanto

P universo, ma creato che f ebbe, gli diè un impulso

agli effetti che produr dovea conveniente, non lascian-

dolo del tutto immoto, nè del tutto comandando che si

movesse; poiché se ne stette immobile il cielo, secondo

ciò che ne dice il Profeta : Iddio pose il cielo a Joggiadi un arco

,e quasi un padiglione lo distese sopra la

terra (i); mentre il sole invece colf altre stelle fornisce

(1) Isaia Xb, 22.

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1 50

ni

ciascun dì il proprio corso. Tnollrc anco la terra è fissa,

e le acque di continuo si muovono : nè giù le acque sol-

tanto, ma le nubi, le pioggie che alla propria stagione

copiose e successivamente ritornano,e la sostanza delle

* pioggie è una sola, ma negli efielli trasformasi diversa-

niente. Essa infatti nella vite cangiasi in vino, negli olivi

in olio, e in ciascuna pianta negli umori che le son pro-

prii; anche il ventre della terra è un solo, ma come son

^arii i .frutti ch’egli dà fuori? Una sola è la luce c la

virtù calorifica del sole, ma in guisa assai diversa traggo

i prodotti a maturazione, e compie l’opera propria dap-

prima in questi, in quegli altri dappoi. E chi in veduta di

tutto ciò non è collo da meraviglia c stupore? Pure il

meraviglioso non islù solamente in questo: che abbia

formalo il mondo e diverso tra se e svariatissimo, sib-

bene ancora che lo rendesse comune a tutti, ai ricchi,

ai poveri, ai peccatori, ai giusti. Lo che esprimevasi da

Cristo medesimo, dicendo che il Padre: Fa spuntare il

suo sole sopra i buoni ed i malvagi, e piove egualmen-

te sopra gf innocenti ed i rei (t). Empiendo poi code-

sto mondo d innumerevoli specie di animali, ed a cia-

scuna i suoi proprii costumi impartendo, volle che que-

ste nc provocassero all'imitazione, quelle per lo contrario

alla fuga. E a mo’ d’esempio, la formica è animale di

molta industria, e compie un lavoro faticoso assai. Ovedunque bene la consideriate, da essa trarrete una gran

lezione per non poltrire nell’ inerzia e sottrarvi all’opera

ed al sudore. Quindi è che la medesima Scrittura man-

da a lei I infingardo e dice: Fa alla formica ,o pigro

,

imita le vie di ella tiene e. sii al par di quella sapien-

te (2). E ciò vuoisi dire: Non vi curate di apprendere

(1) S. Malico V. 45.

(2) I’roitrhii VI. G.

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131

dalle Scritture, che l’ operare è un gran bene, c che

non dee mangiare nè anco quegli che ricusa il lavoro?

Ricusale di porgere ascolto a que’che v'insegnano? Ap-

prendete adunque dai bruti. Usiamo di sovente lo stesso

nelle nostre famiglie : allorché, dando in qualche fallo i

maggiori e que che sembrano i più assennati, li inviliamo

ad osservare i lanciullelti più attenti, dicendo: Guarda-

te questi che son minori di voi, quanto siano più indu-

striosi ed assidui. Anche voi pertanto da codesto anima-

luccio imparate ad essere operosi, e celebrale il vostro

Dio, non solamente perchè fece il sole ed il cielo, maperchè insieme fa la formica, eh’ è sì picciolissimo ani-

male, ma basta ad una sublime dimostrazione della sa-

pienza di Dio. Considerate alla saggezza di lei, e mera-

vigliatevi come il Siguore abbia potuto infondere in un

corpo sì breve tanta c sì continua brama di faticare. Ela formica varravvi a scuola di lavoro, come la pecchia

di mondezza, diligenza ed amore5poich'ella non s’ado-

pra più per se stessa, di quello che ciascun giorno s’nf-

làlichi per noi: e cercare, nou il proprio vantaggio, maquel d’altrui, è ufficio che massimamente ad uoin cristia-

no appartiene. Come poi la pecchia vola d’intorno ad

ogni prato onde apprestare ad altri una lieta mensa *, co-

sì tu pure non diportarti altrimenti, o uomo, c sia che

raguni danaro, lo consacra ad altrui vantaggio •, sia che

pronte le parole ti soccorrano della sapienza, non met-

terle sotterra, ma le svolgi dinanzi a chi ne abbisognaj

sia che tu possegga qualch’aitra cosa, cerca sempre l’u-

tile di coloro a cui posson giovare le tue fatiche. Nonvedete voi come la pecchia abbia tra gli animali il più

magnifico elogio, non perchè lavora, sibbeoe perchè la-

vora pcgli altri? Anche il ragno è operoso, paziente del-

la fatica, e dispiega le proprie tessiture lungo le pareti

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132

con tale artificio, che supera di molto ogni maestria fem-

minile

1

,pure è un animale tenuto a vile, avvegnaché l’o-

pera sua non ha per noi vantaggio di sorta alcuna; e gli

assomigliano coloro che sostengono veglie e sudori per

se unicamente. Imitate la semplicità della colomba, se-

guite l’amore dell'asino e del bue verso il padrone, fate

vostra la confidenza degli uccelli;ehè molto è il profitto

che trar potete dai bruti a correggimenlo de'vostri co-

stumi. Cristo medesimo prese dagli animali degli argo-

menti a nostra istruzione*, poiché disse: Siate prudenti

come le serpi e semplici al par delle colombe ( i) j

e di

nuovo : Guardate a'volatili del cielo che non seminano,

nè raccolgono ed il padre vostro celeste li pasce. E il

Profeta, a vergogna della ingratitudine de’Giudei, escla-

ma : II bue conosce il suo mandriano,e 1asino la stalla

del suo padrone,ma il popolo cC Israele non conosce

Iddio (2 ). Ed un altro Profeta ancora : La tortorella e

la rondine osservano il tempo della loro venula,e il

mio popolo non ha conosciuto il giudicio del suo Signo-

re (3). Da questi ed altri somiglianti animali apprendi

l'esercizio della virtù, da que’ohe fanno il contrario la

fuga de’ vizi i. Conciossiachè, se la pecchia è benefica,

l’aspide è pernicioso;quindi fa di mestieri tenerci lun-

go dalla malizia per non udirci ripetere : Sotto alle vo-

stre labbra sta il veleno degli aspidi (4). Il cane è im-

pudente, aborrite adunque l’ iniquità sua. La volpe è

ingannatrice e fraudolenta, sbandite per ciò da voi code-

sto difetto*, e a quella guisa che la pecchia sorvolando

a prati non raccoglie da lutti i fiori, ma appigliandosi

(1) S. Malico X. 17.

(2) Isaia I. 4-

(3) Ci et ernia Vili. 7.

(4) Salmo CXXXIX. 5.

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1 55

a'profittevoli, lascia gli altrijcosì farete voi pure, schie-

raiulovisi dinanzi le varie specie dei bruii. Di ciò die

hanno di vantaggioso profittatovi, e per mezzo del libe-

ro arbitrio ricopiale quelle prerogative che ricevettero

dalla natura;giacché dal creatore distinti foste per mo-

do che, per libera volontà adornandovi di molti pregi

che riscontrami nell’ istinto degli animali irragionevoli,

ne avrete poi la giusta mercede: mentre i bruti le utili

opere adempiono non per iscelta e ragione, ma per solo

impulso della natura. Infittii la pecdiia raccoglie il miele,

non a ciò tratta dalla intelligenza, sì dallo istinto istrui-

ta: che se non fosse dono delia natura, non sarebbe

proprio di tutta la specie, e converrebbe che se ne tro-

vassero alcune di codesùuie ignoranti affatto’, ma inve-

ce, d allora che fu creato il mondo fino al dì d'oggi, non

si trovò dii vedesse le api in riposo, o senza attendere

alla raccolta del mele. Così è: i pregi che vengono dalla

natura son comuni a tutta la specie, ma non io sono

quelli che dipendono dal libero arbitrio ed lianno d'uo-

po di fatica, perchè ne corrano a seconda.

Su dunque pigliale a vostro adornamento tutto

ch’è migliore nei bruti. Voi siete i sovrani delle creatu-

re irragionevoli, ed i sovrani, se v’ha qualche cosa di

prezioso nei sudditi, d’oro, d’argento, di gemme, di

magnifiche vesti, essi ne posseggono d’ avvantaggio, e

vuoisi sempre dalla creatura prendere argomento ad

ammirare il creatore. Che se alcuui oggetti visibili sor-

passano fi intelligenza vostra, e non basta la ragione a

scrutameli, rendete in essi gloria al creatore, che portò

la sapienza del suo magistero oltre i confini della vostra

mente. Nè state a dire: perchè ciò? e a quale scopo?

Tutto è utile, benché noi non ne comprendiam la ra-

gione. Entrando infatti nel gabinetto di un medico, e

18

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Iti z

13/i

veggcndo schierali iolorno molli stromcnti, ammiriamo

la varietà loro, per quantunque ne ignoriam 1’ uso : nè

abbiamo a diportarci diversamente riguardo alle creatu-

re, e veggendo molti generi d’animali, d’ erbe, eli piante

e d’ altri oggetti svariatissimi di cui disconoscete i

vantaggi, considerate la mirabile diversità loro, celebra-

tene il creatore e il sommo artefice,Iddio, anche per

ciò che non volle tutte cose vi fossero manifeste od

iguote. Non volle tutte vi fossero ignote, perchè non

aveste a dire ch’egli nella creazione del mondo non fu

provvidente •, non volle tutte vi fossero manifeste, per-

chè la vastezza di tante cognizioni non vi levasse in

superbia;chè il primo uomo fu dall’ iniquo spirito in-

fernale tradito sotto alia lusinga di una scienza maggio-

re, con cui gli tolse in parte anche quella di che godeva.

Quindi il Sapiente ne fa avvertiti, dicendo: Non vi ac-

cignetc a ciò che supera le vostre forze,e non vogliate

svelare le cose più sublimi di voi ( i) : sibbene meditate

quello che a meditar v’ è prescritto. Molte delle cose

create staunosi chiuse ancora nel proprio secreto, tutta-

via: Molle eh eccedono f intelligenza umana ciJuronodimostrale. E ciò ei disse a conforto di coloro che rat-

tristavansi e si dolevano perchè non potean giugnere a

conoscimento di lutto, volendo chiamarli a riflettere che

gran parte del saper loro stava sopra alle forze dell’ in-

telletto umano, c conchiudere, che se non f aveano

scoperto da se, fu d’uopo che Iddio lo rivelasse. Siate per-

tanto paghi delle ricchezze concedutevi, e non ne ricer-

cate di più, sibbene rendete grazie per quelle che rice-

veste. Non vogliale sdegnarvi per ciò che vi fu uiegato,

e per ciò che Iddio vi manifestava glorificatelo, senza

(1) Erclcsiasficw III. 22.

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155

punto pigliarvi a scandalo quello che voi non conoscete,

poiché I una e 1 altra cosa ordinossi a vostro vantaggio,

e per- mezzo della rivelazione e per quello de’ misteri si

provvide alla salvezza vostra. Ma per tornare a noi : una

maniera anche sola di conoscere Iddio pel magistero

della creazione varrebbe a consumar molli giorni, per

non discorrere poi soltanto con qualche diligenza della

formazion dell’ uomo; e s'intende con quella diligenza

per noi possibile, non già coll’esattissima, poiché quan-

d’ anche avessimo rintraccialo molte ragioni dell’ opera,

ne rimarrebbero assai più di arcane e conosciute da Dio

che la fece, mentre noi non possiam giugnerà al fondo.

Per indagare adunque diligentemente I’ intera tessitura

dell’ uomo, e rilevare da ciascun organo la sapienza crea-

trice, dai nervi, dalle vene, dalla distribuzion dell’arle-

rie, dal sito e dalla considerazione delle singole parti, ne

basterebbe appena il corso di un anno per quanto è lun-

go. Qui dunque facciam sosta a questo argomento, e

lasciando a’diiigenti e desiderosi di più apprendere nel-

le cose esposte il modo onde scrutare le altre parti della

creazione, convertiamo il nostro discorso ad un altro

assunto, che dimostri pur esso come sia grande la prov-

videnza di Dio. £ qual é adunque codesto secondo as-

sunto ? Che Iddio dapprincipio formando l’uomo, scol-

piva in esso la legge naturale. E che mai vuoisi dire lo

averci la legge naturale scolpito? Lo averci dato una

coscienza, nella quale volle che per forza di natura fosse

vivo il conoscimento del bene e del male. Nè certamen-

te abbiano d’uopo d’un maestro che ne insegni la forni-

cazione essere un male, un bene la continenza, perchè

fin dal primo esistere lo sappiamo. Quindi è che il Le-

gislatore medesimo, dettando in seguito i suoi precetti,

per farne avvertiti di quello che già fin do principio c<-

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1 56

noscevamo, disse: Non ucciderai (i), seni’aggitingere :

l’uccisione è un male. E semplicemente disse non ucci-

derai, perchè proibiva il peccato, ommettendo lo addi-

tarcelo come tale. E per qual motivo adunque Colui che

disse : Non ucciderai,non soggiunse pure : perchè l’uc-

cisione è un peccato? Perchè la coscienza ce lo aveva

insegnato sin dalle prime, e così ne parla come di cosa

conosciuta ed intesa. Quando poi viene a stabilire un

precetto dalla coscienza ignorato, non lo enuncia già uni-

camente, ma vi appone pur anco il motivo. Segnando

infatti la legge intorno al sabato, e dicendo : Il settimo

giorno non imprenderai alcun lavoro (2 ),addusse an-

che il motivo di tal sospensione. E quale? Perchè il

settimo giorno anche Dio riposò da tutte le opere sue

che uvea cominciato a creare ; e in altro luogo: Perchè

il popolo d’israelloJu schiavo nella terra (fEgitto (3).

Ditemi adunque, perchè nel sabato espose il motivo,

ciò che non avea fatto quando trattossi dell’uccisione?

Perchè il precetto del sabato non era de’ principali, nè

di quelli che ci vengono suggeriti dalla coscienza, sib-

bene particolare e temporaneo, per cui nella legge di

grazia mutossi, mentre i precetti necessarii, ne’quali sta

il freno di tutta la nostra vita, sono: Non ucciderai, non

commetterai furto, non adulterio. E perciò che in essi

nè adduce il motivo, nè pone 1 ammaestramento, mapensa che basti la proibizione soltanto.

Nè da ciò unicamente, ma d'altronde pur mostre-

rovvi come l’uomo dalla natura fosse educato al cono-

scimento della virtù. Adamo commise prima la colpa, e

tosto dopo la colpa si nascose. Se non conosceva di aver

, (1) Esodo XX. 15.

(2) Esodo XX. 10.

(5) Deuteronomio XXIV. 18.

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137

commesso un qualche male, per qual motivo nasconder-

si ? Non v'erano scritture, non la legge, non Mosè : d’on-

de pertanto il conoscimento del fallo sino a nascondersi ?

Nè si nasconde solo, ma, ripreso, s’adopra a rinversarne

sulle altrui spalle la causa, dicendo : 1m donna,che tu

mi desti,mi porse ella di quellalbero

,e ne ho man-

piato (i). Ed ella pure cercò subito d’imporre ad altri,

cioè al serpente, il delitto. E qui considerate la divina

sapienza di Dio. Non appena Adamo esclamò: Intesi la

tua voce eJ'ui colto da spavento^ perdi ero nudo e minascosi ; che Iddio noi rimproverò del fallo, nè disse :

Perchè mangiasti di quell’albero? ma sì lo addimanda

dei come della colpa sua s’accorgesse: Chi,

ripigliava

egli, ti mostrò ch'eri nudo,se non Taver mangiato del-

ralbero di cui ti acero imposto che non mangiassi ? Nèquesto fu un tacere, nè un aperto rimproverarlo. Nontacque per dargli un eccitamento a confessare la colpa,

noi riprese apertamente, affinché tutta l’opera non fosse

sua, e l'uomo andasse privo di quel perdono, che dalla

confessione deriva. Quindi è che non isvelò schiettamen-

te il motivo, da cui gli venne la cognizion della colpa,

ma sotto forma d’interrogazione gli parla per dischiu-

dergli l’adito a confessare. Caino poi ed Abele vengono

anch’essi a prova di questo fatto della coscuuiza. Daprincipio offersero a Dio le primizie delle loro iàliche:

c ne giova parlare non solo del peccato, ma della virtù

pur anco, affinchè si conosca che l’uomo è fornito del-

l una e dell’altra scienza. Adamo inlatti ne mostrò saper

esso che il peccato era male, ed ora ne mostra Abele

che sapeva la virtù essere un bene *, chè non ammaestra-

to da chi si sia, nè intesa ancora la legge che trattasse

(1) Genesi IH.

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158

IU h

dello primizie, ma spinto unicamente dalla sua coscien-

za, offerse quel sacrificio. Ed io non mi dilungo nei po-

steri, sibbene co’primi nomini m’arresto, allorché non

v erano ancora nè Scritture, nè Legge, nè Profeti, nè

Giudici, ma il solo Adamo co’figli suoi, acciò possiate

apprendere che il conoscimento dei beni e dei mali dap-

prima riposto era nella natura. Di fatto, d’onde imparò

ALele ch’era un bene il sacrifizio, un bene il venerare

Iddio e rendergli grazie in tutte cose? E che pertanto,

Caino non offerse il suo sacrificio? L’offerse anch’egli,

non però alla stessa maniera. E da questo pure l’effetto

del sentimento morale si manifesta. Perchè lo cuoceva

l’invidia dell’onore concesso al fratei suo, va macchinan-

do la morte di lui, ma il pensiero iniquo nasconde: e

che dice? Su presto,portiamoci alla campagna ( i). Al-

tra è l’apparenza: una simulazione di carità. Altro il

sentimento: il consiglio di uccidere il fratello. E, se non

lo avesse creduto un consiglio iniquo, per qual motivo

celarlo? per qual motivo, dopo l’uccisione commessa,

interrogalo da Dio: Dovè Abele il tuofratello ?, rispo-

se : Noi so,forse ch'io sia la guardia del mio fratello ?

Ma perchè il niega? Non appar egli da ciò che grande-

mente si condannava ? Dove infatti suo padre s’era na-

scosto, cpicsti mentisce5ma dopo le nuove interrogazio-

ni di Dio esclama : ha mia iniquità è maggiore di quel

che possa comportarla il perdono. I Gentili però non

ammettono codesti fatti : parliamo dunque anche ad es-

si, e come nella creazione non ci siam solo usati della

Scritture, chè abbiam ricorso anche alla ragione onde

combatterli; così ora facciam lo stesso riguardo alla co-

scienza;poiché il medesimo Paolo si appiglia a quest’ar-

(1) (iencsi IV. 8.

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159

ma, ove sorge contro di loro. Ma si oda alla fine die

cosa dicano. Dicono, clic nella coscienza di per se non

c’è posta legge di sorta alcuna, nè ce la infuse il Dio

della natura. Come dunque, io ripiglio, i loro legislatori

dettarono precetti intorno alle nozze, alle uccisioni, a’te-

stamenti, ai depositi, al non opprimere il prossimo, e ad

altri argomenti innumerevoli ? Soggiugneranno per av-

ventura che i viventi li appresero da’ più vecchi, quelli

ila’ più vecchi ancora, e così fino ai primi. Essendo poi

che anco i primi diedero delle leggi; d’onde, io ripeto, le

appresero ? Forse fuori della coscienza ? ma non potran-

no dire che sieno stati con Mosè, ch’abbiano inteso i

Profeti, poiché ciò di qual modo s’eran Gentili ? Rima-

ne quindi ch’abbiano derivato le proprie leggi da quella

che Iddio pose nell’uomo allora che Io creò, e che per

essa trovassero le arti, ed ogni altro vantaggio della

vita; mentre anche le arti nacquero dall’attendere che

quegli antichi vi fecero spinti dal proprio ingegno. Per

questa guisa i tribunali, per questa furono stabilite le

(iene;

lo che afferma l’Apostolo stesso. Prevedendo egli

che i Gentili sarebbero surti a contraddire e ripetere:

Come Iddio giudicherà quegli uomini che prima di Mosèhanno esistito ? Non diede un Legislatore, non promul-

gò un codice, non le vedere un Profeta, un Apostolo, •

un Evangelista e vorrà poi assoggettameli ad un gastigo?

Ciò prevedendo, dicea, e bramando mostrare che dalla

natura erano ammaestrati nella legge, e da lei aveano un’

evidente regola delle azioni, ascoltate che cosa ei dica :

Allorché i Gentili che non han legge adempiono senz'al-

tro naturalmente i dettali della legge } mentre non han-

no legge,sono legge a se stessi e mostrano le opere del-

la legge scritte nel proprio cuore. Ma come senza Scrit-

ture? Pel testimonio che rende a ciascuno la coscienza,

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/4 V

140

per quei pensieri che si accusano o si approvano tra

di loro, avuto riguardo al giorno in c/te Dio giudicherà

i segreti degli uomini secondo il Vangelo che annun-

cio per Gesù Cristo. E di nuovo : Tulli che peccheran-

nofuor della legge,fuor della legge periranno, e tutti

che peccheranno entro alla legge,saranno giusta la

legge giudicati ( « ). E che dir si vuole:perire fuor della

legge ? Senza le accuse della legge, ina per condanna del-

la coscienza e dello intelletto. Che, se non avessero avu-

to la legge della coscienza, era d’uopo che, quand’anco

fossero caduti in peccato, non perissero. Perchè dunque

dice che peccarono fuor della legge ? Allorché dice fuor

della legge, non dice che non avessero legge, sibbene

che non avevano legge scritta, ina inveì» la legge della

natura. Quindi in altro luogo ripete : Sia gloria,onore

e pace a tutti che operarono il bene,

a' Giudei prima

ed ai Greci (a).

Paolo diceva questo, alludendo ai tempi primitivi

che furono avanti di Cristo;e chiama Greco non l’ido-

latra, ma quegli che adorava un Dio solo, quantunque

non obbedisse alla necessità dette pratiche giudaiche,

a’ sabatismi

,

alla circoncisione, alle varie usanze purifi-

catrici, e tuttavia saggio fosse e religiosamente pietoso.

Seguendo poi il medesimo argomento, soggiugne : L'ira,

la vendetta,

i dolori,le ambasce aspettano le anime

degli uomini che operano il male,de'Giudei principal-

mente e de'Grcci (3) ;ed ecco che qui torna a ricorda-

re i Greci, benché fossero dalle cerimonie giudaiche

liberi affatto. Che se non intesero a parlar della legge,

se non conversarono co’Giudei, come l’ira, la vendetta,

(1) S. Paolo ai Romani 11. 14 c seguenti.

(2) S. Paolo ai Romani li. 1.

(!S) S. Paolo ai Romani IP 9-

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Ili

lo tribolazioni ilo mabagi piombar «lovoano so\ ressi?

Perchè portavano (lenirò di so la coscienza a maestra, a

correllriee, a guida in tulio coso. Ma donde olla si lo

palese? da ciò che valse ad imporro i gastighi a’dolin-

quenti, a promulgare lo leggi, a stabilire i giudicii. E lo

mette in chiara luce 1 Apostolo, allorché guardando a co-

loro che vivono nel vizio, diceva: Questi sono </urlìi

che conobbero /u giustizia ili Dio,o suuno che merita-

no la morte coloro che adempiono colali cose, eppure

non è che le adempiano essi soltanto,ma negli altri

prevaricatori ancora le approvano (i). E (fonde seppe-

ro, si ripiglia, essere volontà di Dio che sieno puniti

que tulli che vivono da malvagi? Donde? da quel prin-

cipio medesimo dietro cui giudicavano i delitti degli al-

tri. Inibiti, se non giudicaste 1 uccisione un male, dove

da voi fosse colto un omicida, per sentenza vostra noi

punireste: se non giudicaste 1 adulterio un male, comevi si presenti un adultero, liberatelo dalla pena. Che se

contro alle colpe altrui prescrivete le leggi, ordinate i

gastighi, e siete giudici severi, quale scusa v avrete mai

di quelle colpe in che voi medesimi cadete dicendo che

le commetteste per ignoranza? foste adulteri e voi e gli

altri. Ma perchè punite gli altri, e stimate voi meritevo-

li di perdono ? Dove non sapeste che I adulterio è unpeccato, e a voi e agli altri conveniva la iinmunitade. Mase punite gli altri, e credete andar voi scevri dalla pena

,

in che modo accordar puossi colla ragione che a rei del

medesimo delitto non si aspettino i gastighi medesimi?

Quindi è che sopra il medesimo argomento l*aolo di

questa guisa insisteva: Credi tu. o uomo,che pronunci

i tuoi giudicii sopra coloro che rei sono di tuli colpe

,

(1) S. Paulo ai Romani I. 52.

10

é*

i

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U2

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e ad fisse li lasci andare,credi tu difuggire il giudicio

di Dio (i)? T'inganni, oh! sì, t'inganni;poiché del giu-

dicio che pronunciasti contro degli altri Iddio giudiche-

rà te stesso, non essendo conveniente che tu sii giusto

ed ingiusto il Signore. E se tu tieni conto d’un1

ingiuria

recata al prossimo, non lo terrà forse Iddio ? Se tu cor-

reggi gli altrui peccati, come Iddio potrà non correg-

gerli? Se poi subito dopo la colpa non ti punisce, non

confidare per ciò, ma temi anzi maggiormente. Ciò ne

viene prescritto da Paolo, che dice: Disprezziforse i te-

sori della bontà,della pazienza e della divina lentezza

nello adirarsi,ignorando che la misericordia di Dio

t'invita a penitenza? Quindi egli soffre, non già perchè

tu divenga peggiore, ina perchè li converta; dove poi

tu resista, conservandoti impenitente sotto a sì grande

benignità di Dio, ti prepari un argomento di più severa

condanna. E Paolo dichiarò questo ancora, ripigliando;

Secondo poi la tua durezza e Timpenitente tuo cuore,

ti vai tesoreggiando la vendetta nel giorno della ven-

detta e della manifestazione del giusto giudicio di Dio

che renderà a ciascuno la mercè delle opere sue. Poiché

adunque renderassi la mercede alle opere di ciascuno,

perciò Iddio ne infuse dapprima la legge naturale, ne

diede appresso la scritta, onde irnpor giustamente i ga-

stighi alle colpe e coronare le opere buone. Con ogni di-

ligenza pertanto componiamo le nostre azioni, quasi

fossimo per comparire innanzi al tremendo giudicio di

Dio, sapendo che non vi sarà per noi scusa di sorta, se

dopo la legge naturale e la scritta, dopo tanti ammae-

stramenti e continue riprensioni non ci prenderemo

pensiero alcuno dell’elema nostra salvezza.

(1) S. Paolo ai Romani il. 2 c seguenti.

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14 j

Vorrei parlarvi ili nuovo intorno ai giuramenti, maun po’ arrossisco . A ine non è grave lo insistere dì e

notte sul medesimo argomento; pure temo, dopo le

molle ammonizioni de’trascorsi giorni, di mostrare con-

dannevole troppo la vostra tiepidezza, ove abbisogniate

in un impresa cotanto facile d essere incessantemente

richiamati. Nè solo arrossisco, ma pavento per voi, men-

tre i continui ammaestramenti tornano utili c salutevoli

a que’che vi attendono, ma di gran pericolo e danno

agl infingardi. Quegli infatti ch’è di spesso avvertito, ove

non adempia le cose raccomandate, chiamerà sopra di

se una maggior punizione. E ciò che Dio rimproverava

a’ Giudei, dicendo: Destai i miei Profeti sino dai sor-

gere de'primi albori e li ho inviati a voi,e in onta a

ciò non li ascoltaste (i). Io fungo codesta parte pel mol-

to amore che vi porto, ma temo che i miei consigli e le

riprensioni tornino di danno a voi tutti nel dì terribile

del giudicio. Poiché se l’opera buona è facile, e v’ha chi

non cessa dall avvisarvene, qual mai scusa potrete ad-

durre? Qual argomento potrà sottrarne *al gastigo? Se

vi avvenga di dare a prestito del dinaro, ditemi, sem-

pre che vi soccorra il tardo debitore,non lo avvertite

della prestanza che gli faceste? Fate lo stesso anco di

presente, e ciascuno creda che il prossimo gli debba una

qualche somma, gli debba l’adempimento di questo pre-

cetto, e facendosegli incontro lo tenga avvisato del debi-

to suo, conoscendo d incorrere in un grave pericolo an-

cor noi, ove non ci prendiamo cura de’nostri fratelli.

Questa è la ragione per cui non cesso aneli io di parlar-

vi. Conciossiaehè temo di noa ascoltare anch’io in quel

giorno : O malvagio servo ed infingardo, era d’uopo che

(1; Geremia XXV. 4-

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/tt

i uanche In ponessi in snl banco i I noi dinari. Ecco io li

Imposti non ima volta, nè due, ina ripetutamente;toc-

ca ora a voi trame il conveniente interesse. L’usura poi

sta nel mettere in pratica il ricevuto ammaestramento,

che i prestiti di simil l’atta appartengono in line al Si-

gnore, e il dico, allineile non siamo a riceverli negligen-

ti, e infedeli nella custodia;ina si possiamo in quel di

con moltissimo profitto al padrone restituirli; mentre,

dove non giovaste agli altri, ascoltereste quelle parole

che rivolte furono al servo seppellitore del tesoro affida-

togli. A voi però sia dato di udire, non già questo, sib-

bene l’altro discorso, indiritlo da Cristo a colui che avea

saputo lucrare assai, al quale disse : Su via9o mio buon

servo e fedele,giacche fosti fedele nel poco sarai da

me fatto padrone di molto (i). Queste soavi espressioni

faranno anche per noi, se imiteremo la diligenza di co-

desto servo, e la imiteremo adempiendo ciò ch'io vi

prescrissi. Come l orazion mia vi suoni ancor nell’orec-

chio ed uscirete di qua, eccitatevi a vicenda; e se prima

di separarvi scambievolmente vi salutate, così col saluto

porti ciascuno a casa l’avvertimento, e dica al suo pros-

simo: Considera e ti ricorda di vegliare con attenzione

all'adempimento del precetto, e adempierassi di certo.

Avvegnaché dove gli amici vi lascino con quest’avviso,

dove la moglie, ritornati in casa, ve lo richiami alla me-moria, dove il mio discorso, come siate soli, vi stia di-

nanzi a frenarvi, ghigneremo senz altro a cacciare da noi

codesta iniqua abitudine. So che voi vi meravigliate,

perch io mi adopri con tanta sollecitudine intorno a que-

sto precetto, adempietelo, ed io vi dirò la ragione. Di

presente vi dico, ch’osso è legge di Dio, e perciò non

(1) S. Malie.» XXV. 21.

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145

abitiamo alcun dirillo ili trasgredirne]»: tosto poi che lo

vedrò adempiuto vi porrò solt’occhio un altro motivo

che non è da tenersi in conto minore, affinchè appren-

diate che giustamente in ciò vi mostrai tanta sollecitu-

dine. Rimane ora di por fine al discorso colla preghiera.

Rivolgiamoci adunque a Dio e tutti d’accordo ripetiamo:

Tu che non vuoi la morte del peccatore, ma che si con-

verta e che viva, fa che dopo di essere stati fedeli a

questa ed allallre tue leggi tutte, possiamo presentarci

confidenti al tribunale del tuo Cristo, ed entrare a parte

della tua gloria in paradiso, poiché a te si addice la glo-

ria insieme alfunigenito Figliuol tuo, ed allo Spirito

Santo, ora e sempre, e nei secoli de’secoli. Cosi sia.

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OMELIA IX.

Liberato che fu il popolo dalle angustie e ritornato in gual-

che confidenza,alcuni sparsero di nuovo per In città

dei falsi roviori spaventevoli, ma furono gastigati. Da

ciò dunque prende le mosse la presente Omelia, entran-

do tosto a parlare della necessità di ostinerei dai giu-

ramenti: si narra quindi la storia di Gionafa e di Sali-

le, e di Jeflc; e si dimostra che. da un solo giuramento

nascono moltissimi spergiuri.

Fu grande il turbamento in che ieri il demonio

pose la nostra cittade, ma del pari fu grande la consola-

zione che dal Signore ne venne, sì che ciascuno di noi

può a buon diritto ripetere ciò che disse il Profeta : Se-

condo la gravezza delle angosce che dilaceravano il

cuore,discesero pure le consolazioni ad allegrare il mio

spirilo (Sai. 29. 19.). E di fatti non è solo nel consolar-

ne che Iddio ne dimostri la sua provvidenza, ma nel

permettere ancora che siamo travagliati;quindi è che

andrò ripetendo anche oggi quello stesso che non ho mai

cessato di ripetervi : essere prova dell amore divino sì

la libcrazion delle angustie, come la loro permissione.

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147

No segue da ciò clic non sì tosto ne scorge inchinare

alla rilassatezza, allontanarci dall amicizia di lui, e non

tenere in conto alcuno i beni spirituali,

ci abbando-

na per poco, afìinchè, gastigati di questa guisa, abbiamo

ad infervorarci onde riedere a lui. E a che ci meravi-

gliamo se il Signore di questa maniera diportasi con

noi, mentre 1’ apostolo Paolo ne dice eh’ egli ed i suoi

discepoli furono a coteste prove (i) medesime sogget-

ti? Ecco come si esprimeva nella seconda lettera indi-

ritta ai Corinti: Non voglio che vi sia ignota,ofratelli

mici,la tribolazione

,che ci Jtt sollevata contro nellA-

sia. e come siamo stati sommamente aggravati sopra

le nostreforzefino a venirci a noia la vita,ed avere

dentro di noi stessi il presentimento della morte (a. Cor.

I. 8.): ch’è quanto dicesse, sì gravi furono i timori che

si rovesciarono sopra di noi, ch’avemmo in disgrado la

vita, e, disperando di ogni felice mutamento, credevamo

doverci attendere una morte inevitabile: che nuli altro

vuoisi dir certamente quéHabbiamo avuto dentro di noi

stessi il presentimento della morte. Pure dopo tanta de-

solazione Iddio acchetò la procella, disperse le nubi, e

fuor ne trasse dalle terribili zanne di morte. Indi facen-

dosi l’Apostolo a dimostrare, che il permettere l’incontro

di sì fieri pericoli era lavoro di somma provvidenza, ri-

corda il vantaggio che ne venia dai travagli, ed era la

necessità di tenere gli occhi fissi in Dio, di non elevarsi,

di non credere di saper molto. Oud’è che avendo detto

abbiamo avuto dentro di noi stessi il presentimento

della morte,ne addusse anche il motivo. E qual è mai

cotesto motivo? Che non abbiamo,soggiunse, a confi-

dare in noi stessi,sìbbene in Dio che suscita i morti.

(1) Ove la traduzione Ialina legge lentnlhnum, nel testo greco

sta icritto neifixSuMv

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14R

/cfi

Suol dunque Iddio e desiare e scuotere noi caduti nel

sonno, e sull’orlo dei precipizii 5

e richiamarne per mez-

zo delle disavvenlure alla pietà religiosa. Come pertanto

vedrai, o mio diletto, la prova dei travagli ora spegnersi,

ora infiammarsi «li nuovo, non cadere «li animo nè di-

sperare (1); ma nudri lusinga di un felice avvenire, loco

stesso pensando, che Dio non voglia per odio o disdegno

darci in braccio agl’inimici, sibbene che voglia invece

renderci più fervorosi e a se più vicini. Non lasciamci

dunque andare allo avvilimento e alla disperazione di

miglior fortuna in appresso, e piuttosto lusinghiamei di

vederne in breve tranquilli, e riponendo in Dio il fine

di que’lumulti onde tuttavia siamo agitali, riprendiamo

il consueto nostro esercizio, e facciamoci innanzi nello

sviluppo dell argomento intrapreso, che di nuovo intor-

no ad esso io voglio trattenervi affinchè si steqii intera-

mente di mezzo a voi la malvagia abitudine di giurare.

Mi è d uopo pertanto ricorrere di nuovo a quella

medesima supplica che vi mossi, quando non ha guari

vi pregai di prendere in mano la tronca testa di Giovan-

ni stillante ancora tiepido sangue, di ritornarvene con

essa ciascuno alla casa vostra, e di avernclo sempre di-

nanzi agli occhi con una voce che grida : odiate il giura-

mento, che fu il mio carnefice. Ciò che gli acerbi rim-

brotti non fecero, fu dal giuramento adempiuto, e la ne-

cessità dello spergiuro giunse a quell estremo, a cui lo

sdegno tirannico non era pervenuto. Infatti allorché ven-

ne francamente ripreso in mezzo al popolo circostante,

sopportò generosamente il rimprovero*, ma quando tro-

vossi stretto dalla violenza del fatto giuramento, allora

quella beala testa divelse. Ora pertanto io chiedo, nè

(1) Ove nella traduzione latina ci sta refugiat, il testo greco

legge <XT:<x-/cfi 'suTr,q

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ì 1

cesserò uiai di chiedere, clic dovunque andremo, andiam

sempre portando colesto capo, e lo mostriamo a tulli

rompendo in alte grida, e vituperando i giuramenti.

Poiché, per quanto siam torpidi e negligenti, fissando

le pupille di quella fronte, pupille che terribilmente ne

guatano e minacciano gli spergiuri, non potremo per

timore di esse, non altrimenti che fossimo da validissi-

mo morso contenuti, non ralfrcnarci e togliere la lingua,

comunque sdrucciolevole fosse, all abitudine di giurare.

E in pria perch'egli clic giura di spesso e lo voglia e meno,

e si accorga e lo ignori, e in sul serio e per gioco, e

dall'ira e da molte altre passioni infiammato, cadrà facil-

mente negli spergiuri. Nè vi sarà chi osi contraddirlo,

essendo ben dimostrato e a tulli palese, che di necessi-

tà è spergiuro colui che giura di spesso. E poi, benché

trascinalo, o contro sua voglia, od ignaro uol l'accia*, tro-

vasi tal fiata per suo volere e avvertitamente indotto a

spergiurare dalle stesse circostanze dei fatti. Non avvien

di sovente che, pranzando in nostra casa, allorché alcuno

dei servi commetta un qualche fallo, la moglie giuri di

percuoterlo, e insieme giuri il contrario il marito, c re-

sista e noi permetta ? Che che sien essi per lare, è d uo-

po che ne succeda uno spergiuro *,poiché per quanto

lo bramino, per quanto anche si adopriuo onde mante-

nere il giuramento, è impossibile il farlo: c qualunque

sia il partito a cui si appigliano, o I uno o 1 altro sarà

reo di spergiuro, o piuttosto tutti e due nel modo eh io

sto per esporre e merita la vostra attenzione. Quegli che

giurò di percuotere il servo o I aucella, e poscia ne fu

impedito, è spergiuro^ perchè non ha il giuramento a-

dempiuto, e fé che seco della medesima colpa si mac-

chiasse colui che tenne il contrario, ed alla verificazione

del fatto giuramento si opposejmentre non è che solo

20

4

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150

di cotesto delitto si facciano rei gli spergiuri, ma quelli

ancora che allo spergiuro costringono. Nè ciò avviene

unicamente in casa, ma può ciascuno vederlo in pubbli-

co e nelle zuffe massimamente, ove gli antagonisti giu-

rano il contrario •, cioè quando l uno giura di percuotere,

l’altro che non sarà percosso;questi di strappare la ve-

ste, quegli di non permetterlo$questi di trovare il modo

di riscuotere il suo danaro, quegli di non restituirglielo;

in breve sempre che i litiganti prorompono in giuramen-

ti di simil fatta. E non si vede forse succedere lo stesso

nelle officine e nelle palestre scolastiche? L’artefice non

di rado giura che non sarà per concedere che il garzone

mangi e beva prima di compiere interamente il lavoro

assegnatogli. Lo stesso fa sovente il maestro col suo di-

scepolo, la padrona colla sua fanticella;ed al sopravve-

nir della sera, ove rimanga l’opera imperfetta, è d’uopo

che, o gli uni che lasciarono sospeso il lavoro sen muo-

iano dalla fame, o gli altri che giurarono divengano

spergiuri. Nè dobbiamo obbliare che ne sta dappresso

il demonio, quel perfido insidiatore di tutti i nostri be-

ni, e non appena intese la necessità de’giuramenti che

adduce la torpidezza in coloro che ne sono lo scopo, od

alcun altro ostacolo ordisce, affiucbè non potendo ridur-

si l incominciata opera al termine, si raddoppi ino le per-

cosse, le contumelie, gli spergiuri ed altri danni infiniti.

Infatti non diversamente da’lanciuUi che tirando in con-

trario senso e con grand’impeto una lunga e logora funi-

cella, spezzanla a mezzo e cadono rovescioni rompendosi

questi il capo, quelli alcun’altra parte del corpo;anche

que’tulti che giurano cose tra loro opposte, come di ne-

cessità viene a frangersi il giuramento, così gli uni e gli

altri cadono nel baratro dello spergiuro: questi spergi u-

rando, quelli offrendo agli altri il motivo dello spergiuro.

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151

E perchè ciò apparisca manifesto non solo da

quanto avvien tutto giorno fra le domestiche pareti e

nelle piazze, ma ancora dalle medesime Scritture,

vi

racconterò un fatto antico, che viene a’miei detti oppor-

tunissimo (i). I Giudei furono da nemica oste assaliti,

con essa venne ad affrontarsi Gionata il figlio di Saule,

e parte ne trucidò, parte ne volse in fuga. Volendo Sauj

le più e più aizzare 1’ esercito contro di quelli che sor-

vivevano, e far sì che non ristessero pria di averneli

tutti scannati, operò il contrario di ciò che volle, giurato

ch’ebbe, che niuno avria preso cibo (a) prima della se-

ra e dell1

intero eccidio de1

suoi nemici. E poteva far

cosa alcuna più all1

impazzata di questa? Dovendo infatti

riconfortare i guerrieri stanchi e dalla lunga fatica op-

pressi, per dirigerli poi più vigorosi contro degl1

ini-

mici, li trattò più crudelmente degl1inimici stessi, la-

sciandoli per l’obbligo contratto nel giuramento in pre-

da alla fame più desolante. V’è del pericolo non poco

nell* obbligare con giuramento se stesso, poiché non di

rado veniam trascinati al contrario dalla violenza delle

circostanze -, vi sarà adunque maggior pericolo legando

l’altrui volere alla necessità de’ nostri giuramenti, e in

ispecial guisa allora che non si giuri per solo un altro o

per due o per tre, ma per una moltitudine infinita : co-

me sconsideratamente fece Saule, non soccorrendogli al

pensiero, che verisimilmente di numero sì grande almcn

uno sarebbe per infrangere il giuramento, nè conside-

rando, che soldati e soldati che combattevano, e che

erano ad ogni virtù, che ne venga dalla filosofìa, stra-

nieri, mal avrebbero saputo frenare i latrali del proprio

ventre, richiedendosi a ciò massimamente mollissima

(i) 1. dei Re XIV. a5.

(a) Il greco legge xpz.v, e il latino a torto panetti.

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/f’o

152

fatica. Ma lasciando tutte coleste considerazioni addie-

tro, come si trattasse di giurare per un solo servo, che

può esser tenuto facilmente a freno, così pensò che av-

venir dovesse di un esercito intero : e quindi al demo-nio un tal adito dischiuse, che non già e due e tre e

quattro, ma in brevissimo tempo germogliar facesse da

cotesto giuramento innumerevoli spergiuri. Che se noi

medesimi non giurando per guisa alcuna, chiudiamo

ogni possibile accesso, gli prepariamo invece ampia tela

da ordire influiti spergiuri, ove ci lasciassimo sfuggir di

bocca un giuramento solo. E come quelli che aggrup-

pano le funi, con facilità ed esattezza forniscono la lun-

ga serie dei nodi se v’abbia chi le tenga dall’un de’ ca-

pije se poi non si trovi alcuno che il faccia, non pos-

sono nè anco incominciare : non altrimenti il demonio

che aggruppa le funi delle nostre colpe, non può darvi

principio se non prenda le mosse dalla nostra lingua;

ma se noi vi apriremo l’adito solo a cominciare, rite-

nendo per nostra parte colla lingua, che sarebbe quanto

la mano, il giuramento; allora il demonio con molta li-

bertade usa de’ suoi maliziosi artiGcii, fabbricando sopra

di un sol giuramento indicibile un numero di spergiuri,

il che propriamente fece in Saule di cui vi parlo. At-

tendete pertanto qual fosse il laccio leso all’ espostovi

giuramento. L’esercito a dar venne in una selva, dove

le api aveano i proprii favi deposto, e quell apparecchio

stavagli di fronte : ora la moltitudine passò di mezzo al-

la raccolta del mele, e muoveva innanzi parlando. Ve-

deste qual mai inciampo vi si ponesse di mezzo? Unconvito estemporaneo, dove e la facilità di esserne am-

messi, e la dolcezza del nutrimento, c la lusinga di po-

tersi nascondere allettavano alla violazione del giuramen-

to. Di più la fame, la fatica, il tempo in che ogni vivente

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153

sulla tetra prendea ristoro, provocavano allora a fran-

gere il divieto. V era anche la vista del favore inaspet-

tato che scemando la naturale energia di quegli animi

guerrieri, li seduceva colf esterne attrattive. A dir vero

la ilarità della mensa, la schiettezza delle imbandigioni,

la difficoltà di scoprire il furto avrebber fatto prevarica-

re la filosbfia più severa. Se vi si fosser trovale delle

carni da gettarsi entro le caldaie o conficcar negli spiedi,

le loro brame non avrebbero potuto essere sì fattamente

allettate •, mentre nel cuocerle e nell’ imbandirle v’ era

d’uopo di tal sospensione ed indugio, per cui sarebbero

stati sorpresi quelli che rimanevano addietro •, ma in ciò

non v’era nulla di simile: v’era soltanto mele, intorno

a cui non si richiedeva opera alcuna : bastava soltanto

trar di soppiatto dalla mensa l'estremità delle dita dopo

di averla tocca. Pur essi raffrenarono la propria cupidi-

gia, nè dissero fra di loro : E che ne importa ? Forse

abbiam noi giurato cotesta cosa? Paghi egli il fio del-

1 imprudente suo giuramento. Noi non sappiamo veder-

ci perchè giurasse. Non dissero nulla di ciò, ma grande

era il riserbo che usavano nel passare, e in mezzo a tinti

allettamenti da cui erano attratti, conservavano la disci-

plina più rigorosa, e il popolo muoveva innanzi parlan-

do. E che vuoisi dire cotesto parlare ? Parlavano confoi'-

tandosi a vicenda nelle proprie angustie.

Poiché dunque la moltitudine mantenne la militar

•disciplina, non successe alcuna cosa di nuovo? Forse il

giuramento adempiessi? Non adempiessi altrimenti in

onta a ciò tutto, ma si violò. Ne udirete tosto i mezzi

e la maniera, affinchè abbiale a conoscere le arti tutto

del demonio : donala,che non aveva udito il giura-

mento di suo padre,

stese il bastone del comando cui

teneva in mano,

e ne intinse la cima in un favo di

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154

jM

mele, e si recò la mano alla bocca,ed i suoi occhifu-

rono rischiarali. Vedete il triste, che indusse allo sper-

giuro non già uno dei soldati, ma il figlio stesso del re

che giurò; nè voleva solo che si commettesse uno sper-

giuro, che ordiva insieme l’ uccisione del figlio, ed essa

ebbe principalmente di mira, apprestandosi a far sì che

la natura si rivolgesse contro di se medesima, sperando

che sarebbe per ottenere ed ora ed in avvenire ciò stes-

so che ottenne di Jefte. Avendo egli infatti promesso di

sacrificare ciò che dopo il trionfo di quella guerra gli si

offrisse dinanzi, dovette soggiacere al sacrificio della fi-

glia;poiché immolò la figliuola che gli si fé incontro la

prima, e Dio lo permise. So che molti degl’ infedeli col-

gono da cotesto sacrifìcio occasione di rimproverarne

d'inumana barbarie: io però direi invece che il permet-

tersi del sacrificio di Jefte fu in Dio dimostrazione di

somma provvidenza e misericordia, e non vietò quel-

l’uccisione che per amore che avea dell’ umana specie.

Che se, dopo la promessa ed il voto, avesse proibito il

sacrificio,dietro di Jefte non pochi, sperando che Iddio

non sarebbe per accettarli, avrebbero fatti molti simili

voti, e grado grado all uccisione de’proprii figli sareb-

bero pervenuti; ond’ è che il Signore, permettendo che

si compiesse quell uno, impedì gli altri tutti in appres-

so. E di questo vero n’ è prova, che dopo il sacrificio

della figlia di Jefte, perchè tanta disavventura fosse og-

getto di memoria sempiterna, e mai in tempo alcuno

non si dimenticasse, promulgossi dagli Ebrei una legge,

con che si obbligavano le vergini che contavano gli anni

della sacrificata a piangerne l’ uccisione pel corso di qua-

ranta giorni; affinchè ridestando colla cerimonia luttuo-

sa la memoria del sacrificio, rendessero più prudenti i

posteri tutti, ed apprendessero loro che non era già del

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volere di Dio che rinovassero cotesto esempio, altri-

menti non avrebbe permesso il dolore ed il pianto delle

vergini. E che non sia soltanto una congettura ciò che

ore si dice, lo dimostra refletto, essendo certo che dopo

il sacriGcio di Jefte non vi fu chi facesse un egual voto

al Signore. Perciò dunque Iddio noi vietava, come vietò

quel d’ Isacco ch’egli medesimo aveva imposto, sicché

nell uno e nell’altro fece palesemente conoscere, che a

lui non piacciono simili sacrificii. Il demonio però che

anelava di riprodurre tale una scena sanguinosa, provocò

Gionata alla violazione del giuramento. Che se lo avesse

violato alcun altro guerriero, non gli sembrava poi un

danno sì grave;ma insaziabile di umana strage, e non

mai pago delle nostre miserie, pensò che non farebbe

alcuna cosa di grande se ordisse una semplice uccisio-

nejvolea che la destra del re si macchiasse del sangue

del proprio figlio, e allora si credeva di aver ottenuto

qualche cosa davvero. Ma che dico la sola uccisione del

figlio? Pensò lo scelerato di tramare una morte ancora

più esecrabile. Se il figlio avesse avvertitamente violato

il divieto, e per ciò il re avesselo ucciso, poteva allora

non darsi che 1 uccisione del figlio*, ma il figlio peccò

per ignoranza, non aveva neppur udito il giuramento,

e fu ucciso? dunque doppia amarezza pel padre, che

sarebbe per immolare un figlio, ed un figlio che non

aveva peccato alcuno. Ma già dobbiamo compiere l’ isto-

ria incominciata. Dappoiché gustò il mele furono,

sta

scritto, furono rischiarati gii occhi di lui. E anche ciò

accusa maggiormente l’imprudenza deire, dimostran-

do che la fame aveva quasi acciecato tutti i guerrieri, o

almeno aveva sparso di molla caligine i loro occhi. Co-

me poi dell avvenuto si accorse uno de’ soldati, disse a

Gionata : Tuo padre haJ'alto espressamente giurare il

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f»7-

1 56

popolo dicendo : Maledetto sia colui che gusterà oggi

alcun cibo ;perciò il popolo venne meno. E Gionata

soggiunse : Ah ! mio padre mise in desolazione tutto il

paese. E che mai vuoisi dire colesta desolazion del pae-

se ? Vuoisi dire la perdila, la corruzione comune. Vio-

lato adunque che fu il giuramento, tutti tacevano, e non

vi era chi osasse tradurre nel mezzo il prevaricatore: uè

fu lieve anche quest altro delitto che si commise; poi-

ché non è solo gli spergiuri che pecchino, ma i conscii

del delitto e quelli che li tengono occulti. Pure proce-

diamo oltre.

Saule disse : Scendiamo dietro a' Filistei e sac-

cheggiamoli;ma ripigliò il sacerdote: accostiamoci

t/ua al Signore. Poiché un tempo Iddio era il capitano

dei combattimenti, nè avrebbero mai osato di accingersi

a guerra alcuna senza il comando di lui, di guisa che la

guerra convcrtivasi per essi in argomento di pietà, e se

tal fiata furono vinti, ciò non si dovette alla fisica debo-

lezza delle schiere, sibbene ai loro peccati;nè sempre

che vincessero, vince* ano per naturale fortezza o per

coraggio, ma per divina provvidenza, e le vittorie e le

sconfitte diventano per essi esercizio ed ammaestramen-

to di virtù;nè per essi soltanto, ma pei medesimi loro

avversar»; essendo loro palese che le battaglie contro

a’ Giudei si decidevano più che dalla potenza delle armi,

dalla virtù e dai meriti dei combattenti. Ond’ è che di

ciò avvisati i Madianiti, conoscendo che cotesta nazione

era inespugnabile, poiché contr’ essa non valevano nè

armi, nò macchine guerresche, e che poteva solo facil-

mente esser doma dalle colpe, adomando leggiadramen-

te delle vergini e ponendole dinanzi 1 accampamento

degli Ebrei, provocarono i soldati alle carnali immon-

dezze, cercando di toglier loro con le opere di fornica-

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zìone il soccorso di Dio: e ciò avvenne. Poiché infatti

caddero nella colpa, apersero facile 1 adito ai comuni

trionfi, e la forza dei peccali diede captivi in mano de-

gl inimici coloro, cui tentarono indarno di vincere le ar-

mi, i cavalli, i soldati e gli altri tulli apparecchi militari.

Gli scudi, le aste, le saette tornavano affatto inutili con-

tro colesta schiatta, ed era invece la bellezza del volto e

delle forme, e le inclinazioni voluttuose dell’animo che

espugnavano questi altrimenti valorosi guerrieri. E' per-

ciò che un illustre scrittore ne avvisa, dicendo: Nonmirate studiosamente una beltade straniera

,e non vo-

gliate fan’i incontro ad una donnafornicatrice;poiché

le labbra della donna fornicatrice stillano mele,che

per alcun tempo adempie di dolcezza la vostra gola,

ma in appresso il troverete' più amaro delfiele,e più

acuto di una spada a due tagli. Conciossiachè donna

mere! rida non sa amare, ma tessere insidie, ed ha ne'suoi

baci veleno, e nella sua bocca tossico micidiale. Che se

tale non si mostra fui sulle prime, conviene maggior-

mente fuggirla, perchè nasconde i danni, tieu celata la

morte, nè dai principii si manifesta così malvagia, com e.

Pertanto se alcuno corre dietro al piacere e ad una vita

piena di allegrezza, schivi il consorzio di femine forni-

catrici. Esse empiono gli animi de proprii amanti di

guerre e di tumulti innumerevoli, eccitandoli colle pa-

role ed ogni maniera di opere malvagie, a contese ed a

zuffe. E coinè farebbero alcuni contro dei maggiori loro

nemici,così aneli esse, cotesle femine, l'anno di lutto, c

aduprnno ogni modo per ridurre i proprii amorosi al-

l’ ignominia, alla povertà, agli estremi della sventura. Edi quella guisa, che i cacciatori dopo che lesero le reti

cercano di spingervi entro gli animali della foresta per

ucciderli5non altrimenti elleno pure, poiché distesero

21

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158

ovunque le ali dell# propria libidine, negli occhi, nel

portamento, nelle parole, vi caccian entri) i proprii, a-

manli e li incatenano, nè li lasciano prima di aver bevuto

il loro sangue, riserbandosi poi d insultarli, di ripren-

dere la loro stoltezza, di ridersi grandemente di essi.

Nè degno certo di compassione è colui, che si mostra

affatto stordito con una donna, e donna meretricia, mapiù presto merita di essere deriso e rampognato acer-

bamente. Quindi è che di nuovo ci reode avvertiti quel

saggio, allorché dice: Bevete T acqua dai vostri nappi e

dalla scaturigine de' l'ostri pozzi-, e altrove : Stieno sem-

pre con voi il cervo di vostra conoscenza e il cavriuolo

oggetto delle vostre delizie ( i) ;

e ciò dicea della moglie

che per nuziale contratto ha sortito una medesima di-

mora. E perchè abbandonate la soccorritrice, e correte

in braccio alla insidiatrice vostra ? A che odiate la com-

pagna di vostra vita, e ne seguite la terribile sovverti-

trice? Quella è porzione delle membra vostre, è una

stessa carne con voi;questa una spada acutissima. Fug-

gite dunque, o miei diletti, la fornicazione pei mali pre-

senti, e pel fio che ne pagherete in appresso. Per av-

ventura vi parrà che siamo usciti dalfargomento : maquesto non è uscire

jchè non è mio divisamento di rac-

contarvi semplicemente le nude storie, ma di corregge-

re ciascuno di voi dai vizii che vi perseguono, quindi

è che di frequente c’ innesto gli opportuni rimedii, e

così vengo a comporre un discorso, ch’è vario secondo

le varie infermità ch’è verisimile si trovino in mezzo

a tanta moltitudine. Più che una sola ferita io mi sono

proposto di medicarne molte e d’indole diversa, per cui

è d’ uopo che siano anche diverse le medicine degli acu-

ti) Pro*. V.

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(—

159

maestramenti. Ma torniam per ora là d onde siamo parliti,

al line di progredire con quelle parole: E il sacerdote

soggiunse: accostiamoci a Dio. E Saule domandò il

Signore, dicendo: Scenderò io dietro a' Filistei? gli

darai tu nelle mia mani? Ma il Signore non gli diede

in qiud dì alcuna risposta (i). Guardate benignità e

mansuetudine del dementissimo Iddio! Non iscagliò un

fulmine, non iscosse la terra, ma fece verso del suo ser-

vo quello stesso che far sogliono gli amici verso dei lo-

ro amici, ove siano offesi da qualche ingiuria : tacque

soltanto, onde parlar col silenzio, e dimostrare per si-

mil guisa il suo sdegno. Se n accorse Saule e disse:

/ V accostate,o tribù tutte del popolo

,esaminatevi e

vedete in che oggi si è commesso il peccato : poiché

come vive il Signore, che fe andar salvo Israele,cosi

se quel peccato si trovi in Gionafa mio figliuolo,an-

eli egli morrà. Intendeste temerità singolare! Conoscen-

bjeach’era trasgredito il primo giuramento, ancora non

psicorregge, ina ne aggiunge un altro «li nuovo. E no-

ale perversità del demonio. Conoscendo che il giova-

ne, come altra fiala colto in errore e condotto innanzi

ilei padre, poteva colla presenza soltanto allenirlo e pla-

carne il regale sdegno;prevenne la sentenza colla ne-

cessità di un secondo giuramento, stringendo il padre

quasi di una doppia catena, nè concedendogli più di es-

sere l

1

arbitro de suoi decreti •, sì che tutto inducevalo a

quella crudele carnilìcina (2). Ancora non gli era palese

chi fosse il prevaricatore, e senza conoscere il reo il

(1) I. R. XIV.

(2) 1/ edizione del Regola. Veneti* 1754, ri appone in que-

sto luogo una nota, ove dice: Sententia imperfrcln l'idetur, seti

omnia cxempltiria sic luìbent. Io confesso il vero non so trovai ci

questa mancanza.

I

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ino

giudicio era pronunciato, c il decreto era di morte, fi

padre già divenne il carnefice di suo figlio, e senza esa-

me che fosse, proferì la sentenza di sua condanna. Può

darsi cosa alcuna più irragionevole di questa?

Poiché dunque Saule ebbe ciò detto, il popolo

inorridì, e furono tutti sopraffatti da grande timore e

trepidazione. Nelle angustie comuni solo si allegrava il

demonio: Aè di tanta moltitudine,dice la Scrittura, vi

fu alcuno che rispondesse. Allora ripigliò Saule: dun-

que vorrete darvi tutti in Lidia degli inimici,ed io e

donata il mio figliuolo saremo schiavi? E le sue paro-

le esprimono il vero •, ei dice infatti : non altro procurate

che «larvi in preda degl’inimici, e di liberi che siete di-

venire schiavi irritando contro di voi il Signore col na-

scondere il reo. Ma vedete un’altra contraddizione che

dal fatto giuramento deriva. D uopo essendo, qualora

bramava trovare il reo, non prorompere in tali minaccio,

nè rendere con un giuramento necessaria la vendetta;

affinchè divenuti meno tementi avessero da tradur tosto

innanzi il prevaricatore; fa invece tutto il contrario di

ciò che dovrebbe, e si lascia andare all'ira e al furore

persistendo nella primiera stoltezza. E che dobbiamo

aggiugnere di più? 11 fatto dev’essere deciso dalla sorte,

e nell’urna si pongono i nomi di Gionata e di Saule. Ei

fu Saule che disse : Traete la sortefra me e Gionata

mio figliuolo,e Gionata fu preso. Allora Saule si ri-

volse a lui,esclamando : Dichiarami ciò che hai fatto.

E Gionata gliel dichiarò,e disse : Io ho assaggiato con

la cima del bastone,cui teneva in mano

,un poco di

mele: eccomi,ho io da morire? Chi mai coleste parole

non avrebbero piegato, chi non persuaso alla compassio-

ne? Non vogliate passar oltre senza riflettere alla fiera

tempesta che agitar doveva l’animo di Saule, allo scop-

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16»

piare delle sue \iscero per doglia, al precipizio profon-

dissimo che aveasi dall'ima e dall'altra parte dischiuso:

ma nè anco per ciò si ritrasse. Che disse adunque? Il

Signore a meJarcìa e questo e peggio, sa oggi tu, o

donata, non andrai alla morte. Ecco il terzo giura-

mento che fece, nè semplicemente il fece, ma ne restrin-

se ad un tempo assai breve 1 adempimento : che non

disse solo andrai alla morte, ma vi aggiunse, oggi. Eben il demonio affrettava d indurlo e spignerlo a cotesto

crudelissimo eccidiojper cui non concedeva che si dif-

ferisse neppure del giorno richiesto l'esecuzione della

sentenza, acciò l'indugio non apportasse alcun rimedio

al delitto. Ma il popolo replicò a Saule: Il Signore far-

cia a noi questo e peggio, se andrà Gioitala alla mor-

te, egli per cui Israello ottenne si luminoso trionfo. Co-

me vive il Signore,così non gli cadrà nè anco un ca-

pello della testa ;poiché ha operato in quest’ oggi con

r aiuto di Dio. Giurò dunque anche il popolo per la

seconda volta, e giurò il contrario del re. Ricordatevi

ora della fune tirala io contrario senso da’ giovani, che

si spezza, e lascia che cadano rovescioni quelli che la

traevano. Giurò Saule non una volta, nè due, ma repli-

catamene. Giurò il popolo il contrario, e già era per ri-

bellarsi. Duopo è dunque che rimanga violato il giura-

mento, conciossiachè è impossibile che tutti abbiano le-

gittimamente giurato. Nè qui mi opporrete 1 avvenuto,

ma invece pensale a ciò che poteva avvenire, e come il

demonio tramasse ora quella medesima calamità e quei

feroci tumulti che nacquero in appresso ai giorni di

Assalonne. Se il re avesse voluto resistere e procedere

alla esecuzione del giuramento, avrebbe anche il popolo

resistito, e quiaci sarebbe insorta una ribellione sangui-

nosissima. e se il figlio per provvedere alla sua indenni-

l

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1C.2

lade si fosse appiglialo al parlilo preso dall esercito, non

sarebbe tosto divenuto parricida? Vedete dunque da un

solo giuramento germogliar la rivolta, l’uccisione del

figlio, il parricidio, la guerra civile, i combattimenti, le

stragi, il sangue, e moltiplicarsi il numero dei cadaveri.

E se fosser venuti alle inani, forse sarebbero stati uccisi

e Gionata e Saule, e con essi molti altri soldati, a cui

per certo il giuramento non sarebbe tornato che a gra-

vissimo danno. Pertanto, piuttosto che a ciò che non av-

venne, ponete a ciò che portava con se la natura stessa

delle cose. La vinse il popolo. Ebbene numeriamo ora

gli spergiuri commessi. Il primo giuramento di Saule

s infranse dal figliuol suo; furono parimenti violati e il

secondo e il terzo intorno alla uccisione del figlio;sem-

bra dunque che il popolo legittimamente giurasse: mase alcuno esamini attentamente la cosa, vedrà che anche

tutti del popolo si fecero rei di spergiuro; poiché co-

strinsero il padre di Gionata a spergiurare, non conce-

dendo al padre il figliuolo. Vedete quindi come un solo

giuramento addusse nello spergiuro tanti uomini sì vo-

lontariamente, che contro il lor proprio volere. Oh quanti

mali non ne derivarono, quante non ne furou le vittime !

Cominciando il mio discorso io promisi dimo-

strarvi che da’ contrarii giuramenti di necessità nascono

gli spergiuri; progredendo però nella materia, m’accor-

go di aver dimostrato più che io non proponeva;che

ci si offersero non uno, due, tre uomini divenuti rei,

ma un popolo intero; non uno, due o tre, ma assai più

giuramenti violati. Poteva forse ripetervi auche una se-

conda istoria, e dimostrarvi con essa che da un sol giu-

ramento ne venne una calamità ben più dolorosa e gran-

de di questa;poiché fu un solo giuramento che portò

seco la devastazione della città e la schiavitù delle eon-

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1 (55

6orti e (le’ figli; che fé’ piombare gl' incendi i, le barbare

6tragi, i sacrilegi, e la schiera innumerevole di altri a-

cerbissimi danni sopra il popolo Ebreo. Ma veggo che

soverchiamente lunga riuscirebbe la mia orazione, ond’è

che qui troncando il racconto di cotesta istoria, esortan-

dovi a rammentarvi spesso della testa di Giovanni, della

fatai sentenza di Gionata, della strage di tutto un popo-

lo, che quantunque non si commettesse, pure alla ne-

cessità legavasi de’ fatti giuramenti, vi esorto insieme a

prendere sopra di voi intorno al grave argomento una

qualche sollecitudine nella famiglia, nel foro, appresso

le consorti, gli amici, i vicini, appresso tutti general-

mente*, nè credere che sia bastevole a guarentirci la

scusa dell’ abitudine che adduciamo. E che ciò sia una

scusa ed un pretesto, ed una colpa di accidia, non già di

abitudine cercherò di persuadetelo coi fatti, che di già

accaddero. L.1

imperatore chiuse i bagni della città, ed

impose che ninno si portasse ivi a lavarsi; nè si trovò

chi osasse frangere l'editto, biasimare la presa determi-

nazione, addurre a sua scusa la consuetudine;ma e gli

uomini malaticci, e le donne, e i fanciulli ed i vecchi,

ed assai mogli di fresco liberate dai dolori del parto, e

quanti in breve avrebber d’uopo di un tale rimedio, il

vogliano o no, obbediscono tutti alla legge emanata,

nè portano in mezzo la infermità del corpo, la violenza

dell’abiludine, f ingiustizia della punizione per le altrui

colpe, od altro simile pretesto: ma in sileuzio piegano

il capo a cotesta pena, perchè ne aspettano «li più gravi,

e pregano incessantemente che qui si arresti lo sdegno

del re. E chiaro adunque che là ov’ entra il timore fa-

cilmente cede la consuetudine, per quantunque ella sia

lunga e quasi ne abbia indotto alla necessilade. Pure il

non poter discendere nei bagni è grave a sopportarsi,

«

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/ ? 7

164

o per quanto «li spesso ricorriamo alle teorie filosofiche,

le naturali inclinazioni del corpo si fanno innanzi, e la

filosofia della niente poco giova alla maggior robustezza

delie membra. 11 non giurare però è una cosa facile assai,

non porta alcun danno nè al corpo, nè allo spirito}

sib-

bene molto profitto, molta sicurtà e ricchezza. E come è

dunque che possiamo adempiere i più difficili precetti,

ove lo imperatore il comandi, e gettiamo lo sprezzo e la

derisione, e adilueiamo la consuetudine a pretesto contro

di ciò che Iddio ne comanda, per quantunque non sia

nè grave, nè difficile a compiersi ? Deh non vogliamo

essere sì trascurati nella grand’opera della nostra sal-

vezza, ma di quella guisa che temiamo un uomo, temia-

mo anche il Signore. Conosco che voi inorridite a cote-

sta conclusione, e sì che il nostro inorridir si conviene,

ove consideriamo che non si rende a Dio quell’onore

che viene agli uomini attribuito;che osserviamo esatta-

mente i decreti dell’imperatore, mentre conculchiam

quelli che Iddio ne inviò dal cielo, e giudichiamo inu-

tile ogni nostra sollecitudine intorno ad essi. E dopo ciò

«piai mai scusa avrem noi? Qual perdono se in onta a

tanto avviso ricevuto persistiamo nelle medesime colpe?

Voi sapete che io ho cominciato a rendervi avvertiti di

ciò sul primo sorgere della tribolazione, che tuttavia

travaglia la nostra cittade. Ed ella pur deve giugnere al

suo termine;mentre noi non siamo per anco giunti alla

mela di un solo comandamento. In che guisa adunque

potremo chiedere perdono delle moltissime colpe che

c’ incatenano, se non abbiam potuto ancora vedere il

fine di un solo precetto? D’onde attenderemo la felice

«'onversion nostra? Quali saranno le nostre suppliche?

Quale il linguaggio che noi terremo con Dio? Al con-

ciliarsi che tàccia l’imperatore colla cittade proveremo

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165

grande allegrezza, divenuti che siamo solleciti nell’adem-

pimento della legge : ma, se persisteremo tuttavia nella

colpa, grande sarà la vergogna c la nostra infamia, per-

chè il Siguore allontanò il pericolo senza che noi ci de-

stassimo dall assopimento. Oli mi fosse lecito di spoglia-

re di spesso le anime di quelli che giurano, e ollrir loro

dinanzi agli occhi le piaghe e le cicatrici di che pei giu-

ramenti si coprono tultogiorno, e non avrei d'uopo di

altre ammonizioni e cousigli;poiché la vista delle ferite

più energica di ogni discorso, potrebbe togliere dalla pro-

pria malvagità anche quelli che più in cotesta riprove-

vole abitudine s’impigliarono. Che se agli occhi no, al

pensiero almeno n’ è dato di porre innanzi la miseria

della lor anima, e mostrarla tutta piena di labe e di cor-

ruzione. Come il servo, sta scritto, che di continuo si

percuote non rimarginerà mai le proprie cicatrici ; cosi

colui che giura ed ha sempre in bocca il nome di Dio,

non andrà scevro da peccato ( i ). E' impossibile, sì im-

possibile che le labbra usate a giurare frequentemente

non Spergiurino. Quindi è che vi scongiuro tutti a de-

porre con fermo proponimento questa consueludiue mal-

vagia e perniciosa assai, c meritarvi invece un’altra im-

inarcescibil corona. E se ovunque si va dicendo, che la

nostra città fu la prima in tutta la terra che assumesse

il nome cristiano;

fate ancora che universalmente si

dica, che sola fra tutte al mondo Antiochia ha cacciato

lungo da’ suoi confini il giuramento. Ed avverrà che fa-

cendolo, non ella solo ottenga sì bel trionfo, ma non po-

che altre s’ infiammino onde emulamela. E di quel modoche il nome cristiano non altrimenti clic un fiume, co-

minciando di qua iuondò tutto il mondo;

così questo

(1) Ecclesiastico.

90m» ««

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166

n'±

gran bene, di qua pure prendendo e principio c nutri-

mento, renderà tutti gli abitanti della terra vostri disce-

poli, e diverrà doppia per voi c tripla la mercede, sì pei

meriti vostri, come pegl1

insegnamenti che altrui porge-

ste. Ciò sarà per noi un diadema di qualunque altro più

sfolgorante, ciò renderà la vostra città una metropoli non

in terra solamente, ma in cielo: per ciò troveremo nel

giorno terribile un patrocinio; e ci si appresterà una co-

rona di giustizia, al cui conseguimento ne scorga tutti la

grazia e la benignità del nostro Signor Gesù Cristo, al

quale sia gloria insieme col Padre e lo Spirito Santo,

ora e sempre e in tutti i secoli de’ secoli. Così sia.

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« Il B L I A X .

(kuest ' omelia si lenite dopo che sparsati la fama del saerheg-

i/in,e funi pensando di sottrarsi rolla fnrja ,

entrò il

Prefetto nella Chiesa, e volse parole di conforto ai fedeli

ivi raccolti. Si discorre intorno alla necessità di schi-

vare i giuramenti,e a (pici detto dell'Apostolo : Paolo

prigioniero di Gesù Cristo.

llmcomiai la prudente sollecitudine del Prefetto,

clic vedendo la città in tumulto mentre tutti pensavate

alla fuga, presentossi a voi per confortarvi e per indurre

a liete speranze il vostro animo: mentre per voi mi sen-

tii colto da rossore e da vergogna, perchè dopo epici

molli e lunghi discorsi abbisognavate ancora di esterna

consola/.iooe. Ilo desiderato che la terra mi si aprisse

sotto de’ piedi ed ivi seppellirmi quando lo udii par-

larvi, ed ora porgervi conforto, or accusare il vostro ino|i-

portuno e irragionevole spavento. Piuttosto che voi ri-

cevere insegnamenti ila lui, conveniva che foste i mae-

stri di tulli gl infedeli. L’apostolo Paolo non permise

neppure d’esser giudicato dagl infedeli : e voi dopo tanti

ammaestramenti de’ Padri aveste bisogno di stranieri

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168

precettori, ed alcuni schiavi raminghi cd nomini da fru-

sta posero di nuovo in tumulto una città sì grande, c la

persuasero alla fuga. Con quali occhi guarderemo ap-

presso gl’infedeli essendo noi tanto timidi e paurosi? Edivenuti nella presente angustia più trepidanti d’ una

lepre, con che lingua parlerein loro, e li consiglieremo a

non disperare negl imminenti lor danni ? Ma, essendo

noi pure uomini, ci risponderete, come possiara fare

altrimenti? Anzi, soggiungo io, non ci dobbiam porre

in agitazione per ciò stesso che siamo uomini e non

animali irragionevoli. Le bestie perché non hanno la

ragione, con cui sottrarsi alla paura, si turbano ad ogni

strepito, ad ogni grido: e tu, o uomo fornito d' intelli-

genza e di consiglio, perchè ti lasci andare alle stupi-

dezze dei bruti? Entrò d'improvviso alcuno? Ti die’

l’annuncio del militare saccheggio? Non Spaventarti

per ciò; ma lasciando che sen ritorni, piega a terra le

ginocchia, supplica il tuo Signore, gemi amaramente, e

saprà egli allontanar la sventura. Poi non intesa appena

la voce dell'invasione della soldatesca, vi credeste im-

minente lo scioglimento della vita; e il beato Giobbe

invece al continuo sovvenire de messaggeri, che gli ar-

recavano funestissime nuove, a cui si aggiunse per fine

quella della perdita de’ figli, delle altre tutte la più in-

sopportabile, non die’ una parola di lamento, non un

gemilo; ma voltosi alla preghiera, rendeva grazie al Si-

gnore. Imitatelo anche voi, c come venga taluno ad

annunciarvi che i soldati girano d intorno la città, 1 asse-

diano, e stanno per manomettere tutte le vostre sostan-

ze, ricorrete al Signor Iddio vostro, e dite: Il Signore

ci avea donato lutto che possedevamoìfu egli che ce

lo ha tolto, e avvenne ciò che a lui piacque: sia

dunque eternamente benedetto il nome del Signo-

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169

re (i). Egli non fu spaventalo dalla prova delle disav-

venture, e voi vi lasciate spaventare dal solo nome? Ohquanto poca è la nostra virtù se mentre siam comandati

di andar coraggiosi incontro anche alla morte, un solo e

falso annuncio tanto ci scuora. Quegli, che si agita ad un

tratto, fa suo il timore che non ha fondamento alcuno,

e dà luogo ad un reale tumulto dentro di se; mentre chi

conserva il pacifico dominio e la tranquillità dello spirilo,

dilegua anche quel timore ch’ebbe origine dal fallo. ÌNon

vedete i piloti che al fremere dell7

onde, all’ addensarsi

dei nembi, allo scrosciare de’ fulmini, e all’universale

tumulto che regna nella nave, stanno senza timore e tre-

pidazione al governo, e attendono al proprio ufficio, per

deludere le minaccio della procella ? Anche voi imitateli,

e abbracciando la sacra àncora della speranza in Dio, siale

costanti ed immutabili. Chi ascolta le mie parole,dice

il divino Maestro, e non le adempie,è simile a quello

stollo che fabbricò la sua casa sopra la sabbia,e come

sen cadde la pioggia già discorsero i fiumi,soffiarono

i venliìe vennero a dare contro di essa

,la casa preci-

pitò,

sicché enorme era P ammasso di sue ruine (2).

Conoscete dunque s'clla sia grande la stupidezza di la-

sciarsi travolgere e di cadere! Pur v’ è di più; chè noi

non solo siam divenuti simili allo stollo, cui vi descris-

si, ma con assai nien di ragione della sua precipitam-

mo;poiché la casa di lui cadde dopo i cresciuti fiumi,

dopo le dirotte pioggie, dopo gli scatenali venti;c uni

fummo abbattuti senza una stilla di pioggia, senza che i

fiumi uscissero dalle lor dighe, senza un soffio di vento,

e vedemmo dileguarsi in un punto tutto che filosofando

avevamo proposto. Quale pensate voi che ora sia il scuti-

(l)Job. I. 21. (2) Matt., VII, 26.

23

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Il

170

mento dell’animo mio? Quale la vergogna, 1* umiliazio-

ne, il rossore? Se non avessero i rispettabili seniori tra

voi usalo molta forza, oppresso com’ero da dolore sopra

la viltà dello spirito vostro, nè sarei qua salito, nè avrei

pur aperto la bocca : e il cruccio e la tristezza dell’ ani-

ma mia è tale, che nè anco adesso valgo a raccogliermi

in me medesimo. E chi non accenderebbesi di sdegno,

chi non angustierebbesi in pensando, che dopo tanti

insegnamenti aveste d’uopo di maestri pagani, che vi

ammonissero e vi rincorassero a sopportare da generosi

il timor che vi colse? Pregate adunque, che, come si

apriranno le mie labbra, così alle labbra mi corrano le

parole; affinchè possa togliermi almen per poco a cote-

sta tristezza, e sollevare lo spirito abbattuto, che geme

assai sotto il peso, ch'egli provò, della vostra vigliac-

cheria.

Non ha guari io per amore della vostra salvezza vi

dissi molle cose intorno a lacci che ne son tesi dovunque,

intorno alla paura, alla tristezza, al dolore ed al piacere;

e intorno alla falce che ruota sopra le case di que’ che

giurano. Fra coleste cose tutte però bramerei che vi ri-

cordaste particolarmente di quelle che vi furono dette

intorno alla falce che ruota e piomba sopra la famiglia

di ciascuno che giura, ne infrange insieme le pietre e le

travi, c consuma lutto che trova. Con ciò pure persua-

detevi, che è somma pazzia servirsi per giurare dell’E-

vangelo, e far che valga in luogo di giuramento la legge

che di giurare proibisce; e di più, che è meglio assogget-

tarsi ad una pena in danaro, che prestare a’n ostri pros-

simi il giuramento; poiché questo è grande onore che a

Dio si porge. Quando infatti voi direte al Signore: per

amor tuo non ho con giuramento deposto contro colui

che avea rubato o commesso altro delitto, ve ne saprà

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171

egli grado in questa e nella vita avvenire per l'onore

che gli rendeste. Importa adunque che ripetiate agli altri

colesti ammaestramenti, e voi li adempiate i primi. So

che qui dentro ci componiamo ad una riverenza mag-

giore, e deponiamo per poco ogni abitudine malvagia :

ma quello che richiedesi è, che non qui soltanto ragio-

niamo da saggi, sibbene che, dopo aver appreso nel tem-

pio i precetti della pietà, fuori del tempio, dove in ispe-

cial guisa ci occorrono, li osserviamo. Non è che i por-

tatori di acqua abbiano i vasi ripieni presso la fonte u-

nicamente e li vuotino nel ritornarsene a casa; che anzi

con somma avvertenza ivi li dispongono, acciò non tor-

ni inutile la fatica che fecero. Imitiamoli dunque ancor

noi, e, ritornati a casa, adopriamoci a custodire diligen-

temente le cose impartite. Conciossiachè, se qui vi sazie-

rete, per ritomarvene poscia alla famiglia vostra digiuni

riportando vuoti d'ogni ammaestramento i vasi della vo-

stra anima, da cotesto pascolo non ritrarrete vantag-

gio alcuno. Non mi mostrate fatleta nella palestra, manel certame; che io non vi dimando di sua bravura nel

tempo della scuola, sibbene sul campo dell’azione. Che

se ora approvate quel che si dice, dunque di tutto ricor-

datevi quando venga il momento di giurare. Che se adem-

pierete la legge fino ad ora spiegatavi, più e più cerche-

rò di farvi progredire nello studio della perfezione. E"

questo il secondo anno in che parlo alla religiosa vostra

pietade, e non ancora vi esposi cento versetti delle Scrit-

ture. E la causa è che avete d’uopo d’apprendere dalla

mia bocca ciò che far potreste di per voi stessi, e nelle

famiglie vostre, e quindi la massima parte de’ miei di-

scorsi è consecrala a morali ammaestramenti. E ciò non

mi aspettava di fare; perchè dovete voi esser solleciti

intorno a’ vostri costumi, ed io rintracciare il senso e la

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172

spiegazione «Ielle Scritture;che se conveniva che uilisle

pur qualche cosa anche da me, non conveniva però che

pel seguilo di molli giorni mi trattenessi. Nè poi con-

tiene in se gran fatto di varietadc, nè a trovarsi è dif-

ficile, nè quel che si dice abbisogna di molta prepara-

zione, mentre, quando è precetto di Dio, sta sopra le

pruove di tutti gli argomenti umani. Disse Iddio: Nongiurare. Ciò basta, nè dovete chiedermene d’ avvantaggio

i motivi. La legge è veramente sovrana: chi la promulgò

ne conobbe pur la ragione, e non 1’ avrebbe, se non era

utile, promulgata. Promulgano leggi anche i re della ter-

ra, ma noi fanno sempre utilmente, perchè sono uomini

e non possono, egualmente che Dio, trovar ciò che è

utile; pure ci mostriam soggetti, e sia che si prenda mo-

glie, si scrivano testamenti, si comprino dei servi, delle

case, dei campi, o si faccia alcuna altra cosa di simil

fatta, non la facciamo ad arbitrio nostro, ma a seconda

di ciò che ne comandano i re, nè siamo in pienissima li-

bertà di dispor delle cose nostre, come più ne attalenta,

che è duopo obbedire agli editti loro; di guisa che se

facciamo alcuna cosa contraria alle loro disposizioni, per-

ciò stesso si rende invalida e nulla. E fia dunque vero

che rispettiamo cotanto le leggi degli uomini, e concul-

chiamo quelle di Dio? E che addurremo a nostra dife-

sa ? E quale è il perdono che meritiamo? Iddio disse:

Non giurerete

;

perchè non abbiate da violentare le ope-

re vostre con una legge in opposizione alla sua, e perchè

nelle opere e nei discorsi possiate conservare la maggior

possibile sicurezza.

Basti intorno a ciò il fin qui detto: ora passiamo

a quello che abbiamo letto in quest’oggi, e terminiamo

il discorso con una sentenza che fa propriamente per

voi. Paolo,sta scritto, prigioniero di Gesù Cristo

,ed il

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1 73

fratello Timoteo a Filemone (i). Magnifico nome di

Paolo, nome non di principato e di onore, ma di car-

cere e di catene, veramente magnifico! Quantunque ci

fosse glorioso per molti altri pregi singolarissimi:perchè

fu rapilo ben tre volte al terzo cielo, fu trasportato in

paradiso, e vi udì arcane parole; pure di colesti pregi

non disse nulla: espose in luogo di tutti le catene, clic

queste, più che ogni altra virtude, lo rendevano illustre

e glorioso. E perchè mai? Perchè gli altri sono doni

gratuiti della bontà del Signore, e le catene invece di-

mostrano i patimenti e 1 umile soggezione di un serro;

ed è costumo degli amanti che si gloriino più di ciò che

soffrono pegli amati, che non di quel bene che da essi

ricevono in ricambio. Nè al certo un re si vanta del suo

diadema con quel piacere che Paolo si vanta di sue ca-

tene: c a buon diritto, poiché il diadema serve di ador-

namento al capo cui cigne mentre le catene ci tornano

di adornamento e di sicurezza maggiore. Infatti la regai

corona spesso ha tradito il capo che la cigneva allettan-

do innumerevoli insidiatori, e provocandoli al desiderio

della tirannide: e colesto fregio è di tal guisa pericoloso

nelle battaglie, che lo si getta da un canto e lo si nascon-

de. Quindi nelle battaglie avviene non di rado, che i re

per venire alle mani cogl inimici si cangino di vestito, e

temano grandemente di essere traditi dalla corona che

mai portassero. Non avviene cosi delle catene per quel-

li che mai ne fossero circondati: anzi lutto il contrario;

poiché, dovendo combattere e resistere agli assalti del

demonio e delle potenze nemiche, basta che quegli che

nè cinto, mostri loro le catene, perchè lunge nc respin-

ga i crudeli attentali. Di più : alcuni de civili magistrati,

(1 } A Filcmonf. I.

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1 *?

174

non solo allora che ne fungono gli ulficii, ma quand’an-

che venga a cessare la magistratura, pur tuttavia ne ri-

tengono il nome, csi chiamano quegli FExconsole, FEx-prefetto quell altro: l’Apostolo poi in luogo di tutti gli

onori si dice Paolo il prigioniero,e molto opportuna-

mente. Conciossiachè mentre le altre magistrature non

sono per nulla il segnale delle interne virtù che vi cor-

rispondano; c sono invece di molto acccssibilial danaro

cd alle officiose pratiche degli amici;questa per lo con-

Irario, che ne deriva dalle catene, è certa dimostrazione

di una indeclinabile costanza d animo, e luminosa testi-

monianza di un amore ardentissimo a Gesù Cristo; e se

di quelfaltrc magistrature veniamo in breve dispogliali,

non riconosciamo in questa successore di sorta. Vedete

infatti quanto sia il tempo clic da quel giorno fino al

presente è trascorso; eppure il nome di questo prigio-

niero divenne sempre più illustre. I consoli pressoché

tutti che fiorirono ne’passati secoli, ormai dormono nel-

l’oblio, e il volgo non ne conosce né anco il nome;mentre il nome di san Paolo il prigioniero è celebratis-

simo, non solo qui tra di noi, ma appresso i barbari me-desimi, appresso gli Sciti e gl Indiani, e, se ci porteremo

agli ultimi estremi della terra, ivi ancora udremo cote-

sto nome, poiché non vi è alcuno che possa in parte che

sia del conosciuto orbe pervenire, che uon oda ovunquerisuonare il nome di Paolo. E qual meraviglia se il no-

me di Paolo in terra e in mare è sì grande, mentre è

pur grande in cielo, appresso gli Angeli, gli Arcangeli,

le superne Virtudi, e il loro sovrano Iddio? Ma quali

erano, voi direte, quelle catene che tornarono di tanta

gloria a lui che fu cinto? Forse non erano fabbricale di

ferro? Sì, di ferro : ma contenevano in se una grazia spi-

rituale fecondissima, essendosi per amore di Gesù Cristo

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175

assoggettato al loro peso. O grande miracolo! I servi

sono incatenali, il Padrone crocefisso, e la didusioa del

Vangelo va di giorno in giorno crescendo, e lopera ri-

ceve alimento da que’mezzi che furono usali onde spe-

gnerla. Già la croce e le catene che sembravano dover

essere oggetti di abominio, divennero segni di salvez-

za : e quel ferro è per noi più prezioso di qualunque

oro, non per la natura sua propria,sibbene per la causa

che ce lo appresta, e pel fine a cui ne prepara. Ma sento

qui fermisi innanzi una dimanda, e la risposta pur anco.

E che è dunque ciò che si chiede? Introdotto una volta

appresso di Feslo, discorrendo seco lui, e giustificandosi

delle accuse che gli erano opposte da Giudei, e dicen-

dogli come vide Gesù, come ascoltò quella voce che ve-

niva dal cielo, come riacquistò dopo la cecilade nuo-

vamente la vista, come cadde e risorse, come entrò

prigioniero in Damasco, incatenato senza catene, e

così via via parlandogli de'Profeti e della legge, e mo-strandogli che essi aveano tutte codeste cose predetto,

vinse il giudice, e quasi lo persuase a farsi del suo par-

tito.

Le anime de' Santi adoprano di questa guisa allor-

ché si trovino ne’ frangenti più formidabili; non guar-

dano no al modo di sottrarsi da’ pericoli, ma fanno di

tutto per guadagnare i loro persecutori come avvenne

anche allora. Entrò per difendersi, e se ne partì dopo

di aver trionfato del giudice, c ciò per testimonianza

del giudice stesso, che disse: Per poco tu mi persuade-

resti aJanni cristiano (i). Forse non era d uopo che

altrettanto si facesse in quest’ oggi ? E clic il prefetto

meravigliandosi del vostro coraggio, della sapienza, della

(1) Alii degli Apos’. XXVI. 7.

&

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/Yif-

1.6

tranquillità imperturbata, apprendesse le regole della

disciplina dall’ ordine che regnava tra voi, e partendosi

ammirasse il vostro concorso, encomiasse il raccogli-

mento, e conoscesse dal fatto quanto sia grande la dif-

ferenza che passa tra i Gentili ed i Cristiani. Ma per

tornare a ciò che proponeva, dopo che Paolo ebbe trion-

fato di lui che disse : Per poco tu mi persuaderesti a

farmi cristiano, Paolo ripigliò : Piacesse a Dio che e

per poco ed affatto non solamente tu, ma ancora tutti

coloro che oggi mi ascoltano,divenissero Cristiani qua-

le son io, da questi legami in fuori (i). Come ti espri-

mi, o Paolo? Non sei tu che scrivendo agli Efesii dici:

lo prigioniero nel Signore vi prego di camminare a

seconda della vocazione a cui foste eletti (2)? E a Ti-

moteo non soggiungesti: E per amore di Gesù Cristo

eli io soffro patimenti fino ad essere incatenalo a guisa

di un malfattore (3)? E a Filomene di nuovo: Paolo

prigioniero di Gesù Cristo? E disputando co’ Giudei

non esclami forse: Per la speranza della conversion

cCIsraele io sono da queste catene circondato (4) ? Ea’ Filippesi non iscrivevi: Avvenne che molti de' nostri

fratelli da' miei legami prendessero maggior coraggio

onde predicare la parola di Dio (5) ? Dovunque tra-

scini dietro le tue catene, le metti innanzi dovunque,

e te ne glorii cotanto per poi tradire la tua sapiente fer-

mezza al cospetto de' tribunali, allorché in ispecial guisa

richiedevasi che fossi superiore ad ogni riguardo, e vai

ripetendo al giudice: Desidererei che tufossi Cristiano

(1) Ani degli Apost. XXVI. 29.

(2) Agli Etesii IV. 1.

( 5 ) A Timoteo H. Cap. II. v. 9.

(4) Atti degli Apost. XXVHI. 20.

(5) Ai Filippesi I. 14.

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177

da questi miei legami infuori? Che se i legami sono

un bene,

e tal bene che adempie anche gli altri di

coraggio nel predicare la fede, essendo tu quello che

dicesti : Molli de'fratelli rassicurati dalle mie catene

prendevano coraggio a parlare ; perchè, invece di van-

tarti di ciò anche in faccia del giudice, operi tutto il

contrario? E che, non vi sembrano forse fondate le in-

terrogazioni che io muovo? Attendete però, che ne ad-

duco tosto lo scioglimento. Non diportavasi Paolo in

questa maniera per ambascia o timore alcuno che si

avesse, ma secondo il molto sapere e il suo finissimo ac-

corgimento spirituale, e ve ne dirò la ragione. Parlava

ad un gentile, ad un incredulo, e che non ne sapeva

nulla dell’ ammirabile economia della nostra fede. Nonvolendo adunque condurlo per le vie più scabre, ridur

lo si vide al fatto anche qui ciò che altrove diceva. Aquelli che sono senza legge

,mi sono mostrato aneh’ io

come se fossi senza legge (i). Se gli parlassi di lancio,

avrà detto a se medesimo, di catene e di tribolazioni,

tosto si ritrarrebbe, perchè non conosce la virtù delle

catene; dunque si faccia prima fedele, cominci a gusta-

re i divini ammaestramenti, e allora correrà aneli’ egli a

queste catene. Io ho udito il mio Siguore a dire: Cheninno rattoppa con un pezzo di panno tuttavia ruvido

un %'eslimenlo vecchio,perciocché quella giunta si trae

dietro anche la parte non rotta del vestito, e l'apertu-

ra si fa maggiore : nè si mette il vin nuovo in otri che

siano vecchi, altrimenti scoppiano (2). L’ anima di co-

stui è un vestito vecchio, cd un otre decrepito: non è

rinova lo dalla fede, nè rigenerato dalla grazia dello spi-

(1)Ai Corinti! IX. 21

.

(a) S. Matteo IX. Iti.

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/v/t

170

rito di Dio, è ancora assai debole, e giù volto alla terra,

le mondane cose lo allettano, si pasce attonito lo sguar-

do delle immagini lusinghiere del secolo, ed ama la glo-

ria di quaggiù; e se fin dalle prime ascolti, clic, divenuto

cristiano, sarei tosto cacciato in carcere e cinto di cate-

ne,vergognoso, indispettito volgerà le spallo alla predi-

cazione. Fu perciò che disse: da questi legami inJ'uo-

ri; non riGutandoli, chè da ciò era ben lontano, ma ri-

spettando, sarei per dire, la fralezza di lui. Del resto

donna amica dello abbigliarsi non amerebbe e bacie-

rebbe degli aurei adornamenti, come Paolo quelle cate-

ne. E d’ onde ciò si rileva ? Di là ove dice: Esulto nelle

mie tribolazioni,e supplisco così al difetto

,che provo

nella mia carne, dei patimenti di Cristo (i). E di nuo-

vo : A voi (Filippesi) è concesso per la grazia di Gesù

Cristo non solo di credere in lui,ma di patire con es-

so (2 ). E di nuovo ancora: Non solo di questo (di tro-

varsi cioè nella speranza della gloria di Dio)ma ci glo-

riamo delle stesse afflizioni (3). Che se di ciò vantasi e

si allegra, c lo chiama un dono della grazia, è manifesto

il motivo per cui di quella guisa in faccia del giudice si

espresse : nè lo appalesa nei preaccennati luoghi soltan-

to, chè di nuovo trovatosi nella necessità di gloriarsi,

esclama: Molto volentieri mi glorierò delle mie debo-

lezze,delle necessità degli oltraggi

,delle persecuzioni

c delle angustie,acciocché in me si dimostri la poten-

za di Gesù Cristo (4). Indi ripete : Se convien che mivanti

,io mi vanterò della mia debolezza. E altrove pa-

ragonando cogli altri se stesso, e per cotesta compara*

(1) Ai Coloss. I. 24.

(1)Ai l*'ili|>prsi. I. 29.

(3) Ai Romani V. 3.

(t) Ai Coiintii XH, 9.

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179

zione mostrandone I’ eccellenza nostra, dice: Sono mi-

nistri di Cristo : parlo con poca avvedutezza ; io lo son

più di loto (i). E volendo far conoscere ove superi gli

altri, non dice nel resuscitare de1

morti, nello scacciar

dei demonii, nel mondare i leprosi, o in alcun altro si-

mile portento. E che dice adunque? Dice di aver sof-

ferto indicibili travagli, e dopo di aver ripetuto, io più

degli altri, ne pone soli’ occhio la moltitudine: Nelle

battiture oltre modo,frequentemente in mezzo alle

morti, molto più nelle prigionie; da' Giudei ho ricevu-

to quaranta colpi meno uno ; tre volte fui battuto con

le verghe, uno lapidato,tre naufragai, ed una notte e

un giorno stetti nel profondo del mare (2) ;e ciò che

segue dappoi. Non altrimenti l’apostolo Paolo si gloria

dappertutto delle proprie tribolazioni, e stima ciò esse-

re di suo grande adornamento, e n’ ha ben d" onde ;

poiché sta in questo massimamente le virtù di GesùCristo

jche gli argomenti, pel cui mezzo vinsero gli A-

postoli, furono le catene, i travagli, i flagelli, i tormenti

più dolorosi. Da Cristo infatti vennero cotesto due cose

annunciate, la tribolazione e il perdono, le fatiche e la

corona, i sudori ed i prendi, le amarezze ed il gaudio ;

ma ne lasciò in retaggio le amarezze nella vita presente,

e riserbò il gaudio nella futura, dimostrando così che

non vuole ingannare per guisa alcuna gli uomini, e ado-

prandosi di scemar loro grado grado il peso della sven-

tura, essendo proprio di que' tutti che ingannano pre-

sentar prima le cose dolci per prepararne poi alle amare.

Lo che vediamo avvenire negli incettatori di schiavi

,

che s|>esso assalgono c derubano i teneri fanciulli. Essi

(1 ) li. Ai Cor. XI. 25.

(•») Ai Corinlii XI. 25.1 ;

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180

non li minacciano già colle fruste, ma presentano loro e

focaccie e frutta ed altri dolci conditi, di cui gli anni

fanciulleschi si allettano*, affinchè tratti a questa pania,

perdono la libertade, e precipitino nell’estremo dei dan-

ni. I predatori poi degli uccelli e de’ pesci, offrendo in

prima agli animali, di cui vanno in traccia, f usata loro

giocondissima esca, e nascondendo soli’ essa il laccio, li

attraggono. Così è: gl ingannatori usano delia più fina

delle arti nel presentare sul principio le cose dolci per

poi rovesciarne sopra le amare *, mentre adoprano tutto

il contrario que che son provvidi, e ci amano veramente.

Quindi è che in modo ben diverso dagl’ incettatori di

schiavi, si diportano i padri i quali, allorché mandano

alla scuola i propri i figliuoli, li affidano a vigili custodi, li

minacciano della frusta, li tengono col timore soggetti;

ma passata che abbiano Petà prima, e indossata la viril

toga, rinunciano ad essi gli onori, il comando, le giocon-

dità della vita, e tutte le lor ricchezze.

Non altrimenti Iddio, non da incettatore di schiavi,

ma la fece con noi da padre, e padre assai premuroso,

e mandò innanzi le avversità e le tristezze, e ci affidò

alle tribolazioni presenti, come ad altrettanti mentori e

precettori, affinchè educati e corretti per loro mezzo, e

giunti dopo aver appreso ogni disciplina e sapienza al-

idade perfetta, avessimo da conseguire in retaggio il re-

gno dei cieli. Pria dunque ci rende atti a ricevere le do-

vizie, cui c’ impartisce, e ce le impartisce tosto che il

siamo ; e dove ciò non avesse fatto, la dispensa di sue

ricchezze sarebbe divenuta per noi non un dono, mauna vendetta e una pena. E di necessità sarebbe av-

venuto di noi, come d’un fanciullo, che prodigo ed ine-

sperto entrasse nell’ eredità di suo padre*, poiché, privo,

come sarebbe, d una provvida economia corrispondente

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1 8

1

ai conseguili tesoli, diverrebbero essi per lui motivo di

mina. Che se invece fosse prudente, saggio, temperato,

modesto, e tale che consecrasse ad imprese veramente

utili i beoi paterni,crescerebbe allora nella gloria e nel-

l’approvazione di tutti. Quindi è che a noi pure come

avremo acquistata la spirituale prudenza, come sarem

giunti alla misura della etade e dell’uomo perfetto, allora

concederanne ciò che ne ha promesso;e intanto a guisa

di fanciulli n’esorta e ne anima a proseguire. Nè que-

sto solo è il vantaggio che nasce dalle precedenti tribo-

lazioni, che ve ne ha un altro per nulla a questo inferio-

re. Di fatto: chi prima si trova nelle delizie, e dopo le

delizie attende il giorno della vendetta, non può neppu-

re in cotesta espilazione delle future amarezze godere

de’ beni presentijmentre chi, trovandosi ora nelle an-

gustie, sa di dover entrare a parte di molto gaudio in

appresso, è maggiore di tutte le traversie che lo pre-

mono per la speranza che ha nei beni avvenire. Non è

solo adunque per nostra sicurezza, ma pur anco per no-

stra maggior consolazione, che Iddio ha ordinato che le

cose di questa vita ci tornino gravi acciò, confortali nell ì

lusinga delle future, non avessimo ad attaccarci a cotesti

sensibili allettamenti. £ ciò stesso andava Paolo espri-

mendo allor che diceva : le passeggere e lievi tribola-

zioni di questa vita ne preparano ad un premio grande

sopra misura ed eterno nella gloria del paradiso,pur-

ché non attendiamo alle cose che ora ne cadono sotto

gliocchi, e ci affidiamo a quelle che non si veggono (i).

Egli poi chiamò leggiere le tribolazioni, non già riguar-

dando propriamente all'indole dei mali, sibbene alla spe-

ranza delle ricompense future. G di quella guisa che il

(1) li. ai Corintii IV. 1 7.

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mercatante non sente il peso della navigazione rincoralo

dalla lusinga del guadagno, e lo atleta, avendo di mira

la corona, resiste vigorosamente ai colpi che gli ferisco-

no il capo: così noi, non perdendo di vista mai il cielo,

c la mercede che ivi ne aspello, sopportiamo coraggio-

samente tutto che ne avvenga in contrario, animali dalla

confidenza nei beni eterni. Impresso che ne sia molto

addentro nel cuore cotesto vero, possiamo andarcene,

poiché, per quantunque semplice e breve, contiene in se

una gran parte della cristiana sapienza, e vale ad oppor-

tuno conforto per quelli che si trovano nelle angustie e

nelle tribolazioni, e a sommo argomento di temperanza

per quegli altri che vivono in mezzo alle delizie ed al

lusso. Quando infatti sedendoti a mensa ti ricorderai

di questo vero, troverai tosto un freno alla ubriachez-

za ed alla crapula, imparando che noi dobbiamo essere

pronti sempre al travaglio, e teco stesso dicendo: Paolo

in carcere e circondato da catene, ed io fra laute im-

bandigioni e in braccio alfebrietade ? e qual perdono ot-

terrò mai? E quanto oppoiluuo non tornerà alle donne

questo pensiero! Schiave che fossero dell’ambizione e del

lusso per guisa che d’aurei frastagli tutta si adornassero

la persona, al rammentarsi di coleste catene, forsechè,

cd io lo so bene, non s infiammassero d'odio e disprezzo

contro quegli abbigliamenti, e non corressero alle cate-

ne? Poiché, lo conoscono a prova, che quegli abbiglia-

menti furono la causa di molti mali, che molte liti su-

scitarono nel seno delle famiglie, che molti livori, e in-

vidie, e sdegni partorirono, mentre queste catene pur-

garono il mondo dalle colpe, spaventarono i demonii, e

li posero in fuga. Fu per esse che Paolo trattenuto in

• carcere convinse il custode, trionfò d'Agrippa, c procac-

ciossi innumerevoli discepolijquindi è che dice\a: E

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per amore di Cristo che io soffro patimentifino ad es-

sere incatenato,ma non è già impedita la parola di

Dio. E di quel modo che non è possibile raccogliere un

raggio e rinchiuderlo tra le pareli d’una casa, lo stesso

avviene pur anco della parola che si annuncia. Ma ciò

che merita maggior attenzione si è che il maestro era

incatenato, c la parola volava, eh1

egli era chiuso nella

prigione, e la sua dottrina via via spiegava le sue gnra-

d’ali per tutto il mondo.

Sapendo dunque tutto questo, nou cadiamo sotto

il peso delle sventure, ma diveniamo in mezzo ad esse

più coraggiosi e più forti. Poiché dalle tribolazioni na-

sce in noi la costanza nei patimenti : per cui non dob-

biamo lamentarci delle avversità, che mai ci sorvenisse-

ro;ma invece rendere in tutto grazie al Signore. Abbiam

già compiuta la seconda settimana del prescritto digiu-

no, ma non dobbiamo a ciò considerare, poiché non

avremo soddisfatto all’obbligo del digiuno col solo tras-

correre del tempo, ma colPavernelo consecrato ad ope-

rare il bene. Esaminiamo tra di noi se divenimmo più

fervorosi nella pietà, se abbiam corretto alcuno de noslri

vizj, se lavammo le nostre colpe. Quasi lutti nel tempoquaresimale sogliono ricercar quanti giorni ciascuno ab-

bia digiunato, e s’ode ripetere: che questi digiunarono

per due settimane, quelli per tre, quegli altri per tutte.

Ma qual mai vantaggio se privi di buone opere passere-

mo i giorni al digiuno assegnati? Se v'ha chi ti dica, io

digiunai la quaresima intera, e tu gli rispondi, io aveva

un nemico, ed ho cercato riconciliarmelo; avevo l’ abitu-

dine di mormorare, e mi corressi*, ero facile a trascorrere

in giuramenti, c ho già deposto il malvagio costume. Ecerto che niun profitto ritrarrebbero i mercatanti, quan-

d’anche solcassero un lungo trailo di mure, ove navi-

I

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184

gasserò senza bogaglio e senza fare inedia di merci : lo

stesso è del digiuno per noi: che non ci sarà utile a

nulla, qualora nella nudità sua superGciultnente Io tras-

corriamo. Se digiuniamo col solo astenerci dai cibi, pas-

sali che siano quaranta giorni, sarà passato anche il di-

giuno: ma se ci asterremo dalle colpe, quand'anche sia

trascorso il digiuno, pure godremo dei beneGci effetti :

il vantaggio sarà permanente, e prima di giungere al re-

gno de’ cieli ne avremo anche qui in terra una ricom-

pensa non lieve. E siccome colui che vive nel delitto

prova nei rimorsi della coscienza una punizione che

quella precede dello inferno: cosi quegli che abonda

in meriti, pascendosi nella speranza di futura felicilade,

proverà somma allegrezza prima anche di pervenire alla

gloria. Perciò Cristo disse : Io vi vedrò di nuovo, e vi

allegrerete,e niuno vi torrà la vostra letizia (i). Le

parole son brevi, ma contengono un conforto ch’è grande.

E che cosa vuoisi dir mai quel ninno vi torrà la vostra

letizia? Se possedete danari, molti possono togliervi il

godimento che ve ne ridonda, e il ladro che fora la pa-

rete, e il servo che deruba quanto gli si affida, e l'im-

peratore col fisco, e 1 invidioso colle calunnie. Se siete

saliti in potenza, molli possono togliervi il godimento

che da ciò pur vi risulta; e finito che sia il principato

finisce anche la gioia, che anzi cotesta gioia è tronca in

gran parte dalle molte difficoltà e travagli che insorgono

nel principato medesimo. Se siete robusti della persona,

sorviene una violenta malattia e seco sen porla il gaudio

che vi fioriva in froule. Se per bellezza risplendete c per

grazia, viensi la vecchiaia a distruggere le carni, e con

esse le compiacenze vostre. Se godete di un lauto bau-

fi) S. Giovanni XVI. 22.

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u \

•. <ìr

185

chetto;

al cadere del vespro cesseranno le gioie della

mensa. In breve tutte le cose di questo inondo possono

esserci tolte a tutto agio, nè ci apportano inai una gioia

permanente, e solo avviene il contrario della pietà reli-

giosa e della virtude. Se farete elemosina, niuno potrà

levarvene il merito. Sia che dovunque gli eserciti, i re,

ed innumerevoli fabbri di calunnie e d invidia v incalzi-

no, non possono rapirvi un tesoro che avete riposto nel

cielo, e vi darà la mercede d uo gaudio eternamente du-

raturo; poiché sta scritto : Egli ha sparso i suoi benefi-

cie, egli ha donato ai bisognosi, e le opere di sua giu-

stizia rimarranno in eterno ( i ). Nè a torlo, che stanno

raccolte ue’celesti ripostigli, ove l'assassino non entra, il

ladro non fura, la tignuola non apre il dente. Se vi scio-

glierete in continue e fervorose preghiere, non vi sarà

chi possa rapircene il trullo, e cotesto frutto ha le sue

radici nel cielo, quindi in securo da tutte le calunnie, e

inespugnabile ad ogni assalto. Se renderai per oftese be-

neficenze; se provocato con maledizioni sopporterai pa-

zientemente; se oppresso da improperi, benedirai, co-

testi meriti saranno immanchevoli;

e I allegrezza che

quinci deriveranno non potrà essere scemala giammai,

poiché, quantunque volle ti sovverrai di essi, ritornerai

sempre alla gioia ed al godimento primiero, e riposerai

tranquillo nella soddisfazione del tuo cuore. Così in fine,

se olterrem d’evitare i giuramenti, e persuaderemo alia

nostra lingua di trattenersi da colesta abitudine malva-

gia, in breve la fatica d'un’opra sì vantaggiosa sarà com-

piuta, e l'allegrezza di tanto merito sarà perseverante ed

eterna. Del resto voi dovete essere i maestri, i condot-

tieri, gli amici del vostro prossimo: i conservi devono

(1) Salmo CM. tftf riq fi rrflfflt

' 25

k

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186

prender cura, inslruire, esortare i loro conservi, i gio-

vani i proprii compagni. Non è forse vero che se alcuno

vi promellesse una moneta d oro per ciascun uomo che

convertiste, usereste d’ogni sollecitudine, e sempre sare-

ste d’ attorno or a questo or a quello per persuaderne!!

ed esortarli? Ma non è poi che una sola moneta d’oro,

nè dieci, nè cento, nè mille, nè tutta la terra Iddio vi

prometta in mercede di vostre fatiche; chè vi offre in-

vece un premio infinitamente più ricco dell’orbe tutto,

il regno dei cieli. Nè ciò soltanto, ma vi è qualche cosa

di più. E che vi sarà mai ? Chi tragge,sta scritto, da

vii materia alcun che di prezioso,sarà stimato al pari

della mia bocca. E qual altra cosa può in gloria e sicu-

rezza reggere al pareggio di questa? E dopo sì magnifi-

ca promessa, qual v’ha scusa, quale perdono per coloro

che trascurano la salute de’proprii fratelli ? Se voi vedete

un cieco che sta per precipitare entro ad una voragioe

gli stendete la mano, e riterreste per atto assai crudele

l’abbandono di un uomo in pericolo: ma perchè adun-

que, vedendo precipitar tutlogiorno i vostri fratelli nel-

l’empia consuetudine di giurare, non osale proferire

un accento solo ? Parlaste una volta, e non vi ascoltaro-

no;parlatene due, tre, e tante che valgano a persuader-

ncli. Iddio ci parla pur di continuo, e noi non lo ascol-

tiamo; eppure egli non cessa di parlarci : imitatelo dun-

que anche voi nella premura verso del vostro prossimo.

E per qual altro motivo siamo uniti tra noi, abitiamo le

città, e ci raccogliam nelle chiese, se non per soccorrerci

l’un 1 altro, l’un l’altro per correggere i nostri peccati?

A quella foggia che molti, che ad un medesimo emporio

mercantile appartengono, per quantunque e questi e

qqelli si appiglino a negozi tra loro diversi, pure depon-

gono in comune lutto il profitto che ne ritraggono: non

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• J *\ •

187«

altrimenti facciamo anche noi : e non c’incresca, nè rifiu-

tiamci di apportare al prossimo la maggior copia di be-

ni che n è possibile. Addivenga per questa come raccol-

ta o mercatura spirituale, che ciascuno, portando tutto il

suo nel comune depisilo, dopo di aver ragunate molte

ricchezze e conseguito un grande tesoro, abbiamo a tro-

varci lutti nel regno de’cieli per la grazia e misericordia

di Gesù Cristo nostro Signore, pel quale e col quale in- ^

sierae sia gloria al Padre ed allo Spirito Santo, ed ora,

e sempre, e ne secoli de’secoli. Così sia.

)

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ri b

OMELIA XI.

Varia prima agli abitatori tirila campagna concorsi in An-*

fiocina, indi prosegue intorno alla necessità di evitare

il giuramento.

Accolti che foste ne’ trascorsi giorni alle nozze

ile1

Santi Martiri, pascendovi nel gaudio purissimo di

una solennità tutta spirituale, vi allegraste. Vedeste fian-

chi aperti, coscio spezzate, sangue da tutte parti gron-

dante, forme innumerevoli di tormenti: vedeste la natu-

ra umana presentare de’ ditti di gran lunga alla propria

virtù superiori, e delle corone tutte intrise di sangue vi

si offerirono innanzi. Belli furono i cori che menaste per

ogni parte della ciltade sotto alla scorta di questo rispet-

tabile condottiero, ed io soffrii di mal animo che avesse

la infermità a trattenermi fra le domestiche pareli. Pure,

per quantunque tenuto lontano dalla festa, ho partecipa-

to alla gioia, e sebbene non entrassi a parte del frutto

della conciono, tuttavia ebbi con voi comuni gli affetti

più soavi, le rimembranze più care. Tale infatti è la for-

za della carilade che, persuadendoci a credere comuni i

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18y

Leni de nostri prossimi, ci III, benché non parlccipianio

propriamente di essi, entrare con quelli che ne parteci-

pano a parte del godimento. Quindi é che seduto nelle

mie stanze io godeva con voi, e non ancora sciolto afflit-

to dal male, uscii di casa e tnen corsi a voi per vedere

la desiderata vostra faccia, e partecipare con voi della

solennità di quest’oggi. E credo che sia veramente gran-

de la solennità di quest’oggi per la presenza de’nostri

fratelli, che vennero ad accrescere il decoro della cittade

c a far più onorala l’adunanza di questa Chiesa (i). Co-

testo popolo adunque, eli è da noi diverso nel linguag-

gio, è consono nella fede, e passa una vita modesta e

grave nella tranquillità de' suoi campi. Appresso di lui

non v’hanno spettacoli scellerati, non giostre, non donne

vendereccio, non gli altri tumulti cittadini, che anzi ogni

maniera d impudicizia è interamente sbandila, e regna

dappertutto una verecondia commendevole assai. IN’

è

poi cagioue la vita laboriosa che menano, eia coltivazio-

ne della terra ch’è loro maestra di grande virtù e tem-

peranza, trattando essi quell’arte cui prima delle altre

ebbe Dio agli uomini insegnato. Egli è certo che Adamoprima del peccato, allorché fruiva di una libertà ancora

integra, ricevette il comando di attendere all agricoltura

faticosa non già, nè da fortune avverse turbata, ma fe-

conda per lui di molta sapienza*, poiché lo pose,sta

scritto, ad operare e custodire il Paradiso assegnatogli.

\ edrete ciascun d’essi ora aggiogare i buoi, trarsi dietro

l’aratro, spezzare in profondi solchi il terreno;ora salir

la sacra tribuna e preparare per la semente le anime

(i) Era la quinta domenica dopo Pasqua, o, secondo l'Aliazio,

la Festa dell’ Ascensione, nella quale concorrevano alia città gli abita-

tori dell'Atjro Antiocheno, nomini dediti all’ agricoltura c rhr parla-

vano il siriaco.

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190

de .soggetti;

li vedreste ora tagliar colla falce le spine che

ingombrano il campo, ora cogli ammaestramenti lunge

cacciar dallo spirito l’ignoranza colpevole. Essi non si

vergognano della fatica,come si vergognerebbero gli

abitatori della nostra città;ma piuttosto si vergognano

dell’ozio, poiché appresero ch’egli è ceppo di ogni mali-

zia, e che a que’tutti che lo amarono fu fin da principio

maestro di delitti. E questi in ispecial guisa a mio cre-

dere son coloro che ne insegnano la migliore delle filo-

sofie, offrendoci la virtù non già nel portamento esterno,

sibbene nei propri lor fatti. Per tanto, mentre i filosofi

del portamento esterno, per nulla preferibili agl’ istrioni

che rappresentano sulle scene la propria parte, non han-

no da offrirci che un pallio, della barba ed una veste ta-

lare;questi al contrario, dato un solenne addio al basto-

ne, alla barba e ad ogni altra insegna filosofica, adorna-

rono la propria anima dei precetti della vera sapienza,

nè dei precetti soltanto, ma ciò che più importa, delle o-

pere. E se interrogaste alcun di costoro che vivono al-

l’agricoltura, che attendono alla marra ed all’aratro, dei

dogmi intorno a cui i filosofi profani rompono in que-

stioni infinite, e danno in lunghissimi discorsi da cui non

puossi ritrar nulla di vero, egli vi risponderà a tutto con

molla chiarezza ed intelligenza. Ciò che ha poi del me-raviglioso si è, che per mezzo delle opere si rassodano

nella credenza dei domtni. Conoscereste infatti che ben

addentro scolpironsi nell’anima la persuasione che abbia-

mo uno spirito immortale, che dobbiam rendere stret-

tissimo conto di ogni azione che si feccia quaggiù, e che

ci si appresta un giudizio terrìbile;quindi dietro di

queste norme composero la vita, e fatti maggiori di ogni

allettamento del secolo, ed illuminati dalla divina scrit-

tura, quaggiù darsi vanità di vanità ed ogni cosa essere

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191

vanità, non appetirono niuno «li <|ucgli oggetti che si mo-

strano assai lusinghevoli;e così è clic intorno a Dio sap-

piano tutto che Dio impose che si sapesse — Prendete

uno di essi, e fate che ora qui dinanzi ne venga pure

alcun filosofo profano : ina che dissi, se di presente non

possiamo trovarne alcuno? Ebbene pigliate, io ripeto,

uno di essi, e scorrete dall'altro canto i libri tutti dei

filosofi antichi, e con diligente esame ponete a confronto

ciò die questi adesso rispondono, ciò che quelli ragio-

narono allora, e vedrete come di questi sia grande la

sapienza, come grande di quelli la follia ! Dicendo infat-

ti or fimo or l'altro di loro che nella disposizion delle

cose non vi è provvidenza, che il mondo non è crealo

da Dio, che niuno trova in se una virtù sufficiente a se

stesso, ma che ha d'uopo del dinaro, della nobiltà, della

gloria esteriore;dicendo altre innumerabili stranezze

ancor maggiori delle accennate;e questi invece che nien-

te attinsero alle fonti profane della dottrina, discorrendo

saggiamente della provvidenza, dei giudicii dopo di que-

sta vita, della creazione di Dio che trasse tutte cose dal

nulla, non danno in ciò a conoscere la potenza di Cristo

che fa gl' idioti ed i rozzi tanto più saggi di quelli che

si vantano di sapere, quanto possiam vedere gli uomini

maturi nella prudenza essere superiori ai teneri fanciul-

li? E qual mai danno può venir loro dalla ignoranza del

linguaggio, mentre la iutelligenza è adorna del sapere

più eletto? Qual profitto trar possono i profani dal co-

noscimento della lingua se l'intelletto è privo di senno?

E lo stesso che vi fosse taluno che portasse una spada

colf elsa d' argento e colla lamina più fragile dell’ infe-

riore Ira il piombo. Han dessi i filosofi profani una lin-

gua adorna di parole e di nomi, ma che cou una mente

ripiena d’ infermilade torna loro inutile affatto : non e

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192

però così di questi alili filosofi, anzi tulio il contrario.

La loro monte è fornita a dovizia di spirituale filosofia,

e le azioni loro si conformano allo dottrine. Appo di essi

non \i sono nè donne impudiche, nè strani abbigliamen-

ti, ne colori c vernici, ma lungi è cacciato tutto cotesto

ammasso di abitudini corruttrici. Ond’ è che più facil-

mente assai si persuade la temperanza alla soggetta mol-

titudine, e si conserva perseverante nell esatto adempi-

mento del precetto di l’aolo, che avendo un vestilo e

un po di cibo, non si deve chieder nulla di più. Nonfanno essi uso alcuno di unguenti snervatori degli animi;

ina la terra della moltiplice famiglia dell’ erbe produt-

trice, con maggior avvedutezza di qualunque fabbricatore

d’ unguenti, appresta loro il soavissimo e vario olezzo

de’ fiori. Quindi è che godono di un perfetto vigore di

spirito e di corpo, perchè si tolsero ad ogni mollezza,

ogni funestissimo stemperamento della ebrietade abbor-

rirono, e tanto mangiano quanto basta alla vita. Nonprendiam dunque motivo a disprezzarli dall esterno lor

portamento, e più- presto ammiriamo il loro intelletto.

Poiché qual pregio dal vestito esterno, ove 1 anima fosse

coperta più miseramente del più ceusioso mendico? Knoi sappiatn bene che non dobbiamo le nostre ammira-

zioni e gli encomii nè alle vesti, uè al corpo, ma sibbe-

ue all umina dell uomo. Ci si mostrino spoglie del corpo

le anime di costoro, e ne vedremo la bellezza ed i tesori

nelle opere, nei donimi, nelle regole dei costumi.

Si vergognino pertanto i gentili de’ propri filosofi, e

della loro sapienza, di ogni stoltezza più miserabile, si

ritirino, si nascondano. In mezzo di essi alcuni che

amici si dissero del supere nel corso della lor vita valsero

appena ad insegnare le proprie dottrine ad uno stuolo

assai raro di discepoli che poteano a luti agio essere

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Idi

numerati, e perdettero anche questi alla più lieve mi-

naccia di alcun pericolo. Mentre i discepoli di Cristo

pescatori,publicaui, fabbricatori di stuoie convertirono

alla verità tutto il mondo, e allo insorgere di sempre

nuovi pericoli, non è che venisse meno la predicazione,

che anzi divenne sempre più fiorente e più bella, ed

ammaestrarono quindi nella sapienza più sublime gl’ i-

dioti, gli agricoltori, i mandriani. Questi uomini rozzi

adunque, avendo colle altre virtù profondamente radicata

nell’ animo la carità, madre «li ogni bene, si affrettarono

verso di noi per sì lungo tratto di cammino onde veni-

re ad abbracciare le proprie membra, i propri fratelli.

Su dunque anche noi dal nostro canto prima che sen par-

tano, su dicca diamo loro colla medesima sincerità di

cuore ed affetto alcuna provigione pel viaggio, in ricam-

bio dei preseuti che fecero a noi, e tratteniamoci di nuo-

vo intorno ai giuramenti affinchè questa malvagia con-

suetudine si divelga interamente dal vostro cuore.Prima

però voglio che oggi ci fermiamo un poco intorno alle

cose «li cui precedentemente vi dissi. Allorché si lasciò

che i Giudei partissero dalla Persia, e furono quindi da

quella schiavitù liberati col ritorno che fecero alla Pa-

tria : Vidi,esclama il Profeta, una falce che via si di-

stendeva pel cielo,e la sua lunghezza era di venti cu-

biti,e la larghezza di dieci (j); e ne appresero tosto

dalle profetiche labbra la spiegazione: Quest'è, soggiun-

geva egli, f esecrazione eh' esce sopra la faccia della

terra, e che entra nella casa dello spergiuro, e la spez-

zerà a mezzo Jrangendone le travi e le pietre tutte.

Poiché leggemmo coteste parole, rintracciavamo il nioli-

•utuM dì

(1) Zaccaria V. I. Ove il greco legge ipiitatìio c !j Vulgata

Fnlccnt alni col terto ebreo vorrebbero leggere ruttimeli.

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1 9A

vo per cui non sulo lo spergiuro, ina con esso andrà in

mina anche la casa di lui, e dicevamo il motivo esser

questo;che Iddio vuole che i gaslighi dei delitti più

gravi sicno lungamente visibili, affinché lutti abbiano per

essi a correggersi. Essendo pertanto d’uopo di seppelli-

re, dopo la sua morte, lo spergiuro e cacciarlo giù in

seno della terra, acciò col corpo di lui non si seppelli-

sca pur anco la memoria della sua iniquità, così fu con-

versa in un mucchio di macerie la casa ch’egli abitava,

perchè lutti che passassero a quella volta, vedendola e

informandosi della causa di quelle ruine, evitassero d'i-

mitarne la colpa. Ciò avvenne anche di Sodoma. Difatto,

arsi che furono gli abitatori in pena della mutua bruta-

le compiacenza, anche la terra che sosleneali fu dalle

fiamme che piovvero dal cielo consunta;poiché voleva

il Signore che rimanesse perpetua la ricordanza dell i ti-

farne delitto. Considerate poi anche in ciò la misericor-

dia di Dio; non fece che ardessero continuamente fino

al dì d’oggi i corpi dei delinquenti; ma bruciali una

volta, li nascose, lasciando che la superficie della terra

ardente al cospetto di tutti quelli che non ricusasse-

ro di volger ivi gli sguardi, rendesse avvertite le future

umane generazioni : che non commettessero il delitto

dei Sodomiti per non incontrare dei Sodomiti il gastigo.

INè poi il linguaggio è così presto ad aprirci la strada

alla intelligenza,' come lo è una terribile rappresentazio-

ne postaci innanzi agli occhi che di continuo iu se mo-strasse i vestigi deli infortunio. E ben lo attestano colo-

ro che si portarono a vedere que’luoghi;

i quali mentre

prima ascoltavano senza timore la lettura de’libri sautì

che parlan di spesso del terribile avvenimento, poiché

là pervennero e sulla faccia del luogo si trovarono, e vi-

dero tutta quell" ampia superficie consunta, e le tracrie

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mirarono dello incendio, ove non vestigio alcuno di ter-

ra che apparisca, ma invece tutto cenere e faville, di là

si tolsero atterriti in guisa ch’ebbero da quella vista una

grande scuola di temperanza:poiché sempre la misura

della vendetta quella eguaglia della colpa : e coinè que-

gli empi trovarono un congiungimento infecondo ed

inetto alla procreazione de’figli, così Iddio dal suo canto

trovò un gastigo che rendesse infecondo il grembo della

terra e privo affatto di germoglio. Quindi è clic minac-

ciò distruggere le case di que’che giurano, per far sì che

la pena di essi tornasse a scuola di ravvedimento negli

altri.

Io poi oggi ho divisato mostrarvi che non una, due

o tre case furono dai giuramenti distrutte, ma una città

intera, un popolo religioso, una nazione usa a goder

sempre dei benefìcii della provvidenza, uno stuolo a mol-

ti pericoli sottratto. Gerusalemme non era dessa la città

di Dio,

ricca del tempio santo e di tutti i tesori della

religione i più preziosi, dov’ ebbero stanza i profeti,

la

grazia dello spirito di Dio, l’arca, le tavole del testamen-

to, e i vasi d’oro ? dove gli angeli non di rado discende-

vano? Questa città in molte guerre impegnata, e assali-

ta dalle incursioni di molli barbari, cinta come da una

muraglia adamantina, sempre derise gl’ imitili loro sfor-

zi, e nella distruzione universale de’paesi circostanti non

sofferse alcun grave infortunio. Nè di ciò solo dobbiamo

meravigliarci, ma v’ha di più, che quantunque volte im-

pugnò le armi a danno degl’ inimici, altrettante intera-

mente gli sconfisse, e sì grande era a favore di lei la

provvidenza di Dio, eh’ egli stesso ebbe a dire: Ho ri-

trovato Israele come delluva nel deserto,ed ho riguar-

dato i suoi padri come i fruiti primaticci delfico (i).

(1) Ose» IX. io.

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196

E altrove parlando della stessa città, soggiunse: ella è

come le bacche deltolivo che dipendono dalle estremi-

tà de'suoi rami,e diranno non vi sia chi porti loro no-

cumento di sorta (i). Pure una città a Dio tanto cara,

sottratta a lauti pericoli, che ottenne di tante colpe per-

dono, e che una e due e innumerabili fiate potè fra tut-

te andar libera dalla schiavitù, trovò in un solo giura-

mento la propria ruina, e come ciò avvenisse dirollo. Fra

gl Israeliti vYbbc un certo Sederia: cotesto Sedecia le-

gossi in giuramento con Nabueodonosor re de’barbari,

che manterrebbe sempre con esso alleanza in tempo di

guerra,* indi, poco badando al fatto giuramento, il vio-

lò seguendo le parli del re di Egitto, ed ebbe quindi a

soffrire ciò che tosto udirete. Conviene però che prima

io vi esponga la parabola del Profeta con che tutte le fu-

ture vicende prediceva : avvenne, dic’egli, che la parola

del Signore si facesse da me intendere in questi accen-

ti : figliuolo deiruomo,proponi un racconto

,descrivi

una parabola,e di': Così ha parlalo il Signore Iddio :

venne una grandaquila con grandi ale e lunghe pen-

ne,e fornita di molte unghie (2). Egli diede il nome

di aquila al re di Babilonia, e lo chiamò Aquila grande,

e dalle grandi ale, e dalle lunghe penne, e dalle molte

unghie, pel numero considerevole di guerrieri, per l'e-

stensione di sua potenza, per la celerità delle sue spedi-

zioni•, poiché di quella guisa che le ali e le unghie sono

le armi delle aquile, così i soldati e i cavalli lo sono dei

re. Cotesta aquila pertanto prende il volt» per entrare

nel Libano. E che cosa è cotesto volo? Il consiglio, il

divisamenlo. Chiamò poi Libano la Giudea, perchè si-

fi ) Isaia !,XV. 8.

(2; Eteditele 17.

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197

luata non lunge ila quel molile. Volendo poi significare

i falli giuramenti e la concimisi! alleanza ripigliò : Prese

del seme di quella terra e In trasportò in un campo at-

to alla seminagione,acciò gettasse le sue radici sopra

grandi acque,e lo pose ivi perchè fosse veduto

,e il

seme avendo germogliato crebbe in una vite inferma e

poco elevata,• e i suoi tralci erano verso delfAquila ri-

volti, e le sue radici si protendevano sotto di essa. Qui

chiamò vile la città di Gerusalemme: dicendo poi che i

rami di essa erano all’aquila rivolti, e che le radici le sta-

vano sottoposte, indicar volle i patti e l'alleanza conchiu-

sa, con che diede se stessa in balia dello straniero. Indi

venuto a farne palese il delitto, disse: E viJu un'altra

Aquila,

parla del re Egiziano, grande anch1

ella e di

grandi ale,e di molte unghie

,e la vite impigliassi in

essa,

le rivolse i suoi tralci,e stese verso di lei i suoi

rami per essere irrigata : oncTè eliio esclamai: Eccoquello che dice il Signore : Prospererà ella

,che non

osservò il giuramento, nè mantenne 1 alleanza, potrà sus-

sistere,andar salva e non cadere? Facendone poscia

conoscere che ciò non sarà per avverarsi, dia che pel

giuramento che fece dovrà interamente perire, discorre

intorno alla punizione, e ne accenna il motivo, dicendo:

Ee sue radici tenerelle e le frutte imputridiranno,e ina-

ridiransi i suoi germogli. E ponendoci soli’ occhio che

non sarà umana la forza che distruggerallajma che si

trasse sul capo la inimicizia di Dio pei giuramenti che

fece, soggiunse : Non sarà robustezza di braccia d'uomo

nè moltitudine di popolo che schianterallu dalle radici.

Fin qui la_ parabola : ma viene poscia alla spiegazione,

parlando così: Ecco verrà il Re di Babilonia in Geru-

salemme,e dopo di aver esposte alcune altre coso di-

scorre del giuramento c dell'alleanza: c il Re d'israelh

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'i.fé

198

conchiuderà con esso dei palli dichiarandone indi la vio-

lazione, ripiglia : Ma riticerassi da lui e manderà suoi

messaggi in Egitto,perchè ne sieno di là spediti e cavalli

e molte milizie. E di qui viene a conchiudere che dal

giuramento fu provocata sì grande irreparabil ruina : Nel

paese soltanto del Re che lo avea posto sul trono (poi-

ché tenne in non cale la mia maledizione e violò la mia

legge) nel mezzo di Babilonia ei morrà,non combat-

tuto da poderoso esercito,nè dalla moltitudine oppres-

so»,ma perchèJranse il giuramento e violò la mia leg-

ge. Tenne in non cale il giuramento e ruppe talleanza ?

dunque io glielofarò ripiombare sul capo,e stenderò

sopra di lui la mia rete. Attendeste come non una e

due volte il Signore, ma di spesso ripeta, ch’egli provò

pel solo giuramento il peso di tante disavventure ? E in-

fai li il Signore è implacabile contro degli spergiuri. Nèlo interesse che pigliasi Iddio perchè non si violino i

giuramenti ci si dà a divedere soltanto dalla vendetta che

pel fatto spergiuro prese dell.» cittade, ma dal ritardo

ben anco e dal differirla che fece. Accadde,dic egli, che

nel nono anno del suo regno,nel decimo giorno del

secondo mese venne Nabucodonosor,

il Re di Babilo-

nia e tutto Tesercito di lui sopra Gerusalemme:fu po-

sto il campo sotto alle mura,dogni intorno si fabbri-

carono de'bastioni contro ad essa,e la città fu chiusa

dovunque ed assediata fino al nono giorno del quarto

mese nedurulecimo anno del Re Scdecia. Prevalse al-

lora neir interno della cittade la fame,

tal che non

v era pane che sen>isse al popolo di cibo,e la città ri-

bellassi (i). Non valeva Iddio forse a far sì che fino dal

primo giorno cadessero sconfitti, o fossero dati in pote-

(1) IV dei Re. XXV. i.

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r Vii*

199

re degl' inimici ? Volle però che fossero invece pel corso

intero di tre anni sminuzzali e stretti da fierissimo as-

sedio, e puniti al di fuori dal terribile ceffo de1

soldati,

al di dentro dalla fame che teneva la città in grandi an-

gustie, sforzassero il re suo malgrado a darsi in manodei barbari, a pagare così il fio del proprio delitto. INè

è già una mia congettura cotesla: se volete convincervi

della verità, udite ciò che per bocca del Profeta si dica :

Se pur tu uscirai fuori a Capitani dei re di Babilonia,

vivrà Fanima tua,e questa citlade non sarà incendiala

,

e andrai salvo tu e la tua, famiglia. Se poi non uscirai

a’capitani del Be di Babilonia,questa città sarà data

in potere de'Caldei che la consumeranno colfuoco,e

tu non iscamperai dalle lor mani. E il Re Sedecia dis-

se al Profeta : Io sono in angustie per causa di quegli

Israeliti che ripararono tra1

Caldei,temendo di esser

dato in man loro,e che mi abbiano a coprire di scher-

ni. E Geremia rispose.fdicendogli : Non ti daranno in

loro potere ; ascolta la voce del Signore in ciò che io

ti parlo,e ti tornerà in bene

,e salverai t anima tua.

Che se tu ricusi duscire,

il linguaggio cui mi fece in-

tendere il Signore, è questo : Tutte le donne che rima-

sero nella casa del Ile di Giuda saran trattefuori ai

Capitani del Re di Babilonia ed elle diranno: Ti han

sedotto e t hanno vinta alla tua poggio que1

tuoi confi-

denti,hanno trascinato i tuoi passi su (funa via sdruc-

ciolevole,ed eglino si ritrassero in addietro

,e tutte le

tue mogli e i tuoi figliuoli si daranno in balia de1

Cal-

dei, e tu stesso non fuggirai lor dalle mani,perchè

saraifatto prigione dal Re di Babilonia,e questa città

consunterassi dallefiamme ( i ). Ma poiché queste parole

f!

(1 ) (minia XXX Vili. 17.

. » « -

k Dìi

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200

noi persuasero, e perseverò nella propria malvagità e nel

delitto, Iddio dopo tre anni c dopo di aver fatta palese

la sua clemenza e F ingratitudine di lei,diede la città

in potere degf inimici. Ed entrati che furono senza osta-

colo che si fosse, ridussero in cenere l’abitazione di Dio

e quella del Re, e il prefetto de cuochi diede alle fiam-

me le case di Gerusalemme ed ogni edificio maggiore,

e divelse le mura della città;

il fuoco intanto dilfonde-

vasi dappertutto soffiandovi per entro il giuramento che

era guida e continuo eccitatore di quelle fiamme divora-

trici;ma il popolo nella città e i ministri del Re furono

tratti in ischiavitù dal prefetto de'cuochi; e i Caldei man-

darono in pezzi le colonne di rame ed i basamenti e il

mare di bronzo elierano nella casa del Signore,e por-

tarono via le caldaie aneli esse di rame,e gli schidion-

celli,e le caraffe,

e i" piccioli mortai,e tutti i vasi di

bronzo con che si faceva il servigio ; e rapirono i turi-

boli,e i bacini (f oro e (f argento. Quanto poi alle due

colonne,ai basamenti ed al mare, tutto fu derubalo da

Nabuzardan il prefetto de' cuochi. Si trascinarono die-

tro Sarea primo sacerdote,e Safari secondo

,ed i tre

guardiani della soglia. Fu condotto via dalla città an-

che un eunuco oliera commissario della gente di guer-

ra, e cinque uomini de famigliari del Re, e Safari

capitano dell1

esercito, e quegli che facea le rassegne,

ed altri sessanta uomini che trascinati dinanzi al Re di

Babilonia li percosse e li uccise tutti (i). Ricordatevi

adunque della falce che ruota in giro ed entra nella casai ^

(1) IV dei Re. XXV. Discordano le traduzioni, e leggono di-

muiuente: princepi mililiac, mayislcr laniorum ; nel greco ci sla

Xfjytgxyiipsg (praefeelus coquorum): io dovea attenermi al lesto; mapiù volentieri mi sarei appigliato a chiamarlo o condottiero dell’ eser-

cito, o capitano delle guardie,

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20

1

di colui che giura, ne sgomina lo pareli, e ne tri-

tura le travi e le pietre. Ricordatevi come colesto

giuramento, entrato uella città, distrusse le case, il

tempio, le mura, gli ediGcii più splendidi, e la ri-

dusse ad un mucchio di mine, nè il santo de’ santi,

nè i sacri vasi, nè altra cosa che fosse valsero a trat-

tenere il gasligo della destra vendicatrice «li Dio, per-

chè si violò il fatto giuramento. Che se la città pe-

riva sì miseramente, più lagrimevoli e crudeli erano

le disavventure che piombavano sopra «lei Re, e co-

me cotesla falce rotaolesi schiantò gli edifico tutti, co-

sì colse anche lui fuggitivo, Il Re, sta scritto, se ne

fuggì di notte dalla città,mentre i Caldei le erano

sopra d ogni intorno,per la via della porta fra le due

mura ; ma /’ esercito de Caldei gli letuie dietro e lo

raggiunse,

e lo prese,e lo condusse al Re di Babilo-

nia: e il Re di Babilonia venne con Sedecia alla finale

sentenza,e Je scannare i figliuoli sotto gli occhi del

padre,

indi glieli abbacinò,e lo pose Jra ceppi

,e lo

tradusse in Babilonia. E che dir si vuole quel venire

con Sedecia alla finale sentenza? Che da esso chiese

ragione, che venne cou esso ai palli, e prima scannò i

figliuoli di lui alfiuchè fosse lo spettatore della propria

calamilade, e poscia che vide quella desolantissima tra-

gedia,Io accecò. Ma chiedo di nuovo, e perchè si fece

inai tutto questo? Perchè Sedecia fosse oggetto di gran-

de scuola ai Barbari ed ai Giudei che abitavano colà,

e vedendolo imparassero da quel cieco quanto sia enor-

me delitto il giuramento, nè costoro sollauto, ma quei

tulli che si trovassero lunghesso la via, e se si abbattessero

nel Re cinto di ferri e abbacinato, apprendessero anche

essi dal terrore dell infortunio quanto sia grave il peso

della colpa. Quindi è che uno tra i Profeti disse: Non

27

Iti

L• •

*

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Iff

202

vedrà Babilonia (i). Un al Irò: Sarà trascinato in Ba-

bilonia (2 ). Le profezie sembrerebbero tra di loro con-

trarie, ma non lo sono, perchè son vere ambedue: es-

sendo eh’ egli non vide Babilonia, e fu in Babilonia tra-

dotto. Come dunque non vide Babilonia? Perchè fu

abbacinato nella Giudea: cbè dove si violò il giuramento

ne fu anche punita la violazione, e il reo dovette pagarne

il fio. Com è che si trascinò in Babilonia ? Cinto dalle

catene di schiavo. Poiché dunque erano i principali

gaslighi 1 abbacinamento e la schiavitude, così i prolcti

se li divisero, e questi disse : non vedrà Babilonia ; faltro :

in Babilonia sarà tradotto : esprimendo la schiavitude.

Ammaestrati dunque, o miei fratelli, e da ciò che ora

dissi, e da quello che in precedenza vi ho annunziato, e tut-*

lo insieme raccogliendo, vi prego ad una voce e vi scon-

giuro cessiamo da cotesta malvagia consuetudine e

stolta. Che se anticamente appresso de’ Giudei, quando

la legge non era per anco ridotta alla sua perfezione, e

molto si tollerava con essi, tanta ira e schiavitù ed ecci-

dio da un solo giuramento derivarono; e che dovranno

ora aspettarsi coloro che giurano, ora che abbiamo una

legge che severamente lo vieta, e di più una sì ampia

inlerprelazion della legge? Forse ciò che si chiede da noi

è d’ intervenire a cotesle adunanze, e di ascoltare quel

che si dice ? Sì certamente, e ne soprasta un giudizio

più grave, se, accorrendo con frequenza ad udire, nonadempiamo ciò che ne viene insegnato. E qual difesa

avrern noi ? Qual perdono, se raccogliendoci in questo luo-

go dalla prima etade fino all ultima vecchiaia, ed essendo

ammessi a tanta ricchezza di addottrinamento, pure per-

sistiamo nelle iniquità antiche, e non ci adoprianio a

(1 )Kzccliielc, XII. • 5.

(2) Geremia, XXXH. 5.

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I

2u:.

correggere alcun difetto? Nè \i sin chi mi ponga innanzi

la consuetudine, che per poco ni" infiammerei il ira e di

dispetto alla opposizione che non possiamo correggere

l'abitudine. Ma se non correggeremo l’ abitudine, come

correggerem noi la concupiscenza che ha sue radici nella

naturale nostra depravazione? Il desiderare infatti è pro-

prio della natura; desiderar ciò che è inale, della volontà.

Il giurar poi non ebbe origine dalla volontà, ma unica-

mente dalla nostra stoltezza. E perchè voi apprendiate

che cotesto peccato crebbe non per la difficoltà di cor-

reggerlo, ma per nostra negligenza soltanto, pensiamo che.

gli uomini adempiono ad imprese assai più dilficili di

queste senza attendere guiderdone di sorta. Pensiamo

quanto faticosi e dilìicili a sopportarsi non furono i co-

mandi datici dal demonio; pure non v ebbe ostacolo

che ce ne impedisse I adempimento, llavvi forse diffi-

coltà alcuna che quella pareggi di un giovane che voglia

rendere pieghevoli in tutti i sensi le sue membra con tor-

mentarle in proprio danno, sforzandosi di continuo a

muovere in giro il corpo come si farebbe di una ruota,

attorcigliandosi sul terreo mulo, e adoprandosi a tutta

possa col travolgere delle mani e degli occhi, e con vio-

lentissime conversioni di cangiar sua natura nella don-

nesca, non pensandoci più che tanto nè alla difficoltà

dei movimenti che si richiedono, nè all ignominia che

ne deriva ? Chi, essendone spettatore, non si meraviglierà

di quelli che si traggono su palchi destinati ai balli, ove

delle corporee membra si servono come di altrettante ale?

Chi mai v'ha che non sappia starci 1’ assiduità della fatica

in luogo della virtù? Chi non rimane sbalordito in veg-

geudo di quelli che lanciano alternativamente per aria

delle spade, c tulle le riprendono di nuovo alternativa-

mente per 1 elsa? Che dirassi di quelli che portano sulla

Page 209: DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO - Internet Archive

Ztt.

20.1

fronte una lunga pertica immota così, come fosse pro-

fondamente nel terren radicata ? Nè il mirabile è questo

solo, ma sulla estremità della pertica collocano dei pic-

cioli fanciulli, e li fanno combattere tra di loro, e intanto

re la tengono ferma non altrimenti che fosse legata alla

più salda fune senza il soccorso nè delle mani, nè di ah

tra parte del corpo, ma con la sola fronte. V 5

ha chi so-

pra di una sottilissima corda cammina con quella sicurezza

medesima, con che altri camminerebbe su di una pia-

nura. Dunque colesti prodigi che avrebbero sembralo

impossibili al sol pensarli,divennero possibili in fatto

per mezzo dell’ arte. E si richiede forse,

di grazia . al-

cun d’essi nell evitare i giuramenti? Qual v’è dillicitl-

tade? qual sudore? qual arte? qual mai periglio? Usiamo

di un poca di attenzione soltanto e in breve avremo ot-

tenuto ogni cosa Nè mi dite che lo otteneste già per la

massima parte: se non Io otteneste interamente, non avete

fatto ancor nulla}poiché quel poco che per vostra negli-

genza vi rimane ancora, basterà a distruggere quel che

faceste. Accade infatti di spesso che i fabbricatori di

una casa non curandosi nel coprirla di una sola tegola che

si smosse, lascino per essa aperto il mezzo all’intera sua

distruzione. Chiunque poi facilmente può convincersi

come ciò stesso addivenga nei vestiti, ove non di rado

una picciola scucitura, che non sia raggiustata, produce

uji grande laceramento. Nè i torrenti cessano di metterci

sott’ occhio questa verità, essi che al minimo aprirsi di

picciol foro tutte vi cacciano entro le proprie acque. Lostesso succederà anche di voi, se dopo di aver sottoposto

a severa custodia voi stessi, lascierete pure una piceiola

parte mal guardata : chiudetela dunque affinchè il demo-

nio vi trovi assicurati dappertutto. Vedeste la falce? Ve-

deste il capo di Giovanili ? Udiste la storia di Saule?

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205

Udiste il motivo tifila schiasitù giudaica? Insieme a que-

sti fatti udiste anche la sentenza di Cristo che dice,che

non solamente lo spergiurare, ma il giurare pur anco in

qualunque gnisa è opera diabolica, è trama che ci tende il

crudele nostro nemico? Udiste che i giuramenti sono ac-

compagnali dagli spergiuri? Raccogliete dunque tulle co-

teste prove, e scrivetele nel vostro cuore. Non vedete come

le donne e i teneri fanciulli portino gli Evangeli sosppsi

al collo per grande amore di custodirneli, nè li depon-

gono mai dovunque sen vadano? Voi scrivete nella vo-

slr anima le leggi c gl insegnamenti evangelici *, qui non

ci è d uopo nè di argento nè di oro nè di altra moneta

per comperarvi un libo» : d’uopo avete soltanto di buon

volere c degli affetti di un'anima destata dalla sua torpi-

dezza •, e sarete più sicuri della custodia del Vangelo

riponendolo nei penetrali della vostr anima, rhe non

portandolo al di fuori. Sorgendo adunque dal letto ed

uscendo della vostra casa, ripetete la legge: In vi diro che

non giuriate per guisa alcuna ( i) •, e queste parole \i

servano ili un granile ammaestramento;poiché non ci

è già d uopo di molla fatica, ma di un poca di attenzio-

ne unicamente. E che sia vero, lo conoscete anche aper-

tissimaincntc da ciò, che chiamati i vostri figli, e atterriti

e minacciali di percosse, se mai non adempiessero questa

legge, li vedrete tosto cessare dall" abitudine. E come

non è assurdo, clic i figliuoletti per timore che baimi)

di noi adempiano questo comandamento, e noi non te-

miamo Iddio neppur a quel modo elle i nostri figli ci

lemono? Vi ripeto pertanto quello che precedentemente

vi dissi: Imponiamo a noi stessi cotesla legge di non

trattare alcun negozio o pubblico o privato prima di aver

ad essa adempiuto*, e spronati da un obbligo che ci strin-

(i) S. M.iilro V. 5$.

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**T

20G ,

gerà sì dappresso, facilmente vinceremo e adorneremo noi

stessi, adorneremo anzi la città tutta. Considerate comesarà grande la gloria di udir per tutto il mondo ripetersi

che vige in Antiochia il costume corrispondente alla vo-

cazion dei Cristiani, e che ivi non si ode alcuno pronun-

ciare un giuramento, benché in grado estremo provo-

cato. Ciò udiranno le città vicine, nè le città vicine sol-

tanto, ma quelle poste agli ultimi confini della terra, che

è probabile assai che tutte coleste nuove vengano ivi

portate da que’ mercatanti che si trovano in mezzo di

voi, e di qua muovono in giro ne’ vicini e ne’ lontani

paesi. Mentre dunque gli encomiatori delle altre città

ricorderanno i porti, il foro, 1’ abbondanza delle merci,

credete che quelli che di qua parlironsi soggiungeranno,

che in altri luoghi non è dato di riscontrare ciò che si

trova in Antiochia;poiché, diranno, gli abitanti di quel-

la città soffrirebbero che lor fosse strappata la lingua

piuttosto che pronunciare un giuramento. E ciò tornerà

a voi di grande sicurezza e adornamento; nè questo

solo sarà il pruGtto, chè ne avrete una grande mercede,

poiché gli altri, punti di emulazione, vorranno imitare lo

esempio vostro. E se colui che sol uno o due ne guada-

gna a Dio, godrà di una ricchissima ricompensa, e quale

stimate voi che sia quella cui devonsi aspettare coloro

che convertano tutto il mondo? Convien dunque esser

solleciti, vigilanti, sobri . sapendo che non solo riceve-

remo il premio del profitto che noi avrem fatto nel

bene, ma di quello anche che per virtù nostra fecero gli

altri, e perciò riguarderanno con molta predilezione quel

Dio, cui ci sia dato di conseguire in perpetuo, chiamati a

godere il regno de' Cieli in Cristo Gesù nostro Signore,

al quale sia gloria ed impero insieme col Padre e lo

Spirilo santo nei secoli de’ secoli. Così sia.

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OMELIA XII

’li.»

1/ solo digiuno non Austa a /irrpararci alla comunione, marichiedcsi principalmente la virtù interna. Qual sia il

mezzo da adoprursi per deporre la memoria delle offese

ricevute, in t/ual conto tenga il Signore l'adempimento

di e/uesto precetto, e come, la ricordanza delle offese sia

un tormento che previene (/nello dell'Inferno. Vario in-

fine della necessità di schivare i giuramenti, e di (/itelli

che non ancora si sono corretti in modo che più non

giurino.

i

Il tempo che di già volge frettoloso alla fine del

digiuno ne avvisa che dobbiamo anche noi affrettarci nel

sentiero della virtù:poiché, di quella guisa che a’gareg-

giatori nel corso nulla giova l’aver oltrepassato molti sta-

dii, ove perdessero il premio *, non altrimenti anche a

noi nulla gioveranno le negazioni e i travagli del digiu-

no, se non potremo con purezza di anima accostarci al-

la sacra mensa. A ciò solo e il digiuno, e la quaresima,

e le adunanze di tanti giorni, e le concioni, e le preghie-

re, e le pubbliche istruzioni ordinaronsi, affinchè per

.t1

k

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V

208

iulte coleste opere di espiazione deterse le macchie che

nel còrso di quest'anno in qualunque modo ci si attac-

carono d’attorno, venissimo ammessi a partecipare con

ispiri! ual confidenza di quell momento sacrifizio; che se

non olteniain ciò, ne riesce inutile, senza profitto, e co-

me interamente perduta ogni nostra fatica. Ciascuno a-

dunquc vada seco stesso pensando qual vizio abbia cor-

retto, qual virtude acquistato, qual colpa deterso, qual

parte di se migliorata : che se ritroverà col digiuno aver-

si fatto ricco di coleste merci preziosissime, e sarà certo

di aver apportato non lievi rimedii alle proprie ferite,

si accosti. Ma, se in ciò negligente, non può far mostra

che del digiuno, e conosce di nou essersi in alcun’altra

cosa corretto, cotestui rimanga pur fuori, ed entri allora

che tutte avrà lavale le sue colpe. Non vi sia chi si affi-

di al digiuno unicamente, mentre conservò,senz am-

menda che fosse, l'usato attaccamento ai vizi. È giusto

che si perdoni a colui che per fralezza della propria co-

stituzione non digiunò *, ma egli è impossibile che metta

innanzi alcuna scusa chi non ha gastigato le proprie col-

pe. Pel tuo corpo infermiccio non osservasti il digiuno;

ma dimmi, perchè non li se’riconci fiato co’ltioi nemici?

Puoi forse porre innauzi anche qui il pretesto della tua

infermitade? £ se mantieni tuttavia gli odii e l’antica

invidia, che mai ti resta ad allegare in tua difesa ? Certo

le membra inferme non han nulla a che fare con codesti

delitti. E dobbiamo ammirare una grande opera della

misericordia di Cristo anche in ciò, che volle lutti i prin-

cipali precetti moderatori di nostra vita non avessero ad

essere in ninna guisa impediti dalla infermità delle mem-bra. Del resto, abbisognando di tutti i divini comanda-

menti, e in ispecial modo di quelli per cui ci vcugon

proibito le inimicizie ed i perpetui rumori, e ci s’iinpo-

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-*•.r

20 si

ne ili loslo riconciliarci, così ili presente ci tratterremo

intorno a questo precetto. Siccome poi non può essere

ammesso alla sacra mensa l'uomo «Ielle* fornicazioni e

delle bestemmie;non altrimenti è tenuto lontano dalla

santa comunione colui che nutre uimistadi ed è perti-

nace nell ira : nè a torlo. Intatti quello che davasi in

braccio ad amori merelricii, o gli altrui letti contami-

nava, pose fine alla colpa saziato che ebbe l'animo inve-

recondo*, e se, ritornando in se stesso, volesse risorgere

dalla caduta, e far mostra di solenne pentimento, potreb-

be aver quinci alcuna consolazione*, ma chi persiste nel-

l'odio aggiunge ciascun giorno un nuovo peccato, sì che

la catena non arriva mai al suo termine. Le colpe della

prima specie accennata si compiono col compiersi delio-

pera infame: queste ad ogni dì che sorga si riproduco-

no$e qual perdono spererein noi che ci siamo oliceli

in pasto di tanta fiera? Con che faccia potrete chiedere

che Iddio si mostri con voi mansueto e beuiguo, mentre

voi siete co’ vostri prossimi inesorabili tanto e crudeli?

Ebbene il tuo prossimo ti caricò d improperii, e tu quan-

te volle non improperasli al Signore? E v ha forse para-

gone alcuno Ira il Signore e il suo servo? Di più, quegli

forse trattato insolentemente esacerbossi e rispose con

altra insolenza: tu sempre ti diporti insolentemente con-

tro del tuo Signore, senza eh1

egli l'abbia offeso in cosa

che sia; anzi avendoti di singolari beneficenze continua-

mente ricolmo. Pensa che se Iddio volesse chiederne

esalta ragione delle arrecategli ofTese, non rimarremmo

in vita nè anco un sol giorno. Oh se tu, esclamava

Davidde, se tu guardassi alle nostre colpe,o Signore

,

chi mai di noi sussister potrebbe ( i)? E per lasciare

28

(lì Sditilo CX XX. 5.

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210

addietro gli altri tulli peccati alla sola coscienza di cia-

scun colpevole muniresti, dove, eccetto Dio, non v ha

testimonio che ne spaventi; ditemi qual lusinga di scu-

sa ci si offrirebbe, se fossimo chiamali a render conto

di questi che già son pubblici, e d uopo è confessare?

Se guardasse alla nostra torpidezza e negligenza nelle

preghiere, se al nostro atteggiamento allorché ci presen-

tiamo a lui per invocamelo, ove non dimostriamo nè

anco quel riserbo e contegno, cui,dimostrano i servi

verso de’Ior padroni, i soldati verso dei capitani,verso

de propri amici gli amici? Di vero, parlando con un ami-

co parlate almeno attentamente, ma trattenendovi con

Dio intorno alle vostre colpe, chiedendone il perdono,

supplicandone 1 oblio,grado grado v iutoqiidite

,e

quantunque chini a terra con le ginocchia, pure per le

piazze e per le case fanima divagate, ed aprile intanto

la bocca a vane e temerarie parole. Ciò poi non è che

avvenga qualche volta di rado, ma bene di spesso, e se

Iddio volesse tener conto unicamente di questo, pensa-

te voi che otterremmo così a tulfagio il perdono? Pen-

sale che si potesse addurre alcuna difesa? Io per certo

non la ci veggo.

Che se volesse schierar dinanzi gfimproperii con

che gli uni gli altri a vicenda c insultiamo; i giudicii

teinerarii con che condanniamo il nostro prossimo, e

pel solo motivo che siam maldicenti;che mai potremmo,

io vi chiedo, produrre a nostra guarentigia? E se indi

si faccia ad esaminare i curiosi nostri sguardi, e le pra-

ve cupidigie dell animo che riboccano di pensieri tur-

pi ed osceui mentre permettiamo che gli occhi vadanoqua e là errando senza freno, quale sarà la punizion che

ne aspetta ? E (piando si chiedesse ragione dei nostri

consulti, essendo certo: che chi dica pazzo al suofra-

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211

teìlo sì merita le fiamme <T inferno (i ); forse Irovereb-

besi chi osasse aprir bocca, muover labbro c rispondere

o molte od una parola soltanto? Inutili vanti delle pre-

ghiere, dei digiuni, delle nostre elemosine, ove si chia-

massero ud un rigoroso scrutinio, nè dal Signore, ma da

noi stessi che peccammo! Ardiremo forse levare gli oc-

chi al cielo ? Ed ove si venga al giudizio delle frodolente

doppiezze, che gli uni verso gli altri adoperiamo, ora

lodando il nostro prossimo in sul viso, e trattenendoci

in colloqui quasi amichevoli con lui, ora calunniandolo

dietro le spalle*, potremo noi forse reggere al peso dei

meritati gastighi ? Che dirò dei giuramenti, delle men-

zogne, degli spergiuri, degli sdegni ingiusti e del livore

sparso di spesso a danno non già degl inimici, ma de-

gli amici nostri ? Che del piacere che prendiamo del-

F altrui male quasi che la infelicità degli altri tornasse a

sollievo delle nostre sventure ? Che sarebbe di noi se

venissimo con giusta proporzione puniti della negli-

genza nelle pubbliche nostre elemosine? Nè potete na-

scondere a voi stessi che mentre Dio per le labbra de’

suoi profeti non di rado parla con tutti noi, ci voltiamo

in lunghi ed impeguant issimi dialoghi, anco intorno a

cose che non ci appartengon per nulla, con quelli che

ne stanno d accosto. Che se, ommessi gli altri delitti, ci

si chiedesse ragione unicamente di questo, ci rimarrebbe

forse luogo a sperare la nostra salvezza ? ÌNè crediate che

sia lieve la colpa; e se volete vederne la enormilade,

vedetela per confronto nelle cose umane: fate che men-

tre il Pretore parla con voi, anzi mentre vi parla un a-

mico di qualche importanza, lasciato sospeso quel di-

scorso, voi vi volgiate a parlare col vostro servo;

e do

i t . 1 ' iti f èrt» J '* i i’J. *4x • Ol'f X i-.'-

(1) S. Malico V. 22.

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212

cotesto argomenterete il gran delitto che è quello di far

lo stesso con Dio. E se un uomo per poco che non sia

dozzinale non lascia che se ne passi senza grave risen-

timento un affronto di simil fatta;Iddio invece ciascun

dì dalle stesse o da maggiori ingiurie provocato, nè da

uno, due, tre solamente, ma da pressoché tulli noi, per-

severa in quella pazienza e mansuetudine, che suol usa-

re non solo contro di cotesti delitti, ma di altri più gra-

vi assai}poiché cotesti sono ben noti e confessati da

tutti, e d uopo sarebbe mancar d’occhi per non vederli}

ma ve ne sono degli altri intorno a quali è la coscienza

di ciascun peccatore che rende conto a se stessa. Quin-

di è che per quantunque siamo crudeli ed ingrati, ri-

chiamandoci alla memoria ciò tutto, e un sol pensiero

volgendo alla moltitudine delle nostre colpe, non potre-

mo non essere soprappresi da tanta angoscia e trepida-

zione, che non ci rimanga più tempo da pensare alle in-

giurie ricevute. Ricordatevi dei torrenti di fiamme, del-

le serpi avvelenate, del terribile giudizio, ove tutto mo-strerassi nella propria nudità e schiettezza

;pensate che

appariranno allora in pienissima luce le colpe che or

giaciono nelle tenebre. Che se perdonerai le offese a te

fatte dal prossimo, verranno anche a te cancellate in

questa vita quelle che dovrebbero manifestarsi in allora,

e te ne uscirai di questo mondo senza portarti dietro

ninno de tuoi peccati, sicché riceverai in ricambio molto

più di quello che tu donasti. Avviene spesso che com-

mettiamo delle colpe senza testimonio di sorta;ma poi

pensando che in quel giorno verran poste sotto gli occhi

di tutti, e pubblicate nel gran teatro di tutto il mondo,a tal pensiero sollevasi dalla nostra coscienza un’agitazio-

ne ed un cruccio che ue tormenta assai più della stessa

condanna. Ma n é concesso a tanti peccati, a sì gran

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213

vergogna, a sì terribili crucci sottrarci col perdonare alle

offese5poiché non havvi altra virtù che questa in guisa

alcuna pareggi. Volete conoscerne la potenza? Ebbene:

Se DIosé e Samuele,disse il Signore, mi si presentas-

sero innanzi,Vanima mia si piegherebbe ad udirli ( i ).

Ma potè 1

!

adempimento del precetto di perdonare alle

offese sottrarre allo sdegno di Dio quelli, cui Mosè e Sa-

muele a sottrarre non valsero. Fu perciò che a co-

loro, a cui prima avea pressoché tolto ogni speranza di

perdono, ingiunse tosto il precetto di perdonare, di-

cendo : Ciascuno di voi dimentichi,ma di cuore

,le in-

giurie de’proprii fratelli,e quinci innanzi più non pensi

al male dal prossimo arrecatogli (2). E avvertite che

non disse soltanto di perdonare *, ma disse di non rite-

nere nella memoria, di non pensarvi, di deporre ogn’ira,

di rimarginar le ferite interamente. Non vedete che, me-ditando di vendicarvi, tormentale in pria voi medesimi,

come se chiamaste I ira a vostro carnefice, a dilaniatrice

delle vostre viscere? E qual cosa più misera di un uomoche cova in petto continuo sdegno? Di quella guisa che

i furenti non trovano mai riposo*, così questuiti che nu-

trono odii ed hanno degli inimici, non possono godere

di pace che sia, vivono in perpetuo tumulto, aggravano

di giorno in giorno la tempesta deproprii pensieri, te-

mono d’ogni parola e d’ogni opera, e torna loro di cruc-

cio per fino il nome della persona da cui abbiano una

qualche ingiuria ricevutojoud’è che al solo ricordarla

che si faccia in loro presenza infuriano con grande ina-

sprimento di cuore, e al solo vedersela innanzi trepida-

no, inorridiscono come; se avesser tocco l’estremo dei dan-

ni. Non basta : che si crucciano all’aspetto della veste,

(1 ) Geremia XV, 1

.

(2) Zaccaria, VII 10.• »

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214

della casa, del viottolo che vi conduce, e di tutto che

al lor nemico appartenga*, e se delle persone che ci tor-

nano piacevoli e care ne commuovono I1aspetto, le ve-

sti, la casa, le vie che frequentano, non appena ci si

faccian presenti;medesimamente i servi, i conoscenti,

le case, le vie degli uomini odiosi e degl’ inimici, ove ci

cadano sottocchio, o ne ricorrano in alcun altro modoal pensiero, ci dilacerano fanima, e al sorvenire di cia-

scuna immagine, ci si raddoppiano le ferite.

Abbiam forse d'uopo di tanto straccio di cuore,

di tormenti sì acerbi, di un supplizio di simil fatta?

Che se anco i vendicativi non fossero minacciati del fo-

co dell’inferno, dovrebbero tuttavia perdonare alle of-

fese del prossimo, se non altro per le angosce che dal-

l’odio stesso germogliano *, poiché essendosi preparato

dall’odio un martirio incessante, v’ha pazzia maggiore di

quella di condannar noi stessi a soffrirlo nell' istante in

cui studiamo al modo di vendicarci degli altri ? Infatti

se veggism l’inimico in qualche fortuna, scoppiam dalla

rabbia*, se avvilito, temiamo che la sventura non perda

del suo rigore, c si cangi in meglio;per cui sia che

dall’un canto, sia che dall’altro pieghino le cose, noi ri-

troviam sempre inevitabile il supplizio. Non ti adergere

a soppiantar V inimico,

dice la Scrittura (i). Nè mi

addurre a pretesto la gravezza delle ingiurie ricevute ;

chè non è ciò che li renda pertinace nell’ ira, sibbene il

non ricordarti de’ tuoi delitti e il non avere dinanzi agli

occhi le fiamme d’ inferno, e il timor santo di Dio; e

verranno le vicende luttuose di questa città a dimostrarne

come ciò sia vero. Se mentre si traevano alla condan-

na i rei de’ gravi misfatti che si commisero, e scor-

ti) Proverbi; XXIV, 17.

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215

geano il fuco alimentarsi nel fatale recinto, star dap-

presso i carnefici e futuri stracciatori delle loro mem-bra, alcuni degli spettatori fattosi loro incontro avesse

così parlato: Chi di voi avesse degli inimici, deponga

gli odii, e potrà allora andar salvo da cotesto terribile

supplicio-, forse non sarebbersi tutti prostrati a’ suoi

piedi, baciandoglieli? Ma che dico a’ suoi piedi? Se

non avrebbero neppur rifuggito di accettare la schiavitù

stessa, ove fosse loro stata proposta. Che se un gastigo

terreno, che pur ha fine, è valevole ad attutar Tire le

più feroci, non potrà quello della vita avvenire, ove in

tutta la sua forza si richiamasse al nostro pensiero, non

potrà non solo spegnere gli odii, ma sbandire dal cuore

ogni reo sentimento? Nè vi ha cosa più facile di quella

di depor l’ira contro 1’ uomo che vi offese. Per ciò non

vi è d’uopo d’intraprendere lunghi viaggi, d’impiegar

molli danari, di porre in mezzo molte pratiche officiose:

basta che lo vogliate, e per questa sola virtù l’opera ha

conseguito il pieno suo adempimento. E di qual punizio-

ne non sarem noi meritevoli se per le cose di questo

mondo ci assoggettiamo ai ministeri più vili, ci degra-

diamo oltre la nostra condizione, non guardiamo a di-

spendi!, ci tratteniam co’ portieri in confidenziali discorsi

per adulare ad uomini scellerati, in breve non abbiam

riguardo di dire e di fare tutto che conduca allo scopo

propostoci;per adempiere poi alla legge di Dio non so-

lo non discendiamo a supplica alcuna verso il fratello

che ne offese, ma lo terremmo per un disonore se gli ci

avvicinassimo i primi? Lo reputiam forse un disonore

l’essere noi i primi a procacciarci un premio? Invece mi

sembra che dovremmo vergognarci di persistere in quel-

lo stato di violenza, e che il disonore, il difetto, il grave

danno sarebbe l’attendere che l’ autor della ingiuria ac-

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A'-T

216

corresse il primo a riconciliarsi con noi :poiché quegli

che si accosta il primo previen 1 altro nel trarne tutto

intero il profitto. Se intatti deponcle l’ ira, perchè sup-

plicate, il merito della buona opera è dovuto a lui che

vi supplica, non avendo voi adempiuto la legge per ob-

bedienza al Signore, sibbcne lasciandovi vincere dalle ai-

timi preghiere. Che se invece voi stessi senza la media-

zione di alcuno, senza che 1’ offensore vi si presentasse

dinanzi,o ricorresse alle suppliche

,lasciato ogni ri-

guardo ed indugio, foste accorsi da lui, e gli aveste con-

donate spontaneamente le fattevi provocazioni all ira;

quell’ opera rimarrebbe tutta vostra, e tutta ne riceve-

reste voi la mercede. Se io vi dicessi : digiunate, mi po-

treste mettere innanzi la fralezza del corpo; se dicessi:

siate caritatevoli verso i poveri, mi potreste opporre le

tenui vostre fortune, e il peso di educare i figliuoli; se

dicessi : convenite alle sante adunanze, verrebbero gl’in-

teressi del secolo; se dicessi: ascoltate le concioni e

apprendete la forza degli insegnamenti, verrebbe la igno-

ranza; se dicessi : fate di correggere il prossimo, rispon-

dereste ch’egli non vuole assoggettarsi alle riprensioni

vostre, e che spesso in mezzo alle correzioni medesime

foste insultati. Coteste son miserissime scuse, tuttavol-

ta sono scuse. Ma se vi dicessi: deponete l’ ira;potreste

forse addurre a vostra giustificazione alcuni dei preac-

ccnnati motivi? No certamente; nè la fralezza del cor-

po, nè la povertà, nè la ignoranza, nè le secolaresche

occupazioni, nè alcun altro simile pretesto avrebbe luo-

go, ond’è che questa colpa è più di tutte le altre imme-ritevole di perdono. Con qual animo potete ergere al

cielo le mani, scioglier la lingua, chieder mercede?

Quand’ anche volesse Iddio perdonare le colpe vostre,

voi noi concedereste avendo in petto 1 ira contro de fra-

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telli. Ma egli il vostro nemico, voi dite, è un uom crude-

le, feroce, avido d’ insulti e di vendetta •, ebbene, per ciò

stesso perdonategli le sue colpe. Sofferiste molte ingiu-

rie, foste dispogliati di molti beni, udiste spesso degli

improperii, e gravissimo ne lu il danno;per ciò adunque

bramate che piombi in ricambio qualche male sopra del

vostro inimico; ma è qui appunto ove sta il merito del

perdono; poiché volendo voi cercare il modo del riscat-

to e della vendetta, sia colle parole, o coi fatti, o colle

imprecazioni, Iddio ristarassi dal prenderla; mentre

siete voi che vi adoprate di far ragione a voi stessi. An-

zi non solo non richiederà il fio delle offese a voi prati-

cate, ma voi stessi assoggetterà ad una pena pel pochis-

simo conto che faceste di lui.

Che se avviene tra gli uomini che, percuotendo Dui

falli-ut servo, provochiamo a sdegno il. padrone, che si

ritiene per offeso nel proprio servo;e se noi tutti rice-

vendo una qualche ingiuria da gente libera o schiava,

dobbiamo attendere la sentenza dei giudici o dei padro-

ni, di guisa che ninno con sicurezza può farsi auche tra

noi giustizia da se medesimo; non dovremo a maggior

ragione attenerci a cotesta regola in que’ fatti, ove Dio

stesso si dichiara vindice severissimo? 11 prossimo vostro

vi praticò delle ingiurie, vi offese, vi fu cagione di danni

infiniti; guardatevi dal voler voi farne pagare al prossi-

mo la mercede, guardatevi dal diportarvi ingiuriosamente

contro al Signore, cedete a lui, ed egli saprà condurre

la cosa ad un Gne assai migliore di quello che voi sapre-

ste desiderare. A voi si raccomanda unicamente di

pregare per colui che offese; del resto Iddio volle ser-

bar per se medesimo le misure tutte che saranno da

prendersi intorno od esso; e dove voi lasciate in pienis-

simo suo potere ogni diritto, sarete ricompensati di

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quella mercede eh’ egli ha di già prefissa, e di per voi •

stessi non avreste conosciuta giammai. Non iseioglietevi

pertanto in imprecazioni contro dell’ avversario vostro;

ma lasciatene arbitro il Signore: e sia che noi perdonia-

mo le ingiurie ricevute, ci riconciliamo coi nostri nemi-

ci, e preghiam per essi;s’eglino stessi non si convertiran-

no, nè cangierannosi in meglio, Iddio non perdonerà ad

essi, e non perdonerà onde provvedere al loro vantaggio.

Loderà voie mostrerà compiacersi della sapienza vostra;

punirà poi i vostri nemici, affinchè la sapienza vostra

non apparisca inferior della loro. Quindi ne segue che è

falsa quella volgar sentenza, che molti da me eccitati a

rappacificarsi, ove tornava ad essi in disgrado 1’ obbe-

dienza, addussero come scusa, ed altro non era che un

pretesto della malvagità loro: rifuggire dalla conciliazione

per non rendere più triste I’ inimico, od aver indi a

sperimentarlo più intrattabile e fiero nel suo proprio

disprezzo; e aggiungon di più che dalla comuuc si ter-

rebbe eh’ essi per viltà fossero venuti i primi agli accor-

di ed al rappacificamento cogli inimici. Son tutte cole-

ste, scuse inutili allatto;poiché quegli il cui occhio non

dorme mai, legge nei nostri pensieri;e quindi non do-

vete curarvi dei vani clamori de’ servi vostri compagni,

quando entriate in persuasione del giudice che «leve

pronunciar la sentenza sopra la vostra causa. Se poi vi sta

a cuore di non rendere favversario colla condiscendenza

vostra più triste; vorrei che vi convinceste che non è

già questa la via per cui egli divenga più triste, ina che

sarà invece per divenirlo allora che non cerchiale di pla-

carlo; poiché, «|uaiitumpie fosse lo sceleralissimo tra i

mortali, tacendo anche, e non dimostrandolo esterna-

mente, pure approverebbe in silenzio i vostri sapienti

"ostinili, e la sua coscienza non potrebbe non esser com-

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219

9 • .»

presa ili rispetto verso la mansuetudine vostra. Clio se

persisterà nella propria iniquitade, nè (rannerassi a cole-

ste soavissime emozioni, dovrà provare il massimo rigore

di Dio. Ed afTuiehè più chiaramente apprendiate, che,

quantunque noi preghiamo per glinimici ed offensori

nostri, tuttavia il Signore non perdona le loro colpe, se

dalla benignità nostra prendessero argomento a divenire

più tristi, vi racconterò un fatto antico. Maria praticò

un insulto a Mosè. E che fece il Signore? la coperse di

immondezza c di lepra, comunque ella fosse e buona e

casta. Essendosi poi interposto appo il Signore lo stesso

Mosè, che fu f insultalo, affinché le perdonasse, Id-

dio non accondiscese, e soggiunse: Se suo putire le

avesse sputato in faccia, non andrebbe ella confusa e

vergognosa? Ebbene rimanga dunque fuori del campoper sette giorni (i). E tale è iu fattola cosa. Se fosse

stato suo padre che avessela cacciata lungo dal proprio

cospetto, non sarebbesi forse assoggettata all' imposto

gasligo? Quindi è come se dicesse: ti lodo del fraterno

amore che mitri, della bontà e della tua mansuetudine\

ma so ben io quando convenga che le tolga d attorno la

pena che le indissi. Per lo che anche voi dimostrate ogni

possibile umanità verso dei vostri fratelli, nè vogliate

perdonar loro le offese per desiderio di maggior ven-

detta, ma per sentimento caritatevole e benigno*, e te-

nete per certo che quanto sarà maggiore in essi il dis-

prezzo dei mezzi che voi usate onde placameli, tanto

sarà maggiore la pena che a se medesimi prepareranno.

Ma che si disse mai ? Dunque imperversano nello stesso

accarezzarli che si faccia ? Sarà sempre lor colpa, c gran-

de vostro encomio, che per adempiere la legge di Dio,

. V V : Vinosa bue li oJJid -»wjfU*qa ih 0

(1) Numeri XIF, 14. ? - u< :i ...’’

1

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Ì.-Ì-»

2: o

non vi arrestiate dall accarezzare colui che nella man-

suetudine vostra sorge a maggiori insulti: c Paolo disse:

eh’ è meglio che gli altri sieno accusati perchè noi fum-

mo pietosi, di quello che noi perchè gli altri lo furono.

Nè mi andate ripetendo quelle viete parole, che dobbiam

formarci riguardo per non dar motivo di credere all'i ni-

mico che siamo accorsi a lui per paura, e quindi insu-

perbisca maggiormente. Cotesle sono ragioni di un’ani-

ma puerile, malavveduta, e ridotta per umani riguardi

fino alla stupidezza. Stimi pur anco che voi gli siate corsi

incontro per tema, e la mercede vostra sarà più abbon-

devole, quando ciò conoscendo, pure soffriate tutto pa-

zientemente per amore di Dio. Conciossiachè quegli

che si riconcilia per meritarsi la stima degli uomini an-

drà privo della ricompensa promessa : mentre chi pie-

namente conosce che da molti sarà vituperato e deriso,

e nullameno anche dopo di ciò non cessa di usare ogni

mezzo alla pace, otterrà una doppia e tripla corona;

poiché egli è quel desso che il fece unicamente per amore

di Dio. Nè venite innanzi col dirmi che vi fece queste e

quelle ingiurie; poiché vi avesse anco scagliato contro

tutti i mali che si trovano sulla terra, pure anche a que-

sto patto Iddio comandò che si perdonasse!’ le offese.

Ecco ch’io levo alta la voce e predico, e grido, ed escla-

mo: niuno che abbia qualche nemico si accosti alla sacra

mensa, e riceva il corpo di Cristo; e tutti che si ac-

costano non abbiano nemico di sorta. Hai tu qualche

nemico? Non ti accostare. Vuoi tu accostarti ? Prima ti

riconcilia, e poi ti appressa al banchetto. Nè sono io che

ve! dico: ma sibbene il Dio per noi crocefisso. Ondericonciliarvi col Padre non ricusò di esser egli scannato

e di spargere tutto il suo sangue; e voi per riconciliarvi

co’vostri fratelli non volete pronunciare una parola, non

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22

1

volete accostarvi i primi. Ascoltate come intorno a co-

storo parli il Signore: Se Ut presenti la tua offerta so-

pra r altare,e quivi, ti ricordi che il tuo fratello ha

qualche cosa contro di te,non disse invia alcuno clic

perori la tua causa o supplichi a tuo favore, ma tu

stesso gli muovi incontro, mentre soggiunge: Va prima

a riconciliarli col tuo Jratello (i). 0 cosa incredibile!

Iddio non ritiene per un affronto l’omettere che si fac-

cia del dono destinato per lui; e voi Io crederete undisonore l’andare i primi a riconciliarvi con i vostri fra*

t clli ? Ditemi in grazia trovereste voi mezzo di giustifi-

cazione per coloro che in ciò violassero il divino precet-

to? Se vedeste un membro tagliato, non fareste di tutto

per riattaccarlo al corpo? Fate lo stesso verso de’ vostri

fratelli, qualora li vedete separati dall’ amicizia vostra:

volate tosto tosto al loro amplesso, non istate ad aspet-

tare eh’ essi i primi vengano a voi, sibbene affrettatevi

per guadagnar voi la corona propostavi. Abbiamo il co-

mando di avere un solo nemico, il demonio; e di non

venire a patti con esso lui : ma non dobbiamo mai es-

sere di animo avverso ai nostri fratelli, e se insorgerà

un qualche lieve disgusto non deve durar più d’un gior-

no, nè più che il sole rimanga sulforizzonte, poiché sta

scritto: Il sole non tramonti sopra dell' ira vostra (a).

Se pria del vespro deporrete la vostra rabbia otterrete

un qualche perdono da Dio;ma se la vostra bile oltre-

passerà questo limite, non v’ è più luogo a credere che

ella derivi da un fuoco subitaneo e da un tempera-

mento irritabile sì che si lascia cogliere all’ improv-

viso., e piuttosto ella nasce dalla malvagità di un animo

perverso e di scelleraggini sitibondo. Nè poi col ritar*

(1) S. Malico V. 23.

(2) Agli Etesii IV. 2fi.

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‘Li*

222

do è solo che voi moviate incontro al danno di per-

dere ogni ragione di scusa, ma vi rendete assai più dif-

ficile l’esercizio della virtude richiesta;poiché, passato

un giorno, la colpa cresce: nel secondo si aumenta an-

cora, e se venga dietro il terzo ed il quarto, aggiunge-

rassi anche il quinto, e di cinque verrà n dieci, di dieci

venti, di venti cento, e così via via si farà del tutto in-

curabile la ferita •, essendoché a proporzione del tempo

crescono gl’ intervalli che ne separano. Guardati pertan-

to, o uomo, da tutte le passioni irragionevoli,nè il

pronto rappacificamento co’tuoi fratelli ti riesca a moti-

vo di rossore c vergogna, nè parlare nel seguente modo :

ÌXon ha guari ci siamo azzuffali insieme, scagliandoci in

faccia innumerevoli improperi?, e dovrò io tosto correre

a riconciliarmi? Chi non biasimerebbe la mia leggerez-

za? Niun personaggio di senno biasimerà il tuo facile

arrendimcnto;ma se persisterai nell ira allora sì che

ciascuno dileggeratti, ed aprirai un ampia strada al de-

mouio, che non solo la riconciliazione renderassi più

difficile pel tempo che vi passerà di mezzo, ma per le

circostanze pur anco che insorgeranno : conciossiachè

di quella guisa che la carità copre una gran moltitudine

di peccati (i), così la nimistade dipinge come altrettante

colpe quelle che realmente noi sono : onde ne segue che

trovili credenza appresso di costoro lutti i calunniatori

che godono degli altrui mali e li esagerano. Conosciuti

dunque tulli cotesti effetti, prevenite il vostro fratello,

soffermatelo prima che interamente vi sfugga, quand anche

vi fosse d uopo di percorrere in quel giorno tutta la città

di uscir delle mura, d intraprendere un lungo viaggio,

e lasciata ogni altra briga che in allora vi si facesse di-

ti) X. S. Pieno IV. 8.

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223

•‘C'.r

nunzi, procurale solo di riconciliarvi col vostro fratello.

Che se la cosa fosse anche diffìcile ad ottenersi, pensate

che il travaglio è sostenuto per amor di Dio, e prove-

rete una sovrabbondante consolazione, e 1’ anima, che

cerca eli sottrarsi, che paventa, che si vergogna, eccita-

tela ripetendole di spesso: A che cessi? a che ti ritiri?

A che ti scusi? Non si tratta di dinaro, non di altri

beni transitori!;ina della salvezza di noi medesimi, E

Dio che ne dà questo precetto: d’uopo è adunque che

al precetto cedano gli altri riguardi tutti. E questo come

un argomento di spiritual mercatura5non siam dunque

nè sospesi, nè pigri, e comprenda il nostro nemico che

ci diam tutta la sollecitudine per obbedire a' divini co-

mandamenti? Accresca egli il numero degl’ insulti, ne

percuota, ne faccia alcuna altra offesa più grave, e noi

sopportiam tutto generosamente, come quelli che in ciò

non tanto provvediamo al suo, quanto al nostro spiri-

tuale vantaggio, e nella sicurezza che il dì del giudizio,

più che delle altre tutte virtudi, ne verrà dall’ esercizio

di questa una maggior ricompensa. Son gravi i nostri

errori, molte le colpe, e abbiamo irritato in tante guise

il Signore: ma ne offerse secondo la sua misericordia

infinita questo mezzo di riconciliazione;non Iralasciain

dunque di approfittarci di questo tesoro preziosissimo.

E non era forse iu suo potere di comandarne la ricon-

ciliazione senza proporre mercede che si fosse? Nonhavvi certo chi si opponga a’ suoi precetti o li corregga.

'1 uliu via per I amore che ci porla ne promise una mer-

cede e grande, e ineffabile, ed eguale ai nostri desiderii

più ardenti, ne promise il perdono dei peccati renden-

done facilissimo il conseguimento.

Qual sarà adunque la sorte meritataci, se dopo la

promessa di tanto premio non obbediamo al legislatore

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ina persistiamo a disprezzamelo? E che sia veramente

disprezzo,vediamolo. Se 1 imperatore avesse promulgato

un editto ove comandasse che tutti i nemici si riconci-

liassero o fossero uccisi, forse non si affretterebbero tutti

ai vicendevoli accordi? Io la penso così. E che avverrà

dunque di noi con Iddio, se per esso lui non nutriam

quel rispetto, cui dimostriamo a’ servi nostri compagni?

Per questo ci venne imposto di dire: Perdonate a noi

come noi perdoniamo ai nostri offensori (i)Qual co-

mando più mansueto e soave? Il Signore fece noi giu-

dici di noi stessi nella remission delle colpe. Se perdo-

nerein poco, verremo perdonati di poco;se molto, di

molto; se perdoneremo sinceramente e di cuore, ne per-

donerà anche Iddio colle medesime condizioni. Se, dopo

concesso il perdono, terrete in conto di amico il vostra

offensore, Iddio farà lo stesso verso di voi. D’ onde ne

viene che quanto son maggiori le offese che taluno ne

fece, tanto più presto noi dobbiamo movergli incon-

tro,

poiché sappiamo che ne consegue da ciò che

Iddio rimetta auche a noi un maggior numero di pec-

cati. \ olete conoscere a prova che, fomentando gli udii,

non siam meritevoli di perdono che sia, nè trovarsi, ove

fossimo tali, chi perori a favor nostro? Porrò iu chiaro

ciò che dissi. Il prossimo vi offese, rapì i vostri beni,

sparlò, defraudovvi; nè ciò solo, ma ci metto dappresso

molti altri danni gravissimi,

ce ne metto quanti più

volete. Tentò di uccidervi, vi pose di fronte mille peri-

coli, vi praticò ogni maniera d ingiurie, ed usò contro

di voi tutte le scelleraggini che inventar possa 1 umanamalvagitade : e per non progredire pavidamente più

oltre, ponete che v’ abbia coperto di tali ingiurie che al

(1) 5. Manco VI. 12.

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9

225

par di voi non andò coperta persona alcuna giammai :

ed anche in simile circostanza, perseverando nell' ira,

non sareste meritevoli di perdono. Esporovvi a (piale

argomento si appoggino le mie parole. Se nn vostro servo

vi fosse debitore di cento monete d'oro, mentre a lui un

tal altro ne dovesse alcune poche (largente, e vi diman-

dasse la condonazione di sua partita, e voi imponeste a co-

testo vostro servo di sciogliere il proprio fratello dall ob-

bligo della restituzione, promettendogli che allora voi pure

condonereste a lui il suo debito che è di cento auree mo-nete, e invece il malvagio imprudentissimo uomo stran-

golasse il suo debitore;forse che alcuno valesse a togliervi

cotestui dalle mani, forse non lo flagellereste per I estrema

ingiuria che vi gettò iu faccia? E ben giustamente. MaIddio, o vendicativo, farà lo stesso, dicendoli nel di del

giudizio: Temerario, scelleratissimo servo, perdevi forse,

rimettendogli il debito, dell' aver tuo? No; ma sibbene

del mio, essendoché fosti obbligato a cancellare la sua

partita, perchè ne avevi un altra con me: infatti sta

scritto: rimetti gli altrui debili, ed io rimetterò i tuoi.

E quand' anche non avessi ciò aggiunto, era d’uopo che

tu per obbedire al padrone il facessi. Io però non volli

comandar da padrone, ma tei chiesi a quel modo che si

chiederebbe qualche fa\or da un amico; e ti promisi

die sarei per ricompensarti col mio e con sovrabbon-

dante misura: pure anche dopo di tutto questo non di-

venisti migliore. Gli uomini, quando vengono a conti, pon-

gono per ricevuto da’proprii servi quel tanto che devonoad essi: ond' è che per servirmi di un esempio; se il

servo è debitore di cento monete d'oro verso il padronec il padrone di dieci verso di lui, quando si viene ni

chiudere delle partite, il padrouc non gii rilascia mica le

Cento monete, utu dieci soltanto, c si rilien creditore di

30

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fi *T

226

tulio il resto. Non è così del Signore: ma se rilasci un

legger debito al servo tuo compagno, cancella egli inte-

ramente la tua partita. E di dove rilevasi tutto questo?

Dallo stesso commento ch’ci fece alla insegnataci preghie-

ra poiché aggiunse : E certo che se voi perdonerete agli

uomini i loro mancamenti, anche il vostro Padre celeste

perdonerà a voi le vostre colpe. ( i ). E quanto grande

è la differenza tra cento dinari e diecimila talenti;tanto

è grande quella che passa tra questi e que:

debiti. E di

qual pena non sareste degni, se conoscendo di dover

ricevere mille talenti in cambio di cento, ricusaste di ri-

lasciare il pochissimo che vi si deve, e convertiste con-

tro di voi la vostra medesima preghiera? Infatti dopo di

aver detto’, perdonate a noi,come noi perdoniamo

,se

voi non perdonate, nuli’ altro con ciò chiedete da Dio,

se non ch’egli vi dinieghi ogni scusa e perdono. In ap-

presso, voi ripigliate, non oserem più dire, ci perdona,

come noi perdoniamo*, ma diremo soltanto: perdonaci.

E che importa, se anco voi noi diceste: quando Iddio

non faccia altrimenti, e perdoni di quella guisa che voi

perdonate? Ciò poi apparisce evidentemente dalla con-

seguenza che in seguito ne deduce; poiché ripiglia: Senon perdonerete agli uomini

,neppure il vostro Padre

celeste perdonerà a voi. Nè il crediate avvedimento il

non proferire intiera com è l

1

orazione. No non troncate

a mezzo la supplica, ma supplicate com’egli impose,

affinchè la necessità di proferire ciascun giorno quelle

parole formidabili vi ecciti a concedere il perdono al

vostro prossimo. Non mi dite abbiam chiesto ripetuta-

mente, pregato, supplicalo pur anco, ma non abbiarrt

potuto ottenere la riconciliazione bramata: non cessate

(1j 5. Malico. VI. 14.

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227

se prima non siete riconciliati. Conciossiachè non disse-,

lascia l’offerta, e va a pregare il tuo fratello; sibbene la-

scialat, e va a riconciliarli. Ond’ è che auchc dopo di

aver usalo molte suppliche, non dovete desistere, se

prima non otteneste 1’ intento. Iddio ciascun giorno

insta con noi nelle sue dimande, e noi non ascoltiamo;

pure non cessa egli dalle sue inchieste,e voi ricuserete

d’instare appresso d’un vostro fratello? E come potrete

andar salvi? Ma, soggiungerete, abbiam ripetuto le sup-

pliche, e fummo ripetutamente respinti,ebbene sarà

maggiore la vostra mercede,poiché di quanto 1’ avver-

sario vostro è più pertinace, e voi più perseveranti nel

chiedere, di tanto cresce il premio propostovi; e a pro-

porzione delle difficoltà incontrate nell’ adempimento di

quest’ opera di virtù, c dei disgusti provati ad ottener

questo accordo, cresce e la severità del giudicio per lui,

e lo splendore della corona per voi. Non è poi che cole-

ste verità addimandino solo approvazione, ma adempi-

mento, nè dobbiamo partircene prima di essere ritornati

all’antica amicizia. Non basta che non offendiate il vostro

nemico, che noi carichiate d’ingiurie, e che non serbiate

nell’ animo rancore alcuno contro di lui, dovete procu-

rare ch’egli pure si vesta di sentimenti caritatevoli verso

di voi.

In vero io odo molti che dicono: Io non gli sono

nemico, non mi lamento di nulla, ned ho alcuna cosa

comune con esso;ma non è già imposto da Dio, che tu

non abbia alcuna cosa comune con esso lui, sibbene che

n’abbia molte. E questa la ragione per cui è tuo fra-

tello: la ragione per cui non disse: Va e rimetti al fratei

tuo ciò che hai contro di lui ; sibbene, va e con esso

prima ti riconcilia, e s’egli ha un qualche livore contro

di te, non ismettere l’opera cominciata, ove non ti ab-

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2?8

bia ricongiunto quel membro in amichevole accordo.

Voi per acquistarvi un servo dabbene e spendete dana-

ri, e fate molte parole coi mercadanti, e di spesso im-

prendete lunghissimi viaggi;e non ricorrerete ad ogni

mezzo, non vi adoprerete in ogni guisa per ritornarvi

amico il nemico vostro? Rispondetemi: con qual animo

potete invocare il Signore nelle preghiere, se ne trascu-

rate per sì fatta guisa l’adempimento? Il provvederci

di un servo non può arrecarci sì gran vantaggio -

,men-

tre per lo contrario un nemico che per opera nostra ri-

torna in amicizia con noi, si renderà propizio e bene-

volo il Signore a procacciarne facilmente il perdono delle

nostre colpe, e farà sì che godiamo di molti encomii tra

gli uomini e di molta tranquillità nella vita ", cbè non vi

ha cosa più formidabile di un nemico fosse anche solo;

mentre va di continuo rodendo la fama del viver nostro,

e a più riprese, e dovunque ne aggrava di false accuse,

e pone in tumulto così lo spirito e la nostra coscienza,

di guisa che ci troviamo come in mezzo a fierissima

tempesta. Venuti pertanto al conoscimento di ciò, met-

tiamoci da ogni maniera di cruccio e di punizione in

sicuro, e mostriamoci penetrati di rispetto verso la pre-

sente solennilade, riducendo alla pratica tutto che di-

cemmo, e concediam noi pure agli altri una di quelle gra-

zie, cui in vista della solennilade medesima speriamo

che l’imperalor ne conceda;poiché intesi da molti, che

egli per grande riverenza alle feste di Pasqua sia per

accoglier di nuovo all’ombra del favor suo la nostra cit-

tà, e tutte a lei perdonare le offese. E quale ingiustizia

non sarebbe ella dunque il pretendere che si rispettasse

dagli altri la solennità della Pasqua, onde ottenere dagli

altri il perdono de' nostri falli-

,e non averla noi in con-

to alcuno, e trascuramela affatto, ove ci s'imponesse la

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riconciliazione col nostro prossimo? Kè v ha certamente

altri che le sacre adunanze di questi giorni contamini «al

par di colui che le celebra con un cuore che tuttavia

di niraistade ribocca: dico meglio, non può neppur ce-

lebrarle, quantunque per dieci giorni continui non pren-

desse alcun cibo;poiché là dove germoglino inimicizie

ed odii, non vi bau digiuni, non feste che giovino. Ose-

remmo, benché da molti e forti molivi provocati, ose-

remmo toccare le sacre offerte con mani che fosser lor-

de? non vi accostale coll'anima che sia lorda, perché il

delitto è assai più grave e meritevole eli più terribil

vendei Ita, non essendovi colpa che più adempia Pani-

ma d'immondezza dell'ira che ivi entro perpetuamente

si covi. E ritenete per certo che lo spirito di mansue-

tudine non si raccoglie ove le dissensioni o gli sdegni

hanno alimento. Ma, e qual poi rimane speranza di sa-

lute ad un uomo abbandonato dallo Spirito Santo?

Quando camminerà egli nella via della rettitudine? Guar-

datevi adunque, guardatevi, dilettissimi, di non ispo-

gliarvi del soccorso di Dio, e di non precipitare voi stessi

mentre cercate di vendicarvi de’vostri nemici. Comunque

poi fosse difficile l’ adempimento del divino precetto,

la grandezza della punizione che dal trasgredirnolo no

deriva é bastevole a destare chi ancora sconsiderato e

torpido si addormisse, ed eccitamelo ad intraprendere

ogni travaglio anche il più difficile a compiersij

a ciò

si aggiunge aver noi dimostrato che l'adempimento é

facilissimo allora che ci risolviam daddovero. Non tras-

curiamo adunque la nostra salvezza, ma cerchiaio di

adoprarci in tutte guise, onde assistere, riconciliali con

ciascuno del nostro prossimo, al sacro banchetto. Che

poi lutti i divini precetti sieno facili nello adempimen-

to, lo dimostrano, ove si consideri saggiamente, que' lutti

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230

che con avventurosa costanza li hanno sempre adempiu-

ti. Quanti non erano trascinati dalla rea abitudine di

giurare per modo che De ritenevano quasi impossi-

bile la correzione? Pure, per l’iufinita misericordia di

Dio, non appena cominciaste ad usare alcuna diligenza,

che toglieste in gran parte cotesta colpa di mezzo a voi;

per cui vi esorto a deporre anche ogni residuo, benché

lievissimo, onde servire altrui di modello. Che se ve ne

sono di quelli che non hanno per anco profittalo di nul-

la, £ adducono a propria scusa i lunghi anni in che per

lo passalo fur soliti a giurare, ed aggiungono essere im-

possibile che in breve tempo si divelga ciò che da molto

gettò sue radici, e profonde; io risponderei loro, che

dove si traila di adempiere il bene che Dio ne comanda,

non abbiam d'uopo d1

intervalli di tempo, di giorni, di

anni; ma di un po’ di timore soltanto e di religione, e

tutto, c in breve otterremo.

E perchè non crediate che io dica ciò sconsigliata-

mente, datemi un uomo facilissimo a giurare, tale che,

secondo il vostro giudizio, proferisca più giuramenti che

parole; datemelo per dieci giorni; e se in cotesto bre-

vissimo spazio di tempo io non lo tolga alla sua malvagia

abitudine, condannatemi all’ultimo supplicio. I passati

avvenimenti appalesano come ne’ miei detti non si con-

tenga una inutile ostentazione. Qual mai gente più irra-

gionevole c pazza dei Niniviti? Eppure colesti uomini

feroci e brutali, che non avean prima udito alcun filoso-

fo, che non erano ammaestrali nella conoscenza della

legge, non sì tosto intesero le parole del Profeta: Tre

giorni ancora e Ninice sarà distrulla (i )

,* ch’entro i

tre giorni assegnati deposero le ree loro abitudini, e

(1) S. Giovanni III, 5.

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1

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caslo divenne il dissoluto, mansueto il feroce, modesto

e benigno il frodolento e rapace, solerte F infingardo. Nè

la conversione fu di questo o di quel vizio, nè di tre,

nè di quattro;ma tutti, e di tutti i lor vizii si corresse-

ro. E d’ onde ciò si rileva? dalle parole del Profeta ;egli

che fattosi accusatore aveva esclamato, che le grida delle

loro iniquità erano salite fino al cielo, e che in appresso

ebbe a testificare il contrario, dicendo : Iddio vide che

ciascuno erosi ritirato dalle vie della propria deprava-

zione (i). Nè disse già partilamente delle fornicazioni,

degli adulterii, dei ladronecci;sibbene dalle vie della

propria depravazione. Ma in qual modo si ritirarono?

Nel modo cui Dio conosce,ma 1* uomo non può inve-

stigare. E non abbiani forse d’onde vergognarci, se dei

barbari valsero a depor fra tre giorni i lor vizii, mentre

noi che riceviam di continuo ammaestramenti e precetti

non possiam vincere neppur una delle tante nostre abi-

tudini malvagie? V’ha di più, che dessi avean tocco il

termine estremo delle colpe; poiché, quando udite che

le grida dell’ iniquità erano salite fino a Dio, dovete in-

tendere che le iniquità erano immense; e ciò nulla me-

no poterono nello spazio di tre giorni del tutto alla virtù

convertirsi: poiché ove trovasi il timore di Dio non c’è

d’ uopo di giorni, nè d’ intervallo di tempo, come per

lo contrario dove cotesto timor sia lontano, non v’è ri-

sorsa che nasca dal trascorrere dei giorni. E come av-

viene dei vasi rugginosi che, lavati colla pura acqua,

non purgano affatto della scoria,che li ricopre

,per

quanto tempo spendessimo loro attorno : mentre po-

sti nella fornace accesa diverrebbero io un istante più

lucidi di que’ medesimi che son nuovi: non altrimenti

(1) S. Giovanili I. 2.

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lo spirito corrotto dal veleno della colpa, ove deterga

se stesso così alla leggiera ed imprenda per ciascun

giorno alcuna penitenza, non farà mai nulla di più:

che se invece si lancierà nella ioruace, per cosi espri-

mermi, del timore di Dio, in assai breve tempo ve-

drassi di tutte macchie purificato. Non portiam dun-

que uel dì futuro la nostra conversione, poiché non

sappiamo ciò che il dì futuro porterà seco, nè andiamo

dicendo che un po alla volta vinceremo l’abitudine malva-

gia, poiché ci rimarrà cotesto un po alla volta per sem-

pre. Quindi, lasciate tutte altre espressioni, d'uopo è che

diciamo: Se non correggeremo oggi il reo costume di

giurare, non ci correggeremo più mai: no, se anco mil-

le sventure ne sovvengano, mille supplicii ne minaccino,

no, se anco dovessimo perder tutto e morire. Non si

conceda dunque al demonio il potere sopra l’infingar-

daggine nostra, nè gli si lasci luogo a proroga che sia. Se

Dio vedrà che lo spirilo è acceso, e il vostro amore o-

peroso, aneli’ egli porrà mano alla vostra conversione. V i

prego pertanto e vi scongiuro di vegliare attentamente

sopra di voi, affinchè non abbiate auche voi ad udire:

Gli abitatori di Ninwe sorgeranno a condanna dì cote-

stageaerazione (i); mentre essi una sola volta avver-

tili si convertirono, e voi richiamati di spesso ricusaste;

essi abbracciarono ogni maniera di virtù, voi nè anco io

parie dietro alla scorta di lei vi attenete: tjssi temettero

l’annunzio della distruzione, voi non paventate le mi-

nacele dello inferno : essi non godevano il vantaggio de-

gli ammaestramenti profetici, e voi invece siete conti-

nuamente da molte dottrine e grazie fortificati. Di pre-

sente però io parlo in questa guisa non per accogiouar-

(t) S. Luca I. Sa.

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vi de" vostri, sibbcne per parlare degli altrui peccali:

poiché so ben ciò che tièssi da prima : esser voi divenu-

ti esecutori fedeli della legge contro a’ giuramenti pre-

scritta-,ma questi» solo non è per la vostra santificazio-

ne bastevole, quando cogli avvisi non cerchiamo di cor-

reggere gli altri*, mentre non iscampò dal supplieio nep-

pur quel desso che riportò il talento, ed ebbe a restitui-

re così tutta intera la somma affidatagli senza però aver-

nda di nulla accresciuta. Perlochè non dobbiamo solo

guardare di esser noi scevri di cotesta colpa, ma non

dobbiamo inoltre cessar di adoprarci, finché non la ab-

biamo corretta anche negli altri. Ciascuno prcscuti al

Signore dieci amici da se convertiti, sien essi o sudditi,

o discepoli. Ala se non avete nè sudditi, nè discepoli, a-

vrete almeno de pressimi : dunque correggete questi. Che

poi alcuno non abbia a dirmi: ho deposto quella conti-

nua abitudiuc di giurare, ed ora ciò non mi avvidi che

di rado : d’uopo è ch’egli ometta anche cotesto di rado.

Se aveste perduta una moneta d’oro, ditemi, non vi |M>r-

lereste quinci c quindi a cercamela, non chiodereste a

ciascuno per ritrovarla ? Fate adunque lo stesso nei giu-

ramenti; e se vi accorgete di esser caduti in un solo

anche per inavvertenza, scioglietevi in gemiti cd in pian-

ti, non altrimenti che se aveste perduto ogni vostro bene.

Ripeto ciò che dissi: chiudetevi nelle vostre domestiche

pareti: raccoglietevi a meditare questo inqtorlantissimo

argomento colla moglie, coi figli, co’ vostri fiunigliari, e

procuratene la pratica, e ciascuuo ragioni seco stesso

così: non attenderò ad interesse o pubblico o privalo

che sia, se prima non avrò purificato il mio spirilo. Se

in tal modo educherete i vostri figliuoli, od essi alia

propria volta educheranno i loro :questo costume con-

scrverassi fino ulla consumazione de secoli ed alla ve-

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nula di (lesù Crislo, c sarà grande il premio di quelli

ch’ebbero il vanto di piantarne le prime radici. Se i

vostri figli avranno imparato a ripetere: Credete,non

polran no concorrere ne’ teatri, mostrarsi ne chiostri,

trattenersi nel giuoco’, poiché quella parola diverrà co-

me un freno nella lor bocca, o costrigneralli anche loro

malgrado al pudore ed alla verecondia : e se tal fiata

lascierannosi vedere in que’ luoghi, cercheranno alla

prima occasione di sottrarsi. Ma troveransi alcuni, che

derideranno coleste pratiche da voi adoprate: e voi in

ricambio compiangeteli. Molti furono i derisori di Noè,

quando edificava larca: ma venne il diluvio, ed ebbe

egli giusto motivo di deriderli : o per dir meglio l’uom

giusto non li derise giammai , sibbene diede per essi

in lagrime ed in lamenti. Allorché dunque li vedrete

ridere, ricordatevi che quelli che ora digrignano, pian-

geranno nel dì terribile del giudizio, saranno forzati a

stridere orrendamente, e nelle grida lamentevoli e nei

ruggiti si ricorderann’ essi del rider che fecero, e vi ri-

corderete per voi. Quanto quel ricco non derise Laz'-

ro? ma, poiché il vide nel seno di Abramo, non altro

fece che piangere miseramente sé stesso.

Ricordevoli pertanto di ciò tutto, eccitate ciascuno

de’ vostri prossimi al sollecito adempimento di questo

precetto. Nè vai che mi ripetiate: il làrem grado grado,

lo trasporteremo all’ indimane; poiché quell’ indimanu

non arriverà forse mai. Di già passarono quaranta gior-

ni, se passerem pur anco le sante feste pasquali non

concederò davvantaggio indulgenza alcuna, non farò pre-

cedere alcun monitorio, ma userò invece della forza del-

1 autorità, e di tutto il rigore. Il pretesto della consuetu-

dine è privo interamente di appoggio. Perchè il ladro

non mette I abitudine di mezzo e non si sottraggo alla