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SENT. N. 114/15/R
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REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
composta dai seguenti magistrati:
dott. Massimo CHIRIELEISON Presidente f. f.
dott. Giuseppe TAGLIAMONTE Consigliere
dott. Alberto RIGONI Consigliere relatore
VISTI il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 ed il decreto-legge 15
novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994,
n. 19;
VISTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI nella pubblica udienza del giorno 15 luglio 2015, con l’assistenza del
segretario Dott.ssa Lucia Caldarelli, il relatore Consigliere Alberto RIGONI, il
Pubblico Ministero S.P.G. Filippo IZZO e l’Avv. M. Pescerelli del Foro di Bologna
per il convenuto;
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n 43929 proposto ad istanza del
Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia
Romagna della Corte dei conti nei confronti di D.V. M.;
FATTO
Con atto di citazione regolarmente notificato la Procura Regionale presso la Sezione
Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna della Corte dei conti chiede la
condanna di D.V. M. al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, della somma
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di euro 737.500,00 o di giustizia, oltre rivalutazione monetaria, interessi dall’esborso
al soddisfo e condanna alle spese del giudizio, nonché la conversione del sequestro
conservativo in pignoramento ai sensi dell’art. 686 c.p.c..
I fatti traggono origine dalla transazione n. 7825 sottoscritta in data 23.05.2013 dal
Capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa
Civile, approvata con D.M. n. 321 del 27.06.2013, con cui il Ministero dell’Interno si
è obbligato a corrispondere a L. A., A. G. e M. G. l’importo complessivo di euro
1.475.000,00, quale risarcimento del danno subito da M.G., vigile del fuoco in servizio
presso il Comando Provinciale di OMISSIS, in conseguenza di un grave incidente sul
lavoro avvenuto il 26.07.2006.
Quel giorno il G., nel corso di un controllo periodico del cavo collegato al veicolo di
servizio Land Rover Defender 90, tg. OMISSIS, all’interno della caserma sede del
Comando Provinciale in OMISSIS, aveva steso completamente, lungo tutta l’area
antistante il predetto capannone, il cavo stesso, agganciandolo, per tenerlo in tensione,
ad altro veicolo Land Rover Defender 90, tg. OMISSIS, posizionato, all’interno del
piazzale della caserma, in prossimità dell’unico varco di accesso, quasi frontalmente
al veicolo tg. OMISSIS, alla distanza di circa 26 metri.
Durante questa verifica G. M. veniva travolto dal mezzo accidentalmente trainato da
un furgone Fiat Ducato, di proprietà della SDA Express Courrier, condotto da Z. M.,
entrato improvvisamente nel teatro delle operazioni, il quale non si avvedeva della
presenza della fune di soccorso tesa tra i due mezzi e priva di segnalazione, che era
stata agganciata provocando il trascinamento del Land Rover Defender.
Il G. subiva nella circostanza un trauma massivo toracico addominale chiuso, con
gravi ripercussioni sulla funzionalità degli organi interni, da cui derivava uno stato di
coma irreversibile.
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Il Tribunale di OMISSIS, con sentenza n. 384/09 del 17.9.2009, condannava D.V. M.,
comandante del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di OMISSIS, per i reati di
lesioni personali colpose in danno del G. e per la violazione delle norme sulla
disciplina per la prevenzione degli infortuni, oltre alla violazione delle norme che
impongono la creazione d’idonea segnaletica all’interno della caserma.
In buona sostanza al D.V. è stata contestata la mancata adozione delle cautele
necessarie onde evitare che il passaggio di mezzi privati nel piazzale della caserma
fosse sprovvisto di regolamentazione e di controllo, tanto che come conseguenza di
tale omissione si è verificato il grave incidente in cui è stato coinvolto il vigile G. M..
Conseguentemente D.V. M. era condannato in primo grado alla pena di mesi otto di
reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
La condanna comportava anche l’accoglimento delle domande delle costituite parti
civili (A.G., in proprio e quale curatore speciale e amministratore di sostegno del figlio
M. G., e L. A., quale madre di M. G.), con liquidazione da determinarsi in separato
giudizio e concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro
175.000,00 (di cui euro 150.000,00 a favore di A. G., padre del danneggiato, suddivise
in euro 25.000,00 in proprio e euro 125.000,00 quale rappresentante del figlio, ed euro
25.000,00 a favore di L. A., madre), oltre alle rifusione delle spese.
La Corte di Appello di Bologna, II Sez. Penale, con sentenza n. 753/11 del 12.07.2011,
rideterminava la pena nei confronti di D.V. M. in mesi due di reclusione, confermando
per il resto le statuizioni di condanna di primo grado. La condanna è divenuta
definitiva con sentenza della Corte di Cassazione n. 11489/2013.
La Procura istante depositava in data 12.06.2014 invito a dedurre con richiesta
contestuale di sequestro conservativo ante causam.
Con decreto del 16.06.2014 il Presidente della Sezione Giurisdizionale autorizzava il
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sequestro conservativo in favore del Ministero degli Interni nei confronti del
convenuto D.V. fino alla concorrenza della somma di euro 1.475.000,00 su tutte le
somme comunque dovute al convenuto in virtù del rapporto di lavoro, nonché su
qualsiasi assegno o indennità dovuta dall’I.N.P.S. al D.V..
Con ordinanza n. 56/2014 del 16.07.2014 il Giudice Designato confermava il decreto
presidenziale del 16.06.2014, assegnando alla Procura attrice il termine di giorni
sessanta per il deposito dell’atto di citazione.
La Procura Regionale ritiene siano sussistenti tutti gli elementi della responsabilità
amministrativa in capo al convenuto, in particolare ritiene indiscussa la qualifica di
dipendente pubblico perché il D.V., all’epoca dei fatti, era primo dirigente e datore di
lavoro ai fini della normativa antinfortunistica e di sicurezza.
Sussiste, a giudizio dell’attrice, il nesso di causalità che lega l’evento lesivo, subito
dal vigile del fuoco G. M. e l’illecita condotta ascrivibile al D.V., posta in essere in
violazione della normativa antinfortunistica, secondo un ordinario o normale criterio
di regolarità causale espresso in termini di diretta ed immediata consequenzialità.
La Procura ritiene che nella circostanza la condotta del convenuto sia stata connotata
da colpa grave. Infatti, il D.V. è stato condannato, in via definitiva, per i reati di lesioni
personali colpose e per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e altre
fattispecie omogenee.
Richiama l’art. 651 c.p.p., secondo cui la sentenza penale irrevocabile di condanna,
pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato quanto
all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e
all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo
per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato
e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.
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Secondo l’attrice la sussistenza del fatto (evento lesivo cagione di obbligo risarcitorio),
la sua illiceità penale e, soprattutto, l’affermazione che l’imputato l’ha commesso per
grave negligenza, imprudenza e imperizia, e, in particolare, in violazione di precise
norme di legge, non può che fare stato in questo giudizio.
La Procura Regionale ritiene che le risultanze processuali rivelino che il convenuto è
stato ritenuto responsabile delle gravissime lesioni personali subite da G. M. in
occasione del tragico incidente sul luogo di lavoro.
Afferma che il convenuto è stato ritenuto, sia in primo, sia in secondo grado,
colpevole, oltre che per profili di colpa generica, di precise violazioni delle norme
sulla prevenzione degli infortuni, di cui al Decreto Legislativo n.626/1994, quali : i) il
non aver preso in considerazione e adeguatamente valutato, nel documento di
valutazione dei rischi, i rischi connessi con l’utilizzo promiscuo a vario titolo, da parte
del personale dipendente e non, del piazzale prossimo all’ingresso della caserma posto
sulla via OMISSIS, da considerarsi “luogo di lavoro” ai sensi della normativa da
ultimo richiamata, consentendo l’accesso e l’uscita da tale piazzale della caserma, da
parte dei veicoli di soccorso e non di soccorso, appartenenti, questi ultimi, sia ai
dipendenti sia a privati che a vario titolo dovevano accedere all’interno della caserma,
tramite un unico passo carraio; ii) non aver organizzato, per i mezzi privati di terze
persone che a vario titolo dovevano accedere all’interno della caserma una sicura e
idonea procedura di accoglienza, di informazione e di guida, né tanto meno aver
organizzato un idoneo sistema di videosorveglianza del piazzale della caserma, in
modo tale che le varie operazioni lavorative e di transito ivi svolte potessero essere
controllate dagli addetti alla sala operativa; iii) non aver realizzato nel piazzale
suddetto un’idonea segnaletica – anche attraverso la previsione di valide misure
“compensative” – atta a disciplinare i luoghi di lavoro, i luoghi di transito e di
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stazionamento, le vie di circolazione dei pedoni e dei veicoli in modo che tale
circolazione potesse avvenire in modo sicuro; iv) di non aver adottato, in violazione
dell’art. 2087 c.c., nell’esercizio della propria attività, tutte quelle misure che, secondo
la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica fossero necessarie a tutelare
l’integrità fisica dei lavoratori.
La Procura attrice richiama la decisione della Corte d’Appello di Bologna n. 753/11,
la quale avrebbe rilevato un duplice profilo di colpa nella condotta del D.V., ovvero :
a) l’insufficienza del documento di valutazione rischi per non aver previsto la presenza
di una telecamera che controllasse anche le operazioni in corso e il transito dei mezzi
sul piazzale, una volta effettuato l’ingresso o la presenza di un addetto al controllo del
transito dei mezzi privati sul piazzale stesso; b) l’omessa realizzazione di un’idonea
segnaletica (non soltanto verticale) per distinguere i luoghi di transito da quelli di
lavoro e da quelli di stazionamento, o, almeno, la previsione di un addetto alla
ricezione dei veicoli esterni.
Secondo la Procura la spesa sostenuta dal Ministero dell’Interno per risarcire lo
sfortunato dipendente G. e i suoi genitori rappresenta un indebito esborso risarcibile
da parte del soggetto che l’ha causato con la sua condotta gravemente colposa in
quanto contrassegnata da violazione di normativa imperativa in materia di sicurezza
sul lavoro.
Richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il datore di lavoro, in caso
di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è
interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il
concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di
quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza.
Secondo l’attrice il rispetto di elementari regole di diligenza e di prudenza imponeva,
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infatti, al convenuto di attivarsi al fine di evitare il realizzarsi della situazione di
rischio, che poi si è in concreto tragicamente verificata, ponendo in essere quei
comportamenti minimali che immotivatamente sono stati omessi.
In merito alla quantificazione del danno l’attrice ritiene che sia congrua la richiesta al
D.V. del 50% dell’importo corrisposto dal Ministero dell’Interno alla vittima e ai suoi
stretti congiunti per effetto della transazione del 23.05.2013, pari a complessivi euro
737.500,00. Pur avendo chiesto in sede cautelare il sequestro conservativo nei
confronti del convenuto per l’intera somma transata, la Procura in fase di merito
collega la risarcibilità del danno alla graduazione della colpa, ritenendo che il 50% del
danno economico prodotto sia effettivamente riconducibile, quale conseguenza diretta
ed immediata, alla condotta gravemente colposa attribuibile all’odierno convenuto.
Si costituisce in giudizio D.V. M. con memoria depositata il 25.06.2015, con il
patrocinio dell’Avv. F.R. Scappini del Foro di Verona e dell’Avv. M. Pescerelli del
Foro di Bologna.
Dopo aver ripercorso la vicenda giudiziaria, la valutazione della portata dell’art. 651
c.p.p. sul giudizio contabile, la responsabilità dello stesso infortunato e l’irrilevanza
delle possibili misure di protezione, il convenuto eccepisce l’inammissibilità
dell’azione erariale della Procura Contabile.
Ritiene, infatti, che il danno erariale non sia rappresentato dalle sue presunte e pretese
omissioni, ma dalla somma versata dal Ministero per evitare pacifiche proprie
responsabilità estranee ai fatti del processo penale.
Infatti, la mancata approvazione della spesa per la segnaletica all’interno della caserma
allevierebbe la posizione del D.V..
Contesta la sussistenza della colpa grave a proposito dell’art. 651 c.p.p. non essendo
affermato in nessun punto delle sentenze penali che l’imputato abbia commesso il fatto
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“per negligenza, imprudenza o imperizia”. Osserva che i giudici della Corte d'Appello,
e della Cassazione hanno accertato una colpa lieve poiché hanno ridotto la pena da
otto mesi a due mesi di reclusione con la seguente motivazione: “egli si era attivato
per ovviare alla carenza di misure antinfortunistiche, richiedendole ai superiori”,
nonché la Cassazione ha affermato che “pretese soluzioni organizzative che –
ragionevolmente – non avrebbero avuto – in ossequio al necessario giudizio
controfattuale – reale capacità impeditiva dell’evento [il sistema di
videosorveglianza, che, certo, non avrebbe consentito di intervenire in prevenzione]”.
Sottolinea quindi l’autonoma valutazione della responsabilità amministrativa da parte
della Corte dei conti rispetto al giudizio penale.
Ritiene sia carente la dimostrazione della colpa grave da parte della Procura
Regionale, citando altresì il concetto di prevedibilità ex ante dell’evento, che non
sussisterebbe nella fattispecie.
Richiama il parere pro veritate del 11.09.2014 del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali richiesto dal Ministero dell’Interno secondo il quale, a livello
organizzativo, il Comandante ha approntato un articolato sistema di distribuzione
piramidale di deleghe in materia di sicurezza e, richiamando la giurisprudenza della
Corte di Cassazione, ritiene che detta distribuzione delle responsabilità a livello di
organigramma attenui fino ad eliminarla la colpa del D.V..
Il convenuto si rifà alla disposizione n. 104 del 29.03.2005 in tema di verifica di funi
e verricelli, in base alla quale l’operazione doveva essere interrotta nel caso di
“emergenze” o eventi di disturbo”. In questo senso G. M., essendo occupato il
piazzale, avrebbe dovuto rinviare l’operazione.
Afferma che il comportamento del G. è stato abnorme perché non risponde a prudenza
stendere un cavo lungo l’unica via d’accesso.
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Afferma altresì che nessuna misura alternativa sarebbe stata impeditiva dell’evento,
ritenuto dal D.V. non evitabile, tanto che non si sarebbe potuto prevedere l’evenienza
neppure a livello di documento di valutazione rischi.
Osserva che dall’anno 2005 e per il triennio successivo, è stata attivata dal Ministero
dell’Interno una “polizza copertura assicurativa per responsabilità civile, rischi
professionali e tutela giudiziaria per i Dirigenti del C.N.VV.F.”, avente validità dal 9
agosto 2005 al 9 agosto 2008 con oggetto la responsabilità civile dei Dirigenti del
Dipartimento dei Vigili del Fuoco per l’attività prestata, compresa anche quella
relativa al servizio di sicurezza e prevenzione sul luogo di lavoro.
Inoltre, è stata attivata anche la polizza n. 634/36/519861 avente validità dal 9 agosto
2005 al 9 agosto 2008 (doc. all. n. 4 – controdeduzioni del 15/09/2014) ed avente ad
oggetto la tutela legale per i Dirigenti del Dipartimento dei Vigili del Fuoco.
Ritiene che il Ministero degli Interni avrebbe dovuto attivare detta polizza, con
evidenti ricadute sulla responsabilità contabile del convenuto.
In subordine chiede la riduzione del contestato danno in forza della presenza di altri
soggetti responsabili, quali i delegati alla sicurezza, il conducente del mezzo coinvolto
nel sinistro, lo stesso M. G. e il Ministero dell’Interno.
All’udienza del 15 luglio 2015 era presente per la Procura Regionale il S.P.G. Filippo
IZZO, mentre per il convenuto erano presenti l’Avv. F.R. Scappini del Foro di Verona
e l’Avv. M. Pescerelli del Foro di Bologna.
Le parti si sono riportate alle rispettive conclusioni contenute in atti.
DIRITTO
La Sezione è chiamata a pronunciarsi in merito ad un’ipotesi di responsabilità
amministrativa contestata a D.V. M., quale Comandante del Comando Provinciale
Vigili del Fuoco di OMISSIS, che sorgerebbe a seguito della transazione sottoscritta
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tra il Capo Dipartimento Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile
e G. M., insieme ai suoi familiari in data 23.05.2013, approvata con D.M. n. 321 del
27.06.2013.
Con detta transazione veniva corrisposta al vigile del fuoco e ai suoi genitori la somma
di euro 1.475.000,00 quale corrispettivo del pregiudizio patito in conseguenza di un
grave sinistro del 26 luglio 2006, in occasione del quale G. M. subì gravi ed
irreversibili danni psicofisici.
La condotta generatrice di danno erariale consisterebbe nell’aver indotto il Ministero
dell’Interno a sottoscrivere il contratto di transazione con il vigile danneggiato e i suoi
familiari, con il conseguente esborso della cifra citata, a seguito della grave violazione
delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro e della disciplina antinfortunistica per le
quali il convenuto, in qualità di datore di lavoro, era tenuto, anche per la sua posizione
di garanzia nei confronti dei subalterni, a garantirne la compiuta ed efficace adozione
nell’ambito della caserma da lui diretta.
In via preliminare va affrontata l’eccezione d’inammissibilità dell’azione contabile
verso il D.V., che deriverebbe dalla mancata partecipazione del convenuto al
procedimento che ha condotto il Ministero degli Interni a concludere la transazione,
tanto da non consentirgli alcuna attività difensiva nel momento della conclusione
dell’accordo tra le parti con conseguente riverbero nella sua sfera patrimoniale.
L’eccezione è infondata.
Si ritiene, infatti, pacificamente idonea la transazione tra l’ente o l’amministrazione di
appartenenza del dipendente pubblico e i terzi danneggiati a costituire il fondamento
di un’azione di danno erariale nei confronti del dipendente che, con la sua condotta,
abbia generato il presupposto di fatto che ha condotto alla transazione medesima,
anche se sia rimasto estraneo alla fase delle trattative o ad un eventuale processo civile
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tra il danneggiato e l’amministrazione pubblica (cfr. Corte dei conti, Sez. Calabria, n.
111/2015; Sez. Emilia Romagna, n. 124/2014).
La fattispecie attualmente sottoposta all’attenzione del Collegio costituisce una tipica
ipotesi di responsabilità per danno indiretto, che nasce dal risarcimento di un danno
patito da un terzo per il quale la pubblica amministrazione abbia provveduto al
risarcimento in osservanza dei presupposti di cui all’art. 28 Cost..
Nel caso di specie spetta alla Corte valutare come il comportamento del pubblico
dipendente sia in relazione con l’avvenuto accordo transattivo e il conseguente
esborso, con una valutazione autonoma degli elementi della responsabilità
amministrativa sia sotto il profilo soggettivo (sussistenza o meno della colpa grave o
del dolo), sia sotto il profilo oggettivo, previa determinazione della sussistenza del
nesso causale tra le pretese giudiziarie del danneggiato G. M. e della sua famiglia e la
condotta tenuta dal Comandante in occasione del sinistro occorso al vigile del fuoco
il 26.07.2006.
Non ritiene il Collegio che l’eventuale assenza del D.V. alla fase procedimentale,
durante la quale l’amministrazione di appartenenza è giunta a un accordo transattivo,
possa, di per sé, generare l’inammissibilità dell’azione della Procura Regionale, posto
che in questa sede al convenuto sono riconosciute tutte le garanzie di natura
processuale per assicurare un perfetto contraddittorio con la parte pubblica.
Va peraltro osservato come la decisione di arrivare a una conclusione transattiva del
contenzioso con i diretti danneggiati è stata assunta dall’amministrazione ministeriale
solo a seguito del parere espresso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna
che, con nota n. 28857 del 13.07.2011, in considerazione delle condanne del D.V. in
sede penale intervenute con le sentenze di primo e secondo grado, aveva ritenuto
altamente probabile l’estensione della responsabilità civile anche al Ministero degli
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Interni, con ulteriori costi per l’erario consistenti nelle spese di giudizio a carico della
parte soccombente. Tale scrupolosa valutazione, intervenuta nella fase istruttoria della
procedura transattiva, avalla la convinzione che la scelta dell’amministrazione
ministeriale di tacitare le pretese risarcitorie dei danneggiati sia stata oggetto di una
lunga e meditata ponderazione, con ciò confermando l’intrinseca logicità della
valutazione adottata dal soggetto pubblico.
Passando al merito, il Collegio ritiene che la domanda attorea sia fondata e meritevole
di accoglimento, essendo presenti, nella condotta tenuta da D.V. M., gli elementi
oggettivi e soggettivi della responsabilità amministrativa.
Per l’affermazione della responsabilità del convenuto si deve necessariamente partire
dalle decisioni dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria, che, in sede penale, si è
pronunciata con sentenza del Tribunale di OMISSIS n. 384/2009, sostanzialmente
confermata in secondo grado con sentenza della Corte d’Appello di Bologna n.
753/2011, divenuta irrevocabile a seguito del rigetto del ricorso per Cassazione con
sentenza della Suprema Corte n. 227/2013.
Sul punto, l’art. 651 c.p.p. (rubricato: “efficacia della sentenza penale di condanna nel
giudizio civile o amministrativo di danno”) appare chiaro nel delineare quali siano gli
effetti vincolanti del giudicato penale nel giudizio contabile avanti alla Corte dei conti.
Detto articolo recita: “La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in
seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della
sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha
commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del
danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato
citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. La stessa efficacia ha la sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell’art. 442, salvo che vi si opponga
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la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato”.
Pertanto si deve necessariamente ritenere acclarato, con efficacia di cosa giudicata non
controvertibile nel presente giudizio, l’accertamento storico del fatto contestato
all’imputato-condannato, la natura d’illecito penale di tale fatto, e il riconoscimento
che l’imputato-condannato ha effettivamente commesso l’illecito in questione.
Il giudicato penale incide quindi sui fatti oggettivi che hanno condotto alla condanna
definitiva e costituisce un limite non travalicabile dal giudice contabile, il quale non
può pronunciarsi in antitesi ai risultati fattuali dell’accertamento emerso in
dibattimento.
Mantenendo fermo detto presupposto, va tuttavia rimarcato il ruolo indipendente della
Corte dei conti nell’individuare l’effettiva sussistenza del nesso causale tra la condotta
illecita e il danno erariale, in virtù della particolare autonomia del giudizio contabile
rispetto a quello ordinario, per sua natura rivolto alla repressione delle condotte lesive
delle pubbliche risorse.
In quest’ottica, pur mantenendo ferma la realtà storica che emerge dai giudizi avanti
al Giudice penale, va sicuramente rivalutata la condotta del D.V. alla luce delle
considerazioni che precedono, onde rilevare la sussistenza o meno del presupposto
soggettivo (dolo o colpa grave) necessario per addivenire ad una affermazione di
responsabilità amministrativa nei suoi confronti.
Ciò premesso, il Collegio deve necessariamente ritenere il convenuto D.V. M.
responsabile di lesioni colpose gravi e gravissime in danno del vigile del fuoco G. M.
per violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 4, comma II,
D.L.vo n. 626/1994), non avendo correttamente valutato nel Documento di
Valutazione Rischi i pericoli conseguenti all’utilizzo promiscuo del piazzale e delle
vie d’ingresso alla caserma in OMISSIS; per violazione della normativa di
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prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 11, commi II, IV e V, D.P.R. n. 547/1955),
non avendo predisposto idonea segnaletica che consentisse una suddivisione tra zone
di lavoro e vie di transito per rendere sicura detta circolazione; per non aver adottato
le misure necessarie alla tutela del lavoratore (art. 2087 c.c.) atte, secondo la comune
esperienza, a prevenire eventi che possano incidere sull’integrità fisica del lavoratore.
Partendo da questa base, vanno esaminati i presupposti della responsabilità
amministrativa, soprattutto per quanto attiene all’elemento psicologico contestato al
convenuto.
Infatti, non vi è alcun dubbio che nella fattispecie si sia alla presenza di un dipendente
pubblico, sottoposto, quindi, alla giurisdizione contabile, e che vi sia un evidente nesso
causale tra la condotta omissiva contestata al D.V. e l’esborso di pubbliche risorse a
seguito della transazione del 23.05.2013, approvata con D.M. n. 321 del 27.06.2013.
Infatti la transazione trova la sua origine da un fatto storico, giudizialmente accertato,
quale la mancata adozione delle corrette misure di prevenzione degli infortuni e alla
non congrua gestione delle attività di esercitazione pratica nella caserma di OMISSIS,
dove il convenuto era rappresentante del massimo grado di comando, che ha
determinato il grave infortunio in cui è rimasto coinvolto il G..
Sul versante dell’elemento soggettivo, il Collegio ritiene che la condotta del D.V. sia
stata connotata da evidente e palese colpa grave.
Va tuttavia premesso che il concetto di colpa nell’ambito della responsabilità
amministrativa differisce sensibilmente dalla colpa in campo penalistico.
D.V. M. è stato, infatti, condannato per un unico capo d’imputazione contestatogli per
la violazione (definitivamente accertata a seguito di giudizio abbreviato, confermato
nei gradi seguenti) dell’art. 590, III comma, c.p., ovverosia per il reato di lesioni
personali colpose aggravato dalla gravità delle conseguenze fisiche patite dalla vittima
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(come previsto dall’art. 583, I comma n. 1 e II comma n. 1 c.p.). In questo senso è
stata contestata all’imputato una colpa specifica, conseguente all’inosservanza di
specifiche leggi, regolamenti, ordini o discipline collegate alla sicurezza dei luoghi di
lavoro e all’adozione di precise misure di tutela del lavoratore subordinato (dalla cui
violazione consegue l’insorgenza della colpa), ed una colpa generica per negligenza,
imprudenza o imperizia (prevedibile ex ante) per aver, di fatto, consentito che la
verifica del cavo svolta dal G., cui è conseguito l’incidente, fosse effettuata senza le
necessarie cautele.
In ambito giuscontabile, invece, la colpa grave consiste in un atteggiamento di estrema
superficialità nella cura dei beni e degli interessi pubblici o in una condotta
caratterizzata da un grado di diligenza, prudenza o perizia inferiore allo standard
minimo professionale tanto da rendere prevedibile l’evento dannoso (Corte dei conti,
Sez. III App., n. 523/2010).
In pratica il Collegio deve valutare se vi sia stato da parte del convenuto un
intollerabile scostamento dai modelli di diligenza e correttezza professionale che possa
aver determinato, secondo una valutazione ex ante, l’evento dannoso.
A tale interrogativo va sicuramente data una risposta affermativa.
D.V. M., quale Comandante Provinciale del Comando Vigili del Fuoco di OMISSIS,
era diretto responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, e come tale tenuto
all’individuazione dei potenziali fattori di rischio, alla loro valutazione e
all’individuazione delle misure di sicurezza dell’ambiente di lavoro, come prescrive
l’art. 33 D.L.vo n. 81/2008. Egli ha redatto il Documento di Valutazione dei Rischi
del 22.12.2005 ex art. 4, comma II, D. L. vo n. 626/1994, dove non si prendono in
considerazione i pericoli conseguenti al movimento di autoveicoli nelle zone prossime
agli immobili di servizio ove si svolge l’ordinaria attività dei vigili del fuoco.
SENT. N. 114/15/R
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Dalla ricostruzione della vicenda, che emerge dal processo penale, il D.V. non ha
adeguatamente valutato, o ha colpevolmente sottovalutato, i rischi che potevano
derivare dall’uso promiscuo del piazzale o del viale di accesso alla caserma tra il
personale dipendente e gli estranei che potevano accedere, a qualunque titolo,
all’interno dell’area.
E’ stato, infatti, accertato che le procedure di accesso alla caserma da parte di mezzi
esterni non erano sottoposte ad adeguata regolamentazione, tanto che il furgone che
ha impattato il cavo steso tra le due camionette non si è fermato presso la sala operativa
e il conducente non ha ricevuto adeguate istruzioni sul corretto percorso da seguire,
né tanto meno è stato avvisato dell’esercitazione in corso.
A giudizio del Collegio, la mancata predisposizione d’idonea procedura di
accompagnamento o di accoglienza dei mezzi estranei evidenzia una grave e
inescusabile colpa professionale del convenuto, direttamente responsabile di detta
organizzazione interna. La corretta organizzazione degli accessi alla caserma, insieme
all’effettiva predisposizione di misure di videosorveglianza facilmente installabili
anche con le limitate risorse disponibili, avrebbe consentito, in termini altamente
probabili, di evitare l’incidente che, a tutti gli effetti, sembra essere stato determinato
da eccessiva superficialità e leggerezza da parte del personale addetto alla ricezione di
soggetti estranei alla compagine dei vigili del fuoco addetti al Comando di OMISSIS.
Tale mancanza deve necessariamente essere imputata, per grave ed evidente
negligenza, al vertice amministrativo del Comando, proprio per la sua posizione
direttiva e di garanzia dei suoi dipendenti.
Non di meno un’adeguata sistemazione delle vie di accesso ai fabbricati che ospitano
gli uffici operativi, il magazzino e la rimessa dei mezzi di soccorso mediante una
chiara ed inequivocabile segnaletica orizzontale (anche in questo caso di facile e
SENT. N. 114/15/R
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rapida esecuzione, nonostante le limitate risorse finanziarie disponibili da parte del
Comando), avrebbe consentito l’adeguata separazione delle aree di transito dei veicoli
interni ed esterni, in uno spazio caratterizzato, come si è visto, da una serie di
esercitazioni programmate che necessitano della presenza di mezzi e di uomini, con
l’effettiva quanto prevedibile creazione di una situazione di rischio per l’incolumità
degli operatori. Anche in questo caso la mancata adozione da parte del D.V. delle
opportune misure organizzative, per l’adozione delle quali il convenuto aveva
specifici obblighi di legge, deve essere esclusivamente imputata a sua grave colpa
professionale.
Non si condividono, peraltro, le argomentazioni del convenuto secondo le quali vi
sarebbe stato il riconoscimento di una qualche forma di colpa lieve in capo al D.V. da
parte della Corte d’Appello di Bologna. In realtà la riduzione di pena da mesi otto a
mesi due di reclusione è stata determinata dalla mancata concessione delle attenuanti
generiche ex art. 62 bis c.p., punto sul quale l’appello è stato parzialmente accolto.
Tuttavia la motivazione per il riconoscimento all’imputato delle predette circostanze
non consente, di per sé, di ritenere lieve la colpa in un’ottica di responsabilità
amministrativa. Anche se il Giudice penale di secondo grado riconosce che dette
attenuanti generiche potevano essergli riconosciute per il concorso causale del
conducente del mezzo che ha trainato la jeep che ha poi travolto il G., e che il D.V.
aveva richiesto ai propri superiori le corrette misure antinfortunistiche, questo non
significa che il convenuto non sia gravemente colpevole sul versante della mancata o
inadeguata adozione delle misure preventive e, come d'altronde riconosce lo stesso
Giudice penale, per la mancata previsione dei rischi connessi all’attività di verifica dei
cavi e dei verricelli in un’area di transito, in assenza di segnaletica che lo stesso D.V.
avrebbe potuto installare autonomamente, senza ricorrere a richieste esterne.
SENT. N. 114/15/R
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Nella motivazione della sentenza d’appello, infatti, il Giudice Ordinario fonda su due
fatti specifici la conferma della condanna inflitta in primo grado : l’insufficienza del
documento di valutazione rischi nella parte in cui non era stata pervista una telecamera
di sorveglianza dei transiti interni e delle attività in svolgimento nel perimetro della
caserma, e nella parte in cui non è stata prevista una corretta segnaletica atta a
distinguere le zone di transito dai luoghi di lavoro e di stazionamento.
Ne consegue che la sola richiesta ai diretti superiori di generici interventi a tutela del
personale non fa venir meno la colpa grave del convenuto, il quale avrebbe potuto e
dovuto, come detto, intervenire per rendere maggiormente sicuro l’ambito territoriale
della caserma e dei suoi annessi, con interventi anche a costo contenuto.
Né può condividersi la ricostruzione dei fatti, formulata da parte convenuta, secondo
la quale vi sarebbe stata una responsabilità, nella causazione dell’evento, della stessa
vittima dell’infortunio, il quale avrebbe realizzato una manovra particolarmente
pericolosa nel momento in cui ha steso il cavo da verificare lungo una via di passaggio.
Infatti, per orientamento pressoché costante della Corte di Cassazione, il
comportamento avventato del lavoratore posto in essere quando è dedito affidatogli
può essere considerato imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha
adempiuto tutti gli obblighi a lui imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Cass. Pen.
Sez. IV, n. 12115/1999). Inoltre la stessa Suprema Corte ha stabilito che non
costituisce “comportamento abnorme” (tale, cioè, da interrompere il nesso causale tra
la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo) il compimento di
un’operazione che, seppure inutile o imprudente, non risulta eccentrica rispetto alla
mansioni assegnate (Cass. Pen. Sez. IV, n. 7955/2014). Alla luce degli orientamenti
testé ricordati, non sembra che la conduzione dell’esercitazione di verifica dei cavi e
dei verricelli dei mezzi affidata a G. M., secondo quanto emerge dalle sentenze penali
SENT. N. 114/15/R
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di primo e di secondo grado, nonché dal parere pro veritate del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali del 11.09.2014, sia stata contraria a disposizioni di servizio o
a norme di buon senso che possano far considerare del tutto estraneo alla logica o
all’esperienza l’attività affidata al vigile del fuoco.
A tal proposito il Collegio osserva come la disposizione di servizio n. 104 del
29.03.2005, a firma del convenuto, non sia stata in alcun modo contravvenuta da G.
M., perché dal menzionato atto interno emerge che la mancata conclusione della
verifica entro il giorno concordato doveva essere rinviata solo “… per ragioni legate
al soccorso”, circostanza che non si è concretamente verificata in quanto il G. era stato
costretto a completare le operazioni nel pomeriggio del 26.07.2006 non più
nell’officina (come aveva fatto al mattino), bensì nel luogo in cui è avvenuto
l’incidente, perché in quel momento il luogo deputato alla verifica era occupato da
corsi di formazione e addestramento (p. 18 parere pro veritate dell’11.09.2014).
A completamento delle valutazioni sul comportamento della vittima si osserva come
anche il Giudice Ordinario, nella sentenza della Corte d’Appello di Bologna n.
753/2011, abbia escluso categoricamente l’abnormità della condotta di G. M. proprio
perché “ … mancavano previsioni specifiche sulla modalità di esecuzione della
verifica dei verricelli ed una previsione espressa del luogo ove tale lavoro doveva
svolgersi”, e, nella migliore delle ipotesi, “ … il G. non poteva attendersi che un
veicolo, invece di fermarsi ed attendere l’addetto, irrompesse ad alta velocità nel
piazzale”.
Quanto al richiamo da parte convenuta alla relazione pro veritate datata 11.09.2014,
predisposta su precisa richiesta del Ministero degli Interni – Corpo Nazionale dei
Vigili del Fuoco, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si ritiene che detto
documento non consenta di eliminare o attenuare la sussistenza della gravità della
SENT. N. 114/15/R
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colpa in capo al D.V..
A prescindere da qualsiasi valutazione riguardo alla necessità e all’opportunità di
acquisizione di detta relazione da parte dell’amministrazione danneggiata in epoca
successiva alla conclusione dell’accordo transattivo, a procedimento contabile già
instaurato, il Collegio osserva che proprio per il riconoscimento di “luogo di lavoro”
ai fini della valutazione dei rischi (p. 11 relazione) dell’intera area recintata della
caserma di OMISSIS, qualunque evento potenzialmente lesivo della salute del
lavoratore doveva esser previsto dal documento di valutazione dei rischi a firma del
Comandante in carica, che nella fattispecie era il convenuto.
E’ ben vero che da detta relazione si evince che il disegno organizzativo della
sicurezza interna alla caserma era articolato tra vari soggetti cui erano attribuiti
compiti delegati di dettaglio. Ai fini dell’esclusione di qualsiasi esimente della colpa
grave del convenuto si deve considerare, come già in precedenza affermato, che il
documento di valutazione dei rischi vigente al momento in cui si è verificato l’evento
dannoso non prendeva minimamente in considerazione l’attività di controllo delle funi
metalliche e dei verricelli dei mezzi di servizio, attività nella quale era impegnato G.
M. nel tragico pomeriggio del 26.07.2006. Detto documento era stato predisposto e
sottoscritto, secondo quanto richiede la legge, da D.V. M. quale Comandante e
responsabile della sicurezza.
Sul punto il Collegio condivide l’orientamento della Suprema Corte in base al quale
le omissioni o le carenze del documento di valutazione dei rischi non esonerano da
responsabilità per le lesioni patite da un lavoratore anche gli ulteriori garanti della
sicurezza sul lavoro, quale i delegati in materia di prevenzione e di sicurezza (Cass.
Pen., sez. IV, n. 24452/2015). Tuttavia detta estensione di responsabilità, concepita
nel sistema di repressione penale, non interrompe la catena delle responsabilità verso
SENT. N. 114/15/R
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il vertice aziendale, che è esso stesso imputabile.
A maggior ragione nell’ambito del sistema della responsabilità amministrativa
l’avvenuta delega a subordinati di particolari e specifiche mansioni pertinenti al
Servizio Prevenzione e Protezione, non elimina la gravità della colpa del vertice
responsabile generale del datore di lavoro riconosciuto dall’organigramma della
sicurezza interno al Comando di OMISSIS, e quindi dell’odierno convenuto.
Da ultimo va analizzata la questione attinente all’assicurazione finalizzata a tenere
indenni i dipendenti del Ministero degli Interni da ipotesi di responsabilità per colpa
grave che, a detta del convenuto, costituirebbe una causa di estinzione del presente
giudizio.
D.V. M. afferma, infatti, che dal 2005 sarebbero attive due polizze, la prima per la
responsabilità civile, rischi professionali e tutela giudiziaria, la seconda per la tutela
legale, per le quali afferma di aver regolarmente versato le quote di sua spettanza e di
averle attivate in occasione dei fatti per cui è causa.
Su questi presupposti il convenuto chiede che sia accertata, proprio per l’esistenza dei
contratti di assicurazione, l’inesistenza del danno erariale.
Il Collegio osserva, innanzi tutto, che il convenuto non ha chiesto alcuna integrazione
del contraddittorio nei confronti della compagnia o delle compagnie di assicurazione
con le quali sarebbero state sottoscritte le menzionate polizze.
Osserva altresì che, per specifica previsione normativa contemplata nell’art. 3, comma
59, legge n. 244/2007, sono nulli i contratti di assicurazione con i quali un ente
pubblico assicuri i propri dipendenti per i rischi che derivano dall’espletamento dei
compiti istituzionali.
Ciò detto, è opinione della Sezione che non vi siano concrete ricadute sul giudizio
della questione sollevata da parte convenuta.
SENT. N. 114/15/R
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L’elemento oggettivo del danno consiste, nel caso di specie, nell’effettivo esborso da
parte del Ministero conseguente all’accordo con la parte danneggiata.
Eventuali questioni attinenti ai rapporti tra il D.V. e la compagnia di assicurazione
devono trovare composizione nella competente sede giudiziaria che, per orientamento
costante della giurisprudenza contabile, corrisponde alla giurisdizione ordinaria civile.
Infatti, i rapporti interni di garanzia tra il convenuto e il soggetto da cui pretende di
essere garantito (anche ammettendo, quindi, che il D.V. abbia concretamente richiesto
la chiamata in causa della compagnia di assicurazione) è regolato da norme
strettamente civilistiche, conoscibili da altro plesso giudiziario, quale l’Autorità
Giudiziaria Ordinaria e, nello specifico, il Giudice civile, essendo riservata alla
giurisdizione della Corte dei conti unicamente la verifica dell’efficienza causale delle
condotte soggettive dei pubblici dipendenti, se connotate da dolo o colpa grave,
all’evento dannoso per la pubblica amministrazione (Sez. Calabria, n. 111/2015; Sez.
Sicilia, n. 325/2015).
Accertata la sussistenza di tutti gli elementi della responsabilità amministrativa in capo
a D.V. M., va ora concretamente quantificata l’entità del danno e del conseguente
risarcimento.
Si prende atto che in sede di richiesta di sequestro conservativo, l’attrice ha
quantificato, in prima istanza, il danno erariale in euro 1.475.000,00 corrispondente
all’intera somma corrisposta dal Ministero degli Interni a G. M. e ai suoi genitori a
seguito del contratto di transazione del 23.05.2013.
In atto di citazione, invece, la richiesta pecuniaria nei confronti del convenuto è stata
ridotta della metà per corrispondenti euro 737.500,00, poiché la Procura Regionale ha
valutato, nella quantificazione definitiva delle proprie richieste, gli apporti causali di
soggetti esterni nella causazione dell’evento.
SENT. N. 114/15/R
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Questa Sezione ritiene, peraltro, di dover operare un’ulteriore riduzione del danno
sulla base di alcune circostanze che influenzano il giudizio complessivo su come si
sono svolti i fatti di causa
In particolare va preso in considerazione il fatto, emerso chiaramente dalla relazione
pro veritate dell’11.09.2014, che l’organigramma della sicurezza interna nella
caserma di OMISSIS era strutturato in modo da prevedere ben tre addetti alla
prevenzione infortuni che, pur non escludendo la responsabilità principale del
convenuto, ne diluiscono l’effettiva importanza e consentono di affermare che, con
estrema probabilità, una cooperazione attiva tra il titolare e i suoi delegati avrebbe
consentito l’individuazione di aree di rischio anche nell’attività di verifica dei cavi e
dei verricelli, operazione nella quale era impegnato il vigile del fuoco G. al momento
del tragico infortunio.
Inoltre deve essere valutata con un certo rigore anche la condotta di Z. M., conducente
del furgone che nel pomeriggio del 26.07.2006 ha inavvertitamente trascinato il mezzo
che ha travolto l’incolpevole vittima.
Se, da un lato, è vero che il conducente del furgone che si apprestava ad effettuare una
consegna all’interno della caserma non è stato accolto correttamente dal personale
all’ingresso e che non erano state delimitate, con opportuna segnaletica, le zone di
lavoro da quelle di transito, è anche vero che il mezzo in movimento manteneva una
velocità eccessiva rispetto allo stato dei luoghi, essendo stato accertato con la CTU
svolta nel giudizio civile R.G. n. 952/09 presso il Tribunale di OMISSIS, promosso
da G. M. nei confronti dell’assicurazione del mezzo, che al momento dell’impatto con
il cavo di trazione (peraltro non visibile dal conducente) il furgone mantenesse una
velocità di 35-40 Km/h.
Entrambe le predette circostanze vanno quindi valutate nella loro consistenza
SENT. N. 114/15/R
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concausale nella realizzazione del danno che, se da un lato non eliminano né attenuano
la responsabilità del D.V., dall’altro possono costituire un giusto presupposto di fatto
per una rideterminazione del danno erariale effettivamente contestabile al convenuto.
Alla luce delle predette considerazioni, il Collegio ritiene prudenzialmente di poter
operare un ulteriore abbattimento del 50% della somma chiesta in atto di citazione,
attestando la valutazione definitiva del danno erariale nell’importo di euro 368.750,00,
ritenuto congruo in considerazione delle circostanze fattuali in cui è maturato l’evento.
Per quanto riguarda i provvedimenti interinali di questa Sezione che hanno
autorizzato l’esecuzione delle misure cautelari del sequestro preventivo sui beni del
convenuto, si deve confermarne la loro piena legittimità.
Sia il decreto del Presidente della Sezione Giurisdizionale per l’Emilia Romagna del
16.06.2014, emesso ante causam, sia l’ordinanza n. 56/2014 del Giudice Designato
depositata il 21.07.2014, sono provvedimenti emessi nel pieno rispetto dei requisiti
del fumus boni iuris e del periculum in mora previsti dal rito cautelare, e come tali
degni di conferma in ogni loro punto.
Quale effetto della condanna inflitta a D.V. M., va disposta, ai sensi dell’art. 686 c.p.c.,
la conversione in pignoramento del sequestro conservativo concesso con la predetta
ordinanza.
Conclusivamente D.V. M. va condannato al pagamento, in favore del Ministero degli
Interni, del danno erariale quantificato nella misura di euro 368.750,00, oltre
rivalutazione monetaria dalla notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente
giudizio fino al deposito della sentenza e interessi legali, sulla somma così rivalutata,
dal deposito della sentenza all’effettivo soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico del convenuto nella
misura liquidata in dispositivo.
SENT. N. 114/15/R
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P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna,
definitivamente pronunciando,
CONDANNA
D.V. M. al pagamento, in favore del Ministero degli Interni, del danno erariale
quantificato nella misura di euro 368.750,00, oltre rivalutazione monetaria dalla
notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio fino al deposito della
sentenza e interessi legali, sulla somma così rivalutata, dal deposito della sentenza
all’effettivo soddisfo.
Dispone ai sensi dell’art. 686 c.p.c. la conversione del sequestro disposto con
ordinanza n. 56/2014 di questa Sezione in pignoramento.
Condanna altresì il convenuto D.V. M. al pagamento delle spese di giudizio che
vengono liquidate nell’importo di euro 751,15 (settecentocinquantuno/15).
Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del decreto legislativo
30 giugno 2003, n. 196, avente ad oggetto “Codice in materia di protezione di dati
personali”, dispone che, a cura della segreteria venga apposta l’annotazione di
omissione delle generalità e degli altri dati identificativi dei convenuti e, se esistenti,
del dante causa e degli aventi causa.
Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.
Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio del 15 luglio 2015.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE f. f.
f.to Cons. Alberto RIGONI f.to Cons. Massimo CHIRIELEISON
Depositata in Segreteria il giorno 15 settembre 2015
Il Direttore di Segreteria
f.to Dott.ssa Nicoletta Natalucci