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DI TRENTO n.1-2 gennaio-febbraio 2012 INFORMA 08/02/2006 AUT DR/CB Centrale/PTMagazine EDITORI/213/2006 didascalie Rivista della scuola in Trentino Mestiere insegnante Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco” PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Didascalie Informa - n. 1-2 gennaio/febbraio 2012

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DOSSIER: Mestiere insegnante

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PROVINCIA AUTONOMADI TRENTO

n. 1-2 gennaio-febbraio 2012IN

FOR

MA

08/02/2006AUT DR/CB Centrale/PTMagazine EDITORI/213/2006

didascalieRivista del la scuola in Trentino

MestiereinsegnanteContributi e riflessionidopo la lettura de“I figli dell’ultimo banco”

PROVINCIAAUTONOMADI TRENTO

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II n. 1-2 gennaio febbraio 2012

DIDASCALIE Rivista della scuola in TrentinoPeriodico mensileAnno XXI, numero 1-2 gennaio febbraio 2012

Rivista promossa dallaProvincia Autonoma di Trento(L. P. 3 maggio 1990, n.15, art. 22)Autorizzazione del Tribunale di Trento n. 745dell’11.1.1992

Direttore responsabile:Giampaolo Pedrotti

Coordinatore:Mario CaroliE-mail: [email protected]

In redazione:Norma BorgognoManuela Saltori (segreteria)

In questo numero:Arianna Bazzanella, Silvano Bert, Norma Borgogno, Mario Caroli, Mariagrazia Corradi, Marta Dalmaso, Livio Degasperi, Patrizia di Gloria, Brigitte Dotzauer, Crescenzo Latino, Sandra Lucietto, Giovanna Molinari, Aldo Muciaccia, Mauro Neri, Marta Ober, Alessandra Osculati, Stefano Paternoster, Gaia Pedron, Miriam Pintarelli, Pierluigi Pizzitola, Maria Ruggio, Daniele Siviero, Ivan Sodini, Anna Tava, Alberto Tomasi, Maria Pia Veladiano

Redazione: Via Gilli 3,38121 Trentotel. 0461/497268 - 69fax 0461/497267

Realizzazione e StampaLitografia Effe e Erre - Trento

Per richiedere la rivista Didascalietelefonare o mandare un fax o scrivere a:Redazione Didascalie,Palazzo Istruzione via Gilli, 3 – 38121 TrentoE-mail: [email protected]

Le foto di questo numero sono di:archivio Didascalie e fornite dai diretti interessati, archivio Ufficio stampa Pat

In copertina in alto: L’immagine di una classe di alunni molto particolare, formata da coniglietti e individuata per presentare il dossier interno dedicato al “Mestiere insegnante” con riflessioni e contributi scaturiti dalla lettura del libro di Augustin D’Humières “I figli dell’ultimo banco” (vedi servizio alle pagine 15-34); in basso, la copertina del libro in questione letto a più voci e commentato nel dossier interno.

SOMMARIO

la notizia: Scuola in Finanziaria: interventi e ritocchi normativi 1-2provincia / Certificazione delle competenze 3-4centro rovereto/Formazione Anno di prova, dati e contenuti 5-7 /Il Seminario Tecnologie e cittadinanza 8-9iprase/L’evento Rapporto OGI 10-11dalle scuole /I.C. Tuenno Riutilizzo di materiali tra scuole 12-14

il dossier

dentro il libroil dossierletto da:

Alberto TomasiDaniele SivieroIvan SodiniMaria RuggioGaia PedronAlessandra OsculatiMaria Pia Veladiano

l’intervista: Marta Dalmaso

MESTIERE INSEGNANTEContributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco”

Inserto a cura di: Mario CaroliInterventi: Mario Caroli, Marta Dalmaso, Alessandra Osculati, Gaia Pedron, Maria Ruggio, Daniele Siviero, Ivan Sodini, Alberto Tomasi, Maria Pia Veladiano.

Inserto 15-34

la scuola: Formazione e sviluppo professionale del docente 35la lettera/I.R.C.: Bert e Paternoster 36-37iprase/Educazione alla cittadinanza 38-39dalle scuole /Arcivescovile: Scrivere storia in tedesco 40-41dalle scuole/I.I. Degasperi Borgo: Il nostro museo 42-43recensione /Il Margine: Anjes di Concetta Marotta 44-45scuola infanzia/Strumenti: Storie e percorsi 46-47offerta varia/Liceo Filzi Rovereto:“Licei: la Rete e il Convegno nazionale” 48-terza copertinaofferta varia /Il Convegno:Il Tedesco per il Trentino e l’Europa quarta di copertinaPROVINCIA AUTONOMA

DI TRENTO

n. 1-2 gennaio-febbraio 2012

INFO

RM

A

08/02/2006AUT DR/CB Centrale/PTMagazine EDITORI/213/2006

didascalieRivista del la scuola in Trentino

MestiereinsegnanteContributi e riflessionidopo la lettura de“I figli dell’ultimo banco”

PROVINCIAAUTONOMADI TRENTO

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1n. 1-2 gennaio febbraio 2012

LA NOTIZIA

SCUOLANovità normative e finanziarie

In Finanziaria

L’articolo 71 della legge provinciale 27 dicembre 2011, n. 18 “Disposizioni per la formazione del bi-lancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Provincia autonoma di Trento (legge finanziaria pro-vinciale 2012)” riguarda in particolare il settore della scuola poiché va a modificare la legge provinciale sulla scuola. Qui di seguito si riportano le principali novità: Il comma 1 introduce delle modificazioni ai contenuti del progetto d’istituto finalizzate a:• evidenziare che contiene e dettaglia anche i piani di studio dell’istituzione scolastica e formativa e in

particolare la ripartizione dell’orario complessivo lungo le settimane dell’anno scolastico, nel rispet-to del monte ore annuale stabilito dai piani di studio provinciali;

• dare risalto alla competenza didattica, metodologica e valutativa del docente;• togliere i riferimenti agli aspetti organizzativi che dovranno quindi essere disciplinati in generale nel

regolamento interno, sulla base di criteri fissati nello statuto dell’istituzione, e nello specifico poi ri-entreranno nelle funzioni gestionali del dirigente dell’istituzione;

• evidenziare che contiene i criteri per la formazione delle classi nel rispetto dei limiti fissati dalla Provincia.Il comma 2 introduce una modifica tecnica dell’articolo della legge provinciale sulla scuola che disci-plina il consiglio dell’istituzione:• per coordinare lo stesso con quanto previsto dalla legge provinciale sulla scuola in materia di conte-

nuti dello statuto dell’istituzione: viene tolto infatti il riferimento agli aspetti di indirizzo che non sono propri dello statuto.

Il comma 3 introduce delle modificazioni alle competenze del dirigente dell’istituzione scolastica e formativa:• specificando che allo stesso, in adeguamento ai principi fondamentali delle recenti norme nazionali di ri-

forma economico sociale, spettano in particolare autonome funzioni di gestione delle risorse umane, finan-ziarie e strumentali comprese le funzioni di organizzazione del lavoro, tenenendo conto delle competen-ze previste dalla legge provinciale sulla scuola in capo al consiglio dell’istituzione e al collegio dei docenti.

Il comma 4 introduce delle modificazioni all’articolo della legge provinciale sulla scuola che disciplina i piani di studio dell’istituzione scolastica e formativa finalizzate a:• evidenziare che l’istituzione scolastica e formativa, compatibilmente con l’organizzazione complessi-

va, anche didattica, è chiamata a tenere conto delle esigenze delle famiglie degli studenti iscritti e in particolare oltre che della richiesta di una frequenza solo antimeridiana, come già previsto in legge, anche della richiesta di una frequenza scolastica solo su cinque giorni settimanali;

• stabilire che l’istituzione scolastica e formativa nella predisposizione del proprio progetto d’istituto e quindi dei propri piani di studio, in adeguamento di quelli provinciali, e nell’attivazione di even-tuali accordi di rete con altre istituzioni scolastiche e formative tiene conto, compatibilmente con l’organizzazione complessiva, delle rilevazioni effettuate dalle quali emergono i bisogni organizzati-vi e formativi delle famiglie.

• stabilire che i criteri, le modalità e i tempi per la rilevazione dei bisogni organizzativi e formativi espressi dalle famiglie, da effettuarsi prima dell’iscrizione ai diversi cicli scolastici, sono definiti dalla Giunta provinciale previo parere della IV commissione del Consiglio provinciale.

Il comma 5 introduce un articolo nuovo nel Capo della legge provinciale sulla scuola che disciplina l’educazione permanente:• tale articolo riguarda la formazione scolastica presso la casa circondariale di Trento ed è finalizzato

a garantire ai detenuti l’accesso alla formazione scolastica del primo e secondo ciclo di istruzione e formazione professionale e a moduli di alfabetizzazione e formazione al lavoro, attraverso la stipula-

Come ogni anno, riportiamo sulla rivista l’informazione su “La scuola nella Finanziaria”, con un interven-to di Livio Degasperi, direttore dell’Ufficio per il nucleo di controllo e per le relazioni sindacali, presso il Dipartimento. Ci sono altri interventi sulla scuola, ai quali accenniamo nella pagina seguente rimandan-do ai documenti integrali su vivocuola, sui quali torneremo certamente nei prossimi numeri della rivista.

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2 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

GOVERNO DELLE SCUOLEChi fa che cosa: organi e competenze Dopo la Finanziaria è stato avviato anche un approfondimento sugli articoli della legge provincia-le sulla scuola e su quelli del Contratto dei docenti sulla governance nella scuola e sulle competenze degli principali organi della stessa. Consegna ai sindacati (il 15 febbraio 2012) e successivo confron-to coi dirigenti scolastici della relativa Proposta per la governance nella scuola. (Ne riparleremo)consiglio dell’istituzione

Il Consiglio dell’istituzione ha compiti d’indirizzo. Il Consiglio stabilisce gli obiettivi strategici pluriennali e la loro declinazione annuale in relazione agli esiti dei processi di valutazione e ai bisogni del contesto territoriale. Tali obiettivi risultano vin-colanti per le successive fasi di programmazioneil collegio docenti

Il Collegio ha compiti di programmazione, indirizzo e monitoraggio delle attività didattiche ed educative. Il Collegio è responsabile delle scelte didattiche ed educative, cui faranno riferimento i consigli di classe ed i docenti. In particolare:• può proporre indirizzi ed obiettivi strategici al Consiglio dell’Istituzione;• definisce le finalità e i criteri generali per l’elaborazione della programmazione didattica metodologica;• approva i piani di studio di istituto nel quadro di quanto stabilito dai Piani di Studio Provinciali;• definisce i criteri generali di valutazione dell’apprendimento e della capacità relazionale ai sensi

dell’articolo 15 del Regolamento per la Valutazione;• individua priorità e ambiti per la formazione del personale docente; • elabora e approva il Regolamento per il funzionamento del Collegio;• definisce finalità e criteri generali per l’utilizzo della flessibilità;• delibera le priorità di utilizzo delle risorse del fondo d’istituto, tenendo conto delle finalità sta-

bilite dalla legge e del progetto d’istituto;• definisce le aree e i criteri per l’individuazione delle funzioni strumentali.il dirigente

Il Dirigente ha autonomi poteri di gestione, di organizzazione del lavoro, di direzione, di co-ordinamento e di valorizzazione delle risorse umane; in particolare, il dirigente organizza l’at-tività educativa secondo criteri di efficienza e di efficacia ed è titolare delle relazioni sindacali. Il Dirigente definisce scopi, modalità, tempi, luoghi di realizzazione delle attività, strumenti gestio-nali da adottare e soggetti coinvolti.

zione di un protocollo d’intesa con la casa circondariale di Trento.Il comma 6 introduce delle modificazioni all’articolo della legge provinciale sulla scuola che disciplina i contributi alle scuole dell’infanzia equiparate:• prevedendo la possibilità che alle stesse, qualora l’intervento sia più economico, possa essere conces-

so un finanziamento provinciale per la costruzione della immobile ove si svolge l’attività, invece che per la ristrutturazione che alle volte risulta più onerosa.

Il comma 8 stabilisce infine che• entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2012, la Giunta provinciale dà

specifiche direttive all’Agenzia provinciale per la rappresentanza negoziale (APRAN) per l’armonizzazione dei contratti collettivi provinciali del comparto scuola con le modificazioni introdotte nella legge provinciale sulla scuola, sopra descritte, in merito al progetto d’istituto, al consiglio dell’istituzione e al dirigente dell’i-stituzione scolastica. E’ infatti necessario che le disposizioni contrattuali rispettino il riparto ordinamen-tale di competenze tra gli organi dell’istituzione scolastica stabilito dalla legge provinciale sulla scuola.

Livio Degasperidirettore Ufficio per il nucleo di controllo e per le relazioni sindacali

presso il Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca

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3n. 1-2 gennaio febbraio 2012

PROVINCIA

la delibera

CERTIFICAZIONERipensare i percorsi formativi

Il valore aggiunto

Il processo di riforma del sistema educativo ha fat-to registrare due tendenze fondamentali: il curricolo orientato allo sviluppo di competenze e la relativa cer-tificazione. Nel quadro della riforma del secondo ciclo il primo biennio ha conservato un ruolo strategico in quanto in esso si porta a compimento il percorso decenna-le dell’obbligo di istruzione, in continuità con il pri-mo ciclo, e si pongono le basi per la prosecuzione de-gli studi. Caratteristiche peculiari di questo segmento scolastico sono la sua finalità formativa e orientativa e la sua unitarietà a garanzia dell’equivalenza forma-tiva di tutti i percorsi. Ciò si sostanzia in “una base comune”, costituita dalle competenze di base e dalle competenze chiave di cittadinanza, necessaria a tutti gli studenti per proseguire con successo gli studi, per costruire il proprio progetto personale e professionale, per svolgere un ruolo attivo nella società.

Non bastava la “vecchia pagella”?

Perché un altro documento? Non era sufficiente la tra-dizionale “pagella”?La certificazione delle competenze rappresenta uno strumento utile a sostenere e orientare gli studenti nel loro percorso di apprendimento, non sostituisce ma si integra con gli altri strumenti già previsti dall’ordina-mento nella prospettiva di un più efficace accompa-gnamento al successo formativo per tutti. Se la “pagel-la” fornisce allo studente e alla famiglie informazioni relative agli esiti dell’apprendimento nelle diverse di-scipline, la certificazione delle competenze illustra i ri-

sultati raggiunti nello sviluppo delle competenze di base e di quelle di cittadinanza. Se è importante co-noscere il voto in matematica o in inglese è altrettanto importante avere un riscontro rispetto alle cosiddette “competenze trasversali”: imparare a imparare; risol-vere problemi; comunicare; individuare collegamenti e relazioni; progettare; acquisire e interpretare l’infor-mazione; comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabile. Informazioni al-trettanto preziose per l’autorientamento.

Il Modello di certificato

Il modello di certificato adottato dalla Giunta pro-vinciale è unico per tutte le istituzioni scolastiche e formative del Trentino. Questa scelta è coerente con le finalità formative e orientative assegnate al bien-nio dell’obbligo di istruzione e rafforza alcune scelte di principio contenute nei piani di studio provinciali quali la pari dignità fra tutti i percorsi, l’area delle di-scipline comuni, la possibilità di passaggio tra i per-corsi del secondo ciclo nel corso del primo biennio.Rispetto al modello nazionale quello adottato dalla Giunta provinciale prevede una maggiore visibilità per le competenze di cittadinanza che sono inserite a tut-ta pagina, in primo piano, con pari dignità rispetto a quelle degli assi culturali. In questo contesto le disci-pline diventano uno strumento più ricco che i docen-ti utilizzano non solo per garantire gli apprendimen-ti in funzione delle competenze di base ma anche per promuovere lo sviluppo di quelle competenze chiave di cittadinanza ritenute fondamentali anche dall’U-nione europea per favorire il pieno sviluppo della per-sona, quale cittadino che è in grado di agire in modo consapevole e responsabile.Il Consiglio di classe, al fine di attribuire il livello per ciascun asse culturale, dovrà perciò tener conto non solo dei risultati raggiunti in relazione alle competenze previste per ciascun asse culturale ma anche di quanto lo studente, grazie al percorso scolastico, ha sviluppa-to quelle di cittadinanza.

Il percorso per la certificazione

La certificazione delle competenze costituisce l’esito, il punto d’arrivo di un processo che si sviluppa attra-verso le necessarie fasi della programmazione, dell’at-

La Giunta provinciale ha approvato il 3 febbra-io 2012 la delibera con l’adozione del modello per la certificazione delle competenze al termine del biennio conclusivo dell’obbligo di istruzione a partire dall’a.s. 2011/2012; una novità, che in-teressa sia gli istituti provinciali sia quelli parita-ri, sia l’istruzione che la formazione professionale. Riportiamo il contributo del dirigente scolastico Enzo Latino del Dipartimento Istruzione, Uni-versità e Ricerca.

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4 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

tuazione del percorso didattico e della valutazione in un curricolo coerentemente orientato allo sviluppo di competenze. Si tratta di un impegno nuovo, complesso e non pri-vo di rischi il più comune dei quali è quello di una corrispondenza automatica tra voti e livelli. La certi-ficazione delle competenze non è un doppione della pagella, né per attribuire il livello a un asse culturale si può pensare di ricorrere alla media tra i voti delle discipline che vi concorrono. Quello che si richiede ai docenti è uno sforzo collegiale di sintesi, un mo-mento autentico di valutazione in cui è opportuno tenere ben presenti alcuni punti fermi:- ciascun asse culturale comprende più competenze

che fanno riferimento a più discipline;- ciascuna competenza si sviluppa sempre con il con-

tributo di più discipline;- le competenze previste dagli assi culturali vanno

considerate nel loro intreccio con le competenze di cittadinanza, che per loro natura sono trasversali a tutte le discipline;

- una competenza si manifesta in forme e contesti plurimi e diversificati.

Gli elementi di valutazione

Quali elementi di valutazione considerare? Si devono fare “altre” prove di verifica specifiche ?Va innanzitutto chiarito che non ci sono prove spe-cifiche che consentano di decidere una volta per tut-te se una competenza è stata raggiunta e a quale li-vello. La valutazione e la conseguente certificazione delle competenze deve tener conto del fatto che una competenza comporta l’acquisizione di conoscenze, lo sviluppo di abilità e la maturazione di atteggia-menti e che il soggetto sia in grado di esercitare la competenza con autonomia e responsabilità in con-testi diversi. Si tratta di un insieme di elementi tal-mente ampio e diversificato che necessita di nume-rosi elementi di valutazione acquisiti in forme, tempi e contesti diversi. In questa prospettiva è opportuno che i docenti uti-lizzino tutti gli elementi di valutazione raccolti du-rante l’attività didattica, non solo le prove di verifica ma anche le osservazioni degli studenti in situazio-ni di realtà, la partecipazione a progetti, senza tra-scurare la prospettiva delle cosiddette prove esperte di competenza. Riferimenti utili per la costruzio-ne di prove orientate alla valutazione delle compe-tenze sono disponibili nel materiale OCSE-PISA e nei quadri di riferimenti Invalsi. Gli stessi risulta-ti conseguiti dagli studenti nelle rilevazioni Invalsi

possono costituire un utile elemento di valutazione da considerare insieme a tutti gli altri previsti dalla programmazione di ogni singola scuola.

Una nuova (antica) sfida per i docenti

Di competenze si parla da diversi anni, i piani di stu-dio provinciali le hanno assunte in tutti i percorsi del primo e del secondo ciclo, ma è la prima volta che i docenti sono chiamati a certificarle. Ma le competenze sono proprio una novità per la scuo-la? O ci sono sempre state? Io ritengo che sia più vera la seconda opzione. La scuola che abbiamo frequenta-to tutti noi, quella tradizionale, quella del “program-ma” sviluppava competenze? Certamente si, ma con due limiti fondamentali: le sviluppava solo per alcu-ni (gli studenti bravi hanno sempre imparato a impa-rare, a fare collegamenti, ecc.) e lo faceva in maniera non intenzionale. La sfida che abbiamo oggi davan-ti è proprio questa e si può esprimere in due punti: le competenze di cittadinanza non si possono considera-re un privilegio di pochi fortunati ma sono un diritto di tutti gli studenti; per raggiungere un tale obiettivo il percorso didattico va strutturato intenzionalmente e coerentemente per tale finalità.

Non si ricomincia da zero

Come sempre non si tratta di ricominciare da zero ma almeno da tre, come ci ha insegnato il povero Troisi perché tutti abbiamo almeno tre cose da salvare dalla nostra esperienza professionale. La novità, per ciascun docente, consiste nel ripensare la propria disciplina in funzione della didattica per competenze. Si tratta so-stanzialmente di rispondere a tre domande:- quale contributo io e la mia disciplina possiamo

dare allo sviluppo delle competenze disciplinari? (Dipartimento);

- quale contributo io e la mia disciplina possiamo dare allo sviluppo delle competenze degli assi cultu-rali (Dipartimenti e Collegio docenti);

- quale contributo io e la mia disciplina possiamo dare allo sviluppo delle competenze di cittadinanza (Dipartimento e Consiglio di classe).

Valorizzare le potenzialità formative della propria di-sciplina, condividere di più i percorsi formativi con i colleghi rappresentano la condizione e l’opportuni-tà per un nuovo protagonismo dei docenti e per una didattica più rispondente ai bisogni formativi degli studenti.

Crescenzo Latino

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5n. 1-2 gennaio febbraio 2012

I riferimenti

Il direttore del Centro, Luciano Covi (Rovereto) e gli altri rappresentan-ti del Centro [Paola Baratter (Tren-to), Aldo Gabbi (Mezzolombardo), Maria Martinelli (Pergine)] han-no introdotto i primi quattro incon-tri introduttivi, si sono innanzitutto congratulati coi docenti neoimmessi in ruolo, “un importante traguardo che in molti casi giunge dopo un pe-riodo impegnativo ed una prolunga-ta esperienza di docenza a tempo de-terminato, svolta in variegati contesti e situazioni”. Per la verità – hanno riferito -, proprio l’eccessiva durata della fase iniziale nell’insegnamen-to, sembra essere causa di una diffu-sa percezione, tra i docenti coinvolti, che “di fatto con l’inserimento in ruolo non cambi nulla.”In realtà i cambiamenti ci sono e non riguardano solo questioni di maggior stabilità e progettua-lità personale, “ma aspetti più di-rettamente connessi alla funzio-ne docente, come per esempio la possibilità di vivere in modo

anno di prova

È partito ufficialmente nel mese di gennaio 2012 con gli incontri ter-ritoriali organizzati dal Centro di Formazione professionale, ma quel-lo che tutti conosciamo come “l’anno di prova” non è certo una no-vità per il mondo della scuola. La novità, comunque, c’è e riguarda il soggetto referente al quale stanno facendo riferimento gli oltre due-cento insegnanti, il Centro di formazione degli insegnanti di Ro-vereto, che ha strutturato la formazione di questi docenti, assunti da quest’anno con incarico a tempo indeterminato, con relazioni e contributi in quattro sedi decentrate del Trentino, con materiale di riferimento reperibile nella piattaforma sul sito del Centro stesso, momenti di gruppo ed elaborazioni individuali e con una momento collettivo di confronto sulle tematiche principali del percorso, in for-ma seminariale aperta. Come Didascalie, seguiamo questa esperienza e torneremo con resoconti su momenti d’incontro e su alcuni conte-nuti proposti dai relatori. Intanto offriamo una breve sintesi dell’im-postazione generale, così come presentata al momento dell’avvio.

FORMAZIONEPercorso per i docenti neoassunti

diverso i rapporti all’interno della comunità professionale, di rappre-sentare e rapportarsi in modo di-verso alla propria professionalità ed allo sviluppo del proprio profi-lo professionale.”

Formazione importante, anche se “la prova” è ini-ziata da tempo

Le ragioni dell’importanza del per-corso iniziale di formazione (anche se di fatto molti insegnanti “la pro-va” l’hanno già fatta e non solo per un anno) non mancano.

La motivazione

La formazione iniziale dei neo assunti in ruolo è un elemento fondamentale nella strategia di sviluppo e di poten-ziamento delle performance del siste-ma scuola. L’ingresso in forma stabile nelle istituzioni scolastiche di nuove risorse professionali che assumeran-no incarichi a tempo indeterminato, richiede investimenti significativi in ambito formativo finalizzati a realiz-zare una sostanziale coerenza, in ter-mini di abilità e di competenze, fra i docenti che hanno alle spalle un vis-suto professionale molto diversifica-to. Per tale ragione il Centro ha or-ganizzato un percorso specificamente mirato che, a partire dalle importanti esperienze di lavoro pregresse matu-rate nei primi anni di servizio dentro la scuola dai docenti, li supporti nella strutturazione e consolidamento del-le loro competenze di insegnamen-to. Anche il tema della formazione continua ed in servizio può assume-re significati nuovi, non essendo più prevalentemente (o a volte esclusiva-mente) associata a momenti di auto-formazione di iniziativa personale, ma incentrata anche su altre possibi-lità/occasioni più strutturate ed ordi-narie di confronto, di scambio, di ri-flessione.

L’articolazione territoriale

Il percorso di formazione per gli insegnanti neo immessi in ruolo nell’anno scolastico 2011/ 2012 si rivolge a 239 docenti neo assunti

Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo !

- a.s. 2011/2012 -!

Primaria! 70!

Secondaria I grado! 102!

Secondaria II grado! 67!

Totale! 239!

Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo - a.s. 2011/2012 -

Primaria 70Secondaria I grado 102Secondaria II grado 67Totale 239

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6 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

di cui 70 della Scuola primaria, 102 della secondaria di primo grado e 67 della scuola secondaria di secondo grado. È articolato in quattro se-zioni territoriali parallele in modo da ridurre il disagio della distan-za fra luogo di lavoro e luogo del-la formazione. Con questa scelta si è voluto inoltre concretizzare la vocazione del Centro di formazio-ne degli insegnanti di Rovereto di decentrare nei territori i laborato-ri della crescita professionale degli insegnanti per favorire le opportu-nità di aggregazione culturale, di confronto e di scambio.Le sedi delle quattro aree di riferi-mento territoriale• Centro di formazione inse-

gnanti di Rovereto: Vallagari-na, Altipiani Cimbri e Alto Gar-da - Ledro

• Liceo scientifico Da Vinci diTrento: Valle dell’Adige, Valle dei Laghi e Valli Giudicarie

• Istituto di Istruzione Martini di Mezzolombardo: Valli di Non, Sole, Cembra, Fiemme, Fassa, Pa-ganella e Piana Rotaliana

• IstitutodiIstruzioneCuriediPergine Valsugana: Primiero e l’Alta e BassaValsugana

La durata del corso di formazione è di 40 ore è strutturato in modo da consentire ad ogni insegnan-te di seguire una linea di proposte coerenti con la propria specificità professionale e prevede momen-ti di operatività sia individuale, a distanza, sia in gruppo. Le lezioni sono organizzate in modo da alternare momenti di frontalità ad altri di dialogo ed altri ancora di lavoro per gruppi.

I contenuti degli incontri

Il primo gruppo di propo-ste formative sui temi fon-damentali:il sistema scolastico del Tren-

tino e le istituzioni scolastiche auto-nome;il contesto culturale della didattica attuale: le competenze.Un secondo gruppo con due per-corsi separati, sempre organizzati nei quattro territori di riferimento:• per gli insegnanti di scuola

primaria, tre incontri dedicati alla documentazione dei proces-si di apprendimento secondo il modello di Reggio Children; le proposte dei pedagogisti e degli atelieristi contengono i sugge-rimenti per la progettazione di unità di apprendimento da de-scrivere nelle attività a distanza.

• pergliinsegnantidiscuolase-condaria

• incontro con gli operatori del Centro di formazione di Rove-reto per individuare e proporre un modello per la progettazione di unità di apprendimento disci-plinari da elaborare successiva-mente nelle attività a distanza;

• approfondimento della tematica della valutazione delle competen-ze, compito che coinvolgerà gli insegnanti il prossimo anno sco-lastico;

• approfondimento del tema del-la adolescenza e della pre-adole-scenza che riguarda appunto gli studenti degli insegnanti della scuola secondaria.

Un terzo gruppo di lezioni su:• la conoscenza e l’uso delle tecno-

logie dell’informazione e della co-municazione per la didattica in

classe.Per due incontri, insegnanti orga-nizzati in gruppi più piccoli omo-genei per ordine e per area discipli-nare e sempre nei quattro territori di riferimento; verranno trattate le tematiche relative alle risorse della didattica digitale e agli strumenti della didattica digitale, in partico-lare verranno esplorate le potenzia-lità della lavagna interattiva mul-timediale. Lezioni particolarmente importanti per arricchire le propo-ste di elaborazione di unità di ap-prendimento che ogni insegnante dovrà elaborare in linee generali e sintetiche e collocare nella piatta-forma e-learning dedicata al corso di formazione che verrà predispo-sta a cura degli operatori del Cen-tro di formazione di Rovereto.Un quarto momento:Evento di alto livello culturale che verrà proposto all’Auditorium Me-lotti di Rovereto sulla tematica del profilo professionale dell’insegnan-te oggi. Un’ultima lezione sul tema: • la scuola inclusiva che oggi più

che mai rappresenta un nodo che definisce il livello di qualità dell’insegnamento e della istitu-zione scolastica.

La conclusione del corso con:• una sintesi del percorso fatto, in-

sieme ad operatori del Centro di Rovereto, attraverso la documen-tazione di alcuni materiali didat-tici prodotti dai corsisti.

Sette ore a distanza dedicate alla•elaborazione di unità di la-voro per apprendimento e si svolgeranno durante il pe-riodo di formazione; gli insegnanti, che auto-cer-tificheranno le ore di forma-zione, saranno seguiti da tu-tor del Centro di Rovereto e•depositeranno i loro mate-riali sulla piattaforma e-lear-ning a loro dedicata.

(Sintesi a cura di M. C.)

Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo !

- a.s. 2011/2012 -!

B) Articolazione organizzativa !

Formazione in presenza: 33 h!

Modalità di interazione: plenarie, lavori di gruppo, lavoro individuale!

Formazione a distanza: 7 h!

Strumenti: piattaforma web – www.formazionescuolatrentina.it!

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7n. 1-2 gennaio febbraio 2012

MEZZOLOMBARDO

PERGINE

Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo !

- a.s. 2011/2012 -!

A) Articolazione territoriale in base all istituzione di appartenenza!

Rovereto – Centro formazione insegnanti !61!

Trento – Liceo Scientifico Da Vinci!83!

Mezzolombardo – Istituto di Istruzione M. Martini !51!

Pergine Valsugana - Istituto di Istruzione M. Curie !44!

ROVERETO

TRENTO

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8 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

il seminario

Seminari a supporto dei nuovi Piani di Studio

Il quarto Seminario organizzato dal Centro formazione e aggior-namento Insegnanti di Rovere-to, a supporto della introduzione dei nuovi Piani di studio relativi al Secondo Ciclo della Provincia di Trento, non ha potuto igno-rare la delibera che proprio nel-la stessa giornata e nella riunione del mattino, la Giunta provincia-le ha approvato con l’importante novità dell’introduzione a parti-re da quest’anno della “certifica-zione delle competenze” per tut-

Nello stesso giorno in cui la Giunta provinciale ha approvato la cer-tificazione delle competenze a conclusione del percorso decennale dell’obbligo scolastico, venerdì 3 febbraio 2012 a Rovereto, presso l’aula magna del “Liceo Rosmini”, s’è tenuto il quarto ed ultimo Se-minario promosso dal Centro per la formazione e aggiornamento insegnanti sulle competenze per la cittadinanza: dopo quello sui lin-guaggi, sulla matematica e sull’asse storico sociale. L’ultimo su “Scien-ze e Tecnologia per il cittadino”. In apertura, il saluto delle autorità, poi relazioni e dibattito.

TECNOLOGIEPer le competenze di cittadinanza

ti gli studenti che termineranno il secondo anno delle superiori, a conclusione dei primi dieci anni dell’obbligo scolastico.L’incontro di Rovereto, infatti, era centrato sul ruolo dell’insegna-mento delle Scienze e della Tecno-logia proprio nel biennio di fine obbligo d’istruzione. Un momen-to di confronto significativo, collo-cato all’interno di un programma di approfondimento e di studio in-centrato sulle discipline che costi-tuiscono gli assi portanti culturali degli istituti superiori, ovvero ma-tematica, scienza, tecnologia, sto-ria e linguaggio.

Dipartimento Istruzione e Comune di Rovereto

Assente l’assessore provinciale all’i-struzione, Marta Dalmaso, per un altro impegno improvviso, il di-rigente Enzo Latino del Diparti-mento Istruzione, Università e Ri-cerca ha fatto il punto sul percorso ormai avanzato di implmentazione dei piani di studio per il primo e per il secondo ciclo di istruzione e for-mazione, ricordando come il tema del ruolo centrale del’insegnamento delle scienze e della tecnologia è sta-to sempre presente anche perché è innegabile la loro centralità nella di-mensione orientativa degli studenti.L’assessore all’istruzione del Comu-ne di Rovereto, Giovanna Sirot-ti, anche nel ruolo di presidente del Museo Civico, ha voluto riconfer-mare l’apprezzamento per l’obiettivo comune a tutti i Seminari di “forma-zione per il cittadino e la cittadinan-za”. Un obiettivo, che a Rovereto trova terreno fertile anche per la pre-senza e l’azione formativa in collega-mento con le varie scuole svolta pro-prio dal Museo Civico della città”.

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9n. 1-2 gennaio febbraio 2012

mario fierli

La strada ancora in salita

Coordinato da Cristiana Bianchi e da Aldo Gabbi, del Centro For-mazione insegnanti di Rovereto, il Seminario è entrato nel vivo con l’intervento dell’esperto nazionale Mario Fierli, referente per l’Istruzio-ne tecnica nel Comitato scientifico per i Piani di Studio provinciali e au-tore di libri di testo che hanno fatto la storia dell’educazione tecnica nella scuola moderna, che ha fugato ogni illusione sullo stato dell’arte nella scuola italiana riguardo al ruolo delle scienze e della tecnologia. “La scuo-la trentina è messa bene anche nel-le indagini internazionali” ha detto, “ma i risultati degli studenti italiani sull’apprendimento delle discipline scientifiche è decisamente deluden-te”. Le potenzialità sono davvero enormi sulla capacità dell’asse scien-tifico e tecnologico di aiutare gli stu-denti a sapersi orientare meglio per il loro futuro, mettendo nel piatto del loro ingresso in società proprio le competenze di cittadinanza acquisite con questo insegnamento/apprendi-mento, “ma la strada da fare è ancora lunga”, c’è da prendere consapevolez-za sugli strumenti interni alla disci-plina, sulle metodologie adottate, sul ruolo del docente/adulto che deve e può aiutare gli studenti in questa di-rezione. Lo studio corretto delle di-scipline scientifiche “non dà risultati solo nell’abito specifico della scienza e della tecnologia “ma integra il pen-siero scientifico e tecnologico nel più vasto ambito della storia delle idee”.

paolo rigo

Il ruolo orientativo delle scienze

Paolo Rigo, dirigente scolasti-co in Veneto, esperto nell’ambito dell’orientamento scolastico e pre-senza attiva nel gruppo di lavoro sulla Certificazione delle compe-tenze per l’asse tecnologico scienti-fico, ha poi proposto una riflessio-ne sulla funzione orientativa delle scienze e della tecnologia.

bruna baggio

Ocse, un buon riferimento

Bruna Baggio, docente presso l’ufficio Scolastico regionale della Lombardia ed esperta sulle certifi-cazioni OCSE PISA, ha presenta-to il quadro di riferimento per le scienze dell’indagine OCSE PISA, che individua la competenza scien-tifica come fondamentale per par-tecipare attivamente alla società,

esercitare i diritti di cittadinanza, fare scelte consapevoli nella pro-pria vita.

silvia de francesco e stefano oss

L’importanza dell’approc-cio laboratoriale

I contributi che sicuramente hanno offerto più spunti operativi per gli insegnanti, quelli nella seconda par-te del Seminario, di Silvia De Fran-cesco, docente di Fisica presso il Li-ceo Scientifico Galilei di Trento, e Stefano Oss, docente presso la Fa-coltà di Scienze Matematiche, Fi-siche e Naturali dell’Università di Trento, hanno presentato l’esperien-za laboratoriale e la sua importante ricaduta sul lavoro in classe. (m.c.)

LABORATORIO SCIENTIFICO

PER TUTTI

Silvia Defrancesco Rovereto, 3 febbraio 2012

LABORATORIO: LE

RICHIESTE DELL’EUROPA

La laboratorialità permette il rafforzamento delle competenze chiave per l’apprendimento permanente individuate dal Parlamento europeo

• COMPETENZE….

• CONOSCENZE….

• ABILITA’….

• “ATTEGGIAMENTO”

LABORATORIO SCIENTIFICO

PER TUTTI

Silvia Defrancesco Rovereto, 3 febbraio 2012

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10 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Quarto rapporto biennale OGI

OSSERVATORIO PERMANENTE SULLA CONDIZIONE DELL’INFANZIA E DEI GIOVANI Chiusura lavori

17.30 | 18.00

Modalità di iscrizioneiscrizioni on line collegandosi al sitowww.iprase.tn.ittermine previsto: mercoledì 21 marzo 2012

InformazioniAntonella Fambri, IPRASE tel. 0461 494379e-mail: [email protected]

i s t i t u to p r ov i n c i a l e p e r l a r i c e r c a e l a s p e r i m e n ta z i o n e e d u c at i va

Apertura lavori 14.15 | 14.45

Prima parte: Crescere a scuola 14.45 | 16.00

Seconda parte: Vivere nella società16.30 | 17.30

GIOVEDÌ22 MARZO 2012ORE 14.00 | 18.00AULA MAGNAPALAZZO ISTRUZIONEVIA GILLI, 3TRENTO

14.00 | 14.15 Accoglienza e registrazione partecipanti

Saluto di benvenuto

Marta Dalmaso, Assessore Istruzione e Sport, Provincia autonoma di Trento

Marco Tomasi, Dirigente Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca, Provincia autonoma di Trento

Beatrice de Gerloni, Direttore IPRASE

Presentazione OGI e rapporto 2011Arianna Bazzanella, IPRASE

Adolescenti tra disagio e protagonismoGustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta

Adolescenti a scuolaAnnamaria Ajello, professore ordinario di psicologia dell’educazione

16.00 | 16.30 coffe break

Giovani tra vincoli e possibilità: le politiche per sostenere l’autonomiaLuciano Malfer, Direttore Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili, Provincia autonoma di Trento

Giovani e lavoroMichele Colasanto, Presidente Agenzia del Lavoro, Provincia autonoma di Trento

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11n. 1-2 gennaio febbraio 2012

L’EVENTOL’Osservatorio e il Rapporto

I primi passi dell’Osservatorio (OGI) risalgono al 2004 quando, dopo un biennio di collaborazione tra IPRASE e l’Istituto IARD, nasce l’Osservatorio Giovani IPRASE: un’équipe di ricercatori dedicata allo studio dei giovani trentini. Dopo una prima fase di sperimenta-zione, la Legge Provinciale 5 del 2007 istituisce formalmente l’Osser-vatorio permanente sulla condizione dell’infanzia e dei giovani e con il Regolamento sull’ordinamento e il funzionamento di IPRASE del 3 apri-le 2008 ne specifica ulteriormente ruoli e compiti.

L’Osservatorio

Così oggi l’Osservatorio è chiama-to a:a) elaborare, con cadenza bienna-

le, un rapporto sulla condizione dell’infanzia e dei giovani;

b) studiare, approfondire e analiz-zare la condizione dell’infanzia e dei giovani, al fine di favorire una lettura dinamica e fruibile dei processi riguardanti la con-dizione di questi due segmenti della popolazione;

c) concorrere alla verifica del gra-do di realizzazione delle politi-che per l’infanzia e per i giovani;

d) realizzare e gestire servizi infor-mativi e banche dati sulla con-dizione e sulle politiche per l’infanzia e per i giovani, utiliz-zando anche i dati acquisiti da altri attori e uffici che operano sul territorio.

Per assolvere questi compiti, vie-ne ideato e progettato come stru-mento operativo il rapporto bien-nale «Giovani in Trentino…», nato con l’obiettivo di raccoglie-re e sistematizzare dati disponibi-li sul territorio, analizzarli in rela-zione al segmento giovanile della popolazione e restituirli alla col-lettività. Le prime due edizioni (nel 2005 e nel 2007) propongono dati su scuola, lavoro, associazionismo, salute, immigrazione… La terza,

«Giovani in Trentino 2009», risul-ta in parte rinnovata dalla presenza di un approfondimento monogra-fico sulle politiche giovanili e i Pia-ni Giovani di Zona della Provin-cia di Trento, in risposta alle nuove competenze in capo a OGI.

Il Quarto Rapporto

A distanza di sei anni dalla pri-ma edizione, è giunto dunque il momento di Giovani in Trenti-no 2011. Quarto rapporto bienna-le che prosegue la riflessione sulle condizioni di vita degli adolescen-ti e dei giovani trentini, a partire dall’idea che tanto più e tanto me-glio potrà essere fatto per le nuo-ve generazioni, quanto più queste

saranno ascoltate e conosciute per quello che sono realmente, al di là delle facili quanto fallaci rappre-sentazioni offerte dall’immagina-rio collettivo. Il volume prosegue nel tentativo di offrire una lettura dinamica e sfac-cettata di dati e riflessioni rivolta a tutti coloro che sono interessa-ti ad approfondire la quotidiani-tà, il contesto, gli ambienti di vita dei nostri giovani e i mutamenti di cui, volenti o nolenti, questi si ri-trovano protagonisti. Il testo è strutturato in due sezioni principali: la prima presenta alcu-ni contributi di carattere generale principalmente connessi alla vita scolastica; la seconda restituisce i primi risultati di una ricerca sulla devianza giovanile che ha coinvol-to un campione di Dirigenti scola-stici trentini. Ancora una volta, dunque, il rap-porto non si configura come un approfondimento monotematico bensì come un’opera miscellanea, sia per i contenuti sia per le pro-fessionalità che vi contribuiscono, al fine di offrire un’occasione per condividere più prospettive e pun-ti di vista e tentare una prima ri-composizione di quel variegato quanto affascinante mosaico che è il mondo giovanile. (A. B.)

La collana OGI

Bazzanella A. (a cura di) (2011), Giovani in Trentino 2011. Quarto rapporto biennale, IPRASE, TrentoBazzanella A, Beltrame L., Giovanetti S. (a cura di) (2011), Scienza e nuove generazioni: i dati ROSE in Trentino, IPRASE, TrentoBazzanella A. (a cura di) (2010), Investire nelle nuove generazioni: mo-delli di politiche giovanili in Italia e in Europa, IPRASE, TrentoAmistadi V., Bazzanella A., Buzzi C. (a cura di) (2010), Giovani in Trentino 2009. Analisi e letture della condizione dell’infanzia e dei gio-vani. Terzo rapporto biennale, IPRASE, TrentoAmistadi V., Buzzi C., Zanutto A. (a cura di) (2007), Giovani in Tren-tino 2007. Analisi e letture della condizione giovanile. Secondo rapporto biennale, IPRASE, TrentoOGI (a cura di) (2005), Giovani in Trentino 2005. Analisi e letture del-la condizione giovanile. Primo rapporto biennale, IPRASE, Trento

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12 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Presentiamo di seguito una nuova esperienza realizzata dall’istituto comprensivo di Tuenno, guidato dalla dirigente scolastica Sandra Lucietto. Un’iniziativa di spessore educativo e finanziario che potreb-be diventare “un’intelligente abitudine”. La dirigente ha anche pre-sentato gli steps da effettuare nella concretezza, rispettando le norme vigenti, per effettuare gli “scambi”.

RIUTILIZZORete di scambio materiali tra scuole

Il contesto

Per i nuovi Piani di Studio Provin-ciali la laboratorialità è elemento caratterizzante della didattica per competenze: imparare facendo, ri-solvendo problemi e scoprendo as-sieme ai compagni il mondo che ci circonda, dovrebbe diventare “pane quotidiano” degli studenti. Per far-lo, però, in alcune materie bisogna prima di tutto allestire ed attrezza-re spazi idonei. All’I.C. Tuenno, nel sottotetto della parte antica appe-na restaurata, gli spazi fisici ci sono, ma in quanto ad arredi e attrezza-ture dobbiamo certamente miglio-rare. Già nel 2010-11 avevamo individuato tra gli obiettivi di mi-glioramento la finalizzazione degli spazi-laboratorio, compreso quel-lo di Scienze. Ad aprile 2011 aveva-mo installato la LIM, ma gli arredi erano rimasti costituiti da banchi e sedie quasi di risulta, neanche tutti dello stesso colore, forma e altezza. Attrezzature scientifiche: nessuna.

Una bella sorpresa

La Figura strumentale per l’idonei-tà degli spazi scolastici aveva studia-to gli spazi e fatto un progetto per nuovi arredi da laboratorio, visio-nato cataloghi e chiesto preventivi per l’acquisto di banconi, micro-scopi, stereoscopi ed altre attrezza-ture; assieme alla Coordinatrice di

DALLE SCUOLE I.C. Tuenno

Matematica e Scienze, aveva anche fatto visita ad una scuola per ve-dere un laboratorio funzionante, ma…. il grosso impegno finanzia-rio prospettato aveva fatto un po’ arenare il progetto. L’acquisto de-gli arredi degli istituti compren-sivi spetta ai Comuni, che non sempre hanno fondi. Nel nostro caso, il Comune di Tuenno, aven-do appena finito di restaurare tut-ta la scuola, non poteva mettere in campo ulteriori risorse. Nell’agosto 2011 la dirigente dell’I.I. Pilati di CLES invia una mail ai colleghi della Rete invi-tandoci a prendere visione di alcu-ni banconi di uno dei due labora-tori di Scienze dell’Istituto, in via di dismissione per una razionaliz-zazione complessiva dei loro spa-zi attrezzati. Destino segnato degli

arredi: il Deposito; destino sogna-to: il Riutilizzo. I banconi sarebbe-ro stati ceduti a titolo gratuito.

Le nuove postazioni

Memore delle Giornate di Scuola Verticale dedicate dal nostro Istitu-to al “Rifiuto, Riutilizzo, Riciclo” (cfr. il servizio su Didascalie, Novembre 2011) e dell’approccio che voglia-mo sviluppare negli studenti, e non solo a parole, ho subito fatto una vi-sita: ho valutato stato d’uso e idonei-tà, preso le misure, fatto fotografie, e inviato il tutto alle due insegnanti. Ho contattato anche il Responsabile del plesso della SSPG e il Collabora-tore Vicario, e ho chiesto a tutti un loro parere. Le risposte, entusiaste, non si sono fatte attendere. Insieme, con l’aiuto anche dell’Assistente di segreteria, abbiamo misurato e rimi-surato gli spazi, trovato la soluzione più funzionale per la didattica e visi-vamente meno impattante, e ci sia-mo resi conto che il risultato sareb-be stato più che accettabile. Certo, i banconi nel sottotetto sono impo-nenti se avessimo dovuto acquistar-li non avremmo scelto modelli così completi e sofisticati (con i rubinet-ti per acqua e gas, i micro-lavandi-ni e le prese elettriche), ma, come si dice…. “A caval donato…”.

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13n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Un’altra opportunità: gli strumenti

Grazie anche al Comune di Tuen-no, che ha fornito il trasporto, da ottobre 2011 abbiamo 24 nuo-ve bellissime postazioni-studente e una postazione “di testa” per la do-cente. Con una spesa relativa (poco più di 2.000 Euro) si sono acqui-stati nuovi sgabelli (le vecchie se-die erano troppo basse per le nuo-ve altezze delle superfici di lavoro), ed ora stiamo pensando alle attrez-zature. Anche per queste ci è venu-to incontro il caso: la nostra Figura strumentale, docente di Tecnologia alla SSPG, ha iniziato a novembre un corso di aggiornamento a Tren-to, e, per caso, ha saputo da un col-lega che il Liceo Galilei voleva di-smettere strumenti che erano stati sostituiti da altri più nuovi. Feli-cità! Per un istituto comprensivo non sono necessari modelli sofisti-cati o ultra-nuovi come per un li-ceo a forte vocazione scientifica: l’importante è che siano a norma e non presentino problemi di fun-

zionamento. Subito l’insegnante mi ha informato, subito abbiamo con-diviso l’opportunità con i colleghi, subito la risposta è stata entusiasta e a gennaio 2012 le due insegnanti si sono recate al Liceo per visionare gli strumenti, “aggiudicandosi” 7 mi-croscopi e 5 stereoscopi. Anche in questo caso, punto centrale dell’i-niziativa è stata la cessione a costo zero. Un bel risparmio per la no-stra piccola scuola e per l’Ammini-strazione. Con i nostri fondi possia-mo ora acquistare un microscopio collegabile al computer e alla LIM ed altre attrezzature per permettere agli studenti di iniziare un percorso di learning by doing.

L’ idea per vivoscuola

Da qui a pensare in grande il pas-so è stato breve: perché non preve-dere uno “spazio-baratto” a livello provinciale, magari su Vivoscuola, una specie di e-bay gratuito dove le scuole possano postare le pro-prie risorse di cui non hanno più bisogno, e da cui le scuole che in-vece cercano beni che non posso-no permettersi, ma che servireb-bero eccome, possano “opzionare” arredi e attrezzature? Sarebbe un’i-niziativa di grande spessore educa-tivo e finanziario, anche al di là dei tempi di crisi economica che stia-mo vivendo, uno spazio istituzio-nale che darebbe visibilità e or-ganizzazione a quello che a noi è successo in modo assolutamente fortunato e fortuito. Come succede, però, la transazio-ne è più complessa di quel che sem-bra: la cessione di un bene a titolo gratuito tra Istituzioni scolastiche pubbliche è un’idea semplice, la bu-

rocrazia che l’accompagna, inve-ce, complicata. C’è voluto qualche tempo per capire quali “carte” pro-durre e a firma di chi. Ora che le Segreterie dei due Istituti hanno ri-solto con successo i mille inghippi sul fronte procedurale e finanziario, volentieri mettiamo a disposizione degli altri Istituti le fasi salienti dei nostri apprendimenti organizzati-vi. I due cardini da tenere presenti sono: la determinazione a cura della scuola cedente del valore d’uso pari a zero dei beni che si vogliono ce-dere, e la rideterminazione da parte della scuola beneficiaria di un valo-re maggiore di zero, che tenga conto del valore assoluto del bene ceduto, non lo assuma però acriticamente, ma lo ridetermini in base al nuovo valore d’uso. Senza nulla voler inse-gnare ai colleghi dirigenti (DS) e ai bravissimi FAS, mi permetto di ri-portare nella tabella seguente gli step che abbiamo seguito, compresi gli artt. di legge da noi citati a sostegno di cessione e assunzione dei beni.

Sandra LuciettoDirigente Scolastica I.C. Tuenno

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14 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

COME FAREIndicazioni tecniche

Step 1

Il DS della scuola consegnataria emette una Determinazione dirigenziale di cessione di beni inseriti nelle scritture inventariali dei “Beni mobili” del proprio Istituto, in cui VISTI l’art 21 comma 16 della Legge n. 59/1997; l’art 25 bis comma 5 del D.Lgs. n. 29/1999, introdotto dal D.Lgs. n. 59/1998; l’art. 1 comma 6 della LP n. 29/1990, con la relativa modifica ai sensi dell’art. 83 della LP n. 10/1998; l’art 41 del Rego-lamento di contabilità delle istituzioni scolastiche in provincia di Trento (DPGP n. 18-36 Leg. 2000); TE-NUTO CONTO che l’art 42 della LP 23/1990 dispone “I beni mobili divenuti inservibili o non più idonei all’uso […] sono dichiarati fuori uso ed eliminati dal proprio inventario con verbale che ne determina anche il valore di stima e l’eventuale destinazione” (ecc. ecc.); DETERMINA 1) di dichiarare inservibili i beni […] il cui valore inventariale è pari a 0 (zero), e di conse-guenza di dismetterli dall’inventario con destinazione cessione gratuita all’Istituto XXXX; 2) di procedere a rideterminare il costo storico dei beni inventariali con una diminuzione di Euro YYYYY [riduzione del valo-re assoluto in base all’anzianità del bene, n.d.r.]; 3) di provvedere per il tramite del personale dipendente alla consegna dei beni inservibili alla suddetta Istituzione scolastica; 4) di scaricare dal registro del materiale in-ventariale dell’Istituto i beni di cui all’elenco; e -al termine del procedimento- 5) di cancellare dall’inventa-rio e di ridefinire, con la ricodifica dei beni, la situazione patrimoniale in modo corretto a chiusura dell’eser-cizio finanziario modificando le scritture contabili in essere.

Step 2

Il DS della scuola consegnataria emette un Provvedimento di cessione gratuita e cancellazione inventa-riale in cui: a) esaminata la documentazione inventariale; b) rilevata la necessità di rideterminare l’inventa-rio dei beni; c) presa visione dei beni da cedere in quanto non più idonei allo svolgimento dell’attività di-dattica programmata; d) verificati lo stato di conservazione e le condizione di utilizzo dei beni nel rispetto ed in conformità a quanto disposto dalla normativa CEE in materia di sicurezza; e) tenuto conto che i beni in elenco hanno un valore quantificabile ad Euro 0 in applicazione al comma 5 art. 38 della LP 23/1990; f ) considerata la destinazione dei suddetti beni, DISPONE, ai sensi dell’art. 38 della LP 23/1990 : 1) di autorizzare per i motivi esposti lo scarico del mate-riale in elenco, parte integrante del provvedimento; 2) di procedere alla cessione delle attrezzature all’Istituto XXXXX, con sede in provincia di Trento, per lo svolgimento di attività rientranti nei loro compiti istituzionali.Al documento vengono allegati l’elenco dei beni e la copia della dichiarazione del vettore dell’avvenuta pre-sa in carico del materiale ai fini della sua destinazione.

Step 3

Il dirigente scolastico della scuola beneficiaria emette una Determinazione dirigenziale di presa in cari-co di attrezzature avute in donazione in cui VISTI: a) il provvedimento di data … [citazione completa del Provvedimento di cessione gratuita e cancellazione inventariale del collega DS, n.d.r.]; b) l’art 21 comma 6 della Legge 59/1997, che ha abrogato le disposizioni che prevedevano autorizzazioni preventive per l’accet-tazione di donazioni da parte delle istituzioni scolastiche; c) l’art 13 della legge 127/1997, che ha abroga-to l’art 17 del codice Civile e la Legge n. 218/1996, d) gli artt. 769 e 783 del Codice Civile; e VISTO che il materiale è regolarmente pervenuto a scuola e che risulta efficiente per l’impiego senza oneri aggiuntivi a carico dell’Istituto stesso,DETERMINA 1) di assumere in consegna i beni [descrizione]; 2) di autorizzare il FAS dell’Istituto XXXXX a collocare i suddetti beni nel …. [aula di destinazione]; 3) di incaricare il medesimo FAS a procedere all’in-ventariazione dei beni donati assumendoli nelle scritture contabili dell’istituto per un valore pari ad Euro XXYYZZ [rideterminazione in base al valore d’uso attribuito dall’Istituto beneficiario, n.d.r.]

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n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Inserto a cura di: Mario Caroli

Interventi di: Mario Caroli, Marta Dalmaso, Alessandra Osculati, Gaia Pedron, Maria Ruggio, Da-niele Siviero, Ivan Sodini, Alberto Tomasi, Maria Pia Veladiano

Contributi e riflessioni dopo la lettura de“I figli dell’ultimo banco”

MESTIERE INSEGNANTE

il dossierdenTro Il lIbroil dossierletto da:

Alberto Tomasidaniele SivieroIvan SodiniMaria ruggioGaia PedronAlessandra osculatiMaria Pia Veladiano

l’intervista: Marta dalmaso

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16 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Un dossier interno particolare, anzi “speciale”, quello di questo numero di Didascalie, che si pre-senta da solo, già nel titolo: “Mestiere insegnante - Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco”. Un dossier che abbiamo forte-mente voluto e che ha forti motivazioni alle spalle, da parte nostra, ma anche – crediamo – da parte di molti insegnanti che ci hanno spronato in questa direzione. Vediamo brevemente perché.

INSEGNANTIAnimatori, educatori, professionisti…

il dossier

All’inizio era “il piacere d’insegnare”

Su didascalie di settembre 2003, avviammo una rubrica dal titolo il piacere d’insegnare, prendendo spunto pro-prio da un libro di Marco Lodoli, I professori e altri pro-fessori, (Einaudi 2003), di sole 130 pagine e agile per la lettura. Facemmo leggere quel libro ad un pedagogista (Marco Dallari), un docente universitario (Silvano Zu-cal) e un docente delle superiori (Flavia Andreatta – oggi preside). Nove racconti sul rapporto tra allievi e maestri, tutti a loro modo principianti di fronte all’imprevedibi-lità della vita: il fascino, le sorprese, i pericoli, le trappo-le e le magie dell’insegnamento. I motivi di quella scelta.“Di che si tratta? – scrivevo allora - Esattamente di ciò che recita la testatina: “il piacere d’insegnare”. Proprio così, non una boutade all’insegna del facile ottimismo, ma semplicemente la convinzione che quando da più parti si insiste nel dire che gli occhi devono essere adesso puntati sulla didattica vuol dire che bisogna parlare del-la relazione insegnante/studente senza tanti giri di pa-rola. Vuol dire occuparsi degli insegnanti non solo per affrontare le “doglianze” sindacali, le diatribe istituzio-nali e politiche, il calvario dei precari, le rivendicazioni sull’orario ed i problemi sulla sperimentazione dell’Inte-sa Pat-Miur; ma raccontare anche “il piacere d’insegna-re”, che siamo convinti ci sia, così come c’è chi ha voglia di raccontarlo. Parliamo proprio del “piacere” intrinseco legato al “mestiere dell’insegnante”, anche perché delle “buone pratiche” ci siamo sempre occupati e continue-

remo a farlo, in termini di divulgazione dei percorsi di-dattici e di progetti realizzati. In questa rubrica, invece, la nostra attenzione si focalizza sulla relazione, sull’inve-stimento personale dell’insegnante e sull’eventuale sod-disfazione nell’esercizio del “mestiere”. Perché una simile scelta? Perché ci sono stimoli che abbiamo ricevuto da più parti ed alcune coincidenze degli ultimi mesi. In-tanto, come dicevamo prima, in più sedi è stata ribadi-ta l’urgenza della “centralità della didattica” come vero volano dell’innovazione. Poi, leggendo il ricordo fatto da un’insegnante delle superiori di un suo collega mor-to da alcuni anni, abbiamo ritrovato un richiamo fortis-simo alla “scuola di vita” che ormai va scomparendo per lasciare il posto alla “scuola della forma”, delle “formu-le”, della pianificazione perfetta e della burocrazia anche nella relazione tra insegnante e studenti. […] In più oc-casioni abbiamo registrato anche “il piacere” esplicito di alcuni laureati giovani, che hanno scelto l’insegnamen-to – passando per il calvario del precariato – rinuncian-do a lavori meglio remunerati e più “d’immagine”, per il semplice fatto che “insegnare mi piace molto”.

“Lasciatemi insegnare”

Sul numero successivo della rivista, iniziammo un giro di conversazioni sul piacere d’insegnare. La prima con Enia Marchetti: docente di lettere nella scuola media di Gardolo. Chiudiamo con le sue parole, che spiega-no il senso anche di questa nostro “ritorno alle origi-ni”, per parlare di relazione docente/studente a partire da un libro scritto da un docente, di poche pagine, per una lettura a più voci ed un’ampia conversazione con un’ex insegnante di liceo classico, oggi assessore pro-vinciale all’istruzione.

“Insegnare è bello. Ci ho pensato tante volte specialmen-te in questa fase della vita scolastica in cui ho sentito mol-ti miei colleghi dire: “Vorrei insegnare, vorrei riuscire ad insegnare”. Siccome siamo oberati da riunioni, proget-ti, incarichi speciali, funzioni obiettivo, referenti di pro-getto… abbiamo nostalgia del ‘nostro’ insegnamento, di stare in classe coi ragazzi. Mi rendo conto che la realtà è cambiata, serve sempre più collegialità, collaborare per usare bene le risorse per risolvere anche i problemi delle altre classi ecc. ecc.. Però, la relazione con la classe sem-bra che si sia ristretta. Ho sentito diversi insegnanti, bra-vi, dire: “Basta, voglio tornare a insegnare, non voglio nessun incarico, perché voglio tornare a dedicare le mie energie all’insegnamento. Lasciatemi insegnare!”

Mario Caroli

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17n. 1-2 gennaio febbraio 2012

La lettura de I figli dell’ultimo banco si presta ad un’analisi a più livelli, da quello legato alla qualità della scrittura e allo stile a quello di qualificarlo come letteratura di genere, con rinvii a diverse figure topi-che: i docenti, gli studenti, il preside, il background socio-culturale che funziona come scenario in cui sviluppare una narrazione, i genitori; ognuno con la sua impronta, il suo punto di vista, le sue attese.

TOMASIDirigente scolastico in un liceo

di Sandro Onofri o a Il rosso e il blu. Sono pagine che fotografano con intensità vasti squarci della scuo-la italiana che vive/sopravvive nelle realtà metropoli-tane più difficili; nella fatica della quotidianità gli au-tori-insegnanti – anziché ricavarne motivo di fuga e sfinimento – ritrovano intatte le ragioni per insiste-re nel mestiere dell’insegnare. Sbrigativamente, si po-trebbero citare altri libri che convergono sul tema del-la complicata arte dell’insegnare, da Tra i banchi (per la penna di vari autori, fra i quali Bruno Arpaia e An-gelo Petrella) a Consiglio di classe (che si avvale, fra gli altri, del contributo di Eraldo Affinati, di Andrea Bajani, di Chiara Valerio). Dei sentimenti degli inse-gnanti-scrittori di scuola italiana possiamo infine tro-vare un’agile sintesi nel breve saggio di Roberto Car-nero, Adottati a scuola, in Tirature ’12.

Racconto di una professione

Questa minima bibliografia dà la misura del fenomeno rappresentato da quei docenti che, episodicamente op-pure con una certa assiduità, si cimentano con la loro professione, talvolta analizzata con certosina scientifi-cità, altre volte “usata” come spunto per racconti o ro-manzi. A buon diritto Augustin d’Humières partecipa a questa avventura, misurandosi con una scrittura che mescola reportage, sguardo indagatore su chi gli sta at-torno, narrazione pura. Anche qui possiamo incrociare le pagine e confrontare autori che navigano quasi nel-lo stesso mare, pur con qualche differenza temporale. Il primo nome che viene alla mente, pur nel diverso ap-proccio, è quello di Domenico Starnone. Starnone nel-le sue tante opere dedicate all’universo scuola fa dell’iro-nia e dell’autoironia la cifra principale per interpretare luoghi e persone. D’Humières – specie nella prima par-te del suo libro – affonda lo sguardo nel medesimo ter-reno, non risparmia giudizi su preside e colleghi, ma – pur evitando valutazione drastiche – dipinge una co-munità professionale inadeguata, quasi imbelle, pre-occupata soprattutto di andare avanti senza fastidiose rogne. Lo stile non indulge a particolari, rifugge ogni condiscendenza, non contempla quell’autoironia che

Scrivere di scuola

L’autore, Augustin d’Humières, va ad aggiungersi ad una nutrita schiera di docenti-scrittori che pescano dal-la loro professione quotidiana le ragioni stesse di una voglia e di un piacere di raccontare e, al tempo stesso, di riflettere, politicamente, sul funzionamento o meno della scuola. Su questo fronte d’Humières è in buona compagnia e va ad aggiungersi ad altri autori francesi che hanno goduto anche in Italia di ampia attenzione. Come esempi recenti, basti citare Diario di scuola di Daniel Pennac e La classe di François Bégaudeau; nel primo riferimento, l’autobiografia professionale (ma non solo, ci sono pagine che descrivono un percorso di formazione che precede il passaggio da allievo a in-segnante) privilegia delle considerazioni che muovono dall’osservazione del sé e non pretendono di definire un proprio modo di fare l’insegnante confrontandolo con altri. Qui il lettore coglie una prima, evidente differenza fra l’approccio di Pennac e quello di d’Humières, poi-ché il secondo disegna il suo ruolo in chiara alternativa ai comportamenti prevalenti dei colleghi, con accenti critici espliciti. Il paragone con La classe è invece utile per mettere a fuoco le storie, le fisionomie, i compor-tamenti degli studenti/adolescenti, la presenza oppure l’assenza dei genitori. Il confronto è facilitato dalla sto-ria degli istituti che operano in quartieri periferici (la banlieue parigina), con una forte eterogeneità di origini culturali, identità, slanci e spaesamenti, con risorse non sempre all’altezza della situazione.

Il punto di vista italiano

Anche nella letteratura italiana troviamo parentele (addirittura più efficaci, sia dal punto di vista narra-tivo, quanto da quello della capacità di contestualiz-zare il fenomeno). Basti pensare a Registro di classe

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“tiene” Starnone allo stesso livello dei colleghi che cri-tica, dà quasi ragione a chi si tiene alla lontana da uno che appare come il “primo della classe”.

IL GRECO:un progetto per insegnarlo

La prima parte de I figli dell’ultimo banco diventa così una sorta di viaggio agli inferi e il protagonista ci sembra un lupo solitario, evitato da molti e costretto a contare unicamente sulle proprie forze per realizzare il suo progetto. Pur nella loro credibilità, questi capi-toli accentuano una visione giustamente senza mezze misure del liceo teatro delle vicende narrate, deprivata però di sfumature e toni che forse sarebbero stati più utili a completare una quadro di riferimento che sicu-ramente è debitore di complessità frequenti. C’è una prepotenza dell’io narrante che riduce ogni comporta-mento e scelta altrui, anche quando ci appare franca-mente censurabile, ad un qualcosa di immodificabile. La seconda parte del libro mi pare invece più autentica, soprattutto perché c’è una diversa intonazione. Esauri-to il compito di censire ritardi, negligenze e disatten-zioni dei tanti che sono chiamati a scrivere la storia del liceo di una banlieue (con esempi che ci risultano im-mediatamente comprensibili perché riverberano le no-stre medesime esperienze), d’Humières sposta il tiro dall’analisi a campo lungo, restringe il focus e mira di-retto alla sostanza del suo progetto (insegnare il greco ad una banda di malnati, contando solo sulle sue forze).

Dallo sconcerto all’energia

Qui il primo della classe esce dallo stereotipo per diven-tare anima vera. Più che nella critica dell’esistente, del-

le sue manchevolezze e inerzie, il professor d’Humières vince la sua battaglia, ormai non più solo personale, nel lavoro a stretto contatto di gomito con gli studenti che faticosamente è riuscito a trattenere; nella complicità con alcuni artisti e con i pochi servizi presenti nel quar-tiere. Lo sconcerto, l’acrimonia dei primi mesi vissuti nel liceo si trasformano in energia, nella ricerca di mo-dalità nuove di presentare una materia ostica come il greco, nella presa di coscienza da parte dei suoi allievi che il lavoro proposto ha un senso che va al di là del-la tecnica e dell’esercizio fini a se stessi, ma contribui-sce a dare maggiori possibilità di espressione, di comu-nicazione, persino di padronanza della lingua francese. D’Humières supera la prova e gli va dato atto che la su-pera doppiamente: dal punto di vista letterario, le pa-gine acquistano un valore aggiunto considerando l’in-tera economia della storia, con un equilibrio fra prima e seconda parte che non poteva darsi per scontato. Dal punto di vista della credibilità dell’impegno e della sua visione della funzione della scuola, d’Humières è coe-rente: non si è lasciato andare a sterili piagnistei, non ha cercato vie di fuga, si è rimboccato le maniche, si è dato da fare, spingendo fra le quinte gli iniziali strali per con-cretizzare, con ostinazione, le sue intenzioni.

IL PRESIDE:burocrate o presenza? Dalla lettura, infine, si può ritagliare anche una rifles-sione sulla figura del preside. Anche in questo caso la letteratura ci propone un’evoluzione (un’involuzio-ne?) di questo ruolo, fra luoghi comuni e immagini più che azzeccate. Già Lucio Mastronardi ne Il mae-stro di Vigevano ci presentava un direttore tronfio e borioso che pretende di essere assunto ad esempio as-soluto da un intimorito e perplesso maestro. Roald Dahl in Boy ci offre un’altra declinazione del diretto-re, personaggio lontano dalla vita vera degli studenti e presente soprattutto per infliggere incomprensibili e feroci punizioni corporali. In tempi più vicini a noi, ancora Domenico Starnone, in Sottobanco, ci rega-la una descrizione magistrale del preside che accomo-da, media, invecchia nel tentativo di tenere a bada un consiglio di classe di narcisi, di velleitari, di indigna-ti. Augustin d’Humières è implacabile nell’illustrare il “suo” preside, forse il più antipatico dei suoi interlo-cutori. Magari l’esperienza vissuta giustifica la descri-zione del capo di istituto, definito il “grande battito-re”, emblema del preside moderno, dedito ad “evitare qualsiasi contatto con gli alunni, lasciar governare i rap-presentanti dei docenti e, per esser loro graditi, colpire tutti gli insegnanti che non marciavano a ranghi serrati

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dietro i loro capi. Un ruolo da “battitore” insomma.” Il preside in questione emerge come figura di burocra-te refrattario ad ogni confronto che non sia con chi è disposto a condividere le sue decisioni, attento a non scontentare chi è funzionale al mantenimento dello status quo gradito. Tale inadeguatezza è illuminata da un’altra figura, quella di Christine Bureau-Garonne, assunta da d’Humières come esempio rimarchevole di preside che sa il fatto suo, ha autorevolezza, si muo-ve con rigore senza guardare in faccia a nessuno, gelo-sa della propria indipendenza morale a costo di pagare un prezzo ingiustificato. Non deve essere casuale que-sto parallelo fra il preside del liceo e la “vecchia” pre-side in pensione, chiamata per nome e cognome (non è un semplice dettaglio, diventa un riconoscimento) e “portata” dentro la storia senza averne preso diretta-mente parte, ma in quanto significativa pietra di para-gone di una presenza sempre più labile.

Chi siamo noi, i presidi di oggi?

Con questo paragone, d’Humières ci getta, involon-tariamente, un’esca e ci apre lo spazio per una nuova discussione. Chi siamo noi, i presidi di oggi? Siamo epigoni del “grande battitore” o ambiamo ad esse-re interpreti, illusi o disillusi a seconda della nostra personale lettura del tempo presente, di un ruolo che serve veramente a far funzionare il sistema scolastico? Ogni stagione ha i suoi accenti e le sue contingenze; non ci può essere un preside per tutte le stagioni. Il nostro ruolo muta oltre le nostre intenzioni e si pre-cisa nel rapporto dialettico con gli altri. Ma non sia-mo obbligati ad una parte così misera (però possibile) come quella rappresentata dal “grande battitore”; né ci può essere vietato, se solo ne siamo capaci, di essere amministratori e persone intenzionalmente colte con-

temporaneamente. Però la funzione del preside deve fare i conti con le intemperie del tempo presente e, a mio personale ed opinabile avviso, deve spendere più energie rispetto al passato per far fronte all’effimero, per gestire complessità, per ascoltare tutti, per respon-sabilizzare ognuno (essendo innanzi tutto d’esempio). È un lavoro faticoso, per il quale non bastano le buone letture e l’impegno. Ci vuole anche pazienza e atten-zione a priorità autentiche. Per fare il nostro mestie-re, abbiamo bisogno di letteratura e di testimonianze appassionate come quella di d’Humeriès; e non gua-sta, di tanto in tanto, una rilettura della nostra Costi-tuzione, dove possiamo individuare bussole sufficienti per non diventare “battitori liberi” e timorosi.

Alberto Tomasidirigente scolastico Liceo “da Vinci” Trento

BIBLIOGRAFIA CITATA

Augustin d’Humières, I figli dell’ultimo banco, Piemme 2011Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli 2008François Bégaudeau, La classe, Einaudi 2008Sandro Onofri, Registro di classe, Einaudi 2000Marco Lodoli, Il rosso e il blu, Einaudi 2009 AA.VV., Tra i banchi, l’ancora del mediterraneo 2009AA.VV., Consiglio di classe, Ediesse 2009(a cura di Vittorio Spinazzola), Tirature ’12, il Saggiatore 2012Lucio Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Ei-naudi 1992Roald Dahl, Boy, Salani 1994Domenico Starnone, Sottobanco 1992

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Daniele Siviero è l’insegnante – e lettore assiduo della rivista didascalie – che per primo ci ha pro-posto, a ridosso dell’inizio del nuovo anno scola-stico 2011/2012 – il libro di Augustin d’Humières “I figli dell’ultimo banco” per una semplice recen-sione sulla rivista. Dopo la prima lettura, da parte del sottoscritto, abbiamo concordato che valeva la pena farlo leggere a più mani e, magari, riprendere ed approfondire le tematiche sul ruolo e sulla fun-zione dell’insegnante. Da qui, ha preso le mosse il dossier che presentiamo a pagina 16 di questo nu-mero della rivista.Per le ragioni di cui sopra, a Daniele Siviero non abbiamo chiesto vincoli e finalizzazioni particola-ri per il suo contributo, ma semplicemente la “re-censione” del libro. Che ha fatto in modo egregio, indicandoci tacitamente i percorsi da seguire per una buona lettura. (m.c.)

SIVIEROInsegnante scuola primaria

L’ennesiomo libro sulla scuola? Non pro-prio…

Perché mai occuparsi dell’ennesimo libro scritto sulla scuola, in un anno che, come è stato anche celebrato sulle pagine di questa rivista, ha prodotto molti buoni libri sul tema come mai si era visto prima d’ora. Cosa ci sarà poi di così interessante in un romanzo di sole 150 pagine, che per inciso si intona con il complean-no della nostra povera nazione, ma, ironia della storia, è scritto da un professore di liceo francese. Ah, quan-do si dice i cugini; ci assomigliano più di quanto pos-siamo immaginare, leggere per credere.

Insegnare per scelta

E poi, almeno per quanto mi riguarda, le ragioni per leggerlo non mancano, e sono tra loro le più dispara-te. Una per tutte: l’onestà.Prendiamo ad esempio il tema: come si diventa inse-gnante.Nelle prime pagine l’autore ci svela il suo percorso di formazione iniziale, dandone però un’immagine a prima vista ben lontana da quella edificante di un insegnante che si approccia alla professione con co-scienza, anzi, sembrerebbe arrivarci in maniera piut-

tosto caotica e casuale. Che poi, se si andasse a par-lare un po’ con i colleghi, si scoprirebbe che molti di noi sono diventati docenti per caso, piuttosto che per scelta. Alzi la mano chi, appena iscrittosi all’uni-versità, pensava che lo scopo dei suoi studi sarebbe stato quello di diventare insegnante? Andando avan-ti nel libro invece si scopre che d’Humieres, così si chiama l’autore, ci descrive un uomo che ama il suo lavoro a cui ha verosimilmente dedicato la sua vita. Egli ci racconta come, questa volta in modo niente affatto casuale, riesce a trasmettere questa passione ai suoi studenti, a quelli reali, piuttosto che a quelli ideali, tratteggiati con rimpianti negli scritti di una Mastrocola.

Due parti opposte

D’Humieres ha scritto questo breve, ma intenso li-bro, dividendolo in due parti. Prendendo a presti-to da Bacone le sue categorie analitiche, la prima parte del libro funge da pars destruens , e ci descrive una realtà che definirei paradossale, talvolta grotte-sca, caricaturale. E’ probabile che il ricordo biogra-fico abbia volutamente calcato i toni, ed alcuni epi-sodi sembrano del tutto inverosimili, raggiungendo lo scopo di convincerci che la scuola, almeno il liceo d’eccellenza dove opera il nostro, sia una realtà allo sbando. Insomma un quadro disarmante, che lascia sbigottito anche il più scettico degli osservatori, fa-cendo diventare la prosa di Starnone un esercizio di buonismo. La seconda parte è la pars construens, ovvero D’Hu-mieres ci spiega la sua visione di scuola. E lo fa la-sciando parlare le storie di scuola, sue e dei suoi ra-gazzi.

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Il greco e il teatro

C’è la storia del greco. Proprio la lingua che mai nes-suno penserebbe di insegnare ai figli degli immigrati, che invece sono tra i suoi allievi migliori. Il professore che spiega l’utilità del greco nei suoi tour promozio-nali nelle ultime classi delle medie, con dei veri e pro-pri schetch, recite a soggetto. Capire il francese, rica-vandone il significato nascosto nella radice semantica delle parole derivate dal greco è una conquista, che af-fascina ancor più i giovani di origine arabe, che si tro-vano in mano una chiave per aprire gli arcani misteri della loro lingua, fin lì per loro matrigna, facendone così diventare una lingua madre. C’è la storia del teatro. Teatro come riscatto, prota-gonismo positivo per i figli dell’ultimo banco, che attraverso la messa in scena di testi difficili, Shake-spaere tanto per fare nomi, sedimenta nelle loro gio-vani coscienze esperienza di autostima, conquistate attraverso di impegno, disciplina, responsabilità. E tutto questo entrando in rapporto con il territorio che, se non ostile, si dimostra almeno un po’ diffi-dente, se non indifferente, nei confronti di questo professore parigino un po’ fuori di testa, ma che cre-de nei suoi ragazzi, a volte più di quanto loro creda-no in sé stessi. La parte che descrive le vicissitudini del primo spettacolo, ma soprattutto nelle parole di Lisa Mandeng, quando spiega che cosa è per lei fare teatro.

I colleghi e…

C’è la storia dei colleghi. Del conformismo di grup-po, manicheo nell’isolare il diverso, la pecora nera che si distingue perché non segue il branco nel fare la guerra al preside. E questo isolamento del prota-gonista è un po’ il limite di questa esperienza. C’è l’insofferenza dello stesso per la disciplina sindaca-le, che lo porta ad essere bollato come reazionario, salvo poi nel capito della vestizione, ad essere rico-nosciuto, obtorto collo, alfiere della sinistra, lui si almeno per le cose fatte, piuttosto che per quelle dette. Purtroppo i successi con le lingue antiche di D’Humieres sono il frutto della volontà di un sin-golo isolato dal contesto, incapace di contagiare gli altri. Sono una prassi che, per quanto buona, è dif-ficile da replicare, perché da pochi o nessuno imita-ta. Utile però a dimostrare che quello dell’insegnan-te è ancora uno dei pochi lavori che permette un grande esercizio della propria libertà, che però, ba-date bene, va messa al servizio dei propri studenti. La libertà è quella di sperimentare strade e percor-

si di insegnamento che favoriscono la crescita attra-verso la messa alla prova delle loro potenzialità che vanno stimolate, sollecitate, impegnate attraverso la proposta della cultura, selezionata dalle mani esper-te dell’insegnante.

… gli studenti

C’è la storia degli studenti. Dei nomi: Renate, Allan, Dounya, David, Kadiatou, Amelie, Kamir, mesco-lanza tra autoctoni ed esotici. Dalla loro voci, scrit-te come se fosse la sbobinatura di un nastro, si capisce come scelgano di accettare le proposte del loro pro-fessore, che oltre a farli studiare in aula, li trascina a cercare nuovi adepti per le sue lezioni di greco e lati-no. Ines, che passa dal livello- a cosa mi serve il gre-co- a dire, per convincere i più giovani – il greco era lì, in me, mi faceva bene. Quando sono un po’ persa con una parola nuova posso riuscire ad indovinarne il senso. – Ci sono le brevi biografie abbozzate, pennel-late sociologiche che raccontano la vitalità di queste vite di periferia.

La politica scolastica francese

C’è la storia della politica scolastica francese. Che af-fiora qua e là, lungo le pagine del libro, con i suoi ri-mandi a terminologie ed acronimi che per noi italia-ni suonano nuovi e incomprensibili. Mi vengono in mente una serie di figure che non esistono da noi, dove la categoria del personale scolastico prevede solo docenti e dirigenti. Ma anche acronimi quali ADA, ma se pensiamo che ci muoviamo tra POF, MIUR, BES, ecc. ecc, bè, è poco meno di un linguaggio per iniziati. Ci sono poi le amare considerazioni sulle lo-giche burocratiche che dominano i meccanismi me-ritocratici interni, o i meccanismi che lasciando alla libera scelta degli utenti delle opzione, che hanno l’effetto di scatenare la caccia allo studente da parte dei singoli docenti, preoccupati perlopiù di salvare la loro sorte personale legata alla sopravvivenza del-la cattedra. Insomma, ci sono questi e forse altrettanti altri buo-ni motivi per provare a leggere il libro di D’Humieres, perché ci ricorda a tutti noi che quando entriamo in aula il nostro lavoro, che è importante, lo è ancor più per i figli dell’ultimo banco.

Daniele Sivierodocente in utilizzo area BES

presso il Dipartimento Istruzione

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il punto

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Mentre si leggono le agili pagine di “I figli dell’ul-timo banco”, si percepisce via via sempre più net-ta la sensazione che il mondo sia un grande, im-menso paese. Ciò che infatti il professor Augustin d’Humières racconta dell’istruzione francese, della sua scuola, dei suoi ragazzi, è in definitiva ciò che molti docenti italiani, se interpellati sull’argomen-to, potrebbero a loro volta raccontare.

SODINIDocente di ruolo da pochi anni

Scuola, luogo di vita

La scuola è un mondo, la scuola è un grande paese, un luogo in cui si vive, luogo anzi privilegiato di vita e di esperienze, e vivida e concretissima è la rappresenta-zione che ne dà d’Humières.Il professore è terribilmente caustico, ancorché reali-stico, quando scrive che “ogni sforzo del progetto di istituto era teso verso un solo e unico obiettivo: che l’alunno stesse bene al Liceo” e che “i ragazzi avevano capito la tecnica: all’inizio erano ben lontani dall’es-sere i peggiori alunni della scuola, ma un buon dia-volo a cui si lascia credere che può permettersi tutto, Platone lo chiama un tiranno!” Una schietta e corro-siva efficacia descrittiva pervade ogni passo, soprat-tutto nella prima parte del testo: “Erano sufficienti quattro o cinque elementi per rendere la classe in-gestibile; così gli alunni minimamente seri e moti-vati annegavano presto nella massa.” E ancora: “la galleria dei motivi a favore della promozione diven-tava sempre più ricca; c’erano studenti che si scanda-lizzavano perché li si voleva promuovere.” “Il bravo professore diventava allora quello che si avvicinava di più all’animatore di quartiere, quello che sapeva che l’ultima cosa da fare in quelle classi era pretendere di fare lezione”.

Pretendere

“Non sono dei letterati” viene spesso ripetuto al pro-fessore da chi lo considera eccessivamente esigente nei confronti dei suoi studenti, e questo perché non perdona loro ‘banali’ errori di ortografia: e lui ribat-te deciso che saper scrivere correttamente in fran-

cese non è fatto riservato ai soli letterati. In realtà, racconta, “i tre quarti degli alunni erano incapaci di redigere un tema in modo corretto, ma noi erava-mo lì per ‘far amare la letteratura’, per fare in modo che i nostri studenti scoprissero un giorno ‘il piace-re del testo’. Quando ricevevamo le istruzioni per la correzione del tema di maturità, la solfa era sempre la stessa: non fissatevi troppo sulla correttezza orto-grafica, valorizzate lo ‘sforzo creativo’.” “L’idea di mi-surare l’istruzione nazionale sulla quantità, con il fa-moso 80% di diplomati, è assurda. Il problema non sta nell’ottenere il diploma, ma nel sapere parlare il francese al momento di lasciare la scuola e di entrare nel mondo del lavoro, nel sentirsi a proprio agio con se stessi, nel saper ragionare in modo sensato.” “Alla fin fine -riflette convinto- per farli sentire bene al li-ceo, forse la cosa migliore era farli sgobbare. E così il professore dai “metodi pedagogici d’altri tempi”, era spesso destinatario delle lamentationes di studenti e genitori, e non mancava, a tal proposito, chi gli fa-cesse notare che forse era lui a doversi mettere in di-scussione.

Il greco ginnastica dello spirito

E invece d’Humières era “il” professore: voleva fare lezione, voleva stare fra i suoi ragazzi, “tra studen-ti che potevano anche essere molto fastidiosi, ma che, ben inquadrati, mostravano una freschezza e una fame di conoscenza che -dice- non ero sicuro di ritrovare altrove.” D’Humières vuole il bene dei suoi ragazzi, ha a cuore il loro destino, e perciò non risparmia loro la fatica, anche se questo potrebbe si-gnificare perderli; egli semina, ed è disposto ad at-tendere pazientemente i frutti del suo lavoro, che spesso non saranno immediati. E per raggiungere i suoi nobili scopi d’Humières usa il greco, una lin-gua morta, che, ne è certo, renderà vivi i suoi stu-denti. All’inizio sembra quasi facile, un gioco: i ra-gazzi sono affascinati, incuriositi da quell’alfabeto particolare, da quella lingua un po’ strana, che però ha qualcosa a che fare con loro, con le loro paro-le. L’etimologia conquista. Ed anche le storie che i Greci ci hanno lasciato: i miti. Ma il greco non è solo questo: “Imparare etimologie, leggere e scrive-re in greco, ascoltare l’Iliade erano tutte attività che suscitavano un’approvazione pressoché unanime.

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Era la transizione a essere difficile da negoziare: far capire che quella tranquilla iniziazione al greco si sarebbe trasformata in una scuola di rigore, in una ginnastica dello spirito che costituiva una delle non trascurabili virtù della materia.” E chiunque abbia insegnato i rudimenti del greco in uno qualsiasi dei nostri ginnasi italiani sa perfettamente quanto sia vero quello che ci viene narrato. Ma la passione ge-nera passione, e con il tempo i ragazzi capiscono il loro professore, e lo seguono, al punto che una del-le sue allieve arriverà ad ammettere, con un sorriso, di dover molto al greco: “Il greco era lì, in me, e mi faceva del bene”.

Raggiungere il cuore

Certo le difficoltà non mancano, e il pragmatico d’Humières le delinea impietosamente: “Il lavoro di professore è sempre più faticoso. Una prova fisi-ca. Per i ragazzi di oggi, restare fermi al loro posto e rimanere concentrati è quasi impossibile. Vivono nel rumore. Il silenzio li inquieta, l’autonomia gli è sconosciuta. Non appena si aiuta uno di loro, tut-to intorno è il caos. Bisogna richiamarli all’ordine e chiedere il silenzio sei o sette volte all’ora. Hanno visto molte cose, sentito parlare di molte cose, ma nulla si fissa con precisione nella loro memoria. La maggior parte degli alunni oggi non legge più, salvo certi romanzetti: una letteratura appositamente im-postata per i giovani. E sono persuasi che aver let-to un paio di volte sia sufficiente.” Lo sguardo del professore, nonostante tutto, è sempre pieno di en-tusiasmo e di speranza: egli si propone ambiziosi traguardi, che alla fine riuscirà anche a tagliare, por-tando i ragazzi “dall’ossessione degli sms alla capaci-tà di guardare il mondo che li circonda: una vittoria immensa.” D’ Humières nei suoi ragazzi ci crede, fino in fondo, se li sente in pancia. Il greco è in ul-tima analisi solo il suo strumento, certo un nobile strumento, ma l’obiettivo del professore è più alto, va al di là anche del greco: egli desidera raggiunge-re gli studenti nel loro cuore, toccare le corde più vere e profonde del loro animo, e aprire i loro oc-chi alla vita.

“Ho capito perché, bene o male, il sistema funziona comunque “

Ma egli crede anche nella scuola e non molla mai, le prova tutte, contro tutti, con profonda convinzione: “Ho capito perché, bene o male, il sistema funziona

comunque. Perché? Perché in tutti gli istituti scolastici si trovano delle persone straordinarie, che credono nel loro mestiere e negli studenti. Anche se se ne dovesse incontrare una sola, è il segno che vale ancora la pena.”Ne viene allora una constatazione, forse un po’ ama-ra, ma che può spalancare nuovi orizzonti d’azione e di speranza. Tutti questi insegnanti, irresistibilmente vocati alla loro professione, che siamo avvezzi ad in-contrare nella letteratura dedicata alla scuola, anche al di qua delle Alpi, sono soli, sono naufraghi: tenta-no di sopravvivere alle intemperie scolastiche, facen-do i conti con colleghi disillusi e dirigenti sempre più manager e sempre meno educatori. Lo stesso d’ Hu-mières afferma che “in questo tipo di lavoro, è fon-damentale avere dei sostegni, lavorare con qualcuno.”

“A conti fatti, i soli con cui potevo costruire qualcosa erano gli studenti.”

“A conti fatti - dice però tristemente - i soli con cui avevo qualche possibilità di lavorare, di poter costrui-re qualcosa, erano gli studenti.” Ebbene, proprio que-sto dobbiamo riscoprire noi docenti: il desiderio di costruire con i nostri ragazzi, anche quando sembra impossibile, anche se significa “farli sgobbare”, e ma-gari non averne nemmeno un ritorno immediato in gratificazione. E poi, all’interno delle nostre scuole, nei collegi e nei consigli, dobbiamo assolutamente re-cuperare in unità, e non solo a livello delle pur sacro-sante rivendicazioni sindacali: siamo una comunità insegnante ed educante, nel rispetto delle specifici-tà di ognuno. Un progetto impegnativo, come quello educativo, ha bisogno di forze numerose e moltepli-ci, che lavorino guardando ad un orizzonte comune.Solo così si possono aiutare davvero i ragazzi a cresce-re, a diventare persone istruite, cittadini responsabili, ma prima di tutto uomini. E di umanità vera abbiamo un estremo bisogno.

Ivan Sodinidocente latino e greco Liceo classico “G. Prati” Trento

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“Star bene” a scuola

Tutto succede in un liceo di periferia dove il lento de-grado ha svuotato di interesse e motivazioni preside, docenti e studenti, in cui i genitori si presentano solo per recriminare o protestare, i “creativi” accettano e giustificano qualunque comportamento in nome del-lo “star bene” al liceo, la vita è difficile per chi vuole lavorare e sa bene che le regole gli studenti le impare-ranno a loro spese solo al loro primo lavoro. Risulta-ti catastrofici, “verifiche di truppa”, anno a progetto, corsi propedeutici senza alunni, insegnanti d’avan-guardia ambivalenti: le infinite risorse di chi non vuo-le insegnare in una scuola che ha perduto il suo ruo-lo educativo. Chi lavora nella scuola troverà situazioni ed esperienze diffuse. Quando Augustin detta le sue regole, puntualità e rigore, spiega il suo metodo, stu-dio anche a memoria e ricopiatura degli errori, com-piti supplementari e via dicendo non solo ottiene ri-sultati scolastici ma anche la simpatia degli allievi e si convince che per far “star bene” a scuola gli studen-ti bisogna farli sgobbare. Certo l’istituzione scolastica non favorisce in alcun modo la scelta del latino e del greco, anzi boicotta lo studio delle due materie classi-che e Augustin trova il modo di rivolgersi direttamen-te agli studenti e ai genitori nel momento in cui devo-no operare la scelta e la sua tecnica sarà imitata anche dai colleghi.

Arrivare al cuore

Etimologie e mitologia saranno il cavallo di Troia all’i-nizio, la grammatica arriverà dopo, ma ormai il no-stro professore è riuscito a coinvolgere gli studenti

Agile e scorrevole, questo piccolo libro invita alla lettura con capitoli brevi dai titoli accattivanti. Dal risvolto di copertina poi la descrizione delle difficoltà di un professore di latino e greco in un liceo di periferia, risolte con l’ausilio del teatro di Shakespeare, tende a depistare il lettore.Il titolo originale è in realtà “Omero e Shakespea-re in periferia”, Omero in primo luogo, in un se-condo momento il teatro e Shakespeare, quando ormai gli studenti hanno letto Omero. Non è una differenza da poco.

RUGGIODocente al liceo, vicina alla pensione

che arrivano ad accompagnarlo nel “Tour d’Humière” al momento delle iscrizioni. Incrocia docenti ancora motivati e critici, capaci di vedere lontano dove por-teranno riforme e nuovi metodi, a studenti “turisti”, a scuola di passaggio, ecc.In questo percorso gli studenti sono sempre presenti, presenti soprattutto con la loro vitalità, con la mode-stia delle loro aspirazioni, tolte lodevoli eccezioni, con la difficoltà di vita tipica della provincia che non con-sente di riuscire facilmente a concretizzare le proprie aspirazioni. Dopo il liceo tentano l’università, ma de-vono viaggiare su e giù, seguire le lezioni, lavorare per mantenersi e presto si ritroveranno a lavorare lascian-do perdere il resto. Riconoscere i bisogni che i giovani portano dentro e che fanno fatica a spiegare è l’aspetto più arduo del lavoro dell’insegnante, lavoro che non si esaurisce nella preparazione e nello svolgimento del-le lezioni, ma soprattutto nella capacità di cogliere il modo per arrivare al cuore e alla ragione degli allievi.

Bisogno di regole

Augustin individua presto la fame di conoscenza e di regole, di norme di comportamento e di rigore men-tale, che la famiglia e una società ormai troppo proble-matica e insicura non sanno più dare. Il rispetto di sé si conquista con la consapevolezza e l’autosufficienza. Sono soprattutto gli studenti che provengono da altri paesi a dimostrare quanto sia determinante il rispetto dei genitori verso lo studio dei figli e a spiegare quel-lo che viene definito “pesantezza” del sistema scolastico francese perché non dà una seconda possibilità. Non ci si può svegliare tardi: se hai fallito a scuola, per te è fini-ta. Non ci saranno carriere brillanti davanti, solo lavori esecutivi e ripetitivi. E’ gioco facile pensare alla situazio-ne italiana e non solo, visto che il problema scolastico e educativo è ormai esploso a livello mondiale. Il tea-tro diventa per alcuni di questi studenti scuola di vita, le prove da occasione di gioco e distrazione diventano importanti e pressanti; i ragazzi si mettono in gioco, as-sumono un’altra dimensione, comprendono, memoriz-zano, fanno esercizi di dizione, esplodono nella rappre-

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sentazione che non avrà nulla di amatoriale, perché sarà un vero spettacolo teatrale. La metamorfosi è compiuta, da Omero, con i cui ver-si, letti dalla studentessa che ha recitato nel Cyrano e che calamita l’attenzione, il libro si chiude, a Platone lo studio ha segnato il carattere e la personalità degli studenti grazie al greco per il rigore, per la ginnastica della mente, ma anche il professore ha ottenuto di in-canalare quella curiosità e quell’entusiasmo che ave-va intravisto in quegli alunni tanto lontani dagli stan-dard tradizionali in una direzione di miglioramento e conoscenza. Ha offerto loro ciò che cercavano lascian-do che “i nastri sventolassero”.

Maria Ruggiodocente latino e greco Liceo classico “G. Prati” Trento

PEDRONstudentessa II liceo classico

Aver fiducia nei giovani

Proprio questo narra questo libro: giovani che, grazie ad un tenace professore di greco, riscoprono sé stessi at-traverso una meravigliosa metamorfosi a colpi di teatro, tragedie greche e grandi oratori. I giovani: “generazione bruciata” si sente dire ormai troppo spesso. E irrecupe-rabile, pare. Io, però, non ci credo. E Augustin d’Hu-mières, l’autore del romanzo, è sicuramente d’accordo con me. Forse i giovani hanno solo bisogno di qualcu-no che li aiuti e dia loro stimoli, occasioni, opportunità per comprendere e capire il mondo che brulica loro at-torno; diversi da “televisione, pubblicità, reality show e chat su internet”, che isolano dagli altri e fanno percepi-re una realtà distorta. Quella raccontata è una situazione difficile: lui però, non senza fatica, riesce a districarsi e

a orientarcisi den-tro, contribuendo così alla rinasci-ta di questi ragaz-zi, inizialmente “sommersi dall’ec-cesso della realtà”: grazie al teatro, sono loro adesso a sommergere la re-altà con il loro ca-rattere, finalmen-te in grado di estrarsi dalla massa svogliata che vaga tutt’attorno. D’Humières si trova da solo nella sua lotta per un “rinascimento giovanile”. Nessun tipo di aiuto da colleghi, Preside, Sovrintendenza. E’ un sistema sco-lastico, quello francese, che “non dà una seconda possi-bilità”; in questo liceo di periferia “il futuro non è nep-pure evocato”. Un sistema scolastico addormentato da burocrazia e privilegi, dove se si vuole far carriera vige la regola del “niente storie”.

Valorizzare

Ma d’Humières, appoggiato da nessuno, non ci sta, si ribella e, ostinato, va avanti; e con determinazione vin-ce. La chiave del suo successo? Il metodo. Insegnare è la sua vita, il greco la sua passione; e riesce a trasmetterla ai suoi studenti, rendendoli partecipi del loro sapere e del-la loro istruzione. Sono loro i protagonisti. Le classi do-vrebbero essere cantieri del sapere, dove ognuno, mat-tone su mattone, costruisce non solo la propria cultura, ma la propria vita. Questo straordinario professore ha saputo cogliere le enormi capacità e qualità dei suoi ra-gazzi, e metterli nelle condizioni di farle fruttare. Noi studenti siamo prima di tutto persone, diverse, che vor-rebbero una scuola che fosse palestra e maestra di vita. Abbiamo tutti caratteristiche differenti da valorizzare, non solo giudizi e voti da prendere. E’ il saper valoriz-zare i suoi studenti che permette a d’Humières di far su-perare la convinzione che il suo sia un “liceo che pian-ge”. Christine Bureau-Garonne, preside in pensione; una delle tante storie narrate nel libro è la sua. E pro-prio lei afferma: “Ci sono quelli che non sanno adattar-si alla scuola, e allora la scuola deve potersi adattare a loro”. E sostiene subito dopo che questo la scuola non sappia farlo. E forse non ha tutti i torti.

Gaia Pedronstudentessa seconda liceo classico “G. Prati” e presidente Consulta provinciale studenti

Prima regola di sopravvivenza per professore di lin-gue “morte” in un liceo di periferia popolato da stu-denti disagiati e disinteressati: farli appassionare con metodi d’insegnamento non convenzionali, sapendo loro trasmettere la sua passione; perché “il greco è un elemento di formazione intellettuale e morale fonda-mentale per le persone mal orientate e che, per man-canza di aiuto, rischiano di cadere nell’incomprensio-ne, dunque nella violenza”. Così afferma Jacqueline de Romilly, preside in pensione, prima di dichiarare la sua passione verso i giovani, per i quali “le cose eru-dite e dotte” sono “come il cibo”.

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Un professore che non si dimentica facilmente, questo Augustin d’Humières. Decisamente alter-nativo, profondamente motivato, tenace ed instan-cabile nel perseguire i suoi obiettivi. Quanto più i nostri figli progrediscono nel percorso scolastico, tanto più ci rendiamo conto di affidarli a relazioni umane che diventano sempre più rilevanti, sempre più significative ed incisive. Ed allora la qualità del-le persone che incontrano fa la differenza.

OSCULATIMamma di due figli al liceo

“Venditore ambulante”

Il protagonista di questa “avventura” nelle scuo-le della periferia parigina è una persona straordina-ria, un professore che crede nel suo mestiere, che crede negli studenti, e si ostina a smuovere le cose all’interno della realtà in cui opera. Il contesto non è semplice: ambiente di periferia, appunto, grigio ed anonimo, situazione molto composita, che vede, accanto ad alunni seri e motivati, ragazzi difficili, famiglie assenti, tanto disimpegno e tanta trascura-tezza. Una situazione limite, per certi aspetti, sicu-ramente particolare, eppure paradigmatica di diffi-coltà e fatiche diffuse sempre più tra i nostri ragazzi, oggi: ragazzi che fanno fatica a rimanere concentra-ti, che non sono capaci di stare fermi al loro posto, che non sanno cosa sia il silenzio perché abituati a vivere nel rumore, incerti nell’uso della loro stessa lingua, incapaci di memorizzare, refrattari alla lettu-ra. Sono una realtà, anche nelle nostre scuole, anche tra i nostri figli.Eppure il professor Augustin – che ha occhi per vedere oltre l’apparenza – coglie in loro una freschezza, una fame di conoscenza ed una energia straordinarie. E va a cercarli. Lo fa fisicamente, nella storia che ci raccon-ta: si reca nelle scuole del bacino d’utenza del liceo in cui insegna, si presenta ai ragazzi e cerca di convincer-li a seguire i suoi corsi di greco, quasi fosse un “ven-ditore ambulante”. Ma ci piace questo atteggiamen-to come metafora di un modo di fare scuola: i ragazzi vanno cercati e conquistati, di continuo; la curiosità va sollecitata e stimolata, non solo riscontrata; l’intel-ligenza va provocata, non semplicemente misurata o giudicata.

Tra realtà e piacere di imparare

Lui stesso propone, per sé, un’immagine molto ap-propriata, quella dell’allenatore capace di motivare nel modo giusto, capace di incoraggiare, di indicare la direzione di marcia. Più che un professore troppo bravo, ultra brillante, si ritiene un professore effica-ce: bravo e preparato, sì, ma soprattutto a servizio dei suoi ragazzi, impegnato non tanto a esibire un sape-re quanto a tessere una rete di interessi, motivazioni, passioni, decisioni nei ragazzi. Perché ciò che con-ta è che i ragazzi intuiscano di avere delle possibili-tà aperte davanti a sé, che la scuola sia vissuta come una grande opportunità; non il luogo di un giudi-zio, di una valutazione che ti definisce, ma piutto-sto l’occasione di sempre nuove, sorprendenti, entu-siasmanti scoperte. Il professor d’Humières appare costantemente teso tra due obiettivi, entrambi ine-ludibili: da una parte puntare su una scuola che sap-pia fare i conti con la realtà, dall’altra non rinuncia-re mai a far percepire il piacere di imparare. Così la “sua” scuola è innanzitutto davvero utile: insegna a guardare il mondo, a prospettare il proprio futuro in esso, a lavorare per acquisire competenze e capacità che possano portare ad un sereno inserimento. Stu-diare serve per la vita. Arricchisce, dà sicurezza, ga-rantisce una marcia in più. Lo riconoscono, e lo di-cono, i suoi ragazzi alla fine del percorso.

La sfida del greco

E d’altra parte la “sua” scuola è bella, come testimo-nia una delle protagoniste, Inès, una ragazza che at-

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traverso un percorso molto travagliato trova la sua strada e scopre una vera passione nel dare lezioni di sostegno agli alunni della scuola elementare, che esorta con queste parole:”E’ così bello imparare! Per-ché non ci provate?” (p.92). Questo è il vero pun-to di forza del nostro professore: l’unica, importante meta è che i ragazzi provino il piacere di conoscere; “mi concentrai su un solo obiettivo: che imparassero qualcosa di nuovo a ogni lezione, che prendessero il più rapidamente possibile gusto alla materia” (p.84). La sfida, per lui, è ardua perché si tratta di cimentar-si con il greco antico. Ma è una sfida che viene vinta: i ragazzi entrano nel vivo della materia, provano vera gioia nel leggere questa lingua antica, nel decifrarne l’alfabeto, nell’indovinare le origini delle parole. E si accorgono che davvero il greco può servire, è la chia-ve per capire il significato di tante parole, arricchisce il vocabolario, insegna a pensare, oltre a far scoprire un mondo vivo e affascinante.

Dare un significato alla fatica

Le ultime pagine del testo, raccolte nella Postfazio-ne, sono una vera esaltazione del valore formativo che continuano ad avere il latino ed il greco; una lettura interessante, da consigliare a tutti coloro che si occupano di “orientamento” dei ragazzi dopo la scuola media, siano essi genitori o insegnanti, per-ché apre un interrogativo sul nostro modo di in-dirizzare verso gli studi classici; una lettura da cui emerge chiaramente come il criterio della scelta non debba, forse, essere prima di tutto il rendimen-to scolastico ma piuttosto il desiderio di scoprire un mondo, la prospettiva di un traguardo di valore da raggiungere.Tutto ciò, è bene dirselo, non è esente da fatica. Ma il professore non ha paura di chiederla ai suoi alun-ni: “alla fin fine, per farli ‘sentir bene’ al liceo, for-se la cosa migliore era farli sgobbare” (p.52). Non è rinunciando a mete alte che si aiutano i ragazzi a crescere, bensì accompagnandoli nel modo giusto, semmai incoraggiandoli. E aiutandoli a dare un si-gnificato alla fatica.

… il preside, però!

Con coraggio. Senza la preoccupazione di essere gra-dito, o di garantirsi un quieto vivere, atteggiamen-to che invece riscontriamo nel preside della scuola in cui lavora d’Humières, teso solo a mostrarsi disponi-

bile e accondiscendente con tutti, insegnanti, alun-ni, genitori. A lui il professore contrappone la con-vinzione che alla fine – ed è verissimo – i ragazzi si stancano di non incontrare alcun limite, sanno ac-cettare l’adulto che pone delle regole (la puntualità, la regolarità della frequenza, la responsabilità di ave-re tutto l’occorrente) e che ne esige il rispetto. Alla fine di questa bella lettura, la nostra riflessione è illu-minata e confortata dal successo del’impresa: il pro-fessore si ritrova una classe completamente diversa, attenta, interessata, che “tace, ascolta, vuole sapere il seguito” (p.150). Rimane lì, anche dopo il suono dell’ultima campanella.

Un sogno?

Un sogno?Un po’ sì, sembra di uscire da un sogno, alla fine.Viene da chiedersi quanto sia davvero possibile, se sia realizzabile o in qualche misura replicabile una simile esperienza. Tra le righe, però, accanto alla ca-parbia determinazione e alla forte personalità di que-sto insegnante, troviamo una preziosa indicazione su cui vogliamo portare l’attenzione, che può condur-ci a una risposta positiva. Di fronte alle prime dif-ficoltà e alla solitudine in cui si trova appena giun-to nella nuova scuola, il professore d’Humières vede con lucidità quanto sarebbe importante la collabo-razione con altri, la condivisione con i colleghi, la complicità delle famiglie: “in questo tipo di lavoro, è fondamentale avere dei sostegni, lavorare con qual-cuno” (p.60). Questa rimane, per tutti coloro che operano nella scuola, una consegna: occorre favori-re maggiormente la comunicazione, la relazione e la collaborazione tra i vari soggetti coinvolti (dirigen-ti, insegnanti, genitori) perché la scuola diventi ve-ramente una comunità che educa; occorre pensarla e farla insieme, questa scuola, per i nostri figli. Gli esi-ti potranno essere anche altri, rispetto a quelli che ci racconta questo libro, ma sicuramente il contributo delle varie componenti rimane fondamentale affin-ché la nostra scuola sappia rispondere con compiu-tezza al suo compito educativo.Sia questo un impegno comune, e non, ancora, il so-gno bellissimo di qualche visionario.

Alessandra Osculati genitore con un figlio al liceo scientifico,

una al classico e uno nella scuola secondaria I grado

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La solitudine dell’insegnante

E invece no.No perché nessuno si può dir fuori e non si può passare ad altro. Perché dalla scuola dipende troppo. Vien da dire tutto: difficile immaginare qualcosa di più importante della cultura, e quindi della capacità di conoscersi e dirsi e difendersi, e quindi di costruire un mondo migliore, e quindi della possibilità di rovesciare le iniquità, e quindi di coltivare la felicità personale propria e degli altri. Eppure è vero che oggi la scuola è sola, circondata dal-la curiosità estranea della società. O, spesso, dall’inte-resse ostile di chi legge ideologicamente quel che den-tro accade, immagina che accada. E più ancora è solo l’insegnante, accusato di essere incapace, imprepara-to, sempre in vacanza, docente-per-caso o per ripiego, doppiolavorista e inculcatore di idee sovversive.È vero che un po’ la solitudine è una condizione ob-bligata dell’insegnante. Forza e difficoltà insieme: solo lui, solo noi, con i ragazzi, a scegliere le parole da dire, a governare le emozioni che ci attraversano, nostre e loro, tante ore, tanti anni, tanti tanti ragazzi. E dopo tutto questo fare e questo essere, vita, passione, impe-gno, fatica, non poter sapere quel che è nato.

I risultati non visti

Perché è difficilissimo anche chiamar per nome il ri-sultato dell’insegnare: il successo scolastico è il voto? O la passione? O la curiosità? O lo sguardo consape-vole sul mondo? O il sentirsi parte e responsabili di questo mondo? O un talento finalmente scoperto? Forse basta una di queste cose. Lo sguardo diverso con cui un bambino o ragazzo, arrivato già “vinto” in pri-ma, ci saluta l’ultimo giorno di scuola. E il cielo sa che lo cerchiamo questo sguardo, un segno che ci restitui-sca la consapevolezza che qualcosa di importante è ca-pitato nella vita d’aula.

E rarissimo è il caso di un adolescente che ce lo ven-ga a dire: l’età scontrosa lo impedisce. Qualche volta a distanza di molti anni. Ma intanto si deve insegna-re. E spesso l’efficacia dell’insegnare è davvero nasco-sta e richiede davvero tanto tanto tempo per dar segno di sé. La scuola opera sempre nell’incertezza: deve rac-cogliere i cambiamenti del mondo, senza assecondar-ne le derive, deve farlo in fretta perché tutto è veloce e i ragazzi sono qui e ora, ma è un’istituzione e quindi lenta a cambiare. È l’insegnante ad assicurare oggi che quel che accade a scuola sia un agire dentro un oriz-zonte sensato. E se l’essere alla fine solo è inevitabile, tutto è infinitamente più leggero e vero se funziona-no le giuste alleanze: con l’istituzione, appunto, e con le famiglie, e con la società. E anche con la politica.

La “carriera di resistente”

Negli ultimi decenni la politica si è impegnata molto a far saltare queste alleanze, investendo le aule di una battaglia ideologica assurda, che ha portato a colpire la scuola per colpire i docenti. La “carriera di resistente”, di cui parla Augustin d’Humières nel suo libro a proposito della condizione dell’insegnante nella scuola e nella so-cietà francese, ha interessato anche l’Italia. E’ letteratura, e paga un po’ d’enfasi alla necessità di farsi leggere, ma c’è verità, oltre che un po’ di esagerazione, nelle parole di questo insegnante francese di liceo quando racconta che a volte il nemico è stato l’istituzione. Il Trentino forse ha potuto resistere e continuare a essere vicino alla scuola grazie alla sua autonomia, ma altrove gli insegnanti non hanno avuto come alleato il Ministero dell’istruzione. Eppure ancora nelle indagini la scuola mantiene la fidu-cia delle famiglie che, dove sono state attente, hanno po-tuto vedere il lavoro compiuto nelle aule: vera resistenza, per coltivare il diritto dei loro figli alla cultura, il diritto a diventare quel che desiderano, o almeno a provarci, e a farlo nel rispetto e nella verità del bene comune.C’è da ricostruire un’alleanza nuova intorno al lavoro dell’insegnante. Un bel lavoro ed è bello poter dire: noi ci siamo.

Maria Pia Veladiano dirigente scolastica I.C. Alta Vallagarina

C’è qualcosa di tremendamente possibile nell’incipit di questo libro di scuola: un insegnante che parla, dei ragazzi che non ascoltano e qualcuno che osserva. In questo caso un giornalista, spettatore, straniero a quel che accade, che non si sente in gioco, che niente ha a che vedere con quello che ha davanti: l’insegnante ce la fa? Non ce la fa? Pazienza. Si passa ad altro.

VELADIANODirigente scolastica e scrittrice

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Pag. 249[…]“Il linguaggio è la prima fonte della paura quando i ragazzi affrontano il “fuo-ri”, compresa la scuola: non solo perché la lingua della cittadinanza italiana è per loro una precaria, semi-estranea seconda lingua; ma perché cambia l’intero sistema dei segni, e le pro-prie capacità di decodificazione sono disattivate. Dentro la nicchia la conoscenza è basata sulla ripe-tizione dei copioni e sulla loro prevedibilità, com-prese le sparatorie e le uccisioni, quasi sempre previ-ste e pronosticate dalla narrazione collettiva. Fuori la conoscenza è esplorazione e scoperta dell’ignoto, che per tutti è fonte di paura: ma mentre nei per-corsi conoscitivi normali la paura si accoppia al pia-cere, e porta lontano, nei nostri ragazzi diventa pa-nico, e blocca il cammino.In questo “fuori”, quello della scuola e della polis, la sicurezza è rappresentata da un gruppo di adulti edu-canti che organizzano la scuola come spazio rassicu-rante, e che accompagnano i ragazzi negli altri “fuo-ri”. Una parte importante di questo cammino di conoscenza è rappresentata dall’insegnare ai ragazzi a camminare a piedi, che è la vera presa di possesso del mondo ignoto, insieme al linguaggio. La protesi meccanica del motorino copre con la sua potenza una tale fragilità che non è in grado di violare nemmeno i confini dei quartieri, se non in forma di banda or-ganizzata per aggredire il quartiere vicino. Ho fatto l’esperienza di un percorso formativo di tre anni con lo stesso gruppo di ragazzi, che si è concluso con un viaggio-stage in Spagna. Nel bilancio di questa espe-rienza fatto nel circle time alla fine del percorso, per dare parola al sentimento di una autonomia raggiun-ta un ragazzo disse “camminavamo, sudavamo, e non mangiavamo”: camminare da soli (senza la prossimi-tà fisica dei tutor) in una grande città straniera; suda-re, cioè accettare come proprio, senza “scuorno”, un corpo naturale al posto di quello standard, deterso, profumato e rivestito secondo il dettato sociale; non mangiare, cioè poter rinunciare a quel rifornimento emotivo spesso coatto che ha accompagnato e soste-nuto tutto il percorso (a Chance diamo da mangia-re ai ragazzi).Tre azioni concrete, ma anche tre metafore della si-curezza conquistata.”Carla Melazzini, Insegnare al principe di Danimar-ca, Sellerio editore Palermo, 201, pp 262, € 14,00

pag. 139

Magia del teatro

[…]

“Ho trascorso qualche anno nei corsi di teatro, di tanto in tanto mi succede ancora di andarci, ma ho raramente visto un’energia paragonabile a quella che dispiegavano i miei attori principianti la sera del-la rappresentazione. L’avevo intravista casualmente durante qualche prova generale. C’era qualcosa che aveva a che fare con il senso di liberazione. Que-sta gioia di diventare un altro, di entrare nella pel-le di un personaggio, fa parte della “normale” magia del teatro, ma questa magia aveva senza dubbio più effetto qui che altrove. La sera della prima del So-gno di una notte di mezza estate, dopo aver coscien-ziosamente salutato il pubblico, d’un tratto si sono precipitati gli uni sugli altri come se avessero vinto la Coppa del Mondo: li guardavo affascinato dalla postazione di regia, erano gli stessi che avevo chia-mato quindici volte al cellulare, che avevo svegliato durante le prove, che gridavano perché invadevo la loro vita privata…La sala era un po’ inquietante. Come ai tempi del melodramma, il pubblico si rivolgeva direttamente agli attori al loro ingresso in scena: “Ohè, Dounya, sei fica!”, “Wow, Renate!”, “Louis è troppo forte!”. Gli attori, che non deviavano un attimo dal loro per-corso, imponevano poco a poco il silenzio. La meta-morfosi colpiva soprattutto quelli che frequentavano i medesimi alunni in altri contesti: “Non ricono-scevamo più i nostri studenti!”. Il direttore di sce-na, all’ultima rappresen-tazione prima di andare in pensione, non si ca-pacitava: “No, davvero, tanto di cappello per quello che hanno fatto! Ci aspettavamo di veder arrivare dei ragazzini di periferia, invece ci han-no veramente stupiti!”.Il riconoscimento che ne traevano gli attori principianti era immen-so, giungeva a modifica-re il loro modo di parla-re, di leggere un testo a lezione.” Augustin d’ Humières, I figli dell’ultimo banco, Piemme Voci, Milano 2011, pp 160, € 13.50

le parole per dirlo

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Un libro coinvolgente, ma che a tratti lascia sgomenti

intanto le prime impressioni sul libroIl libro si legge volentieri e immerge in una situa-zione di scuola molto problematica, molto difficile, che fatica a dare risposte adeguate alla complessità e sembra addirittura per certi aspetti cedere alla tra-scuratezza. Un libro che in certi passaggi lascia anche sgomenti: penso ad esempio a come viene affronta-to il tema dell’orientamento e dell’accompagnamen-to dei ragazzi nello loro scelte. Emerge però la figu-ra dell’insegnante protagonista che si propone con la sua passione, con le motivazioni forti che lo spingo-no, il grande amore per la disciplina che insegna, ma anche con profonda attenzione nei confronti dei ra-gazzi: tutti aspetti, che durante la lettura coinvolgo-no e invitano a confrontarti con il suo modo di af-frontare la scuola.

il mestiere dell’insegnante: uno diventa insegnan-te quasi per caso, però poi c’è chi ha passione e chi non ne ha. l’insegnante, in particolare, non riesce mai a capire il vero risultato finale del proprio la-voro. partiamo dalla “passione”: da dove capiamo se c’è o no passione nell’insegnante?Credo che la passione di un insegnante debba es-sere innanzi tutto passione per le persone, perché quando un adulto si trova ad accompagnare nella loro formazione dei ragazzi, la prima cosa impor-

Per chiudere questo dossier dedicato al “mestie-re insegnante” abbiamo pensato di fare un’inter-vista all’assessore provinciale all’istruzione e allo sport, Marta Dalmaso, la quale – ovviamen-te – ha letto il libro dal quale ha preso le mosse lo stesso dossier. Per la verità, quella che riportiamo, più che l’intervista all’assessore è innanzitutto una “chiacchierata” con una ex insegnante di mate-rie letterarie in un liceo classico della città, an-che se non potevamo certo ignorare l’attuale carica di responsabile provinciale proprio dell’istruzione. Abbiamo toccato tutti gli spunti di riflessione che sono emersi dalla lettura fatta a più voci e riportati per esteso nelle pagine precedenti.L’intervista è stata realizzata lunedì 13 febbraio 2011

DALMASOAssessore, ex insegnante in un liceo

l’assessore

tante è la consapevolezza di avere di fronte delle per-sone a tutto tondo, per le quali si è comunque un riferimento. Per questo ritengo che il modo in cui l’insegnante si pone debba partire dal profondo ri-spetto nei confronti dei suoi studenti e dalla fiducia nelle potenzialità che tutti i ragazzi hanno e che at-tendono di essere valorizzate. Solo a partire da que-sta premessa, mi pare, si può cominciare a lavorare sulle discipline. Quindi: appassionati per i ragazzi come persone e amanti della disciplina che si inse-gna. Gli alunni si accorgono se un insegnante ama la propria materia oppure no e anche se ama l’inse-gnamento come lavoro oppure no. L’amore per la propria disciplina è in parte per così dire “innato”, ma in buona parte lo si acquisisce e lo si coltiva con lo studio e con l’approfondimento, che permetto-no per così dire di distillare l’essenziale e di aprir-si con maggiore disponibilità all’apporto dei propri studenti che vengono aiutati a conquistare un pro-prio sapere. Terzo aspetto, la didattica. Io purtroppo sono arrivata all’insegnamento dopo il liceo classico, l’università e un concorso per l’abilitazione che non prevedeva praticamente nulla che riguardasse la di-dattica. In sostanza uno si doveva costruire sul cam-po questa dimensione della professionalità e sperare di aver indovinato il proprio lavoro. Un conto infat-ti è la passione per la disciplina, ma cosa assai diver-sa è relazionarsi ad una classe o a più classi, che devi aiutare a crescere anche attraverso lo studio, nel mio caso, nelle materie umanistiche.

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Mestiere libero sì, ma che si gioca all’in-terno di una comunità educante

spesso a me è stato detto da personaggi significa-tivi che “il mestiere dell’insegnante è uno dei me-stieri più liberi del mondo”. è ancora così? Di sicuro è un mestiere bello e avvincente. E’ vero che, salve delle premesse sui programmi e sulle regole di fondo, poi l’insegnante è davvero in classe il più delle volte da solo, specie nelle superiori, con i suoi studen-ti ed è veramente libero di adottare le metodologie che più gli sembrano adeguate e immaginare il percorso didattico e il dipanarsi dei contenuti come gli sembra più opportuno. Una libertà assolutamente importan-te, che non può mancare in una relazione educativa. È peraltro fondamentale tenere presente che questa re-lazione educativa si basa anche sulla libertà dello stu-dente, che deve essere rispettata e vorrei dire coltivata: quale attività consente più dello studio e del pensie-ro di rafforzare lo spirito critico e di dare strumen-ti per poter essere autenticamente liberi? Anche nei recenti Piani di studio provinciali si sottolinea molto il protagonismo dello studente nell’apprendimento e nella costruzione della propria formazione. Tornando alla libertà dell’insegnante, aggiungo che ad essa deve corrispondere altrettanto senso di responsabilità e mi pare che questo possa avvenire in maniera più ade-guata se e quando gli insegnanti non rivendicano la propria libertà come valore da gestire individualmen-te ma piuttosto come una risorsa da mettere a dispo-sizione per un lavoro di squadra con i colleghi. Una libertà, quindi, che si gioca all’interno di un team, di una comunità educante, non in esperienze solitarie, come purtroppo a volte avviene. L’azione formativa

risulta molto più efficace quando quelle dei docenti sono tante libertà che comunicano e che costruiscono un progetto che sia leggibile anche complessivamente come il progetto di una comunità educante.

Pratica dell’insegnante in classe e “riti collegiali”

riprendo alcune impressioni che ha avuto chi ha letto questo libro: c’è una realtà, la scuola come istituzione, che in qualche modo trascina gli in-segnanti alla tentazione del branco, alla discipli-na sindacale, con una separazione spesso netta tra le cose fatte in classe e le cose dette nelle realtà collegiali, nei consigli, nelle assemblee…Per fare riferimento ad un’esperienza abbastanza recen-te, in questo periodo del riordino del secondo ciclo ho avvertito che quello a cui s’è dato maggiormente risal-to da parte dei mezzi di comunicazione sono state le di-namiche rivendicative di natura sindacale; io però sono assolutamente convinta che nella quotidianità del lavo-ro sia preponderante la passione per l’insegnamento che porta moltissimi docenti a lavorare al di là delle previ-sioni contrattuali e senza l’atteggiamento rivendicativo che talvolta si attribuisce loro. Credo che se la scuola, e la scuola trentina in particolare, è arrivata a certi livel-li di qualità e di efficacia è perché moltissimi insegnanti lavorano con grande motivazione e professionalità, an-che se poi magari in qualche collegio docenti emergo-no di più le voci che portano le istanze meno costrutti-ve, che pure ci sono. Dovremmo, penso, aiutarci tutti, assessorato, dipartimento, dirigenti scolastici, docenti e personale della scuola, nonché organizzazioni sindacali, ad individuare le questioni sulle quali è necessario pun-tare, per il bene dei nostri studenti e della scuola. Que-sto peraltro è un processo che abbiamo avviato e per il quale mi pare ci sia una buona disponibilità.

La centralità della relazione educativa e la stima reciproca insegnante/studente

il docente “bravo e motivato” e i suoi studenti. chi è? “un animatore di quartiere o uno che si pro-pone usando la disciplina e “fa sgobbare” i suoi studenti? insomma, “stare bene a scuola”, per gli studenti deve voler dire accontentarli, pruomuo-verli, portarli avanti…? irrigidirsi sulle regole, farli sgobbare o accudirli e curarli? c’è un confi-ne tra istruire ed educare?Probabilmente queste dimensioni devono coesistere e quanto debba pesare l’essere “animatore” o quanto

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debba pesare l’altra dimensione, io credo vada vera-mente tarato sulla situazione reale. Penso che uno dei “compiti” più complessi, delicati ma anche importan-ti per un insegnante sia quello di sapere chi ha davan-ti quando entra in classe e si ritrova dei ragazzi sedu-ti dietro un banco, con i loro volti, gli sguardi puntati e il loro vissuto personale. Secondo me la sfida è pro-prio quella di capire queste diverse storie per trova-re per ciascuna la risposta giusta. Ci sono dei ragazzi che hanno bisogno anzitutto di capire il senso di quel-lo che fanno, e senza questa consapevolezza non si la-sciano imporre una disciplina e non accettano il rigo-re nell’affrontare lo studio. Ci sono dei ragazzi, invece, che già si sentono motivati e pronti a lavorare sui con-tenuti, e che non solo accettano, ma richiedono pure al docente di farli andare avanti nella conquista della conoscenza e del sapere. Sempre più frequenti, però sono i casi in cui lo studente, prima di poter essere av-vicinato ad una materia scolastica, ha bisogno di tro-vare la strada per venir fuori da altri problemi, che, se non vengono affrontati per tempo, gli impediscono di aprirsi ad altro.

… e, allora, quale strada scegliere?

E’ inutile essere esigenti, severi e richiedere impegno a dei ragazzi che hanno macigni esistenziali addosso. Un docente naturalmente non è un assistente sociale, non può neanche fare la mamma o il papà e tantome-no l’amicone; è un docente, ma credo che debba pren-dere atto che può favorire davvero l’apprendimento dei suoi studenti solo se si dimostra disponibile a capi-re, a cogliere i segnali che essi mandano e a lavorare su quei segnali. Dopodiché, l’esperienza insegna che nel momento in cui in questa relazione educativa scatta una stima reciproca, non solo da parte del ragazzo ma anche da parte del docente nei confronti del ragazzo, allora gli studenti sanno dare tanto, in maniera diver-sa a seconda della propria indole, ma sanno veramen-te venir fuori con tutte le loro potenzialità e accetta-no che l’adulto, che loro considerano significativo, sia anche esigente.

C’è sempre meno tempo per fare “altro” dai vincoli della disciplina

le modalità per recupare una dimensione dell’”al-tro oltre la disciplina”. nel libro, l’insegnante l’ha trovata utilizzando il teatro, che diventa il riscatto per i ragazzi. nel testo della “maestra di strada” a napoli, carla melazzini, c’è la gita a bar-cellona e lo stage in emilia… con i nuovi piani di studio e i nuovi quadri orario, anche nel primo ciclo si avverte quasi la scomparsa delle attività “altre”, delle attività teatrali, della dimensione espressiva. è così oggi nella scuola?

Se guardiamo al primo ciclo, è vero che prima c’erano più ore obbligatorie, ma è anche vero che moltissime sono le esperienze di “tempo pieno” garantite con ore di scuola anche nel pomeriggio, che concedono ampi spazi per materie opzionali e per esperienze molto va-rie e significative. Del resto, è difficile ridurre ad un unico clichè le domande delle famiglie, che oggi non sono omogenee e rivelano in qualche situazione anche un’inversione di tendenza. Ci sono infatti dei genito-ri che richiedono il tempo scuola più ridotto, perché evidentemente intendono (e possono) completare la formazione e l’educazione dei propri figli con inizia-tive che sono al di fuori della scuola e che legittima-mente vengono considerate importanti e utili. Riba-disco: nella scuola ci sono tante opportunità ancora, però credo vada fatta una riflessione sulle metodolo-gie didattiche che vengono adottate. Se in molti casi il modo di insegnare si è adeguato alle nuove esigen-ze, in altri casi segna il passo, con il risultato che è dif-ficile affrontare i problemi di un mondo che cambia

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anche dentro la scuola senza rivedere gli schemi di la-voro. Dobbiamo tutti attrezzarci di più, senza tutta-via pensare che al docente si possa chiedere di trasfor-marsi immediatamente, a seconda delle esigenze, in animatore o altro. Per quanto riguarda le attività non strettamente curricolari, credo che affrontarle con una relazione più forte tra docenti possa consentire di ot-timizzare sia i tempi che le energie. Ad esempio: l’in-segnante che fa teatro ma resta solo dentro il Collegio docenti perché snobbato e ostacolato (vedi il protago-nista del libro… e altre esperienze che qualche nostro insegnante potrebbe raccontare), si trova ad affronta-re un’impresa titanica; se, invece, il docente appassio-nato in questo ambito lavora in un team in cui ma-gari non tutti hanno lo stesso talento, ma sostengono comunque l’iniziativa, favorendola e lavorando assie-me con apporti diversi, è chiaro che l’efficacia dell’in-tevento si moltiplica all’ennesima potenza.

L’ansia dei testi…

però, c’è anche l’ansia dei test, delle schede pre-confezionate, dei traguardi prefissati…L’ansia della valutazione è un dato di fatto. Sul tema della valutazione stiamo andando avanti col lavoro: c’è stato il regolamento sulla valutazione, il compito assegnato ai Consigli di classe ed ai Collegi docenti per darsi dei criteri, ma è un processo che va ulterior-mente affinato. Dobbiamo arrivare a capire quale può essere la valutazione che aiuta i ragazzi a crescere, a ca-pire a che punto sono e a fare progressi e che consente anche agli insegnanti di migliorare la propria didatti-ca. Anche un’esperienza teatrale nella quale si affron-ta un testo da tanti punti di vista, con la difficoltà gra-duata rispetto al livello scolastico, può essere un terreno prezioso per capire a che punto è il bambino, qual è il suo impegno, quali sono le sue potenzialità, e magari la chiave giusta per poterlo valorizzare. È chiaro che non tutti gli insegnanti sono vocati ad utilizzare questo tipo di attività o di espressività, ma, come dicevo prima, la cosa importante è condividere con i colleghi gli obietti-vi e contribuire ciascuno con il proprio apporto.

La scuola tra paradossi e “resistenze”

tre paradossi segnalati in particolare da mariapia veladiano dopo la lettura di questo libro. rispo-ste anche flash su ognuno. il primo: da una parte c’è la convinzione diffusa che dalla scuola dipen-da tutto, anche la felicità dei singoli, perché si formano le persone in prospettiva. oggi, però, la scuola sembra essere sempre più sola, mentre fuori c’è una società estranea, un po’ curiosa e un inte-resse spesso ostile….È vero che quando emergono problemi la prima real-tà chiamata in causa è la scuola, come responsabile del male e incapace di intervenire per sanare le situazio-ni. Nell’immaginario collettivo la responsabilità del-la scuola è molto elevata e la si sottolinea soprattutto per quello che non riesce a fare. Dall’altra parte, è an-che vero che la scuola non di rado è sola, non sempre per responsabilità del mondo che c’è fuori, ma anche per responsabilità della scuola stessa. Direi che in mol-te delle situazioni di difficoltà quello che manca è un rapporto ben costruito tra la scuola e la famiglia, tra la scuola e il territorio. Talvolta questo capita anche per una visione “delegante” del contesto, che vorrebbe ap-punto delegare alla scuola ciò che la famiglia e la co-munità non riescono a fare. Credo che si debba pro-prio lavorare per oliare bene questa relazione: ci sono, è vero, molte esperienze positive di relazioni belle tra scuola e territorio, ci sono comunità sensibili alle loro scuole e famiglie molto attente, ma gli organi di rap-presentanza nella scuola fanno fatica, la partecipazio-ne delle famiglie alla vita della scuola è un processo che va ulteriormente potenziato e sostenuto. Il para-dosso, però, ha del vero.

il secondo. nell’era della incertezza (se ne è par-lato nelle giornate di educa 2011), da una parte la scuola è chiamata a dare risposte molto in fret-ta, dall’altra è un’istituzione lenta a cambiare.Concordo. E proprio qui si vede la grandezza, a vol-te mi viene da dire l’eroismo, di molti insegnanti che, pur in questa tendenza complessiva alla conservazio-ne, si fanno promotori e artefici di iniziative davve-ro all’avanguardia, con strumentazioni e con modalità innovative. C’è tanta innovazione “spicciola” dentro la scuola, anche se è vero che è un’istituzione lenta a cambiare. Dobbiamo far conoscere di più le buo-ne pratiche, renderle patrimonio comune e valorizza-re meglio le competenze di molti insegnanti capaci. Nella formazione dei docenti stiamo cercando di fare anche questo.

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La battaglia ideologica contro la scuola e gli insegnanti

il terzo paradosso, riguarda la politica. in certi momenti si ha l’impressione che da fuori ci sia una sorta di battaglia ideologica contro la scuola e cioè contro gli insegnanti, i quali rispondono con “la carriera del resistente al nemico”.Chi è che sta facendo la battaglia ideologica contro scuola/insegnanti? Forse si traduce così la proposta di valutarli? All’inizio di questa intervista dicevamo che l’insegnante è sovrano nella classe… Ebbene: se portiamo all’esasperazione questo concetto rischia-mo di avere chi se ne serve per non affrontare le si-tuazioni di malcontento e di insoddisfazione, che sono magari motivati perché la scuola non offre ri-sposte adeguate. Credo che noi dobbiamo essere consapevoli della preziosità del lavoro dell’insegnan-te ed è per questo che quando parliamo della valu-tazione, l’obiettivo non è tanto quello di dare delle pagelle, ma di individuare dei meccanismi di miglio-ramento. Come in tutte le realtà, anche nell’ambito della scuola esistono situazioni diversificate ed è giu-sto che sia così, ma riteniamo importante valorizzare le esperienze particolarmente positive e magari ren-

derle più diffuse.

insomma, la strada della valutazione sembra esse-re ormai una scelta obbligata…La valutazione, se vista come volontà di accompa-gnare in un progressivo miglioramento i docenti, i dirigenti, gli operatori che sono dentro la scuola è passaggio sicuramente interessante e utile. Quanto al paradosso, è ovvio che quando si generalizza e la re-altà esterna se la prende con la scuola perché le rispo-ste non sono adeguate, dagli insegnanti scatti un’au-todifesa che rischia di essere altrettanto irragionevole laddove non si colgono le criticità che nella scuola ci sono e che dovremmo serenamente affrontare. Ab-biamo tutti gli strumenti e le possibilità per vede-re ciò che nella scuola funziona bene e ciò che inve-ce va migliorato e affrontato come problema e come criticità. E sono convinta che tutta la comunità ci guadagna nel momento in cui ama la propria scuo-la, la vede come un presidio prezioso e irrinunciabi-le per la libertà, per la democrazia, per l’integrazione e per tutti i valori che sono a fondamento della civi-le convivenza.

Mario Caroli

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Nel numero di dicembre 2011 di didascalie abbiamo pubblicato un dossier dedicato all’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole del Trentino, dal titolo “A scuola di religione”, 25 anni dopo l’avvio di tale esperienza. Pubblichiamo ora due lettere che sono giun-te nel tra gennaio e febbraio 2012.

IRC IN TRENTINODue contributi dopo il dossier

RELIGIONI A SCUOLASilvano Bert, insegnante in pensione

“È complesso trovare soluzioni adeguate”, scrive un po’ sconso-lata Beatrice de Gerloni, diretto-re dell’Iprase, a proposito delle at-tività didattiche alternative. Ma il problema, a me pare, sta pro-prio in quella normale attivi-tà quotidiana a cui Didascalie nel n.12/2011 dedica il suo dossier. L’ “insegnamento della religione cat-tolica” -scrive Mario Caroli- è in-fatti collocato “in uno scenario ra-dicalmente mutato dalla presenza di culture religiose diverse”. È que-sto scarto il problema: fra “il sin-golare di una religione”, l’unica da insegnare ed apprendere, e “il plu-rale delle religioni”, le molte pra-ticate sul territorio. Lo scarto è fra la domanda della realtà sociale e la risposta della scuola che per legge deve interpretarla. C’entrano cer-to i governanti. Ma il problema è politico nel senso profondo, per-ché riguarda la responsabilità di noi cittadini, la cultura che stiamo elaborando.Con il Concordato riformato nel 1984 ci fu uno scambio fra lo Sta-to e la Chiesa: l’ora di religione cattolica, da “fondamento e coro-namento dell’istruzione pubblica” qual era dal 1929, divenne confes-sionale e facoltativa. La confessio-ne maggioritaria decide i program-mi e sceglie gli insegnanti, lo Stato

LA LETTERA

dichiara quell’insegnamento facol-tativo. È una soluzione che, per privilegiare una parte, priva tutti i cittadini della conoscenza stori-co-critica delle religioni, e ignora il senso della secolarizzazione. Si ri-nuncia a una riflessione sul come convivere, mentre la globalizzazio-ne scaraventa i popoli gli uni ad-dosso agli altri.La stampa locale ci informa che sono venti le religioni nella nostra provincia, e si riduce fra i trenti-ni la scelta dei sacramenti cristiani. Proporre ancora la religione catto-lica secondo la tradizione è come insegnare, dopo Galileo, che la ter-ra sta ferma al centro dell’univer-so e, dopo Darwin, che l’uomo è stato creato, fisso su un piedistal-lo, separato dal resto della natu-ra. Sarebbe come se, nello scenario del web, per riferirmi all’interven-to di don Ivan Maffeis, ricavassi-mo informazioni solo dalla parola stampata su carta o, quando intor-no risuonano le lingue più varie, la scuola parlasse solo in lingua italia-na, quella materna.La soluzione (difficile, tutta da stu-diare) è un insegnamento critico di “storia delle religioni”. Commit-tente diventa lo Stato laico, la casa di tutti, l’unico che, anche toglien-do il crocifisso dal muro, può ri-nunciare alla verità. Che viene af-fidata alla ricerca delle comunità che credono in Dio, in forme di-verse, o di chi crede solo nell’uo-mo. Questa era anche la soluzio-

ne auspicata da Antonio Autiero, direttore del Corso Superiore di Scienze Religiose della FBK, oggi rimandato a Muenster, dopo che la diocesi gli aveva affiancato un più fedele Studio Teologico Acca-demico. Ruggero Morandi e Ro-berto Giuliani obbietteranno che il dialogo interreligioso è in Tren-tino al centro dei programmi, ma devono riconoscere anch’essi che il punto di vista sugli “altri” rimane quello della Diocesi che rilascia ai docenti l’idoneità. Di tanto in tan-to la comunità musulmana alza la voce a ricordarci, inascoltata, che così le cose non vanno bene, che esiste anche il Corano.Lo stesso vescovo, mons. Luigi Bressan, fa risalire il rapporto fra la Chiesa e la scuola alle parole di Gesù ai discepoli, “andate e inse-gnate”, senza cogliere che il punto di vista teologico (legittimo, impor-tante, anche a me caro) è tutt’altro da quello storico e laico al quale nella scuola di tutti hanno diritto i nostri ragazzi. È anche questa man-cata distinzione, fra il resto, che l’e-ducazione a una fede adulta esige-rebbe, a spingere i giovani, in Italia e in Trentino, a lasciare dopo la cre-sima, con i giochi, la chiesa. Non tutti abbandonano la fede, è vero, ma devono cercare altrove la rispo-sta alla domanda di spiritualità.Gli insegnanti di religione vivono, nella scuola, una crisi specifica, an-che se in molti si dedicano con im-pegno al loro lavoro. L’ho visto in-segnando al loro fianco per anni all’Iti di Trento, e nelle scuole fre-quentate dai miei figli. Con Patrizia Filippi ho collaborato nel preparare a Comano un recital teatrale sulla Shoah. Ma non possono supplire ai problemi politici di grande portata. È una cultura nuova da costruire. Visitando le scuole del Trentino

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IL NOSTRO RUOLOStefano Paternoster, docente IRC

Ho letto il dossier sull’Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola trentina e da insegnante di religione ho apprezzato l’attenzio-ne al nostro lavoro. In effetti ho avuto modo di constatare più volte quanto il nostro ruolo all’interno della scuola porti con sé molte at-tese, ma anche altrettanta confusione.Il legame che normativamente ci lega alla Chiesa cattolica, la prepa-razione professionale, fino ad arrivare alle stesse finalità del nostro insegnamento, rappresentano per taluni motivo di sospetto. In realtà l’IRC, pur nella sua specificità e nei suoi limiti, risente come ogni al-tra materia dei mutamenti in atto nella nostra società e cerca di for-nire il proprio contributo rispetto alle nuove sfide a cui la scuola è chiamata a rispondere. Sfide che non si riducono nelle rinnovate ri-chieste che provengono dal mondo del lavoro o nei tagli economici, ma che sono prima di tutto culturali.Proprio rispetto ad una complessità culturale sempre più accentuata l’IRC è chiamato a mostrare la propria forza e il proprio valore spe-cifico. In una società in cui siamo chiamati a riconoscere e mettere in comunione linguaggi e letture del mondo diversificate, la capacità di saper interpretare, valorizzare e collocare nel modo più rispettoso e corretto il diverso modo di rapportarsi di fronte alle prospettive re-ligiose, diviene una competenza necessaria ad ogni livello.Per questo sono convinto che l’IRC debba proseguire la strada che lo porterà ad essere sempre più parte integrante della scuola e della sua offerta formativa. Questo non attraverso l’imposizione di chissà quali nuovi concordati o intese, ma prima di tutto attraverso il rico-noscimento dell’importanza di quel sapere religioso oggi così neces-sario, che trova negli insegnanti di religione già presenti nella scuola le figure professionali più preparate ad esserne divulgatori. Oggi mi appare sempre più chiaro che il nostro futuro non possa giocarsi all’interno di una sorta di lotta di territorio tra spazio laico e spazio di fede, lettura ormai limitata e datata, ma attraverso un’ul-teriore crescita della nostra figura professionale capace di intercet-tare le richieste e gli stimoli che si stanno delineando all’orizzonte, facendo riferimento prima di tutto al bagaglio di competenze e ca-pacità che già fanno parte del curriculum di ogni buon insegnante di religione.

Stefano PaternosterInsegnante di religione cattolica - Liceo “Da Vinci” Trento

non mi pare che l’assessore Mar-ta Dalmaso ponga l’insegnamento delle religioni come problema. Né lo fanno i dirigenti. Oggi non suc-cederà più, ma quanti insegnanti ho sentito nel consiglio di classe, il giorno degli scrutini, definire an-cora “esonero” il “non avvalersi”. E quanti studenti e genitori erano lontani dall’immaginare che il cor-so di religione cattolica di cui si av-valevano era confessionale. O se la cavavano con “un po’ di religione non fa mai male: chi insegnereb-be altrimenti che non è bene be-stemmiare, rubare, dire falsa testi-monianza?” A Trento, al recente convegno su “La Bibbia nella sto-ria d’Europa”, Tullio De Mauro ha spiegato che le città europee sono impregnate di un sacro che va co-nosciuto, se non vogliamo che re-stino mute mentre le percorria-mo, vi lavoriamo, ci divertiamo, ci amiamo, ci facciamo la guerra. Due anni fa, nel momento cal-do della contestazione che la as-sociava al ministro Gelmini, pro-posi all’assessore Dalmaso un atto di coraggio: un convegno plurale che mettesse alla prova, su strade nuove, l’autonomia speciale. Sug-gerii anche il nome di Flavio Pajer, forse il massimo esperto in Italia di insegnamento comparato delle re-ligioni. Ma c’è sempre qualche al-tra questione che urge.In Italia però non siamo all’anno zero. Nella città di Torino, con la collaborazione di Brunetto Sal-varani, si sperimenta un insegna-mento delle religioni. A Radio Tre parla Gabriella Caramore (www.uo-minieprofeti.rai.it). E possiamo met-terci in contatto con Biblia, l’as-sociazione laica di cultura biblica (www.biblia.org). Sono esempi di pluralismo, tracce su cui cammi-nare. Trovare soluzioni adegua-te resta complesso, ma la ricerca è possibile.

Silvano Bert

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Il lavoro “Tutti insieme per… un mondo migliore” è nato due anni fa, promosso dall’IPRASE nell’ambito dei progetti di ricerca-azione. Molti docenti chiedevano informazioni circa i percorsi didattici di educazione alla cittadinanza per stendere delle Unità di Lavoro da proporre agli studenti.Ne è nata così una “raccolta di buone pratiche” in materia di forma-zione delle competenze relazionali e civiche con lo scopo di valorizza-re il lavoro degli studenti e dei docenti che viene svolto nelle nostre scuole di ogni ordine e grado, documentando tutte le attività scola-stiche in materia di educazione alla cittadinanza, di educazione alla pace, alla solidarietà, alla convivenza, ai diritti umani (come da Rac-comandazioni europee 2006 e Linee Guida dei Piani di Studio Pro-vinciali 2009).

CITTADINANZAPercorsi per “un mondo migliore”

Perché una raccolta di buone pratiche…

Le scuole della provincia sono sta-te invitate a collaborare alla raccol-ta, inviando il materiale prodotto, che è stato visionato, suddiviso e ca-talogato secondo gli ordini e i gradi di scuola: dalle scuole dell’infanzia, agli Istituti Comprensivi, agli Istitu-ti di Istruzione Superiore, tenendo conto degli argomenti affrontati.Molti Istituti hanno inviato i loro prodotti e ne è nata questa pubbli-cazione dal titolo “Tutti insieme per…un mondo migliore” per-corsi didattici di educazione alla cittadinanza, che evidenzia l’im-portanza delle tematiche e gli sfor-zi che i docenti compiono per “tra-smettere” questi valori trasversali a tutte le discipline. Le competenze relazionali e civiche, infatti, stanno alla base del vivere in comune e mi-rano a favorire lo sviluppo di una cultura politica basata su principi e valori condivisi, ma soprattutto a promuovere la partecipazione attiva alla vita della comunità, a educare alla convivenza civile e a sviluppare un pensiero critico e propositivo; si può parlare di una “pedagogia” del-la pace, della democrazia.

Una scuola che educa

Sicuramente sono valori che van-no vissuti nelle azioni quotidiane, che dobbiamo imparare e interio-rizzare, prima in noi stessi e poi interagendo con le persone che ci circondano (la famiglia, la scuola, la società) se vogliamo “costruire” un mondo migliore, specialmen-te nel contesto attuale. La scuo-la quindi come “comunità edu-cante” con al centro il cittadino come persona, con la propria di-gnità; tutto è educazione alla cit-tadinanza (come si può dedurre dalle Unità di Lavoro raccolte). I protagonisti sono gli studenti del-le scuole trentine che hanno po-tuto sperimentare questi percorsi straordinari e la varietà dei pro-getti con elementi che si rincor-rono, spesso a valenza pluriennale e/o ciclica; argomenti che proce-dono in modo parallelo alle disci-pline, trasversali ad esse.Credo ed auspico che sia un modo di confronto fra le varie realtà sco-lastiche per avviare una collabora-zione, anche in rete, in modo da ottimizzare il tempo e prendere spunto da attività già sperimentate da altre scuole.

La struttura della pubbli-cazione

La pubblicazione risulta così divisa in quattro parti:nella prima, oltre alla presentazio-ne, si trovano i contributi della di-rigente Beatrice de Gerloni “Edu-cazione alla cittadinanza: il quadro normativo, i principi e i contenu-ti”, nel quale viene affrontato tut-to l’aspetto normativo e l’attuale situazione riguardo a questa disci-plina; di Elvira Zuin “Contenuti e forme dell’educazione alla citta-dinanza nel “curriculum di fatto” delle scuole trentine” e di Alberto Conci “Educare al noi”; nella seconda parte si trovano tut-ti i lavori che gli Istituti scolastici provinciali hanno inviato; voluta-mente è stato mantenuto il ma-teriale originale anche nella for-ma per non alterare le Unità di Lavoro. Si inizia con le propo-ste delle scuole dell’infanzia, suc-cessivamente quelle degli Istitu-ti Comprensivi e degli Istituti di Istruzione Superiore; nella terza parte si trovano le ini-ziative sul territorio: Trento città per la pace, la giornata della pace a Pergine Valsugana, la realtà del Ta-volo Tuttopace, il quaderno opera-tivo “Vivere la pace”, l’esperienza del “dado della pace”, la “tela dei diritti umani”. Particolare interes-se riveste la raccolta “Racconti per riflettere”; dall’esperienza di un’in-segnante che ha cercato di fissare, attraverso delle piccole storie, i va-lori di educazione alla cittadinan-za;l’ultima parte vede le note conclu-sive a cura di Olga Bombardelli, docente dell’Università degli Stu-di di Trento.

Mariagrazia Corradi

buone pratiche

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I risultati del lavoro “Tutti insieme per… un mondo migliore” sono sta-ti presentati ed approfonditi in un apposito incontro, martedì 13 dicem-bre 2011, organizzato dall’Iprase, al quale ha partecipato anche l’assessore all’istruzione, Marta Dalmaso, con un breve saluto in apertura. Molte le voci, non solo dei relatori, ma anche di insegnanti (per lo più di religione) che hanno relazionato con grande partecipazione sui percorsi e sulle ini-ziative sulla Pace attivate nelle proprie scuole. “Buone pratiche”, ma anche rilancio della riflessione sui contenuti e sulle modalità didattiche utilizzate.

PACEUn confronto a più voci

il seminario

Iprase, dipartimento e scuole…

Più che un lavoro dell’Iprase – ha esordito Arduino Salatin, all’e-spoca direttore Iprase -, “si tratta di un lvaro delle scuole, spesso in rete e nel territorio e spesso con in-terventi degli enti locali. Questo, dalle scuole dell’infanzia sino alla secondaria superiore. I contenu-ti riguardano valori e dimensioni forti, attorno ai quali oggi, in que-sto momento di crisi generale, si costruisce solidarietà.”Dopo l’introduzione di Maria Gra-zia Corradi (vedi pagina qui ac-canto), l’apprezzamento per tutto il percorso svolto, per i materiali pro-dotti e per l’approccio complessivo, da parte di Olga Bombardelli, pe-dagogista dell’Università di Trento.Beatrice de Gerloni, (oggi diret-tore Iprase ma in quella sede per conto del Dipartimento Istruzio-ne, Università e Ricerca) ha pre-sentato delle slides molto espli-cative sulla ricostruzione storica della stessa tematica dell’educare

alla cittadinanza oggi, del quadro europeo di riferimento, di quel-lo nazionale e poi trentino, fino al Regolamento sui Piani di Studio Provinciali del primo ciclo.

Rilettura critica dei mate-riali e dei percorsi

Elvira Zuin (Iprase) ha relazionato sulla “rilettura critica dei materiali, sulla quantità, sulle caratteristiche specifiche, su possibili evoluzioni per una documentazione organica di questi progetti. “Ho trovato per-corsi straordinari, di qualità pluri-disciplinari, di momenti in cui la scuola si riorganizza per fare spazio a questi strumenti. Interessanti an-che le metodologie di ‘compiti di realtà’, di protagonismo degli stu-denti assieme agli insegnanti, que-sti ultimi però più da registi che da protagonisti attivi. Ma interessanti anche per l’apertura delle scuole agli enti del territorio ed alla società nel suo complesso ‘testimoni privilegia-ti del nostro tempo’. Molti di que-sti progetti sono pluriennali, si ripe-

tono in forme e modi diversi e sono comunque collegati all’attualità.”Un limite – ha rilevato Zuin – sta nella valutazione della ricaduta vera: “né gli insegnanti né gli studenti sanno valutare quanto resta in ter-mini di abilità di conoscenze disci-plinari; e non si capisce fino a che punto la scuola li consideri luoghi di apprendimento di competenze. Mancano gli strumenti per valutare le competenze relazionali e civiche.”Dall’analisi dei materiali e dei per-corsi viene fuori che “la scuola ha in mente un modello di società (so-lidale, rispettosa, multiculturale…) cui vuole educare i suoi studenti, ma c’è qualcosa di più. Per esem-pio: sulla Pace, si analizzano le ra-gioni per cui si va in altra direzio-ne, si individuano modi precisi per risolvere i problemi . Non è buoni-smo quello che emerge, ma la ricer-ca di risposte, risolvendo i proble-mi. È una scelta metodologica, un metodo. Però, anche qui il nodo è: quando questo metodo diventa vera competenza per gli studenti”.

La riflessione e la pratica continuano…

La riflessione sul tema della Pace e dell’educazione alla cittadinan-za ed alla legalità è stata ripresa e sviluppata con stimoli interessan-ti da Alberto Conci (dipartimen-to istruzione) e dall’Arsenale della Pace Torino). Conci, in particola-re, ha affrontato il tema del “tipo di cittadinanza che immaginiamo”, di cosa voglia dire “pedagogia del-la democrazia” e dei “valori civici” come “evidenze fondamentali”.Infine, le testimonianze di alcuni do-centi coinvolti: Daniela Buffoni, Giovanna Girardini, Armida Mo-ser, Barbara Orzes, Elena Pasolli, Rosanna Polla e Stella Salin. (m.c.)

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DALLE SCUOLE

Il progetto didattico “Costruire storia Geschichte schreiben: dalla dimensione locale alla prospettiva europea”, è un progetto transfron-taliero promosso e coordinato dall’Iprase di Trento che coinvolge, oltre al nostro Trentino, anche istituzioni e scuole del confinante Tirolo set-tentrionale e meridionale. Oltre all’Iprase di Trento al progetto collabo-rano anche la Fondazione Museo Storico del Trentino, il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, il Pädagogi-sches Institut für die deutsche Sprachgruppe (BZ), il Landesschulrat für das Bundesland Tirol e della Pädagogische Hochshule Tirol.

STORIADimensione locale, prospettiva europea

Una sperimentazione didattica

Questo progetto di sperimentazione didattica coniuga due aspetti fonda-mentali del dialogo interculturale, la necessità di rapportarsi con la lin-gua del vicino e la consapevolezza, attraverso lo studio della storia, del-la condivisione di un comune oriz-zonte regionale ed europeo.Due aspetti contenuti anche nella tradizione didattica ben collauda-ta del nostro Liceo Arcivescovile di Trento iniziata nell’anno scolastico 1995-96 quando, primi in Trenti-no e per volere dell’allora Rettore Monsignor Umberto Giacometti,

liceo Arcivescovile Trento

è stato introdotto l’insegnamen-to della Storia in lingua veicolare tedesca. Tradizione didattica che prosegue con il Dirigente scolasti-co Udalrico Fantelli che sostiene fattivamente questo progetto.

Le tappe preparatorie

Per gli insegnanti di storia il proget-to è partito nell’autunno 2010 con degli incontri preliminari tra i do-centi coinvolti per individuare i temi da proporre agli studenti (coadiuvati anche da esperti e conoscitori di sto-ria locale) e per preparare una meto-dologia di lavoro condivisa.In primavera 2011 è iniziato il lavo-

ro al progetto in aula. Gli studen-ti hanno lavorato in rete di gruppi composti da classi provenienti dal-le tre regioni partecipanti, appro-fondendo gli argomenti storici con-cordati [“Monumenti del Trentino, Sudtirolo e Bundesland Tirol”, “La reazione all’occupazione nazista (1938-1945) e “Viaggi e viaggiato-ri nel Tirolo storico”], facendo delle ricerche approfondite e scambian-dosi i risultati attraverso la piatta-forma elettronica “blikk”, messa a disposizione dal Pädagogisches In-stitut für die deutsche Sprachgrup-pe (BZ) Istituto Pedagogico per il gruppo linguistico tedesco di Bol-zano. Si sono svolti anche degli in-contri de visu tra le classi che hanno lavorato sulla piattaforma.

Un argomento condiviso

Il 5 maggio 2011 di quest’anno la classe IV del Liceo Linguistico Eu-ropeo Arcivescovile, accompagna-ta dalle docenti Brigitte Dotzauer e Roberta Tomio si è incontrata ad Innsbruck con gli alunni del Bun-desgymnasium di Kufstein (Au-stria) e i loro docenti Klaus Tschal-lener e Katrin Petzold, per lavorare insieme al loro argomento comune “Reisen und Reisende – Viaggi e Viaggiatori”.L’argomento trattava delle ricer-che sugli scritti di personaggi lette-rari e storici famosi come Goethe, Mercey, Montaigne, Heine, Kafka ed altri che sono passati nel Tiro-lo di allora, descrivendo ciascuno a modo suo la gente, gli usi e costu-mi, le città ed il paesaggio.Per la classe del Liceo Arcivescovi-le che dal terzo anno sta studiando la storia in lingua veicolare tedesca con il metodo CLIL, questo lavo-ro con la classe di Kufstein e con quella di Merano è stata l’occasio-

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ne anche per applicare le loro co-noscenze linguistiche con gli ami-ci altoatesini e tirolesi ed è quindi stato particolarmente motivante.

Il lavoro svolto

Durante il lavoro svolto in classe in primavera gli alunni hanno po-tuto approfondire le loro cono-scenze su come si svolge il lavoro del ricercatore, anche grazie ad in-contri con esperti del ramo e stu-diosi di storia.Per i docenti stessi si è offerta l’oc-casione per sperimentare una impo-stazione nuova ed innovativa nella didattica della storia, che ha raccol-to entusiastici consensi di impegno e partecipazione tra gli studenti.Numerosi sono stati anche gli in-contri tra i docenti delle tre realtà scolastiche transfrontaliere coinvol-te, occasione anche per aggiornar-si e scambiarsi idee, ed esperienze preziose dato che i moduli svolti in classe sono stati preparati da loro.

Programma e finalità dell’incontro odierno

Il programma della mattina preve-de l’incontro con la classe di Me-rano, accompagnata dalla docen-te Margret Karlegger. In questa occasione viene portato a termine il lavoro svolto insieme da queste classi, cioè la stesura di una bro-chure-guida “turistico-storica” fat-ta da studenti per studenti che ri-assume il risultato del lavoro di ricerca storica svolto dai ragazzi stessi.In conclusione gli studenti dell’Ar-civescovile hanno organizzato una visita guidata per i loro compagni di Merano alla ricerca dei luoghi significanti nel centro storico del-la nostra città di Trento che sono stati descritti dagli autori analizza-ti nell’ambito del loro lavoro di ri-cerca.

Brigitte Dotzauerdocente del Liceo Linguistico

europeo Arcivescovile

LA SCHEDA

Il progetto IPRASE “Costruire storia - Geschichte schreiben: dalla dimensione locale alla prospettiva europea”, coordina-to da Chiara Tamanini assieme a Francesco Bailo, ha visto partecipi quattro Istituti scolastici trentini:1. Arcivescovile Trento2. ITI “Buonarroti” Trento - in-

segnante referente Natascia Ro-smarini

3. Istituto “Pozzo” Trento - in-segnanti referenti Massimo Pa-rolini e Salvatore Marà

4. ITC “Fontana” Rovereto - in-segnante referente Annamaria Raciti

5. Tre scuole dell’Alto Adige6. Tre scuole austriache.La ricerca ha coinvolto circa 200 studenti che sia negli incontri reci-proci, sia in un questionario fina-le hanno mostrato apprezzamen-to per l’esperienza. L’idea centrale del progetto fa riferimento alla con-sapevolezza che i territori di confi-ne possono diventare laboratori di convivenza e di confronto culturale e che i confini, storicamente fattori di divisione e di conflitto, possono al contrario diventare risorse impor-tanti per una didattica della storia che faccia emergere i differenti punti di vista da cui leggere e interpretare gli avvenimenti storici. Contribuen-do con ciò non solo ad una miglio-re conoscenza delle vicende storiche, ma anche al dialogo e al confronto culturale, alla condivisione di un co-mune orizzonte regionale ed euro-peo e, più in generale, all’educazio-ne alla cittadinanza. Il progetto ha prodotto una ricca documentazio-ne che sarà a breve pubblicata sul sito dell’IPRASE e che verrà presen-tata a fine 2012 in un convegno a cui parteciperanno anche i partner del progetto e cioè il Museo Stori-co in Trento, l’Università di Trento (docente L. Blanco), il Bildungsres-sort–Bereich Innovation und Bera-tung der Autonomen Provinz Bozen e il Landeschulrat für Tirol.

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La Guida alla Mostra Permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai dal titolo “Il nostro museo”, utile supporto alla visita è sta-ta realizzata grazie al prezioso impegno delle classi V AL e V BL dell’I-stituto di Istruzione “ A. Degasperi” di Borgo Valsugana, coordinate dall’insegnante Pierluigi Pizzitola, nell’anno scolastico 2010/2011, con la supervisione scientifica di Luca Girotto e Fulvio Alberini. Il coordina-tore del progetto, Pierluigi Pizzitola, ha presentato il lavoro e riassunto le caratteristiche principali di tutto il percorso soffermandosi su tre punti di forza: far apprendere in modo più attivo la storia ai ragazzi partendo di-rettamente dalle fonti, ricostruire il generale anche da un rapporto con il locale e inserirsi nel territorio valorizzandone il patrimonio culturale. Questa guida è stata chiesta da molte biblioteche e sarà una delle pro-poste didattiche che l’istituto presenterà assieme ai propri Piani di studio.

GRANDE GUERRAA Borgo abbiamo “Il nostro museo”

La Mostra Permanente

Il Museo Diffuso è un progetto fi-nanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto che si declina in una serie di azioni vol-te alla valorizzazione delle realtà mu-seali e spazi culturali della Valsuga-na orientale. Nell’ambito di questa iniziativa, che si svolge in fase spe-rimentale, è stata rivolta la proposta a degli studenti del liceo scientifico dell’Istituto “Alcide Degasperi” di Borgo Valsugana, di prendersi cura di un museo della Valsugana orien-tale. La scelta è caduta sulla Mostra Permanente della Grande Guer-ra in Valsugana e sul Lagorai, alle-stita all’interno dell’ex Mulino Spa-golla nel centro storico di Borgo, il risultato dell’impegno dell’Associa-zione storico-culturale della Valsu-gana Orientale del Tesino che tra i suoi scopi ha quello di conservare e valorizzare le testimonianze ma-teriali, bibliografiche, archivistiche e fotografiche della Grande Guerra nell’area compresa tra la Valsugana e la catena del Lagorai-Cima d’Asta. L’esposizione inaugurata nell’ot-tobre 2002, ma ampliata e radical-mente rinnovata nella forma attua-le a fine 2005 occupa due ambienti:

I.I. “A. degasperi” borgo ValsuganaLA SCUOLA AL MUSEO

uno propone vetrine che si alterna-no a pannelli fotografici e diorami in cui si racconta ai visitatoti l’evolversi delle operazioni militari, illustrando con materiale fotografico dell’epoca i campi di battaglia e le distruzioni subite dai paesi della valle.

Le finalità del progetto

Il progetto “Il Nostro museo” ha consentito ai ragazzi di avvicinarsi alla storia in un modo nuovo e atti-vo, permettendo loro di approfon-dire il tema della Grande Guerra e sviluppando un’efficace compara-zione tra la dimensione locale, cioè quella degli avvenimenti in Trenti-no e del suo passaggio all’Italia, e quella generale delle grandi vicen-de nazionali e internazionali che la hanno caratterizzata. Ma soprattut-to ha fatto lavorare gli studenti di-rettamente sulle fonti stimolando quel processo inferenziale della co-struzione storica che riprende, in qualche modo, il lavoro dello stori-co. Si è voluto rendere i ragazzi di-retti protagonisti attivi e non passi-vi della “costruzione storica”.L’azione, divisa in due momenti, uno in classe, l’altro sul campo, ha immaginato nuove modalità di rela-

zione fra le realtà culturali della rete e la popolazione giovanile, al fine di attivare la creatività, lo spirito di iniziativa, il senso di responsabilità e la consapevolezza nei confronti del patrimonio storico-artistico ed et-noantropologico locale.

Motivazioni didattico-metodologiche

Lo studio della storia “locale” può diventare, quando è strutturata su parametri di serietà e scientifici-tà, un’efficace leva di stimolo nel-lo studio della storia generale. In questo modo molti fenomeni tro-vano, nel loro muoversi tra locale e generale, una chiara esemplifica-zione. Esiste quindi un continuo richiamo tra le due dimensioni spaziali: entrambe possono vicen-devolmente sostenersi e contribu-ire alla costruzione del senso di sé sociale e civile dei giovani. Il pro-getto ha offerto la possibilità di at-tivare pratiche didattiche cogniti-ve e metodologiche più attive. Le attività laboratoriali hanno avu-

1

il nostro�����Guida alla Mostra Permanente

della Grande Guerrain Valsugana e sul Lagorai

A cura delle classi. VAL e VBL Istituto di Istruzione A. Degasperi - Borgo Valsuganacoordinate dal prof. Pierluigi Pizzitola

Supervisione scientifica: Luca Girotto, Fulvio Alberini

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n. 1-2 gennaio febbraio 2012 43

to un ruolo centrale nello stimola-re negli studenti le abilità del me-todo storico, attraverso la lettura e l’interpretazione di vari testi e do-cumenti trovati, in particolare, alla Mostra Permanente della Grande Guerra di Borgo Valsugana.Lo studio e la ricostruzione della storia richiedono un approccio cri-tico, non mnemonico e ripetitivo, che riproduca, sia pure in parte, il lavoro di ricerca dello storico.

La prima fase di realizza-zione

I ragazzi hanno sviluppato que-sto progetto attraverso diversi mo-menti di lavoro e di ricerca.In ottobre c’è stata la visita alla Mostra “Paesaggi di Guerra” pres-

so spazio Klien a Borgo Valsuga-na e un incontro introduttivo sul-la Grande Guerra in Trentino con l’insegnante Pierluigi Pizzitola e visione di un documentario sulla Grande Guerra in Trentino;in dicembre i ragazzi hanno poi visitato la Mostra Permanente del-la Grande Guerra di Borgo Valsu-gana con le esperte Paola Mo-rizzo e Giovanna Sartori che, in quell’occasione, hanno presenta-to alle classi il progetto “Il Nostro Museo” nell’ambito delle attività promosse dal Museo Diffuso del-la Valsugana orientale;in gennaio c’è stata la lezione sulla Grande Guerra in Valsugana presso l’Auditorium dell’Istituto “A. Dega-speri” di Borgo Valsugana con Luca Girotto, iniziativa che ha coinvol-to anche la collettività. Nell’incon-tro con le classi VAL e VBL sono state presentate delle schede di la-voro (sottoposte alle classi in forma di documentazione in power point più immagini e didascalie) alla base della realizzazione della ricerca. I ra-gazzi sono stati suddivisi in grup-pi di lavoro a cui è stato affidato un argomento specifico da appro-fondire. Le suddivisioni propo-ste sono state: introduzione genera-le alla Grande Guerra, introduzione alla Grande Guerra in Trentino, in-troduzione alla Grande Guerra in Valsugana, approfondimenti sui di-versi paesi della Valsugana colpiti dal primo conflitto mondiale. Una serie di gruppi di lavoro infine sono stati identificati allo scopo di con-centrarsi sulle diverse tipologie di oggetti e testimonianze entrate a far parte della collezione del museo dal 2007 al 2010. In questo periodo con la visita alla Mostra permanen-

te della Grande Guerra si è realiz-zata la documentazione fotografica a corredo del lavoro di ricerca dei gruppi che si sono dedicati agli og-getti e alle nuove testimonianze del-la collezione del museo.

La seconda fase

In marzo c’è stata la presentazione e l’assemblaggio del materiale pro-dotto da parte dei due gruppi di ri-cerca con la verifica, l’adattamen-to grafico e la stampa del materiale prodotto (da parte del coordina-tore del progetto e del mediatore, con il supporto dell’insegnante di riferimento).In aprile infine i ragazzi delle quin-te sono andati a visitare il Mu-seo della Grande Guerra di Rove-reto dove è stato possibile ampliare la riflessione sulla Grande Guerra a tutto il Trentino e all’Italia.La fase di elaborazione individua-le del materiale si è svolta attraverso un lavoro di ricerca a scuola e pres-so la Biblioteca comunale di Bor-go Valsugana con l’utilizzo di fonti documentali a stampa, banche dati e internet, realizzazione di una do-cumentazione fotografica in loco e di eventuali brevi interviste con la supervisione dell’insegnante di ri-ferimento e del mediatore didat-tico, Roberta Tomio, del Museo Diffuso della Valsugana orientale. Infine c’è stata poi la presentazio-ne pubblica della ricerca nell’ambi-to dell’evento Palazzi Aperti 2011. Protagonisti della serata sono sta-ti indubbiamente gli studenti che hanno dimostrato di possedere le competenze per costruire impor-tanti materiali storici e sono apparsi preparati e capaci di comunicare al pubblico presente i risultati del loro lavoro, anche utilizzare al meglio gli strumenti informatici.

Pierluigi Pizzitoladocente dell’Istituto Degasperi

di Borgo Valsugana

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SEgNALIAMO

la recensione

ANJES32 centimetri, bellissima

Non voglio perdere la mia bambina!

Fin dalle prime righe questo libro mi ha coinvolto, quasi costringen-domi ad una lettura continua, di seguito. Il coinvolgimento, forse perché sono mamma anch’io è sta-to davvero alto. Concetta Marotta con una semplicità a volte perfino disarmante ha raccontato la sua sfi-da per la sopravvivenza della sua se-conda bambina Anjes, nata il dieci settembre 2008 a sole ventiquat-tro settimane di gestazione, con un peso di solo 600 grammi, lunga 32 centimetri, ma bellissima.La situazione è grave e comples-sa ma il primo pensiero di Con-cetta, che per carattere ha fidu-cia nella vita e negli altri, è “ non voglio perdere la mia bambina!”. Concetta di carattere è forte e co-raggiosa e lo ha dimostrato anche quando ha lasciato l’Italia per an-dare a vivere a Tirana in Albania con il marito Muharrem, da cui ha avuto anche Francesca che ora ha cinque anni e mezzo. In Alba-nia Concetta insegna italiano in una scuola e lì ha incontrato le suore di madre Teresa. Fin da pic-cola era stata affascinata da quella piccola suora che per molti anni aveva creduto indiana. Solo più tardi aveva scoperto essere di na-

Nei primi giorni del nuovo anno, mercoledì 4 gennaio 2012, il libro “Anjes, segni particolari: 32 centimetri, bellissima” edito da “Il Margine” è stato presentato in Sala Aurora di Palazzo Trentini. Per la verità, è stata presentata la stupenda storia di Anjes, di sua madre Concetta, di sua sorella, di suo padre, dei suoi nonni… e dell’amore dell’Associazione “Amici della Neonatologia Trentina”, che questo libro ha adottato. Un racconto a più voci, guidato da Paolo Ghezzi del Margine, con Dino Pedrotti, Paolo Bridi, Giuseppe De Nisi e lei, la madre che racconta, Concetta Marotta. (m.c.)

zionalità albanese e, guarda caso la vita l’aveva chiamata a vivere nella sua patria dove per la stra-da si vedono spesso le suore con il sari bianco bordato d’azzurro. Ed è proprio a madre Teresa che la piccola bimba prematura viene affidata e che porterà il nome di battesimo della suora: Anjes.

Cuore di mamma

Sicuramente contrastanti i senti-menti che affiorano in questi mo-menti così difficili da sostenere, dove si sa che il rischio più grande dei bambini che nascono così pre-sto, i prematuri gravi, non è solo quello di morire, ma anche la so-pravvivenza è impegnativa perché si possono facilmente contrarre in-fezioni o emorragie cerebrali con possibili conseguenze irreversibi-li di handicap. A Concetta viene proposta una consulenza psicolo-gica, perché essendo un caso limi-te è necessario prepararsi anche ad un lutto, ma questa mamma for-te e coraggiosa risponde: “io non voglio abbandonare questa bambi-na, le voglio donare me stessa, fos-se pure accompagnarla alla morte da qui a qualche ora”. E questo at-teggiamento è il filo conduttore di tutto il libro, una mamma straor-

dinaria che affidandosi totalmente nelle mani di Dio affronta una sfi-da enorme. Da ogni riga di questo diario infatti emerge una grandis-sima fede e soprattutto la presenza della famiglia che la supporta e la incoraggia, i genitori i fratelli e la sorella, anche lei incinta, i cognati.

Francesca

La preoccupazione più grande è comunque Francesca, l’altra fi-glia, che non sa nulla ma intui-sce tutto, che d’improvviso, in un contesto di vacanza si trova a vi-vere con i nonni materni, lontano dalla sua casa, dai suoi amichet-ti, e che viene iscritta all’ultimo anno della scuola materna in Ita-lia per stare vicino alla mamma. Deve invece stare lontano dall’a-matissimo papà Muharrem che non può assentarsi troppo dal la-voro e che chiama affettuosamen-te babi. Come spiegare e far capi-re a una bambina di soli cinque anni perché la sua sorellina appe-na nata non può uscire dall’ospe-dale come gli altri bambini? Per-ché la mamma è sempre via e lei sta dalle cuginette e dai nonni? Giorni difficili, sentimenti tristi e speranzosi assieme ma nonostante tutto Concetta afferma con sicu-rezza: “Sono la protagonista del-la favola più bella, la favola della vita”. Tutto alla fine andrà bene, Anjes sopravviverà e sarà porta-ta a casa e questa storia racconta-ta, fin nei dettagli ma soprattutto nei sentimenti e col cuore può di-ventare prezioso conforto per chi ha vissuto una situazione simile o viceversa occasione di ringrazia-mento per non essere stati messi così a dura prova dalla vita. Ora dice Concetta: “Anjes è una bam-bina felice e grata alla vita. Anjes è una bambina solare e piena di ottimismo. E nessuno lo avrebbe detto, eccetto me”. (N.B.)

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n. 1-2 gennaio febbraio 2012

SCUOLA DELL’INFANZIA

strumenti

TRENTASEIStorie per conoscere il tempo

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“Storie per 12 mesi - Racconti e attività ludiche per la scuo-la dell’infanzia e il biennio della scuola primaria” è un libro che fa parte dei “materiali per la didattica” che la Casa Edi-trice Erickson propone per presentare ai bambini vari ar-gomenti fornendo nel contempo diversi spunti operativi.Lo scrittore trentino Mauro Neri ha composto 36 sim-patiche storie sul tema del tempo, che hanno come pro-tagonista Picalù, una bambina di quattro anni e mezzo con tante cose ancora da imparare e una erre che non le viene proprio (nello scritto è riportata fra parente-si per catturare l’attenzione). Per ogni mese ci sono tre racconti con piccole avventure e quadretti di vita fami-liare, scritti in un linguaggio semplice, adatto ai bam-bini alle prime letture. Ad esempio, a gennaio mam-ma Favilla spiega a Picalù la neve, papà Andrea l’aiuta a fare un pupazzo e l’amico Giò condivide con lei gio-chi e riflessioni sul freddo. Seguono schede da colora-re, per imparare a fare i fiocchi di neve e per trovare le differenze fra figure. Il libro prosegue con la stessa for-mula: a febbraio ci sono racconti di freddo e maschere, a marzo le rondini e la festa del papà, ad aprile la Pa-squa e così via. Ascoltando o leggendo queste storielle, i bambini dai 4 ai 7 anni potranno affrontare i concet-ti relativi allo scorrere del tempo, conoscerne le scan-

sioni, le feste e le tradi-zioni, affrontare il perché dei i cambiamenti clima-tici e dei comportamenti di animali e uomini. Le schede, attinenti alle ca-ratteristiche stagionali, sono di quattro tipi, con lo scopo di stimolare dif-ferenti abilità: “Disegnia-mo”, “Scopriamo”, “Cre-iamo”, “Giochiamo. Il formato grande del testo e della scrittura considera l’uso da parte dei bambi-ni, che possono agire sul-le pagine per completare le proposte grafiche. Con queste favole i bambi-ni conosceranno gli ele-menti caratterizzanti di mesi e stagioni e segui-ranno il calendario gio-cando e sviluppando competenze. A.T.

“Quattro passi nella natura” è un libro per i bambini del-la scuola dell’infanzia e del primo ciclo della scuola pri-maria utilizzabile per progetti di educazione ambientale. La grafica accattivante e le schede da colorare o comple-tare contenute ne fanno un volume che cattura l’atten-zione dei bambini. Il testo è suddiviso in quattro par-ti, una per ogni stagione, e in ognuna vengono proposti giochi e attività manuali introdotti da un racconto am-bientato nel bosco. I protagonisti principali sono due gnomi: Tikko e Milla che, attraverso le loro avventure, narrano i cambiamenti della natura e i comportamen-ti degli animali. Per ogni stagione sono proposte sei se-zioni operative: osservare e riflettere, sentire con i sen-si, conoscere ed esprimere, creare, giocare, educazione ambientale; con specifiche schede con diversi obietti-vi, come memorizzare nomi, imparare ad utilizzare at-trezzi, sviluppare conoscenze. Un esempio: nella sezio-ne Estate si racconta la storia di “Tikko investigatore e l’insalatina sparita”, che evidenzia alcuni fattori stagio-nali, seguono poi le proposte di gioco con i sensi: il tat-to per scoprire la terra, il gusto nell’assaggio di verdu-re, l’odorato su salvia e basilico, la vista e dell’udito per osservare e ascoltare l’acqua; seguono le indicazioni per costruire personaggi utilizzando funghi o sassi, e indi-cazioni per un’animazione con le ombre e, infine, i sug-gerimenti per fare un piccolo orto.Allegato al volume c’è un fascicolo con originali fo-

tografie in cui si vedono dei pupazzetti posiziona-ti in contesti reali (bosco, orto, prato); il testo ripor-ta quattro racconti dei fol-letti scritti in stampatello a caratteri grandi, per scola-ri alle prime letture. Ecco così prendere vita l’am-bientazione abitata che il libro ci racconta.L’autrice è insegnante di scuola dell’infanzia, da sempre attenta all’ambien-te e ricca di inventiva, di-vulga le proprie produzioni per trasmettere un pensie-ro di rispetto per la natura.

Giovanna MolinariInsegnante scuola dell’infanzia

NATURA Percorsi di esplorazione sensoriale e ambientale

Mauro Neri, “Storie per 12 mesi - Racconti e attività ludiche per la scuola dell’infanzia e il biennio della scuola pri-maria”, Illustrazioni Pa-ola Leonardelli, Edizio-ni Erickson – Collana “i Materiali”, Trento 2012, pagine 156, €18,50

Maria Pia Trentini, “Quattro passi nella na-tura – percorsi di esplora-zione sensoriale e ambien-tale”, Edizioni Erickson, Trento 2012, €18,50

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MIGNONRacconti per divertirsi assieme“Storie mignon” è una raccolta di racconti brevi, ac-compagnati da accattivanti immagini, dedicati ai bambini da 2 a 6 anni, eppure possono parlare anche agli adulti, rendendo loro visibili i pensieri dei piccoli, in particolare di fronte alle preoccupazioni dei genito-ri, e mostrando come la fantasia sia una risorsa quan-do diventa senso di vicinanza. Non a caso i racconti sono scritti e illustrati da due insegnanti della scuo-la dell’infanzia, che hanno messo in questo lavoro la loro competenza pedagogica e l’empatia verso il sen-tire dei bambini.I protagonisti del libro sono quelli classici della lette-ratura per l’infanzia: animaletti, personaggi delle fiabe e i componenti della famiglia; i contenuti sono vari: c’è l’amicizia fra diversi e la gelosia verso il fratellino, un bambino che si nasconde troppo e uno che fa tut-to viceversa, una strega che più brutta non si può e un orco stranamente minuscolo, un’idea per vestirsi eleganti e una per volare, una mamma distratta e un papà che col giornale sa farci un gioco... Insomma, di-verse faccende simpaticamente risolte e dimostrazioni d’affetto in molte forme. “Storie mignon” fa parte dei testi per i bambini che l’Ufficio di coordinamento pedagogico generale pre-para per far arrivare nelle scuole dell’infanzia provin-ciali racconti e poesie che portano qualcosa di nuovo nei momenti dedicati alla narrazione. Queste favole ben si adattano a diventare spunto per aprire un dia-logo su qualche tema - come il valore del dare aiu-to o del saper riconoscere le proprie qualità - ma an-cor più possono creare quel piacere che nasce quando una storia fa star bene e non intende necessariamen-te insegnare qualcosa ma, semplicemente, divertire. E

divertirsi insieme dà tanto perché crea quel contatto emotivo che favorisce l’emergere di sensazioni perso-nali. Ci sono piccole storie che hanno una grande forza, queste sono così. I bambini e chi sa stare con loro ne converrà alla pri-ma lettura, e ancora, all’ennesima richiesta di “un’altra volta!”.

Miriam Pintarelli

Bambini in Europa è il quadrimestrale della Junior Edizioni che persegue un’ambiziosa finalità: quella di creare uno spazio di condivisione di esperienze e di ri-flessioni a livello europeo sui temi dell’educazione e delle politiche scolastiche. È una rivista che nasce dalla collaborazione di diverse riviste europee e che viene pubblicata contemporanea-mente in tutti i paesi che compongono il network; l’o-biettivo è quello di promuovere una cultura condivisa a sostegno dei diritti dell’infanzia e per lo sviluppo dei servizi educativi. È dunque uno strumento che permet-te di mantenersi aggiornati sulle politiche europee, la ri-cerca scientifica e la buone pratiche più diffuse. Il con-tenuto della rivista è monografico: l’argomento viene affrontato dal punto di vista dei diversi Paesi con diver-si contributi di specialisti ed esperienze. Nel numero di Dicembre 2011 affronta il tema delle competenze: come accrescerle nel gruppo di lavoro, come promuovere il coinvolgimento dei bambini e, soprattut-to, la fondamentale distinzione tra abilità e competenza. La domanda su come la scuola possa favorire lo svilup-po delle competenze trova risposte originali ed esaurienti nell’articolo Bambini abili o competenti? che delinea una serie di scelte di metodo e di strategie per favorire l’emer-gere della capacità di agire con consapevolezza e creativi-tà. Suscita particolare attenzione la descrizione degli stru-menti utilizzati in Australia per sviluppare le competenze

dei genitori nella scelta dei servizi per l’infanzia e un’e-sperienza francese di acco-glienza e ascolto verso le fa-miglie in situazioni sociali difficili. Un’ulteriore pro-spettiva a completare il di-battito è quella che prende in considerazione l’accre-scimento delle qualità dei professionisti e le nuove di-rezioni per le politiche eu-ropee: una maggiore aper-tura del ruolo di educatore alla figura maschile, mi-gliori condizioni di lavoro e potenziamento della for-mazione.

a cura diPatrizia Di Gloria

Insegnante scuoladell’infanzia

… IN EUROPASi ragiona sulle competenze

Anna Tava,“Storie mignon”, Illustrazioni Nella Valen-tini, edizioni PAT, Trento 2011, pp 48 € 3,00

Bambini in Europa qua-drimestrale anno XI n°2 Dicembre 2011. Spaggia-ri edizioni – edizioni Ju-nior. e- mail: [email protected]

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48 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Nei giorni 29, 30 e 31 marzo 2012, si terrà a Rovereto il Convegno na-zionale della “Rete dei Licei delle Scienze Umane” denominata “Pas-saggi”. Ogni anno questa Rete di 43 scuole nazionali promuove un conve-gno in una città italiana, organizzato da uno dei licei delle Scienze Umane che ne fanno parte. Quest’anno il nostro Liceo “Fabio Filzi” di Rovereto ha accettato di farsi carico di questa prestigiosa opportunità, nell’interesse del mondo della scuola ma anche per la comunità ospitante.

PASSAGGIUn convegno nazionale per i licei

La “terza” cultura

Il convegno avrà come argomen-to centrale la “terza cultura”, cioè l’intreccio tra le due culture, quel-la umanistica e quella scientifica, tema avvincente e centrale dell’at-tuale dibattito culturale. Un’occa-sione per favorire il confronto su temi di grande attualità e rilevanza scientifica, economica e filosofica fra il mondo delle Scienze e quello delle discipline umanistiche, in un periodo di profondi cambiamenti che riguardano ambiti fondamen-tali per la conoscenza umana.Obiettivo del convegno è inoltre di stimolare il dibattito intorno alle Scienze Umane e ai loro insegna-menti, alla luce dei cambiamenti in-trodotti dai nuovi piani di studio. I lavori vedranno la partecipazione at-tiva dei protagonisti dello scenario della formazione: la scuola, l’uni-versità, le istituzioni culturali, le as-sociazioni e le cooperative sociali, il mondo della ricerca, l’editoria sco-lastica, i media specializzati. L’orga-nizzazione è sostenuta da un comi-tato scientifico composto da docenti

Istituto “F. Filzi” roveretoIL CONVEgNO

universitari, dirigenti scolastici, Di-rettivo della Rete “Passaggi” e docen-ti della Rete dei Licei delle Scienze umane del Trentino, nata proprio in occasione del Convegno e coordi-nata dai docenti del Liceo Filzi, Aldo Muciaccia e Paola Sterni.

La novità: i ragazzi prota-gonisti

L’Istituto “Cobianchi” di Verba-nia ha proposto di prevedere una partecipazione attiva dei ragaz-zi, dando la massima attenzione ai contributi che potrebbero porta-re nei vari momenti del convegno organizzandosi in gruppi di lavo-

ro su tematiche specifiche con una parte attiva alle sezioni chiave del-le tre giornate, inclusa la tavola ro-tonda finale. Per la prima volta i ra-gazzi potranno essere protagonisti del convegno nazionale della rete “Passaggi” e da questa esperienza di Rovereto potrebbero scaturire nuove modalità di collegamento e di scambio proficuo fra scuole a li-vello provinciale e nazionale. Ne è nata una Rete, quella dei Licei del-le scienze umane del Trentino, che sta dando i suoi frutti, dato che i docenti hanno iniziato a confron-tarsi, a verificare i vantaggi del lavo-rare insieme. L’occasione del Con-vegno sarà per la Rete, provinciale e nazionale, un momento di verifica e confronto, uno snodo cruciale per riaffermare l’esigenza di lavorare in raccordo fra scuole, per scongiura-re l’isolamento nelle proprie picco-le realtà, un punto di partenza, dal quale far scaturire prospettive di nuovi percorsi formativi a beneficio di tutti, nel prossimo futuro.

Marta Ober Dirigente scolastica

liceo “Filzi” di Rovereto

LA SFIDA DI OGGI

L’obiettivo è dare agli studenti le basi per articolare, collegare e contestualiz-zare i saperi al fine di permettere loro di “sapersi situare” all’interno della so-cietà complessa. Per realizzare questo obiettivo docenti universitari e docen-ti di scuola superiore sono stati impegnati in una riflessione sul tema della terza cultura e la sua possibile traducibilità in termini pedagogico-didattici.Credo sia importante in questa fase storica, di ridefinizione di paradigmi culturali, stimolare i nostri insegnanti a riprendere entusiasmo per il loro compito che non può esaurirsi nel fornire agli studenti strumenti cultura-li per navigare nella complessità o di sommare conoscenze specialistiche o iper-specialistiche. La sfida del pensiero oggi, che gli insegnanti devono saper cogliere, è di organizzare, ibridare le conoscenze e non sommarle. Per dirla con Morin: “Questo sapere che abbraccia deve far rinascere una cul-tura che non sia puramente e semplicemente la copia della vecchia, ma che rappresenti l’integrazione di questa cultura all’interno di una connessione tra la cultura umanistica e quella proveniente dalle scienze”.

Aldo Muciaccia coordinatore comitato scientifico

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49n. 1-2 gennaio febbraio 2012

LICEO FABIO FILZI

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n. 1-2 gennaio febbraio 2012

il convegno

Il ruolo della lingua tedesca per il Trentino in Europa22 marzo 2012 16.30-19.30

Sala Rosa della RegioneProgramma

Saluto delle autorità- Marta Dalmaso, Assessore provinciale all’istruzione e sport- un rappresentante della Regione TAA- Maurizio Giangiulio, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Trento

Organizzazione dei TavoliModeratore: Paolo Ghezzi, giornalista ed editorialista

1° TAVOLORuolo e specificità del plurilinguismo in Trentino (16.40-17.10)- Pierangelo Giovanetti, Direttore de “L’Adige” “La lingua tedesca nella comunicazione giornalistica”- Adele Gerardi, pubblicista e giornalista “La comunicazione giornalistica in lingua tedesca in Trentino Alto Adige”- Roberto Toniatti, Professore Ordinario Università di Trento, ex Preside della Facoltà di Giurisprudenza “Quale plurilinguismo per il Trentino in Europa”- Gianfranco Betta, Direttore Ufficio Politiche turistiche Provinciali “Il fabbisogno linguistico per un turismo di qualità in Trentino”

2° TAVOLOLingua Tedesca nella formazione e nel lavoro (17.15-17.45)- Gianni Andreottola, professore ordinario Università di Trento “Le relazioni internazionali e gli sbocchi professionali per gli ingegneri trentini”- Francesco De Pascale, Dirigente Scolastico Liceo “Rosmini” di Rovereto “I compiti di realtà nella scuola trentina e le cooperazioni sul territorio”- Stefan Ties, manager di Trentino Export “L’importanza della lingua tedesca nell’impresa e nell’industria”

3° TAVOLOTestimonianze e studi (17. 50 - 18.20)- Paolo Magagnotti, giornalista, docente all’Università di Timisoara, Romania “L’impatto della conoscenza del tedesco sull’economia trentina: indicazioni di uno studio comparativo”- Francesco Veronesi, ingegnere “Il tedesco come plusvalore per gli ingegneri trentini in Europa”- Martina Demattio, ingegnere “Il tedesco come lingua per le nuove professioni a salvaguardia dell’ambiente”- Stefano Tomasi, laureato in Mediazione linguistica per le imprese e il turismo, Università di Trento “Il tedesco come plusvalore per l’occupazione giovanile in Trentino”

Dibattito e conclusioni

Aperitivo

Coordinamento scientifico e organizzativoFederica Ricci Garotti, professoressa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Trento Iniziativa del Goethe Institut di Milano e della Facoltà di Lettere e Filosofia, in collaborazione con il Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca della Provincia autonoma di Trento e della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.Comitato scientificoErmenegildo Bidese, Fulvio Ferrari, Michaela Girschik, Adrian Lewerken, Manuela Moroni, Gina Muscarà, Federica Ricci Garotti, Laura Rosani, Sabine Stricker, Mario Turri

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