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Scuola di specializzazione per le professioni legali
Università degli studi di Napoli Federico II
I anno-I corso
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
I procedimenti davanti alla Corte di Giustizia
e al Tribunale di prima istanza
Avv. Anna Iermano
2
Lezione del 14 aprile 2015
IL RINVIO PREGIUDIZIALE
TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
Articolo 267
(ex articolo 234 del TCE)
La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull'interpretazione dei trattati;
b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi
dell'Unione.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale
giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto,
domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale,
avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è
tenuta a rivolgersi alla Corte.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale e
riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile.
PROTOCOLLO (N. 3)
SULLO STATUTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
DELL'UNIONE EUROPEA
Articolo 23
Nei casi contemplati dall’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea la decisione del
giudice nazionale che sospende la procedura e si rivolge alla Corte di giustizia è notificata a quest'ultima a
cura di tale giudice nazionale. Tale decisione è quindi notificata a cura del cancelliere della Corte alle parti
in causa, agli Stati membri e alla Commissione, nonché all'istituzione, all'organo o all'organismo dell'Unione
che ha adottato l'atto di cui si contesta la validità o l'interpretazione.
Nel termine di due mesi da tale ultima notificazione, le parti, gli Stati membri, la Commissione e, quando ne
sia il caso, l'istituzione, l'organo o l'organismo dell'Unione che ha adottato l'atto di cui si contesta la validità o
l'interpretazione ha il diritto di presentare alla Corte memorie ovvero osservazioni scritte.
Nei casi contemplati dall’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la decisione del
giudice nazionale è inoltre notificata, a cura del cancelliere della Corte, agli Stati parti contraenti
dell’accordo sullo Spazio economico europeo diversi dagli Stati membri nonché all'Autorità di vigilanza
AELS (EFTA) prevista da detto accordo, i quali, entro due mesi dalla notifica, laddove si tratti di uno dei
settori di applicazione dell'accordo, possono presentare alla Corte memorie ovvero osservazioni scritte.
Quando un accordo relativo ad un determinato settore, concluso dal Consiglio e da uno o più Stati terzi,
prevede che questi ultimi hanno la facoltà di presentare memorie od osservazioni scritte nel caso in cui la
Corte sia stata adita da un organo giurisdizionale di uno Stato membro perché si pronunci in via pregiudiziale
su una questione rientrante nell'ambito di applicazione dell'accordo, anche la decisione del giudice nazionale
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contenente tale questione è notificata agli Stati terzi interessati che, entro due mesi dalla notifica, possono
depositare dinanzi alla Corte memorie od osservazioni scritte.
Articolo 23 bis
Nel regolamento di procedura possono essere previsti un procedimento accelerato e, per i rinvii
pregiudiziali relativi allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, un procedimento d’urgenza.
Tali procedimenti possono prevedere, per il deposito delle memorie o delle osservazioni scritte, un termine
più breve di quello previsto all'articolo 23 e, in deroga all'articolo 20, quarto comma, la mancanza di
conclusioni dell'avvocato generale.
Il procedimento d'urgenza può prevedere, inoltre, la limitazione delle parti e degli altri interessati di cui
all'articolo 23 autorizzati a depositare memorie ovvero osservazioni scritte e, in casi di estrema urgenza,
l'omissione della fase scritta del procedimento.
REGOLAMENTO DI PROCEDURA
DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Capo III PROCEDIMENTO PREGIUDIZIALE D’URGENZA
(art. 107 – art. 114)
Articolo 107 Ambito di applicazione del procedimento pregiudiziale d’urgenza
1. Un rinvio pregiudiziale che sollevi una o più questioni relative ai settori previsti dal titolo V della
parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea può essere trattato, su domanda del
giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, con procedimento d’urgenza in deroga alle
disposizioni del presente regolamento.
2. Il giudice del rinvio espone le circostanze di diritto e di fatto che comprovano l’urgenza e giustificano
l’applicazione di tale procedimento derogatorio e indica, per quanto possibile, la risposta che esso
propone alle questioni pregiudiziali.
3. Se il giudice del rinvio non ha chiesto l’applicazione del procedimento d’urgenza, il presidente della
Corte, qualora il ricorso a tale procedimento sembri imporsi prima facie, può chiedere alla sezione
indicata dall’articolo 108 di verificare la necessità di trattare il rinvio secondo detto procedimento.
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Ordinanza della Corte Costituzionale 103/2008
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente BILE - Redattore GALLO F. Udienza Pubblica del 12/02/2008 Decisione del 13/02/2008
Deposito del 15/04/2008 Pubblicazione in G. U. 16/04/2008
Norme impugnate: Art. 4 della legge della Regione Sardegna 11/05/2006, n. 4 nel testo sostituito dell'art. 3, c.
3°, della legge della Regione Sardegna 29/05/2007, n. 2.
Massime: 32300 32301 32302 32303 32304 32305 32306 32307 32364
Atti decisi: ric. 36/2007
che, quanto all’ammissibilità dell'evocazione, nei giudizi promossi in via principale davanti a
questa Corte sulla legittimità costituzionale di leggi regionali, di norme comunitarie quali elementi
integrativi del parametro di costituzionalità di cui all'art. 117, primo comma, Cost., va rilevato che
l'ammissibilità consegue alla particolare natura di tali giudizi;
che, al riguardo, va premesso che, ratificando i Trattati comunitari, l'Italia è entrata a far parte
dell'ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato
con quello interno, ed ha contestualmente trasferito, in base all'art. 11 Cost., l'esercizio di poteri
anche normativi (statali, regionali o delle Province autonome) nei settori definiti dai Trattati
medesimi;
che le norme dell'ordinamento comunitario vincolano in vario modo il legislatore interno, con il
solo limite dell'intangibilità dei princípi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti
inviolabili dell'uomo garantiti dalla Costituzione (ex multis, sentenze nn. 349, 348 e 284 del 2007;
n. 170 del 1984);
che, nei giudizi davanti ai giudici italiani, tale vincolo opera con diverse modalità, a seconda
che il giudizio penda davanti al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a séguito
di ricorso proposto in via principale;
che, nel caso di giudizio pendente davanti al giudice comune, a quest'ultimo è precluso di
applicare le leggi nazionali (comprese le leggi regionali), ove le ritenga non compatibili con norme
comunitarie aventi efficacia diretta;
che detto giudice, al fine dell'interpretazione delle pertinenti norme comunitarie, necessaria per
l'accertamento della conformità della norme interne con l'ordinamento comunitario, si avvale,
all'occorrenza, del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE di cui all'art. 234 del Trattato CE;
che nel caso, come quello di specie, in cui il giudizio pende davanti alla Corte costituzionale a
séguito di ricorso proposto in via principale dallo Stato e ha ad oggetto la legittimità costituzionale
di una norma regionale per incompatibilità con le norme comunitarie, queste ultime «fungono da
norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa
regionale all'art. 117, primo comma, Cost.» (sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7
del 2004) o, più precisamente, rendono concretamente operativo il parametro costituito dall'art. 117,
primo comma, Cost. (come chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma regionale giudicata incompatibile con tali
norme comunitarie;
che, in relazione alle leggi regionali, questi due diversi modi di operare delle norme comunitarie
corrispondono alle diverse caratteristiche dei giudizi: davanti al giudice comune deve applicarsi la
legge la cui conformità all'ordinamento comunitario deve essere da lui preliminarmente valutata;
davanti alla Corte costituzionale adíta in via principale, invece, la valutazione di detta conformità si
risolve, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di legittimità costituzionale,
con la conseguenza che, in caso di riscontrata difformità, la Corte non procede alla disapplicazione
della legge, ma ne dichiara l'illegittimità costituzionale con efficacia erga omnes;
che, pertanto, l'assunzione della normativa comunitaria quale elemento integrante il parametro
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di costituzionalità costituisce la precondizione necessaria per instaurare, in via di azione, il giudizio
di legittimità costituzionale della legge regionale che si assume essere in contrasto con
l'ordinamento comunitario;
che, dunque, la censura in esame è ammissibile, perché le norme comunitarie sono state evocate
nel presente giudizio di legittimità costituzionale quale elemento integrante il parametro di
costituzionalità costituito dall'art. 117, primo comma, Cost.;
che, quanto ai limiti entro cui il diritto comunitario può essere preso in considerazione come
elemento integrativo del parametro costituzionale evocato nel presente giudizio, va osservato che, in
forza del combinato disposto degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 – secondo cui,
nei giudizi in via principale, la Corte costituzionale dichiara quali sono le disposizioni legislative
illegittime, nei limiti dei parametri costituzionali e dei motivi di censura indicati nel ricorso –,
questa Corte può esaminare esclusivamente le violazioni denunciate dal ricorrente, riguardanti gli
artt. 49, 81, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», e 87 del Trattato CE;
……………………………………………………………………………………………………………
che, quanto alle prospettate questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto comunitario,
questa Corte ritiene opportuno sollevare questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia CE ai
sensi dell'art. 234 del Trattato CE esclusivamente con riguardo alle violazioni degli artt. 49 e 87 del
Trattato CE, riservando al prosieguo del giudizio ogni decisione sull'asserita violazione dell' art. 81
«coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza delle suddette questioni pregiudiziali con
riferimento all'applicazione dell'imposta regionale sullo scalo turistico alle imprese non aventi
domicilio fiscale in Sardegna, la denunciata norma, nell'assoggettare a tassazione le imprese non
aventi domicilio fiscale in Sardegna, sembra creare una discriminazione rispetto alle imprese che,
pur svolgendo la stessa attività, non sono tenute al pagamento del tributo per il solo fatto di avere
domicilio fiscale nella Regione;
che, infatti, per le imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna – con riguardo tanto
all'ampio mercato dell'utilizzazione commerciale delle unità da diporto, quanto al più ristretto
mercato delle imprese che effettuano direttamente trasporti aerei aziendali di persone senza
remunerazione – può ipotizzarsi che l'applicazione della censurata imposta regionale dia luogo a un
aggravio selettivo del costo dei servizi resi, che assume rilevanza per l'ordinamento comunitario sia
come restrizione alla libera prestazione dei servizi (art. 49 del Trattato CE), sia come aiuto di Stato
alle imprese con domicilio fiscale in Sardegna (art. 87 del Trattato CE), con effetti discriminatori e
distorsivi della concorrenza;
che, tuttavia, potrebbe in contrario addursi – come fa la Regione resistente – che le norme
comunitarie evocate dal ricorrente non ostano alla tassazione delle sole imprese non aventi
domicilio fiscale in Sardegna, perché queste imprese, nell'effettuare lo scalo, fruiscono, al pari delle
imprese con domicilio fiscale nella Regione, dei servizi pubblici regionali e locali, ma, a differenza
di queste ultime, non concorrono al finanziamento di tali servizi con il pagamento dei già esistenti
tributi;
che, secondo la stessa Regione, questa giustificazione del prelievo regionale sarebbe rafforzata
da quella fondata sulla necessità di compensare, attraverso la tassazione delle imprese fiscalmente
non domiciliate in Sardegna, i maggiori costi sostenuti dalle imprese ivi domiciliate, in ragione
delle peculiarità geografiche ed economiche legate al carattere insulare della Regione stessa;
che le due suddette giustificazioni traggono fondamento da circostanze attinenti alla
sostenibilità dello sviluppo turistico regionale e dall'esigenza di riequilibrare la situazione
economica dei soggetti “non residenti” rispetto a quella dei soggetti “residenti”;
che, secondo questa Corte, le medesime giustificazioni non tengono, tuttavia, conto né del fatto
che l'insularità non appare, di per sé, un elemento idoneo a incrementare i costi sostenuti dalle
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imprese con riferimento allo scalo turistico, né soprattutto del fatto che la circostanza di far
partecipare – attraverso l'applicazione dell'imposta oggetto di censura – l'imprenditore non avente
domicilio fiscale in Sardegna ai costi aggiuntivi determinati dal turismo potrebbe non essere
sufficiente a rendere inoperante, nella specie, il principio comunitario di non discriminazione e,
conseguentemente, inapplicabili le connesse disposizioni del Trattato CE sulla libertà di prestazione
di servizi e sul divieto di aiuti di Stato;
che tale principio è, infatti, di generale applicazione nell'ordinamento interno e fornisce una
tutela delle imprese “non residenti” – sotto il profilo della concorrenza e delle libertà economiche
fondamentali –, la cui delimitazione è rimessa non a regole di diritto interno, ma al diritto
comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE anche con riferimento ad “enti
infrastatali” che, come la Regione resistente, sono dotati di autonomia statutaria, normativa e
finanziaria (Corte di giustizia, sentenza 6 settembre 2006, C-88/03, Repubblica
portoghese c. Commissione);
che la Corte di giustizia CE, in più occasioni, si è occupata di fattispecie analoghe alla
denunciata imposta di scalo, affermando la sussistenza di una restrizione alla libera prestazione dei
servizi nel caso in cui una determinata misura renda le prestazioni transfrontaliere più onerose delle
prestazioni nazionali comparabili (sentenze 11 gennaio 2007, C-
269/05, Commissione c. Repubblica ellenica; 6 febbraio 2003, C-92/01, Stylianakis; 26 giugno
2001, C-70/99,Commissione c. Portogallo);
che, tuttavia, i casi esaminati dalla Corte di giustizia non sono esattamente corrispondenti a
quello oggetto del presente giudizio, perché attengono a tributi che discriminano tra voli nazionali e
voli internazionali o tra voli aventi percorrenza superiore e inferiore ad una determinata distanza o,
ancora, tra trasporti infranazionali ed internazionali, e, pertanto, non viene direttamente in rilievo, in
tali pronunce, una possibile discriminazione – pur astrattamente rilevante per il diritto comunitario –
tra imprese aventi o no domicilio fiscale in una regione di uno Stato membro;
che, per quanto attiene, poi, alla dedotta violazione dell'art. 87 del Trattato CE, si pone anche il
problema se il vantaggio economico concorrenziale derivante alle suddette imprese “residenti” in
Sardegna dal loro non assoggettamento all'imposta regionale sullo scalo rientri nella nozione di
aiuto di Stato, considerato che detto vantaggio deriva non dalla concessione di una agevolazione
fiscale, ma indirettamente dal minor costo da esse sopportato rispetto alle imprese “non residenti”
(analogamente alla fattispecie, per alcuni versi simile, esaminata dalla Corte di giustizia CE con la
sentenza del 22 novembre 2001, C-53/00, Ferring SA);
che il suddetto problema interpretativo prescinde, ovviamente, dalla valutazione della
compatibilità della misura di aiuto con il mercato comune, spettante alla competenza esclusiva della
Commissione CE, che agisce sotto il controllo dei giudici comunitari;
che sussiste, pertanto, un dubbio circa la corretta interpretazione – tra quelle possibili – delle
evocate disposizioni comunitarie, tale da rendere necessario procedere al rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE, perché questa accerti: a) se l'art. 49 del
Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione della norma censurata alle sole
imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili
da loro stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di “aviazione
generale d'affari” (cioè trasporto senza remunerazione per motivi attinenti alla propria attività
d'impresa); b) se la norma censurata, nel prevedere che l'imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione
Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento
di attività di aviazione generale d'affari, configuri – ai sensi dell'art. 87 del Trattato – un aiuto di
Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione
Sardegna; c) se l'art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione
della norma censurata alle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della
Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a
disposizione di terzi tali unità; d) se la norma censurata, nel prevedere che l'imposta regionale sullo
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scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste
nel mettere a disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell'art. 87 del Trattato – un aiuto di
Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione
Sardegna;
che, quanto alla rilevanza delle questioni interpretative pregiudiziali, essa sussiste, perché: a)
l'interpretazione richiesta alla Corte di giustizia è necessaria per pronunciare la sentenza di questa
Corte, essendo le indicate questioni interpretative ricomprese nell'oggetto del giudizio di legittimità
costituzionale proposto in via principale; b) la fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale
dedotti dal ricorrente con riferimento a questioni diverse da quelle oggetto della presente ordinanza
è stata già esclusa da questa Corte per le ragioni esposte nella sentenza n. 102 del 2008, depositata
in data odierna, e, quindi, la legittimità costituzionale della norma censurata non può essere
scrutinata, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., senza che si proceda alla valutazione
della sua conformità al diritto comunitario;
che, quanto alla sussistenza delle condizioni perché questa Corte sollevi davanti alla Corte di
giustizia CE questione pregiudiziale sull'interpretazione del diritto comunitario, va osservato che la
Corte costituzionale, pur nella sua peculiare posizione di supremo organo di garanzia costituzionale
nell'ordinamento interno, costituisce una giurisdizione nazionale ai sensi dell'art. 234, terzo
paragrafo, del Trattato CE e, in particolare, una giurisdizione di unica istanza (in quanto contro le
sue decisioni – per il disposto dell' art. 137, terzo comma, Cost. – non è ammessa alcuna
impugnazione): essa, pertanto, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale è
legittimata a proporre questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia CE;
che, in tali giudizi di legittimità costituzionale, a differenza di quelli promossi in via
incidentale, questa Corte è l'unico giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia;
che conseguentemente, ove nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale
non fosse possibile effettuare il rinvio pregiudiziale di cui all'art. 234 del Trattato CE, risulterebbe
leso il generale interesse alla uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla
Corte di giustizia CE.
Vista la sentenza n. 102 del 2008 di questa Corte, depositata in data odierna, con la quale,
nell'àmbito del giudizio introdotto con il suddetto ricorso n. 36 del 2007, è stata disposta la
separazione del giudizio riguardante la questione concernente l'imposta regionale sullo scalo
turistico degli aeromobili e delle unità da diporto – disciplinata dall'art. 4 della legge reg. n. 4 del
2006, nel testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 – e relativa
all'assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili od unità da diporto.
Visti gli artt. 234 del Trattato CE e 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dispone di sottoporre alla Corte di giustizia CE, in via pregiudiziale, le seguenti questioni di
interpretazione degli artt. 49 e 87 del Trattato CE:
a) se l'art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione di una
norma, quale quella prevista dall'art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4
(Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo),
nel testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge
finanziaria 2007), secondo la quale l'imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava
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sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti
aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di
aviazione generale d'affari;
b) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l'imposta
regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale
fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il
trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d'affari, configuri – ai sensi
dell'art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio
fiscale nel territorio della Regione Sardegna;
c) se l'art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione di una
norma, quale quella prevista dallo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel
testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, secondo la
quale l'imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che
hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui
attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità;
d) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l'imposta
regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio
fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività
imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell'art. 87
del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel
territorio della Regione Sardegna;
sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddette questioni pregiudiziali;
ordina l'immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del
giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia CE.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13
febbraio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 aprile
2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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Ordinanza 207/2013
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA
INCIDENTALE
Presidente GALLO - Redattore MATTARELLA Udienza Pubblica del 27/03/2013 Decisione del 03/07/2013
Deposito del 18/07/2013 Pubblicazione in G. U. 24/07/2013
Norme impugnate: Art. 4, c. 1° e 11°, della legge 03/05/1999, n. 124.
Massime:
Atti decisi: ordd. 143, 144, 248 e 249/2012
……………………………………………………………………………………………………..
Considerato che, quanto alla competenza di questa Corte a valutare la conformità di una
normativa nazionale al diritto dell’Unione europea, occorre ricordare che, conformemente ai
principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978, in causa C-106/77
(Simmenthal), e dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, segnatamente con la sentenza n.
170 del 1984 (Granital), qualora si tratti di disposizione del diritto dell’Unione europea direttamente
efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa
interna censurata, utilizzando – se del caso – il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e
nell’ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all’applicazione della norma comunitaria in luogo
della norma nazionale; mentre, in caso di contrasto con una norma comunitaria priva di efficacia
diretta – contrasto accertato eventualmente mediante ricorso alla Corte di giustizia – e
nell’impossibilità di risolvere il contrasto in via interpretativa, il giudice comune deve sollevare la
questione di legittimità costituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di un
contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il
diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del
2012);
………………………………………………………………………………………………………
che la previsione sopra richiamata, contenuta nell’ultima proposizione del comma 1 dell’art. 4
della legge n. 124 del 1999, potrebbe configurare la possibilità di un rinnovo dei contratti a tempo
determinato senza che a detta possibilità si accompagni la previsione di tempi certi per lo
svolgimento dei concorsi;
che questa condizione – unitamente al fatto che non vi sono disposizioni che riconoscano, per i
lavoratori della scuola, il diritto al risarcimento del danno in favore di chi è stato assoggettato ad
un’indebita ripetizione di contratti di lavoro a tempo determinato – potrebbe porsi in conflitto con la
citata clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE;
che, di conseguenza, pur avendo la Corte di giustizia già pronunciato varie sentenze
sull’argomento, appare necessario chiedere alla medesima Corte in via pregiudiziale
l’interpretazione della clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE, in rapporto alla questione
sottoposta a questa Corte per il giudizio di legittimità costituzionale, poiché sussiste un dubbio circa
la puntuale interpretazione di tale disposizione comunitaria e la conseguente compatibilità della
normativa nazionale sin qui illustrata;
che – come si è già rilevato nell’ordinanza n. 103 del 2008 – quando davanti a questa Corte
pende un giudizio di legittimità costituzionale per incompatibilità con le norme comunitarie, queste
ultime, se prive di effetto diretto, rendono concretamente operativi i parametri di cui agli artt. 11 e
117, primo comma, Cost.;
che la questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia è rilevante nel giudizio di legittimità
costituzionale, poiché l’interpretazione richiesta a detta Corte appare necessaria a definire l’esatto
significato della normativa comunitaria al fine del successivo giudizio di legittimità che questa
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Corte dovrà compiere rispetto al parametro costituzionale integrato dalla suddetta normativa
comunitaria;
che questa Corte – nella citata ordinanza n. 103 del 2008 – ha sollevato una questione
pregiudiziale di interpretazione in un giudizio in via principale;
che deve ritenersi che questa Corte abbia la natura di «giurisdizione nazionale» ai sensi dell’art.
267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea anche nei giudizi in via
incidentale.
Visti l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’art. 3 della legge
13 marzo 1958, n. 204.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dispone di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi
e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, le seguenti
questioni di interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul
lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE:
– se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere
interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’art. 4, commi 1, ultima proposizione, e 11, della
legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) – i quali, dopo
aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti «che risultino effettivamente vacanti
e disponibili entro la data del 31 dicembre», dispongono che si provvede mediante il conferimento
di supplenze annuali, «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di
personale docente di ruolo» – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo
determinato senza indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non
prevede il diritto al risarcimento del danno;
– se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno
1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano come sopra
delineato, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella
italiana che per l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato non prevede il diritto al
risarcimento del danno;
2) sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddetta questione pregiudiziale;
3) ordina l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del
giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio
2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio
2013.
11
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
17 luglio 2014 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Accesso alla professione di avvocato – Facoltà di respingere l’iscrizione all’albo dell’ordine degli avvocati di cittadini di uno Stato membro che abbiano
acquisito la qualifica professionale di avvocato in un altro Stato membro – Abuso del diritto»
Nelle cause riunite C-58/13 e C-59/13,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio Nazionale Forense (Italia), con decisioni del 29 settembre 2012, pervenute in
cancelleria il 4 febbraio 2013, nei procedimenti
Angelo Alberto Torresi (C-58/13),
Pierfrancesco Torresi (C-59/13)
contro
Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da V. Skouris, presidente, K. Lenaerts, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, L. Bay Larsen (relatore), E. Juhász e M. Safjan, presidenti di sezione, A. Rosas, D. Šváby, M. Berger, S. Rodin,
F. Biltgen e K. Jürimäe, giudici,
avvocato generale: N. Wahl
cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 febbraio 2014,
considerate le osservazioni presentate:
– per i sigg. Torresi, da C. Torresi, avvocato;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino, avvocato dello
Stato;
– per il governo spagnolo, da A. Rubio González e S. Centeno Huerta, in qualità di agenti;
– per il governo austriaco, da A. Posch, in qualità di agente;
– per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
– per il governo rumeno, da R.-H. Radu, R.-I. Hatieganu e A.-L. Crişan, in qualità di agenti;
– per il Parlamento europeo, da M. Gómez-Leal e L. Visaggio, in qualità di agenti;
– per il Consiglio dell’Unione europea, da A. Vitro e P. Mahnič Bruni, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da E. Montaguti e H. Støvlbæk, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 aprile 2014,
12
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36).
2 Tali domande sono state proposte nell’ambito di due controversie tra, rispettivamente, i sigg. Torresi e il
Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata (in prosieguo: il «Consiglio dell’ordine di Macerata») in merito al rifiuto, da parte di quest’ultimo, di accogliere le domande di iscrizione dei ricorrenti nella sezione speciale dell’albo degli avvocati.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Il considerando 6 della direttiva 98/5 è formulato nei seguenti termini:
«considerando che un’azione comunitaria è giustificata anche dal fatto che alcuni Stati membri già consentono ad avvocati provenienti da altri Stati membri di esercitare attività professionali, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, sul proprio territorio con il loro titolo professionale d’origine; che, tuttavia, negli Stati membri che riconoscono tale diritto le modalità del suo esercizio sono profondamente diverse in relazione, ad esempio, al campo di attività e all’obbligo di iscrizione presso le autorità competenti; che una siffatta disparità di situazioni dà luogo a disparità di trattamento e a distorsioni della
concorrenza fra gli avvocati degli Stati membri e costituisce un ostacolo alla loro libera circolazione; che solo una direttiva che stabilisca le condizioni per l’esercizio della professione, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, da parte degli avvocati che esercitano la loro attività con il loro titolo professionale di origine, è in grado di risolvere questi problemi e di dare, in tutti gli Stati membri, identiche possibilità agli avvocati ed agli utenti del diritto».
4 Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva, essa ha lo scopo di facilitare l’esercizio permanente
della professione di avvocato, come libero professionista o come lavoratore subordinato, in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale.
5 L’articolo 2 della direttiva 98/5, intitolato «Diritto di esercitare la professione con il proprio titolo
professionale di origine», al comma 1 dispone quanto segue:
«Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all’articolo 5 in tutti
gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine».
6 L’articolo 3 della stessa direttiva, intitolato «Iscrizione presso l’autorità competente», ai paragrafi 1 e 2
così prevede:
«1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.
2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa
dà comunicazione dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro di origine».
Diritto italiano
7 La Repubblica italiana ha trasposto la direttiva 98/5 nel proprio diritto interno con il decreto legislativo
del 2 febbraio 2001, n. 96 (supplemento ordinario alla GURI n. 79 del 4 aprile 2001; in prosieguo: il
13
«decreto legislativo 96/2001»). L’articolo 6 di quest’ultimo, intitolato «Iscrizione», enuncia quanto segue:
«1. Per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di cui all’articolo 2, sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali.
2. L’iscrizione nella sezione speciale dell’albo è subordinata alla iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine.
3. La domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti documenti:
a) certificato di cittadinanza di uno Stato membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva;
b) certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell’istante con la indicazione del
domicilio professionale;
c) attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, o dichiarazione sostitutiva.
(…)
6. Il Consiglio dell’ordine, entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda o dalla sua integrazione, accertata la sussistenza delle condizioni richieste, qualora non ostino motivi di incompatibilità, ordina l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo e ne dà comunicazione alla corrispondente autorità dello Stato membro di origine.
7. Il rigetto della domanda non può essere pronunciato se non dopo avere sentito l’interessato. La deliberazione è motivata ed è notificata in copia integrale entro quindici giorni all’interessato ed al
procuratore della Repubblica (…).
8. Qualora il Consiglio dell’ordine non abbia provveduto sulla domanda nel termine di cui al comma 6, l’interessato può, entro dieci giorni dalla scadenza di tale termine, presentare ricorso al Consiglio Nazionale Forense, il quale decide sul merito dell’iscrizione.
9. Con l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo, l’avvocato stabilito acquista il diritto di elettorato attivo, con esclusione di quello passivo.
(…)».
8 In forza del regio decreto-legge del 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come ulteriormente modificata (Gazzetta Ufficiale n. 24, del 30 gennaio 1934), qualsiasi decisione del Consiglio Nazionale Forense può essere impugnata per motivi di
legittimità dinanzi alle sezioni unite della Corte suprema di cassazione.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
9 I sigg. Torresi, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza in Italia, hanno ottenuto entrambi una
laurea in giurisprudenza in Spagna e, il 1° dicembre 2011, sono stati iscritti come avvocati nell’albo dell’Ilustre Colegio de Abogados de Santa Cruz de Tenerife [ordine degli avvocati di Santa Cruz de Tenerife (Spagna)].
10 Il 17 marzo 2012 i sigg. Torresi hanno presentato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata, a
norma dell’articolo 6 del decreto legislativo 96/2001, una domanda di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati riservata agli avvocati che hanno ottenuto la qualifica in uno Stato membro diverso dall’Italia e sono stabiliti in Italia (in prosieguo: gli «avvocati stabiliti»).
11 Il Consiglio dell’ordine di Macerata non ha deciso in merito alle domande entro il termine di 30 giorni
previsto all’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 96/2001.
14
12 Con ricorsi presentati rispettivamente il 19 e il 20 aprile 2012, i sigg. Torresi hanno pertanto adito il
Consiglio Nazionale Forense per ottenere una decisione in merito alle loro domande di iscrizione. A sostegno dei loro ricorsi, hanno fatto valere che le iscrizioni richieste erano soggette alla sola condizione imposta dalla normativa in vigore, vale a dire la presentazione del «certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine», che, nella fattispecie, è il Regno di Spagna.
13 Il Consiglio Nazionale Forense ritiene tuttavia che la situazione di un soggetto che, una volta ottenuta
una laurea in giurisprudenza in uno Stato membro, si rechi in un altro Stato membro allo scopo di acquisirvi il titolo di avvocato, per poi fare immediatamente ritorno nel primo Stato membro al fine di svolgervi un’attività professionale, appaia estranea agli obiettivi della direttiva 98/5 e possa costituire un abuso del diritto.
14 Il Consiglio Nazionale Forense, nutrendo dubbi quanto all’interpretazione e alla validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5, ricordando che la propria competenza a presentare
domande di rinvio pregiudiziale è stata riconosciuta dalla Corte (sentenza Gebhard, C-55/94,
EU:C:1995:411), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 3 della [direttiva 98/5], alla luce del principio generale del divieto di abuso del diritto e dell’art. 4, paragrafo 2, TUE relativo al rispetto delle identità nazionali, debba essere interpretato nel senso di obbligare le autorità amministrative nazionali ad iscrivere nell’elenco degli avvocati stabiliti cittadini italiani che abbiano realizzato contegni abusivi del diritto dell’Unione, ed osti ad una prassi
nazionale che consenta a tali autorità di respingere le domande di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti qualora sussistano circostanze oggettive tali da ritenere realizzata la fattispecie dell’abuso del diritto dell’Unione, fermi restando, da un lato, il rispetto [dei principi] di proporzionalità e non discriminazione e, dall’altro, il diritto dell’interessato di agire in giudizio per far valere eventuali violazioni del diritto di stabilimento, e dunque la verifica giurisdizionale dell’attività dell’amministrazione.
2) In caso di risposta negativa [alla prima questione], se l’art. 3 della [direttiva 98/5], così interpretato,
debba ritenersi invalido alla luce dell’art. 4, paragrafo 2, TUE nella misura in cui consente l’elusione della
disciplina di uno Stato membro che subordina l’accesso alla professione forense al superamento di un esame di Stato laddove la previsione di siffatto esame è disposta dalla Costituzione di detto Stato e fa parte dei principi fondamentali a tutela degli utenti delle attività professionali e della corretta amministrazione della giustizia».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla competenza della Corte
15 In via preliminare, i sigg. Torresi sostengono, segnatamente, che il Consiglio Nazionale Forense non è un organo giurisdizionale e non ha pertanto il diritto di adire la Corte di un rinvio pregiudiziale ai sensi
dell’articolo 267 TFUE. In particolare, esso eserciterebbe funzioni giurisdizionali solo ove intervenga in
materia disciplinare e non ove si occupi della gestione degli albi degli avvocati, materia in cui eserciterebbe solo una funzione meramente amministrativa. Pertanto, quando è adito ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001, sarebbe chiamato a decidere in merito all’iscrizione in quanto organo amministrativo di rango superiore rispetto al Consiglio dell’ordine locale che ha omesso di statuire entro il termine previsto al paragrafo 6 del medesimo articolo.
16 I sigg. Torresi, invocando la sentenza Wilson (C-506/04, EU:C:2006:587), fanno altresì valere che il
Consiglio Nazionale Forense non soddisfa il requisito di imparzialità, dal momento che i suoi membri sono avvocati eletti da ciascun Consiglio dell’ordine locale, compreso quello che è parte nel procedimento
principale. Di conseguenza, sussisterebbe il rischio che la soluzione della questione ad esso sottoposta sia influenzata da un interesse pratico, come quello di limitare le iscrizioni, piuttosto che ispirata dall’applicazione delle norme di diritto.
17 A tale riguardo, va rammentato che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, per valutare se
l’organo del rinvio possieda le caratteristiche di una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la
Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali il fondamento legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., in particolare, sentenze Miles e a., C-196/09, EU:C:2011:388, punto 37, e giurisprudenza citata, nonché Belov, C-394/11, EU:C:2013:48,
15
punto 38).
18 Per quanto riguarda, più in particolare, l’indipendenza dell’organo di rinvio, tale requisito presuppone che detto organo sia tutelato da pressioni o da interventi dall’esterno idonei a mettere a repentaglio
l’indipendenza di giudizio dei suoi membri riguardo alle controversie loro sottoposte (v. sentenza Wilson, EU:C:2006:587, punto 51).
19 Inoltre, per stabilire se un organo nazionale cui la legge affida funzioni di natura diversa debba essere
qualificato come «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, è necessario accertare quale sia la natura specifica delle funzioni che esso esercita nel particolare contesto normativo in cui è indotto a rivolgersi alla Corte. I giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi siano stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (v. sentenza Belov, EU:C:2013:48, punti 39 e 41).
20 Per quanto riguarda i primi cinque elementi richiamati al punto 17 della presente sentenza, dal fascicolo
di cui dispone la Corte risulta che il Consiglio Nazionale Forense è stato istituito per legge e ha carattere permanente. Inoltre, dal momento che la competenza di quest’ultimo a decidere in merito ai ricorsi
contro le decisioni adottate dai Consigli dell’ordine locali è prevista dalla legge, che non è di natura opzionale e che le decisioni che esso adotta nell’esercizio della propria competenza hanno efficacia esecutiva, ne risulta che la giurisdizione di tale organo è obbligatoria. È infine pacifico, da un lato, che la procedura applicabile dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, ampiamente ispirata alle norme della procedura civile, è di natura contraddittoria nelle sue fasi sia scritta che orale e, dall’altro, che tale organo statuisce in diritto.
21 Quanto al requisito dell’indipendenza, occorre, in primo luogo, rilevare che, in particolare dalle
indicazioni del governo italiano, risulta che, sebbene il Consiglio Nazionale Forense sia un organo composto da consiglieri eletti dai membri dei diversi Consigli dell’ordine locali tra gli avvocati ammessi al
patrocinio dinanzi alla Corte suprema di cassazione, e sebbene i membri di tali Consigli siano essi stessi eletti dagli avvocati iscritti all’albo dell’ordine degli avvocati interessato, la carica di consigliere nazionale
è incompatibile, in particolare, con quella di membro di un Consiglio dell’ordine degli avvocati locale.
22 In secondo luogo, risulta che il Consiglio Nazionale Forense è soggetto alle garanzie previste dalla
Costituzione italiana in materia di indipendenza e di imparzialità dei giudici. Inoltre esso esercita le proprie funzioni in piena autonomia, senza vincoli di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte. Peraltro ad esso sono pienamente applicabili le disposizioni del codice di procedura civile italiano in materia di astensione e ricusazione.
23 In terzo luogo, come confermato in udienza dal governo italiano, a differenza di un Consiglio dell’ordine
degli avvocati locale che, nell’ambito del procedimento avviato dal ricorso contro una decisione del Consiglio dell’ordine medesimo, è una parte dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, quest’ultimo non può
essere parte nel procedimento avviato dinanzi alla Corte suprema di cassazione contro la decisione in merito al ricorso avverso il Consiglio dell’ordine interessato. Il Consiglio Nazionale Forense possiede pertanto, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte (v. sentenza Wilson, EU:C:2006:587, punto 49),
la posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso.
24 Infine, dal fascicolo risulta che, secondo una prassi costante, il consigliere nazionale proveniente dal
Consiglio dell’ordine degli avvocati interessato dalla domanda di iscrizione non fa parte del collegio giudicante del Consiglio Nazionale Forense, fatta salva la piena applicabilità delle norme che disciplinano l’astensione e la ricusazione previste dal codice di procedura civile italiano. In udienza il governo italiano ha dichiarato che, sebbene uno dei membri del Consiglio Nazionale Forense fosse iscritto all’ordine degli
avvocati di Macerata, egli si è tuttavia astenuto dal partecipare ai procedimenti relativi ai sigg. Torresi.
25 Alla luce di ciò si deve constatare che il Consiglio Nazionale Forense soddisfa i requisiti di indipendenza e di imparzialità che caratterizzano una giurisdizione ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
26 Per quanto concerne il requisito richiamato al punto 19 della presente sentenza, vale a dire quello secondo cui un organo del rinvio può adire la Corte solo nell’esercizio di una funzione giurisdizionale, si
deve constatare che, contrariamente a quanto sostenuto dai sigg. Torresi, quando il Consiglio Nazionale Forense è adito, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001, di un ricorso presentato contro l’omessa decisione da parte del Consiglio dell’ordine entro 30 giorni dalla data di presentazione di una domanda di iscrizione alla sezione speciale dell’albo degli avvocati, esso non si limita a statuire su tale domanda al posto del Consiglio dell’ordine interessato. Infatti, come risulta in
16
particolare dalle spiegazioni del governo italiano e dalle relazioni delle udienze relative ai risorsi
presentati dai sigg. Torresi contro il Consiglio dell’ordine di Macerata, che si sono tenute il 29 settembre 2012 dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, quest’ultimo è chiamato a pronunciarsi sul merito della decisione tacita del Consiglio dell’ordine di cui trattasi, nella misura in cui essa respinge la domanda di iscrizione dell’interessato. In tal caso, se il ricorso è accolto, il Consiglio Nazionale Forense si pronuncia sul merito della domanda di iscrizione.
27 È altresì pacifico che la presentazione di un ricorso ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto
legislativo 96/2001 dà avvio ad un procedimento in cui le parti sono chiamate ad esporre i loro argomenti per iscritto e oralmente, durante un’udienza pubblica e con l’assistenza di un avvocato. Il pubblico ministero interviene in udienza per presentare le proprie conclusioni. Nella fattispecie, dalle relazioni
d’udienza menzionate al punto precedente risulta che il pubblico ministero ha concluso nel senso del rigetto dei ricorsi dei sigg. Torresi. Il Consiglio Nazionale Forense statuisce in camera di consiglio, con una decisione che presenta sia la forma sia la denominazione sia il contenuto di una sentenza pronunciata in nome del popolo italiano.
28 Infine, come ricordato al punto 23 della presente sentenza, quando il Consiglio dell’ordine degli avvocati
locale, la cui decisione è oggetto di un ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, è parte in un procedimento dinanzi a quest’ultimo, qualora la decisione con cui si è statuito su tale ricorso sia a sua volta oggetto di un ricorso dinanzi alla Corte suprema di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense non è parte nel procedimento dinanzi alla Corte suprema di cassazione stessa. In realtà, come risulta in
particolare dalla sentenza di tale giudice, pronunciata a sezioni unite il 22 dicembre 2011 ed invocata dai sigg. Torresi nelle loro osservazioni scritte, è il Consiglio dell’ordine degli avvocati interessato ad essere parte nel procedimento dinanzi alla Corte suprema di cassazione.
29 Ne risulta che il Consiglio Nazionale Forense è, nella fattispecie, competente a dirimere la controversia di
cui è stato adito ed è chiamato a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in una decisione avente natura giurisdizionale.
30 Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre constatare che il Consiglio Nazionale
Forense, esercitando il controllo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001, costituisce una giurisdizione ai sensi dell’articolo 267 TFUE e che, di conseguenza, la Corte è competente a rispondere alle questioni che esso le ha sottoposto.
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
31 I sigg. Torresi e il Consiglio dell’Unione europea sostengono che, tenuto conto della giurisprudenza univoca della Corte in materia, le questioni sollevate dal Consiglio Nazionale Forense rientrano nella
dottrina dell’acte éclairé e sono pertanto irricevibili.
32 A tale riguardo, occorre ricordare che, anche in presenza di una giurisprudenza della Corte che risolve il
punto di diritto considerato, i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno (v. sentenza Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punti da 13 a 15), senza che il fatto
che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l’effetto di ostacolare una nuova pronuncia da parte della stessa (v., in tal senso, sentenza Boxus e a., da C-128/09 a C-131/09, C-134/09 e C-135/09, EU:C:2011:667, punto 32).
33 Ne consegue che le domande di pronuncia pregiudiziale sono ricevibili.
Sulla prima questione
34 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 3 della
direttiva 98/5 debba essere interpretato nel senso che osta a che le competenti autorità di uno Stato membro rifiutino, a motivo di un abuso del diritto, l’iscrizione nell’albo degli avvocati stabiliti di cittadini di tale Stato membro che, dopo aver conseguito una laurea all’interno di quest’ultimo, si siano recati in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la
qualifica professionale di avvocato e abbiano in seguito fatto ritorno al primo Stato membro
per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui è stata acquisita la qualifica professionale.
35 Occorre anzitutto ricordare che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/5, essa ha lo scopo
di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello
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nel quale è stata acquisita la qualifica professionale.
36 A tale riguardo, la Corte ha già avuto modo di constatare che tale direttiva istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati migranti che desiderino
esercitare con il titolo conseguito nello Stato membro di origine (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, C-168/98, EU:C:2000:598, punto 56).
37 Inoltre, come emerge dal suo considerando 6, con la direttiva 98/5 il legislatore dell’Unione ha inteso, in
particolare, porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione (v. sentenze Commissione/Lussemburgo, C-193/05, EU:C:2006:588, punto 34, e Wilson, EU:C:2006:587, punto 64).
38 In tale contesto, l’articolo 3 della direttiva 98/5 provvede ad armonizzare completamente i requisiti
preliminari richiesti ai fini di esercitare il diritto di stabilimento conferito da tale direttiva, prevedendo che
l’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro, la quale è tenuta a procedere a tale iscrizione «su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi
presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine» (v., in tal senso, sentenze Commissione/Lussemburgo, EU:C:2006:588, punti 35 e 36, nonché Wilson, EU:C:2006:587, punti 65 e 66).
39 A tale proposito, la Corte ha già statuito che la presentazione all’autorità competente dello Stato
membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine risulta l’unico requisito cui dev’essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale di origine (v. sentenze Commissione/Lussemburgo, EU:C:2006:588, punto 37, e Wilson, EU:C:2006:587, punto 67).
40 Occorre pertanto rilevare che i cittadini di uno Stato membro quali i sigg. Torresi, che presentano
all’autorità competente di tale Stato membro il loro certificato di iscrizione presso l’autorità competente di un altro Stato membro, soddisfano, in linea di principio, tutti i requisiti necessari per essere iscritti,
avvalendosi del titolo professionale conseguito in quest’ultimo Stato membro, all’albo degli avvocati stabiliti del primo Stato membro.
41 Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, i sigg. Torresi non potrebbero, nel caso di specie, avvalersi
dell’articolo 3 della direttiva 98/5, dal momento che l’acquisizione della qualifica professionale di avvocato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana avrebbe il solo scopo di eludere l’applicazione del diritto di quest’ultima che disciplina l’accesso alla professione di avvocato e costituirebbe pertanto un abuso del diritto di stabilimento, contrario agli obiettivi di tale direttiva.
42 A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, i singoli non
possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (v., in particolare, sentenze Halifax e a., C-255/02, EU:C:2006:121, punto 68, nonché SICES e a., C-155/13, EU:C:2014:145, punto
29).
43 In particolare, quanto alla lotta contro l’abuso della libertà di stabilimento, uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato FUE, taluni dei suoi
cittadini tentino di sottrarsi abusivamente alle norme delle loro leggi nazionali (v. sentenza Inspire Art, C-167/01, EU:C:2003:512, punto 136).
44 L’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva richiede che ricorrano un elemento oggettivo e un
elemento soggettivo (v. sentenza SICES e a., EU:C:2014:145, punto 31).
45 Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, deve risultare da un insieme di circostanze oggettive che,
nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto (v. sentenza SICES e a., EU:C:2014:145, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
46 Quanto all’elemento soggettivo, deve risultare che sussiste una volontà di ottenere un vantaggio indebito
derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v., in tal senso, sentenza O. e B., C-456/12, EU:C:2014:135, punto 58 e giurisprudenza
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ivi citata).
47 Come ricordato al punto 35 della presente sentenza, lo scopo della direttiva 98/5 consiste nel facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è
stata acquisita la qualifica professionale.
48 A tale riguardo, si deve considerare che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere, da un
lato, lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale e, dall’altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all’esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai Trattati (v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, C-286/06, EU:C:2008:586, punto 72).
49 Pertanto, il fatto che un cittadino di uno Stato membro che ha conseguito una laurea in tale Stato si
rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia in
seguito ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato, con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica è stata acquisita, costituisce uno dei casi in cui l’obiettivo della direttiva 98/5 è conseguito e non può costituire, di per sé, un abuso del diritto
di stabilimento risult<zzzaa<ante dall’articolo 3 della direttiva 98/5.
50 Inoltre, il fatto che il cittadino di uno Stato membro abbia scelto di acquisire un titolo professionale in un altro Stato membro, diverso da quello in cui risiede, allo scopo di beneficiare di una normativa più
favorevole non consente, di per sé, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 91 e 92 delle conclusioni, di concludere nel senso della sussistenza di un abuso del diritto.
51 Peraltro, una siffatta constatazione non può essere inficiata dal fatto che la presentazione di una
domanda di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante ha avuto luogo poco tempo dopo il conseguimento del titolo professionale nello Stato membro di origine. Come infatti rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 93 e 94 delle conclusioni, l’articolo 3 della direttiva 98/5 non prevede in alcun modo che l’iscrizione, presso l’autorità competente dello Stato
membro ospitante, di un avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello in cui ha acquisito la sua qualifica professionale possa essere subordinata alla condizione che venga svolto un
periodo di pratica come avvocato nello Stato membro di origine.
52 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione
dichiarando che l’articolo 3 della direttiva 98/5 dev’essere interpretato nel senso che non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.
Sulla seconda questione
53 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 3 della
direttiva 98/5 sia invalido in ragione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
54 A tale riguardo, occorre anzitutto ricordare che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Unione è
tenuta a rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale.
55 Il Consiglio Nazionale Forense ritiene che l’articolo 3 della direttiva 98/5, consentendo ai cittadini italiani che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica
italiana di esercitare la loro professione nella Repubblica italiana, abbia l’effetto di aggirare l’articolo 33, paragrafo 5, della Costituzione italiana, che subordina l’accesso alla professione di avvocato al superamento di un esame di Stato. Di conseguenza, tale disposizione del diritto derivato dell’Unione, dal momento che consentirebbe di aggirare una normativa che fa parte dell’identità nazionale italiana, violerebbe l’articolo 4, paragrafo 2, TUE e dovrebbe pertanto essere considerata invalida.
56 A tale proposito, occorre rilevare che l’articolo 3 della direttiva 98/5 riguarda unicamente il diritto di
stabilirsi in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine. Tale disposizione non disciplina l’accesso alla professione di avvocato né l’esercizio di tale professione con il titolo professionale rilasciato nello Stato membro
19
ospitante.
57 Ne risulta necessariamente che una domanda di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti, presentata ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 98/5, non è tale da consentire di eludere l’applicazione della
legislazione dello Stato membro ospitante relativa all’accesso alla professione di avvocato.
58 Pertanto, come riconosciuto in udienza dal governo italiano, si deve ritenere che l’articolo 3 della
direttiva 98/5, consentendo ai cittadini di uno Stato membro che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in un altro Stato membro di esercitare la professione di avvocato nello Stato di cui sono cittadini con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine, non sia comunque tale da incidere sulle strutture fondamentali, politiche e costituzionali né sulle funzioni essenziali dello Stato membro di origine ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
59 Di conseguenza, l’analisi della seconda questione sollevata non ha rivelato alcun elemento tale da
inficiare la validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5.
Sulle spese
60 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato
membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, dev’essere interpretato nel senso che non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.
2) L’analisi della seconda questione sollevata non ha rivelato alcun elemento tale da inficiare la
validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5.
Firme
20
SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (Prima Sezione)
28 aprile 2011(*)
«Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Artt. 15 e 16 – Normativa nazionale che prevede la reclusione per i
cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare in caso di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro – Compatibilità»
Nel procedimento C-61/11 PPU,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta dalla
Corte d’appello di Trento, con ordinanza 2 febbraio 2011, pervenuta in cancelleria il 10 febbraio 2011, nel procedimento penale a carico di
Hassen El Dridi, alias Soufi Karim,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. J.-J. Kasel, M. Ilešič (relatore), E. Levits e M. Safjan, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore
vista la domanda del giudice del rinvio del 2 febbraio 2011, pervenuta alla Corte il 10 febbraio 2011 e integrata l’11 febbraio 2011, di sottoporre il rinvio pregiudiziale a procedimento d’urgenza, a norma dell’art. 104 ter del regolamento di procedura della Corte,
vista la decisione della Prima Sezione del 17 febbraio 2011 di accogliere la suddetta domanda,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 marzo 2011,
considerate le osservazioni presentate:
– per il sig. El Dridi, dagli avv.ti M. Pisani e L. Masera;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. L. D’Ascia, avvocato
dello Stato;
– per la Commissione europea, dalla sig.ra M. Condou-Durande e dal sig. L. Prete, in qualità di agenti,
sentito l’avvocato generale,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
………………………………………………………………………………………………………………………………
21
Procedimento principale e questione pregiudiziale
18 Il sig. El Dridi è un cittadino di un paese terzo entrato illegalmente in Italia e privo di permesso di soggiorno. Nei suoi confronti il prefetto di Torino ha emanato un decreto di espulsione in data 8 maggio
2004.
19 Un ordine di allontanamento dal territorio nazionale, emesso il 21 maggio 2010 dal questore di Udine, in
esecuzione di detto decreto di espulsione, gli è stato notificato in pari data. Tale ordine di allontanamento era motivato dall’indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto, dalla mancanza di documenti di identificazione del sig. El Dridi nonché dall’impossibilità di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea per mancanza di posti nelle apposite strutture.
20 Durante un controllo effettuato il 29 settembre 2010 è stato constatato che il sig. El Dridi non si era
conformato a detto ordine di allontanamento.
21 Il sig. El Dridi è stato condannato dal Tribunale monocratico di Trento, all’esito di giudizio abbreviato,
alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998.
22 Egli ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte d’appello di Trento.
23 Quest’ultima s’interroga sulla possibilità di disporre una sanzione penale, nel corso della procedura
amministrativa di rimpatrio di uno straniero, per inosservanza di una delle fasi di tale procedura; una simile sanzione sembra, infatti, contraria al principio di leale cooperazione, al conseguimento degli scopi della direttiva 2008/115 e al suo effetto utile, nonché ai principi di proporzionalità, di adeguatezza e di ragionevolezza della pena.
24 Essa precisa, al riguardo, che la sanzione penale di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo
n. 286/1998 interviene dopo l’accertata violazione di un passaggio intermedio della procedura graduale di attuazione della decisione di rimpatrio, prevista dalla direttiva 2008/115, ovverosia l’inottemperanza al
solo ordine di allontanamento. Potendo andare da uno a quattro anni, la pena della reclusione sarebbe connotata, peraltro, da un carattere di estremo rigore.
25 Ciò considerato, la Corte d’appello di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla
Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se alla luce dei principi di leale collaborazione all’effetto utile di conseguimento degli scopi della direttiva e di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza della pena, gli artt. 15 e 16 della direttiva [2008/115] ostino:
– alla possibilità che venga sanzionata penalmente la violazione di un passaggio intermedio della procedura amministrativa di rimpatrio, prima che essa sia completata[,] con il ricorso al massimo rigore coercitivo
ancora possibile amministrativamente;
– alla possibilità che venga punita con la reclusione sino a quattro anni la mera mancata cooperazione dell’interessato alla procedura di espulsione, ed in particolare l’ipotesi di inosservanza al primo ordine di allontanamento emanato dall’autorità amministrativa».
Sul procedimento d’urgenza
26 La Corte d’appello di Trento ha chiesto che il presente rinvio pregiudiziale sia sottoposto al procedimento
d’urgenza previsto all’art. 104 ter del regolamento di procedura della Corte.
27 Il giudice del rinvio ha motivato tale domanda con il fatto che il sig. El Dridi è detenuto in esecuzione
della pena cui è stato condannato dal Tribunale di Trento.
28 La Prima Sezione della Corte, sentito l’avvocato generale, ha deciso di accogliere la domanda del giudice
remittente di sottoporre il rinvio pregiudiziale al procedimento d’urgenza.
22
Sulla questione pregiudiziale
29 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato
membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.
30 Il giudice del rinvio fa riferimento, al riguardo, al principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, n. 3,
TUE, nonché all’obiettivo di assicurare l’effetto utile del diritto dell’Unione.
31 In proposito si deve ricordare che, come enuncia il suo secondo ‘considerando’, la direttiva 2008/115
persegue l’attuazione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme
comuni affinché le persone interessate siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.
32 Come si apprende tanto dal suo titolo quanto dall’art. 1, la direttiva 2008/115 stabilisce le «norme e
procedure comuni» che devono essere applicate da ogni Stato membro al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. Discende dalla locuzione summenzionata, come pure dall’economia generale della succitata direttiva, che gli Stati membri possono derogare a tali norme e procedure solo
alle condizioni previste dalla direttiva medesima, segnatamente quelle fissate al suo art. 4.
33 Di conseguenza, mentre il n. 3 di detto art. 4 riconosce agli Stati membri la facoltà di introdurre o di
mantenere disposizioni più favorevoli per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare rispetto a quelle stabilite dalla direttiva 2008/115, purché compatibili con quest’ultima, detta direttiva non permette invece a tali Stati di applicare norme più severe nell’ambito che essa disciplina.
34 Occorre del pari rilevare che la direttiva 2008/115 stabilisce con precisione la procedura che ogni Stato
membro è tenuto ad applicare al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e fissa la successione delle diverse fasi di tale procedura.
35 In tal senso, l’art. 6, n. 1, di detta direttiva prevede anzitutto, in via principale, l’obbligo per gli Stati
membri di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio sia irregolare.
36 Nell’ambito di questa prima fase della procedura di rimpatrio va accordata priorità, salvo eccezioni,
all’esecuzione volontaria dell’obbligo derivante dalla decisione di rimpatrio; in tal senso, l’art. 7, n. 1, della direttiva 2008/115 dispone che detta decisione fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni.
37 Risulta dall’art. 7, nn. 3 e 4, di detta direttiva che solo in circostanze particolari, per esempio se sussiste
rischio di fuga, gli Stati membri possono, da un lato, imporre al destinatario di una decisione di rimpatrio
l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, di prestare una garanzia finanziaria adeguata, di consegnare i documenti o di dimorare in un determinato luogo oppure, dall’altro, concedere un termine per la partenza volontaria inferiore a sette giorni o addirittura non accordare alcun termine.
38 In quest’ultima ipotesi, ma anche nel caso in cui l’obbligo di rimpatrio non sia stato adempiuto entro il
termine concesso per la partenza volontaria, risulta dall’art. 8, nn. 1 e 4, della direttiva 2008/115 che, al fine di assicurare l’efficacia delle procedure di rimpatrio, tali disposizioni impongono allo Stato membro, che ha adottato una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, l’obbligo di procedere all’allontanamento, prendendo tutte le misure necessarie, comprese, all’occorrenza, misure coercitive, in maniera proporzionata e nel rispetto, in particolare, dei diritti
fondamentali.
39 Al riguardo, discende dal sedicesimo ‘considerando’ di detta direttiva nonché dal testo del suo art. 15,
n. 1, che gli Stati membri devono procedere all’allontanamento mediante le misure meno coercitive
possibili. Solo qualora l’esecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi, valutata la situazione caso per caso, di essere compromessa dal comportamento dell’interessato, detti Stati possono privare quest’ultimo della libertà ricorrendo al trattenimento.
23
40 Conformemente all’art. 15, n. 1, secondo comma, della direttiva 2008/115, tale privazione della libertà
deve avere durata quanto più breve possibile e protrarsi solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio. Ai sensi dei nn. 3 e 4 di detto art. 15, tale privazione della libertà è riesaminata ad intervalli ragionevoli e deve cessare appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento. I nn. 5 e 6 del medesimo articolo fissano la sua durata massima in 18 mesi, termine tassativo per tutti gli Stati membri. L’art. 16, n. 1, di detta direttiva, inoltre, prescrive che gli interessati siano collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune.
41 Emerge da quanto precede che la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla
direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – la
concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro –, fermo restando in tutte le fasi di detta procedura l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità.
42 Perfino il ricorso a quest’ultima misura, la più restrittiva della libertà che la direttiva consente nell’ambito
di una procedura di allontanamento coattivo, appare strettamente regolamentato, in applicazione degli artt. 15 e 16 di detta direttiva, segnatamente allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi.
43 In particolare, la durata massima prevista all’art. 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115 ha lo scopo di
limitare la privazione della libertà dei cittadini di paesi terzi in situazione di allontanamento coattivo (sentenza 30 novembre 2009, causa C-357/09 PPU, Kadzoev, Racc. pag. I-11189, punto 56). La direttiva 2008/115 intende così tener conto sia della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
secondo la quale il principio di proporzionalità esige che il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire non superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito (v., in particolare, Corte eur. D.U, sentenza Saadi c. Regno Unito del 29 gennaio 2008, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 72 e 74), sia dell’ottavo dei «Venti orientamenti sul rimpatrio forzato» adottati il 4 maggio
2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ai quali la direttiva fa riferimento nel terzo ‘considerando’. Secondo tale principio, il trattenimento ai fini dell’allontanamento deve essere quanto più
breve possibile.
44 È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre valutare se le regole comuni introdotte dalla
direttiva 2008/115 ostino ad una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale.
45 Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che, come risulta dalle informazioni fornite sia dal giudice del
rinvio sia dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la direttiva 2008/115 non è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano.
46 Orbene, per costante giurisprudenza, qualora uno Stato membro si astenga dal recepire una direttiva
entro i termini o non l’abbia recepita correttamente, i singoli sono legittimati a invocare contro detto
Stato membro le disposizioni di tale direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise (v. in tal senso, in particolare, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 46, e 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61).
47 Ciò vale anche per gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115, i quali, come si evince dal punto 40 della presente sentenza, sono incondizionati e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici
elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto.
48 Peraltro, una persona che si trovi nella situazione del sig. El Dridi rientra nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2008/115, la quale si applica, conformemente al suo art. 2, n. 1, ai
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.
49 Come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 22-28 della sua presa di posizione, non incide su tale
conclusione l’art. 2, n. 2, lett. b), di detta direttiva, ai sensi del quale gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o in conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedura di estradizione. Invero, si apprende dalla decisione di rinvio che l’obbligo di rimpatrio risulta, nel procedimento principale, da un decreto del prefetto di Torino dell’8 maggio 2004. Peraltro, le sanzioni
24
penali di cui a detta disposizione non concernono l’inosservanza del termine impartito per la partenza
volontaria.
50 Si deve constatare, in secondo luogo, che, sebbene il decreto del prefetto di Torino dell’8 maggio 2004,
in quanto stabilisce un obbligo per il sig. El Dridi di lasciare il territorio nazionale, integri una «decisione di rimpatrio» come definita all’art. 3, punto 4, della direttiva 2008/115 e menzionata, in particolare, agli artt. 6, n. 1, e 7, n. 1, della stessa, la procedura di allontanamento prevista dalla normativa italiana in discussione nel procedimento principale differisce notevolmente da quella stabilita da detta direttiva.
51 Infatti, mentre detta direttiva prescrive la concessione di un termine per la partenza volontaria,
compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura.
52 Per quanto riguarda, poi, le misure coercitive che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 8,
n. 4, della direttiva 2008/115, in particolare l’accompagnamento coattivo alla frontiera previsto
all’art. 13, comma 4, del decreto legislativo n. 286/1998, è giocoforza constatare che, in una situazione in cui tali misure non abbiano consentito di raggiungere il risultato perseguito, ossia l’allontanamento del cittadino di un paese terzo contro il quale sono state disposte, gli Stati membri restano liberi di adottare
misure, anche penali, atte segnatamente a dissuadere tali cittadini dal soggiornare illegalmente nel territorio di detti Stati.
53 Occorre tuttavia rilevare che, se è vero che la legislazione penale e le norme di procedura penale
rientrano, in linea di principio, nella competenza degli Stati membri, su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto dell’Unione (v. in questo senso, in particolare, sentenze 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati, Racc. pag. 2595, punto 27; 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan, Racc. pag. 195, punto 19, e 16 giugno 1998, causa C-226/97, Lemmens, Racc. pag. I-3711, punto 19).
54 Di conseguenza, sebbene né l’art. 63, primo comma, punto 3, lett. b), CE – disposizione che è stata
ripresa dall’art. 79, n. 2, lett. c), TFUE – né la direttiva 2008/115, adottata in particolare sul fondamento di detta disposizione del Trattato CE, escludano la competenza penale degli Stati membri in tema di
immigrazione clandestina e di soggiorno irregolare, questi ultimi devono fare in modo che la propria legislazione in materia rispetti il diritto dell’Unione.
55 In particolare, detti Stati non possono applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da privare così quest’ultima
del suo effetto utile.
56 Infatti, ai sensi rispettivamente del secondo e del terzo comma dell’art. 4, n. 3, TUE, gli Stati membri, in
particolare, «adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e «si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione», compresi quelli perseguiti dalle direttive.
57 Quanto, più specificamente, alla direttiva 2008/115, si deve ricordare che – come enuncia il suo
tredicesimo ‘considerando’ – essa subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti.
58 Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure
coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di
lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.
59 Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di
compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.
In particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale può ostacolare l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio.
25
60 Ciò non esclude la facoltà per gli Stati membri di adottare, nel rispetto dei principi della direttiva
2008/115 e del suo obiettivo, disposizioni che disciplinino le situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul loro territorio sia irregolare.
61 Alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incaricato di applicare, nell’ambito della propria
competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5-ter, di tale decreto legislativo (v., in tal senso, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punto 24; 22 maggio 2003, causa C-462/99, Connect Austria, Racc. pag. I-5197, punti 38 e 40, nonché 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10,
Melki e Abdeli, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43). Ciò facendo il giudice del rinvio dovrà tenere debito conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (sentenze 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I-3565, punti 67-69, nonché 11 marzo 2008, causa
C-420/06, Jager, Racc. pag. I-1315, punto 59).
62 Pertanto, occorre risolvere la questione deferita dichiarando che la direttiva 2008/115, in particolare i
suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi,
in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.
Sulle spese 63 Nei confronti delle parti nel procedimento principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di
un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. Firme
N.B.: Cassazione penale, sez. I, 28/04/2011, n. 22105 STRANIERI - Direttiva comunitaria c.d. rimpatri - Art. 14, comma 5-quater, d.lg. n. 286 del 1998 - Disapplicazione - Giudizio di legittimità - Rinuncia al ricorso - Conseguenze.
L'efficacia diretta nell'ordinamento interno della direttiva comunitaria 2008/115 (cd. rimpatri), che osta al trattamento penale del soggiorno irregolare dello straniero conseguente soltanto alla violazione di un ordine di allontanamento dallo Stato, comporta la disapplicazione anche della norma incriminatrice di cui all'art. 14, comma 5 quater, d.lg. n. 286 del 1998, il che si risolve in una sostanziale "abolitio criminis", rilevabile dalla Corte di cassazione, ai fini dell'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per non essere il fatto più previsto come reato, pur se sia intervenuta medio
tempore rinuncia al ricorso da parte dell'imputato.
D.L. 89/2011, recante “Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva
2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento delle direttiva
2008/115/CE sul rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari” convertito in L. 129/2011.
26
SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
13 gennaio 2004 (1)
«Carne di pollame - Restituzioni all'esportazione - Mancato rinvio pregiudiziale - Decisione amministrativa definitiva - Effetti di una sentenza pronunciata in via pregiudiziale dalla Corte successivamente a tale decisione - Certezza del diritto - Primato del diritto comunitario - Principio di cooperazione - Art. 10 CE»
Nel procedimento C-453/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal College van Beroep voor het bedrijfsleven (Paesi Bassi) nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Kühne & Heitz NV
e
Productschap voor Pluimvee en Eieren,
domanda vertente sull'interpretazione del diritto comunitario e, in particolare, del principio di cooperazione derivante dall'art. 10 CE,
LA CORTE,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, C. Gulmann e J.N. Cunha Rodrigues, presidenti di sezione, dai sigg. A. La Pergola, J.-P. Puissochet e R. Schintgen, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric (relatore), e dal sig. S. von Bahr, giudici,
avvocato generale: sig. P. Léger
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
- per la Kühne & Heitz NV, dal sig. A.J. Braakman, advocaat;
- per il Productschap voor Pluimvee en Eieren, dal sig. C.M. den Hoed, segretario generale aggiunto;
- per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster, in qualità di agente;
- per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra C. Vasak, in qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. T. van Rijn, in qualità di agente;
- per l'Autorità di sorveglianza AELS, dalla sig.ra B. Eiríksdóttir, in qualità di agente,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali della Kühne & Heitz NV, rappresentata dall'avv. A.J. Braakman, del governo dei Paesi Bassi, rappresentato dalla sig.ra H.G. Sevenster e dal sig. J.G.M. van Bakel, in qualità di agente,
del governo francese, rappresentato dal sig. R. Abraham e dalla sig.ra C. Isidoro, in qualità di agenti, della Commissione, rappresentata dal sig. T. van Rijn, e dell'Autorità di sorveglianza AELS, rappresentata dalla sig.ra B. Eiríksdóttir, all'udienza del 9 ottobre 1992,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 17 giugno 2003,
ha pronunciato la seguente
27
Sentenza
1. Con sentenza 1° novembre 2000, pervenuta alla Corte l'11 dicembre seguente, il College van Beroep voor het bedrijfsleven ha proposto, in forza dell'art. 234 CE, una questione pregiudiziale sull'interpretazione del diritto comunitario e, in particolare, del principio di cooperazione derivante dall'art. 10 CE. 2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia che oppone la Kühne & Heitz NV (in
prosieguo: la «Kühne & Heitz NV») al Productschap voor Pluimvee en Eieren (in prosieguo: il «Productschap») in merito al pagamento di restituzioni all'esportazione.
……………………………………………………………………………………………………………………………
Sulla questione pregiudiziale
20. Come la Corte ha in precedenza giudicato, spetta a tutte le autorità degli Stati membri garantire il
rispetto delle norme di diritto comunitario nell'ambito delle loro competenze (v. sentenza 12 giugno 1990, causa C-8/88, Germania/Commissione, Racc. pag. I-2321, punto 13). 21. L'interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte di giustizia nell'esercizio della competenza attribuitale dall'art. 234 CE chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore (v., in particolare, sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. pag.
1205, punto 16, e 10 febbraio 2000, causa C-50/96, Deutsche Telekom, Racc. pag. I-743, punto 43). 22. Ne consegue che una norma di diritto comunitario così interpretata dev'essere applicata da un organo amministrativo nell'ambito delle sue competenze anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima del momento in cui è sopravvenuta la sentenza in cui la Corte si pronuncia sulla richiesta di interpretazione.
23. La causa principale solleva la questione di sapere se il rispetto di quest'obbligo si imponga a dispetto
del carattere definitivo di una decisione amministrativa acquisito prima che ne sia richiesto il riesame per tener conto di una sentenza della Corte che statuisce su una questione pregiudiziale interpretativa. 24. Occorre ricordare che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario. Il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito all'esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale
certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo. 25. Tuttavia il giudice del rinvio ha precisato che, in diritto olandese, un organo amministrativo ha sempre il potere di ritornare su una decisione amministrativa definitiva, purché non siano lesi gli interessi di terzi, e che, secondo le circostanze, l'esistenza di siffatto potere può implicare l'obbligo di revocare una simile decisione, anche se tale diritto non esige che l'organo competente ritorni sistematicamente su decisioni
amministrative definitive per conformarsi ad una giurisprudenza successiva ad essa. La questione di tale giudice è diretta a stabilire se, in circostanze analoghe a quelle della causa principale, un obbligo di ritornare su una decisione amministrativa definitiva derivi dal diritto comunitario. 26. Come risulta dal fascicolo, tali circostanze sono le seguenti. In primo luogo, il diritto nazionale riconosce all'organo amministrativo la possibilità di ritornare sulla decisione in discussione nella causa principale, divenuta definitiva. In secondo luogo, tale decisione ha acquisito il suo carattere definitivo solo
in seguito alla sentenza di un giudice nazionale le cui decisioni non sono suscettibili di un ricorso giurisdizionale. In terzo luogo, tale sentenza era fondata su un'interpretazione del diritto comunitario che, alla luce di una sentenza successiva della Corte, si rivelava errata ed era stata adottata senza che la Corte stessa fosse adita in via pregiudiziale, alle condizioni previste all'art. 234, n. 3, CE. In quarto luogo, l'interessata si è rivolta all'organo amministrativo immediatamente dopo essere stata informata di tale sentenza della Corte.
27. In tali circostanze, l'organo amministrativo interessato è tenuto, in applicazione del principio di
cooperazione derivante dall'art. 10 CE, a riesaminare tale decisione al fine di tener conto dell'interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo accolta dalla Corte. Il detto organo dovrà stabilire in funzione dei risultati di tale esame se sia tenuto a ritornare, senza ledere gli interessi di terzi, sulla decisione in questione.
28
28.
Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata che il principio di cooperazione derivante dall'art. 10 CE impone ad un organo amministrativo, investito di una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto dell'interpretazione della disposizione pertinente nel frattempo accolta dalla Corte qualora
- disponga secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione;
- la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza;
- tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un'interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni previste all'art. 234, n. 3, CE, e
- l'interessato si sia rivolto all'organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenza.
Sulle spese
29. Le spese sostenute dai governi del Regno dei Paesi Bassi e francese, nonché dalla Commissione e dall'Autorità di sorveglianza AELS, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulla questione sottopostale dal College van Beroep voor het bedrijfsleven con sentenza 1° novembre 2000, dichiara:
Il principio di cooperazione derivante dall'art. 10 CE impone ad un organo amministrativo, investito in una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto dell'interpretazione della disposizione pertinente nel frattempo accolta dalla Corte qualora
- disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione;
- la decisione in questione sia diventata definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza;
- tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un'interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita a titolo pregiudiziale alle condizioni previste all'art. 234, n. 3, CE, e
- l'interessato si sia rivolto all'organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenza.
29
SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (Terza Sezione)
30 settembre 2010 (*)
«Direttiva 89/665/CEE – Appalti pubblici – Procedure di ricorso – Ricorso per risarcimento danni – Aggiudicazione illegittima – Norma nazionale sulla responsabilità fondata su una presunzione di
colpevolezza dell’amministrazione aggiudicatrice»
Nel procedimento C-314/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Oberster Gerichtshof (Austria), con decisione 2 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 7 agosto 2009,
nella causa
Stadt Graz
contro
Strabag AG,
Teerag-Asdag AG,
Bauunternehmung Granit GesmbH,
con l’intervento di:
Land Steiermark,
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, lett. c), e 7, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE (GU L 209, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la Stadt Graz [Comune di Graz
(Austria)], da un lato, e la Strabag AG, la Teerag-Asdag AG e la Bauunternehmung Granit GesmbH (in prosieguo, congiuntamente: le «società Strabag e a.»), dall’altro, a seguito dell’affidamento illegittimo di un appalto pubblico da parte del comune suddetto.
……………………………………………………………………………………………………………………………..
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
30 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 89/665 debba essere
interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere
un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, qualora l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.
30
31 A questo proposito, occorre anzitutto rilevare che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 impone agli Stati
membri di adottare le misure necessarie per garantire l’esistenza di procedure di ricorso efficaci e, in particolare, quanto più rapide possibile contro le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici che abbiano «violato» il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o le norme nazionali di trasposizione di quest’ultimo. Il terzo ‘considerando’ della citata direttiva sottolinea, per parte sua, la necessità che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di «violazione» del diritto o delle norme suddetti.
32 Per quanto riguarda, in particolare, il mezzo di ricorso inteso ad ottenere il risarcimento dei danni,
l’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 stabilisce che gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui all’art. 1 della medesima direttiva prevedano i poteri che permettano di accordare tale risarcimento ai soggetti lesi da una violazione.
33 Tuttavia, la direttiva 89/665 stabilisce solamente i requisiti minimi che le procedure di ricorso istituite negli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare al fine di garantire l’osservanza delle prescrizioni
del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici (v., in particolare, sentenze 27 febbraio 2003, causa
C-327/00, Santex, Racc. pag. I-1877, punto 47, e 19 giugno 2003, causa C-315/01, GAT, Racc. pag. I-6351, punto 45). In mancanza di una disposizione specifica in merito, spetta quindi all’ordinamento giuridico interno di ogni Stato membro determinare le misure necessarie per garantire che le procedure di ricorso consentano effettivamente di accordare un risarcimento ai soggetti lesi da una violazione della normativa sugli appalti pubblici (v., per analogia, sentenza GAT, cit., punto 46).
34 Pertanto, se indubbiamente l’attuazione dell’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 rientra, in linea di
principio, nell’autonomia procedurale degli Stati membri, delimitata dai principi di equivalenza e di effettività, occorre nondimeno verificare se la norma suddetta, interpretata alla luce del contesto e
dell’obiettivo generali nei quali si inscrive il mezzo di ricorso inteso al riconoscimento di un risarcimento, osti a che una disposizione nazionale quale quella in questione nella causa principale subordini, alle condizioni indicate al punto 30 della presente sentenza, la concessione di tale risarcimento al carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’amministrazione aggiudicatrice.
35 A questo proposito, è importante rilevare, anzitutto, che il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1,
5 e 6, nonché del sesto ‘considerando’ della direttiva 89/665 non indica in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una colpa, comprovata o
presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilità.
36 Tale analisi risulta corroborata dal contesto e dall’obiettivo generali del mezzo di ricorso inteso al
riconoscimento di un risarcimento, previsto dalla direttiva 89/665.
37 Infatti, secondo una costante giurisprudenza, gli Stati membri, pur essendo tenuti a prevedere mezzi di
ricorso che consentano di ottenere l’annullamento di una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice contraria alla normativa sugli appalti pubblici, sono legittimati, in vista dell’obiettivo di celerità perseguito
dalla direttiva 89/665, a prevedere per questo tipo di ricorsi termini ragionevoli da osservarsi a pena di decadenza, e ciò per evitare che i candidati e gli offerenti possano in qualsiasi momento allegare violazioni della normativa suddetta, obbligando così l’amministrazione aggiudicatrice a riprendere l’intera procedura al fine di rimediare a tali violazioni [v. in tal senso, in particolare, sentenze 12 dicembre 2002,
causa C-470/99, Universale-Bau e a., Racc. pag. I-11617, punti 74-78; Santex, cit., punti 51 e 52; 11 ottobre 2007, causa C-241/06, Lämmerzahl, Racc. pag. I-8415, punti 50 e 51, nonché 28 gennaio 2010, causa C-406/08, Uniplex (UK), Racc. pag. I-817, punto 38].
38 Inoltre, l’art. 2, n. 6, secondo comma, della direttiva 89/665 riconosce agli Stati membri la facoltà di
prevedere che, dopo la conclusione del contratto successiva all’aggiudicazione dell’appalto, i poteri dell’organo responsabile delle procedure di ricorso siano limitati alla concessione di un risarcimento.
39 In tale contesto, il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 può
costituire, se del caso, un’alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività, sotteso
all’obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla citata direttiva [v. in tal senso, in particolare, sentenza Uniplex (UK), cit., punto 40], soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata – così come non lo sono gli altri
mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1 – alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice.
31
40 Come rilevato dalla Commissione europea, poco importa al riguardo che, a differenza della normativa
nazionale esaminata nella citata sentenza 14 ottobre 2004, Commissione/Portogallo, la disciplina in questione nel presente procedimento non faccia gravare sul soggetto leso l’onere della prova dell’esistenza di una colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, bensì imponga a quest’ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, limitando i motivi invocabili a tal fine.
41 Infatti, quest’ultima normativa genera anch’essa il rischio che l’offerente pregiudicato da una decisione
illegittima di un’amministrazione aggiudicatrice venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui l’amministrazione suddetta riesca a vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante. Orbene, secondo quanto risulta dalla presente domanda di pronuncia pregiudiziale, e così come confermato dalle discussioni svoltesi all’udienza, una
simile eventualità non risulta esclusa nel caso di specie, tenuto conto della possibilità per la Stadt Graz di invocare il carattere scusabile dell’errore di diritto da essa asseritamente commesso, a motivo dell’intervento della decisione 10 giugno 1999 del Vergabekontrollsenat des Landes Steiermark, che ha rigettato il ricorso delle società Strabag e a.
42 Quanto meno, l’offerente suddetto corre il rischio, in virtù di questa stessa normativa, di ottenere un
risarcimento soltanto tardivamente, considerata la lunghezza dei tempi che possono rendersi necessari per un procedimento civile inteso all’accertamento del carattere colpevole della violazione lamentata.
43 Orbene, nell’uno e nell’altro caso, la situazione sarebbe contraria all’obiettivo della direttiva 89/665,
enunciato all’art. 1, n. 1, ed al terzo ‘considerando’ di quest’ultima, consistente nel garantire l’esistenza di mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici in violazione della normativa sugli appalti pubblici.
44 Va poi sottolineato che, anche supponendo che, nel presente caso, la Stadt Graz possa aver ritenuto, nel giugno 1999, di essere obbligata, in considerazione dell’obiettivo di efficacia inerente allo svolgimento
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, a dare immediatamente esecuzione alla decisione 10 giugno 1999 del Vergabekontrollsenat des Landes Steiermark, senza attendere la scadenza del
termine previsto per l’impugnazione di tale decisione, resta il fatto che, come evidenziato dalla Commissione all’udienza, l’accertamento della fondatezza di una domanda di risarcimento proposta dall’offerente pretermesso a seguito dell’annullamento di tale decisione da parte di un giudice amministrativo non può, per parte sua, essere subordinato – in contrasto con il tenore, l’economia sistematica e la finalità delle disposizioni della direttiva 89/665 contemplanti il diritto ad ottenere tale
risarcimento – ad una valutazione del carattere colpevole del comportamento dell’amministrazione aggiudicatrice chiamata in causa.
45 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione dichiarando che la
direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di
proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.
Sulla seconda e sulla terza questione
46 Tenuto conto della risposta fornita alla prima questione, non è necessario risolvere le altre due questioni
sollevate.
Sulle spese
47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso
32
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata
dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità
soggettiva della violazione lamentata.
Firme
33
PROCEDIMENTO N. RG
Tribunale di……../Corte d’ Appello di ……/ Giudice di Pace di ……
Composto da
Riunitosi in camera di consiglio il…
Nel procedimento n……
Attore:
contro
Convenuto:
1. PROCEDIMENTO PRINCIPALE
(v. art. 94 RdP e punto 22, 1° paragrafo, delle Raccomandazioni)
1. Esposizione succinta del procedimento
* con atto di citazione/ricorso/notificato il/depositato in data/….l'attore/il ricorrente ….promuoveva
un giudizio nei confronti di … per sentir dichiarare….
* la domanda dell'attore è diretta all'accertamento/alla condanna…nei confronti del convenuto, il
quale, costituitosi in giudizio….
2. Breve illustrazione dei fatti di causa
2. DIRITTO NAZIONALE
1 Disposizioni nazionali richiamate
citazione esatta e fedele delle norme nazionali applicabili, indicate per esteso e senza interpolazioni
del testo.
2 Giurisprudenza nazionale in materia
indicazione degli orientamenti prevalenti più recenti, concernenti la fattispecie in esame
(v. art. 94 RdP e punto 22, 2° paragrafo, delle Raccomandazioni)
3. DISPOSIZIONI DI DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA
(v. art. 94 RdP e punto 23 delle Raccomandazioni)
citazione testuale delle norme rilevanti ai fini della soluzione della questione
citazione succinta e fedele al testo di tutte le norme UE rilevanti ai fini della decisione, ad es.:
* articolo…del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE)
* direttiva…, segnatamente l'articolo…
* regolamento…, segnatamente l'articolo…
34
4. BREVE ILLUSTRAZIONE DEI MOTIVI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE
(v. art. 94 RdP e punto 22, 3° paragrafo, delle Raccomandazioni)
a) RINVIO PER INTERPRETAZIONE:
spiegare perché vi sono dubbi sulla compatibilità della citata normativa nazionale con il diritto UE e
perché l'interpretazione del diritto UE sul punto sia rilevante ai fini della decisione. Nel caso in cui
la Corte di giustizia si sia già pronunciata in materia, spiegare perché persistono dubbi.
b) RINVIO PER ESAME DI VALIDITÁ DI UN ATTO UE:
spiegare perché vi sono dubbi sulla validità della norma UE citata e perché una pronuncia della
Corte di giustizia sul punto sia rilevante ai fini della decisione. Nel caso in cui la Corte di giustizia
abbia già dichiarato la validità dell'atto UE di cui trattasi, spiegare quali profili di invalidità
persistano.
5. ARGOMENTI ESSENZIALI DELLE PARTI NEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE
(v. art. 94 RdP e punto 23 delle Raccomandazioni)
(facoltativo) illustrazione succinta della posizione delle parti in ordine alla risposta da dare alle
questioni pregiudiziali
6. PUNTO DI VISTA DEL GIUDICE DEL RINVIO
(v. art. 94 RdP e punto 24 delle Raccomandazioni)
(facoltativo) illustrazione della posizione del giudice del rinvio in ordine alla risposta da dare alle
questioni pregiudiziali
7. RINVIO DELLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA
(v. art. 94 RdP e punto 26 delle Raccomandazioni)
Per questi motivi il Tribunale/ la Corte/ il Giudice di Pace , come sopra composto, visto l'articolo
267 TFUE, così provvede:
sono sottoposte alla Corte di giustizia dell'Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:
es.:
1) Se la nozione di…ai sensi dell'articolo…della direttiva…debba essere interpretata nel senso che
essa ammette…., come consentito dall'articolo…della legge….(italiana)
2) nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta negativa, se…..
3) nel caso in cui alla seconda domanda sia data risposta negativa, se…..
FORMULE CONCLUSIVE
…Sospende il procedimento fino alla pronuncia della Corte di giustizia….
Data
firme