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DIABETE E ALTRE FORME DI ALTERATA TOLLERANZA AL GLUCOSIO Sono tante le forme i intolleranza al glucosio e ampiamente diffuse, tanto che è lecito parlare di epidemia globale. IL DIABETE: QUALCHE FATTO - 366 milioni di diabetici nel 2001 - 552 milioni di diabetici previsti nel 2030 (3nuovi casi ogni 10 secondi) -183 milioni di persone colpite ignorano di esserlo - 4,6 milioni di morti causate dal diabete nel 2011 (1 caso ogni 6,7 secondi) - 11% del totale delle spese della salute Il diabete è prevalentemente diffuso nei seguenti paesi (in ordine decrescente): 1°: India 2°: Cina 3°: USA Ai primi due posti, dunque, Paesi emergenti, in via di sviluppo. Negli ultimi 10 anni (dal 2000 al 2010) c’è stato un aumento della prevalenza del diabete in Europa pari al 50 %: questa tendenza ha avuto, e sta avendo ancora adesso, un interesse mondiale (stando alle previsioni per il 2050). La fascia d’età più a rischio è tra i 45 e i 65 anni, ovvero la fascia più attiva dal punto di vista lavorativo (significato importante in termini di danno economico) MORTI ATTRIBUIBILI AL DIABETE L’eccesso di mortalità che accompagna questa malattia segue il medesimo andamento della prevalenza. (ancora, l’India è al primo posto). - ogni anno 4,5 milioni di morti sono causati dal diabete - una morte su 15 è attribuibile al diabete LE COMPLICANZE CLASSICHE DEL DIABETE - infarti ed emorragie cerebrali - ipertensione - aterosclerosi - infarto al miocardio - arteriopatia periferica : gangrena e infezioni - perdita di massa B-cellulare - retinopatia - cataratta - glaucoma L’ipertensione spiega la diffusa incidenza di morti sia per episodi di natura emorragica, sia di natura ischemica. Inoltre ipertensione e aterosclerosi 1

Diabete e altre forme di alterata tolleranza al glucosio

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Il diabete: Qualche fatto.Le complicanze classiche del diabete.Le nuove complicanze del diabete.Classificazione patogenetica del diabete.Diabete Mellito.Diabete Tipo 1. Schema Patogenetico.Conseguenze del deficit insulinico.Diabete Tipo 2 nella sindrome metabolica.Diabete Tipo 2: Eziologia e patogenesi.Diabete gestazionale.Diagnosi Diabete.Diagnostica molecolare del diabete. Diagnostica endocrinologica.Caratteristiche cliniche del Mody.Mody2. Mody3. Complicanze del diabete.

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DIABETE E ALTRE FORME DI ALTERATA TOLLERANZA AL GLUCOSIO

Sono tante le forme i intolleranza al glucosio e ampiamente diffuse, tanto che è lecito parlare di epidemia globale.

IL DIABETE: QUALCHE FATTO- 366 milioni di diabetici nel 2001- 552 milioni di diabetici previsti nel 2030 (3nuovi casi ogni 10 secondi)-183 milioni di persone colpite ignorano di esserlo- 4,6 milioni di morti causate dal diabete nel 2011 (1 caso ogni 6,7 secondi)- 11% del totale delle spese della salute

Il diabete è prevalentemente diffuso nei seguenti paesi (in ordine decrescente):1°: India2°: Cina3°: USAAi primi due posti, dunque, Paesi emergenti, in via di sviluppo.Negli ultimi 10 anni (dal 2000 al 2010) c’è stato un aumento della prevalenza del diabete in Europa pari al 50 %: questa tendenza ha avuto, e sta avendo ancora adesso, un interesse mondiale (stando alle previsioni per il 2050).La fascia d’età più a rischio è tra i 45 e i 65 anni, ovvero la fascia più attiva dal punto di vista lavorativo (significato importante in termini di danno economico)

MORTI ATTRIBUIBILI AL DIABETEL’eccesso di mortalità che accompagna questa malattia segue il medesimo andamento della prevalenza. (ancora, l’India è al primo posto).- ogni anno 4,5 milioni di morti sono causati dal diabete- una morte su 15 è attribuibile al diabete

LE COMPLICANZE CLASSICHE DEL DIABETE

- infarti ed emorragie cerebrali- ipertensione- aterosclerosi- infarto al miocardio- arteriopatia periferica : gangrena e infezioni- perdita di massa B-cellulare- retinopatia- cataratta- glaucoma

L’ipertensione spiega la diffusa incidenza di morti sia per episodi di natura emorragica, sia di natura ischemica. Inoltre ipertensione e aterosclerosi spiegano l’aumento del rischio di episodi di infarto miocardio, essendone i due principali fattori di rischio.In particolare il circolo aorto-iliaco-femoro-popliteo, ovvero il circolo destinato ad irrorare gli arti inferiori, è quello più frequentemente interessato da fenomeni aterosclerotici, che sono alle base dell’eziopatogenesi delle arteriopatie periferiche, che predispongono ad insorgenza di gangrena e infezione.Il diabete è la principale causa di amputazione degli arti, soprattutto inferiori, seconda solo a causa legate ad incidenti bellici.

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Retinopatia-nefropatia-neuropatia:

Occhio, rene, tessuto nervoso sono i tre principali tessuti interessati dalle complicanze croniche legate al diabete. Spesso alla base eziologica si riscontrano fenomeni di lenta e progressiva sclerosi dei vasi (soprattutto nella retinopatia), fibrosi tissutale (soprattutto del tessuto renale, provocando insufficienza renale cronica).Le forme di neuropatia correlate al diabete interessano sia:afferente sensoriali periferiche, che si traducono in segnali di doloreefferente motorie viscerali, come quelle che presiedono al controllo del rilascio dello sfintere vescicale o in generale della contrazione della muscolatura liscia annessa all’apparato genitourinario.

LE NUOVE COMPLICANZE DEL DIABETE- cancro- NASH (steatoepatiti non alcoliche)- Neuropatia degenerativa e patologia psichiatrica

Le Nash (steatoepatiti non alcoliche) evolvono da quadri di statosi o stadi subclinici di steatosi croniche che evolvono lentamente verso stati cirrotici.

Il costo economico del diabete mellito- Costi DIRETTI imputabili a: ospedalizzazione; cure mediche necessarie (sia in ambito ospedaliero, sia in

ambito domestico)- Costi INDIRETTI legati alla mortalità e alla morbilità (prevalenza) della malattia

Sono state impiegati ben 100 miliardi di dollari per arginare queste “problematiche” legate al diabete, nell’anno 1992 negli Stati Uniti.

Il diabete come malattia sottovalutata: insufficiente attenzione le viene prestata tutt’ora.Il diabete dal punto di vista patogenetico evolve con un’estrema lentezza da una condizione di normo-tolleranza a una di estrema intolleranza al glucosio (diabete conclamato)

- La IGT e la IFG, note anche come condizioni di pre-diabete, sono condizioni metaboliche che predispongono facilmente allo sviluppo di diabete, in quanto correlate a una alta probabilità di sviluppare una intolleranza al glucosio.

- Familiarità, sedentarietà, obesità, sono fattori di rischio che pesantemente concorrono nella eziopatogenesi del diabete.

La tolleranza al glucosio è definita come la capacità da parte del nostro organismo di sovrintendere al mantenimento omeostatico dei livelli di glucosio ematici entro limiti fisiologicamente molto ristretti (molto più ristretti di qualunque altro elettrolita trasportato dal torrente circolatorio).L’alterazione dell’equilibrio tra processi anabolici e metabolici coinvolti nel metabolismo glucidico è alla base dello sviluppo del diabete.I principali distretti responsabili dell’omeostasi del glucosio sono: fegato, adipe, cervello, muscolo.

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IL DIABETE MELLITO E LE ALTRE FORME DI ALTERATA TOLLERANZA AL GLUCOSIO

Il dibete mellito è una malattia cronica ed eterogenea. È caratterizzato da alterazioni del metabolismo dei carboidrati, proteine e grassi, anche se il comune denominatore diagnostico è l’iperglicemia. È causato da un deficit della funzione o secrezione di insulina, e spesso è accompagnato da particolari complicanze caratteristiche. Nel riconoscimento diagnostico del diabete non sono stati fatti grandissimi progressi negli ultimi anni, se non addirittura secoli! Quella che è cambiata è, sostanzialmente, la modalità con la quale la diagnosi viene effettuata, ma non il parametro analizzato: secoli fa si ricorreva al saggio delle urine, il cui sapore è tendenzialmente dolciastro, oggi si adoperano apparecchi tecnologicamente sofisticati che misurano i livelli di glucosio ematici. Il paramentro indagato, dunque, è sempre il medesimo: la presenza di glucosio, ora nelle urine, ora nel sangue. Altra importante differenza rispetto al passato è che, grazie all’utilizzo di apparecchi “tecnologici”, è attualmente possibile non solo una diagnosi qualitativa, ma anche quantitativa. Per diabete intendiamo un insieme di malattie diverse per meccanismi patogenetici e cause eziologiche, ma accomunate dall’iperglicemia. È importante sottolineare il concetto di eterogeneità del diabete per quanto attiene alla patologia clinica, al fine di una diagnosi più precisa e accurata. La stragrande maggioranza dei casi di diabete sono rappresentati dal diabete di t ipo 2 - (90%)- Seguono poi i casi attribuibili alla forma di diabete di tipo 1 (circa 5%) E altri tipi di diabete (5% rimanente) Individuare con precisione dal punto di vista diagnostico il tipo di diabete è fondamentale, al fine di intraprendere un trattamento terapeutico appropriato al caso. Dall’eterogeneità di questa malattia, si rende necessaria una classificazione precisa. 1979: una prima classificazione del diabete, distingueva due classi:

- classi cliniche (=fenotipiche) diabete tipo 1 altri tipi di diabete mellito diabete gestazionale diabete tipo 2 intolleranza al glucosio - classi statistiche: -precedente anormalità nella tolleranza al glucosio -potenziale anormalità nella tolleranza al glucosio

1997: CLASSIFICAZIONE PATOGENETICA

- diabete tipo 1 - diabete tipo 2 - diabete gestazionale - altri tipi specifici, dovuti a:

difetti genetici nella funzione B-cellulare “ “ “ dell’insulina Malattie del pancreas esocrino Endocrinopatie Farmaci e agenti chimici Infezioni Forme rare di diabete immunomediato Altre sindromi genetiche associate al diabete

DIABETE TIPO 1 - tipo 1A = (autoimmune) - tipo 1B = (idiopatico) - LADA (Latent Autoimmune Diabetes in the Adult)

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DIABETE TIPO 1Caratteristiche generali:- severa insulino-penia e tendenza alla chetoacidosi- dipendenza dall’insulina esogena- picco di insorgenza a 11 - 12 anni (quasi sempre prima dei 20)Questo tipo di diabete era in passato soprannominato “diabete giovanile” o “pediatrico”, visto il picco di insorgenza in soggetti decisamente molto giovani. Oggi questa denominazione è caduta quasi in disuso, dal momento che questa forma di diabete non è esclusivamente caratteristica di questa fascia di età, ma puà interessare anche soggetti di età adulta.

- autoimmunità innescata da fattori genetici e ambientaliÈ l’impatto dell’ambiente su un genotipo caratterizzato dall’insieme di geni che predispongono il soggetto allo sviluppo della malattia.

La distruzione delle cellule B-pancreatiche è davuta a reazioni autoimmuni: linfociti riconoscono erroneamente Ag SELF espressi dalle cellule B-pancreatiche. Importante è anche un meccanismo macrofago-mediato, seppur limitato, come evidente dal fatto che sulla superficie macrofagica sono espressi Ag self delle cellule B del pancreas, determinando, tra l’altro, l’attivazione di altre cellule immunitarie.L’avvio di questo processo si manifesta a partire dalla nascita o in età pediatrica, ma esso si trascina per anni in forma subclinica, non accompagnato cioè da evidenti manifestazioni cliniche. Queste ultime possono apparire solamente in età adulta, ragion per cui la diagnosi stessa avviene tardivamente.L’evoluzione del diabete è molto lenta e cronica, per cui appare tardivamente nei soggetti che sono geneticamente predisposti, a seguito dell’esposizione a determinati fattori di rischio ambientali, il cui impatto nell’eziopatogenesi della malattia non è completamente chiaro tutt’ora.

SCHEMA PATOGENETICO

-- PREDISPOSIZIONE GENETICA + FATTORI AMBIENTALI-- Disfunzione subclinica delle cellule Bpancreatiche-- Prima, parziale, erosione delle cell. Bpancreatiche a causa di reazioni autoimmuni-- Quando la riserva Bcellulare risulta distrutta ormai per il 70-80%, sono evidenti le manifestazioni cliniche. Raggiunta una “massa cellulare critica”, le manifestazioni cliniche sono palesi e la diagnosi possibile.

Conseguenze del deficit insulinico:IPOINSULINEMIA:IPERGLICEMIA E POLIURIADISIDRATAZIONE E CHETOACIDOSIPERDITA DI PESOPOLIDIPSIA E POLIFAGIA

Lo squilibrio elettrolitico può avere conseguenze in particolare nei tessuti che trasmettono stimoli elettrici.Il fegato è investito da un eccesso di TG, produce corpi chetonici per il tessuto nervoso, fino a raggiungere livelli che superano le sue capacità cataboliche, con la determinazione consequenziale di cheto acidosi.

Quando le cause eziologiche non sono sufficientemente chiare, e si esclude una ipotesi autoimmune, allora il diabete è classificato come “idiopatico”, a sottolineare come i motivi eziopatogenici siano ancora sconosciuti.

Quando le manifestazioni cliniche appaiono in età avanzata, nel soggetto ormai anziano, si parla di LADA. La possibile insorgenza tardiva di questa forma di diabete testimonia, dunque, che sebbene sia particolarmente diffusa in soggetti di età giovanile, spesso pediatrica, è impropria la denominazione di “diabete giovanile”.

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IL DIABETE TIPO 2 NELLA SINDROME METABOLICA

OBESITA’ ADDOMINALE DISLIPIDEMIA DIABETE TIPO 2 IPERTENSIONE RISCHIO CARDIOVASCOLARE La localizzazione del tessuto adiposo è importante dal punto di vista clinico, come è importante distinguere i diversi “tipi” di adipe (viscerale, sottocutaneo, ecc) L’obesità addominale è intesa come un eccesso di accumulo di tessuto adiposo a livello della parete addominale ed è quella forma di obesità che meglio correla con l’aumento del rischio cardiovascolare. La sindrome metabolica è oggi particolarmente diffusa ed è caratterizzata da tre aspetti principali: dislipidemie, ipertensione, diabete di tipo 2. Dunque, oggi il diabete tipo 2 tende ad essere inserito in un quadro clinico più ampio e generale, e, insieme ad altra caratteristiche cliniche, concorre nel determinare la cosiddetta sindrome metabolica.

DIABETE TIPO 2

- forma NON meno grave (anzi, talora mortale!) - spesso non insulino-deficiente, ma accompagnato da insulino-resistenza - raramente accompagnato da cheto acidosi - esordio di solito dopo i 30 anni - spesso associato ad obesità - spesso necessita di terapia insulinica - rappresenta oltr il 90% di tutte le forme di diabete - prevalenza in forte aumento - eziologia sconosciuta - patogenesi determinata dall’interazione di fattori genetici e ambientali

* INSULINO-DIPENDENZA: indica la necessità assoluta di somministrazione esogena di insulina per prevenire la cheto acidosi e la morte. * INSULINO-RESISTENZA: il pz risponde a livelli di insulina decisamente maggiori rispetto al normale. Prima, questa forma di diabete era considerata caratteristica dell’età adulta, ma recentemente è stata messa in evidenza la tendenza crescente di questa patologia ad interessare anche pazienti appartenenti ad una fascia di età giovanile. L’eccesso di massa grassa è strettamente correlato alla eziopatogenesi di questa malattia, in quanto contribuisce all’instaurarsi di uno stato pro infiammatorio cronico e subclinico. Questi pazienti necessitano di un trattamento insulinico che possa consentire il bypassare dell’insulino-resistenza, al fine di prevenire così la cheto acidosi e, dunque, la morte, E’ una malattia eterogenea, ed è nota oggi una forte componente familiare: la trasmissione della malattia ha un pattern complesso, ma predicibile. La familiarità è suggerita da un elevato livello di concordanza tra gemelli omozigoti. Sono molti i loci genici oggi considerati in stretta correlazione con la suscettibilità del diabete di tipo 2. Questi loci sono altamente polimorfici (si tratta perlopiù di SNPs, ovvero polimorfismi di singoli nucleotidi). Ciascun locus ha una influenza di per sé modesta, molto piccola, sulla suscettibilità al diabete tipo 2, e questo limita molto la possibilità di predire con un buon margine di certezza la possibilità di insorgenza della malattia dato il genotipo dell’individuo. È l’interazione di questi diversi loci, la loro espressione combinata, a determinare la maggiore o minore suscettibilità dell’individuo allo sviluppo di diabete, previa esposizione a fattori ambientali di rischio. 6

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Sono solo pochi inoltre i loci finora individuati che influiscono notevolmente sulla sensibilità all’insulina.FATTORI AMBIENTALI che determinano rischio di diabete tipo2:

- obesità- ridotta attività fisica- fumo di sigaretta- inquinanti ambientali- invecchiamento- gravidanza

il paziente che è a rischio di sviluppare diabete tipo 2 è un individuo che ha un corredo genetico predisponente in conseguenza all’interazione dei fattori ambientali sopradescritti.L’obesità aumenta molto il rischio di diabete tra i 25 e i 50 anni: l’obesità riduce la sensibilità all’insulina, aumentando così il rischio di diabete.Uno studio dimostra che l’impatto dell’obesità sul rischio di diabete è molto maggiore in individui geneticamente predisposti (che hanno casi in famiglia) rispetto a individui privi di predisposizione genetica (senza storia familiare di diabete).

EZIOLOGIA E PATOGENESI

PREDISPOSIZIONE GENETICA AMBIENTE

Geni multipli obesità

Difetto B cellulare insulino resistenza

Alterata secrezione insulinica Ridotto consumo di glucosio

IPERGLICEMIA

Esaurimento b cellulare

DIABETE TIPO 2

La persistenza di queste condizioni nel tempo (alterata secrezione insulinica e ridotto consumo di glucosio) concorre a determinare uno stato iperglicemico cronico, facendo progressivamente scivolare il paziente verso una situazione di tolleranza al glucosio sempre più precaria.Ne consegue l’instaurarsi di stato di iperglicemia cronica, in risposta al quale le cellule B pancreatiche manifestano sempre maggiori difficoltà funzionali, scivolando lentamente verso una condizione definita di “esaurimento B cellulare”.

Stando alla classificazione di diabete mellito messa a punto nel 1997:(classificazione patogenetica)- Diabete Tipo 1- Diabete Tipo 2- Altri tipi specifici

difetti genetici della funzione beta-cellularedifetti genetici della azione insulinicamalattie del pancreas esocrinoendocrinopatiefarmaci e agenti chimiciinfezioniforme rare di diabete immuno-mediatoaltre sindromi genetiche associate a diabete

- Diabete gestazionale

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DIABETE GESTAZIONALE

Condizione di diminuita tolleranza al glucosio, con primo esordio in gravidanza.In gravidanza l’attività degli ormoni anti-insulari prodotti dalla placenta, aumenta soprattutto negli ultimi 3 mesi di gravidanza. Questa situazione può far scivolare la donna verso una condizione di alterata tolleranza al glucosio, che può essere molto grave per il feto sia per la madre. È per questo raccomandato lo screening per il diabete gestazionale.Una donna che sviluppa diabete gestazionale, presenta un rischio molto elevato di sviluppare diabete tipo 2 nel periodo successivo alla gravidanza.

LA MEDICINA DI LABORATORIO NEL TRATTAMENTO DEL DIABETE

Diagnosi Diagnosi differenziale personalizzazione del trattamento.

La diagnosi differenziale è molto complicata e non sempre possibile. Tuttavia, si rende sempre più necessaria o quantomeno auspicabile al fine di intraprendere un trattamento terapeutico quanto più adatto per il paziente.

DIAGNOSTICA DIABETE

I pz. con diabete mellito tipo2 necessitano di terapia insulinica per raggiungere l’obiettivo glicemico, talora raggiungibile anche solo con un corretto regime alimentare.

ETEROGENEITA’ DEL DIABETE TIPO2Talora i pz con diabete tipo 1, per definizione magri, possono diventare obesi a seguito di un intensivo trattamento insulinico, arrivando anche a sviluppare un diabete tipo2: si passa cioè da una situazione di insulino-deficienza alla insulino-resistenza.La diagnosi di diabete deve essere rivalutata nel corso degli anni, essendo la patologia stessa il risultato di un lento e progressivo processo di evoluzione e transizione da uno stato di normotolleranza ad una intolleranza vera e propria al glucosio:

[ normotolleranza alterata tolleranza IGT eIFG diabete ](fattori genetici e ambientali sono alla base dell’eziopatogenesi)

EUGLICEMIA (definizione ADA 2010)= concentrazione di glucosio nel sangue a digiuno< a 100 mg/dl (ovvero 5.6 mmol/L)

(dove per digiuno si intende assenza assunzione calorica per almeno 8ore)

Metodologia:le alterazioni della glicemia vengono valutate preferibilmente su sangue venoso a digiuno o in corso di OGTT (Test di carico orale di tolleranza al glucosio - 75d di glucosio per os), raccomandato per la sua semplicità e affidabilità.

Nuovi criteri diagnostici per il diabete melliti e alterazioni della tolleranzaIl cut-off diagnostico della glicemia a digiuno è stato abbassato da 140mg/dL (ADA 1997) a 126mg/dL (ADA2003).Ciò è avvenuto perché a valori di 140 si potevano rinvenire già delle complicanze caratteristiche del diabete.

Raccomandazioni per la diagnosi di diabete mellito (ADA 2010) : 4 modalità alternative.1- FPG>126 mg/dL2- 2h PG (75g OGTT) >o= 200 mg/dL (WHO)

[valori di glucosio > 200 mg/dL a due ore dal carico]3- Glicemia casuale > 200mg/dL in presenza di sintomi (polidipsia, poliuria, polifagia, calo ponderale)4- A1C >o= 6.5% saggio standardizzato (DCTT)

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Raccomandazioni per la diagnosi di alterata tolleranza al glucosio (ADA2010):(categorie ad elevato rischio di sviluppo di diabete: glicemia al di sopra della norma, ma non diagnostica di diabete). IGT: intolleranza al glucosio propriamente detta OGTT a 2ore dal carico: glucosio>140mg/dl e <199mg/dl IFG: iperglicemia a digiuno OGTT a 2ore dal carico: glucosio>o=100mg/dl e <125mg/dl

Raccomandazioni per la diagnosi di diabete gestazionale (ADA2010)=alterazioni della tolleranza al glucosio che compare per la prima volta in gravidanza.

- digiuno: >o= 92mg/dl e <126 mg/dl (se superiore a 126, diagnosi di diabete classico)- 1h (OGTT75g): >o= a 180mg/dl- 2h(OGTT75g): >o= 153 mg/dl

Autocontrollo del diabete e la dry-chemestry (chimica a secco)Per motivi di accuratezza e precisione, la diagnosi dovrebbe essere effettuata su sangue venoso e con metodi immunoistochimici.Gli apparecchi utilizzati per l’autocontrollo glicemico misurano la glicemia a livello capillare.

Generazione degli AGEsSono addotti stabili che risultano dall’esposizione degli amminogruppi proteici al glucosio.Il livello di glicazione delle proteine riflette i livelli glicemici cui le proteine sono state mediamente esposte. In particolare, è presa in considerazione l’Hb.Quanto più elevata la concentrazione di glucosio ematico, tanto maggiore è la quantità di Hb-glicata.Il dosaggio di Hb glicata è una stima dei livelli glicemici medi che hanno caratterizzato il periodo precedente al dosaggio stesso. In altre parole:Il dosaggio di Hb glicata consente una valutazione del compenso glicemico cui il pz è stato esposto nelle settimane precedenti al dosagggio.Al contrario, la misurazione diretta della glicemia offre una valutazione istantanea del compenso glicemico del paziente.

Hb glicata: HbA1c- Range non diabetico: 5.7 – 6.4%- Cut-off diagnostico diabete: >6.4%

Correlazione tra glicemia media ed Hb glicata: è una correlazione lineare!Correlazione tra livelli di Hb glicata e retinopatia: relazione di proporzionalità diretta, infatti all’aumentare della %di Hb glicata aumenta il rischio di retinopatia.

Vantaggi del dosaggio di Hb A1c (glicata) per la diagnosi di diabete:1- campionamento estemporaneo*2- relazione con la glicemia media

* il dosaggio può essere valutato in qualunque momento, in quanto i risultati sono indipendenti da stato nutrizionale, attività fisica, ecc (non ci sono particolari raccomandazioni da osservare per il prelievo)

Svantaggi del dosaggio di Hb A1c1. costo2. mancanza di significatività in talune circostanze

come in quelle patologie caratterizzate in generale da alterazioni della vita eritrocitaria:

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ad esempio un pz affetto da anemia emolitica non può essere sottoposto in maniera attendibile al dosaggio di Hb glicata.

DIAGNOSTICA MOLECOLARE DEL DIABETE.

Il diabete di qualsiasi tipo viene univocamente diagnosticato sulla base del riscontro di una iperglicemia: diagnosi di tipo quantitativo.Questo però non basta: l’analisi quantitativa deve accompagnarsi a una diagnosi differenziale che possa distinguere tra i diversi tipi di diabete.Ciò è molto importante dal punto di vista prognostico e del tipo di terapia da intraprendere.

Ruolo degli autoanticorpi nell’ indirizzo terapeutico: individuazione di specifici marcatori molecolari, per definire il particolare tipo di diabete in ogni singolo paziente e applicare il trattamento terapeutico più adatto. Quest’ultimo è profondamente diverso, ad esempio tra i due principali tipi di diabete:

Diabete tipo1 Diabete tipo2 insulina 1. modifica stile di vita 2.ipoglicemizzanti orali 3.insulina 4. chirurgia bariatrica

Già solo analizzando i due tipi di diabete più comuni, ci si rende conto dell’importanza della diagnosi differenziale per l’applicazione del trattamento terapeutico più adatto.La chirurgia bariatrica è applicata a casi di diabete tipo2 associati a obesità, e spesso si accompagna a sorprendenti remissioni della patologia. Nei casi DUBBI (per i quali non è stata possibile una diagnosi certa di diabete di tipo1 o tipo2), si ricorre all’utilizzo di marcatori di autoimmunità al fine di individuare il migliore trattamento (individualizzato) per il paziente: si tratta di forme di diabete che non rientrano né nel diabete di tipo1 né nel diabete di tipo2 (MODY) e sebbene si tratti di casi decisamente meno frequenti, è estremamente importante riuscire ad individuarle. Grazie alle attuali tecniche di diagnostica molecolare questo è oggi possibile.

CARATTERISTICHE CLINICHE DEL MODY

Trasmissione verticale autosomico dominanteEsordio precoce (spesso entro la 2° decade)MagrezzaRidotta secrezione insulinicaPur essendo insulin-dipendenti, i pz tendono a essere tipicamente magri

Forme di MODY più comuni:Nuova classificazione del diabete mellito: difetti genetici:

-mutazione HNF-4 (MODY1)-mutazione Glucokinasi (MODY2)-mutazione HNF-1a (MODY3)

Fenotipi clinici del MODYFenotipo1: iperglicemia moderata, rare complicanzeFenotipo 2: iperglicemia severa, complicanze comuniI pazienti con fenotipo1 spesso presentano difetti genetici (mutazioni puntiformi) nella glucokinasi.Condizione oggi definita MODY 2.

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MODY2

La glucokinasi nella secrezione insulinica:- glucosio entra nelle cellule e viene rapidamente convertito in G6P dalla glucokinasi.- il G6P è metabolizzato nella glicolisi con aumento del rapporto ATP/ADP- chiusura dei canali K- iperpolarizzazione membrana- apertura canali Ca- voltaggio dipendenti- attivazione CAM-kinasi-Rilascio di insulinaIn caso di mutazioni della glucokinasi, la B-cellula presenta una ridotta capacità di rispondere all’iperglicemia, cioè lo fa rispondendo a livelli di iperglicemia più elevati rispetto a una condizione normale in cui i livelli di glucokinasi sono sufficienti.L’esordio precoce spesso porta a considerare l’ipotesi di un diabete di tipo 1, autoimmune, che può essere trattato direttamente con una terapia insulinica sostitutiva.

Caratteristiche terapeutiche del MODY2:stabile nel temposola dieta spesso sufficiente

MODY3

Spesso la MODY si manifesta con un fenotipo clinico più severo.È la condizione oggi chiamata MODY3, provocata dalla mutazione di un fattore di trascrizione.

Il deficit del fattore di trascrizione HNF-1a che controlla geni B-cellulari che codificano per proteine implicate nella via metabolica glucosio insulina descritta prima.Il deficit di questo fatt. trascrizionale si traduce con un maggiore stato di polarità delle membrana B-cellulare, a causa di una minore permeabilità dei canali del K.Il risultato è una ridotta la capacità della B-cellula di rispondere alla iperglicemia (in misura maggiore rispetto alla MODY2)La somministrazione di SULFANILUREE (trattamento ipoglicemizzante orale) consente di stimolare direttamente i canali del K, bypassando il punto di blocco rappresentato dalla tappa controllata da HNF-1a.

Fenotipo clinico del MODY3-prominente iperglicemia post-prandiale-frequenti complicanze croniche-necessita trattamento farmacologico (alternativo all’insulina)

________________________

Tutte le forme di MODY rappresentano il 2-5% di tutti i casi di diabete e le forme MODY2 e 3 sono le più frequenti.

Raccomandazioni per lo screening del MODY:test dispendioso,per cui esistono raccomandazioni precise. Il MODY non lo si cerca in qualunque paziente con diabete ma in pazienti con un preciso fenotipo clinico:

- diagnosi diabete in giovane età- diagnosi diabete tipo1 improbabile (mancata evidenza di autoimmunità- no insulino-resistenza)

La ricerca di MODY è imperativa nelle seguenti situazioni:

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- identificazione in altri componenti del nucleo familiare (le mutaz. Si trasmettono in modo AD)

Diagnosi molecolare di MODY

Individuare con precisione il difetto genetico è importante per la prognosi e per l’aggressività dell’approccio terapeutico che bisogna intraprendere (sola dieta, trattamento ipoglicemizzante orale, insulina, ecc). la diagnosi molecolare è importante dunque per 3 motivi:

1- prognosi2- terapia3- predizione delle complicanze (o di altri casi di MODY nella famiglia. Una diagnosi di MODY in famiglia è

sufficiente per la richiesta di un test genetico)

L’individuazione dei geni di rischio per Diabete Tipo2 dal 2000 al 2007

In 20 anni di ricerca sono state individuate una cinquantina di varianti geniche correlate alla trasmissibilità di diabete: esse conferiscono maggior rischio di sviluppo d diabete.Alcune di queste varianti definiscono un altro aspetto importante del fenotipo che contribuisce sviluppo della malattia: la responsività ai farmaci. Molti farmaci ipoglicemizzanti orali sono in generale efficaci nel pz. Con diabete tipo 2, ma il livello di efficacia, la durata dell’efficacia e il rischio di eventi avversi ai farmaci, varia a seconda di queste varianti geniche.Lo studio di queste varianti rientra nella farmaco-genetica ed è importante nella personalizzazione del trattamento del singolo pz.TRIALS CLINICI per la farmaco-genomica degli ipoglicemizzanti sono attualmente in corso per migliorare la capacità diagnostiche e le conoscenze attuali: studio dell’effetto di varianti genetiche specifiche sull’efficacia dei farmaci e il rischio di eventi avversi.

Un problema nella comprensione della eziopatogenesi del diabete è capire in che modo l’ambiente influenzi il rischio di sviluppare la malattia in pazienti geneticamente predisposti.Modificazioni epigenetiche del DNA potrebbero essere la chiave: si tratta di modificazioni “stabili” del DNA, che possono essere trasmesse di generazione in generazione: di recente si è introdotta l’idea che esse possano essere addirittura indotte dall’ambiente!È stato scoperto recentemente che l’esposizione a determinati fattori ambientali può indurre delle modificazioni epigenetiche.Ad esempio, una dieta particolarmente ricca di grassi è in grado di indurre modificazioni epigenetiche ben definite nel genoma di alcuni animali.Sono ancora pochi i lavori in letteratura relativi a questo argomento, ma siamo oggi forse ad un passo dal comprendere l’importanza dell’esposizione ai fattori ambientali, il modo in cui essi possano influenzare il rischio di sviluppare una malattia (diabete), oppure influire su fenomeni di altra natura: ad esempio, perché alcune persone rispondono meglio ad un regime alimentare ipocalorico rispetto ad altre (cioè riescono a dimagrire più facilmente rispetto ad altri individui).

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COMPLICANZE DEL DIABETE

Se osserviamo la mortalità diabetica in epoca pre e post-insulinica cioè successivamente alla disponibilità di insulina per uso iniettivo, vediamo che in epoca pre insulinica la diagnosi di diabete di tipo II equivaleva ad una diagnosi di morte a breve avveniva entro la seconda decade di vita per coma diabetico. La disponibilità dell’insulina poi ha cambiato radicalmente questo profilo e la sopravvivenza si è avvicinata molto alla mortalità delle persone non diabetiche ed è andata crescendo negli anni. Una delle cose importanti è che nella globalità della popolazione il diabete è ancora oggi accompagnato da un grave eccesso di mortalità per riduzione dell’aspettativa di vita e della qualità della vita. Ciò è dovuto alla associazione del diabete in tutte le sue forme e la comparsa delle cosiddette complicanze del diabete. Esistono complicanze acute e croniche.Complicanze acute del diabete, soprattutto di tipo II sono:

- Chetoacidosi: è per definizione una situazione di acidosi metabolica causata dall’accumulo dei corpi chetonici che sono dei prodotti di ossidazione intermedia degli acidi grassi; la chetogenesi nell’uomo avviene in larghissima misura nel fegato e in condizioni di grave deficit insulinico come quello che accompagna il diabete di tipo I non trattato, la glicolisi accelerata e l’accelerazione dei processi chetogenetici da un grande contributo all’accumulo dei corpi chetonici nel sangue sottoforma di acetone, dell’aceto-acetato e del beta idrossi-butirrato (sono le 3 forme principali di chetoni), sicchè i loro livelli aumentano incredibilmente tanto da eccedere la capacità dei tessuti periferici di ossidarli cioè di smaltirli. I corpi chetonici sono degli acidi organici e il loro accumulo nel sangue si accompagna ad un abbassamento nel ph, ad un consumo della bicarbonatemia e di conseguenza l’instaurarsi di una situazione di acidosi metabolica. Questa è una situazione grave che richiede un trattamento pronto, adeguato, basato sulla correzione dello squilibrio acido-base ma soprattutto sul pronto trattamento insulinico sostitutivo. In assenza del trattamento il pz scivola rapidamente (parliamo di ore) verso una grave riduzione e poi una perdita dello stato di coscienza e cioè ↓

- Coma diabetico: è la più grave delle sequele della chetoacidosi prodotta dalla insulino deficienza non risolta. Questa è una delle condizioni maggiormente pericolose, se non mortali, tra le complicanze del diabete.

Meccanismi eziopatogenetici di questi fenomeni: la chetoacidosi e il coma diabetico rappresentano le conseguenze a deficit insulinico, quindi man mano che la riserva beta-cellulare subisce una erosione sempre più significativa, la capacità di produrre autonomamente insulina si abbassa fino a ridursi in maniera drastica e mette l’organismo in condizioni in cui l’organismo non è più in grado di controllare il metabolismo intermedio. Il primo campanello di allarme dal punto di vista della biochimica clinica è la comparsa dell’iperglicemia: l’accumulo del glucosio nel sangue, causato dal deficit dell’insulina, prodotto dall’accelerazione della gluconeogenesi non più controllata a livello epatico, dalla riduzione della clearence del glucosio, determina un aumento progressivo della concentrazione glicemica, fino a eccedere la capacità del tubulo renale di riassorbire il glucosio che filtra il glucosio, sicchè il glucosio passa dal sangue alle urine, determinando un fenomeno osmotico per il quale si ha una conseguente riduzione dell’assorbimento di acqua una delle conseguenze primarie dell’iperglicemia è la poliuria caratteristica dello scompenso, che indica la impossibilità, a certe concentrazioni glicemiche, di garantire il normale riassorbimento del glucosio nel rene. La poliuria determina disidratazione, la disidratazione determina l’emoconcentrazione e cioè l’aumento del livello degli elettroliti nel sangue. Il deficit insulinico ha come altra importante conseguenza l’accelerazione della lipolisi: il livello di acidi grassi circolanti aumenta in maniera significativa, eccedendo, anche in virtù dell’assenza della regolazione insulinica e della beta ossidazione, la capacità del fegato di estrarre i lipidi dal torrente circolatorio. L’eccesso di acidi grassi al fegato determina una aumento della produzione dei corpi chetonici che per le ragioni sopra dette, per cui si accumulano nel sangue determinando la chetoacidosi. Questo fenomeno prima di svilupparsi in maniera acuta, può seguire in parallelo lo sviluppo del deficit insulinico, e ciò può avvenire in un tempo variabile, per giorni, per settimane, qualche volta per mesi, durante i quali il pz e i familiari, anamnesticamente, notano la perdita di peso

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Polidipsia,polifagia

a cui i pz vanno incontro, legata principalmente alla disidratazione, notano la polifagia, polidipsia e poliuria. Nel momento in cui lo squilibrio metabolico si instaura in maniera significativa, l’evoluzione tende a subire un’accelerazione importante. Ne corso di ore o alcuni giorni, il pz scivola verso la perdita dello stato di coscienza sostenuta dalla disidratazione e dalla chetoacidosi.Altra conseguenza del deficit insulinico è la modificazione della concentrazione dgli ioni sodio e potassio, anche questa governata dalla normalità dell’insulinemia: in particolare il potassio tende ad accumularsi nel torrente circolatorio e a provocare situazioni di iperpotassiemia che hanno conseguenze molto gravi sulla funzione del pacemaker cardiaco (e in generale sulla eccitabilità delle membrane plasmatiche). Qual è il ruolo del laboratorio in condizioni di deficit insulinico? Uno dei marcatori iniziali è l’aumento del livello glicemico nel sangue, al di là della capacità del rene di riassorbire glucosio dalla preurina e la comparsa della glicosuria. questo fenomeno può essere controllato in maniera accorta, basandosi sulla dry chemistry (chimica a secco) è questo il metodo più utilizzato. Bisogna poi avere il controllo del volume urinario e la presenza di corpi chetonici nelle urine, e anche, nel caso del trattamento insulinico ad esordio del diabete di tipo I, se c’è la scomparsa progressiva dei corpi chetonici nelle urine. Nel pz in chetoacidosi e in coma diabetico è importante il controllo degli elettroliti sierici, in particolare del potassio nel plasma, perché la quantità di potassio presente nel plasma e quella presente nei tessuti dipende generalmente dalla presenza di insulina nel plasma (è l’insulina che determina lo scambio tra il potassio che c’è dentro le cellule e quello che c’è fuori dalle cellule) in caso di deficit di insulina grave, il potassio tende a fuoriuscire dall’interno delle cellule verso il plasma, per un cambiamento elettrico delle membrane si ha iperpotassiemia grave squilibrio delle cellule pacemaker (monitoraggio dell’ECG nel follow up del pz in chetoacidosi).L’equilibrio acido base è fondamentale nei pazienti con deficit di insulina, in particolare per quanto riguarda la concentrazione dei bicarbonati nel plasma (lo stato di acidosi tende a ridurre la bicarbonatemia), si riduce il ph e cambiano le pressioni parziali di O2 e CO2.Anche l’emocromo è una spia importante nel follow up della chetoacidosi, perché la poliuria determina disidratazione e emoconcentrazione, con aumento degli elettroliti nel sangue che si aggiunge all’aumento creato dalle alterazioni di trasporto tramite le membrane.

Ipoinsulinemia↓

Iperglicemia, chetosi, poliuria ↓

Disidratazione, turbe elettrolitiche, chetoacidosi↓

Coma

Complicanze croniche del diabete1. Classiche (micro e macrovascolari cioè legate all’accelerazione dei processi aterosclerotici): tra le

complicanze microvascolari troviamo la retinopatia diabetica, presente nella quasi totalità dei diabeti. Infatti Il diabete di lunga data può essere diagnosticato anche solo facendo l’esame del fondo dell’occhio, dove si trovano lesioni oftalmicamente dimostrabili e visibili, che sono patognomoniche della malattia. Un’altra complicanza microvascolare è la nefropatia presente in quasi il 60% dei diabetici dopo 25 anni di malattia. Tra le complicanze macrovascolare troviamo le cardiopatie, in particolare le coronaropatie ischemiche responsabili dell’eccesso di mortalità dovuta ad infarto cardiaco. L’eccesso di aterosclerosi colpisce diversi tratti sottoposti a stress emodinamico come le biforcazioni carotidee responsabili in larga misura di vasculopatie centrali che sono associate molto al diabete. fenomeni ischemici

2. “nuove” complicanze identificate più recentemente nell’ultimo ventennio (NASH, cancro, neurodegenerazione tra cui l’Alzheimer)

Aumento del rischio di malattia nel diabete- Cecità 40 X cioè il diabete aumenta il rischio di cecità di 40 volte. Ciò è legato principalmente al problema

della retinopatia diabetica, una delle più comuni tra le complicanze microvascolari del diabete

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Perdita di peso

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- Amputazioni 20 X , che riguardano soprattutto gli arti inferiori ( la gangrena è oggi visibile al di fuori delle causalità belliche, solo nei pz con diabete)

- Insufficienza renale 15 X, conseguente alla nefropatia diabetica (nei centri di dialisi sono occupati da diabetici per un letto ogni due)

- Infarto cardiaco/ictus cerebrale di natura emorragica o ischemica 2-5 X

Nonostante il fatto che abbiamo strumenti anche abbastanza sofisticati per trattare il diabete, il rischio di complicanze è ancora eccessivo. Evidenze sperimentali e cliniche oggi disponibili nella letteratura scientifica, dimostrano che le complicanze croniche del diabete sono determinate in maniera significativa dalle alterazioni metaboliche e particolarmente dall’iperglicemia. Qual è il fondamento di questo concetto? Il fondamento di questo concetto deriva da studi importanti il cui obbiettivo è quello di chiarire l’impatto dell’iperglicemia sulla comparsa e sulla evoluzione delle complicanze. Questi studi epidemiologici condotti su centinaia e migliaia di persone, hanno chiarito che il compenso glicemico è molto importante e profondamente legato non solo all’esordio del diabete, ma anche alle complicanze. L’emoglobina glicata è l’indice medio dello scompenso raggiunto da un pz (tanto più alta è la percentuale di emoglobina glicata rispetto al totale, tanto maggiore è la glicemia media alla quale i tessuti di questo pz sono stati esposti nei mesi precedenti il prelievo).Il rischio di progressione di retinopatia, ma lo stesso è vero per l’incidenza stessa della retinopatia, cresce in maniera esponenziale al di sopra di valori superiori al 6% e la curva si inpenna. Questi dati stabiliscono una relazione significativa tra lo scompenso glicemico e il rischio di retinopatia, dati simili sono stati prodotti anche per la nefropatia. In aggiunta, la qualità del trattamento influenza il rischio delle complicanze: un trattamento convenzionale ma meno efficace, rispetto a un trattamento intensivo capace di raggiungere livelli di glicemia media bassi, incide in maniera significativa sul rischio di complicanze quanto migliore è il trattamento con l’insulina e quanto più si è in grado si mantenere le escursioni glicemiche a livello di soggetti normotolleranti, tanto più basso è il rischio di complicanze microvascolari. Un altro studio riferito all’eccesso di mortalità dimostra che la mortalità si abbassa significativamente con il miglioramento del compenso glicometabolico: utilizzando un trattamento intensivo capace di garantire un obiettivo glicemico migliore, rispetto al trattamento convenzionale, diminuisce la mortalità. Le complicanze microvascolari si possono sviluppare a molti livelli e affliggono gli organi con processi che oggi cominciamo a conoscere nei dettagli anche molecolari, ma che tendono ad evolvere attraverso meccanismi simili con varianti che dipendono dal tessuto in cui si verificano. Evolvono sistematicamente verso la fibrosi cioè la riparazione del danno prodotto con meccanismi analoghi nel parenchima renale e nella retina, attraverso processi di iperproliferazione e di sostituzione del tessuto connettivo con il tessuto parenchimale dei due organi. Nel caso della retina ci sono lesioni iniziali che possono essere morfologicamente visibili: la perdita di periciti e l’inspessimento della membrana basale ad es., evolve con la formazione di sfiancamenti nei capillari della retina dimostrabili attraverso la presenza di microaneorismi, poi anche la chiusura dei capillari a cui fanno seguito le emorragie nei tessuti della retina visibili. Fenomeni analoghi avvengono a carico nel parenchima renale, anche se i processi di distruzione dei tessuti proprio dell’organo sono morfologicamente diversi.Meccanismi molecolariProcessi di glicosilazione non enzimatica come quelli che riconosciamo attraverso le modifiche delle percentuali di emoglobina glicata hanno conseguenze fisiopatologiche importanti che non sono soltanto un marcatore di equilibrio glicemico, sono sostanze in grado di modificare in maniera significativa la funzione di alcune cellule: questo perché vengono riconosciuti da recettori specifici e affliggono distretti cellulari, importante nei tessuti nei quali le complicanze del diabete ha manifestazioni più evidenti.Una classe di chinasi definite proteino chinasi C è particolarmente coinvolta nelle alterazioni delle cellule muscolari lisce responsabili delle modifiche a cui il microcircolo va incontro: le proteino chinasi C della classe beta. Per queste oggi ci sono degli inibitori farmacologici validi nel trattamento e nella prevenzione di molti casi di retinopatia diabetica.Anche nel follow up delle complicanze la diagnostica di laboratorio ha un ruolo significativo: nel corso degli ultimi decenni si sono avute delle semplificazioni necessarie alla personalizzazione del trattamento che hanno portato allo sviluppo della chimica a secco (dry chemistry) è una semplificazione dei dosaggi tradizionali di laboratorio che consente oggi la determinazione, per es,di livelli glicemici con apparecchi di basso costo, sufficientemente accurati come sono i refrattometri di uso convenzionale, per l’autocontrollo della glicemia.

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Questi apparecchi possono essere utilizzati per valutare la glicemia nel corso della giornata, generalmente in relazione all’assunzione degli alimenti opp in relazione allo svolgimento di attività fisica, durante il trattamento. Questi consentono In maniera semplice e alla portata di tutti di monitorare la qualità del trattamento e semmai di aggiustarlo con farmaci di uso orale. Quindi molti aspetti del trattamento giornaliero del diabete sono stati semplificati fino a livello di autocontrollo da parte del pz diabetico.

DIAGNOSTICA ENDOCRINOLOGICA

Le ghiandole endocrine del nostro organismo sono:Ipotalamo, ipofisi, paratiroidi, tiroide, pancreas endocrino, surrene, ovaio, testicolo.A queste va aggiunto anche il tessuto adiposo, ritenuto fino a pochi anni fa semplicemente uQu tessuto di accumulo di grassi, oggi considerato un tessuto attivamente impegnato nella secrezione endocrina di varie sostanze.

Ormone recettore/i effetto biologico

Quando si parla di ormone, si parla necessariamente di un recettore corrispondente. Il rapporto ormone:recettore non deve essere necessariamente di 1:1. un ormone può legare più recettori diversi, esplicando così effetti biologici differenti.Gli ormoni espletano effetti specifici sulle cellule bersaglio, che devono contare su di un apparato funzionale di trasduzione del segnale.Diversi tipi di azione:- endocrina = su cellule a distanza- paracrina = su cellule vicine- autocrina = sulla stesse cellula produttrice

ORMONI DI VARIA NATURAProteici/glicoproteiciAmminoacidiciSteroideiDerivati da acidi grassi

A seconda dell’ormone la struttura recettoriale ha diverse localizzazioni cellulari.Ormoni proteici agiscono su strutture recettoriali rappresentate da proteine integrali di membrana.Ormoni steroidei sono in grado di attraversare e diffondere più o meno facilmente le membrane fosfolipidi che cellulari, legando i loro corrispondenti recettori intracellulari (che generalmente fungono da fattori di trascrizione).

MANIFESTAZIONI DI PATOLOGIE ENDOCRINE- Deficit ormonale- Eccesso ormonale- Patologie recettoriali: 1- resistenza ormonale 2- spill-over recettoriale 3- autoimmunità 4- neoplasia

Cosa si intende per…-- Resistenza ormonale: l’ormone è normalmente prodotto, ma non può esplicare le proprie funzioni perché il recettore è mutato, inattivo o non prodotto affatto.

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-- Spill-over ormonale: quando l’ormone è prodotto in eccesso, esso può andare ad interagire oltre che col proprio recettore “normale” anche con altri recettori che hanno una bassa affinità di legame (e che per questo in condizioni normali non lo legano).

1- SINDROMI DA RESISTENZAFenotipo da ipofunzione: aumentati livelli dell’ormone (o altro fattore) che controlla il fenotipo.

Possibili difetti - Recettoriale Il recettore manca o ha bassa affinità di legame - Post-recettoriali Il recettore c’è ed è funzionale ma manca uno dei fattori coinvolti nella trasduzione del segnale.- Bio-disponibilità del ligando L’ormone c’è, ma non può interagire con il proprio recettore sulla cellula bersaglio, perché legato a fattori proteici plasmatici: l’ormone non è “disponibile”, si ha accumulo in circolo dell’ormone legato al fattore plasmatico, una forma di resistenza ormonale.

Possibili cause- alterazioni geneticheMutazioni di singoli geni, codificanti per il recettore, l’ormone stesso, ecc.- alterazioni della regolazioneMeccanismi di secrezione, trasporto, ecc (cause multifattoriali).

2- MANIFESTAZIONI DA SPILL-OVERElevati livelli di un ormone possono indurre effetti specifici di un altro ormone interagendo con recettori a bassa affinità, con i quali non intergagisce in condizioni normali. Alcuni esempi:Ormone in eccesso Recettore con cui può interagire EffettiGH PRL-R GALATTORREA hCG TSH-R IPERTIROIDISMO INSULINA IGF1-R MACROSOMIA

Macrosomia fetale.La macrosomia fetale è correlata al diabete gestazionale per vari motivi: l’iperinsulinemia indotta nel feto fa sì che l’insulina vada a interagire anche con il recettore di IGF1 (che ha affinità molto basse per l’insulina) stimolando così la crescita di alcuni organi e tessuti in misura maggiore rispetto al normale: da qui, la macrosomia fetale.Da cosa scaturisce l’ iper-insulinemia fetale? È l’iperglicemia materna che va a stimolare la secrezione di insulina nel feto: il glucosio riesce a superare la barriera emato-placentare, stimolando così la secrezione insulinica fetale; al contrario l’insulina prodotta dal feto non può raggiungere il circolo materno, perché non è in grado di oltrepassare la barriera placentaria.Mutazioni del gene del recettore dell’insulinaL’insulina, prima ancora di essere l’ormone ipoglicemizzante per eccellenza, è innanzitutto un importante fattore di crescita. Un difetto congenito del recettore insulinico può determinare gravi malformazioni fetali.Il trattamento possibile può essere la somministrazione di IGF1, che è in grado di evocare effetti simili a quelli dell’insulina (come anche quello di favorire in parte l’ingresso di glucosio nelle cellule).

3- AUTOIMMUNITA’ E PATOLOGIE RECETTORIALII recettori possono essere bersaglio di autoanticorpi.

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- Iperfunzione: anticorpi stimolanti (es: M. di Graves)- Ipofunzione: anticorpi bloccanti

4- RECETTORI E NEOPLASIE=> Iperespressione dei recettori in neoplasie umane. Per esempio:- IGF1-R in carcinomi prostatici e polmonari - oncogeni derivati da recettori: erbB, erbA, RET.

IPOFISI

Il sistema endocrino è finemente regolato da una complessa rete di “circuiti” (anse o loop) ad azione inibitoria (feedback-negativi) o ad azione stimolante (feedback-positivo).L’ipofisi secerne dei fattori ormonali soprannominati anche “tropine”, in quando oltre a stimolare la secrezione ormonale da parte della ghiandola bersaglio, fungono anche da fattori tropici per la stessa.

ACTH (corticotropina) corticale del surrene a queste va aggiunta la PRL(prolattina)TSH (tireotropina)tiroide che NON è una tropina.LH e FSH (gonadotropine)gonadiGH (somatotropina)fegato(principale bersaglio)

L’ipofisi è strettamente connessa all’ipotalamo: quest’ultimo regola la secrezione delle tropine ipofisarie, attraverso la secrezione di “fattori stimolanti” (realising factors) oggi considerati ormoni ipotalamici a tutti gli effetti (realising hormons) Essi sono, rispettivamente:CRH (ormone rilasciante corticotropina)TRH ( “ “ tireotropina) + DOPAMINA che regola secrezione di PRLGRH ( “ “ gonadotropine)GhRH ( “ “ somatotropina)

La maggior parte degli ormoni prodotti dalle ghiandole periferiche, bersaglio delle tropine, va a regolare la sua stessa produzione attraverso un feedback negativo agendo sia a livello ipotalamico, sia a livello ipofisario, sia sulla stessa ghiandola produttrice.Viene inibita a livello ipofisario la secrezione delle tropine corrispondenti e a livello ipotalamico la secrezione del realising factor corrispondente, modulando in maniera negativa i segnali che stimolano la produzione ulteriore di ormone a valle.

Esempio del soggetto con sospetto ipotiroidismo (suggerito dal fenotipo clinico):La logica ci suggerisce di andare a dosare direttamente gli ormoni tiroidei, ma si tratta di un approccio sbagliato. Se c’è infatti una indagine che bisogna fare in questo caso per indirizzarci meglio verso la diagnosi, quella è il dosaggio del TSH!Spesso infatti gli ormoni tiroidei possono risultare assolutamente nella norma (è tutt’altro che raro trovare pz.con ipotiroidismo con livelli normali di ormoni tiroidei). Così:- se TSH è ALTO: diagnosi certa di ipotiroidismo!- se TSH è BASSO: (condizione raramente riscontrata) allora in questo caso si ipotizza un ipotiroidismo secondario, dovuto cioè un alterato rapporto ipotalamo-ipofisi, che resta da indagare ulteriormente secondo la modalità seguente:

In caso di TSH BASSO:- NO dosaggio di TRH (i cui livelli sono generalmente troppo bassi per poter essere rilevati; non si dispone attualmente di Ig specifici e il test risulterebbe poco sensibile)- TEST da STIMOLO con TRH:somministrazione di una certa dose di TRH al paziente. Si valuta poi la risposta:

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se TSH aumenta, allora il problema è ipotalamico (evidentemente l’ipotalamo non produce livelli di TRH sufficienti)se TSH resta basso, allora il problema è ipofisario.

ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE IPOFISARIA

ECCESSO ORMONALE: cause- espansione clonale (adenoma secernente, microadenoma)- aumento degli ormoni trofici (realising factors ipotalamici o ectopici)

- Può accompagnarsi a deficit di altri ormoni:

deficit ormonali monotropici o pleiotropici, a seconda che riguardi uno o più ormoni. Spesso, un tumore secernente può causare deficit di altri ormoni, perché nella sua crescita e espansione può andare a comprimere altri organi e strutture (come delle ghiandole endocrine, appunto).

DEFICIT ORMONALI IPOFISARI: cause- neoplasie ipofisarie- iatrogeni che (chirurgia, radiazioni)- malattia granulomatosa

TUMORI IPOFISARI- non secernenti (27%)- secernenti: - PRL (30%) - GH (15%) - PRL/GH (8%) – tumori misti, molto rari - ACTH (15%) - TSH (1%) - primordiali (4%)

Ci sono casi in cui un ipertiroidismo può convertirsi in un ipotiroidismo (raramente accade il contrario) oppure spesso un ipertiroidismo può presentare brevi fasi di ipotiroidismo.

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PROLATTINA (PRL)

Produzione: cellule lattotrope adenoipofisiFunzione: inizio e mantenimento dell’allattamentoSecrezione: pulsatile e circadiana (picco durante il sonno, NADIR 10,00-1,00)Emivita: 26-47 minutiPrincipali regolatori: dopamina (-) esercizio fisico e stress (+)

Avendo una secrezione circadiana pulsatile e una emivita di circa 30 minuti, l’ideale per il dosaggio della PRL sarebbe effettuare almeno tre prelievi nell’arco di 30-40 minuti.Le modalità con cui si può eseguire il dosaggio:

- determinazioni in saggio immunoenzimatico o radioimmunologico- presenza di prolattina in forme diverse: monomero, big prolactin, big-big prolactin

Macroprolattinemia: rischio di Falso Positivo (FP) perla presenza di aggregate stabili di PRL, non funzionali.Per evitare questo problema, si ricorre alla precipitazione con PEG o cromatografia o ultrafiltrazione.

Livelli di PRL nelle 24h:prime ore del mattino i livelli sono molto bassi; il livello più basso è intorno alle 12; cominciano ad aumentare successivamente divenendo dosabili nelle ore serali, con picco durante la notte, per poi decrescere rapidamente.

Come effettuare il prelievo: - prima di procedere con il prelievo è consigliabile far “rilassare” prima il paziente, cioè farlo stare fermo, seduto, per un po’ (potrebbe infatti aver corso ho eseguito attività fisica poco prima).- L’ideale per il dosaggio è lasciare incannulato l’ago (ago-cannula) nella vena del paziente, per poi eseguire il prelievo a intervalli di tempo prefissati. (3 prelievi nel giro di 40 minuti, ovvero: 1° prelievo(tempo0), 2° prelievo dopo 20 minuti dal primo, 3° prelievo dopo 20 minuti dal secondo)!L’iniezione è infatti di per sé un evento stressogeno che nell’immediato può causare una alterazione dei livelli di PRL nel sangue (lo stress è un modulatore positivo della secrezione di PRL)

Quando effettuare il prelievo:non è tanto importante il momento della giornata: se si vuole effettuare un dosaggio di PRL evidentemente si è alla ricerca di una eventuale iper-prolattinemia (legata ad esempio ad un tumore secernente). Dunque, è importante evitare i FP (piuttosto che i FN, che sono più “accettabili”).

Dosaggio di PRLSono dosaggi generalmente di tipo immunologico: si adoperano anticorpi sensibili e specifici per l’ormone ricercato, provocandone la precipitazione.I FN sono meno rilevanti: se si riscontrano bassi livelli di PRL si può escludere con un buon margine di certezza la diagnosi di iper-prolattinemia, dovuta ad esempio ad un prolattinoma (tumore secernente).

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Al contrario, sono i FP i casi da evitare, cioè quando si rileva una iper-prl bisogna accertarsi che si tratti di una iper-prl vera!! A tal proposito, bisogna cercare di attenuare i fattori che fisiologicamente possono aumentare i livelli di PRL, come stress, attività fisica, ecc.Ma il problema principale riscontrato nel dosaggio della PRL, che può essere responsabile più facilmente di FP, è il fatto che questo ormone può trovarsi in forma di aggregati stabili (con emivita molto più lunga) e non funzionali (non hanno alcuna attività biologica): la macroprolattinemia (accumulo di questi aggregati) potrebbe essere scambiata impropriamente per una iperprolattinemia vera. Le possibilità sono 2:- Si può far ricorso ad anticorpi che riconoscono la PRL SOLO IN FORMA MONOMERICA e non in forma di aggregato (per esempio perché l’epitopo riconosciuto dall’anticorpo viene “mascherato” negli aggregati). In questo modo si possono valutare i livelli di PRL monometrica (funzionale) e distinguere una iperprolattinemia vera da una macroprolattinemia. (questa è la tecnica utilizzata attualmente).

- L’altra possibilità prevede l’aggiunta di PEG (PoliEtilenGlicol) al campione di sangue (tecnica adoperata fino a poco tempo fa). Il PEG può far precipitare i macroaggregati di PRL. Infatti il PEG è in grado di riconoscere esclusivamente le proteine ad elevato peso molecolare. Così, dopo il trattamento con PEG, è possibile andare a misurare i livelli di PRL (monometrica).oppure si poteva adoperare più semplicemente un filtro in grado di trattenere i macroaggregati e lasciar passare solo le molecole di PRL monometrica.

Il target principale dell’ormone PRL è la ghiandola mammaria, ma esso ha anche importanti effetti (indiretti) sull’ovaio. Infatti PRL è in grado di indurre una riduzione della secrezione di ormoni sessuali, sia estrogeni sia progesterone, agendo non direttamente sull’ovaio, ma a livello ipotalamico, dove inibisce la secrezione di GnRH.

Alla luce di ciò, una iper-prolattinemia può essere causa di:- amenorrea da mancato feedback positivo estrogeni-LH- infertilità- galattorrea- nell’uomo impotenza, oligo- e oligozoo- spermia

Altro aspetto importante è che TRH stimola il rilascio di PRL (spill-over)spesso una iper-prolattinemia può essere causata da un ipotiroidismo (alti livelli di TSH).Esempio: una paziente obesa, con galattorrea, amenorrea. Dopo dosaggio di PRL, troviamo una iperprolattinemia. Vistoli fenotipo clinico della paziente, è il caso di indagare ulteriormente sulle possibili cause di iperprolattinemia, senza saltare subito alla conclusione che sia un prolattinoma!È per questo che bisogna valutare anche la funzione tiroidea, mediante un dosaggio di TSH.- Se i livelli di TSH sono normali, ma quelli di PRL sono elevati, allora si può fare diagnosi di iperprolattinemia da prolattinoma.- Se si riscontrano livelli di TSH alti, allora si procede con una terapia a base di ormoni tiroidei per normalizzare i livelli di TSH. Dopo qualche settimana, si fa nuovamente il dosaggio del TSH:- se i livelli di TSH si sono normalizzati, e con essi anche quelli di PRL, allora trattasi evidentemente di iper-prolattinemia secondaria ad ipotiroidismo (La patologia primaria da trattare è l’ipotiroidismo). - Se dopo il trattamento i livelli di PRL non si sono normalizzati, allora si può considerare l’ipotesi di un prolattinoma nella pz con ipotiroidismo!

LIVELLI DI PROLATTINA- aumenta alla pubertà (la PRL è quasi indosabile prima delle pubertà)- aumenta durante la gravidanza (3 trimestre) con aumento volume dell’ipofisi- ritorno al baseline dopo 3 settimane circa dal parto in caso di non allattamento

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- picchi elevati dopo la suzione (una donna che allatta ha livelli molto elevati di PRL)

ALTERAZIONE DEI LIVELLI DI PROLATTINA

DEFICIT DI PRLpiuttosto rari, dovuti a necrosi. In genere si tratta di un pan-ipopitutitarismo, in cui si assiste alla diminuzione generale di tutti gli ormoni ipofisari, condizione decisamente rara.

IPERPROLATTINEMIADovuti ad adenomi ipofisari (prolattinomi) o processi che, in generale, interrompono il collegamento ipotalamo-ipofisi. questo perché l’ipotalamo produce sostanze che inibiscono il rilascio di prolattina, e venendo a mancare questa down-regolazione, i livelli di PRL di conseguenza aumentano.(in questa stessa situazione, potrebbero essere rinvenute allo stesso tempo riduzioni di tutti gli altri ormoni ipofisari!: questo perché l’ipotalamo ha un’azione stimolatoria nei confronti delle tropine ipofisarie, mentre ha azione inibitoria verso la sola produzione di prolattina!)

è possibile distinguere una iper-prl “fisiologica” da una “patologica” nel corso di una gravidanza? La risposta è no. Durante la gravidanza i livelli di prolattina sono fisiologicamente alti.Se dopo la gravidanza si ha un’amenorrea prolungata, una galattorrea nonostante la sospensione dell’allattamento, allora si può sospettare un prolattinoma.Bisogna sottolineare comunque che durante e dopo una gravidanza i livelli di PRL sono più elevati rispetto alle condizioni normali, ma non elevati in maniera “costante”: ci sono degli “spikes”, dei picchi di secrezione, innescati nel periodo dell’allattamento, dal riflesso della suzione.

L’IPER-PROLATTINEMIA può talora essere riscontrata in caso di:- ACROMEGALIA: i tumori misti GH/PRL, infatti, non così rari. Possono essere riscontrati 20-40%dei casi di acromegalia, accompagnata iperprolattinemia.- IPOTIROIDISMO: il TRH stimola anche la produzione di PRL (spill-over)- tumori ectopici (rari)- farmaci (antidopaminergici, antipertensivi, estrogeni, contraccettivi orali, oppiacei)- PEO: Policistosi Ovarica- convulsioni : dovute a blocco transitorio del sistema dopaminergico, si accompagnano a aumenti PRL

Metodi di indagine diagnostica:- dosaggio di FT4 e TSH, IGF1*, altri ormoni- Diagnostica per immagini (per mettere in evidenza ad esempio un adenoma ipofisario)

* IGF1 può o meno escludere la presenza di tumori misti. FT4 e TSH consentono di escludere iperprolattinemia da ipotiroidismo.

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ORMONE DELLA CRESCITA (GH)

Produzione: cellule somatotrope adenoipofisiFunzione: crescita ossea e effetto trofico su numerosi organi e tessutiSecrezione: pulsatile e circadiana 70% durante il sonno Si riduce fisiologicamente con l’invecchiamentoPrincipali regolatori: GH RH (+) Stress, digiuno, pasti iperproteici (+) Somatostatina (-)Spesso indosabile durante il giorno.Ha un profilo di secrezione un po’ diverso rispetto alla PRL.Anche la secrezione di GH è modulata da feedback negativo (-), molti dei suoi effetti (soprattutto quelli ossei) sono mediati dall’IGF1, anche detta somatomedina C)

Ipotalamo: GRH ipofisi:GH Fegato:IGF1

o Regolazione a feedback negativo:- Il GH agisce sull’ipotalamo inibendo la secrezione di GRH e stimolando il rilascio di somatostatina (che a sua volta inibisca il rilascio di GRH)- L’IGF1 agisce sull’ipofisi inibendo la produzione di GH e sull’ipotalamo inibendo la secrezione di GRH

Alcuni effetti del GH sono diretti:- osso (allungamento)- tessuto adiposo (lipolisi, dunque catabolismo acidi grassi)- fegato (induce secrezione di IGF1)

L’IGF1 agisce soprattutto su due tessuti in particolare:- tessuto muscolare (effetto anabolizzante, induce sintesi proteica)- tessuto osseo

Sia GH sia IGF1 sono presenti in parte in forma libera in parte legati a delle binding protein specifiche: IGF1-BP e GH-BP. Queste proteine plasmatiche che legano tali ormoni concorrono a regolarne l’attività biologica: un ormone legato al proprio vettore plasmatico non può espletare i propri effetti biologici in quanto non può interagire con il recettore.

o Stimolazione positiva:- Il sonno profondo - Il digiuno, che si accompagna al rilascio a livello gastrico di grelina, o meglio di Gh-relina (fattore che stimola il rilascio gi GH)- L’ipoglicemia e la ipo-amminoacidemia (riduzione di aa liberi nel sangue)

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- L’esercizio fisico (in particolare l’acido lattico è un forte stimolatore del rilascio di GH)

o Stimolazione negativa-eccesso di tessuto adiposo- iperglicemia ed eccesso di aa liberi- glucocorticoidi- ipotiroidismo Attenzione: differenza tra digiuno e sottonutrizione. La sottonutrizione è un forte inibitore del rilascio di GH e di IGFLIVELLI FISIOLOGICI DI GHAumentano durante la pubertà e questo grazie alla modulazione positiva esplicata dagli ormoni sessuali. Le donne sono molto più sensibili in quanto gli estrogeni sono più potenti rispetto agli androgeni nello stimolare la produzione di GH.

La secrezione di GH oltre che circadiana è pulsatile: se analizziamo i suoi livelli di mezz’ora in mezz’ora notiamo l’alternarsi di picchi improvvisi di secrezione.

DEFICIT DI GH-- Idiopatico/genetico Va distinto dalla bassa statura idiopatica. Non è sempre detto che la bassa statura sia dovuta a un deficit di GH. Quindi: - diagnosi differenziale con la ISS (Idiopatic Short Stature) - isolato/combinato (con TSH-più frequente o FSH/LH o ACTH)

-- Acquisito- tumori - traumi- infezioni - chirurgia invasiva

IDIOPATIC SHORT STATURE (ISS)I soggetti sono al di sotto del 3° percentile della crescita.Quando i pz sono al di sotto del terzo percentile di crescita, è lecito indagare per un deficit di GH, che tuttavia può risultare normale: si parla allora di ISS.

DEFICIT DI GH (GHD)Nell’infanzia: 1/10.000-1/3.500 bambini ne sono affetti. Può essere:- congenito (anomalie strutturali dovute a cause genetiche)- acquisito (nell’infanzia e nell’adolescenza in seguito a traumi, tumori)

Nell’età adulta può essere dovuto a:- tumori ipofisari 10 casi /1milione all’anno- negli USA circa 6mila casi nuovi all’anno

DOSAGGIO DI GH

- Quando effettuarlo? Non di prima mattina, visto che in questo momento della giornata i livelli dell’ormone sono fisiologicamente più bassi. In generale i livelli di GH risultano comunque troppo bassi per poterli dosare in modo adeguato:il 70-80% dei soggetti normali presentano GH<1nanogrammo/mle i picchi secretori possono raggiungere i 20-40 nanogrammi/ml

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Di conseguenza, vi è un elevata possibilità di FALSI NEGATIVI (falsa diagnosi di GHD)Si può dunque ricorrere a:- monitoraggio 24ore o 12 ore(notturno), ma non è una metodica di facile attuazione.- TEST DA STIMOLO - ITT (da evitare nei bambini<5 anni) - ARGININA e/o GHRH, CLONIDINA, GLUCAGONE - ESERCIZIO FISICO

1 L’ITT (Insulin Tollerance Test)Consiste nella somministrazione di insulina, seguita dalla valutazione dei livelli glicemici. Se il soggetto ha una buona sensibilità all’insulina si ha una buona risposta ipoglicemica.In caso contrario, cioè di scarsa modificazione dei livelli glicemici, evidentemente il paziente ha una alterata tolleranza al glucosio. (questo test è usato anche per valutare le tolleranze al glucosio).Dopo la misurazione della glicemia, si dosa il GH, dal momento che l’ipoglicemia è un importante stimolo per la secrezione di GH.

2 Somministrazione di ARGININA e/o GHRHÈ noto che i pasti iperproteici e l’aumento degli aa liberi sono un forte stimolo per la secrezione di GH.La somministrazione di arginina in quantità predefinite consente di valutare la risposta della secrezione di GH (se e di quanto aumenta).Spesso l’arginina è somministrata in associazione al GHRH.

3 esercizio fisico: si sottopone il pz all’esecuzione di attività fisica, soprattutto se si tratta di bambini.. in realtà è una procedura poco utilizzata, in quanto considerata poco attendibile, dato che l’esercizio fisico è una variabile poco “quantificabile” oggettivamente.

DOSAGGIO DI IGF1 E IGF-BP3

Ci dà un’idea più accurata dell’effettiva secrezione di GH. Questo perché l’emivita di IGF1 è ben più lunga rispetto a quella del GH e il GH ha una secrezione pulsatile. Questa dovrebbe essere la procedura di elezione per il dosaggio.Oppure è possibile valutare i livelli di IGF-BP3: un suo eccesso può essere un utile indicatore diagnostico laddove non è stato possibile riscontrare un chiaro deficit di GH.

Quando si cerca un deficit di GH, è consigliato anche il dosaggio di altri ormoni, come: FT4, TSH, cortisolo, FSH, LH, testosterone (nell’uomo). I motivi:1. perché potrebbe trattarsi di un pan-ipopituitarismo o DEFICIT COMBINATO di due o più ormoni2. l’ipotiroidismo e l’ipocortisolemia talora si accompagnano a deficit di GH

Come fare il prelievo.Lo stress è un modulatore positivo dei livelli di produzione di GH.La puntura dell’ago è di per sé un evento stressante, e di conseguenza può influire sui livelli di GH.Si effettua un prelievo appena quando si incannula l’ago (“tempo: -30”); si lascia l’ago incannulato;dopo 30 minuti, quando nel frattempo la componente “stress” si è attenuata, si esegue un altro prelievo (“tempo 0”) che corrisponde al momento di somministrazione di insulina (o di arginina, ecc. a seconda del tipo di test che si vuole eseguire);

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Quando ricorrere ad un dosaggio del GH?- rallentamento della crescita- ridotta tolleranza all’esercizio fisico- negatività al dosaggio FT4/FSH (altrimenti trattare prima l’ipotiroidismo)- ritardo sviluppo osseo- altri segni e/o sintomi di ipotiroidismo

Altre possibili forme di nanismo:

- Nanismo di Laron: mutazione del recettore del GH – carenza di IGF1 Caratterizzato da elevati livelli di GH, è una situazione di resistenza all’azione del GH, perché il

recettore è mutato, non c’è, oppure non è funziona proprio. - Nanismo ipotiroideo: carenza congenita di ormoni tiroidei.

L’ipotiroidismo congenito è associato infatti a bassa statura.- Acondroplasia: mutazione del recettore FGF-R- Sindrome di Turner

ECCESSO DI GH

Più semplice da riconoscere sia dal punto di vista clinico, sia dal punto di vista laboratoristico, rispetto al deficit. Può essere dovuto ad adenomi GH-secernenti di natura ipofisaria, oppure ectopici (molto raro), oppure ancora ad adenomi secernenti GHRH (rarissimo).Principali quadri clinici associati:- ACROMEGALIA (dopo chiusura delle epifisi)Caratterizzata da ispessimento dei tessuti molli, bozze frontali, arti lunghi.- GIGANTISMO (prima della chiusura delle epifisi)Caratterizzato da eccessiva altezza. Molto raro. Meno di 100 bambini negli stati uniti.

DIAGNOSI DI ACROMEGALIA

Screening: dosaggio di IGF1- random

Conferma: TEST SOPPRESSIONEIl test di soppressione consiste in una OGTT con dosaggio di GH: il test risulterà normale se si assiste ad una soppressione del GH<0,3 nanogrammi/ml(importante un simultaneo dosaggio della glicemia per assicurarsi che essa sia effettivamente aumentata). Se il GH non diminuisce oltre gli 0,3 ng/ml allora si può diagnosticare un eccesso di GH.

Diagnostica per immagini (in caso di sospetto adenoma GH secernente)

Dosaggio di GHRH indicato per paziente senza adenoma ipofisario (ectopico o ipotalamico)Dosaggio di GH e IGF1 per valutare una recidiva dopo asportazione dell’adenoma.

Monitoraggio altri ormoni ipofisari.

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DIAGNOSTICA TIROIDEA

Cascata di attivazione e meccanismi di feedback negativo degli ormoni tiroidei: il TRH stimola il TSH che a sua volta stimola il rilascio degli ormoni tiroidei (T3 e T4) che a monte inibiscono il rilascio di TRH e TSH. Tramite il dosaggio di TSH e T3-T4 è chiaro il quadro clinico, nel senso che si può stabilire se un eventuale ipo- o ipertiroidismo è di tipo primitivo o secondario. La tiroide è una ghiandola situata alla base del collo, pesa 15-25g ed è formata da 2 lobi tenuti insieme dall’istmo; ci sono circa 20-40 follicoli per lobo formati da cellule disposte ad anello intorno ad una sostanza gelatinosa definita colloide; il tireocita è una tipica cellula ghiandolare, ha una componente basolaterale e una apicale che guarda verso la colloide. Quest’ultima contiene varie glicoproteine e in particolare la tireoglobulina che è il precursore degli ormoni tiroidei; infatti questi si accumulano nella tireoglobulina e vengono secreti quando è necessario. Nella tiroide, oltre alle cellule follicolari(che secernono T3 e T4), ci sono le cellule parafollicolari o cellule C che secernono calcitonina (che tra l’altro forse è l’unico marcatore specifico del carcinoma della tiroide, soprattutto se inquadrato nelle MENNdA: Neoplasie Endocrine Multiple).

Gli ormoni tiroidei sono degli amminoacidi iodinati e quasi tutto lo iodio dell’organismo viene captato dalla tiroide per produrli; per essere captato, lo iodio, ha bisogno di un trasportatore attivo che si trova sul dominio basolaterale delle cellule tiroidee e si chiama NIS (Na-I-Symporter simporto sodio-iodio). In caso di carenza ambientale di Iodio o di difetti genetici a carico del suo trasportatore, la tiroide non può produrre gli ormoni e si verificano delle situazioni di ipotiroidismo congenito. A questo punto lo iodio deve essere aggiunto ad amminoacidi specifici, cioè devono essere iodinate le tirosine; questo avviene grazie all’azione della tireoperossidasi formando MIT e DIT (rispettivamente monoiodotirosina e diiodotirosina); dall’accoppiamento di una MIT ed una DIT si forma T3, mentre dall’accoppiamento di 2 DIT si forma T4. T3 e T4 sono contenute nella tireoglobulina, nella colloide; la cellula tiroidea, per liberarli, ricapta la tireoglobulina e attraverso un processo proteolitico si ottengono gli ormoni tiroidei. Questi, con un meccanismo di secrezione controllata, vengono rilasciati dalla superficie basolaterale della cellula. L’ormone maggiormente prodotto a livello tiroideo è T4 e solo una parte di T3 è prodotta dalla tiroide; quindi il “grosso” della T3 circolante deriva da un processo chiamato deiodinazione che avviene in periferia.. Dalla deiodinazione di T4, che avviene in periferia e in minor misura anche nella tiroide, si forma T3 che rappresenta la forma più attiva; lo iodio liberato può essere riutilizzato dalle cellule tiroidee. La deiodinazione può avvenire in 2 siti: se avviene al 5’ (NdA 5 primo) si avrà T3 normale che sarà iodinata in posizione 3,5 e 3’ ; se avviene sul 5 e non sul 5’ avremo la reverse-T3(iodinata in posizione 3,3’,5’) che non è attiva come la T3 e la sua funzione non è ancora molto chiara.

Quando sono rilasciati, gli ormoni tiroidei vengono coniugati con proteine di trasporto e vanno in circolo; la T4 è legata per il 70% alla TBG(Tiroxine Binding Globulin), per il 20% alla transtiretina (una pre-albumina) e per il 10% all’albumina; quindi quasi tutta la T4 è legata alle proteine di trasporto solo lo 0,03% è libero. La T3 lega sostanzialmente le stesse proteine ma la TBG ha un’affinità minore nei suoi confronti rispetto a T4; anche la quota libera di T3 è molto bassa (0,3%), ma di un ordine si grandezza superiore a T4; quindi quest’ultima è più stabilmente legata dalle proteine rispetto a T3. Ogni giorno vengono prodotti circa 110 nmol di T4 e circa 50 nmol di T3; il 100% della T4 è di origine tiroidea, mentre solo il 20% di T3 è prodotta dalla tiroide come tale e l’80% di T3 deriva dalla deiodinazione

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periferica. La concentrazione sierica totale di T4 è circa 100 nM mentre quella di T3 circa 2 nM; c’è una differenza di 50 volte per diversi motivi uno dei quali è la diversa emivita: quella della T4 è di circa 7 giorni e quella di T3 è meno di un giorno. Considerando la forma libera di T3 e T4, si hanno circa 20pM(picomolare) di T4 e circa 5 pM di T3; l’attività di T3 è almeno 3 volte più potente di quella di T4, è come se quest’ultima fosse un precursore circolante di T3 che è regolato in 2 modi: 1) dalle proteine di trasporto che lo tengono legato e 2) dalla deiodinazione periferica.

- DiagnosticaDifficilmente si dosa il TRH per scopi diagnostici; invece si utilizzano degli ottimi anticorpi per il dosaggio del TSH in saggi di chemiluminescenza di terza e quarta generazione che sono molto sensibili e specifici; quindi il dosaggio del TSH rappresenta il “gold standard” della diagnostica di ipo- o ipertiroidismo. Tra l’altro il dosaggio del TSH correla con la gravità della malattia: più bassi sono i livelli degli ormoni tiroidei( e quindi più è severo l’ipotiroidismo) più alti saranno quelli del TSH. Inoltre è utile per il follow-up della terapia dal momento che non avrebbe senso dosare gli ormoni tiroidei somministrati dall’esterno in caso di ipotiroidismo bensì è utile dosare l’effetto di questi sul rilascio di TSH.

Il il TSH può essere aumentato: 1) un adenoma TSH-secernente ( in questo caso per fare diagnosi differenziale con l’ipotiroidismo primario, anch’esso caratterizzato da alti livelli di TSH, si fa prima diagnostica clinica e poi per immagini); 2)resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei (ci sono diverse isoforme del recettore degli ormoni tiroidei alcune delle quali maggiormente espresse nell’ipofisi ed altre in periferia) per cui gli ormoni prodotti, non funzionando i recettori ipofisari, determinano ipertiroidismo dovuto al mancato feedback negativo che invece dovrebbe inibire la secrezione di TSH nell’ipofisi; 3) resistenza agli ormoni tiroidei,dovuta a mutazioni delle isoforme periferiche dei recettori, che determina: alti livelli di ormoni tiroidei, bassi (fenotipo di ipotiroidismo) o alti livelli di TSH a seconda del coinvolgimento ipofisario (in questo caso il fenotipo è di ipertiroidismo).

Il TSH è ridotto: 1) nell’ipertiroidismo a causa del feedback negativo che abbassa il TSH; 2) ipopituitarismo; 3)malattie severe non tiroidee come il coma, la febbre settica.

Può essere effettuato anche il dosaggio di T3 e T4; se aumenta T4 scende il TSH ipertiroidismo primario; se scende T4 aumenta il TSH ipotiroidismo primario.

Tempo fa si utilizzava una membrana per dialisi per separare la forma legata a proteine da quella libera; attualmente si utilizzano anticorpi specifici per le forme libere di T4 e T3. La maggior parte dei kit diagnostici per ELISA funziona per “spiazzamento” cioè non si dosa direttamente la concentrazione dell’ormone ma si utilizzano degli anticorpi specifici contro uno standard (es. una T4 marcata con Iodio 131) a concentrazione nota; la T4 marcata legata dagli anticorpi precipita; a questo punto si aggiunge il siero del paziente e si osserva che in base alla sua concentrazione,T4, può spiazzare il legame tra T4 marcata e anticorpi; quindi quanto più T4 sarà concentrata nel siero del paziente, tanto più sarà spiazzato il legame tra anticorpi e T4 marcata(standard o nota che dir si voglia).

Tiroiditi autoimmuniLe malattie tiroidee più frequenti, soprattutto nell’adulto, sono di tipo autoimmune; ad es. la tiroidite di Hashimoto è il tipo di ipotiroidismo autoimmune più frequente e il morbo di Graves è il tipo di ipertiroidismo autoimmune più frequente. Quindi anche il dosaggio degli anticorpi è importante per una

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diagnosi eziologica per stabilire se l’ipo- o ipertiroidismo è di tipo autoimmune o meno; si possono dosare gli anticorpi antitireoperossidasi e antitireoglobulina e anche il recettore del TSH è un antigene importante. Nella tiroidite di Hashimoto sono presenti frequentemente anticorpi antitireoglobulina e antitireoperossidasi; esempio iter diagnostico di una paziente di 42 anni che sta ingrassando, ha cute secca, sente freddo: prelievo per valutare glicemia, azotemia, elettroliti, funzionalità epatica e poi per dosare gli ormoni tiroidei; di solito dopo il dosaggio di TSH, si fa quello delle forme libere (fT3 e fT4) perché sono quelle rilevanti. Se si rinvengono alti livelli di TSH e bassi livelli di fT3 e fT4 si può fare diagnosi di ipotiroidismo primario; essendo una donna di 42 anni, il laboratorio effettua anche il test per anticorpi antitireoglobulina e antitireoperossidasi e se positivo fanno pensare ad una tiroidite di Hashimoto. Questo è uno screening logico perché se il TSH era normale, non si dosavano né fT3-fT4 né gli anticorpi. Molto spesso donne si questa età hanno un ipotiroidismo subclinico che può essere rappresentato da livelli elevati o leggermente aumentati di TSH con livelli normali di fT3 e fT4; il buon medico con la palpazione o l’ecografia va alla ricerca di eventuali noduli e se presenti può richiedere un’agobiopsia per comprenderne la natura e per escludere che si tratti di un carcinoma. A questo punto il medico somministra ormoni tiroidei alla donna (che come abbiamo detto ha valori normali di tali ormoni) per inibire il rilascio di TSH da parte dell’ipofisi perché molto spesso i noduli sono sensibili al TSH(effetto trofico sui tireociti) e in questo modo si cerca di evitare l’operazione. Per valutare l’efficacia di questa terapia soppressiva si dovrebbe dosare il TSH e la sua concentrazione dovrebbe risultare intorno a 0; il laboratorio ha bisogno di sapere se la donna usa ormoni tiroidei e il motivo, cioè per l’ipotiroidismo oppure per il trattamento soppressivo.Nel morbo di Graves o di Basedow, l’ipertiroidismo è dovuto ad anticorpi stimolanti anti-recettore del TSH; questi anticorpi legano il recettore, mimano il TSH e stimolano la tiroide. Da un punto di vista diagnostico, il dosaggio degli anticorpi stimolanti anti-recettore del TSH non è così rilevante (NdA nel senso che è importante ai fini della diagnosi differenziale) come quello degli anticorpi antitireoperossidasi e antitireoglobulina (per la diagnosi di ipotiroidismo autoimmune e non “semplice” ipotiroidismo) perché la diagnosi di ipertiroidismo è fondamentalmente clinica e il dosaggio degli anticorpi stimolanti anti-recettore del TSH rappresenta un raffinamento diagnostico.

Il TSH è un marcatore molto sensibile dell’ipotiroidismo (ad es. se il TSH è aumentato è verosimile che hai l’ipotiroidismo). Molto spesso è inutile dosare le forme totali di T3 e T4 perché le forme attive sono libere (cioè le FT3 e le FT4), mentre le forme inattive sono generalmente inutili nel dosaggio, salvo in alcuni casi. Possiamo distinguere l’ipotiroidismo primario, secondario e terziario: nell’ipotiroidismo primario abbiamo alti livelli di TSH, mentre in un ipotiroidismo secondario o terziario abbiamo bassi livelli di TSH. È possibile ancora discriminare tra il secondario e il terziario, somministrando TRH, facendo un test da stimolo di TRH: se il TSH aumenta l’ipotiroidismo è terziario (cioè di origine ipotalamica), invece se il TSH si abbassa l’ipotiroidismo è di origine ipofisaria. Se abbiamo alti livelli di TSH, bassi livelli di FT3 e FT4, conviene fare un dosaggio degli anticorpi contro gli antigeni tiroidei più frequenti e cioè gli anticorpi anti-tireoglobulina e gli anticorpi anti-tireoperossidasi. La presenza di questi anticorpi ci indica una correlazione tra presenza di anticorpi anti-tiroide e ipotiroidismo verosimilmente di natura autoimmune.

Nell’ipertiroidismo abbiamo visto che ci sono spesso bassi livelli di TSH e alti livelli di T3 e T4: in particolare aumenta la T4 in questo caso il dosaggio delle forme totali delle forme tiroidee non è molto rilevante, ma ci basta fare il dosaggio delle forme libere degli ormoni. In caso di sospetto di ipertiroidismo possiamo fare un dosaggio degli anticorpi anti recettore del TSH (sono un po’ meno rilevanti da un punto di vista della diagnostica perché il morbo di Graves o l’ipertiroidismo da esoftalmo sono molto evidenti, tuttavia ci permettono di fare una diagnosi più raffinata).

Dosaggio delle tireoglobulina

È possibile dosare i livelli di tireoglobulina circolante, oltre agli altri dosaggi. La tireoglobulina è sintetizzata dai follicoli tiroidei, è presente nel siero in concentrazioni di circa 30 ng per ml e riflette la massa tiroidea, il

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danno tiroideo o la stimolazione del recettore del TSH. Possiamo avere, ad es. un aumento della tireoglobulina in circolo quando c’è un ipertiroidismo da iperstimolazione del recettore del TSH da parte degli anticorpi stimolanti, quando c’è un danno del parenchima tiroideo (in caso ad es. di tiroidite o infiltrazione della tiroide) con danno ai follicoli tiroidei e rilascio di tireoglobulina in circolo, quando c’è una situazione di gozzo nodulare (spesso dovuto a iperstimolazione di TSH su alcuni follicoli che poi diventano noduli). C’è chi considera la TG un marcatore tumorale cioè un indice di tumore tiroideo: però ciò non è fondato perché l’aumento della TG è piuttosto aspecifico perchè può aumentare anche in corso di tiroiditi o in caso di gozzo nodulare, oltre che di carcinomi tiroidei. Tuttavia quello che è vero è che la TG è molto utile nel follow up della terapia dei carcinomi tiroidei: cioè se il pz ha avuto un carcinoma papillifero follicolare ed è stato curato con radio-iodio opp con tiroidetomia, la comparsa di TG in circolo a distanza dall’intervento o a distanza dal trattamento, è un marcatore di recidiva tumorale quindi se ci sono cellule neoplastiche di origine tiroidea, queste sono verosimilmente in grado di produrre TG e di metterla in circolo. Pertanto la TG non è un marcatore di diagnosi tumorale, nel senso che non ci da una diagnosi di carcinoma tiroideo ma è utile nel follow up delle recidive dei carcinomi tiroidei. Più recentemente, la TG viene utilizzata per lo screening di metastasi da tumori tiroidei. In particolare si può effettuare il dosaggio dalla TG dal liquido di lavaggio linfonodale, cioè nell’esplorazione del linfonodo, il liquido linfonodale viene analizzato: se è presente la TG è verosimile che ci siano metastasi tumorali linfonodali da carcinoma tiroideo, invece l’assenza di TG non esclude del tutto la presenza di metastasi.È anche possibile dosare le proteine di legame degli ormoni tiroidei, come ad es. la TBC (tyroxine binding globulin). La TBC

1. è utile dosarla in pz con livelli di T4 e T3 che non concordano con altri parametri e che non sono compatibili con il quadro clinico gli ormoni tiroidei sono legati a proteine di trasporto e questo legame interferisce con la loro funzione, infatti l’ormone tiroideo legato alla TBC, non è attivo. Quindi se abbiamo un eccesso, ad es., di ormoni tiroidei totali e non ho un eccesso di ormoni tiroidei liberi, ciò non riguarda un ipotiroidismo;

2. inoltre posso avere una insufficienza di proteine di trasporto degli ormoni tiroidei, in caso ad es. di insufficienza epatica o cirrosi epatica, perché le proteine di trasporto sono sintetizzate dal fegato, opp in presenza di glucocorticoidi o androgeni.

3. Possiamo avere un aumento della TG in seguito all’assunzione di alcuni farmaci (clofibrato, fluorouracile, eroina), in presenza di estrogeni, contraccettivi, epatiti attive e in gravidanza.

4. La TBC è inoltre dosabile per immunoterapia.

Misurazione dello iodio urinario (ioduria):

c’è la possibilità di dosare lo iodio nelle urine e serve non tanto nelle situazioni di gozzo endemico (carenza di iodio che determina una riduzione degli ormoni tiroidei, una iperproduzione di TSH, il quale induce la crescita dei follicoli aumenta il volume della tiroide ipertiroidismo) in quanto si tratta di manifestazioni evidenti per le quali non è necessario effettuare il dosaggio della ioduria. La ioduria può invece essere fatta negli screening che studiano la concentrazione di iodio nelle urine dei bambini in età scolare in determinate aree a rischio di carenza di iodio. Inoltre la determinazione della ioduria è molto utile nella terapia con radio-iodio: infatti lo radio-iodio compete con i livelli di iodio presenti in circolo. Pertanto prima della terapia con radio-iodio, viene effettuato il dosaggio della ioduria per conoscere i livelli di iodio presenti in circolo, poi effettuo una terapia che va a sopprimere la captazione dello iodio cioè vogliamo eliminare lo iodio in modo che, prima di somministrare radio-iodio, siamo sicuri che c’è pochissimo iodio libero nell’organismo. Se invece ci fosse molto iodio libero, e poi somministro iodio radioattivo, questo va in competizione con lo iodio libero e la terapia non funziona. Quindi devo operare in condizioni di iodio fisiologicamente presenti nell’organismo, quanto più basse possibili. Ed è proprio la ioduria che mi dà un’idea di quanto iodio è presente in circolo.

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Screening dell’ipotiroidismo neonatale: non è una malattia rarissima, infatti ha una prevalenza di 1/3000-5000 nati (aumenta in alcuni gruppi etnici ed in alcune aree geografiche). In questo caso lo screening si effettua non con l’FT3 o l’FT4 (cioè le forma libere degli ormoni tiroidei) perché abbiamo molto poco rappresentate le proteine di trasporto prodotte dal fegato che nel neonato non è ancora del tutto maturo. Non interessa comunque la concentrazione di ormone libero, ma interessa la quantità di ormoni tiroidei che la tiroide riesce a produrre: quindi è utile il dosaggio degli ormoni tiroidei, in particolare T4 oltre a T3 (che deriva in larga misura dalla degradazione periferica di T4), ed è utile anche il dosaggio del TSH che ci dà un’idea della produzione degli ormoni tiroide.

OBESITA’

Il termine obesità indica un eccesso di grasso corporeo. Questo concetto poi si è evoluto nel tempo così come i valori di riferimento, che non sono statici ma cambiano, come è accaduto per il diabete: prima consideravamo diabetico un individuo che aveva una giicemia > 150 mg/dl, adesso consideriamo diabetico un individuo che ha la glicemia > 125 mg/dl e c’è ancor qualcun altro che vuole spostare il limite a 115 mg/dl. L’obesità ha subito lo stesso iter, perché infatti oggi è considerata una patologia, mentre prima non lo era, e poi si sono scoperte tutta una serie di altre malattie correlate, quindi definire l’obesità come eccesso di grasso è piuttosto riduttivo.Prevalenza 4-15 % negli uomini 10-25 % nelle donnePer il 95% l’obesità è di tipo primario, per il restante 5% è di tipo secondario (causato cioè soprattutto da malattie endocrine quali S. di Cushing, Ipotiroidismo ecc.).

Accumulo di grasso corporeo oltre un determinato “STANDARD”.Tecniche per la misurazione del grasso corporeo:

1. DIRETTE:

- densitometria che valuta la densità di un corpo sfruttando le differenze di densità che ci sono tra il tessuto grasso e il tessuto magro tramite l’utilizzo delle cosiddette vasche densitometriche in cui si valuta il peso a secco del corpo e il peso in acqua dove la diversa densità del grasso viene evidenziata rispetto al tessuto magro;

- stima dell’acqua corporea totale: con la somministrazione di acqua temperata, si valuta la distribuzione del deuterio nel corpo: il tessuto adiposo è idrofobico e contiene pochissima acqua e quindi dalla distribuzione dell’acqua radioattiva, noi abbiamo un’idea di cosa è tessuto grasso e cosa tessuto magro

- misura del potassio corporeo totale: il potassio corporeo si distribuisce in ambiente acquoso e quindi nei yessuti magri e non in quelli grassi privi di acqua

- diagnostica per immagini (CT, MRI): queste tecniche riescono a discriminare il tessuto grasso dal magro.

2. INDIRETTE: sono molto più utilizzate e sono spesso associate insieme

- BMI: è il peso espresso in Kg/ altezza espressa in m, ci dà un’idea della distribuzione del peso sulla superficie corporea. I parametri sono variabili a seconda della popolazione, del sesso e dell’età però in linea di massima, noi consideriamo normopeso gli individui con BMI compreso tra 20 2 25, individui in sovrappeso con BMI compreso tra 25 e 30 e individui propriamente obesi quelli con BMI maggiore di 30.. il BMI è rilevante perché c’è una correlazione piuttosto stretta con il rischio di mortalità e ciò fa considerare l’obesità una patologia e quindi una condizione da trattare. Infatti il rischio di mortalità è considerato molto basso per un BMI compreso tra 20 e 25, ma come aumenta il BMI, aumenta di conseguenza anche il rischio di mortalità. Tuttavia se il BMI scende al di sotto del livello normopeso, anche in questo caso il rischio di mortalità tende ad aumentare: quindi mantenere il BMI in un range di normopeso riduce il rischio di mortalità generale. Il BMI non è però un indice assoluto per la definizione di obesità: se infatti consideriamo un culturista, questo avrà un BMI sicuramente

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elevato ma, se l’obesità rappresenta un eccesso di grasso, certamente il culturista non può essere considerato come obeso nonostante il BMI elevato.

- Plicometria cutanea: consiste nell’utilizzo di plicometri che sono dei calibri che vengono appoggiati su alcune pieghe cutanee (bicipitali, tricipitali, sottoscapolari) e a seconda di quanto affonda il calibro nella piega, noi abbiamo una stima della quantità di tessuto magro o tessuto grasso. Con questa tecnica non solo abbiamo un’idea della quantità del tessuto adiposo presente, ma anche un’idea della distribuzione del tessuto adiposo.

- Rapporto vita/anca: importante perché identifica il tipo di obesità. Sono stati descritti 2 tipi di obesità più frequenti: l’obesità cosiddetta androide o centrale (più comune nell’uomo) in cui aumenta soprattutto la circonferenza addominale e quindi il rapporto è spostato verso la vita; l’obesità ginoide o diffusa, in cui il rapporto è più spostato verso l’anca ed è più frequente nelle donne. Il rapporto vita/anca è anche utilizzato per la definizione del rischio cardiovascolare perché l’obesità centrale è maggiormente associata ad un rischio cardiovascolare rispetto all’obesità diffusa: tuttavia, da una decina d’anni, si è visto che questo non è più vero, ma quello che è veramente importante è la circonferenza addominale e non il rapporto vita/anca, perché la tipologia di grasso che si accumula nell’obesità centrale è un grasso di tipo viscerale, diverso dal grasso sottocutaneo maggiormente presente nell’obesità diffusa.

3. Spesso basta anche solo effettuare l’esame obiettivo del pz per rendersi conto se è obeso o meno.

Storia molecolare dell’obesitàDistinguiamo 2 tipi di percorso:1. percorso che comincia dall’infanzia/adolescenza e tende a durare per tutta la vita, e anche quando si entra nella pubertà, gli individui che da bambini erano in sovrappeso, hanno un rischio maggiore di diventare obesi2. percorso che comincia nella terza età e si manifesta come un’esagerazione della normale deposizione di grasso

Se poniamo su un grafico la quantità di tessuto adiposo in funzione dell’età, vediamo che ci sono differenze tra i due sessi: i maschi hanno una riduzione della quantità di t. adiposo in età pre-scolare (tra i 3 e i 5 anni) mentre le femmine no; nell’età pre puberale c’è un incremento del t. adiposo che è più marcato nelle femmine rispetto ai maschi; nel periodo adolescenziale nei maschi si osserva una netta diminuzione del t. adiposo mentre nelle femmine non accade questo è un aspetto particolarmente rilevante, legato sia ad aspetti di tipo ormonale (estrogeni hanno un effetto favorente l’accumulo di t. adiposo, il testosterone invece ha un effetto catabolico sul t. adiposo), ad aspetti socio-culturali (attività sportive ecc.). alla riduzione della quantità di tessuto adiposo nel periodo adolescenziale, segue un periodo di accumulo di t. adiposo, successivo ai 20 anni circa. Quindi i periodi a rischio sono quello pre puberale e quello successivo allo sviluppo (vita adulta). In generale le femmine hanno una maggiore deposizione di t. adiposo rispetto ai maschi.

A che cosa è dovuta l’obesità? E’ una patologia multifattoriale, è evidente che incidono fattori genetici e fattori ambientali. È chiaro che l’aumento del peso corporeo è dovuto al fatto che l’apporto di energia è maggiore del dispendio di energia: se un individuo introduce 100, se non consuma 100, la differenza andrà in accumulo sottoforma di tessuto adiposo. Però questo non significa che l’obeso mangia più del normopeso, significa invece che l’obeso mangia più di quanto non dovrebbe mangiare per mantenere il suo peso corporeo. Per es. venne fatto un esperimento all’università del Vermont ,condotto alla fine degli anni ’60 e inizio degli anni ’70: venne preso un gruppo di obesi “naturali” e un gruppo di obesi “sperimentali” (cioè individui normopeso resi obesi sperimentalmente, in modo da far raggiungere loro lo stesso peso corporeo del gruppo degli individui obesi naturali) l’esperimento consisteva nel misurare la quantità di calorie da somministrare ai due gruppi per mantenere il peso corporeo da loro raggiunto, cioè

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quante calorie devono introdurre gli obesi naturali e quante gli obesi sperimentali per mantenere il peso corporeo. Dai risultati si stabilì che gli obesi naturali avevano bisogno di meno calorie per mantenere il peso corporeo rispetto all’obeso sperimentale. Quindi indipendentemente dal BMI, c’è una tendenza a mettere peso dovuta alla incapacità di utilizzare le calorie introdotte con la dieta. In altri termini, fu definito che il metabolismo di un individuo obeso è più efficiente del metabolismo di un individuo magro.

Ma che significa? Il significato del termine efficiente deve essere inteso con concetto di avere il miglior risultato con il minimo sforzo: l’individuo obeso spreca meno energia dell’individuo magro teoria evolutiva: da quanti anni l’uomo può alimentarsi in maniera semplice? Circa 100- 130 anni e cioè dalla fine dell’800- inizio ‘900.e per quanti anni l’uomo ha avuto difficoltà ad alimentarsi? Più di 35.000 anni!!! Quindi l’evoluzione ci ha selezionato, per avere la capacità di sopravvivere alla carenza di cibo: l’uomo che si alimentava anche 2000 anni fa aveva maggiori difficoltà anche nel procurarsi il cibo e non si alimentava con la frequenza con cui ci alimentiamo oggi, per cui il problema principale era la sopravvivenza e non l’obesità. Di conseguenza abbiamo selezionato un certo set di geni che si spingono a non perdere peso e a mantenerlo, per cui fino a quando abbiamo una alimentazione affiancata ad una uguale spesa energetica abbiamo un normopeso, ma se ci lasciamo andare al sistema di vita occidentale mettiamo peso in quanto non bruciamo ciò che introduciamo.

Con l’esperimento dell’università del Vermont fu dimostrato che l’aumentato apporto calorico determina l’eccesso di peso corporeo, per cui è necessario un bilancio tra l’apporto calorico e il dispendio energetico se il bilancio è positivo quindi è a favore dell’apporto calorico ovviamente ci sarà aumento di peso. L’esperimento dell’università del Vermont ha portato alla conclusione che ci posso essere individui geneticamente predisposti ad avere un incremento di peso, o meglio che hanno un metabolismo più efficiente, in grado di sprecare di meno, e individui che hanno un metabolismo meno efficiente, cioè che sprecano più energie. Esempi biochimici dello spreco di energie può essere quello dei cicli futili, ci sono infatti alcune reazioni che non hanno prodotto. Consideriamo ad esempio il metabolismo del glucosio: la fosfofruttochinasi che fosforila il fruttosio 6 fosfato a fruttosio 1-6 bifosfato e questa è una tappa importante nella glicolisi, o anche la fruttosio difosfatasi che defosforila il fruttosio-1,6 fosfato a fruttosio 6- fosfato: questa serie di reazioni, se accoppiate, non danno un prodotto, ma gli enzimi utilizzano comunque energia quindi se i cicli futili sono più rappresentati c’è un dispendio di energia maggiore rispetto ad un ciclo futile poco rappresentato. Di conseguenza i magri hanno un maggior numero di cicli futili cioè senza prodotto e con maggior dispendio di energia.Però al di là della predisposizione genetica se l’individuo si alimenta di più, vuol dire che ha un segnale che lo fa alimentare di più, quindi è molto importante il set point di regolazione della fame e della sazietà.Ci sono stimoli esterni e interni di regolazione delle abitudini alimentari: gli stimoli interni rappresentati dalle reazioni biologiche che avvengono fisiologicamente sono maggiormente rilevanti e possono esserea breve termine (sensazione di fame immediata) regolate da ormoni e peptidi gastro intestinali tra cui polipeptide pancreatico, CCK, bombesina, motilina, grelina che sono segnali provenienti dallo stomaco che mandano segnali di fame o di sazietà, o a lungo termine regolate da sostanze tra cui la leptina codificata dal gene“ob” , primo regolatore a lungo termine ad essere identificato (i regolatori a lungo termine hanno un ruolo più importante nel mantenimento del peso corporeo).

- Come è stata identificata la leptina:Topi ob obesi con difetti a entrambe le copie del gene ob, avevano ridotta o assente produzione di leptina: quindi fu scoperto che questo gene codificava per questa particolare proteina. Inoltre fu visto che somministrando leptina a questi topi, questi cominciano ad alimentarsi regolarmente e perdono peso. Inoltre fu visto che la leptina era secreta dagli adipociti, principali suoi produttori, e inoltre che quantità di leptina prodotta dagli adipociti aumenta proporzionalmente al volume ed alla quantità di grasso contenuta negli adipociti ciò ha rivoluzionato la funzione che veniva attribuita all’adipocita che era considerato

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fino ad allora solo una cellula di deposito di acidi grassi o per lo meno di secrezione di acidi grassi Fu importante scoprire che il tessuto adiposo non era solo un tessuto che fungeva da accumulo ma aveva anche una funzione attiva di secrezione di sostanze importanti in maniera regolata. Il recettore per la leptina venne subito individuato e clonato e si vide che vi è espressione principale del recettore della leptina nell’ipotalamo (nucleo arcuato e paraventricolare), che i fisiologi già conoscevano bene come centri regolatori della fame e della sazietà. I livelli di leptina nell’uomo obeso sono più elevati perché ovviamente siamo in presenza di un tessuto adiposo ipertrofico, e nonostante alti livelli di leptina (iperleptinemia)non si ha perdita di peso o aumento del metabolismo energetico e si ha sempre stimolo alla fame perché si instaura una sindrome da resistenza ormonale, quindi è come se la leptina non ci fosse si ha leptino resistenza. Quindi abbiamo iperleptinemia, ma l’individuo ha un fenotipo da ipofunzione perché è come se non ci fosse la leptina. Come nei topi mutati per il gene della leptina, esistono rarissimi casi in cui si hanno mutazioni della leptina o del suo recettore, ovviamente in questi casi si verifica obesità, e sono delle condizioni estreme.Ma come funziona la leptina? Sono stati fatti degli studi per cercare di capire se si poteva intervenire da qualche altra parte. Questi studi hanno portato a delle conclusioni che all’inizio erano indipendenti, poi si è riusciti a metterle insieme:si sapeva già che il NPY è una sostanza che induce appetito se iniettato, allora si può immaginare che se al topo si leva il NPY dovrebbe essere anoressico, o almeno sottopeso. In realtà non accadeva questo: si aveva che topi knockout per NPY sono normopeso e si nutrono normalmente; però incrociando topo NPY -/- ed ob (cioè senza leptina), si ha un topo con fenotipo intermedio cioè con fenotipo parzialmente revertito, questo topo tende a dimagrire un po’ anche se non è normopeso. Inoltre sappiamo che il topo ob presenta alti livelli di NPY perché se non c’è leptina aumentano i livelli di NPY e questo è uno dei meccanismi che fa aumentare l’appetito e il topo diventa obeso. Se invece sopprimo l’espressione del NPY , nel caso di un topo geneticamente modificato, il topo non ha un fenotipo perfettamente uguale al topo ob cioè non è obeso, ma è un po’ più magro, quindi si ha una parziale regressione del fenotipo. Di conseguenza possiamo concludere che il NPY è coinvolto nella regolazione della fame e della sazietà ma non è sufficiente a spiegare il fenotipo obeso del topo con assenza di leptina. Fisiologicamente accade che:L’adipocita aumenta di volumeproduzione di leptina diminuzione NPY sazietà (diminuzione appetito). Quindi nell’animale privo di leptina oppure che ha ali livelli di NPY, si ha un aumento dell’appetito. Se sopprimiamo soltanto il NPY, ho una parziale reversione del fenotipo.

Un gruppo di studiosi, studiando il topo Agouti (dall’indiano significa giallastro con una pigmentazione giallastra), che ha la tendenza a diventare obeso e a sviluppare diabete come accade nell’uomo il quale con l’età tende ad aumentare di peso, hanno scoperto il motivo per cui questi topi erano giallastri: questi topi avevano l’espressione ectopica di un gene chiamato AGRP (agouti related protein) i cui prodotti competono per il legame dell’alfa-MSH (ormone melanocito stimolante) al proprio recettore. Cioè normalmente succede che l’ormone melanocito stimolante si lega al suo recettore a livello del follicolo pilifero e il pelo assume una colorazione scura. Però se c’è AGRP in eccesso, compete con il legame dell’alfa-MSH con il recettore del follicolo pilifero (spiazza il legame dell’alfa-MSH con il recettore) e non viene prodotta la melanina che è un pigmento scuro e il pelo acquisisce una colorazione giallastra. Quindi i topi Agouti avevano un eccesso della proteina AGRP. Ma il recettore per l’alfa-MSH non è presente solo sul follicolo pilifero. Infatti, a livello ipotalamico è presente un altro recettore che può legare l’alpha-MSH (chiamato MCR-4): quindi l’eccesso di AGRP spiazza anche il legame MSH-recettore a livello ipotalamico e sopprime l’azione dell’MSH a livello ipotalamico che normalmente sopprime l’appetito se il legame è spiazzato non si ha la sensazione di sazietà e i topi diventano obesi. I topi knockout per MCR-4 hanno un fenotipo simile a quello dei topo agouti salvo che per la pigmentazione.

Normalmente:Adipocita aumenta di volume leptina aumenta secrezione di alpha-MSH sazietà

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Quindi la leptina da una parte sopprime il NPY e dall’altro stimola la secrezione di MSH che sopprimono l’appetito.Inoltre in risposta alla leptina non vengono prodotti fattori oressigeni ( sono infatti ridotti dalla leptina) e sono NPY e AGRP; mentre altri (aumentati dalla leptina) sono POMC proopiomelanocortina da cui deriva l’ alpha-MSH e CART (cocain anphetamine related transcript) gene indotto dalle anfetamine in maniera piuttosto marcata le anfetamine sono forse l’unico farmaco ad azione realmente anoressizzante, quindi la leptina agisce in maniera simile alle anfetamine.

I livelli di leptina aumentano dopo l’accumulo a livello del tessuto adiposo di grasso quindi la leptina non spiega le sensazioni imminenti di fame e sazietà: ci sono altri ormoni gastro intestinali che agiscono a breve termine, tra cui la ghrelina che stimola anche la secrezione di GH (è stata identificata come un releasing factor per il GH, il quale è indotto dal digiuno). La fame stimola il rilascio di grelina dallo stomaco, la grelina arriva all’ipotalamo dove stimola l’appetito; dopo i pasti i livelli di grelina scendono perché lo stomaco non secerne più ghrelina. Durante le 24 ore i livelli di ghrelina variano: aumentano in corrispondenza dei pasti e scendono subito dopo aver mangiato, mentre aumentano nelle ore notturne soprattutto nella prima nottata in corrispondenza del picco di GH. È dunque un ormone che agisce a breve termine.

- Come funziona la ghrelina? La ghrelina attiva dei neuroni specifici i quali rilasciano il NPY o AGRP e blocca il rilascio di alpha-MSH.La leptina agisce a livello dell’espressione genica della POMC o del NPY , mentre la grelina agisce sulla secrezione cioè sul rilascio di NPY o alfa-MSH: quindi è ovvio che ci sia una differenza di tempistica, per cui la grelina agisce a breve termine sulla regolazione della fame e la leptina a lungo termine sulla regolazione del peso corporeo.

L’obesità come low-grade inflamation (cioè un’infiammazione di basso grado)

L’obesità è da alcuni definita infiammazione cronica persistente, perché oggi si sa che il tessuto adiposo produce una quantità molto ampia di molecole, tra cui l’adiponectina (che ha azione insulino sensibilizzante), resistina (che induce resistenza all’insulina)e citochine proinfiammatorie (tra cui TNF-alpha e IL-6). Quindi oltre alla leptina che è stato il prototipo degli ormoni adipocitari, il t.adiposo può produrre altre adipochine e citochine.Le citochine infiammatorie stimolano l’insulino resistenza e inoltre si hanno :1. aumento suscettibilità alle infezioni 2. osteoartriti ricorrenti (per la presenza di un carico dovuto all’eccesso di peso)3. aterosclerosi ( l’infiammazione è una componente importante del processo dell’aterosclerosi)4 insulino resistenza (se un paziente diabetico, che fa terapia insulinica, ha la febbre, deve aumentare la somministrazione di insulina per controllare bene il diabete).NB: La riduzione del peso corporeo migliora incredibilmente la sensibilità all’insulina. Ciò si è capito recentemente grazie agli interventi di chirurgia bariatrica (chirurgia della grande obesità ad es. il bendaggio gastrico) che fanno altrettanto sul metabolismo del glucosio cioè migliorano soprattutto i livelli di glicemia più che la perdita di peso corporeo hanno effetti maggiormente persistenti sulla glicemia piuttosto che sulla riduzione del peso corporeo. Per cui c’è una stretta connessione tra tessuto adiposo e controllo del metabolismo del glucosio.

Malattie correlate all’obesità sono:- Ipertensione- diabete di tipo 2- Aterosclerosi- Calcolosi biliare (molto frequente negli obesi)

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- Artriti- Ipoventilazione- NASH steato-epatite non alcolica, anch’essa molto frequente negli obesi, quasi il 100% dei casi- Accidenti cerebro e cardiovascolari- Cancro (negli ultimi 10 anni la relazione tra obesità e cancro è in corso di studio ma molto influisce il fatto

che il tessuto adiposo produca citochine infiammatorie e quindi stimoli l’infiammazione, importante nelle neoplasie) carcinoma endometriale, mammario in età post menopausale, del colon, del pancreas e del rene.

Parametri di laboratorio da considerare nella gestione di un pz obeso

1. Screening dei lipidi vanno monitorati con attenzione e i valori di riferimento di questi parametri, nell’obeso, sono spostati un po’ più in basso perché il rischio di patologie cardiovascolari e aterosclerotiche è ulteriormente aggravato dall’obesità.

- Colesterolo totale- Colesterolo HDL- Colesterolo LDL- Trigliceridi

2. Effettuare l’esame urine regolarmente (per le complicanze renali, per la gestione del diabete e per il controllo dell’ipertensione);

3. Monitoraggio glicemia ed insulinemia basali che danno un’idea abbastanza accurata dello stato di sensibilità all’insulina (l’obeso per definizione è insulino- resistente) per la prevenzione del diabete e possibilmente tutti gli obesi dovrebbero fare un test da carico di glucosio (OGTT)con valutazione della glicemiae magari, nel corso dell’OGTT , fare anche una valutazione dell’insulinemia, la quale è utile per vedere se le cellule pancreatiche (beta-cellule) rispondono all’iperglicemia L’insulino resistenza è una componente del diabete tipo 2 ma non è sufficiente per lo sviluppo di diabete cioè una persona può avere un’insulinemia altissima (quindi essere fortemente insulino resistente) ma può avere una glicemia normale questa situazione diventa diabete quando le cellule pancreatiche non riescono a compensare l’insulino resistenza con un’ulteriore aumento della produzione di insulina. Quindi per sviluppare diabete ci deve essere da un lato l’insulino resistenza e dall’altro anche una ridotta sensibilità al glucosio da parte delle beta cellule, infatti un individuo obeso può restare con livelli glicemici normali per tutta la vita e non sviluppare insulino resistenza.4. Funzionalità epatica (per la NASH)

Altri parametri utili da considerare sono quelli infiammatori- Adiponectina- TNF-alpha- IL-6- Leptina- PCR (proteina c reattiva) che è il marcatore di infiammazione più accurato e ci darà il grado di infiammazione

presente nell’obeso

Diagnosi differenziale dell’obesità Rientrano nella diagnosi differenziale dell’obesità primaria (circa il 95% di tutte le obesità) molte malattie endocrine quali l’ipotiroidismo ad es, anche e soprattutto nei casi in cui un paziente obeso si voglia sottoporre a interventi di chirurgia bariatrica, bisogna conoscere se il pz ha altre patologie. Oggi tra le indicazioni di chirurgia bariatrica c’è un BMI superiore a 40 o superiore a 35 in condizione di comorbidità

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importanti come diabete e ipertensione, gli individui che vengono sottoposti a chirurgia bariatrica sono pz giovani. Bisogna escludere:

- Ipotiroidismo- Ipercortisolismo (la s. di Cushing)- Cause genetiche di obesità (mutazioni di ob, di ob-R opp di MCR4) sono situazioni estreme

IPERTENSIONE ARTERIOSA

Si definisce ipertensione arteriosa una condizione in cui:pressione diastolica > 90 mmHg E/O pressione sistolica > 140 mmHg

Già una sola condizione è sufficiente per essere definita “ipertensione”L’ipertensione ha una prevalenza del 25%, incrementa con l’età, ma è più severa nei giovani.Più frequente nelle donne, ma meno pericolosa.

Si definisce… pressione sistolica pressione diastolicaPressione normale <120 e <80Pre-ipertensione 120-139 o 80-89Ipertensione 1° livello 140-159 o 90-99Ipertensione 2° liello >o= 160 o >o = a 100Ipertensione 3° livello >180 o >110

Questa classificazione indica quando intervenire farmacologicamente. Nella pre-ipertensione il trattamento farmacologici non è assolutamente necessario, ma si tratta di una condizione da tenere costantemente sotto controllo.

- IPERTENSIONE PRIMARIA (90-95%) : idiopatica o essenziale

- IPERTENSIONE SECONDARIA (10-5%) -insufficienza renale -stenosi arteria renale -malattie endocrine (iperaldosteronismo, Cushing, feocromocitoma)

Si distingue in : -benigna o -maligna È multifattoriale: fattori genetici * fattori ambientali

correlazione tra perss.arteriosa ed etàLa % di casi di ipertensione aumenta con l’aumentare dell’età. In particolare nei soggetti di eta>50anni la % raggiunge già il 44-50%

variazione dei valori pressori nei diversi gruppi etnici- Londinesi: i valori di press.sistolica e diastolica aumentano “fisiologicamente” con l’età.- Zulu urbani: i valori di press.diastolica e sistolica sono decisamente più bassi rispetto ai corrispondenti londinesi (=popolazione occidentale); inoltre conservano la stessa tendenza ad aumentare con l’età, ma in maniera decisamente più “ripida”.- Bushimani: i valori di press.diastolica e sistolica tendono ad aumentare con l’età in modo meno “rapido” rispetto ai londinesi.

Correlazione tra BMI e pressione arteriosaL’aumento della popolazione arteriosa è proporzionale al BMI.

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Mettere su peso, aumenta di molto la probabilità di sviluppare ipertensione.

correlazione tra %ipertesi e probabilità di sviluppare ipertensione.I Giapponesi, che consumano grandi quantità di NaCl nella dieta, presentano una maggiore %di ipertesi rispetto ad altre popolazioni.

STILE DI VITA: alimentazione, attività fisica, STRESS.

Un ricercatore ha messo a punto un sistema per “misurare” in che modo lo stress possa influire sui valori di pressione arteriosa: ha costruito una “gabbia di conflitto sociale”!All’interno di una gabbia vengono rinchiusi tanti topini. Questa gabbia presenta una sola via di accesso al cibo. In questo modo viene ricreata sperimentalmente una situazione di conflitto sociale, dovuto ad una stato di competizione per il cibo.Ebbene, a distanza di regolari intervalli di tempo, è possibile rilevare che i valori medi di pressione arteriosa dei topini aumentava via via.I valori pressori aumentano in modo proporzionale al tempo di esposizione a stimoli stressogeni.

FATTORI GENETICI- studi di popolazione- studi di famiglie- studi di gemelli

Gli studi di popolazione non sono considerati perfettamente attendibili, dal momento che, essendo lo studio limitato ad una determinata popolazione, esso è profondamente legato all’impatto dei fattori ambientali relativi a una specifica area geografica.Gli studi di famiglia, allo stesso modo, presentano risultati che sono profondamente influenzati dai fattori ambientali (dieta, ecc) caratteristici cui la singola famiglia è esposta.Gli studi di gemelli sono quelli che consentono il migliore approccio per lo studio dell’importanza della componente genetica nel determinare il rischio di sviluppo di una malattia: il grado di concordanza nei gemelli omozigoti (che condividono il 100%del loro DNA) è più elevato rispetto a quello dei gemelli di zigoti (50%di analogia del DNA). Dunque, i fattori genetici sono determinanti nell’influenzare il rischio di sviluppo di ipertensione.

REGOLAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA.

PA= PORTATA CARDIACA x RESISTENZE PERIFERICHE

-volume ematico -fattori umorali: - fattori cardiaci +angiotensina (frequenza, contrattilità) +catecolammine +trombossano +leucotrieni - prostaglandine - ossido nitricoPATOGENESI-equilibrio idro-salino-sistema renina angiotensina-sistema simpatico

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Tempo fa, gli ACE-INIBITORI erano usati come farmaci anti-ipertensivi. Essi però escludevano la formazione anche di angiotensina3, che svolge alcune funzioni fisiologiche.Per valutare l’efficacia del trattamento (oltre che misurando banalmente la pressione) si può ricorrere al dosaggio di aldosterone, in clino-ortostatismo prima, in orto-statismo poi: il trattamento è efficace se diminuiscono i livelli di aldosterone, essendo la sua secrezione stimolata dall’angiotensina2.

Oggi come anti-ipertensivi si adoperano degli INIBITORI DEI RECETTORI DELL’ANGIOTENSINA2.

3 sistemi di regolazione della pressione arteriosa

Equilibrio idro-salino

Aumentato apporto Ridotta escrezione [Na] Uptake da parte della parete arteriolare (*) Ritenzione idrica risposta allo stimolo pressorio Portata cardiaca vasocostrizione Resistenze periferiche AUMENTO PRESSIONE ARTERIOSA

(*) supponiamo di studiare il comportamento di un “pezzetto” di arterilo all’esposizione di elevate [Na]: la muscolatura liscia arteriolare cambia la propria capacità di rispondere agli stimoli vasopressori. Insomma, se esposto ad alte [Na], aumenta la reattività a tali stimoli, e questo induce vasocostrizione e aumento delle resistenze periferiche.

Sistema renina angiotensina

Pressione renina enzima di conversione (ACE)

Angiotensinogeno--- angiotensina1--- angiotensina2 --- angiotensina3

Vasocostrizione secrezione aldosterone (surrene) Resistenze periferiche ritenzione sodio e acqua Portata cardiaca AUMENTO PRESSIONE ARTERIOSA

La diminuzione della pressione a livello dell’arteriola afferente determina attivazione della cellule iuxtaglomerulari e secrezione di renina, enzima proteolitico che converte l’angiotensinogeno in angiotensina1.Possiamo considerarlo come un meccanismo di controllo messo in atto a seguito di uno shock ipovolemico e di un’emorragia nel tentativo di limitare la perdita di sangue.

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Sistema simpatico noradrenergico

reninaStress sist.simpatico noradrenalina ---- reattività muscolatura liscia Vasocostrizione

IPERTENSIONE SECONDARIA

Tipo ipertensione che ha un’eziologia più chiara:- IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE- FEOCROMOCITOMA- SINDROME CUSHING- IPERALDOSTERONISMO PRIMARIO- MALATTIA PARENCHIMALE RENALE

Misurazione della pressione:Bisogna prestare attenzione ai risultati “falsi positivi”, come quelli dell’ “ipertensione da white coat” (ipertensione da camice bianco): la vista del medico può risultare di per sé uno stimolo stressogeno. Per questo motivo sarebbe consigliabile anche una autovalutazione.Consigliato misurarla almeno due volte in una giornata.Per la diagnosi bisogna tener conto di:-storia familiare-esame fisico (utile per es. nel caso di m. di Cushing)-screenings di laboratorio

IL LABORATORIO NELL’IPERTENSIONE: screening di routine

- esame delle urine (se diluite, se concentrate, se c’è infezione vie urinarie sospetto per iper.nefrovascolare)- emocromo completo (per valutare viscosità ematica, che assieme all’ipertensione eventuale aumenta di molto il rischio di trombosi; conta globuli bianchi, dal momento che gli ipertesi presentano maggiore suscettibili alle infezioni)- chimica clinicaSodio e potassio: se la natriemia è bassa e la potassiemia alta, possibile ipertensione secondaria a iperaldosteronismo)- profilo lipidico (LDL, HDL, TG, colesterolo totale)- ECG

Flow Chart :1- Valutazione storia familiare, esame fisico, indagini di laboratorio2- Sospetto ipertensione primaria: valutazione di altri fattori di rischio per ipertensione secondaria:

NO: SItrattamento per ipertensione primaria - Identificazione causa specifica: trattamento adeguato

No identificazione causa: fare indagini più approfondite

SOSPETTI PER IPERTENSIONE SECONDARIA:1- il paziente non risponde ai trattamenti anti-ipertensivi

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Page 41: Diabete e altre forme di alterata tolleranza al glucosio

2- peggioramento di un paziente che era in precedenza stabile3- la pressione è allo stato34- insorgenza di ipertensione in pz giovani <20 anni, o più vecchi di 50 anni5- in caso di danno d’organo importante6- mancanza di storia familiare7- sulla base degli screening di laboratorio

Diagnosi di ipertensione secondaria:

Ipertensione nefrovascolarePuò essere dovuta a stenosi dell’arteria renale (con riduzione del flusso glomerulare e riduzione della pressione nell’arteriola afferente): aumento del rilascio di renina con aumento di pressione.Trattamento: angioplastica dell’arteria renale per risolvere la stenosi (il paziente non risponde al trattamento anti-ipertensivo farmacologici, efficace per una ipertensione primaria)

Come accorgersi di una stenosi arteriosa renale??

- Dosaggio della renina in clinostatismo (si fa stendere il pz) e poi in ortostatismo (si fa alzare il pz).Per valutare l’aumento del rilascio di renina che si verifica tra i due eventi.(quando ci si alza, la pressione diminuisce!)- Dosaggio di aldosterone, anche in questo caso prima in clino- poi in orto-statismo

Il problema è di origine renale se: la renina è elevata, l’aldosterone anche! (possibile stenosi renale) Il problema è d origine surrenale se: renina bassa, aldosterone ALTO (possibile iperaldosteronismo primario)Se i livelli di renina sono alti, si può ulteriormente indagare con un esame doppler, oppure ecografia, consultazione di un chirurgo, per essere certi che si tratta di stenosi renaleSe non è stenosi renale, allora potrebbe anche trattarsi di un reninoma (tumore secernente renina): in quest’ultio caso in particolare non c’è alcuna differenza dei livelli di renina tra clino e orto statismo.

Iperaldosteronismo primarioPotassio: ipopotassiemia con aumento di potassio nelle urine (>30mEq/L)Renina: BASSA Aldosterone: ALTO

Sindorme di Cushing- Dosaggio cortisolo urinario nelle 24ore (>150mg/24h)

Oppure, se la raccolta delle urine nelle 24h dovesse risultare poco “pratica”:

- Test di soppressione al desametazone (cortisolo plasmatico >10mg/dl)Il desametazone è un analogo del cortisolo: quando somministrato è in grado di inibire il rilascio di ACTH, con diminuzione del cortisolo plasmatico.Si fa diagnosi se il cortisolo plasmatico resta superiore ai 10 mg/dl

Feocromocitoma (tumore benigno secernente catecolammine)Aumento della produzione di catecolammine. Totalmente refrattario alla terapia farmacologica. Il trattamento consiste nell’asportazione chirurgia del tumore. Per la diagnosi:- dosaggio metanefrina urinaria: ci dà un’idea della quantità di catecolammine prodotte nelle 24 ore. oppure:

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- Metanefrina e creatinina urinaria nelle 12 ore (>1.2 microgrammi / mg di creatinina.

Malattia parenchimale renale- clearence della creatinina- proteinuria

METABOLISMO DEL CALCIO E DEL FOSFORO

Tessuto osseo è costituito per il 70% da una sostanza minerale (calcio e fosforo) e per il 30 % da una sostanza organica (proteine e cellule).

CALCIO

AZIONI METABOLICHE DEL CALCIO

- CALCIO EXTRACELLULARE: serve per la mineralizzazione dell’osso, per la coagulazione, per l’eccitabilità neuromuscolare- CALCIO INTRACELLULARE: serve per l’attivazione neuronale, per la contrazione muscolare, per la secrezione di ormoni e come secondo messaggero per fattori di crescita e ormoni.

FABBISOGNO OTTIMALE GIORNALIERO DI CALCIO è alquanto variabile

- Neonati/bambini di 0-10 anni devono assumere dai 400 ai 1200 mg/die di calcio- Adolescenti /giovani di 11-24 anni devono assumere dai 1200 ai 1500 mg/die di calcio- Donne in premenopausa 1000 mg/die di calcio in gravidanza o allattamento circa 1200-1550 mg/die di calcio oltre i 65 anni 1500 mg/die- Uomini 25-65 anni 1000 mg/die oltre i 65 anni 1500 mg/die

Ci sono due casi in cui l’assunzione di calcio è fondamentale: il metabolismo delle persone anziane è abbastanza ridotto e quindi hanno bisogno di un maggiore introito; le donne in gravidanza devono assumere più calcio perché questo deve soddisfare anche il fabbisogno del nascituro.

RIPARTIZIONE DEL CALCIO NELL’ORGANISMO (CALCEMIA) Calcio totale 8.5-10 mg/dL

Calcio ionizzato 4-5 mg/dLCalcio legato a proteine 4-5 mg/dL Calcio legato a Complessi solubili (fosfato, citrato ecc.) 0.8 mg/dL circa

Si parlerà di ipercalcemia quando i valori sono superiori ai 10-11 mg/dL e di ipocalcemia quando sono inferiori agli 8 mg/dL.

FOSFATO.

AZIONI METABOLICHE DEL FOSFATO- FOSFATO EXTRACELLULARE : serve alla mineralizzazione dell’osso- FOSFATO INTRACELLULARE: serve per la struttura delle membrane e per la fosforilazione di proteine

Valori ematici di PO4 2.4 – 4.5 mg/dlFonti principali di calcio e fosforo sono i formaggi e i latticini, salame, pasta e merluzzo.

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MISURAZIONE DEL CALCIO- Calcio totale (meno preciso) si usano metodi fotometrici con Arsenazo III o CPC (O-cresolftaleina

complexone) e si ha una reazione di colore blu/viola con lettura tra i 570 e i 600 nm

- Calcio ionizzato (più preciso del dosaggio del calcio totale perché una delle proteine principali che lega il calcio è l’albumina che viene prodotta dal fegato, quindi qualsiasi epatopatia può determinare una riduzione dei livelli di albumina e quindi una riduzione anche della quota di calcio legato a proteine, quota che è compresa nel calcio totale. Quindi non risente della quota di calcio legata a proteine): si usano elettrodi calcio-iono selettivi

MISURAZIONE DEL FOSFOROMetodi fotometrici: si utilizza ammonio molibdato con una reazione di colore giallo e lettura a 340 nm__________________________________________________________________________________

REGOLAZIONE DELL’OMEOSTASI DEL CALCIO E DEL FOSFATO[paratormone (PTH), Vitamina D, Calcitonina]

PARATORMONE

Gene: sul cromosoma 11, di 94 kDa e grandezza di 84 aaProdotto dalle paratiroidi che sono 4 ghiandole situate posteriormente alla tiroideViene secreto quando i livelli plasmatici di Ca++ sono ridottiValori normali di PTH sono 10-60 pg/mlLa misurazione del PTH avviene tramite RIA (radio immuno - assays)Il PTH agisce legandosi ad un recettore che fa parte della famiglia dei recettori associati alle proteine G: il gene di questo recettore si trova sul cromosoma 3, è di 585 aa. Il recettore si localizza sugli osteoblasti, cellule renali, cartilagine, cute, placenta, m. liscio, mammella e tessuto nervoso. Possiede la porzione ammino terminale nella parte extracellulare e la porzione carbossi terminale nella parte citoplasmatica.Il ruolo del PTH è quello di aumentare il riassorbimento di calcio dall’osso: riassorbimento significa che c’è il passaggio di calcio dall’osso nel sangue. È un ormone iper calcemizzante. Favorisce in parte anche il riassorbimento di calcio a livello renale , in parte e in maniera indiretta anche a livello intestinale attraverso la vitamina D. quando il soggetto ha livelli di calcio bassi, viene secreto il PTH in modo da favorire il passaggio direttamente dall’osso e dal rene, in maniera indiretta dall’intestino.

VITAMINA D

È un ormone steroideo. Ne esistono 2 forme: colecalciferolo (D3) di provenienza animale Ergocalciferolo (D2) di provenienza vegetaleÈ secreta quando i livelli plasmatici di calcio sono ridotti. È un ormone ipercalcemizzante.Valori normali: 20 – 60 microgrammi/ml. Misurazione mediante RIALe fonti principali di vitamina D sono alimentari o endogene: l’olio di fegato di merluzzo è il principale, salmone fresco, uova, latticini. Tuttavia l’80 % del fabbisogno di vitamina D è garantito dalla irradiazione solare esiste un precursore della vitamina D che si trova a livello sottocutaneo che prende il nome di 7-deidrocolesterolo, il quale in seguito all’esposizione ai raggi ultravioletti, viene convertito in vitamina D3 (ancora non matura). La vitam D3 si lega ad una molecola di trasporto che prende il nome di vitamina D binding protein

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(VDBP): la vitamina D allora viene trasportata al fegato, dove l’enzima 25alfa-idrossilasi la converte in 25- idrossicolecalciferolo che è ancora una vitamina D inattiva. Dopo ad opera sempre della VDBP, la vitamina D inattiva viene trasportata al rene dove esiste l’enzima 1-alfa idrossilasi che converte la vitamina D inattiva o 25- idrossicolecalciferolo in vitamina D attiva cioè in 1, 25-idrossicolecalciferolo. Questa può quindi agire.Il PTH favorisce la trascrizione e la sintesi dell’1-alfa idrossilasi : quindi aumenta la vitamina D attiva e si ha maggior assorbimento di calcio a livello intestinale, a differenza del PTH che invece stimola maggiormente il riassorbimento osseo con rischio di fratture.Il dosaggio della vitamina D è importante nella diagnosi di patologie ossee: è un indice di attività del PTH (se aumentano i valori di vitam D vuol dire che anche il PTH è aumentato), ha bassi costi, si misura mediante ELISA o RIA, ha valori normali tra 20-60 mg/ml. La vitam D può essere somministrata e poiché aumenta il riassorbimento di calcio intestinale, riduce il riassorbimento osseo (è come se compensasse).

CALCITONINA

Gene sul cr 11, di 32 aa, sintetizzato dalle cellule parafollicolari (cellule C) tiroidee, con concentrazione plasmatica di 20 pg/ml. Inibisce il riassorbimento di calcio dall’osso , l’assorbimento di calcio a livello intestinale e renale.

PATOLOGIE LEGATE AL METABOLISMO DEL CALCIO

1 IPOCALCEMIA: riduzione dei livelli ematici di calcio al di sotto dei 8- 8,5 mg/dl. Eziologia: minore secrezione di PTH ipoparatiroidismo, pseudoipoparatiroidimo, riduzione vitam D, ipomagnesemia, insufficienza renale cronica e altre cause.

- Ipoparatiroidismo ereditario: ridotti livelli di PTH, ridotti livelli di calcio e aumentati livelli di fosfato, è dovuto ad alterazioni dello sviluppo paratiroidi sindrome di De George (da delezione di 22q11.2) che porta ipoplasia del timo e delle paratiroidi, malformazioni cardiache, palatoschisi e si verifica nelle prime 24 ore di vita

- Ipoparatiroidismo acquisito: ridotti livelli di calcio ed elevati livelli di fosfato, dovuto a rimozione chirurgica della tiroide (è importante durante la rimozione preservare le paratiroidi così da non essere obbligatoria l’assunzione di calcio dall’esterno) o radioterapia.

- Pseudoipoparatiroidismo: è la sindrome da resistenza all’azione del PTH con aumentati livelli di PTH, bassi livelli di calcio e alti livelli di fosfato. Ne esistono vari tipi: TIPO 1a con resistenza ormonale multipla (es. ormoni tiroidei e ovarici), causata da mutazioni inattivanti della proteina G alfa. Porta a bassa statura, obesità, faccia rotondeggiante, brevità IV/V metacarpo osteodistrofia di Albright

- Ipocalcemia da riduzione di vitamina D per ridotta assunzione dietetica (dieta con 1-1,5 gr di calcio + vitam D/die) o per ridotta esposizione solare

- Ipocalcemia da ipomagnesemia: valori normali di magnesio tra 2-3 mg/dl. Si ha ipomagnesemia con valori di 1 mg/dl. Ridotti livelli di magnesio riducono la secrezione di PTH e quindi anche ipocalcemia. Può essere di tipo primario (con difetti ereditari nell’assorbimento renale o intestinale di magnesio) opp secondario (per pancreatiti, malassorbimento o diuretici).

- Ipocalcemia da insufficienza renale: in caso di insufficienza renale, c’è una ridotta assunzione di vitamina D a livello renale, ipocalcemia, si ha quindi una secrezione di PTH compensatoria e una iperplasia paratiroidea per la continua stimolazione esercitata sulle paratiroidi.

Sintomi e segni dell’ipocalcemia sono neuromuscolari (parestesie, mialgie, spasmo carpo-podalico, spasmo laringeo, tetania, convulsioni, iperreflessia, comparsa dei segni di Chvostek e di Trousseau) opp cardiovascolari (arresto cardiaco, scompenso cardiaco congestizio), e altri quali cataratta e calcificazione dei gangli della base.

SEGNO DI TROUSSEAU: contrazione dei muscoli della mano indotta dal bracciale di uno sfigmomanometro mantenuto ad una pressione di 20 mmHg superiore alla pr. Sistolica per 3 min.

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SEGNO DI CHVOSTEK: contrazione dei muscoli ai margini delle labbra prodotta da percussione del n.facciale (2,5 cm al davanti dell’orecchio)

TRATTAMENTO DELLE IPOCALCEMIE- IPOCALCEMIA ACUTA GRAVE: 200 mg di calcio elementare endovena da ripetersi più volte nelle 24 h.- IPOCALCEMIA ACUTA NON GRAVE – IPOCALCEMIA CRONICA: supplementazioni di calcio (1-2 gr/die) + eventuale vit D + Mg (se concomitante deficit di magnesio)

2 IPERCALCEMIA: aumento dei livelli ematici di calcio al di sopra dei 11,5-12 mg/dl. L’eziologia può essere di origine paratiroidea (iperparatiroidismo primitivo), può essere legata alla vitam. D (intossicazione da vitamina D) e può essere legata ad altre cause.

- Ipercalcemia di origine paratiroidea (iperparatiroidismo primitivo): è la causa più frequente di ipercalcemia, ha una incidenza doppia nelle donne rispetto agli uomini, con picco a 50-80 anni e rara nei bambini. L’eziologia può essere data dalla presenza di un adenoma (81 %), da iperplasia (14-16 %) o da carcinoma (1-3 %). Nel 50 % dei casi è asintomatico: in caso di adenoma, si può avere osteoporosi, osteite fibrosi cistica, fratture ossee e dolore; a livello del sisema nervoso si può avere letargia e depressione; a livello renale si ha nefrolitiasi con conseguente poliuria, ulcera peptidica e calcoli biliari e pancreatite acuta. Diagnosi: elevato aumento di PTH, aumento del calcio totale, del calcio ionizzato, diminuzione della fosfatemia, aumento dell’ALP della calciuria in 24 h e della fosfaturia in 24h. si effettua poi l’ecografia del collo (con identificazione nel 60-70% dei casi), TAC del collo e RMN del collo. La terapia è di tipo preoperatorio con rimozione chirurgica, di tipo postoperatorio (quando c’è ipocalcemia con calcemia < 8 mg/dl si effettua una dieta ricca di calcio).

- Ipercalcemia secondaria: in seguito a neoplasie quali carcinoma polmonare a piccole cellule, tumore mammario e mieloma multiplo. La presenza di marcata ipercalcemia (valori >16 mg/dl), di una velocità di eritrosedimentazione aumentata, di anemia e di una ridotta fosfatemia in un pz che mostra segni di fratture osse (soprattutto alla colonna vertebrale) può indicare la presenza di patologie molto gravi quali metastasi ossee o la presenza di un mieloma multiplo.

- Ipercalcemia legata alla vitamina D (intossicazione da vitam D): assunzione di vitamina D da 50 a 100 volte maggiore comporta un aumento del 25-idrossicolecalciferolo che a sua volta stimola l’aumento dell’1,25- idrossicolecalciferolo, e di conseguenza si ha ipercalcemia.

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Marcatori tumorali

I marcatori tumorali sono impropriamente così definiti. Infatti ad esempio i markers epatite B sono così detti in quanto usati per fare diagnosi, mentre invece i marcatori tumorali NON SERVONO PER FARE DIAGNOSI. Occorrono in ambito clinico per valutazione prognostica e monitoraggio della terapia (monitoraggio generale, se valori dei marcatori si normalizzano la terapia procede bene; se valori tornano elevati, probabilmente terapia non è efficiente nel contrastare la malattia).Trasformazione da cellula normale a cellula neoplasticaQuesta inizia con la proliferazione incontrollata, e conseguentemente con innalzamento di prodotti cellulari in circolo.Inoltre si verifica una perdita di differenziazione: le cellule tendono a riassumere caratteristiche precedenti al percorso di differenziazione produzione proteine ONCOFETALI (di tipo fetale, non espresse nell’adulto se non in condizioni neoplastiche), prodotti specifici (da alcuni oncogeni), prodotti ectopici (tessuto produce proteine non di sua competenza). Quando la cellula normale si trasforma in cellula neoplastica: per la proliferazione cellulare incontrollata si ritrovano elevati livelli di proteine normali e metaboliti in circolo. Inoltre per la perdita di differenziazione si ritrovano proteine oncofetale, proteine prodotte da oncogeni e proteine ectopiche.

Marcatori tumorali sono prodotti dal tumore stesso o sono il prodotto dell’interazione di questo con l’ospite. Prodotti fisiologicamente assenti o PRESENTI IN BASSISSIME CONCENTRAZIONI, possono comparire o aumentare molto in corso di neoplasia.Possono essere:

1) Proteine presenti sulle membrane cellulari (ad esempio proteine di adesione cellulare) 2) Prodotti tipici del metabolismo della cellula (ad esempio enzimi)3) Marcatori legati al grado di differenziazione (ad esempio un ormone, che ovviamente non è definibile propriamente come marcatore tumorale)

ESEMPI DI MARCATORI TUMORALI

Antigeni oncofetali molto utilizzati sono: CEA (antigene carcinoembrionale) ed AFP(αfetoproteina) Ormoni: calcitonina, gastrina, HCG, tireoglobulinaProdotti di oncogeni : erbB2 ad esempioEnzimi : PSA (antigene prostatico specifico)

METODOLOGIE DIAGNOSTICHEFino alla fine degli anni 80 i metodi analitici che si utilizzavano erano basati su sistemi radioimmunologici, molto efficaci perché ottimamente sensibili e specifici. Oggi sono stati abbandonati perché utilizzano traccianti radioattivi. Oggi piuttosto si utilizzano metodi non radioattivi sempre basati su reazione-antigene anticorpo per cui è importante disporre di anticorpi monoclonali. Sono stati sostituiti da metodi immunometrici non radioattivi, automatizzati.

Il marcatore tumorale ideale non esiste. Esso dovrebbe essere in grado di far distinguere tra chi ha una neoplasia e chi no.

HCG gonadotropina corionica, usata come marcatore ma occorre a diverse funzioni.

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Caratteristiche di un marcatore tumorale ideale dovrebbe essere: - Positività precoce- Tumore-specificità (un marcatore ideale dovrebbe essere tumorespecifico)- Organo-specificità (un marcatore ideale dovrebbe essere organospecifico)- Elevata sensibilità- Elevata specificità- Correlazione con lo staging, il grading (TNM) e l’evoluzione clinica della neoplasia

Oggi non è possibile mediante uso di marcatori tumorali distinguere tra soggetti con patologia e soggetti normali.Alcune caratteristiche dei marcatori ideali sono disponibili, e consentono: - supporto clinico-diagnostico - controllo post-operatorio - follow-up (per questo utilizzati in pratica clinica)

Un Marcatore ideale non esiste! Questo perché: 1) Non è detto che tumore esprima quel particolare marcatore. E di conseguenza non ci si può affidare a marcatore

per fare diagnosi. Non è detto che una neoplasia debba esprimere un certo marcatore ideale. Se mi affido ad un marcatore per diagnosticare un tumore rischio di dire al paziente che non è malato quando invece ha il cancro.

2) Non indicano tumori in particolari organi (eccetto alcuni, i marcatori non sono organospecifici). Nessun marcatore è assolutamente organo-specifico

3) I marcatori tumorali non hanno sufficiente specificità e sensibilità: anche se un marcatore è elevato non si può concludere che il paziente sia affetto da neoplasia.

4) I marcatori non hanno nessuna correlazione con stadio, grado differenziazione tumore o evoluzione clinica dello stesso.Non sempre cioè vi è correlazione con lo staging, il grading e l’evoluzione clinica della malattia.

Ampia zona sovrapposizione tra le curve della popolazione normale e popolazione con patologia.Esistono una serie di condizioni di tipo patologico ma non neoplastiche in cui i valori possono aumentare. Es: Ca153 aumenta in caso di tumore della mammella o di altre neoplasie [lesioni maligne a colon, stomaco, fegato,

polmone] (primo problema), ma anche in corso di patologie non maligne della mammella o anche in cisti ovariche.

PSA è organospecifico (prostata). Ma aumenta anche nelle prostatiti e nella ipertrofia prostatica benigna (che è tra l’altro frequente nella stessa fascia d’età del carcinoma prostatico).

Il PSA aumenta in caso di cancro alla prostata, ma anche in lesioni non maligne quali prostatite e IPB. Beta-HCG (gonadotropina corionica umana) molto utilizzata nel monitoraggio dei carcinomi a cellule germinali

(testicolo e ovaio), ma può aumentare anche in altre condizioni maligne, o per stabilire gravidanza. [Variazioni monitorate anche nella gravidanza stessa in base al periodo gestazionale.] β-HCG aumenta in gravidanza, ma anche in caso di alcuni tumori.

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Esistono fattori che influenzano il marcatore: Fattori legati al tumore:

1) Caratteristiche del tumore- Numero di cellule che lo producono - Eterogeneità del tumore- gradi di differenziazione- velocità di crescita e di ricambio cellulare del tumore- vascolarizzazione

Se la neoplasia è di piccole dimensioni (scarso numero di cellule), differenza di valore del marcatore può non risultare rilevabileInoltre entrano in gioco anche fattori quali: l’eterogeneità (se consistente componente stromale, meno marcatore), velocità di crescita, distruzione cellule, vascolarizzazione (componente tumorale poco vascolarizzata ha minore possibilità di riversare in circolo marcatore), emivita, metabolismo, localizzazione cellulare.2) Caratteristiche del marcatore

- localizzazione intracellulare- metabolismo - emivita

Fattori legati all’ospite- eventi fisiologici e abitudini di vita- patologie benigne - procedure diagnostiche

Per quanto riguarda i fattori legati all’ospite, si può dire che questi sono rappresentati da: eventi fisiologici ed abitudini di vita (ad esempio il PSA risulta elevato magari per stimolazione della prostata nel motociclista; e possono incidere sul livello di alcuni marcatori anche il consumo alcool, e il fumo). Ma le stesse procedure diagnostiche, o la presenza di patologie benigne possono influire sui livelli di alcuni marcatori.

Fattori legati al dosaggio- Interferenze dei metodi di dosaggioIn alcuni casi viene utilizzato un CUT OFF, cosa che comunque comporta falsi negativi e falsi positivi: fermo restando però che valori molto elevati possono essere comunque indicativi. È possibile però che vi siano delle interferenze: se ad esempio un paziente presenta anticorpi contro sostanza per precedente patologia autoimmune, non si può rilevare marcatore. Una strategia è quella di effettuare un DOSAGGIO SINGOLO.Un’altra scelta può più accreditata ed adeguata è quella di utilizzare dei DOSAGGI SERIALI NEL TEMPO: viene seguito nel tempo il paziente per verificare le concentrazioni dei marcatori. Singolo referto: si valuta rispetto al valore soglia Più referti successivi: dosaggi seriati nel tempo (monitoraggio)

Non tutti i marcatori tumorali sono uguali: esistono marcatori tumorali di prima scelta e di seconda scelta.1. Di prima scelta i marcatori di prima scelta sono sicuramente utili2. Di seconda scelta possono essere ì utili, nel caso in cui il tumore non esprime marcatori di prima

scelta, o per ottenere informazioni aggiuntive

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In qualche caso per una certa patologia esistono: marcatore di prima e seconda scelta, in altri solo di una tipologia. Es: carcinoma esofago non ha marcatore di prima scelta. Carcinoma follicolare tiroide ha tireoglobulina.Nel caso dl carcinoma midollare della tiroide è la calcitonina il marcatore di prima scelta (organospecificità), e non esistono marcatori di 2° scelta.

Esistono marcatori tumorali più o meno specifici:1) Marcatori a specificità di organo molto elevata (marcatori organo-specifici):

TBHCGPSA

2) A specificità per tipo cellulare (marcatori cellulo-specifici):CTNSE

3) Marcatori non tessuti specifici, ma quantitativamente correlati ad un dato tipo istologico:TPA, TPS [sono tipici dei carcinomi squamosi (polmone e mammella)]CEA, Ca19-9, Ca15

Quando usare marcatori tumorali:

Screening: per poter essere utile per uno screening un marcatore dovrebbe avere elevata sensibilità e specificità. Non esistono marcatori con questo tipo no screening di massa. I markers tumorali hanno sensibilità e specificità limitate. Non devono pertanto essere usati in programmi di screening di massa. In alcuni casi i markers possono essere usati per screening di popolazioni selezionate con maggior rischio di tumore.Si potrebbe pensare di confinare ad esempio in situazioni mirate:

- Es. carcinoma midollare della tiroide, familiare. - Es. PSA come screening nei maschi adulti > 60 anni, soprattutto in casi di familiarità.- Alfafetoproteina può essere utile perché si innalza nelle epatopatie, ma ancora di più nel carcinoma

epatocellulare: un soggetto con epatita cronica evolutiva viene monitorato perché è a rischio di sviluppare carcinoma (se si innalza alfafetoproteina, problema).

In ogni caso comunque lo Screening lo si può effettuare solo mirato su popolazione a rischio.

I MARKERS TUMORALI NON SONO DI AIUTO DIAGNOSTICO A CAUSA DELLA LIMITATA SENSIBILITÀ E SPECIFICITÀL’USO DI MARKERS TUMORALI DEVE ESSERE LIMITATO A FASE SUCCESSIVA LA DIAGNOSI, AVVENUTA PER CRITERI DI LABORATORIO DIFFERENTI.I marcatori tumorali possono essere utili per le metastasi a partenza ignota, per individuarne la sede di origine. Nella ricerca della sede di origine di metastasi a partenza ignota l’uso dei markers può essere utile solo nel caso di tumori secernenti.Se si tratta di un tumore secernente una sostanza tumorespecifica, allora marker utile in RICERCA di metastasi a partenza ignota.ESEMPIO Nel caso in cui si abbia una lesione di natura secondaria a partenza ignota, e sospetto che l’organo di partenza sia la tiroide, cerco la tireoglobulina.

Nel caso di un tumore primitivo già diagnosticato, il dosaggio dei markers tumorali deve essere fatto per:- Avere un valore basale prima della terapia

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- Avere indicazioni indirette sulla estensione della malattia (i valori ematici dei markers sono spesso proporzionali alla massa del tumore)

- Avere indicazioni aggiuntive circa l’isotipo per i tumori nei quali diversi isotipi producono markers diversi

- Avere indicazioni prognostiche aggiuntive

Dunque valori di laboratorio possono: indicare un valore basale prima dell’inizio di una terapia, possono dare indicazione indiretta sullo stato della malattia (ma comunque una eventuale TAC aiuta di più), dare indicazioni istotipiche (ma l’esame istologico sarebbe più indicato ovviamente).Possono generalmente offrire indicazioni aggiuntive.

Monitoraggio a breve termine dopo la terapia primaria:- Livelli elevati persistenti dopo una terapia ritenuta radicale suggeriscono la possibile presenza di

malattia occulta, residua o disseminata.- L’incremento del livello può precedere di parecchi mesi l’evidenza clinica o strumentale della

ripresa della malattia- Nel caso di neoplasie curabili in fase avanzata il marker può incidere in modo critico sulle decisioni

cliniche

I marcatori tumorali sono utili per MONITORAGGIO A BREVE TERMINE DOPO TERAPIA PRIMARIA.Possono dare indicazione di eventuale persistenza malattia. Alcuni sono utili per diagnosticare RECIDIVA o RIPRESA DELLA MALATTIA, utilissimi spesso, perché spesso la situazione precede i sintomi (si può intervenire subito, prima che sia troppo tardi).

Circulating tumor cells (CTCs)

In caso di METASTASI (diffusione cellula neoplastica attraverso circolo): CIRCULATING TUMOR CELLS (CTCs)Le circulating tumor cells sono cellule distaccatesi da tumore solido per entrate in circolo. Sono cioè cellule che si sono distaccate dal tumore solido, e che si trovano in circolo.Si possono trovare in qualunque tipo di neoplasia. Vengono utilizzate in particolare in caso di carcinoma mammella, prostata, colon-retto, ovaio e polmone. In genere non si riscontrano in pazienti con neoplasia benigna.Per ricercare le circulating tumor cells:Si effettua il prelievo di sangue dal paziente. In caso di neoplasia epiteliale, si vanno a ricercare molecole di adesione presenti sulle cellule (tipiche delle cellule epiteliali), identificabili ed estrapolabili dalle altre cellule. Questo lo si fa appunto in caso di carcinomi. Nel sangue vi sono, oltre a cellule epiteliali, anche leucociti: si usano quindi anticorpi anti-cellule epiteliali ed anticorpi anti-recettori tipici dei leucociti (CD45 in particolare) andando a discriminarle con immunofluorescenza. Il citofluorimetro evidenzia diversi picchi di fluorescenza. Nel sangue vi sono, oltre a cellule epiteliali, anche leucociti: si evidenzia con sistemi di fluorescenza il tipo di cellula. Se ho un anticorpo specifico con la proteina sulla cellula epiteliale, si ottiene un legame specifico. Posso utilizzare particolari marcatori fluorescenti come anti-HER2 fluorescenti per evidenziare quel particolare tipo di cellula.Distinguo le cellule epiteliali dai leucociti perché questi invece presentano proteine come CD45 che lega anticorpi anti-CD45. Distinguiamo i due tipi di cellule con il citofluorimetro.

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Chi ha un basso numero di cellule circolanti ha una più lunga sopravvivenza rispetto a chi ha elevati livelli di cellule circolanti. È possibile prendere quindi scelte terapeutiche diverse in virtù dei risultati della ricerca di CTCs.Sopravvivenza è ovviamente migliore nei pazienti che hanno minor numero di CTCs. Queste sono un fattore prognostico indipendente, e utilissime per monitorare risposta alla terapia. Dato che queste cellule si staccano anche dalle metastasi, si possono avere informazioni anche dell’andamento delle metastasi stesse.

NSENell’ambito della categoria degli enzimi esiste un altro marker tumorale: l’NSE (Enolasi Neurone Specifica): ne esistono diversi isoenzimi, ma quelli αα e αγ sono ampiamente espresse sia nei neuroni che nelle cellule APUD => nei tumori come neuroblastoma o microcitoma, cioè tumori neuroendocrini, si può avere un rialzo dei livelli circolanti di questo marcatoreUtilizzo clinico NSE: come gli altri marcatori tumorali, non è utilizzabile per diagnosi di tumore; utilizzato soprattutto per la prognosi e per l’indirizzo terapeutico, principalmente per il microcitoma. Emolisi: essendo un enzima emolitico, quando il campione è emolitico i liv di questo marcatore sono elevati e di conseguenza un falso positivo può essere connesso ad un campione di siero emolitico.

MucineUn’altra classe di marcatori tumorali sono le mucine: glicoproteine ad elevato peso molecolare formate da uno scheletro proteico, detto apomucina, al quale sono poi legati numerosi residui oligosaccaridici. Esistono 2 classi di mucine: le mucine secrete, tipo la mucina 2, 6 e 7; le mucine associante a membrana, tipo la mucina 1, 3, 4, ecc. queste due diverse classi hanno funzioni diverse: le prime formano il muco che riveste le pareti del cavo orale e le pareti dell’apparato respiratorio, gastrointestinale e urogenitale, dove formano una barriera protettiva per questi epiteli; le mucine di membrana sono invece i ligandi delle selectine, le quali sono delle molecole di adesione => queste mucine hanno un ruolo nella formazione delle metastasi in quanto l’adesione è uno degli aspetti fondamentali per la formazione delle metastasi.Qual è il meccanismo che fa aumentare i livelli in circolo di queste proteine? Normalmente, in condizioni non patologiche, le mucine vengono secrete nel lume; la situazione cambia quando si ha un tumore che altera l’architettura tissutale: non si ha + un meccanismo monodirezionale di secrezione nel lume, ma succederà che una massiccia quantità di mucine entra in circolo e, in seguito a questo meccanismo, le mucine aumentano in circolo in caso di neoplasia. Le mucine + frequenti aumentate nei tumori sono:

i) CA125: aumenta principalmente nei tumori ovarici;

ii) CA 15.3: aumenta principalmente nei tumori della mammella;

iii) CA 19.9: aumenta in generale nei tumori gastrointestinali, ma soprattutto nei tumori pancreatici.

Utilizzo clinico mucine:i) CA125 : non ha nessun utilizzo diagnostico né di screening, dal momento che aumenta in tumori in

distretti diversi dall’ovaio; ma soprattutto aumenta in condizioni assolutamente non patologiche: mestruazioni (per questo non va bene per lo sceening). aumenta inoltre anche in condizioni patologiche diverse dai tumori, es nelle endometriosi => no diagnosi, no screening;

serve invece per il follow, cioè per diagnosticare patologie occulto-recidive in una paziente a cui era stato già diagnosticato il cancro dell’ovaio e che viene operata per rimuovere questo cancro, quindi la paziente in questo caso aveva: liv elevati di CA 125 nel pre-operatorio e che viene dosata nel post-operatorio proprio per il dosaggio di questo marcatore. Il dosaggio non va effettuato SUBITO DOPO L’INVERVENTO! In quanto, per il traumatismo (?)peritoneale si ha un aumento legato proprio all’evento

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chirugico => questo marcatore può essere utilizzato per individuare patologie occulte o recidive a distanza di almeno 2 settimane.

ii) CA 15.3: è un epitopo della mucina Mut1, che è una mucina di membrana e quindi serve anch’essa per l’adesione; di conseguenza i livelli ci CA15.3 sono direttamente correlati al potenziale metastatico delle cellule tumorali e infatti l’applicazione clinica maggiore è legata proprio all’evidenza delle pazienti in fase metastatica, ovvero il 70% delle pazienti con carcinoma della mammella in fase metastatica presentano livelli molto di elevati di CA 15.3. Quindi: ci da un valore prognostico e ci consente di seguire il decorso clinico della malattia ed è utile anche nel follow up per evidenziare precocemente metastasi.

Anch’esso non ha nessuna utilità diagnostica in quanto aumenta anche nelle patologie benigne del seno, malattie autoimmuni, epatopatie, ecc.

iii) CA 19.9: merita un discorso a parte in quanto c’è un bias fondamentale nell’utilizzo clinico di questo marcatore che è il gruppo sanguigni di Lewis dell’individuo. Antigene di Lewis: come esiste il gruppo AB0 e Rh esistono altri gruppi, ovvero altri antigeni che possono essere presenti sui globuli rossi, identificati come antigeni dei gruppi Lewis, Kell, Duffy, Kid; sono gruppi sanguigni minori che vengono tipizzati solo in soggetti particolari, come i politrasfusi in quanto gli antigeni di questi gruppi sono immunogeni minori e quindi ognuno di noi sa se è A, B, AB, ecc. ma non se è Kell positivo, Lewis positivo, ecc a meno che non siamo politrasfusi nei quali è importante conoscere questi gruppi minori e si vede anche quello di Lewis.

Il CA 19.9, che è un marcatore tumorale ad altissima sensibilità: + dell’80% del cancro del pancreas è la forma 2,3 sialilata dell’antigene Lewis A (che è un gruppo sanguigno); relativamente al gruppo di Lewys un individuo può essere Lewys A, Lewys B o Lewys negativo. Quello che succede riguardo l’antigene CA19.9 è che: i soggetti Lewys A hanno liv altissimi di CA19.9; i Lewys B ne hanno liv alti ma minori rispetto a quelli Lewys A; i Lewys negativi non esprimono il CA 19.9 e questo è un problema in quanto non lo esprimono anche se hanno un tumore del pancreas enorme.

Influenza sul CA 19.9 dell’antigene di LewisL’espressione degli antigeni del gruppo di Lewis dipende da 2 geni: il gene Se/H e il gene Le (Lewis). La sintesi dell’antigene Lewis A è determinata dalla fucosil-trasferasi codificata dal gene Le, la quale è la stessa fucosil-transferasi che troviamo nella sintesi di sialil-Lewis (che sarebbe CA 19.9): quindi un soggetto Lewis ha non ha difficoltà a sintetizzare questo antigene perché ha l’enzima; il soggetto Lewis B pure ha l’enzima ma fa meno CA 19.9 in quanto la sintesi del Lewis B richiede un passaggio effettuato dall’enzima codificato dal gene Se/H che compete con la fucosil-trasferasi e la sialil-transferasi per la modificazione del precursore; quindi: produce CA19.9 ma ne produce di meno; un soggetto Lewis negativo ha la fucosil-trasferasi inattiva e quindi non produce il CA 19.9. Siccome il 5-10 % della popolazione europea è Lewis negativa, questi soggetti risulteranno negativi al CA 19.9 sempre, anche con un tumore enorme; inoltre gli eterozigoti per il gene Lewis e Se/H esprimeranno comunque liv + bassi di CA19.9, se segue che in prospettiva si tenderanno a sviluppare dei test in cui si valuteranno insieme sia il genotipo del soggetto che i liv del marcatore, altrimenti il numero che otteniamo può non rispecchiare esattamente la realtà. (Es il medico che VEDE il tumore al pancreas, con tecniche diagnostiche, e non si spiega come mai il CA19.9 è 0 nelle indagini di laboratorio perché non conosce questo Bias; si trova a non avere un marcatore per seguire il decorso clinico del suo paziente).Utilizzo clinico CA 19.9: per la prognosi ed il follow up dei soggetti però Lewis positivi; utile anche nel cancro del colon come marcatore di seconda scelta rispetto al CEA in quanto si è visto che i liv circolanti di CA 19.9 sono correlati al tempo di sopravvivenza del paziente in quanto stiamo parlando sempre di una mucina che quindi in qualche modo è sempre correlata a quello che è il potenziale metastatico della cellula. Nel cancro dello stomaco questa mucina è usata per identificare recidive. Come al solito non può

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essere utilizzato per diagnosi in quanto aumenta in tutte le patologie benigne, soprattutto in quelle che coinvolgono le vie biliari in quanto l’eliminazione di questa mucina avviene proprio attraverso le vie biliari.

Markers tumorali prodotti di oncogeni: Erb-B2Erb-B2 è il recettore dell’EGF e la sua mutazione attivante si in una certa quota di tumori della mammella (circa il 30%) ma la mutazione da sola di questo recettore non provoca da sola il tumore. Come funzionano questi recettori? In seguito al legame del ligando dimerizzano si autofosforilano e attivano una cascata di segnali a valle che stimola la proliferazione cellulare (uno degli eventi di sregolati quando una cell normale va in contro a trasformazione). Ognuno dei quattro elementi di questa famiglia di recettori ha un danno che lo attiva e che causa gli eventi di cui sopra; tranne Erb-B2 il quale, quando iperespresso, dimerizza con altri Erb-B2 o altri recettori della famiglia avviando in maniera incontrollata la proliferazione cellulare. Struttura del recettore

- Porzione extracellulare che contiene il dominio del ligando, che non lega in quanto non ha ligandi;

- Segmento idrofobico transmembrana

- Porzione intracellulare che contiene l’attività tyrchinasica

Quello che si è visto è che esiste una metallo-proteasi in grado di clivare il frammento all’estremità N-terminale, il quale viene rilasciato in circolo ed è molto utile in quanto si può determinare l’antigene circolante per avere informazioni cliniche; in particolare si è visto che circa il 30% dei tumori della mammella sovraesprime Erb-B2 e questa iperespressione è legata a caratteristiche di prognosi estremamente sfavorevoli, es presenza di metastasi ai linfonodi, elevata % di cell in fase S, la perdita del recettore degli steroidi; quest’ultima è una caratteristica molto negativa per il tumore della mammella in quanto se normalmente esprime il recettore per l’estradiolo, somministrando il tamoxifen il quale, competendo con l’estradiolo per il legame al recettore, ci consente di controllare la crescita del tumore ma se non c’è il recettore per gli steroidi il tamoxifen non ha + effetto. Quindi il primo utilizzo clinico del dosaggio dei livelli circolanti di Erb-B2 è un utilizzo prognostico in quanto chi ne esprime di + ha una prognosi + sfavorevole. Inoltre con il dosaggio sierico abbiamo un’informazione molto + precocemente ed in maniera poco invasiva rispetto alla biopsia: infatti prima che fosse disponibile in dosaggio di Erb-B2, normalmente si vedeva con l’immunoistochimica (su campione bioptico). In + Erb-B2 è stato identificato come importante target medico per cui è stato messo a punto il Trastuzumab, che è un anticorpo murino umanizzato in grado di bloccare la formazione di eterodimeri e di aumentare la degradazione intracellulare di Erb-B2, questo ci interessa in quanto la somministrazione di questo farmaco comporta remissioni cliniche in oltre il 75% dei pazienti e quindi l’Erb-B2 oltre a dare indicazioni prognostiche ci permette anche di selezionare dei pazienti che possono trarre beneficio da questa terapia, ovvero pazienti che iperesprimendo Erb-B2 sono un target ideale per la terapia con Herceptin (= Trastuzumab); non solo, ma dato il meccanismo d’azione del farmaco, il dosaggio sierico di Erb-B2 ci consente anche di monitorare la risposta della paziente alla terapia.

PCA3

E’ frutto dell’era post-genomica: il genoma umano è stato studiato “in tutte le salse” e ciò è stato importante anche in campo oncologico e clinico dal momento che è stato possibile vedere come alcuni geni sono caratteristicamente iperespressi in alcuni tipi di tumori, e questo è il caso PCA3. Esso è stato identificato nel 1999 come mRNA non codificante espresso in modo aumentato nelle urine di pazienti affetti da cancro della prostata, dove si è visto che questo gene è iperespresso nelle cellule maligne prostatiche, ma non nelle cell normali prostatiche e non nelle cellule di altri organi; quindi: come il PSA è organo-specifico, ma a differenza di questo è anche tumore-specifico, visto che il PSA aumenta anche nelle patologie benigne, cosa che non fa il PCA3.

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Non viene usato subito il PCA3 in quanto il suo rilevamento ha costi elevati e richiede una metodica + invasiva in quanto viene dosato nelle urine dei pazienti post esplorazione digito-rettale. Il problema è che: il PSA è una proteina dosabile in circolo; il PCA3 è un miRNA che deve essere dosato nelle urine dei pazienti ed in particolare nelle cell esfoliate nelle urine dei pazienti dopo esplorazione digito-rettale (ovviamente è molto + difficile da rilevare e dosare) con una tecnica di biologia molecolare che costa circa 250 euro, contro il dosaggio del PSA che costa solo 15 euro (c’è anche un problema di costi); inoltre c’è anche un problema di lettura del test in quanto attualmente la letteratura indica il rilevamento dell’attività di PCA3 in rebiopsia (seconda biopsia), serve proprio ad evitare la seconda biopsia del paziente: se il PCA3 è elevato il paziente viene sottoposto a seconda biopsia, in quanto c’è forte rischio di ricomparsa del tumore; se il PCA3 è normale si tende ad evitare una seconda biopsia in quanto è invasiva e non esente da rischio di infezioni, sanguinamenti ed effetti collaterali vari, anche psicologici al paziente. Ma comunque non è usato per la diagnosi, anche se gli studi in letteratura + recenti stanno valutando l’uso di PCA3 anche in prima biopsia, cioè potrebbe servire probabilmente in futuro valutandolo anche per avere la predizione iniziale di fare o meno la biopsia al paziente in base al rischio che c’è di avere cancro della prostata; in realtà questo si avrà quando ci sarà l’evoluzione di metodica, che già è in atto: in America stanno già studiando una metodica che costa di meno in modo da poterla applicare anche su un’ampia popolazione di pazienti candidati alla prima biopsia per cancro della prostata (che non sono pochi perché il cancro della prostata è il primo per frequenza nell’uomo). Quindi utilizzo PCA3: riduzione del numero di biopsie non necessarie in pazienti candidati alla rebiopsia (pazienti in cui la prima biopsia è negativa, ma presentano es esplorazione digito-rettale sospetta e valori di PSA elevati o storia familiare positiva per cancro della prostata, ovvero pazienti che hanno dei fattori di rischio e che andrebbero risottoposti a biopsia); al contrario il PHI (della lezione precedente) viene utilizzato per utilizzato per prima biopsia;

conclusione

I marcatori tumorali non servono in test di screening o diagnosi ma servono per prognosi e follow up; nell’ambito della diagnosi esistono però alcune eccezioni:

- Nuclei ad alto rischio: parenti di pazienti affetti da carcinoma midollare alla tiroide di tipo midollare- Conferma del sospetto: es paziente con anemia e sangue occulto nelle feci, se ha il PCA elevato è molto

verosimile che abbia un cancro del colon- Orientamento diagnosi: in alcuni casi i marcatori servono per capire dov’è il tumore primario e non si sa la

sede del tumore primario; livelli elevati di PSA indicano che il tumore primario e alla prostata (es un 80enne che arriva con metastasi ossee, ma generalmente anche il tumore alla mammella può dare metastasi ossee)

Domande

Sono utili su una popolazione asintomatica a rischio? No, tranne un’unica eccezione; l’unica eccezione sono i parenti dei pazienti affetti da carcinoma midollare alla tiroide. Per screening sulla popolazione sintomatica c’è utilità? Si, ma in quali casi? Si tratta di casi in cui abbiamo i sintomi, ma ancora non è stata diagnosticata la neoplasia: (il PSA assolutamente no per diagnosi! Si viene bocciati!) si può usare l’α-fetoproteina in pazienti con epatopatia cronica evolutiva in quanto PUÒ evolvere in carcinoma epatocellulare e i pazienti sono già sintomatici, ma sui quali non è ancora stato diagnosticata la patologia neoplastica; oppure si può usare la Gonadotropina Corionica Umana nei pazienti con mole idatiforme che possono poi sviluppare carcinoma. La corrispondenza tra l’andamento del mercatore e la metastatizzazione e/o la recidiva del tumore c’è sempre per tutti i marcatori, però quando il marcatore è informativo nel pre-operatorio: esiste infatti una variabilità interindividuale che può essere legata a diversi bias (es CA 19.9, esso se è alto nel preoperatorio allora il suo andamento corrisponde a metastasi e recidive nel paziente)Osservando tutti i marcatori:

- tutti servono per monitoraggio e recidiva- quasi tutti per prognosi- nessuno per screening nessuno apparte l’α-fetoproteina però nei soggetti HRP (High RiscK Patients, soggetti

con epatopatia cronica evolutiva).

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Epatite B

HBV principale membro della famiglia degli Hepadna virusL’infezione è endemica in diverse aree del mondo Diversa distribuzione geografica dei genotipi HBVInfezione cronica associata con patologie epatiche350 milioni di individui cronicamente infetti Vaccino disponibile>1 milione morti /anno per patologie croniche associate ad HBVInfezione diffusa in Asia e nelle popolazioni del Sud PacificoGenoma piccolo, circolare, parzialmente a doppia catena di DNA del peso di 3.2 kb4 geni: HBsAg, HBcAg, HBV Pol/RT, proteina X HBsAg (glicoproteina dell’envelope di superficie, identificata per prima nel siero di un soggetto australiano detto perciò anche antigene Australia), HBcAg (proteina del capside virale), HBV Pol/RT (enzimi), proteina X (transattivatore trascrizionale la cui funzione è ancora sconosciuta). La replicazione coinvolge una trascrizione inversa (RT) in catene di HBV da un’iniziale trascrizione di HBV RNA.I marcatori sierologici includono: HBsAg (antigene di superficie) che è un marcatore di infezione attiva; HBeAg, HBV DNA e HBV Pol, che sono marcatori di replicazione.HBV ha 8 genotipi diversi con impatti patogenetici altrettanto diversiIl virus possiede virioni con pericapside, contenenti un genoma circolare a DNA, parzialmente a doppio filamento. Sebbene sia un virus a DNA, esso codifica una retrotrascrittasi e la replicazione del genoma avviene per mezzo di un intermedio a RNA circolare. Il virus codifica per una serie di proteine ( HBsAg [L, M, S], HBe/HBc) che condividono le sequenze geniche ma con codoni di inizio diversi. Hbv ha uno stretto tropismo tissutale per il fegato di uomini e scimpanzè soltanto. Le cellule infettate da HBV producono e rilasciano una grande quantità di particelle di HBsAg prive di DNA. Il genoma di HBV può integrarsi nel cromosoma ospite. Il virione detto anche particella di Dane ha un diametro di 42 nm: i virioni sono solitamente stabili , trattandosi di un virus con pericapside, in quanto resistono al trattamento con etere, a un basso ph, al congelamento e al riscaldamento moderato ciò favorisce la trasmissione da persona a persona e ostacolano la disinfezione.StrutturaProcedendo verso l’esterno, è presente un capside icosaedrico formato dall’antigene del core dell’epatite B cioè HBcAg e da un pericapside contenente tre forme dell’antigene glicoproteico di superficie dell’epatite B cioè HBsAg. Poi c’è l’antigene proteico dell’HBV cioè HBeAg (dell’envelope) che nonostante condivida gran parte della sequenza amminoacidica con HBsAg, viene processato in modo diverso dalla cellula e viene secreto per primo nel siero.Le particelle che contengono HBsAg vengono rilasciate nel siero delle persone infette e sono in sovrannumero rispetto ai virioni totali. Queste particelle possono essere sferiche (ma comunque più piccole dei virioni stessi)o filamentose. Sono immunogene e sono state utilizzate per l’allestimento del primo vaccino commerciale contro l’HBV. Quindi nel sangue troviamo 3 forma di particelle: 1° forma virus completo (virione o particella di dane)2° forma molecole di HBsAg che si aggregano l’una con l’altra che non contengono DNA al loro interno e sono molto numerose3° forma particelle di HBsAg che contengono DNA, sono più poche e sono infettanti

Antigene di superficie del virus HBV (HBsAg): 55

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• È facile dosarlo perché è Prodotto in eccesso rispetto alle particelle virali complete (ca. 102 – 103)

• Diffuso nel circolo sanguigno sotto forma di particelle sferiche o filamentose

• I corpi sferici e filamentosi non sono infettivi

• L-HBs costituisce solo 2%

• HBsAg è un marcatore d’infezione molto importante – riflette il bilancio tra virus e risposta immunitaria, ma non ci da informazioni sicure sulla replicazione del virus

Ciclo replicativoDopo l’entrata nell’epatocita e la liberazione del core nel nucleocapside, il genoma a DNA parzialmente a doppio filamento viene completato ad opera di enzimi presenti nel core e quindi rilasciato nel nucleo. La trascrizione del genoma produce 4 mRNA, tra cui uno più grande di 3500 basi, che migrano nel citoplasma e vengono tradotti in proteine. Le proteine del core si assemblano attorno all’mRNA di 3500 basi e viene sintetizzato in DNA a polarità negativa grazie all’attività di una retrotrascrittasi presente nel core. L’RNA viene poi degradato mentre viene sintetizzato il DNA a polarià positiva. Il core viene rivestito dal pericapside prima del completamento del DNA a polarità positiva e il virione viene rilasciato mediante esocitosi (virus con DNA maturo e infettivo), insieme a particelle sferiche o filamentose di HBsAg (non infettive).HBV può causare epatopatia acuta o cronica, sintomatica o asisìntomatica. L’instaurarsi dell’una o dell’altra foma sembra diendere dalla risposta immunitaria del soggetto: HBV infetta il fegato, ma non causa danno citopatologico diretto . la lisi immunitaria cellulo mediata delle cellule infettate è responsabile della sintomatologia e conduce a risoluzione dell’infezione. Quindi una risposta immunitaria insufficiente può condurre a cronicizzazione che predispone allo sviluppo di conseguenze più graci quali epatite fulminante, carcinoma epatocallulare e cirrosi.

Infezione Acuta:

- HBsAg presente < 6 mesi - Normale risposta immunitaria.

Infezione cronica

- L’infezione cronica è definita dalla presenza di HBsAg nel siero per un tempo > di 6 mesi - Il decorso clinico è variabile. I pazienti sono generalmente o sintomatici o asintomatici fino al momento dell’evidenza dell’ insufficienza epatica.- Alcuni pazienti sviluppano malattia necroinfiammatoria, che può portare alla cirrosi o all’epatocarcinoma. L’infezione può causare considerevole morbilità e mortalità

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HBs Ag prodotto in eccesso

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- La progressione della malattia è associata ad elevata e persistente replicazione virale.

Trasmissione: verticale ed orizzontale (è importante per la prevenzione e la diagnosi)Il virus si trasmette principalmente per via perinatale, parenterale e sessuale. La trasmissione avviene tramite sangue e componenti ematici in corso di trasfusione, scambio di siringhe, agopuntura, piercing o tatuaggi e attraverso contatti personali molto stretti che comportano scambio di liquido seminale, saliva, secrezioni vaginali (rapporti sessuali e parto). Il personale sanitario è a rischio a causa di incidenti che coinvolgono siringhe e strumenti appuntiti. La promiscuità sessuale e l’uso di droghe, sono i principali fattori di rischio di infezione da HBV. HBV può essere trasmesso ai bambini mediante contatto con il sangue materno alla nascita e attraverso il latte della amdre. I bambini nati da madri HBV positive croniche, sono ad alto rischio di infezione. Quindi distinguiamo:

1. Trasmissione verticale

- Perinatale (dalla madre al feto )

2. Trasmissione orizzontale

- Basso grado di trasmissione : Urine, feci, sudore, lacrime, latte materno, e.g. trasmissione bambino-bambino- Grado intermedio di trasmissione: Liquido seminale, Liquido vaginale, Saliva, e.g. contatto sessuale- Alto grado di trasmissione: sangue, siero, essudato delle ferite, e.g. iniezioni e trasfusioni

Quindi bisogna scegliere bene quale liquido biologico utilizzare per andare a dosare gli antigeni, in base alla diversa capacità di esplicare la carica virale: preferiremo il sangue rispetto alla saliva ad esempio.

Fattori di rischio di trasmissione orizzontale Più partner sessuali (47%) Tossicodipendenza (13%) Contatti familiari (3%) Operatori del settore sanitario (2%)Trasmissione sconosciuta (35%) : persone provenienti da regioni endemiche (cina, africa, alaska, isole del pacifico), pazienti in dialisi, in trasfusione o trapiantati.

Il virus inizia a replicarsi nel fegato entro 3 giorni dall’infezione o più, a seconda della carica infettante, della via di trasmissione e del soggetto. L’infezione procede per un tempo relativamente lungo senza provocare danno epatico (ad es aumento dei livelli degli enzimi epatici) o sintomi. Durante questo periodo copie del genoma di HBV si integrano nella cromatina degli epatociti e rimangono latenti. L’accumulo intracellulare delle forme filamentose di HBsAg può determinare danni citopatici a carico dell’epatocita con il caratteristico aspetto “a fondo di bottiglia”. L’immunità cellulo mediata e l’infiammazione sono responsabili della sintomatologia e dell’effettiva risoluzione dell’infezione da HBV con eliminazione dell’epatocita infetto. Una risposta insufficiente da parte delle cellule T una sintomatologia lieve, determina mancata risoluzione dell’infezione e sviluppo di epatite cronica. Gli anticorpi (ottenuti con la vaccinazione) generalmente possono proteggere dall’infezione iniziale, impedendo l’arrivo del virus al fegato. In seguito la quantità in eccesso di HBsAg nel siero, va a legarsi agli anticorpi bloccandone l’azione neutralizzante e limitandone in tal modo la capacità di risolvere l’infezione. Gli immunocomplessi formati da HBsAg e anticorpi anti- HBs contribuiscono allo sviluppo di reazioni di ipersensibilità conducendo a complicazioni quali vasculiti, rash e danno renale. I neonati e i bambini piccoli hanno un sistema immunitario immaturo e quindi una minore capacità di risolvere l’infezione, tuttavia sviluppano un danno tissutale inferiore con una sintomatologia più lieve. Il 90 % dei neonati infettati prima del parto diventano portatori cronici e la replicazione virale persiste in questi

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soggetti per lunghi periodi di tempo. Anzi tanto più è precoce l’età di contrazione dell’infezione, tanto maggiore sarà la possibilità di sviluppare una infezione cronica.

Diagnosi di laboratorio TEST SIEROLOGICI PER LA DIAGNOSI DI INFEZIONE DA HBV ( MARKERS HBV)

La diagnosi iniziale di epatite può essere fatta sulla base del quadro clinico e della presenza di un innalzamento degli enzimi epatici nel sangue. Tuttavia la sierologia dell’infezione da HBV descrive il decorso e la natura dell’epatopatia. Le infezioni acute e croniche possono essere distinte in base alla presenza di HBsAg e HBeAg nel siero e in base al profilo di risposta anticorpale nei confronti dei singoli antigeni di HBV. HBsAg e HBeAg vengono rilasciati in circolo durante la replicazione virale. Il rilevamento di HBeAg si correla meglio alla presenza di virus infettanti. Un’infezione cronica può essere diagnosticata in presenza continua di HBsAg, HBeAg o di entrambi e dall’assenza di anticorpi diretti contro questi antigeni. Durante la fase sintomatica dell’infezione, non è possibile rilevare anticorpi contro HBsAg e HBeAg perché gli anticorpi sono complessati con gli antigeni nel siero. Il metodo di scelta per diagnosticare un’infezione acuta recente, soprattutto durante il periodo in cui non si rilevano HBsAg né gli anticorpi anti-HBs (periodo finestra, che varia in base alla diversa capacità del sistema diagnostico, oggi è di circa 3 sett) è il dosaggio delle IgM anti-HBc.Antibody detection

Anti-HBe, Anti-HBs, Anti-HBc IgM, Anti-HBc total (non ci danno informazioni specifiche) HBeAg, HBsAg (ci danno informazioni più specifiche)NB: HBcAg non può essere dosato in quanto si trova all’interno del virus

Test Sierologici• HBsAg marker infezione attiva

• HBsAb guarigione e/o immunità

• anti-HBc IgM marker di infezione acuta

• anti-HBc IgG infezione cronica o pregressa

• HBeAg Replicazione attiva ( alta infettività)

• Anti-Hbe virus non replicante. Il paziente potrebbe essere ancora HBsAg positivo ( per genoma integrato di HBV).

• HBV-DNA monitoraggio della terapia

Ricerca del HBV DNA( PCR)• Non è utilizzata per la diagnosi di infezione acuta o cronica

• Necessaria per misurare il viral load ed il monitoraggio della terapia

• Valutazione dello stato di portatore asintomatico

• Consente di valutare nei pazienti la emergenza di ceppi mutanti

Discrepanza tra HBV DNA e HbsAg: la riduzione dei livelli di HBV DNA indica una riduzione della replicazione virale; invece una riduzione di HBsAg (di quelle HBsAg difettive di DNA) indica una

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riduzione dell’attività di trascrizione cccDNA/ mRNA. La clearance dell’HBsAg nel siero è considerata l’outcome ideale per l’epatite B cronica,

Cattivi marcatori cioè marcatori positività all’HBV - HBsAg

- HBeAg

- HBV-DNA

BUONI marcatori marcatori di buona prognosi- HBsAb

- Anti-Hbe bloccano la replicazione virale

Neutrali marcatori- anti-HBcIgM

- anti-HBcIgG

Nella fase precoce acuta presintomatica, compaiono solo HBsAg (1° evento) . Nella fase di infezione acuta, non si trovano anticorpi se non le IgM anti-HBc (2° evento, 12-16 sett). Si hanno elevati livelli di HBsAg fino a 6 mesi ed elevati livelli anche di HBeAg (che porta alla diffusione del virus) 3° evento. Nella fase di passaggio alla infezione cronica, scompaiono gli anticorpi anti-HBc IgM e compaiono gli anticorpi anti-HBc IgG. Nell’infezione cronica quindi, sono presenti elevati livelli di HBsAg e di HBeAg, e di anticorpi anti-HBc IgG. Se compaiono gli anticorpi anti-HBe che abbassano la replicazione virale intorno al 3°-4° mese, che rappresentano la prima risposta anticorpale, si ha una infezione cronica non-replicativa; altrimenti continua la persistenza di HBeAg e si ha infezione cronica replicativa.Nella guarigione sono rilevati gli anticorpi anti-HBc, anti-HBs e anti-HBe (anche se questi possono essere negativi dopo patologia cronica). C’è la scomparsa di HBsAg e di HBeAg.Dopo vaccinazione compaiono Ig anti-HB e la scomparsa di tutti gli altri marcatori.

TrattamentoNonostante non esista una terapia specifica per le infezioni acute, le immunoglobuline dell’epatite B possono essere somministrate entro una settimana dall’esposizione e ai bambini nati da madri HBsAg positive per la prevenzione e il miglioramento del decorso della malattia. L’infezione cronica può essere trattata con farmaci antivirali il cui target è rappresentato dalla polimerasi, inibitori anche della trascrittasi inversa dell’HIV. Anche l’IFN alfa può essere efficace e può essere somministrato per almeno 4 mesi.

PrevenzioneLa trasmissione di HBV con sangue ed emoderivati si è ridotta grazie allo screening dei donatori di sangue, per la presenza di HBsAg e anti-HBc.- Vaccinazione è raccomandata ai Soggetti a rischio( health care workers) ed è utile anche dopo il contagio.- neonati –vaccinazione universale.- HBV Immunoglobuline - sono usate per proteggere gli individui esposti al rischio di epatiteB (entro 48 h dal contatto)- neonati a rischio di epatite B ( madri HBsAg positive). - Screening donatori ( sangue ecc.).

Il virus dell’epatite B, pur essendo un virus a DNA (i virus a DNA sono abbastanza instabili), ha delle caratteristiche che lo fanno assomigliare di più ad un virus ad RNA. EBV ha la capacità di sviluppare una

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serie di mutazioni, che proprio secondo il criterio darwiniano, sono in grado di dare un vantaggio selettivo al virus. Le mutazioni di EBV sono varie: può succedere che ci sono delle mutazioni che determinano una mancata sintesi dell’antigene e (HBeAg) e che quindi colpiscono la regione pre-C (pre-core). La regione pre C, posta accanto al gene C il quale serve per la sintesi della proteina del core, codificano insieme per l’antigene e. Se abbiamo mutazioni nella regione pre-core, non abbiamo la sintesi dell’antigene e di conseguenza può succedere che un soggetto viene erroneamente considerato come privo di antigene e, quindi con una bassa replicazione virale; in realtà, l’attività replicativa persiste e anche ad un livello abbastanza consistente o superiore. Il soggetto con mutazione pre-core può andare incontro allo sviluppo di una epatite cronica o di una cirrosi perché lo abbiamo erroneamente classificato. Esistono poi delle mutazioni che possono riguardare la regione P della polimerasi: sono mutazioni che conferiscono una resistenza al trattamento con farmaci, molti dei quali sono degli analoghi nucleotidici (sostituiscono i nucleotidi e bloccano la polimerasi). Se c’è la mutazione, la polimerasi non può essere bloccata.Infine ci sono mutazioni che riguardano il gene che serve per la sintesi dell’antigene di superficie (HBsAg).Il virus dell’epatite B ha una tendenza a sostituire aa in diversi siti abbastanza elevata, che è intermedia tra i virus a DNA e i virus a RNA. In alcune condizioni c’è una pressione selettiva che favorisce lo sviluppo di una variante virale mutante (evento che si verifica anche in altre patologie). Questa pressione selettiva, molto spesso, è rappresentata o dal sistema immunitario oppure dalla pressione rappresentata dalla malattia stessa (?).Sono soprattutto le mutazioni che interessano la polimerasi ad essere importanti da un punto da vista clinico e riguardano un gruppo specifico di aa (sono 3: in posizione 528, 501 e 515) che rendono inefficaci i trattamenti con farmaci antivirali. Questo è un evento che si può verificare anche in altre situazioni cliniche ad es. nell’HIV. Per un lungo periodo di tempo la Lamuvidina è stato l’unico farmaco disponibile, adesso ce ne sono altri, in modo che se c’è resistenza a questo farmaco, possiamo utilizzare farmaci diversi.Esistono vari genotipi dell’HBV. In Italia c’è un genotipo che è predominante: il genotipo D, il quale ha una particolare tendenza a sviluppare mutazioni nella regione pre-core (sono quindi mutazioni particolarmente presenti in Italia) molto spesso è necessario valutare anche l’efficienza di replicazione in soggetti che sono negativi per la presenza dell’HBeAg. Anche in questo caso, la mutazione dell’antigene e si verifica per la pressione selettiva: si sviluppano gli anticorpi contro l’antigene e, quindi vengono favorite delle varianti virali che non hanno l’antigene e e che non attaccabili dagli anticorpi. La mutazione più frequente determina uno stop codon, colpisce la posizione 1896 e determina la formazione di un codone di stop per cui non abbiamo più la possibilità di sintetizzare l’antigene e.Altre mutazioni, più gravi, che ci hanno fatto credere che anche i nostri sistemi diagnostici fossero inefficaci, sono quelle che riguardano l’antigene di superficie (HBsAg). Per fortuna abbiamo avuto un grosso miglioramento dei sistemi diagnostici, per cui non sono più fonte di preoccupazione. In linea di massima, queste mutazioni devono essere tutte quante identificate con sistemi di sequenziamento diretto. Per identificarle, le mutazioni richiedono comunque un certo quantitativo di DNA virale, altrimenti il sequenziamento non si può fare.

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Epatite C

È rimasto per lungo tempo sconosciuto. Nel 1970 infatti si parlava di virus non-A e non-B, perché si conosceva il virus dell’epatite A e dell’epatite B, ma non si conoscevano gli altri virus. Si vide però che questo virus non-A e non-B determinava oltre il 75% delle epatiti post-trasfusionali: non avendo la possibilità di fare uno screening dei donatori di sangue, venivano eliminati quelli con le altre epatiti ma non quelli con il virus non-A e non-B. Verso il 1990, mediante sistemi di biologia molecolare, è stato possibile identificarlo ma non è stato isolato. La sua individuazione ci ha comunque consentito di sviluppare dei sistemi diagnostici che ci hanno mostrato che l’infezione era molto più diffusa di quanto si pensasse, e soprattutto ci hanno mostrato che molti soggetti affetti da questo virus sono in buona salute, rendendo impossibile accorgercene del virus dal punto di vista clinico. Questa difficoltà nella diagnosi ha contribuito negli anni alla diffusione dell’infezione. Nei donatori di sangue, che sono abbastanza indicativi di una popolazione generale sana, si vede che ad es. buona parte dell’Europa mediterranea ha una prevalenza del virus che possiamo definire abbastanza bassa rispetto all’ Egitto dove c’è una prevalenza del 15% (molto elevata perché qui, essendoci anche il problema delle infezioni parassitarie, si ricorre molto spesso a terapie parenterali). In altre regioni del mondo non si sa ancora bene quale sia la prevalenza di HCV. In Europa la prevalenza è caratteristica: nel Nord Europa la prevalenza è molto bassa (0,2%), in Europa occidentale sale un po’ (0,5%), mentre nell’Europa mediterranea si registra la prevalenza più alta questo andamento di crescita della prevalenza passando man mano dal nord al sud, è lo stesso che si riscontra in Italia : al nord Italia si registra la prevalenza minore (2-3%), mentre cresce via via passando al centro (3-4%) e al sud (5%) (non si esclude però che vi siano delle zone anche al nord dove la prevalenza raggiunge il 20 %, quindi è un andamento “a macchia di leopardo”). L’infezione colpisce maggiormente gli individui con età superiore ai 50 anni (tra i 60 e i 70 anni), perché probabilmente sono soggetti che più facilmente sono venuti a contatto con il virus in una fase di diffusione dell’infezione, in un’epoca dove non erano disponibili strumentazioni monouso e le precauzioni necessarie. L’infezione è minima al di sotto dei 20-30 anni¸ anche se non è pari a zero ciò significa che tra un certo numero di anni, l’infezione si ridurrà notevolmente.

In Italia oggi l’HCV causa il:60-70 % delle epatopatie croniche40-50 % delle cirrosi epatiche50-60 % di carcinoma epatico (HCC)30-40 % delle epatopatie terminaliAnche questo virus si trasmette per via parenterale, come l’HBV, quindi il rischio è molto elevato ad es. in alcune categorie. I principali fattori di rischio sono:

- Le trasfusioni e i trapianti (anche se oggi il rischio è molto più basso perché i donatori effettuano uno screening per HCV)- Utilizzo di droghe endovena- Riutilizzo di aghi o di siringhe per iniezioni- Trasmissione per via sessuale (rischio ancora più elevato in caso di promiscuità sessuale)- Trasmissione perinatale (rischio molto basso)- Tatuaggi e piercing

HCV è diverso dall’HBV: l’HBV, soprattutto se l’infezione si contrae in età adulta, dà un’infezione acuta che poi viene debellata, mentre nel caso in cui l’infezione da HBV è contratta in età neonatale si ha cronicizzazione dell’infezione. L’HCV invece tende a causare un’infezione persistente e cronica, indipendentemente dall’età di contrazione dell’infezione. Ciò è dovuto alla sua capacità di sfuggire al

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sistema immunitario, grazie alla sua notevole adattabilità: possiede delle regioni sulla sua superficie esterna (sull’envelope) che si modificano continuamente, per cui il sistema immunitario non riesce a sviluppare una risposta adeguata. L’ipervariabilità è data da una regione ipervariabile 1 che si trova localizzata nella parte ammino-terminale dell’envelope quindi il virus cambia continuamente la sua struttura esterna, mimetizzandosi agli occhi del sistema immunitario che non riesce a “vederlo”. La RNApolimerasi del virus non possiede un’attività esonucleasica 3’5’, per cui non mantiene la fedeltà dell’informazione genetica (ci sono 10⁻³/10⁻⁴ mutaz/sito/anno): quindi ogni girono verranno prodotte moltissime particelle virali, però molte finiranno per essere eliminate perché prive ad es. di capacità replicative, mentre altre che hanno qualche vantaggio riusciranno a proliferare e diventeranno la popolazione virale più sviluppata.Aspetti clinici: periodo di incubazione di 6-7 sett. circa (range di 2 -26 sett)In alcuni casi si ha una forma di epatite abbastanza lieve, se clinicamente evidente o se determina un modesto innalzamento delle transamminasi, senza ittero e altre manifestazioni particolari. Nel 70 % dei casi c’è epatite cronica e nell’85% c’è epatite persistente. Esiste comunque una quota di soggetti che contraggono l’infezione e riescono a debellarla grazie al sistema immunitario (15-20%), altri invece non riescono ad eliminarla succede che infatti vengono prodotti anticorpi, ma questi non svolgono un ruolo protettivo.

Storia naturale dell’infezione da HCV In presenza di fase acuta:

- circa il 15% dei soggetti va incontro alla risoluzione dell’infezione- circa l’85% dei soggetti sviluppa fase cronica

in presenza di fase cronica- nell’80% dei casi non necessariamente determina un quadro patologico marcato (anzi si ha una situazione di equilibrio, in cui l’infezione è stabile e non si hanno particolari danni al fegato);- invece, nel 20% dei casi, la fase cronica può evolvere in epatite cronica e poi cirrosi (soprattutto se i soggetti fanno abuso di alcol e se si infettano anche di HBV o HIV).

In presenza di cirrosi- nel 75% la cirrosi ha una lenta progressione- nel 25% dei casi possiamo avere lo sviluppo del carcinoma epatocellulare (HCC), con necessità di trapianto oppure morte

NB: il periodo minimo che intercorre tra l’infezione e lo sviluppo della cirrosi è di 17 anni.

DIAGNOSI DI LABORATORIO (HCV)

Abbiamo un solo importante marcatore, rappresentato dagli anticorpi contro l’HCV. La presenza degli anticorpi compare dopo un certo periodo di tempo dal contatto con il virus cioè dopo il cosiddetto periodo finestra, la cui durata dipende dalla diversa capacità del sistema diagnostico. Esistono infatti sistemi di 1°, 2° e 3° generazione che hanno man mano accorciato il periodo finestra: oggi il periodo finestra per l’HCV è di circa 1 mese e forse anche meno. Abbiamo però la possibilità di rilevare l’HCV-RNA già dopo poco tempo dal contatto con il virus: tuttavia, ragionando in termini di praticità e spese, questo è un test molto costoso (30 euro rispetto al test per gli anticorpi di 2 euro circa); inoltre è molto dispendioso anche in termini di tempo rispetto al test per gli anticorpi che viene effettuato in un ora. Inoltre non è sempre utile andare a ricercare l’HCV-RNA perché ci sono delle fasi in cui potrebbe essere assente. Quindi abbiamo delle motivazioni pratiche, economiche ma anche scientifiche che ci spingono a preferire il test per la ricerca degli anticorpi contro il virus.

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Nella diagnosi dell’HCV, non dobbiamo permettere in nessun modo che qualche soggetto sfugga alle indagini cioè risulti negativo al test nonostante abbia contratto il virus. Di conseguenza, tutti i test diagnostici sono stati resi più sensibili che specifici, così che si hanno un certo numero di falsi positivi, però almeno nessun falso negativo. Questo perché i sistemi diagnostici sono gli stessi che vengono utilizzati per lo screening delle sacche di sangue e quindi è più conveniente avere dei falsi positivi piuttosto che dei falsi negativi che potrebbero trasmettere l’infezione anche ad altri. La ricerca degli anticorpi presenta dunque quest’area di rischio di ritrovamento di falsi positivi, per cui si ricorre ad uno schema diagnostico. Ad es. si effettua su un soggetto il test per la ricerca di anticorpi, che risulta positiva. Per il possibile rischio di incorrere in un falso positivo, effettuiamo ulteriori test tra cui il cosiddetto test di conferma (oggi non è molto eseguito perché è costoso e perché serve del tempo). Se il test di conferma risulta positivo possiamo ricorrere ad una valutazione mediante HCV-RNA. Perché allora il test di conferma non lo faccia sempre opp non lo facciamo subito? Oltre perché è costoso, questo est è utile laddove ci sono pochi casi nella popolazione e non come in Italia, dove è molto probabile che un soggetto che risulta positivo allo screening sia un vero positivo perché sono molti i casi nella popolazione italiana. Usiamo il test di conferma solo quando abbiamo delle incertezze interne al laboratorio.Dello schema diagnostico fa parte anche la Ricerca di HCV-RNA, che è un test relativamente utile. Un tempo questo test veniva diviso in una ricerca qualitativa e una ricerca quantitativa, adesso invece, con l’evoluzione dei test diagnostici, facciamo un solo test che è sia qualitativo che quantitativo. Il limite inferiore di sensibilità è molto più basso di 80-100 copie di virus/ml (anche se oggi non lo esprimiamo più come numero di copie ma come unità internazionali 1 unità internazionale equivale a 4-5 copie del virus). La ricerca dell’HCV-RNA serve ad identificare delle eventuali riprese di malattia, la replicazione virale nel corso della malattia conica e per monitorare il trattamento farmacologico.Altro test che utilizziamo è la ricerca del genotipo. HCV possiede 6 genotipi diversi con omologia del 65%, con 11 sottotipi con omologia del 90%. Quindi in ogni individuo infetto il virus circola in una maniera che è diversa da quella di un altro soggetto e diciamo che circola sottoforma di “quasi specie” con una variabilità dell’1,5% da virus a virus. L’identificazione del genotipo è essenziale per la programmazione terapeutica: il genotipo 1 è molto più resistente, il genotipo 2 e il genotipo 3 richiedono un trattamento di minor durata e sono un indice prognostico favorevole molto spesso infatti sono trattati principalmente i soggetti infettati dal genotipo 2 e 3 perché la possibilità di risposta positiva al trattamento è molto più elevata. Il trattamento è eseguito con un farmaco che è l’interferone, che dà molti effetti collaterali, per cui viene fatto solo in caso di alta probabilità di risposta positiva. I genotipi dell’HCV hanno una diversa distribuzione geografica: in Italia è presente prevalentemente il genotipo 1b, anche se il genotipo originario sarebbe il genotipo 2. In Campania il 70% dei pz con HCV è infettata dal genotipo 1 quindi il 70% dei pz risulterà non elegibile o poco elegibile per il trattamento con interferone. Il genotipo 2 è il genotipo originario, ma ormai è ampiamente diluito dal genotipo 1.Le caratteristiche genotipiche del virus quindi determinano la risposta del pz al trattamento. Altra caratteristica che ci fa capire l’importanza del dosaggio dell’HCV-RNA è la carica virale, la quale se molto elevata è indice di una prognosi non positiva. Esistono poi delle caratteristiche individuali dell’ospite che si associano all’esito del trattamento farmacologico: età, sesso, BMI, insulino-resistenza, steatosi epatica.

PARAMETRI DI LABORATORIO

1. il dosaggio della vitamina D: un basso contenuto sierico della vitamina D è un indice prognostico sfavorevole e ci dice che il trattamento non avrà esito positivo

2. altro parametro virale, che si effettua in corso di trattamento, è rappresentato dall’abbattimento della carica virale (tasso di riduzione dei livelli di HCV-RNA o risposta virologica) in seguito al trattamento: più è rapido l’abbattimento della carica virale, più l’esito della terapia sarà positivo. Questo è un vantaggio perché se anche dopo un mese dall’inizio del trattamento, la carica virale non si è modificata, ho la possibilità di sospendere quella terapia e iniziarne un’altra, risparmiando sugli effetti collaterali negativi. La valutazione

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viene fatta in due tempi: alla 4° settimana (risposta virale rapida o RVR) e alla 12° settimana (risposta virale precoce o EVR) di trattamento, il quale, per il genotipo 2-3 dura 6-7 mesi e per il genotipo 1 dura 1 anno. La RVR e la EVR sono considerate delle tappe decisive del monitoraggio della terapia. Per es. il soggetto comincia la terapia (NB: le cariche virali vengono espresse in logaritmi):

se la carica virale non si modifica alla 12° sett, sospendiamo la terapia

se la carica virale crolla di almeno 1 logaritmo (passa da 1 milione a 100 mila copie), continuiamo con la terapia

se la carica virale crolla da 1 milione a 10 mila copie, la prognosi sarà maggiormente positiva (Uno studio ha messo in evidenza che in generale la caduta di 2 logaritmi opp la negativizzazione dell’HCV-RNA ci indica che abbiamo una risposta biologica sostenuta, cioè questi soggetti avranno una forte risposta al trattamento)

In questo modo possiamo anche distinguere i soggetti che poco al trattamento dai soggetti che invece rispondono in maniera efficace. Un limite a questa diagnostica è però il fatto che non riusciamo ad individuare i soggetti che potrebbero avere una recidiva della malattia al termine del trattamento e i soggetti che invece andranno incontro a guarigione definitiva.Nonostante però siano principalmente i soggetti infettati dal genotipo 2 e 3 ad essere trattati e nonostante abbiano prognosi positiva a differenza del genotipo 1, non è da escludere la possibilità di risposta negativa al trattamento nel primo caso e positiva nel secondo. Ciò perché esistono delle caratteristiche del soggetto che incidono (dette sopra), ma è stato introdotto ultimamente un ulteriore parametro: la presenza di polimorfismi genetici che non determinano nessun aspetto patologico nel fenotipo tranne che in alcuni ambiti possono essere responsabili ad es. di una risposta variabile al trattamento. Nel 2009 uno studio ha identificato un polimorfismo su un singolo nucleotide del gene dell’interleuchina 28: non si sa bene il perché e il come, ma si è visto che questo gene è associato ad una variabilità della risposta al trattamento per virus i soggetti con l’allele CC hanno una capacità di sintetizzare l’interferone lambda molto più elevata rispetto ai soggetti con altri fenotipi, per cui producendo più interferone sono più “bravi” ad eliminare l’infezione. Il polimorfismo di tipo CC è associato addirittura alla clearence spontanea dell’infezione (se andiamo ad analizzare il genotipo di quel 20% che elimina spontaneamente l’infezione, vedremo che c’è il polimorfismo CC sul gene dell’Interleuchina-28, ma non solo: abbiamo anche una risposta molto più efficace al trattamento. Invece i soggetti di origine africana in America non vengono quasi trattati perché non rispondono al trattamento: hanno infatti un genotipo sfavorevole con l’allele CT.Quindi in tutti i gruppi raziali, il trattamento funziona meglio in presenza dell’allele CC. è consigliato da tutte le linee guida internazionali di individuare il tipo di allele, tramite l’analisi del genotipo, prima di iniziare il trattamento.

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HDV – virus dell’epatite delta

Viene così definito ma in realtà non si sa nemmeno se possiamo definirlo virus, in quanto è più che altro una molecola chimerica con alcune proprietà di virus satellite e altre di viroide, che causa patologia negli uomini.Per replicarsi ha bisogno dell’HBV. La trasmissione avviene tramite le stesse vie dell’HBV, anche perché il rivestimento esterno è fornito dall’HBV.È così chiamato perché fu indentificato come antigene delta dell’HBV, in quanto era presente solo nel sangue dei soggetti con HBV. L’osservazione iniziale è stata fatta in Italia a Torino, sul siero di pz provenienti dal sud. È invece proprio HDV che produce l’antigene delta, unica proteina prodotta da HDV. L’antigene delta è una fosfoproteina nucleare, della quale ne esistono due forme: dAg-S (195 aa) necessaria per la replicazione e dAg-L (214 aa) necessaria per l’assemblaggio ed il rilascio dell’antigene.HDV sembra potenziare gli effetti patogenetici dell’infezione da HBV l’epatite fulminante è molto più frequente quando si ha in contemporanea HBV e HDV (10 volte più frequente)L’infezione con HDV può essere controllata tramite la vaccinazione con HBV, anche se in Italia una parte della popolazione non è vaccinata e poi ci sono flussi migratori che provengono da regioni dove HBV e HDV sono molto diffuse (Europa orientale).Ha una Struttura molto semplice: strato esterno del virus con HBsAg dell’HBV, all’interno c’è l’antigene delta e l’RNA. Possiamo avere 2 situazioni cliniche:

1. COINFEZIONE: quando si contrae contemporaneamente HBV e HDV epatite acuta, basso rischio di infezione cronica

2. SUPERINFEZIONE: quando si ha già un’epatite B cronica, e viene anche acquisita l’infezione da HDV di solito si presenta come una riacutizzazione dell’epatite B, opp infezione cronica da HDV, alto rischio di epatite cronica, può presentarsi come epatite acuta (più grave)

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO (HDV)

In caso di coinfezione ricerchiamo gli anticorpi di tipo IgM e gli anticorpi totali. Ricerchiamo anche l’antigene delta (che però non è molto efficace perché gli anticorpi, prodotti molto precocemente, si vanno a legare all’antigene delta e lo mascherano).Se ci troviamo in una regione con poca incidenza di epatite B, è molto probabile che l’infezione da HDV venga acquisita contemporaneamente all’HBV coinfezione.Distinguiamo:

FASE INIZIALE durante la quale vengono prodotte le IgM (che poi decrescono)

FASE SECONDARIA durante la quale si ricercano gli anticorpi totali

Quando il soggetto guarisce dall’epatite B, abbiamo la scomparsa degli anticorpi totali contro HDV: quindi se dopo un po’ di tempo andiamo a dosare gli anticorpi nel siero, non avremo nessun segno della presenza di HDV ma troveremo solo gli anticorpi contro HBsAg (che un segno di guarigione dall’epatite).In molte regioni del mondo dove la prevalenza dell’epatite B è bassa, sono stati messi a punto test che vanno a dosare solo l’antigene delta. In Italia però la prevalenza dell’epatite B è alta e quindi c’è un maggior rischio di superinfezioni che possono essere curate mediante monitoraggio e valutazione della carica dell’HDV-RNA.

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HIV

Esistono 2 virus: HIV 1 e HIV 2. L’HIV 1 è più diffuso, l’HIV 2 è molto meno diffuso. Sono molto simili tra di loro, con il 60% circa di omologia. L’HIV è entrato nella popolazione umana di primati da 30 a 100 anni fa (1900-1930), epoca in cui in regioni dell’Africa sub-sahariana, si sono differenziati. Originano da due scimmie diverse (le scimmie venivano usate per scopi alimentari, erano cacciate e macellate): HIV 2 origina dall’Africa occidentale, mentre l’HIV 1 origina dall’habitat degli scimpanzè (Africa centrale). In Italia l’HIV 2 è poco frequente, è invece più frequente in Francia per i flussi migratori provenienti dalle colonie francesi dell’Africa. L’ HIV 1 è la più diffusa in tutto il mondo e ha 3 diversi sottotipi che sono originati probabilmente da diversi eventi di passaggio interspecie: l’HIV 1 ha una grossa capacità di mutare e adattarsi tutto questo ha un impatto sulla patogenesi, sulla trasmissione, sulla diagnostica e sulla terapia.In Italia l’infezione da HIV è purtroppo ancora diffusa, nonostante metodi di prevenzione.33 – 36 milioni di individui infetti nel mondo2,5 - 3 milioni di nuove infezioni all’anno2 milioni di morti all’annoHIV è molto sviluppata nell’Africa sub sahariana, ma non possiamo dire che non sia presente anche negli altri continenti. Nel mondo occidentale, quello che ha cambiato la nostra visione della patologia è che abbiamo adesso a disposizione una terapia chiamata terapia HAART (terapia anti-retrovirale altamente efficace), che determinato un incremento della sopravvivenza media (si è passati da 5-6 anni ad oltre 20 anni). Ciò ci ha portato a sottostimare la diffusione del virus. Attualmente un soggetto con HIV è un soggetto che possiede un’infezione cronica. Il primo sistema di prevenzione è stato quello di escludere dalle donazioni di organi e sangue i gruppi potenzialmente a rischio (uso di droghe endovenose, omosessuali ecc). L’altro sistema di prevenzione è rappresentato dalla disponibilità dei test anti-HIV.Dal 1997 al 2007 si è visto che è aumentata la trasmissione tramite i rapporti sessuali.

Trasmissione- Verticale: madre figlio (soprattutto in Africa per l’inesistenza di un sistema di profilassi)- Sessuale (soprattutto eterosessuale)- Scambio di siringhe infette (droghe)- Trasfusioni (molto ridotta)

Prima l’infezione era contratta in età inferiori, le donne ad un’età inferiore rispetto a quella degli uomini. In Italia abbiamo 5,5 casi all’anno ogni 100 mila abitanti. In Campania di meno.Il numero di soggetti HIV+ viventi in Italia nel 2007 è circa 150 mila: ¼ di questi soggetti non sa neanche di essere infetto e la diagnosi è tardiva per cui trasmettono l’infezione inconsapevolmente. Questo è un dato importante perché questo 25% di soggetti che sono infetti e non lo sanno, è responsabile del 50% delle nuove infezioni; contro l’altro 75% degli infetti, i quali però sono a conoscenza, che è responsabile dell’altro 50 % delle nuove infezioni. Identificare il gruppo degli infetti che non sanno di esserlo, in linea di massima, è difficile: non sono tantissimi quindi non converrebbe fare uno screening di massa, ma potrebbe essere fatto evitando di fare il test ai bambini, agli anziani e invece sottoporlo a soggetti che magari hanno contratto altre malattie sessualmente trasmissibili quali sifilide per es. in Francia hanno pensato di sottoporre al test la popolazione sessualmente attiva.

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HIV: TEST DIAGNOSTICI1981: primi casi osservati1982: trasmissione ematica1983: HIV identificato1984: test anti HIVIl primo strumento per il contrasto dell’infezione è stato il test per la ricerca di anticorpi anti HIV:ELISA for HIV ANTIBODYSi aggiunge il siero del pz all’interno dei micropozzetti contenenti l’antigene virale. Si aggiungono degli anticorpi (legati ad un enzima) in grado di riconoscere gli anticorpi del pz (se eventualmente presenti) che hanno legato l’antigene. Aggiunta di substrato, colorazione, lettura dei risultati.Ci sono però degli svantaggi:

- Possibile contaminazione tra un pozzetto e l’altro (rischio di falsi positivi)- cross-reattività (“)- interferenze nella reazione antigene anticorpo (“)

Flow Chart: Diagnosi Sierologia1° test ELISA [Negativo]

[Positivo o Indeterminato]

2° test ELISA [Negativo]

[Positivo o indeterminato]

Western Blot (come test definitivo di conferma)

Nel 2° test ELISA è preferibile operare delle modifiche al test, ad esempio utilizzare anticorpi di un altro tipo. Non si ricorre direttamente al Western Blot in quanto è un esame molto costoso, quindi va fatto in modo “mirato” solo in specifiche condizioni.

Western Blot

Striscetta di microcellulosa su cui disponiamo degli Antigeni virali in una precisa posizione (i più comuni : gp120, gp160, gp41)Aggiungiamo il siero del paziente, mettendolo in contatto con la striscetta: reazione antigeni-anticorpo.Si aggiungono anticorpi (legati ad enzima) in grado di riconoscere anticorpi umani che abbiano legato l’Ag virale. Aggiunta substrato, colorazione, lettura dei risultati, che possono essere:- Positivi: anticorpi contro almeno 2 Ag virali (Casi Positivi certi)- Negativi: nessuna reazione- Indeterminati: una sola reazione (ma, a seconda del tipo di antigene, questo risultato può essere interpretato come “altamente suggestivo”; ad ogni modo il test va ripetuto)Ovviamente la lettura dei risultati varia a seconda del tipo di antigene virale che è stato adoperato. Ad esempio, Anti-p24 sono talvolta presenti, ma in genere appaiono solo nelle fasi tardive.Subito dopo il contagio, il test può risultare negativo. Nei tempi successivi all’esposizione, comincia un graduale aumento della produzione di IG anti-HIV, per cui il test passa da negativo a dubbio, fino a divenire positivo (dopo un certo intervallo di tempo: “periodo finestra”)

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Il periodo finestra è altamente VARIABILEe dipende dal tipo di tecniche diagnostiche utlizzate!

1° generazione: individuano IgG anti-anti-HIV (periodo finestra circa 6 mesi!)2° generazione: individuano IgG e IgM anti-HIV (riduzione periodo finestra)3° generazione individuano IgG, IgM e IgA Anti-HIV (ulteriore riduzione periodo finestra)

Test 3° generazioneLa ricerca di anticorpi antiHIV consente una forte riduzione del periodo finestra (anticipo di circa 20 giorni rispetto ai test di 2° generazione).La ricerca di un antigene specifico, l’antigene p24, consente un’ulteriore riduzione del periodo finestra (con un anticipo ulteriore di ben 6 giorni)La ricerca dell’RNA virale assicura lo stesso risultato della ricerca di p24.

Test sierologici 4° generazione; TEST COMBINATIPositivi a solo 17 GIORNI dal contatto!(mentre i test di 1-2° generazione oltre i 30 giorni, quelli di 3° dopo circa 22 giorni)Sono anche detti test combinati perché affiancano la ricerca di anticorpi alla ricerca degli antigeni per avere un ulteriore vantaggio temporale e riduzione del periodo finestra.La presenza dell’antigene p24 può essere rilevata solo entro un certo intervallo di tempo, superato il quale diventa più improbabile la sua rilevazione: questo perché vengono poi prodotti gli anticorpi che, naturalmente, lo “mascherano”. Dunque, questi test combinati presentano un grande vantaggio: consentono l’indentificazione della malattia nella fase iniziale quando è presente solo l’antigene p24, e continuano a identificarla nella fasi successive quando invece sono rilevabili gli anticorpi. In ambito trasfusionale, è bene ricordare che vengono adoperati test del tutto diversi, molto più specifici, (es: ricerca di acidi nucleici virali) per abbattere ulterioremente il rischio di falsi negativi.

VIROLOGIC SET-POINTLivello del virus (carica virale) dopo l’infezione è VARIABILE DA INDIVIDUO A INDIVIDUO!La carica virale è un buon indice prognostico: minore la carica, minore la perdita di linfociti T-CD4+, minore la risposta compensativa del midollo.

VIRAL LOAD come indice prognostico:Se la carica virale è elevata, lo sviluppo di AIDS è avviene con una velocità estremamente rapida, in tempi molto ristretti. Al contrario, se la carica virale è bassa, il decorso verso l’AIDS avverrà in tempi decisamente più lunghi e a una velocità estremamente ridotta.Metaforicamente: Viral load: “velocità del treno” numero di CD4+: “distanza dal baratro” Una terapia efficace è una terapia che è in grado di abbattere la carica virale e di mantenerla costantemente al di sotto dei limiti minimi di replicazione (20-40 copie virali).Insomma una terapia efficace deve perseguire l’obiettivo di raggiungere (e mantenere nel tempo) una carica virale tanto bassa da corrispondere a una minima capacità di replicazione virale, il che equivale ad un rischio minimo che il virus riesca a sviluppare una farmaco-resistenza dovuta a una mutazione genica.

Nel corso della terapia:Prima fase: vengono eliminati i CD4 infetti, che vengono sostituiti da CD4 che non hanno l’infezione.Seconda fase: eliminati anche i macrofagi, rimpiazzati da cellule sani.

Variabilità genetica dell’HIV

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Esistono diverse varianti di HIV, che differiscono tra loro per alcune caratteristiche, come: patogenicità e progressione della malattia; modalità di trasmissione. Il virus HIV è in grado di creare dei “ricombinanti”: quando una cellula è co-infettata da due sottotipi virali diversi (sottotipo A e sottotipo B), i due genomi virali possono ricombinare tra loro, formando un nuovo tipo di virus.

Sviluppo della farmacoresistenzaL’attività della Reverse Transcriptase (RT) predispone all’accumulo di mutazioni genetiche ad ogni ciclo replicativo. L’accumulo di queste mutazioni può risultare nel tempo nello sviluppo di una farmaco-resistenza. È possibile individuarle attraverso dei test di sequenziamento.Queste varianti farmaco-resistenti devono essere individuate per due ragioni:- prima ancora di iniziare un trattamento, per adoperare un farmaco verso cui il virus non è resistente.- nel corso del trattamento, per eventualmente modificarlo se il virus sviluppa una farmacoresistenza.

Virus Epatite A- Trasmissione:

- contatti personali (conviventi, sessuali, ecc)- acqua e cibo contaminati (frutti di mare crudi)- ematico (trasfusioni, evento raro)

- Nessuna capacità di cronicizzate.

Epidemiologia:

L’infezione è più frequente nell’infanzia nelle aree geografiche dove il rischio è considerato ALTO: la causa più frequente di malattia è l’esposizione ad acqua o cibi contaminati.L’infezione è più frequente negli adulti nelle aree geografiche in qui il rischio è considerato BASSO: la causa più frequente di contagio in questo caso è un viaggio verso zone endemiche.

Diagnosi:- Sintomi- Campione fecale (altamente sconsigliato, poiché il campione è potenzialmente infettivo e questo

richiederebbe molte precauzioni per il laboratorista)- Ricerca di IgM antiHAV (esame di elezione)

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VIRUS DEL PAPILLOMA

I virus oncogeni umani appartengono a varie categorie: possono essere virus a RNA, o anche virus a DNA, a doppio filamento o a singolo filamento.Nel caso del virus del papilloma si tratta di un virus a DNA a doppio filamento.Questi virus sono stati correlati in maniera inequivocabile con il tumore della cervice uterina, e anche con altri tumori del tratto anogenitale, sia maschile che femminile.Questi tumori sono stati studiati da un gruppo del ricercatore tedesco Aldo Zur Hausen, che ha recentemente ricevuto il premio Nobel per la Medicina per queste importanti scoperte.

INCIDENZA EPIDEMIOLOGICA DEL TUMORE DELLA CERVICE UTERINAIl tumore della cervice uterina è una malattia relativamente frequente.Ed è una malattia mortale soprattutto in alcune aree del mondo, soprattutto nelle zone in via di sviluppo. Mentre invece è una malattia meno importante dal punto di vista sia dell’incidenza, e soprattutto della mortalità nell’Occidente europeo e nord-americano.

[80% dei carcinomi della cervice si verificano nelle nazioni in via di sviluppo, dove rappresenta il più comune tumore maligno femminile.Si verifica con minor frequenza nel mondo occidentale.]Ed inoltre si osserva che si tratta di una neoplasia più frequente nella popolazione afro-americana.Circa nell’85% dei casi i carcinomi del collo dell’utero sono carcinomi squamosi.Ciò sta ad indicare che derivano dall’epitelio di rivestimento dell’utero.E la progressione delle cellule da cellule epiteliali normali a carcinomi squamosi, come in molti altri processi cancerosi, passa attraverso una serie di alterazioni displastiche che impiegano molti anni.Questa progressione, che dura a lungo negli anni, è un processo che rappresenta il razionale per un test molto importante: il pap test.

CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI La nomenclatura più utilizzata di queste lesioni parla di lesioni di tipo CIN, laddove CIN sta per Cervical Intraepithelial neoplasia.La classificazione va da 1 a 3.CIN-1 indica un grado lieveCIN-2 si riferisce ad una alterazione moderata.CIN-3 fa riferimento ad una lesione relativamente severa.In ogni caso si sta ad indicare sempre una lesione di tipo intraepiteliale.In particolare la CIN-3 è una lesione tipica di carcinoma in situ.

Secondo una classificazione alternativa, questi stadi (CIN-1, CIN-2 e CIN-3) possono anche essere compresi in un’altra denominazione, in cui si utilizza l’abbreviazione SIL, laddove SIL sta per Squamous Intraepithelial Lesion (cioè lesione squamosa intraepiteliale).Si distinguono due gradi:- il grado lieve LSIL (Low SIL)- il grado alto HSIL (High SIL)Generalmente le lesioni squamose intraepiteliali di grado lieve (LSIL) corrispondono a quelle alterazioni che vanno, nell’altra nomenclatura, sotto il nome di CIN-1.Mentre invece CIN-2 e CIN-3 vanno raggruppate nell’ambito delle lesioni intraepiteliali di grado elevato (HSIL).Con il pap test si può identificare la maggior parte delle lesioni precancerose, pre-maligne, e quindi si può prevenire il cancro. Soprattutto nella popolazione occidentale, nell’Europa occidentale, nelle regioni del

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Nord-Europa, nella popolazione nord-americane, e più in generale nelle popolazioni più avanzate dal punto di vista sanitario, la malattia è ben controllata soprattutto grazie all’utilizzo del pap test, e quindi anche agli interventi chirurgici che fanno seguito al pap test. Infatti nel momento in cui vi è un pap test positivo insorge il bisogno di un intervento chirurgico per la rimozione della lesione.Nelle popolazioni in cui il pap test non è praticato come nelle popolazioni occidentali, la malattia può andare avanti non diagnosticata, e quindi dare origine ad una malattia aggressiva e mortale.La classificazione (CIN-1, CIN-2 e CIN-3) corrisponde alla progressione dalle lesioni precancerose verso l’ultimo stadio, il carcinoma della cervice uterina (SCC = Squamous Cervical Carcinoma).È inoltre da sottolineare che le singole voci della classificazione delle atipie (CIN-1, CIN-2 e CIN-3) corrispondono a lesioni dell’epitelio istologicamente evidenti della mucosa.Le alterazioni diagnosticate con il pap test corrispondono a delle lesioni nella mucosa uterina.La figura evidenzia anche le alterazioni istologiche nella mucosa nelle lesioni di grado lieve, e nelle lesioni più gravi, fino alle alterazioni del carcinoma squamoso, che progredisce fino alla invasione della sottomucosa.

IL TEST DI PAPANICOLAU

Il test di Papanicolau è un test relativamente semplice.Fu introdotto nel 1920 da un ricercatore di origine greca, che lavorava negli Stati Uniti, George Papanicolau.Questi mise in relazione le alterazioni che si possono riscontrare nello striscio vaginale con delle alterazioni corrispondenti che potevano essere presenti nella mucosa uterina.Quindi da alterazioni delle cellule (che si colorano con opportuni coloranti) visibili nello striscio vaginale, dalle cellule che presentano cioè delle atipie, è possibile individuare alterazioni della mucosa. Insomma alterazioni delle cellule che desquamano dalla mucosa uterina visibili nello striscio verosimilmente riflettono la presenza di una alterazione all’interno della mucosa uterina stessa. Quando sono presenti queste alterazioni è necessario procedere alla rimozione chirurgica della lesione. E questo può, nella stragrande maggioranza dei casi (80-90% dei casi), prevenire la malattia.

Le linee guida del test dicono che gli screening per pap test si debbano effettuare in età relativamente precoce, intorno ai 21 anni, o comunque 3 anni dopo il primo rapporto sessuale. [Il virus del papilloma è trasmesso per via sessuale.]Questi screening devono essere effettuati a distanza di 2 anni, o anche ogni anno.E, dopo che il test si è rivelato negativo per 3 anni consecutivi, il pap test può essere effettuato anche con una frequenza minore, ogni 3 anni.Questo tipo di screening può essere fermato dopo i 65-70

anni, se non vi è una storia di test positivi (quindi con una storia personale della paziente di test negativi).

Si sospettava già prima degli studi di Zur Hausen che la malattia potesse essere dovuta ad un agente trasmesso per via sessuale.Questo perché si era notato che il carcinoma della cervice era più frequente in persone con una attività sessuale promiscua, e soprattutto quando l’attività sessuale iniziava precocemente.Per decadi si è pensato che il cancro della cervice fosse legato ad un agente trasmesso per via sessuale, prima che HPV fosse implicato.Promiscuità sessuale, inizio precoce dell’attività sessuale e scarse condizioni igieniche sessuali identificati come fattori di rischio nella donna.Quindi tutto faceva pensare ad una trasmissione per via sessuale.

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Le prime evidenze importanti che legano l’infezione da HPV con il carcinoma della cervice consistono in alcune alterazioni morfologiche caratteristiche delle displasie cervicali dovute ad infezione con papilloma virus. La caratteristica alterazione morfologica associata con l’infezione da HPV consiste nella presenza di cellule cosiddette “a occhio di civetta”. Si tratta cioè di cellule con nucleo grosso, e con citoplasma che circonda in maniera concentrica il nucleo.Quindi la sola osservazione della alterazione morfologica a volte è sufficiente per fare diagnosi di infezione da HPV.

FATTORI ASSOCIATI ALLO SVILUPPO DI TUMORICosì come per altri virus oncogeni, anche nel caso del papilloma virus la correlazione tra tumore e infezione da parte del virus non è assoluta.Nel senso che il virus è importante e anzi essenziale, ma esistono molto frequentemente dei fattori associati, che sono necessari per lo sviluppo del tumore. Nel caso dei tumori umani, in particolare per quanto riguarda i tumori del tratto anogenitale, uno dei fattori associati è il fumo di sigaretta.

TIPOLOGIE DI TUMORE ASSOCIATI ALLA INFEZIONE DA HPVBisogna chiarire che i virus del papilloma umano non sono associati e confinati soltanto alle lesioni del tratto anogenitale.Ma i virus del papilloma sono correlati a tumori delle vie respiratorie superiori, delle tonsille, e della laringe. Inoltre alcuni sottotipi del virus del papilloma sono anche correlati a tumori della cute.Un po’ tutti noi abbiamo avuto esperienza di verruche. Queste sono delle lesioni benigne della cute, dovute appunto a virus del papilloma. Quindi sono anche contagiose: è possibile passare le verruche per contatto dalla cute delle mani alla cute della faccia ad esempio, proprio a causa del contagio dovuto a passaggio del virus.

VIRUS DEL PAPILLOMA (SOTTOTIPI)Esistono oltre 100 sottotipi di HPV.Di questi soltanto una piccola categoria è correlata con tumori della cervice uterina, e con altri tumori del tratto anogenitale. E questi vengono definiti “ad alto rischio”.Esistono poi dei sottotipi di virus del papilloma che sono detti, invece, “a basso rischio” perché la loro presenza non è sempre correlata con l’insorgenza di lesioni maligne della mucosa uterina, o di altre mucose anogenitali. Però potrebbero essere correlata.mentre i virus del papilloma “ad alto rischio” sono quasi sempre correlati alla insorgenza di tumori, al contrario ciò non è vero per i virus “a basso rischio”.In altre parole il riscontrare la presenza di un virus del papilloma “a alto rischio” nella mucosa uterina di una donna permette di prevedere con un elevato grado di sicurezza che la lesione possa progredire fino al tumore maligno. Mentre invece nel caso dei virus “a basso rischio” questo non è detto. I virus a basso rischio (come HPV-6 e HPV11) sono associati a lesioni del tratto genitale che rappresentano dei papillomi, e in quanto tali delle lesioni benigne. I virus ad alto rischio (HPV-16 e HPV-18) sono correlati a lesioni maligne, e quindi associati con alterazioni mucosali CIN, e col carcinoma squamoso della cervice.I virus del papilloma associati al tratto genitale sono classificati come “ad alto rischio” e “a basso rischio” a seconda se le lesioni sono associate ad un rischio significativo di progressione maligna.I virus a basso rischio HPV-6 e HPV-11 sono associati con papillomi venerei, lesioni che raramente

progrediscono a lesioni maligne.I virus ad alto rischio HPV-16 e HPV-18 sono

associati con CIN e cancro della cervice.

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STORIA NATURALE DELLE INFEZIONI DA HPV- L’infezione da HPV è trasmessa per via sessuale.- In generale queste infezioni e le lesioni non sono precedute o accompagnate da alcuna sintomatologia.- Nella maggior parte dei casi il sistema immunitario, se ben funzionante, riesce a debellare l’infezione. Se invece

questo, come avviene nel caso limite della immunosoppressione, è debilitato, non è in grado di eradicare l’infezione, per cui in alcuni casi l’infezione persiste.

- Se si studiano i tumori della cervice uterina e si vanno a ricercare le particelle virali, o gli antigeni virali, in oltre il 99% dei casi di tumore si riscontra la presenza di uno dei virus ad alto rischio, perlopiù HPV-16 e HPV-18.Invece i virus a basso rischio, quali HPV-6 e HPV-11, li si trova associati ai condilomi genitali.

- Tutti quanti questi virus provocano delle alterazioni del risultato del test di Papanicolau. Pertanto in ogni caso attraverso il test di Papanicolau si è in grado di vedere tutte le lesioni associate a virus del papilloma, sia quelle ad alto rischio che quelle a basso rischio.

Quello che si pensa è che nell’infezione da HPV il virus penetri attraverso delle abrasioni dell’epitelio mucosale.

Una volta penetrato attraverso delle abrasioni dell’epitelio mucosale il virus va ad infettare le cellule dello strato basale della mucosa epiteliale.Durante l’infezione delle cellule basali, all’inizio vengono prodotti gli antigeni cosiddetti precoci (geni early) dell’HPV. Gli antigeni precoci fondamentalmente sono: E1, E2, E6 ed E7.L’infezione si mantiene e progredisce con la contemporanea maturazione e progressione verso l’alto (verso gli strati superiori a più alto grado differenziativo) delle cellule

epiteliali.Nelle cellule che si trovano nella parte superiore, più esterna, della mucosa avviene anche la produzione delle proteine cosiddette tardive (espressione dei geni late). Le proteine tardive sono necessarie perché il virus possa essere costruito e si possano formare delle particelle virali complete. Questa fase avviene soltanto nelle cellule della parte più esterna della mucosa uterina.Quindi è soltanto nella parte superiore dell’epitelio che avviene l’assemblaggio delle particelle virali, con produzione di nuove particelle virali, e quindi con possibile re-infezione della mucosa uterina.

Come si correla la progressione delle lesioni della mucosa (dalle lesioni intraepiteliali di basso grado a quelle di grado elevato, fino allo sviluppo del cancro invasivo) con l’infezione da virus del papilloma, e con la replicazione virale?La replicazione virale durante le fasi delle lesioni squamose intraepiteliali di basso grado e di grado intermedio è una replicazione abbastanza bassa: il virus si replica, ma con un tasso non molto elevato.In questa fase il DNA virale si trova presente nelle cellule epiteliali sotto forma di episoma. L’episoma è una molecola di DNA circolare presente all’interno del citoplasma delle cellule epiteliali, e che si replica in maniera sincrona con il DNA dell’ospite. La produzione di particelle virali raggiunge anche in questo caso il suo picco negli strati più alti e differenziati dell’epitelio.

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Nella fase successiva (possono passare anche molti anni prima di arrivare alla fase successiva) il virus lo si trova integrato all’interno del genoma delle cellule ospiti.In particolare non lo si trova integrato nella sua totalità, ma se ne trova integrato soltanto una parte. Per esempio la proteina E2 molto spesso è interrotta e quindi non viene prodotta. Questo perché la rottura dell’episoma avviene spesso a livello del gene che codifica per la proteina E2. Le altre proteina, logicamente soprattutto quelle importanti per la trasformazione, devono essere assolutamente presenti.Se sono presenti anche le proteine L1 e L2 questa è una condizione indispensabile perché si formino particelle virali complete. Però queste possono anche essere non presenti, e pertanto si possono avere delle lesioni in cui il virus non viene prodotto perché manca la possibilità di formare particelle virali complete.Inoltre perché vengano prodotte particelle virali intere è necessaria la integrità del gene E2, e quindi se questo manca, o non è funzionale, le particelle virali non possono essere prodotte.Fatto sta, comunque, che in questa fase il virus lo si trova integrato nel DNA delle cellule, e le cellule che hanno subito una trasformazione maligna daranno origine al carcinoma squamoso.

GENOMA E PROTEINE DI HPV Il genoma di HPV è costituito da DNA a doppio filamento.I geni del virus del papilloma sono trascritti in RNA messaggero da cui vengono prodotte le proteine corrispondenti; queste sono:

- Le proteine E1, E2, E3, E4, E5, E6, ed E7 che sono le proteine precoci (codificate dai geni Early).- Le proteine L1 ed L2 che invece sono le proteine tardive (codificate dai geni Late).

L1 ed L2 sono delle proteine importanti per quanto riguarda l’assemblaggio delle particelle virali. Quindi si tratta di proteine capsidiche, molto importanti per lo sviluppo di vaccini. La proteina E1 è importante per l’inizio della replicazione del DN virale.E2 svolge un ruolo nella trascrizione.E3 non ha una funzione nota.Le proteine più importanti per quanto riguarda la eziopatogenesi del carcinoma della cervice uterina sono E5, E6 ed E7. In particolare E6 ed E7 sono le due proteine con attività trasformante, responsabili dell’attività trasformante del virus.

RUOLO DI HPV NEL CARCINOMA DELLA CERVICE

Soltanto una parte di geni è espressa, e non vi è produzione di virus da parte delle cellule tumorali.L’integrazione è importante per l’espressione dei geni E6 ed E7.E6 ed E7 sono sempre espressi nei tumori associati ad HPV.Dunque è importante l’espressione di E6 ed E7 perché vi sia la trasformazione tumorale.L’integrazione del genoma di HPV nel genoma dell’ospite porta a distruzione di geni E1 ed E2.Questo perché E2 è un fattore che regola negativamente E6 ed E7, ed il risultato della sua eliminazione è una iperproduzione di E6 ed E7.

INATTIVAZIONE DI PROTEINE CELLULARI

MECCANISMO D’AZIONE DI E61) Come il Large T di SV 40 e la proteina codificata da adenovirus E1B, la proteina E6 forma un complesso con p532) L’interazione di E-6 con p53 non è diretta ma è mediata da una proteina cellulare, chiamata E-6 Associated –Protein (E6AP)

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3) E6AP è una ligasi che partecipa, in presenza di E-6, all’ubiquitinazione di p534) La proteina p53 ubiquitinata è degradata dal proteasoma.

MECCANISMO D’AZIONE DI E71) E7 interagisce [come Large T di SV40 che lega

e sequestra RB] e degrada pRb provocando il rilascio del fattore trascrizionale E2F dall’inibizione esercitata da pRb.

E2F è un fattore di trascrizione estremamente importante per la produzione di proteine necessarie per l’entrata delle cellule nel ciclo cellulare.La proteina RB interagendo con il fattore E2F impedisce al fattore di trascrizione di far trascrivere le proteine importanti per la progressione del ciclo cellulare (come le cicline soprattutto). Ma, quando la proteina RB rilascia E2F, poiché E7 lega RB e quindi

libera la funzione del fattore di trascrizione, E2F stimola la trascrizione di quelle proteine, e pertanto la cellula può andare incontro ad una crescita incontrollata. 2) E7 blocca la funzione di inibitori delle cicline chinasi-dipendenti quali p21 e p27 inducendo la sintesi di cicline A ed E, e quindi favorendo l’entrata in ciclo delle cellule.3) E7 provoca instabilità cromosomica.E l’instabilità genomica è un fattore importante nella progressione neoplastica.

L’azione combinata di E6 ed E7 è volta a provocare:- una proliferazione aberrante, mediante l’azione di E7- E6 attraverso il sequestro e la degradazione di p53 blocca

il processo di apoptosi E quindi insieme E6 ed E7 provocano la immortalizzazione cellulare, la instabilità genomica, e infine favoriscono quindi una trasformazione cellulare.

MECCANISMO DI AZIONE DI E5

E5 non è una proteina essenziale per la trasformazione cellulare indotta dal virus del papilloma, tant’è vero che sono state trovate delle lesioni tumorali in cui il gene E5 non era presente, ma era stato distrutto.Però, quando presente, favorisce la trasformazione cellulare. E in particolare la favorisce attraverso una serie di azioni: in particolare E5 favorisce la via di segnalazione dipendente dall’ EGF-Receptor e quindi in ultima analisi favorendo la attivazione della cascata delle MAP-chinasi.

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La attivazione delle MAPK favorisce poi indirettamente anche la sintesi delle proteine E6 ed E7. E quindi in un certo senso E5 coopera con le proteine E6 ed E7.

SOMMARIO HPVs

I virus del papilloma umano ad alto rischio (HPV) sono responsabili del carcinoma della cervice uterina. Gli stessi genotipi sono responsabili anche di altre lesioni ano-genitali e di una parte dei carcinomi della testa e del collo.L’espressione delle proteine specifiche virali E-6 ed E-7 è indispensabile per mantenere la crescita maligna delle cellule cancerose della cervice, mediante l’inibizione specifica degli oncosoppressori p53 ed RB.Il rilevamento del DNA cellulare e delle proteine cellulari indotte dagli HPV ad alto rischio permette di tentare nuovi approcci per lo screening del carcinoma cervicale.In pratica oggi si possono effettuare degli screening per l’individuazione del carcinoma della cervice non solo utilizzando il vecchio pap test, che è ancora validissimo, ma utilizzando anche delle metodiche molecolari, che tendono a rilevare degli antigeni, o piuttosto il DNA di HPV.1. I carcinomi del tratto ano-genitale e, in particolare, quelli della cervice uterina, rappresentano il 12% circa di tutti

i tumori maligni femminili e pertanto rappresentano il secondo tipo di tumore maligno ginecologico.2. Il cancro della cervice è provocato da particolari tipi di HPV.3. Anche il 25% dei tumori della zona orale contengono i tipi di HPV isolati da lesioni genitali.

Questi tipi di HPV sono pertanto uno dei fattori di rischio importanti per i tumori maligni umani.

VACCINI CONTRO HPV

L’aver dimostrato l’associazione tra HPV e tumore della cervice uterina ha rappresentato un tassello fondamentale: perché una volta stabilito il legame tra HPV e carcinoma della cervice uterina è risultato subito chiaro ai ricercatori che allora fosse possibile prevenire l’insorgenza di questo tumore se questo cancro è indotto da HPV.Quindi la base razionale del vaccino è questa.

Gli studi sull’uomo sono stati preceduti da studi sugli animali, ed in particolare da studi sul coniglio che ha rappresentato un modello importante.

Esperimenti iniziali sono statti effettuati con proteine strutturali di virus del papilloma (che si assemblano spontaneamente a formare “Virus-Like Particles” = VLPs) di origine animale (virus del papilloma del coniglio), sono stati seguiti da una protezione efficace dell’infezione primaria di conigli.

La maggior parte degli approcci seguiti si basano sull’uso di VLPs derivate dalle proteine strutturali L1 ed L2.In pratica sono state costruite in vitro delle Virus-Like Particles (VLPs), vale a dire delle particelle simil-virali, che in realtà contengono soltanto antigeni virali, L1 e L2.Utilizzando queste VLPs sul coniglio si è capito che era possibile con questi vaccini prevenire l’infezione cutanea e il papilloma del coniglio.

Dal coniglio si è passati all’uomo, e si è cominciato un primo Trial clinico in volontari adulti con particelle virus-like (VLPs) formate dalla proteina L1 di HPV16, che è quello in assoluto il virus responsabile della maggior parte dei tumori della cervice uterina.

Questi trial di un vaccino contro HPV16 sono partiti nel 2001, ed oggi siamo arrivati alla produzione di vaccini almeno da parte di 2 case farmaceutiche.

Quello più utilizzato va sotto il nome di GARDASIL. Si era partiti da un vaccino monovalente, ma nel caso del Gardasil si tratta di un vaccino tetravalente, perché si pensa che questo possa proteggere contro l’infezione da parte di uno spettro maggiore di virus, anche da quelli che sono associati a lesioni a basso rischio, quali HPV6 e HPV11.

Questo vaccino è stato approvato dalla FDA americana, ed è stato approvato anche dalle agenzie europee.Oggi questo vaccino viene somministrato anche in Europa ed in Italia.

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Ovviamente, come tutti i vaccini, si tratta di una somministrazione che previene l’infezione da HPV, ma non la cura. Per cui se il soggetto ha già contratto l’infezione da HPV non può essere curato dalla vaccinazione.

Questa vaccinazione è estremamente efficace: protegge nel 100% dei casi dalla infezione da HPV, e quindi protegge anche dalle lesioni tumorali indotte dal virus.

Questa vaccinazione è importante nel mondo occidentale, ma sarebbe ancor più importante nelle regioni in via di sviluppo, ed in particolare in Africa, dove il tumore della cervice uterina uccide molte migliaia di persone.

È un vaccino efficace non solo estremamente, ma anche molto sicuro dal punto di vista degli effetti collaterali.

Il vaccino richiede 3 dosi successive, 3 iniezioni successive.

[Se questo vaccino risulta efficace e sarà applicato globalmente, la prevenzione dell’HPV a maggior prevalenza potrebbe prevenire più di 300.000 casi di cancro della cervice uterina per anno.Si può anticipare che vaccini polivalenti raggiungeranno il mercato.Tali vaccini che coprono le infezioni dei 4 o 5 ceppi a maggior prevalenza degli HPV ad alto rischio potrebbe prevenire l’80-90% dell’incidenza del carcinoma della cervice uterina.]

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Patologie autoimmuni

La tolleraza immunologica distingue tra self e non self, il fallimento della tolleranza self provoca autoimmunità. Le patologie autoimmuni sono molto variegate.L'ipersensibilità è divisa in 4: tipo I anafilassi o immediata; II citotossica o citolitica; III immunocomplessi; IV ipersensibilità ritardata ( reazione dei linfociti T). QUesta è la classificazione di gell coombs.

.TIPO IAnafilassi o immediata, abbiamo iperreattività con rilascio di mediatori chimici dell'infiammazione in condizioni inopportune ( è presente in asma bronchiale, rinite allergica, orticaria, eczema, febbre da fieno). IN alcuni casi il massivo rilascio dei mediatori dell'infiammazione porta a shock analiflattico. Molto spesso lo shock anafilattico ha anche un rapidissimo decorso. Gli organi bersaglio di questa situazione sono la muscolatura liscia ( contrazione), capillari ( dilatazione), ghiandole mucose ( secrezione). Tutte queste reazioni sono mediate dai mediatori dell'infiammazione.La diagnosi di allergia è clinica, indispensabile una diagnosi eziologica per stabilire le modalità di prevenzione o la necessità di una eventuale terapia sintomatica. E' opportuno stabilire l'agente, l'allergene, con esattezza per prendere provvedimenti.La diagnosi eziologica prevede l'intervento del laboratorio in una seconda fare: I fase= anamensi con correlazione tra un agente scatenante e la comparsa dei sintomi, dopodichè si effettuano test cutanei in cui la cute del soggetto viene fatta reagire con allergeni; nella II fase abbiamo la diagnosi di laboratorioLa diagnosi di laboratorio si basa sul PRIST ( Paper radioimmuno sorbent test), RAST ( radio allergo sorbent test). Questi due test si utilizzano in maniera sequenziale e combinata. DI solito infatti si esegue prima il PRIST che misura le IgE totali del paziente (10-200 kU/l= valori normali). Le igE totali sono di solito elevate nele allergie, sono comunque possibili valori normali. Il rast viene effettuato in seguito sulla base dei dati anamnestici e dello skin test si selezionano i più proababili allergeni. SOno circa 10 gli allergeni selezionati e contro questi si esegue il test.Ci sono situazioni in cui il PRIST è negativo ma la sintomatologia è evidente, e quindi si può ricorrere ad un test RAST allargato.

.IPERSENSIBILITà II citotossica o citoliticaABbiamo anticorpi contro antigeni di eritrociti, leucociti, piastrine o tessuti come pancreas ( diabete di tipo I), rene e tiroide. Le malattie di ipersensibilità di tipo II sono per sempio la sindrome di goodpasture e il morbo di basedow graves.

.IPERSENSIBILITà DI TIPO III: da immuno complessiMalattie caratteristiche sono il lupus eritematoso e l'artrete reumatoide. Se inoculo antigeni in animali da esperimento ho anticorpi, se ho un eccesso di anticorpi per reazione immunitaria forte non ho problemi, ma se ho una relativa equivalenza tra anticorpi e antigene posso avere in alcuni distretti una nefrite o arterite per deposizione di immunocoplessi precipitati. Questi immunocomplessi scatenano un processo di tipo infiammatorio, la nefrite o l'artrite che ritroviamo in alcune patolgoie umano come lo SLE per l'appunto o l'artrite reumatoide. Il lupus eritematoso sistemico è una malattia autoimmune sistemica, caratterizzata da infiammazione cronica, interessa molti distretti. I distretti sono il snc, cute, sierose, cuore, effetti ematologici, glomerulonefriti, artriti, linfoadeniti. Colpisce di più le donne. Questo lupus è dovuto ad autoanticorpi diretti contro il dna a doppia elica, rna e istoni. Gli immunocomplessi circolanti formati contro depositi self si depositano nei tessuti. Osserviamo quindi vasculiti, sinoviti ecc ecc.

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La diagnosi di questa patologia richiede l'individuazione di particolari situazioni cliniche come l'artrite, l'interessamento renale ed ematologico ed inoltre criteri di laboratorio . Il laboratorio conferma la reazione autoimmune attraverso la rilevazione di particolari marcatori come gli ANA.Quindi la diagnostica di laboratorio ricerca inizalmente gli anticorpi anti nucleo ( ANa), che sono contro il dna a doppia elica, anticorpi anti istoni, anticorpi contro il complesso dna istoni. Questi anticorpi non sono specifici però del SLE. Quindi la seconda fase è la ricerca ENA per capire che tipo di patologia abbiamo davanti. ENA= antigeni nucleari estraibili. Gli ANA confermano un processo patologico autoimmune, possono essere presenti anche in altre connettiviti, metodiche RIA ed ELISA le valutano, ci possono essere falsi positivi . La specificità e il valore predittivo sono bassi.Gli ENA sono antigeni nucleari estraibili o solubili. Si effettua la loro ricerca dopo che gli ana sono positivi. Se gli ana negativi, si ricercano gli ena solo i caso di un elevato sospetto clinico.Gli ENA più utilizzati sono 6, questi 6 sono autoanticorpi con valore diagnostico certo. SOno anti ribonucleoproteina SSA/r0, antiribonucleoproteina Sm, anti sci 70, anti JO1, proteine ribosomiali ed altri.Alcuni sono più specifici di altri soprattutto l'anti Sm, se questo è presente possiamo dire che è presente LES. Sm è però presente solo nel 25% pdei casi di LES, quindi è molto specifico , ma ha bassa sensibilità. SS sta per sindrome di SJORGEN che è un'altra malattia di tipo autoimmune e anti ssa/R0 è presente nel 90% di pazienti SS. Dovremmo valutare l'intero pannello di questi ENA ed essere fortunati mediante questo test ad avere delle indicazioni.Abbiamo anche anticorpi anti fosfolipidi frequenti nel LES. Questi sono associati a trombosi arteriose e o venose.. Possiamo inoltre avere trombocitopenia, ulcere arti inferiori, aborti ricorrenti, quindi abbiamo anche altre associazioni cliniche per la presenza di questi anticorpi.

-ARTRITE REUMATOIDE( AR)Malattia autoimmune che interessa circa l'1% della popolazione, malattia infiammatoria cronica con distruzione delle articolazioni, invalidità, deformità e anche morte prematura. E' dovuta a Infiammazione cronica della sinovia.100 milioni di persone in europa,comune nelle donne. La prevalenza aumenta con l'incremento di età nella popolazione. E' una causa rilevante di invalità. Peso economico: cure mediche, perdita di salario, produttività e qualità della vita ridotte. Questa patologia se identificata precocemente evita queste deformità, ricorrendo anche a supporti meccanici in modo tale che il soggetto sforzandosi non si deformi. AR colpisce le articolazioni periferiche e causa distruzione della cartilagine e dell'osso. I leucociti penentrano nello spazio sinoviale dell'articolazione e attivnao il sistema immunitario contribendo alla distruzione della cartilagine, dell'osso e di altri tessuti.Il fattore reumatoide è un antiocorpo anti IGM, IGG, IgA specifico per la porzione CH2 o CH3 del FC delle IgG. L'interazione con l'epitopo avviene al di fuori dell'antigene binding site.SI creano quindi immunocomplessi che si depositano nelle articolazioni. Le malattie da immunocomplessi si possono verificare anche dopo una patologia di tipo infettivo.La diagnosi di AR si effettua con criteri clinici, indagini di laboratorio quali la ricerca del fattore reumatoide, criteri radiologici. SOno necessari almeno 4 criteri per porre diagnosi, i primi 4 presenti da più di 6 settimane. Non c'è un gold standard per la diagnosi di AR.Test di laboratorio: fattore reumatoide, velocità di sedimentazione eritrocitaria , PCR ( marcatore di infiammazione), enzimi epatici, emocromo, urine creatinina, elettroliti. Nessuno di questi fattori è realmente specifico inclsuo il fattore reumatoide. I dati di laboratorio fanno parte del puzzle, sono un tassello.Il fattore reumatoide è presente nel 50-70% dei pazienti con AR. Pazienti con AR negativo possono essere presenti. I pazienti sieronegativi hanno una patologia meno grave. Il fattore reumatoide può essere IgM nascoto o IgG. FR può essere presente anche in soggetti normali, soprattutto anziani. Il fattore reumatoide nell'artrite reumatoide ha un alto titolo, alta affinità eterogenea nella struttura; fattore reumatoide nei soggetti normali->basso titolo, bassa affinità non eterogenei nella struttura.Negli ultimi anni abbiamo avuto altri criteri diagnostici di laboratorio: anti ccp ( citrullina) famiglia di

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autoanticorpi diretti contro proteine contenenti la citrullina. Anti ccp è presente precocemente nell'artrite reumatoide, può essere rilevato anni prima dei sintomi iniziali di AR, ha un valore predittivo elevat. Se lo vediamo in comparazione con il fattore reumatoide, ha un anticipo rispetto al fattore reumatoide.

DIAGNOSTICA GONADICA, GRAVIDANZA E AMNIOCENTESI

Duplice funzione: riproduttiva ed endocrina (secr.ormoni steroidei sessuali). Devono essere integre le tappe che iniziano durante lo sviluppo differenziativo (sesso genotipico e fenotipico).Asse ipotalamo-ipofisi-gonadi GNRH (è secreto in maniera pulsatile, ogni 2-3 ore nel circolo portale ipofisario) stimola la secrezione di FSH e LH (determinano la produzione di steroidi gonadici).FSH: donna maturazione follicoli ovarici, stimola la produzione di estrogeni. Uomo stimolazione della spermatogenesi nei tubuli seminiferi, della produzione di ABP (androgen binding protein, fondamentale per la maturazione degli spermatozoi), modula la concentrazione dei recettori di LH nelle cellule di Leydig.LH: donna secrezione di estrogeni e progesterone; produzione di androgeni ovarici. Uomo sintesi di testosterone.Fattori di controllo: inibina A e B prodotte da cellule della granulosa (B) e del corpo luteo (A) che inibiscono l’FSH e nell’uomo prodotta dalle cellule del Sertoli. Estrogeni e progesterone hanno un controllo a feedback negativo su ipotalamo e ipofisi. Estrogeni: promuovono e mantengono il ciclo mestruale e la gravidanza; responsabili della comparsa di caratteri secondari, sviluppo gh. Mammaria. Riducono riass.osseo, favoriscono riass.di Calcio nell’intesrino; stimolano enzimi della crescita dell’utero, etc.Progesterone: annidamento dell’uovo fecondato nella mucosa uterina e mantenimento della gravidanza, sviluppo mammella, emorragie mestruali insieme ad estradiolo, etc.

Differenze tra i sessiFasi dello sviluppo dell’app. riproduttivo in funzione dell’etàEtà infantile: differenze anatomiche.Pubertà: diversa insorgenza per sesso femminile (anticipa quello maschile).Periodo fecondo: limitato per la donna e continuo per il maschio dopo la pubertà.Fino a 7 aa: gonadotropine e ormoni sessuali sono bassi (asse quiescente). Dopo 7 aa: sintesi e secrezione di gonadotropine (attivazione dell’asse perché viene meno il feedback di estrogeni che anche se bassi bloccano l’asse). Picchi notturni di gonadotropine pubertà stimolazione di produzione steroidea.Normale pubertà femminile: 10-13 aa.Aumento degli estrogeni determina sviluppo caratteri secondaria (sviluppo area pubica, aumento seno, corneificazione epitelio vaginale, allungamento utero). Il progesterone compare dopo il primo ciclo mestruale e trasforma la fase proliferativa in fase secretoria.

GONADE FEMMINILEPeriodo fecondo della donnaNel ciclo mestruale (fase follicolare) gli estrogeni hanno feedback positivo su ipofisi aumento FSH accrescimento del follicolo. Al 12-16° giorno: fase ovulatoria (picco di LH) segue il picco di estradiolo.Fase luteinica: estrogeni e progesterone esercitano feedback negativo su gonadotropine (picco di secrezione del progesterone).Modificazione della mucosa: fase proliferativa per preparazione dell’impianto dell’uovo; fase secretiva per mantenimento dell’uovo fecondato; fase desquamativa se la fecondazione non è avvenuta.Caratterizzare periodo ovulatorio: ↑ estradiolo e LHCaratterizzare periodo luteinico: ↑ progesterone (indice di avvenuta ovulazione) – è basso in tale fase nei cicli anovulatori.

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Monitoraggio ciclo mestruale3 prelievi da eseguire al 7-14-21° giorno dal ciclo mestruale: fase follicolare o proliferativa, fase ovulatoria, fase luteinica o secretoria.Dosare FSH, LH, estradiolo, progesterone e almeno al primo prelievo la PRL (in caso di ciclo irregolare è necessario il dosaggio della PRL).Livelli di PRL: risentono dello stress e dell’esercizio fisico, varia in gravidanza e allattamento. Si effettuano 2-3 prelievi a 10 minuti di distanza. Livelli elevati di PRL alterano la funzione gonadica. Droghe e farmaci antidepressivi, adenomi ipofisari PRL secernenti aumentano la PRL che inibisce il GNRH alterando il ciclo.Concentrazioni di riferimento: nei bambini PRL, FSH, LH estrogeni e progesterone indosabili.Fase ovulatoria: estrogeni aumentati (170-230 pg/ml VS 18-24 della fase follicolare); LH aumentati (40-80 mUI/ml VS 5-25 della fase follicolare). I livelli di progesterone aumentano nella fase luteinica.

CLIMATERIO: periodo di vita che precede e che segue la menopausa.PRE-MENOPAUSA: periodo variabile (anni) con modificazioni ormonali. Maggiore frequenza di cicli anovulatori; riduzione dei follicoli ovarici e riduzione dei livelli di E2.POST-MENOPAUSA: dura circa 10 anni; segue la menopausa e termina nella senilità.

MenopausaEtà compresa tra i 45 e i 55 anni con cessazione dei cicli mestruali. Periodo durante il quale termina l’attività ciclica ovarica; esaurimento numerico dei follicoli per fenomeni di atresia; le gonadotropine iniziano ad aumentare prima ancora che cessi l’ovulazione. Manca il feedback inibitorio sull’ipofisi da parte degli estrogeni, quindi aumentano FSH e LH.Sintomi clinici: vampate di calore (75%) con aumento della temperatura corporea responsabili di vasodilatazione periferica, palpitazioni e sudorazioni (un anno). Iniziano dal cranio e si diffondono. Osteoporosi: aumento del riass.dell’osso e diminuito deposito; prevale l’attività osteoblastica, con aumento del rischio di fratture; è un fenomeno lento e progressivo (pre-menopausa, menopausa, post-menopausa). Durante la post-M gli estrogeni sono molto alti, mentre FSH e LH sono molto elevati.

GravidanzaStato che comporta modificazione di parametri biochimici e ormonali. La placenta è:

- Organo di alimentazione, respirazione ed escrezione- Secretore di ormoni placentari- Ghiandola endocrina: all’inizio è autonomo ma poi puo’ col tempo usare precursori degli ormono

materni per formare gli estrogeni: 1) beta-HCG: glicoproteina prodotta sin dalla prima settimana di fecondazione (passa in circolo materno ma non attraversa la barriera placentare); 2) HPL (ormone lattogeno placentare): indice specifico della massa della placenta.

A partire dal 1° trimestre di gravidanza il sistema endocrino fetale diventa autonomo.Nel corso della gravidanza gli ormoni subiscono queste alterazioni:IPOFISARI: ↓↓ FSH e LH; = ACTH, GH e TSH; ↑↑ PRL (aumento progressivo perché gli estrogeni inibiscono la dopamina che inibisce PRL). STEROIDI GONADICI: ↑↑ estradiolo e progesterone (che inib.FSH e LH). ALTRI: ↑ tiroxina totale (ma la forma libera è normale).

Modificazioni ormono-metaboliche in gravidanzaGlucosio: substrato nutritivo disponibile per il feto, passa la barriera placentare.Aumento del PTH con aumento dell’assorbimento intestinale di Ca (assorb.intestinale giornaliero della concentrazione va da 150 mg nel 1° trimestre a 400 nel 3°) invece della metabolizzazione di riserve scheletriche di Ca (da 1g a 1,5/die).Tendenza all’aumento della glicemia e insulinemia dovuto all’aumento dell’insulino-resistenza (ultimo bimestre).

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Fino alla 7° settimana estradiolo e progesterone sono prodotti dal corpo luteo, dopo la 7° settimana sono prodotti dalla placenta. Il colesterolo è usato per formare progesterone. A livello del surrene fetale, il colesterolo fetale (90%) e materno (10%) formano DHAS (diidroepiandrosterone solfato) che nel fegato fetale viene 16alfa idrossilato quindi questo portato alla placenta dove viene trasformato in estriolo per de solfatazione; nella placenta il DHAS viene trasformato in dea solfato libero (ad opera di solfatasi placentare) il quale viene trasformato in androstenedione testosterone estradiolo.HGC: simile all’LH. Stimola la produzione di estradiolo e progesterone (aumenta la conversione dei precursori per il progest.). Aumentano i livelli fino alla 10-12° settimana e poi si stabilizzano. Il progesterone aumenta durante tutta la gravidanza. HPL aumenta fino alle ultime settimane (se si riduce si ha parto prematuro).

Diagnosi biochimica in gravidanza7 giorni dopo il concepimento nel siero della donna si può fare il dosaggio della beta-HCG. E’ una glicoproteina prodotta dalla placenta torrente materno escreta intatta dal rene. Può essere dosata nel siero e nelle urine (rischio di falsi positivi per interferenza con altre componenti).Il dosaggio sierico: la beta-HCG raddoppia ogni 2 gg. e alla 11° settimana ha un grosso picco di secrezione. Monitoraggio: dosaggi periodici almeno nelle prime settimane per verificare se l’impianto è avvenuto in maniera adeguata. Gemelli: dosaggi raddoppiati.Mancato raddoppio: aborto spontaneo o gravidanza ectopica (dolore addominale e/o emorragia).Picco alla 10-12° settimana: se livelli rimangono elevati (mola vescicolare o corioncarcinoma) sono segno di una degenerazione benigna del tessuto placentare.

Test di gravidanzaSi basa sul dosaggio della beta-HCG sierica.1° settimana: 25-50 mUI/mlSett.successive: raddoppio ogni 2 gg.10-12° settimana: picco ca.200.0002°-3° trimestre: circa 50.000

1° settimana: mancato raddoppio grav.ectopica1° trimestre: improvvisa riduzione minaccia di abortoDall’inizio: livelli molto elevati gravidanza gemellare.

Gli ormoni dopo il partoRitornano nella norma. FSH e LH ritornano nella norma se la donna non allatta. In caso contrario i loro livelli saranno bassi. PRL in allattamento subisce un picco di secrezione. Man mano i livelli diminuiscono. Il meccanismo di regolazione è il seguente:Suzione ipotalamo che induce: 1) riduzione GNRH e quindi ridotto LH con inibizione ovulazione; 2) azione su neuroipofisi con aumento dell’ossitocina che stimola la secrezione del latte nella Gh.mammaria; 3) riduzione della DA con aumento della secrezione di PRL dall’adenoipofisi e quindi aumento della produzione di latte. Può succedere che i livelli di PRL non siano sufficientemente elevati da inibire il GNRH.

GONADE MASCHILE

L’FSH da inizio alla spermatogenesi per azione sulle cellule del Sertoli che secernono ABP che lega il testosterone per determinare la maturazione degli spermatozoi. LH agisce sulle cellule del Leydig che sintetizzano testosterone. L’inibina inibisce a livello ipofisario solo FSH. Il testosterone aromatizzato ad estradiolo inibisce l’ipotalamo.

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Normale pubertà maschile: 11-14 aa. Inizia con l’aumento di volume dei testicoli aumento secrezione androgeni che induce sviluppo dell’area pubica, cambiamento tono vocale, sviluppo area ascellare, sviluppo muscolare.Età adultà: 3 prelievi a distanza di 20’ e poi pool per dosaggio di FSH, LH e testosterone.Valori bassi di gonadotropine test al GNRH (aumento di 5 volte v.b. di LH) riserva ipofisaria sufficiente (non c’è ipogonadismo ipogonadotropico).Valori bassi di testosterone test con HCG fino a 96 ore (aumento 2 volte valori basali di testost.) la funzione della gonade è normale.Secrezione pulsatile di testosterone e picco mattutino con ritmo circadiano.

Infertilità maschileIncapacità di concepire dopo almeno 18-24 mesi di rapporti. Circa il 15% delle coppie si trova in una condizione di infertilità e il 5% dei maschi ha problemi di fertilità. Cause possibili:

1) Disfunzioni testicolari (criptorchidismo, varicocele)2) Disfunzioni ormonali (ipogonadismo ipo- o ipergonadotropico)

Diagnosi di infertilitàDeterminare livelli sierici di FSH e LH, testosterone e PRL.Spermiogramma: esame per valutare la capacità fecondante dell’uomo. Da quest’esame deriva: a) pervietà e funzionalità dell’apparato escretore; b) attività ghiandola accessoria; c) produzione spermatozoi nei testicoli.Ricerca di malattie genetiche associate ad infertilità.

Linee guida metodologicheFase preanalitica : raccolta e consegna del campione.

- Astinenza sessuale: 3-5 gg.- Modalità di raccolta: masturbazione- Contenitore sterile- Luogo di raccolta : laboratorio- Consegna in un’ora- Trasporto: escursione termina- Assunzione di farmaci : evitare interferenze.

Fase analitica: valutazione micro e macroscopicaEsame macroscopico

- Aspetto del seme: opalescente- Volume > 2 ml- Ph tra 7.2 e 8- Fluidificazione entro 10-60’- Viscosità a goccia

Esame microscopico1) Presenza di spermatozoi:

Concentrazione: n° spermatozoi/ml di liquido seminale (vn > 20x106/ml); conta: n° totale di spermatozoi per eiaculato (vn > 40x106/ml)

2) Motilità: Movimenti rapidi progressivi, lenti progressivi, non progressivi e immobili. > 50% per motilità progressiva totale; > 25% per motilità progressiva rapida.

3) Morfologia e presenza di agglutinazioni o altri componenti cellulari:Forma e aspetto: percentuale forme tipiche > 40%. Cellule epiteliali del tratto urogenitale, cellule dell’epitelio prostatico. Zone di spermio agglutinazione costituite da spermatozoi mobili sono

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suggestive di presenza di Ab antispermatozoo (coda-coda o testa-coda) che ostacolano la motilià. Leucociti < 1x106/ml (aumentano nelle infiammazioni della gh.accessoria).

Altri parametri:- Fruttosio: funzionalità vescicole seminali- Zinco, fosfatasi acida, acido citrico: attività secretoria prostatica.

Fase postanalitica: refertoNon deve contenere giudizi clinici sulla fertilità del pz ma solo i risultati delle analisi.Azoospermia : no spermatozoi. Oligospermia: < 20x106/ml.

Referto patologicoSeme giallastro infezioneSeme rosso-rosato emorragia o flogosiVolume < 2 ml (ostruzione o agenesia dei dotti deferenti); > 6ml (patol.prostatica o vescicole seminali)Ph <7 (ostruzione dotti eiaculatori); >8 (flogosi vescicole seminali)Fluidificazione: inadeguata secrezione prostatica.Viscosità: a filamenti (pat.flogistiche).

ALTERAZIONI DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE

Sindrome di TurnerCariotipo XO (45 cr) ; fenotipo: femminile. La gonade non si forma correttamente e si presenta fibrotica basso estradiolo e aumentato FSH-LH.Incidenza: 1:2000. Bassa statura, pterigio del collo, torace a scudo, capezzoli distanziati. Gonadi fibrotiche a strie. Ipogonadismo con amenorrea.

Sindrome di KlinefelterCariotipo XXY (47 cr) ; fenotipo: maschile. Testosterone ridotto e FSH-LH aumentati. Compaiono azoospermia e quindi infertilità. Incidenza: 1:1000; insufficienze virilizzazione. Tubuli seminiferi fibrotici. Ipogonadismo con assenza di spermatogenesi.

ALTERAZIONI DELLA PUBERTA’

PrecoceNella donna prima dei 7 aa, nel maschio prima dei 9. Nella donna distinguiamo: un tipo centrale dovuto ad una attivazione prematura dell’asse ipot-ipof-gonade con ormoni ai livelli degli adulti (cause possibili: tumore, trauma cranico, meningite, encefalite); un tipo associato a tumori ovarici che secernono estrogeni (FSH-LH risultano ridotti con amenorrea o cicli irregolari) con anticipata comparsa dei caratteri secondari, ovulazione e mestruazione. Nel maschio c’è il tipo centrale associato a deficit enzimatico.

RitardataNella donna dopo i 13 anni, nel maschio dopo i 14. Fisiologico se associato a bassa statura in una buona % dei casi (ritardo costituzionale). Può essere associata ad ipogonadismo ipogonadotropico che è la causa piu’ comune, causato da malattie congenite (prader-willi, kallman, etc) oppure acquisite (encefaliti, meningiti, traumi, tumori, etc) che intaccano la normale funzionalità ipotalamo-ipofisaria. Oppure associato ad ipogonadismo ipergonadotropico con difetto ovarico (turnet, insuff.primaria) oppure testicolare (klinefelter, criptorchidismo, etc).

ERMAFRODITISMO

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E’ ermafrodita un individuo in cui è presente sia tessuto testicolare che ovarico. E’ una sindrome non molto frequente, associata a mosaicismo o a chimerismo dei cromosomi sessuali o a traslocazione o scambio del cromosoma Y con autosoma o cr.X.

PseudoermafroditismoMaschile: le gonadi sono maschili ma i dotti o i genitali esterni hanno incompleta mascolinizzazione. Cause principali: assenza o ipoplasia delle cellule di Leydig o insensibilità delle stesse alla HCG con conseguente deficit di testosterone. Altra causa: difetti enzimatici della steroidogenesi.Femminile: gonadi esclusivamente femminili con genitali ad apparenza maschile o ambigua. Cause: iperplasia surrenalica congenita, tumore virilizzante femminile, somministrazione di androgeni in gravidanza.

AMENORREAAssenza di mestruazioni nelle donne in età fertile. Si dice primaria quando si ha mancata comparsa di mestruazioni dopo il sedicesimo anno di età. Secondaria quando si manifesta con assenza di mestruazioni per 3 cicli consecutivi o almeno 6 mesi. Cause sono associate a disordini che possono coinvolgere molti organi come il tratto genitale, il surrene, la tiroide, l’ipofisi e l’ipotalamo. La causa principale di amenorrea secondaria è la gravidanza, ma è fisiologica dunque non va considerata come una patologia.

DiagnosiDosaggi di PRL, T4, TSH per escludere iperprolattinemia o ipotiroidismo primario. Se sono normali si passa al dosaggio di FSH e LH e di estradiolo e androstenedione. Cause possibili:

Ipogonadismo ipergonadotropo Produzione ectopica di ormoni Alterato feedback Iperproduzione di androgeni Ipogonadismo ipogonadotropo: in questo caso i test al clomifene e al GNRH permettono di capire

se la disfunzione è a carico di ipofisi o ipotalamo.

TEST DI FUNZIONALITA’ DELL’ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-GONADI

Test al clomifeneIl clomifene è un composto non steroideo capace di legare i siti recettoriali per l’estradiolo a livello di ipofisi e ipotalamo. In questo modo sottrae questi siti all’ormone, liberando l’ipofisi dal feedback negativo con aumento successivo di FSH e LH che stimolano il follicolo che produce estradiolo. Stessa cosa sull’ipotalamo che quindi secerne GNRH con ulteriore aumento di gonadotropine. 50-100 mg di clomifene dal 5° al 9° giorno di ciclo. I livelli di gonadotropine vengono dosati e risultano aumentati.Nell’uomo: 150 mg per 10 gg. raccolta di 3 campioni di sangue a 20’ di distanza, un giorno prima del test e al 9° e 10° giorno. FSH e LH sono notevolmente incrementate nel soggetto normale.

Test con HCGE’ come l’LH quindi quando iniettata lega il recettore sulle cellule di Leydig e stimola secrezione di testosterone. Permette di valutare la funzionalità di suddette cellule: la normalità prevede un raddoppio dei livelli di testosterone dall’ultima iniezione.

Test con GNRHSi somministra GNRH per via ev e si raccolgono campioni di sangue a: -15, 0, 15, 30, 45, 60, 90, 120 e 180 minuti. LH e FSH aumentano notevolmente nel soggetto normale.

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LIQUIDO AMNIOTICO E AMNIOCENTESIFunzioni dell’amnios: 1) mantenere la temperatura costante (feto isolato); 2) ammortizzazione (impedisce al feto danni da compressione).

Produzione del liquido amniotico1) Secrezione da parte delle cellule della membrana amniotico;2) Diffusione attraverso la m.amniotica (dall’esterno all’interno);3) Secrezione salivare, faringea, tracheale, alveolare del feto.

Il feto ingurgita di continuo il liquido, lo arricchisce delle sue secrezioni, fa una sorta di gargarismo e lo espelle.

Riassorbimento del liquido:1) Diffusione dalla m.amniotica2) Assorbimento tracheo-bronchiale;3) Deglutizione.

Contenuto: H2O (emivita 95 min.; diverso da H20 normale che è 180min)

Rapporto liquido/dimensioni feto è incostante. Fino alla 21° settimana è di 2:1, fino alla 30° di 1:1, nell’ultima fase di gravidanza è 1:2.Al momento del parto la quantità di liquido è circa 1 litro. Al di sotto di un litro si parla di OLYGOAMNIOS o OLIGOHIDRAMNIOS (anomalia materna, placentare, fetale); oltre il litro di POLIDRAMNIOS.

Olygohidramnios: perdita di liquido amniotico per : 1) rottura dell’amnios; 2) insufficienza uteroplacentare per ipertensione materna o grave tossiemia; 3) agenesia fetale renale.

Sequenza di Potter o sequenza di OligohidramniosCompressione fetale associata a oligohidramnios, faccia tipica schiacciata e anomalie:

- Malformazioni: anomalie intrinseche dello sviluppo che possono interessare più organi- Deformazioni: alterazioni della forma da agenti meccanici (costrizione uterina tra 35° e 38° sett.)- Rotture: fattori estrinseci o interferenze interne su un organo o su una regione corporea, prima

normale in sviluppo (bande amniotiche)- Sequenza: anomalie a cascata dopo la prima, con effetti secondari in altri organi.

Polihidramnios: associato soprattutto ad aumento della COX2; il nimesulide provoca tale situazione. IN caso di infezione si trovano citochine nel liquido amniotico che induco reazioni a cascato con produzione di COX2 che provoca contrazioni uterine e parto prematuro. Per evitarlo si fa il cerchiaggio dell’utero.

La membrana amniotica è formata dagli amniociti: cellule ovoidali ricche di glicogeno che successivamente si arrotondano e scompare il glicogeno, sostituito dai lipidi con formazione di strutture digitiformi tipiche dell’amniocita. Il liquido si forma in parte attraverso una membrana basale vascolarizzata e in parte direttamente dagli amniociti. Stessa cosa anche in uscita. Nel liquido il feto defeca ed urina. Ingurgita in media dai 15 ai 40 ml all’ora, ma il quantitativo dipende dall’alimentazione materna che, se è di gradimento per il feto come un cibo dolce, porterà ad un quantitativo di liquido ingurgitato maggiore. Viceversa per l’amaro.

Amniocentesi

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Consiste nell’aspirazione del liquido amniotico. L’ago viene inserito dietro guida ecografica in una situazione di totale asepsi. Dopo l’esame le gestanti vanno trattate con profilassi con immunoglobuline anti-D. Durante l’esame il feto si agita e ha una vera e propria crisi di panico: viene solitamente calmato dal pattito del cuore della madre.

Markers dell’amniocentesiMetabolismo proteico: se la gravidanza è normale è basso. La concentrazione di proteine nel liquido amniotico è pari a circa 1/10-1/20 di quella sierica della madre. Tra le proteine la più importante clinicamente è l’alfa-feto-proteina (AFP). Si tratta di una molecola la cui produzione raggiunge un picco alla 13° settimana e poi si riduce progressivamente. E’ indicativa di un difetto del tubo neurale, infatti di solito, in assenza di difetto il liquor (in cui la AFP si trova ad alte concentrazioni) è separato dal liquido amniotico. Con il difetto c’è continuità tra i liquidi e la proteina dunque aumenta. Si misura con saggio immunologico e i risultati si riportano come multipli della mediana. Il valore di riferimento è 2, quindi un aumento delle concentrazione del 3-4% sono già indicativi di ulteriori analisi approfondite.

Metabolismo carboidratico: glucosio, piruvato, lattato. Devono essere bassi. Se aumentati è presente glicogeno embrionale il che è segno di immaturità fetale perché gli amniociti lo contengono solo nelle prime fasi ma non in fase avanzata.

Metabolismo lipidico: fosfolipidi, lecitina, sfingomielina. Devono essere alti perché sono segno di maturità fetale. Un’alterazione degli stessi può portare alla causa principale di morte fetale, ossia la Sindrome da distress respiratorio (RDS). In questa malattia abbiamo una ridotta secrezione del surfattante alveolare che permette agli alveoli di non collabire e garantire così una respirazione adeguata. Il surf è formato da molecole lipidiche tra cui quelle citate. Importante è dunque valutare le concentrazioni soprattutto di lecitina e sfingomielina, in modo particolare il rapporto L/S che è normale se maggiore o uguale a 2. Il rischio di RSD è del 70% per valori sotto 1,5, del 40 tra 1,5 e 2, bassissimo quanto piu’ ci allontaniamo da 2.

Funzione renale: creatinina, urea, acido urico. Elevati livelli indicano rene maturo.

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Il laboratorio clinico nella diagnostica delleANEMIE EMOLITICHE

Definiamo EMOLISI la modalità di distruzione (intravascolare) o di rimozione (extravascolare) dei globuli rossi dal torrente circolatorio prima che si completi il loro ciclo vitaleL’emolisi può restare asintomatica se la distruzione dei globuli rossi viene compensata dalla produzione midollare Se il midollo non riesce a compensare la distruzione eritrocitaria si manifesta un quadro di ANEMIA che pertanto si definisce EMOLITICA

Nel corso di una anemia emolitica, si ha, nell’ordine, l’alterazione dei seguenti paramentri ematici:1- riduzione ferritina2- riduzione Fe sierico3- riduzione di Hb

Quindi la prima “spia” di una anemia emolitica è sempre rappresentata prima dall’abbassamento della ferritina, dunque è questo il primo paramentro che deve essere valutato.Nelle fasi iniziali infatti il Fe sierico e l’Hb potrebbero essere ancora del tutto normali.

INDAGINI PRELIMINARI IN CASO DI ANEMIA

Un approccio logico all’anemia richiede una chiara comprensione delle sue possibili cause, delle sue manifestazioni cliniche e degli esami di laboratorio. Ci sono due grandi classificazioni: la classificazione morfologica e quella eziologica generalmente vengono usate entrambe per i vantaggi che ne derivano.

Conteggio ematico totaleConferma l’anemia e mostra una concomitante leucopenia o trombocitopenia se presente, così come evidenzia microcitosi, normocitosi o macrocitosi.Valori minimi di concentrazione di Hb (al di sotto dei quali per legge non può essere donato sangue):13,5 g nel maschio e 12,5 g nella femmina.

Esame dello striscioLa morfologia dei globuli rossi può dare un indizio della causa dell’anemia.

Conta reticolociticaUn aumento nella conta dei reticolociti indica una risposta del midollo all’anemia e può suggerire sia emorragia sia emolisi.

Ulteriori accertamenti saranno diretti alla ricerca delle cause dell’anemia e dipenderanno dai risultati delle suddette indagini preliminari. Nel caso in cui sospettiamo emolisi procediamo con:

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Screening biochimico per l’emolisi

- Dosaggio dell’ LDH (Aumento)- Dosaggio dell’aptoglobina sierica (Diminuzione)- Dosaggio della bilirubina serica (non coniugata) e dell’urobilinogeno nelle urine (Aumento) (L’aptoglobina la troviamo diminuita in caso di emolisi intravascolare; è invece normale nel caso di emolisi extravascolare

TRASFUSIONE CON SANGUE NON COMPATIBILE

Contro gli antigeni del sistema ABO che non corrispondono a quelli del proprio gruppo sanguigno, il nostro sistema immunitario produce degli anticorpi naturali (IgM): questa reazione che potremmo definire “innata” è responsabile dell’ emolisi INTRAVASALE dei globuli rossi introdotti con una trasfusione di sangue non compatibile. Di conseguenza si ha liberazione di grandi quantità di Hb in circolo. L’Hb così liberata viene legata dall’aptoglobina e dall’albumina che la portano al fegato per essere catabolizzata. Quando l’aptoglobina è saturata, l’Hb in eccesso presente nel sangue, è filtrata dai reni ed escreta attraverso le urine. Trovando un ambiente acido, l’Hb può precipitare a livello del tubulo renale e provocare così insufficienza renale acuta (tubulo-necrosi acuta) nel giro di pochi minuti!I sintomi sono precoci e il decorso di questa reazione piuttosto rapido (l’emolisi intravascolare appena scendono le prime gocce di sangue non compatibile), per questo motivo, per legge, un medico (non un infermiere) deve essere presente per almeno i primi 10 minuti dall’avvio della trasfusione! Il medico, qualora necessario, deve tempestivamente intervenire bloccando immediatamente la trasfusione, senza togliere l’ago dalla vena (evento che può shockare il paziente, e successivamente può essere più difficile individuare nuovamente la vena) e ricorrere alla somministrazione di soluzione fisiologica (per idratare il più possibile il paziente) e di un diuretico!Se l’interveto è tempestivo e precoce, si può limitare la portata del fenomeno emolitico e quindi il rilascio di grandi quantità di Hb, così che essa venga per la massima parte tamponata dall’aptoglobina; qualora così non fosse e l’Hb in circolo sia particolarmente abbondante, allora con la diuresi forzata si impedisce che, l’Hb possa precipitare nei tubuli renali.Tra le principali manifestazioni cliniche, evidenziabili in laboratorio:emoglobinuria, aptoglobina diminuita se non addirittura assente, e inoltre, nelle settimane successive alla trasfusione si troverà emosiderina nelle urine (derivata dalle cellule di sfaldamento del tubulo renale, che assorbono l’Hb e depositano il Fe sottoforma di emosiderina).

Contro l’Rh non vengono prodotti anticorpi naturali. Contro questo antigene viene sviluppata una risposta immunitaria specifica, con produzione di anticorpi e cellule di memoria. In seguito a un primo evento trasfusionale di sangue Rh+ in un paziente Rh-, dal punto di vista clinico non accade nulla, ma si ha sensibilizzazione del paziente, il quale produrrà degli anticorpi di classe prima Ig M e poi Ig G. Nel caso di una seconda trasfusione di questo tipo nello stesso soggetto, allora in questo caso la risposta immunitaria anticorpo mediata viene rapidamente attivata: gli anticorpi (in questo caso si tratta di IgG) opsonizzano i globuli rossi quali quando passano attraverso i sinusoidi della milza sono fagocitati dai macrofagi che hanno il recettore per la porzione Fc delle Ig G. Quindi si avrà l’eliminazione di tutte le emazie Rh incompatibili che abbiamo somministrato al paziente ma in sede extravascolare, per cui in questo caso non si ricerca la riduzione dell’aptoglobina (che non è ridotta) ma si vede il fatto che anche dopo la trasfusione la concentrazione di emoglobina non sale. L’emolisi intravascolare si può avere anche per traumi dei globuli rossi, come accade ad esempio in caso del loro passaggio attraverso vasi danneggiati o a causa di valvole cardiache artificiali danneggiate. Anche ogni volta che si attiva il complemento si ha un emolisi intravascolare.

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Tipi di emolisi

Emolisi intravascolare:

distruzione dei globuli rossi in circolo con rilascio nel plasma del loro contenuto per cause dirette di danno e di distruzione della membrana cellulare dovute a:

traumi meccanici per contatto con superfici non biocompatibili o con l'endotelio vascolare danneggiatofissazione ed attivazione del complemento sulla superficie cellulare agenti infettivi

Emolisi extravascolare:

è il meccanismo più comune ed è determinata da:rimozione e distruzione dei globuli rossi ad opera dei macrofagi della milza e del fegatoovviamente di emazie che presentino o un danneggiamento della superficie o un alterato rapporto superficie/volume, come accade ad esempio nella sferocitosi. Il globulo rosso per funzionare bene deve avere un alto rapporto superficie/volume. Se tale rapporto si altera, o perché si riduce la superficie o perché aumenta il contenuto si ha una eliminazione del globulo rosso. Un globulo rosso (diametro di 8 micrometri) può deformarsi e passare attraverso i cordoni splenici aventi un diametro di 3 micrometri Se i globuli rossi hanno la membrana alterata si bloccano e vengono fagocitati dai macrofagi.

Un segno caratteristico di emolisi è l'aumento del numero dei reticolociti

nel caso di una severa anemia emolitica, il conteggio dei reticolociti può risultare aumentato fino al 20%l'anemia dell'emolisi è solitamente normociticauna marcata reticolocitosi può portare ad un aumento del volume corpuscolare medio (MCV), in quanto i reticolociti possiedono un MCV superiore di circa il 20% rispetto ai globuli rossi maturi (Una delle differenze tra globulo rosso invecchiato e reticolocito è il differente rapporto superficie/volume, ridotto nel globulo rosso invecchiato; ciò significa che il reticolocito è meno denso. Se c’è un incremento dei reticolociti aumenta il MCV)

Indagine microscopica:Indispensabile risulta l'indagine microscopica dello striscio periferico, che consente di visualizzare la reticolocitosi, attraverso la presenza di emazie più grandi e lievemente policromatiche (policromasia),

L'indagine microscopica dello striscio periferico consente di visualizzare la morfologia eritrocitaria (presenza di sferociti o schistociti).

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- I primi sono eritrociti più piccoli delle cellule normali e possono ritrovarsi nella sferocitosi ereditaria e nell'anemia emolitica immune - Gli schistociti sono invece globuli rossi frammentati la cui identificazione è essenziale per la diagnosi di anemia emolitica microangiopatica oppure porpora trombotica trombocitopenica microangiopatica: i globuli rossi si frammentano e subiscono gravi danni strutturali nel cercare di oltrepassare i trombi che in questa patologia si formano ostruendo il passaggio attraverso i vasi.La distruzione dei globuli rossi comporta :

• Aumento della lattato-deidrogenasi LDHL'LDH e l'emoglobina sono rilasciati in circolo quando i globuli rossi vengono distrutti

• Aumento della bilirubina indiretta (non coniugata)L'emoglobina liberata viene convertita in bilirubina nella milza o legata nel plasma dall'aptoglobina. Il complesso emoglobina-aptoglobina viene rapidamente rimosso dal circolo ad opera degli epatociti

• Riduzione dei livelli di aptoglobinaI metodi di dosaggio valutano l'aptoglobina libera, in caso di emolisi intravascolare la concentrazione di aptoglobina risulta ridotta od assente

Hb glicata

E’ stato prospettato l'uso dell'Hb glicata come test sensibile nella diagnosi di emolisi.L’emoglobina glicata è stata indicata come test sensibile di emolisi perché in caso di emolisi cronica si ha l’immissione rapida di reticolociti in circolo e i globuli rossi non possano glicarsi, perché il globulo rosso distrutto prematuramente non resta esposto al glucosio. Quindi la riduzione dell’emoglobina glicata è il segnale di una emolisi cronica. L'emoglobina glicata si forma per glicosilazione dell'HbA ed il grado di glicosilazione dipende direttamente dalla concentrazione di glucosio nel sangue e dal tempo di esposizione degli eritrociti al glucosio. Nei pazienti con anemia emolitica, gli eritrociti periferici sono relativamente giovani, a causa dell'emolisi recente, e l'Hb non ha abbastanza tempo per reagire con il glucosio del sangue, pertanto la quantità di Hb glicata, misurata come HbA1c è bassa se confrontata con controlli di pazienti sani.

Nel caso di severa emolisi intravascolare, essendo saturata la capacità di legame dell'aptoglobina, le molecole di emoglobina passano il filtro renale e vengono assorbite dalle cellule del tubulo renale prossimale, all'interno del quale vengono catabolizzate Il ferro viene dissociato ed immagazzinato in molecole di ferritina ed emosiderinaLe cellule senescenti dell'epitelio tubulare passano nell'urina e la presenza di emosiderina nel loro interno può essere rivelata mediante la colorazione di Pearls del sedimento urinario (emosiderinuria)

Nell'emolisi intravascolare grave viene saturata anche la capacità di riassorbimento tubulare e l'emoglobina compare in soluzione nell'urina del paziente (emoglobinuria) conferendo alle urine il caratteristico colore rosso-bruno.

L'emolisi acuta intravascolare massiva può comportare la comparsa di insufficienza renale acuta, per cui è importante, in questi casi, anche il controllo della diuresi, del peso specifico delle urine, della creatininemia e dell'azotemia.

Se c’è un grado elevato di microcitosi possiamo pensare ad un portatore di talassemia. In condizioni normali per ogni grammo di Hb (g/dl) ci sono tre “punti” di ematocrito. Questo è un paramerto che può

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essere utile: se un soggetto normale ha 13g di emoglobina avrà un ematocrito intorno a 39. Se questo valore non è conservato , ad esempio si hanno 15g con un ematocrito di 38, vuol dire che queste emazie sono piccole e quindi si può dire che c’è una macrocitosi legata alla iposideremia. Per la definizione di anemia ci riferiamo ai grammi di Hb, non al numero dei globuli rossi perché secondo tale definizione un individuo talassemico che possiede un numero più o meno normale di globuli rossi non sarebbe anemico. Normalmente Hb deve essere almeno 13,5g/dl nel maschio, 12,5g/dl nella femmina. Questi sono i valori minimi per la legge italiana che consentono ad una persona di donare il sangue. Ovviamente un valore normale di emoglobina è di circa 15g/dl. Indipendentemente dalla sede in cui l’emolisi si verifica (intra- o extra- vascolare) essa può dipendere da cause intra- o extra- globulari (cioè può essere dipendente da caratteristiche interne dei globuli rossi oo da cause esterne ad essi). Vi sono, dunque, due gruppi principali di anemie emolitiche:- da causa extraglobulare- da causa intraglobulareAll'interno di questi due gruppi può essere effettuata una ulteriore classificazione.

ANEMIA EMOLITICA DA CAUSE INTRAGLOBULARI:

1) Difetti di membrana: sferocitosi ereditaria; elissocitosi ereditaria 2) Da carenza enzimatica: G-6-PDH oppure PK3) Emoglobinuria parossistica notturna

Queste forme di anemia sono forme croniche che non pongono problemi diagnostici come quelle da cause extraglobulari.Si può avere anche anemia emolitica da frammentazione per varie cause. Bisogna ricordare che anche l’attività fisica intensa causa una lieve anemia senza conseguenze. Ci sono poi altre cause di anemia emolitica da frammentazione: in pratica sono le stesse cause che abbiamo visto come cause meccaniche. Si tratta ovviamente di cause extraglobulari.

ANEMIA EMOLITICA DA CAUSE EXTRAGLOBULARI

1) Anemia emolitica da cause meccaniche

Il fenomeno della frammentazione eritrocitaria si verifica in disordini come la porpora trombotica trombocitopenica (PTT)La sindrome uremico emoliticala coagulazione intravascolare disseminata la pre-eclampsia ed eclampsia

( la preeclampsia nota anche come gestosi, è una sindrome caratterizzata dalla presenza, singola o in associazione, di sintomi quali edema, proteinuria o ipertensione in una donna gravida)

l'ipertensione malignaanemia da protesi valvolari cardiache nel passaggio attraverso valvole cardiache sinteticheemoglobinuria da marcia (attività fisica intensa)

I globuli rossi possono anche subire un insulto diretto in situazioni di sforzo fisico prolungato, come ad esempio dopo una marcia o una corsa, e la spia d'allarme è rappresentata dalla comparsa di un'emoglobinuria (emoglobinuria da marcia) subito dopo l'evento traumatico.

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- L'anemia emolitica microangiopatica è un'emolisi da frammentazione delle emazie, causata da un danno in circolo della membrana eritrocitaria, con conseguente emolisi intravascolare e comparsa di schistociti nello striscio periferico.

- Nel trattamento della porpora trombotica trombocitopenica va assolutamente evitata la trasfusione anche di piastrine, che potrebbero seriamente aggravare la malattia! Oltre all’anemia, per la diagnosi di questa malattia vanno ricercati anche altri sintomi clinici, quali sintomi neurologici (la formazione di trombi e l’ipercoagulabilità provocano sofferenza al cervello). La patologia è correlata ad una emolisi intravascolare da cause extraglobulari, quindi l’anemia è di tipo normocitico e sono evidenziabili schistociti nel sangue. Lo striscio di sangue conferma la diagnosi. . Per la diagnosi di TTP in base a dati di laboratorio ci si basa su LDH aumentato, piastrine ridotte e una emolisi intravascolare da cause meccaniche. Si può in questo caso trattare il paziente con trasfusione di sangue privo di piastrine. Nella TTP si ha quindi aggregazione piastrinica ma non il consumo di fattori della coagulazione. Quindi è una cosa diversa rispetto alla CID (coagulazione intravascolare disseminata).

2) Anemia emolitica da cause fisiche ustioni

Nel caso di ustioni estese della superficie corporea è il danno termico a comportare una distruzione delle emazie nei sinusoidi splenici e, nello striscio di sangue periferico, si può rilevare la presenza di svariate alterazioni morfologiche quali: echinociti, schistociti, microsferociti

3) Anemia emolitica da agenti chimici piombo, rame, arsenico, veleni di serpenti

E' frutto di un'azione diretta dose-dipendente sulla superficie degli eritrociti da parte di agenti chimici (solventi, cloruro di metile, piombo, idrogeno arsenicale) o del veleno di alcuni serpenti.L'anemia è di tipo normocromico, con la caratteristica presenza nello striscio periferico dei corpi di Heinz, evidenziabili con il blu brillante di cresile, oppure di "bite cells", eritrociti che presentano una "morsicatura“ semicircolare da un lato della cellula, o di eccentrociti, che presentano l'emoglobina addossata ad una estremità della cellula, lasciando l'altra libera. Entrambe queste condizioni sono associate a una ridotta emivita eritrocitaria.

4) Anemie emolitiche da agenti infettivi

L'azione litica sulle emazie è mediata da meccanismi diversi: 1. di tipo anticorpale, come nel caso del Mycoplasma Pneumoniae, del Cytomegalovirus, dell'Herpes

Virus; 2. di tipo tossico, come nel caso della sepsi da Clostridium Welchii, che si manifesta in corso di

infezioni intraddominali o in corso di aborto settico (l'emolisi è determinata dalla produzione di un'alfa tossina, una fosfolipasi che attacca i lipidi della membrana eritrocitaria per formare una lisolecitina altamente litica)

Per la diagnosi

1. ricerca sierologica di anticorpi specifici 2. esame colturale per l'identificazione dell'agente responsabile con la ricerca delle eventuali tossine

La malaria è il classico esempio di danno diretto per parassitismo dei globuli rossi; la capacità dei vari Plasmodi di infettare i globuli rossi è legata alla loro adesione a specifici recettori di membrana e di tutte le specie che infettano l'uomo

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Plasmodium vivax ed ovale invadono solo i reticolociti,Plasmodium malariae invade i globuli rossi maturi Plasmodium falciparum eritrociti di tutte le età

Il ruolo della milza nella distruzione globuli rossi è collegato alla diminuita deformabilità degli eritrociti parassitati, al loro sequestro nella polpa rossa, alla prolungata esposizione ai macrofagi splenici ed alla rimozione delle cellule parassitate. Anche i globuli rossi non parassitati presentano una sopravvivenza minore, presumibilmente come conseguenza dell'ipersplenismo e della iperattività macrofagica.

La diagnosi si pone grazie alla osservazione di forme intracellulari asessuate del parassita su striscio sottile del sangue periferico, colorato secondo May Grumwald-Giemsa, o a goccia spessa, colorata con soluzione di Giemsa Le due tecniche sono complementari, infatti la goccia spessa concentrando di circa 10 volte il numero dei parassiti per campo microscopico, permette una diagnosi rapida, mentre lo striscio sottile consente di differenziare i caratteri morfologici delle varie specie di Plasmodium.

Sistema DuffyL’antigene eritrocitario Duffy rappresenta il recettore attraverso il quale il P. vivax penetra nel globulo rosso. Gli eritrociti che non hanno questo antigene (Duffy negativi) sono refrattari all’infezione da parte di quel plasmodio. In Africa occidentale, una mutazione che elimina l'antigene dalla superficie degli eritrociti ma che non ha altre conseguenze cliniche ha raggiunto (probabilmente in varie migliaia di anni) la frequenza del 100%. La maggior parte degli abitanti dell'Africa centrale e occidentale non viene infettata da questa specie di plasmodio.In Italia è avvenuto un fenomeno simile: sono stati selezionati positivamente i soggetti portatori di Talassemia, in quanto resistenti all’infezione da parte del plasmodio.

Anemia emolitica immune

E' mediata da anticorpi diretti contro antigeni di superficie dei globuli rossi con conseguente accorciamento della vita media delle emazie.Caratteristici sono la presenza nello striscio periferico di microsferociti e la positività del test diretto dell'antiglobulina (DAT) o test di Coombs diretto.

Viene classificata, in base al meccanismo patogenetico che determina la distruzione dei globuli rossi, mediata da anticorpi o dal complemento, in:

anemia emolitica autoimmune (la più frequente)anemia emolitica alloimmune (nella malattia emolitica del neonato o eritroblastosi fetale)anemia emolitica da farmaci.

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