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ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE 15 novembre 2013 MERCOSUL: vedi presentazione powerpoint su Ariel ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE 19 novembre 2013 (appunti + riassunto capitolo 19) Progetto di articoli sulla responsabilità degli stati per atti illeciti La responsabilità internazionale è una responsabilità derivante da fatti internazionalmente illeciti, a volte si parla di responsabilità internazionale anche per indicare una responsabilità derivante da fatti internazionalmente leciti. Ma, in questa sede, ci occuperemo solo del primo caso. (In inglese: International State responsability). Dal 1969 la Commissione di diritto internazionale discute sulla responsabilità degli stati per atti illeciti. Nel 2001, il progetto di articoli viene presentato all’AG, la quale si limita a prenderne atto e a raccomandarlo all’attenzione degli stati, quindi è una codificazione mediante un atto di soft law. Comunque, il progetto riproduce alcune norme del diritto consuetudinario vigente. La caratteristica fondamentale del Progetto è quella di disciplinare la materia indipendentemente dal contenuto dell’obbligo violato dallo stato, e quindi, i lavori si limitano alle norme “secondarie”, ovvero quelle norme che disciplinano la violazione delle norme “primarie” indipendentemente dal contenuto di esse. Art. 1: “ogni fatto internazionalmente illecito di uno stato comporta la sua responsabilità internazionale”. Art. 2 Illecito da parte di uno stato: azione o omissione da parte di uno stato contraria al diritto internazionale. La parte I si occupa dei due elementi costitutivi dell’illecito internazionale, essi sono: 1) l’imputabilità del comportamento allo stato, il comportamento deve potersi attribuire allo stato; 2) l’antigiuridicità del comportamento stesso, nel senso che l’azione deve violare un obbligo internazionale dello stato. Il Progetto, tende a ritenere rilevanti la colpa e il danno solo per determinare il contenuto della resp.internaz. La dottrina non è d’accordo. Per quanto riguarda la colpa, lo stato potrebbe averla per non essere riuscito ad impedire l’illecito. Per quanto riguarda il danno , una parte della dottrina crede che il danno sia un elemento costitutivo dell’illecito. Chi è suscettibile di illecito? Quando il comportamento tenuto da una determinata persona è giuridicamente imputabile allo stato? Ed è quindi considerato un comportamento dello stato? - Art. 4 : organi (che comprendono persone o enti) dello stato, sono irrilevanti le funzioni che l’organo esercita, la sua posizione

Diritto internazionale, manuale breve GIOIA 2

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ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE15 novembre 2013

MERCOSUL: vedi presentazione powerpoint su Ariel

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE19 novembre 2013 (appunti + riassunto capitolo 19)

Progetto di articoli sulla responsabilità degli stati per atti illecitiLa responsabilità internazionale è una responsabilità derivante da fatti internazionalmente illeciti, a volte si parla di responsabilità internazionale anche per indicare una responsabilità derivante da fatti internazionalmente leciti. Ma, in questa sede, ci occuperemo solo del primo caso. (In inglese: International State responsability). Dal 1969 la Commissione di diritto internazionale discute sulla responsabilità degli stati per atti illeciti. Nel 2001, il progetto di articoli viene presentato all’AG, la quale si limita a prenderne atto e a raccomandarlo all’attenzione degli stati, quindi è una codificazione mediante un atto di soft law. Comunque, il progetto riproduce alcune norme del diritto consuetudinario vigente.La caratteristica fondamentale del Progetto è quella di disciplinare la materia indipendentemente dal contenuto dell’obbligo violato dallo stato, e quindi, i lavori si limitano alle norme “secondarie”, ovvero quelle norme che disciplinano la violazione delle norme “primarie” indipendentemente dal contenuto di esse. Art. 1: “ogni fatto internazionalmente illecito di uno stato comporta la sua responsabilità internazionale”.Art. 2 Illecito da parte di uno stato: azione o omissione da parte di uno stato contraria al diritto internazionale.La parte I si occupa dei due elementi costitutivi dell’illecito internazionale, essi sono: 1) l’imputabilità del comportamento allo stato, il comportamento deve potersi attribuire allo stato; 2) l’antigiuridicità del comportamento stesso, nel senso che l’azione deve violare un obbligo internazionale dello stato. Il Progetto, tende a ritenere rilevanti la colpa e il danno solo per determinare il contenuto della resp.internaz. La dottrina non è d’accordo. Per quanto riguarda la colpa, lo stato potrebbe averla per non essere riuscito ad impedire l’illecito. Per quanto riguarda il danno, una parte della dottrina crede che il danno sia un elemento costitutivo dell’illecito.Chi è suscettibile di illecito? Quando il comportamento tenuto da una determinata persona è giuridicamente imputabile allo stato? Ed è quindi considerato un comportamento dello stato?

- Art. 4 : organi (che comprendono persone o enti) dello stato, sono irrilevanti le funzioni che l’organo esercita, la sua posizione nell’organizzazione dello stato e la sua natura (es. governo centrale o unità territoriale).

- Art.5 : persone o enti che, seppur non qualificabili come organi statali, sono tuttavia abilitati dal diritto interno ad esercitare prerogative dell’autorità di governo (es. regioni) ;

(Lo stato risponde di queste due categorie anche se l’ente non ha rispettato le istruzioni, es. agenti di polizia che, pur se in divisa, abbiano agito per fini diversi da quelli istituzionali)

- Art. 8 : persone, gruppi di persone o enti, che pur non agendo normalmente in totale dipendenza dello stato, agiscono di fatto su istruzioni dello stato, o sotto la sua direzione o il suo controllo, nel porre in essere un determinato comportamento;

- Art. 11 : Comportamento che, pur se tenuto da persone od enti non qualificabili come organi statali né abilitate ad esercitare prerogative dell’attività di governo, lo stato abbia “riconosciuto ed adottato come proprio”. Esempio: Stati Uniti-Iran: sequestro del personale diplomatico e consolare nei locali dell’ambasciata americana a Teheran (capitale Iran) ad opera di un gruppo di studenti islamici. La corte distinse due fasi: 1)il comportamento dei privati non era imputabile all’Iran, ma esso era comunque colpevole perché non aveva preso nessun provvedimento; 2)l’Iran era direttamente responsabile in quanto gli organi di vertice dello Stato avevano addirittura approvato pubblicamente il comportamento degli studenti.

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- Inoltre , le persone, gruppi di persone od enti che agiscono di fatto in totale dipendenza dallo stato: organi di fatto. Questo è un caso eccezionale e di difficile realizzazione pratica, di cui il progetto della CDI non si occupa.

- Art.9 : una persona o un gruppo di persone “di fatto esercita prerogative dell’autorità di governo in assenza o in mancanza delle autorità ufficiali ed in circostanze tali da richiedere l’esercizio di quelle prerogative”. Anche qui si può parlare di organi di fatto. (Es. durante i conflitti quando il governo viene meno).

Cosa deve fare lo stato?Art. 30: porre fine all’atto e offrire assicurazioni di non ripetizione.Art. 31: riparare il danno causato (sia esso materiale o morale)Riparazione del pregiudizio Art. 34: la riparazione: restituzione, risarcimento e soddisfazione; Art. 35: restituzione della situazione che c’era prima dell’illecito; Art. 36: risarcimento del danno; Art. 37: soddisfazione può consisrere nel riconoscimento della violazione o scuse ufficiali e dev’essere proporzionata e non umiliante per lo Stato responsabile.

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE19 e 26 novembre 2013 (appunti + riassunto capitolo 20)

L’autotutela può definirsi come la capacità di farsi giustizia da sé. Nel diritto interno non è prevista, è un fatto eccezionale ma nel diritto internazionale è la regola generale. L’autotutela rappresenta il modo in cui gli stati provvedono in maniera decentrata all’attuazione coercitiva del diritto internazionale. Fino a non molto tempo fa, la forma principale di autotutela era il ricorso alla guerra o alla forza armata. Ora non più: le forme principali di autodifesa sono le contromisure e la legittima difesa. La parte III del progetto della CDI disciplinano le contromisure, mentre la legittima difesa è regolata dall’art. 51 della carta dell’ONU. Uno stato può utilizzare la forza armata solo nel caso della legittima difesa, che si verifica quando lo stato è vittima di un attacco armato altrui, inoltre la legittima difesa si può utilizzare solo fin quando il CdS non ha preso le misure necessarie.Il termine contromisura o rappresaglia è un comportamento dello stato che in sé è contrario ad un obbligo internazionale dello stato stesso, ma che diviene lecito se lo stato vi ricorre per reagire ad un illecito altrui, allo scopo di indurre l’autore a cessare l’illecito. La contromisura è diversa dalla ritorsione, la ritorsione è un comportamento in sé lecito che non richiede nessuna giustificazione, es. rottura relazioni diplomatiche. Il presupposto necessario per una contromisura è l’illecito altrui.Contromisure Art. 22 ci riporta alla parte III cap. II. Art. 49: Obiettivo delle contromisure: indurre lo stato a conformarsi ai propri obblighi, le contromisure devono essere limitate nel tempo (solo durante il periodo dell’illecito e devono cessare quando lo stato cessa l’illecito, vedi Art. 53), Inoltre le contromisure devono essere adottate in modo tale da permettere la ripresa degli obblighi. Art. 50: disciplina le contromisure inammissibili . Le contromisure sono illecite se hanno carattere umanitario (non devono violare norme del dir. int. di guerra), se vanno contro a norme imperative (jus cogens), se violano i diritti umani fondamentali e se utilizzano la minaccia o l’uso della forza armata. Inoltre, si tende a considerare inammissibili le contromisure relative ai rapporti diplomatici e consolari per evitare che questi membri si trasformino in “ostaggi” in caso di illeciti, vedi art. 50 par 2b “uno stato che adotta contromisure non è esentato dall’adempiere al proprio obbligo di rispettare l’inviolabilità degli agenti, dei locali, degli archivi e dei documenti diplomatici consolari. Infine, le rappresaglie belliche sono limitatamente consentite, ma non devono violare norme del diritto internazionale dei conflitti armati.Art. 51: Caratteristica della proporzionalità: La controversia deve essere proporzionale al pregiudizio subito, tutto ciò che andrà oltre sarà illecito internazionale. Le contromisure, però, non devono per forza essere “reciproche” e quindi violare lo stesso obbligo.Il rapporto tra l’adozione di una contromisura e gli obblighi relativi alla soluzione delle controversie internazionali è sempre stato controverso in dottrina e nella prassi internazionale.Il Progetto cerca di attenuare l’incertezza, l’Art. 43 lo stato leso deve comunicare allo stato responsabile che ha intenzione di far valere la sua responsabilità internazionale, inoltre deve specificare il comportamento che lo stato responsabile dovrebbe tenere per porre fine all’illecito e la forma che dovrebbe assumere la riparazione. L’art. 52 precisa che lo stato leso deve offrirsi di negoziare con lo stato responsabile: parlarsi per cercare di arrivare ad una soluzione, ma lo stato offeso può adottare le contromisure “urgenti”,

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necessarie per non aggravare l’illecito, ancora prima di invitare lo stato responsabile a cessare l’illecito. Inoltre, l’art precisa che non si possono utilizzare contromisure solo quando a) la controversia sia pendente dinanzi ad una corte o a un tribunale (o la controversia pende dinanzi ad una

corte o la controversia è stata deferita ad una corte/tribunale) che abbia il potere di adottare decisioni vincolanti per le parti in causa/in lite b) l’illecito è cessato. L’Art. 55 Lex Specialis del progetto chiarisce che le regole in esso codificate sono regole generali che non si applicano se e nella misura in cui esistano norme speciali (queste norme generali possono essere derogate da norme speciali). Infatti, gli stati parti di un trattato possono limitare convenzionalmente il diritto di adottare contromisure in caso di violazione di quel trattato da parte di uno di essi. Così fanno, per esempio, l’UE e il WTO. Quest’ultimo considera il ricorso a contromisure l’”ultima risorsa” e per utilizzarle bisogna chiedere l’autorizzazione all’organismo per la soluzione delle controversie, organo a composizione plenaria.Le contromisure collettive sono ammesse da una parte della dottrina, l’altra parte rimane un po’ restia. Sicuramente in presenza di un attacco armato è ammessa la legittima difesa collettiva. Il Progetto della CDI non si applica alle contromisure collettive. Il diritto internazionale prende in considerazione l’uso della forza armata da parte degli stati da due punti di vista: a) le norme che stabiliscono quando è lecito ricorrere alla forza armata (ius ad bellum) b) le norme che disciplinano lo svolgimento del conflitto armato (ius in bello). Entrambe le categorie hanno subito una forza evoluzione nel tempo e quindi distinguiamo 3 fasi: 1) il diritto internazionale non vietava l’uso della forza armata e gli stati erano liberi di ricorrere alla guerra (ius ad bellum), per quanto riguarda il ius in bello il diritto internazionale di guerra comportava la sospensione del diritto internazionale di pace e quindi l’uso della forza armata non richiedeva giustificazioni. 2) l’uso della forza al di fuori della guerra non poteva considerarsi libero e doveva essere giustificato sul piano giuridico (ius ad bellum), inoltre l’uso della forza armata al di fuori della guerra comportava la non necessaria applicazione dello ius in bello. 3) per quanto riguarda il ius ad bellum: tendenza a limitare i casi in cui l’uso della forza armata nei rapporti internazionali è ammessa, la carta dell’ONU dice che il divieto dell’uso della forza è divenuto generale e indipendente dalla sua qualificazione come “guerra” in senso tecnico, con poche eccezioni tra cui la legittima difesa. Inoltre, a partire dal secondo dopoguerra il diritto di guerra (ius in bello) si applica a qualsiasi conflitto armato. C. Onu Art. 2(4): divieto dell’uso della forza. Successivamente la norma diventò consuetudinaria e oggi è cogente. Anche il divieto della semplice minaccia dell’uso della forza è una norma cogente. Una parte della dottrina ritiene che non vi sia perfetta coincidenza tra norma consuetudinaria e norma cogente (infatti, quest’ultima si limita a vietare l’aggressione), tutti sono d’accorso sul fatto che la norma consuetudinaria coincide con l’Art.2(4) C.Onu.In linea di principio è vietato solo l’uso della forza “nelle relazioni internazionali”, il significato di questa frase non è chiarissimo, infatti alcuni credono che è vietata la forza nei rapporti tra gli stati, altri affermano che bisogna far attenzione al luogo dove l’atto è commesso: in quest’ottica l’uso della forza non è vietato all’interno di uno stato ma lo è al di là del territorio statale. Infine, una parte della dottrina afferma che l’uso della forza in territorio altrui con il consenso del sovrano territoriale non è illecito, perché non si tratta di aggressione.Eccezioni: CdS può decidere di adottare misure implicanti l’uso della forza. Inoltre, anche la legittima difesa individuale e collettiva è un’eccezione (Art. 51 C. Onu). Il presupposto della legittima difesa , ovvero la nozione di attacco armato, è molto incerto. In primo luogo, alcuni stati e una parte della dottrina ritengono che sia ammesso il ricorso alla forza quando l’attacco, pur non essendo ancora giunto a destinazione, è però già iniziato (“anticipatory self-defence”, che è diversa dalla “pre-emptive self-defence” la quale è stata inventata dalla “dottrina Bush” e dice che si ha il diritto di ricorrere alla forza in tutti i casi in cui gli “stati canaglia” (stati che costituiscono un pericolo per la pace internazionale) mettano in pericolo la pace internazionale, in particolare mediante armi di distruzione di massa o l’appoggio al terrorismo. Es. Iran costruisce un arsenale con il

quale potrebbe attaccare USA, gli USA possono distruggere l’arsenale per evitare l’attacco ). In secondo luogo, qualcuno crede che per poter utilizzare la legittima difesa sia necessaria una violazione particolarmente qualificata e grave del divieto all’uso della forza, come un atto di aggressione(la CiG ha distinto le forme più gravi da quelle meno gravi e ciò è stato molto criticato) In terzo luogo, alcuni stati deducono la possibilità di invocare la legittima difesa in presenza di un attacco proveniente da un ente non statale, in particolare nel caso di un attacco terroristico

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proveniente dall’esterno dello stato. Ma, la CiG, ha recentemente affermato che la legittima difesa può invocarsi solo nel caso di “attacco da uno stato contro un altro stato” e quindi la legittima difesa può essere invocata per reagire ad un attacco terroristico solo se la condotta dei terroristi è imputabile allo stato in cui i terroristi erano stanziati. (Aggressione indiretta: invio da parte (o per conto di uno stato) di bande armate, gruppi, irregolari o mercenari, che commettano atti di forza armata contro un altro stato di gravità tale da costituire un atto di aggressione. In questo caso è possibile invocare la legittima difesa)Criteri che l’uso della forza deve presentare per poter essere giustificabile come legittima difesa: Criterio della necessità: l’uso della forza deve essere utilizzato per reagire ad un attacco armato. Criterio della proporzionalità: l’uso della forza deve essere proporzionato. Criterio dell’immediatezza: lo stato leso deve reagire subito altrimenti una reazione tardiva potrebbe configurarsi come una rappresaglia armata, in quanto tale illecita. Inoltre, la legittima difesa deve cessare se il CdS intraprende le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, quali siano tali misure è molto discusso in dottrina. Infine, la legittima difesa può anche essere collettiva, nel senso che è ammesso l’intervento di altri stati a fianco della vittima dell’attacco armato per aiutarla a difendersi. Per invocare questa forma di legittima difesa è necessaria una richiesta da parte dello stato vittima. Gli stati terzi non sono obbligati ad intervenire, a meno che non siano parte di un trattato di alleanza militare che prevede l’obbligo di intervenire (es. Trattato di Washington 1949 che ha istituito la NATO, anche l’UE attraverso il trattato di Lisbona 2007).Altre eccezioni: L’intervento a protezione dei cittadini all’estero, esso consiste nell’intervento militare in territorio altrui per mettere in salvo i cittadini dello stato interveniente che si trovino in pericolo e lo stato territoriale non è in grado, o non vuole, reagire. L’intervento di umanità consiste nell’intervento militare in territorio altrui per reagire a gravi violazioni dei diritti dell’uomo da parte dello stato territoriale o commesse in tale Stato senza che questo sia in grado di intervenire.Il diritto internazionale di guerra è composto da norme consuetudinarie in gran parte codificate in una serie di convenzioni, tra le quali vanno ricordate almeno le tredici convenzioni dell’Aia del 1907 (si occupano dei mezzi e dei metodi di combattimento) e le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 (si occupano della protezione delle persone che si trovano fuori combattimento).Le norme del diritto di guerra hanno uno scopo umanitario. L’espressione diritto internazionale umanitario indica il diritto internazionale di guerra e il diritto internazionale dei conflitti armati. Attualmente il ius in bello si applica a qualsiasi conflitto armato internazionale, quindi regola anche i conflitti armati interni, nei quali è necessario che l’uso della forza sia qualificabile come un conflitto armato (non devono essere atti isolati o sporadici. L’Art. 3 comune alle convenzioni di Ginevra del 1949, per la prima volta ha dettato alcune regole minime da rispettare in caso di conflitto armato non internazionale. II protocollo addizionale del 1977 disciplina i conflitti armati interni in modo più dettagliato (e parla anche degli insorti).Il ius in bello si caratterizza per l’eguaglianza dei belligeranti, nel senso che tutte le parti del conflitto, internazionale o interno, devono rispettare il diritto dei conflitti armati, infatti le violazioni sono crimini di guerra e comportano la responsabilità penale individuale dell’autore. Ma solo nei conflitti internazionali i membri delle forze armate degli stati belligeranti sono legittimi combattenti (nei conflitti interni no) e quindi, in caso di cattura, possono godere dello status di prigionieri di guerra e non possono essere puniti per il fatto in sé di aver preso parte al conflitto. Per questo motivo, il I protocollo del 1977 addizionale alle convenzioni di Ginevra, ha equiparato ai conflitti internazionali le guerre di liberazione nazionale, cioè i conflitti armati in cui i popoli lottano contro la denominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro regimi razzisti, nell’esercizio del diritto di autodeterminazione dei popoli, ma essa non è una norma consuetudinaria. La prassi recente mostra la tendenza ad individuare un ulteriore tipo di conflitto armato: guerra del terrorismo, proclamata da Bush il 12 settembre 2001. Essa non è facilmente inquadrabile nella distinzione tra conflitti internazionali e conflitti interni ed è, in teoria, regolata esclusivamente dal diritto consuetudinario ma la giurisprudenza internazionale tende a considerare l’art. 3 come una norma che si applica a qualsiasi conflitto armato non regolato da norme più dettagliate.ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE22 novembre 2013 + riassunto capitolo 17

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Controversia internazionale: è un disaccordo su un punto di diritto o di fatto, una contraddizione, un’opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti. Le controversie sono divise in politiche (si fondano su criteri non giuridici come la giustizia e l’equità) e giuridiche, in cui le parti fanno fede al diritto internazionali, la differenza è pressoché irrilevante. La nascita di una controversia internazionale e l’estinzione sono dei fatti storici, invece la soluzione della controversia è una nozione giuridica e produce una valutazione giuridicamente vincolante.Una controversia può nascere a) quando uno stato avanza una pretesa e un altro stato, che si vede leso, vi si oppone oppure b) quando uno stato tiene un determinato comportamento che è lesivo per un altro stato, il quale eleva una protesta. Una controversia può estinguersi quando a) il primo stato rinuncia alla pretesa o quando il secondo riconosce che la pretesa è fondata oppure b) quando lo stato leso smette di protestare per il comportamento, il quale forse non era lesivo. C) gli stati possono mettersi d’accordo su come risolvere la controversia . La soluzione deve sempre presupporre l’accordo delle parti ed essa non si traduce sempre nell’accertamento del diritto, per esempio se gli stati raggiungono un accordo risolutivo della controversia siamo in presenza di un accordo che crea nuovo diritto nei rapporti tra le parti (non è un atto di accertamento del diritto).Spesso, gli stati anziché risolvere la controversia direttamente, scelgono un mezzo di soluzione che comporta l’intervento di un terzo imparziale: I MEZZI DIPLOMATICI E I MEZZI ARBITRALI O GIUDIZIALI. Mezzo diplomatici: al termine del procedimento non si arriva ad una sentenza vincolante ma ad un accordo/ soluzione/compromesso tra le parti. Il principale tra i mezzi diplomatici è il negoziato (ovvero un incontro per raggiungere un accordo, esso è detti anche composizione amichevole della controversia). Inoltre, altri mezzi diplomatici sono i buoni uffici, la mediazione, la conciliazione e l’inchiesta. Questi metodi prevedono l intervento di un terzo, il quale di solito è uno stato. I buoni uffici: il terzo si limita a favorire l’inizio di un negoziato, spesso i buoni uffici sfociano nella.. Mediazione: lo stato terzo svolge la funzione di mediatore, partecipa al negoziato e cerca di fare in modo che il negoziato vada a buon fine, ma non propone soluzioni, cerca semplicemente di facilitare l’accordo. Se lo stato interviene e suggerisce alle parti la soluzione, lo stato svolgerà il ruolo di conciliatore e quindi stiamo parlando del metodo della conciliazione. Essa è simile all’arbitrato, viene spesso costituita una commissione di conciliazione composta da giuristi o esperti, però la differenza sta nel fatto che la conciliazione produce solo raccomandazioni e l’arbitrato ha carattere vincolante. (Se una conciliazione si conclude con un atto vincolante, in verità, è un arbitrato.) Inchiesta: simile alla conciliazione, la differenza tra le due consiste nel compito del terzo, che in questo caso si limita solo a procedere ad un accertamento imparziale dei fatti che sono alla base della controversia, senza fornirne una valutazione.I mezzi diplomatici sono molto diversi dai mezzi arbitrali o giudiziali.I mezzi arbitrali o giudiziali: anche questi mezzi prevedono l’intervento di un terzo, il quale ha il ruolo di accertare il diritto in quel caso specifico e valutare se uno dei due stati ha violato una norma internazionale che avrebbe dovuto osservare. Le parti “litiganti” si presentano davanti alla corte come: stato ricorrente e stato convenuto. Questi mezzi forniscono valutazioni con carattere vincolante per le parti.Se il tribunale viene costituito ad hoc per risolvere quella determinata controversia e le parti possono decidere chi le giudicherà è un mezzo arbitrale. Non ci saranno giudici, ma arbitri: i quali avranno lo stesso ruolo dei giudici e dovranno essere imparziali. Sarà un tribunale arbitrale. L’accordo, detto compromesso arbitrale, con cui le parti di una controversia decidono di ricorrere all’arbitrato, deve indicare il collegio arbitrale e di solito anche le regole di procedura che l’arbitro dovrà seguire per arrivare alla sentenza finale. Il tribunale arbitrale non emana una sentenza ma un LODO. (award in inglese) sentenza e lodo hanno lo stesso significato.Se la corte (o il tribunale) esiste prima della controversia è un mezzo giudiziale, in questo caso le parti decidono solo a quale corte appellarsi. Il primo vero tribunale precostituito fu la Corte Permanente di giustizia internazionale, creata dalla Società delle Nazioni, a questa corte è poi subentrata la Corte internazionale di Giustizia.(Un altro es. è il tribunale internazionale del diritto del mare)Se lo stato convenuto è inadempiente e la sentenza è vincolante (anche se spesso non esiste un metodo per farla rispettare) si tratta di attuazione coercitiva del diritto: nel diritto interno se ne occupano gli agenti di polizia, ma nel diritto internazionale non esiste un corpo di polizia internazionale. Comunque, la differenza tra l’arbitrato e il regolamento giudiziale è minima.

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Spesso capita che una controversia rimanga irrisolta per molto tempo. In ogni caso, esiste l’obbligo di soluzione pacifica delle controversie internazionali, non si può ricorrere alla forza armata (art. 2(3) C. Onu). Inoltre, l’art. 33 C. Onu sancisce il principio della libertà di scelta dei mezzi di soluzione delle controversie internazionali. Nessuno può imporre alle parti una soluzione o un mezzo di soluzione, solo il CdS ha il potere di intromettersi ma può fare delle semplici raccomandazioni per facilitare l’accordo.Infatti, una controversia internazionale può essere risolta tramite mezzi arbitrali o giudiziali solo se le parti in causa hanno espresso il proprio consenso/hanno manifestato di accettare la competenza del tribunale in questione. Ma, l’accordo con cui le parti scelgono un mezzo di soluzione può essere anche preventivo, cioè precedere alla controversia. Il ricorso all’arbitrato o al regolamento giudiziale può essere obbligatorio in virtù di:1)TRATTATO GENERALE: è un trattato che prevede che tutte le controversie future che insorgano tra le parti devono essere risolte con l’arbitrato o regolamento giudiziale. Il trattato può essere incompleto o completo. E’ incompleto quando è necessario un accordo successivo per obbligare lo stato a ricorrere ad un mezzo arbitrale o giudiziale, se non è necessario è completo. Un esempio è la Convenzione europea del 1957, fatta nell’ambito del Consiglio d’Europa, sul regolamento giudiziario delle controversie internazionali. Nella quale c’è un elenco di controversie rispetto alle quali le parti accettano di andare di fronte alla Corte. Questo genere di trattato non ha molto successo.2)CLAUSOLA COMPROMISSORIA ALL’INTERNO DI UN TRATTATO DI MATERIA SPECIFICA o CLAUSOLA ARBITRALE O DI REGOLAMENTO GIUDIZIALE: disposizione contenuta in un trattato internazionale con la quale si afferma che ogni controversia futura relativa alla interpretazione ed applicazione del trattato sarà risolta con mezzi arbitrali o giudiziali. Esiste la facoltà di opting-out: stato contraente del trattato può dichiarare di non accettare la clausola compromissoria.Es. Art. 10 dell’Accordo tra Italia e Guatemala sulla promozione e protezione degli investimenti (vedi pag. 183 di Casi&Materiali): in caso di controversia, gli stati la risolveranno attraverso mezzi diplomatici, se entro 3 mesi la controversia non è stata risolta si istituirà un tribunale arbitrale ad hoc costituito da 2 membri (1 nominato dall’Italia e 1 dal Guatemala) e un presidente (un cittadino di uno stato terzo selezionato dai 2 membri). Il tribunale delibererà con voto di maggioranza e con lodo vincolante. Se le parti non rispetteranno le scadenze per le nomine, esse saranno compito del presidente della CIG o del Vice presidente della CIG.3)PROTOCOLLO ADDIZIONALE: è un trattato distinto che stabilisce che in caso di controversie la soluzione sarà risolta con mezzi arbitrali o giudiziali (gli stati non sono obbligati a ratificare questo protocollo, questo è quindi un esempio meno significativo). In alcuni settori assai importanti del diritto internazionale, esistono dei trattati multilaterali che prevedono, senza possibilità di “opting out” o riserve, dei procedimenti di soluzione di tipo arbitrale o giudiziale o, comunque, ad esito vincolante per le parti. Es. diritto internazionale del mare e diritto internazionale del commercio (WTO). Nell’ambito di OI sono talvolta previsti dei meccanismi di soluzione delle controversie obbligatori per i membri aventi lo scopo di facilitare un accordo tra le parti, questi procedimenti possono classificarsi tra i mezzi diplomatici, ma a volte anche tra quelli arbitrali o giudiziali. Per quanto riguarda l’ONU, lascia gli stati liberi di risolvere le loro controversie con mezzi di loro scelte, ma per le controversie che potrebbero costituire un pericolo per la pace e per la sicurezza internazionale interviene il CdS, ma interviene con delle raccomandazioni e quindi l’intervento del CdS va classificato tra i mezzi diplomatici. Ben diverso è il caso della WTO…

Esistono attualmente vari trattati che predispongono dei meccanismi di accertamento che possono essere attivati indipendentemente dall’insorgere di una controversia tra le parti: Trattati relativi alla protezione dei diritti dell’uomo, alla protezione dell’ambiente e al disarmo o controllo degli armamenti.

In alcuni casi si tratta di procedimenti di controllo aventi lo scopo di verificare e facilitare l’osservazione degli obblighi derivanti dal trattato, anche per prevenire eventuali controversie. Questi procedimenti non hanno carattere vincolanti e possono realizzarsi con esami di rapporti periodici o con invio di ispezioni sul posto. Es. competenze dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) in materia di non proliferazione delle armi nucleari.

In altri casi si tratta di procedimenti contenziosi che coinvolgono uno stato e un individuo, es. Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU)

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In altri casi ancora, si tratta di procedimenti penali che vedono gli individui in veste di imputati dinanzi a tribunali penali internazionali.

Infine, può trattarsi di procedimenti che mirano soprattutto ad accertare la corretta applicazione (osservazione) delle norme relative all’ordinamento interno di un OI. Es. Competenze della Corte di giustizia dell’UE: tra le sue competenze deve anche accertare, con sentenze vincolanti, il corretto adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’UE da parte di ciascun membro, inoltre la competenza della corte è esclusiva.

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE25 novembre 2013

Controversie nell’ambito della WTO (OMC) (vedi documento su Ariel)Regola generale: Art. 95 ONU è una clausola di compatibilità, dice che non sempre ci si deve rivolgere alla CIG per risolvere controversie, o comunque non solo a lei.WTO ha un meccanismo di soluzione delle controversie commerciali internazionali molto originale e complesso ma di tipo sostanzialmente giudiziale, in quanto si conclude con una valutazione vincolante. Questo meccanismo è regolato dal “Dispute Settlement Understanding” (in italiano: Intesa sulle norme e le procedure per la soluzione delle controversie), esso è un accordo allegato al trattato istitutivo ma vincolante per tutti gli stati membri. Quindi, gli stati membri non possono seguire le norme generali che si applicano agli illeciti (per es. non possono utilizzare contromisure), essi devono seguire l’intesa, la quale ha l’obiettivo di far giungere i 2 stati “litiganti” ad una soluzione positiva e soddisfacente per entrambi. Procedimento: L’intesa lascia gli stati liberi, in caso di controversia, di raggiungere direttamente ad una soluzione o di scegliere quale mezzo utilizzare, Art.5: Buoni uffici, conciliazione e mediazione possono essere seguiti se lo stato decide di farlo. Tuttavia, in assenza di soluzione concordata entro 10 giorni, si procede alla costituzione di un PANEL. Se le consultazioni iniziano ma la controversia non si risolve entro 60giorni si può istituire un PANEL. (Art. 10)Art. 6: il PANEL è composto da 3 o 5 individui indipendenti (esperti di dir. Int.) proposti dal segretariato della WTO e accettati dalle parti in causa. Il Panel valuta la controversia attraverso una valutazione oggettiva e inoltre offre soluzioni reciprocamente soddisfacente. Art. 11Contro la relazione del Panel, una parte della controversia può proporre appello ad un Organo di appello permanente composto da 7 esperti di diritto internazionale, di cui 3 si occupano di ogni singolo caso, che ha il compito di riesaminare il rapporto del Panel e proporre a sua volta una soluzione della controversia. Quindi, in questo caso, c’è un doppio grado di giudizio. Le decisioni (non possono essere chiamate sentenze) dell’organo di appello e dei Panel per essere vincolanti devono essere approvate dall’organo politico: composto dai rappresentanti degli stati a livello ministeriale: ORGANO PER LA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE (in inglese, Dispute Settlement Body DSB). Il Panel è costituito da quest’organo. Il rapporto si intende adottato a meno che, entro 60 o 30 giorni rispettivamente, questo organismo non decida di non adottarlo: consensus negativo (in inglese, inverted consensus). Ciò è poco probabile.Art. 19: afferma che se un membro interessato è inadempiente si possono adottare contromisure, che però non possono avere carattere punitivo e non possono essere adottate unilateralmente.

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE25 novembre 2013 + riassunto capitolo 18

LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIAA seguito della nascita dell’ONU, la corte internazionale di giustizia è subentrata alla corte permanente di giustizia internazionale. Quest’ultima fu il primo tribunale precostituito per la soluzione delle controversie tra Stati ed era stata istituita con un protocollo del 16 dicembre 1920 come organizzazione distinta dalla società delle nazioni. Al contrario, l’Art. 7 C. ONU elenca la corte internazionale di giustizia tra gli organi principali e nell’Art. 92 la definisce come “il principale organo giurisdizionale” dell’ONU. Forse la corte era l’unico organo giurisdizionale. E’ importante ricordare che la corte non è il tribunale dell’ONU. Fino al 1949 esisteva anche il Tribunale Amministrativo, oggi è sostituito dal Tribunale delle Nazioni Unite per le Controversie a cui è stato affiancato anche un Tribunale d’Appello. La principale funzione della corte è quella di risolvere le

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controversie tra stati. Non è stata attribuita alla corte una giurisdizione obbligatoria per la soluzione delle controversie tra gli stati membri dell’ONU. La corte può considerarsi come un organo che sbolge un ruolo di servizio per gli Stati che scelgano di risolvere le loro controversie mediante il regolamento giudiziale, non è obbligatorio rivolgersi alla corte! Inoltre, il ruolo della corte non è esclusivo. La corte è regolata da un suo proprio statuto, il quale è annesso alla C. Onu però è un trattato internazionale distinto, infatti anche stati non membri dell’ONU possono “aderire” allo statuto. Per divenire parte dello statuto è necessario che ci sia prima una risoluzione dell’AG che determini le condizioni per l’adesione, su proposta del CdS. La corte internazionale di giustizia è composta da individui, infatti i membri sono giudici o studiosi del diritto internazionale ed essi sono scelti senza riguardo alla loro nazionalità. I giudici sono 15, sono eletti ogni 9 anni e sono rieleggibili. Essi godono dell’immunità giurisdizionale. L’elezione dei membri è assai complessa, è necessario che sia l’AG sia il CdS siano d’accordo (almeno 8 voti su 15 favorevoli senza diritto di veto). Poi, la corte eleggerà il Presidente e il Vice Presidente, i quali rimarrano in carica per 3 anni ma sono rieleggibili. Inoltre la corte deve nominare un cancelliere e gli altri funzionari. La corte esercita le sue funzioni in adunanza plenaria, con un quorum di 9 giudici. Art. 31 consente a ciascuna parte della controversia di nominare un giudice ad hoc per la trattazione del processo se il collegio giudicante non comprende un giudice della sua nazionalità. La corte ha sede all’Aia. Essa ha due funzioni: 1)la funzione consultiva, 2)la funzione contenziosa

1) La funzione consultiva: Art. 69 C. Onu prevede che AG e CdS possono chiedere pareri alla corte, questi pareri non sono vincolanti ma sono degli importanti mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche. Gli altri organi dell’ONU (es. Segretariato generale) e le “istituzioni specializzate” (si chiamato così perché esiste un accordo tra ONU e questa

OI, il trattato è concluso per le NU dall’ECOSOC consiglio economico e sociale delle NU - vedi Art. 57) possono chiedere pareri alla corte solo se si tratta di questioni giuridiche che sorgano “nell’ambito della loro attività” e prima devono ottenere l’autorizzazione dell’AG. Es. L’organizzazione mondiale sulla sanità (WHO) aveva chiesto alla corte un quesito sulla liceità delle armi nucleari, in particolare chiedeva se avrebbero potuto causare dei danni alla salute. La corte si rifiutò di rispondere perché non le armi nucleari non sono materia di competenza della WHO. Successivamente l’AG chiese un parere analogo alla Corte, la quale rispose. Gli stati non possono mai chiedere pareri alla corte.

2) La funzione contenziosa: Art. 34: Solo gli stati possono essere parti di un processo dinanzi alla corte diretto alla soluzione di una controversia mediante una sentenza vincolante. La giurisdizione della Corte non è obbligatoria ma dev’essere accettata dalla parti di una controversia (uno stato può anche decidere di avvalersi dell’immunità giurisdizionale e quindi la Corte non può giudicarla). L’accettazione della giurisdizione della corte può anche essere preventiva rispetto all’insorgere della controversia, in tal caso non è necessario che le parti si accordino per rivolgersi alla Corte, quest’accordo si chiama “accordo speciale o ad hoc di regolamento giudiziale” (simile al compromesso). Se entrambi le parti hanno accettato preventivamente la giurisdizione è possibile deferire la controversia alla corte tramite un “atto unilaterale” (“requete” in francese, “application” in inglese). In alcuni casi è successo che il processo si sia instaurato in contumacia: in assenza dello Stato Convenuto. Gli strumenti mediante i quali la giurisdizione della Corte può essere accettata preventivamente dagli Stati sono a) trattato generale; b) clausola compromissoria; c) dichiarazione unilaterale di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte (chiamata anche clausola facoltativa di giurisdizione obbligatoria della CiG) > leggi Art. 36. L’accettazione può essere parziale e può riguardare solo alcune categorie di controversie o escluderne alcune, inoltre può anche essere fatta per un determinato periodo di tempo. Attualmente 67 stati hanno effettuato una dichiarazione di questo tipo (Italia NO).

Lo svolgimento del processo è regolato da un Regolamento di procedura. Il processo ha una fase scritta e una fase orale e le lingue processuali sono l’inglese e il francese. (Il processo può anche ammettere la presenza di un terzo stato nel processo, il quale non sempre può intervenire)La corte ha il potere di indicare delle misure cautelari di carattere vincolante > Art. 41. Quindi, a differenza dei pareri, le sentenze della Corte sono atti vincolanti per le parti della controversia > Art. 94. Normalmente le sentenze sono atti di accertamento del diritto, in quanto la corte applica il diritto internazionale. Le parti possono chiedere alla corte di agire, anziché secondo

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diritto, secondo equità (ex aequo et bono): in questo caso la sentenza (detta sentenza dispositiva) sarà un atto normativo > Art. 38 Ma, questo non è si è mai verificato. Inoltre, quello che dice la corte non può essere sottoposto a nessun esame, si dice quindi che c’è unico grado di giurisdizione. E’ possibile solo la revisione nel caso in cui sorgano dei fatti nuovi > Art. 61. Se un paese non rispetta il parere della CiG, l’altra parte può rivolgersi al CdS, il quale ha la facoltà di fare raccomandazioni o di decidere le misure da prendere per far eseguire la sentenza > Art. 94(2), tale articolo non è mai stato applicato.

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE26 novembre 2013 + riassunto capitolo 21

Art. 24 C. Onu: Consiglio di Sicurezza ha la “responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. I poteri specifici del CdS sono disciplinati nel Cap VI C. Onu e nel Cap VII C. Onu. Il Cap VI “soluzione pacifica delle controversie”: si occupa della soluzione pacifica delle controversie che sono suscettibili di compromettere la pace e la sicurezza internazionale. L’Art. 2(3) obbliga il CdS a risolvere in modo pacifico le controversie tra gli stati. L’Art. 33 afferma che gli stati devono risolvere la controversia mediante mezzi pacifici, arbitrali e giudiziali o altri mezzi pacifici di loro scelta, il CdS se lo ritiene necessario può raccomandare le parti ad utilizzare uno di quei metodi (non è importante quale). Nell’Art. 36(1) il CdS può raccomandare un metodo ben preciso per risolvere la controversia (es. può raccomandare di nominare un conciliatore). Nell’Art. 37(2) il CdS può raccomandare i TERMINI DI REGOLAMENTO alle parti in lite (cioè il CdS raccomanda la soluzione che dovrebbe essere presa). Nei 3 casi ci sono sempre delle raccomandazioni, ma cambia l’oggetto. Inoltre, la C. Onu dice che il membro del CdS che è parte della controversia deve astenersi dal voto. Il Cap. VII “azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione”: riguarda la rimozione delle minacce alla pace e la repressione degli atti di aggressione e delle altre violazioni alla pace. L’Art. 39 afferma che per prima cosa il CdS deve accertare l’illecito e può adottare raccomandazioni ma anche decisioni vincolanti: fonti previste da accordi. L’Art. 40 indica che il CdS può raccomandare misure provvisorie, sono quelle misure necessarie per prevenire l’aggravarsi della situazione. Es.richiesta di cessare il fuoco, richiesta di liberazione di prigionieri politici o chiedere agli stati terzi di astenersi dall’appoggiare la parti coinvolte. L’Art. 41 dice che il CdS può raccomandare o decidere quali misure non implicanti l’uso della forza debbano essere adottate. (se sono decisioni sono fonti previste da accordi) Quest’articolo contiene un elenco, invita i membri dell’Onu ad interrompere totalmente o parzialmente le relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree ecc.. queste soluzioni dovrebbero avere una durata temporanea ma in certe situazioni, es. terrorismo, hanno una durata tendenzialmente illimitata. Un altro es. è la “Ris. 1170” del 2001 sulla Libia, qui il CdS ha agito in virtù del Cap. VII ai sensi dell’Art. 41. L’Art. 42 indica che se il CdS ritiene che le misure previste dall’Art. 41 si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere ogni azione militare per risolvere la soluzione/controversia, “con forze aeree, navali e terrestri”. L’Art. 43 impone agli stati membri l’obbligo di stipulare accordi con l’Onu (Pactum de Contrahendo) mediante i quali gli stati avrebbero dovuto assumersi l’obbligo di mettere a disposizione del CdS le forze armate, e l’assistenza per lo svolgimento di un’azione implicante l’uso della forza. L’Art. 47 dice che esiste un comitato di stato maggiore delle NU per aiutare il CdS in queste situazioni. Questi ultimi 3 articoli non sono mai stati applicati e i trattati del’art. 43 non sono mai stati stipulati.Confrontando questi due capitoli.. (premettendo che:il sistema opera solo quando c’è il consenso delle grandi potenze, ovvero i 5 membri permanenti) emerge che nel Cap. VI un membro del CdS deve astenersi se è parte della controversia, ma un obbligo di astensione corrispondente non esiste nel Cap. VII: quindi non può intraprendersi un’azione coercitiva senza il consenso delle grandi potenze e neanche contro le grandi potenze. Inoltre nel Cap. VI il CdS può adottare solo raccomandazioni, invece, nel Cap. VII raccomandazioni e decisioni vincolanti. L’AG, in queste situazioni, può solo fare raccomandazioni agli Stati e al CdS ma non può intraprendere azioni coercitive. Definizioni… Minaccia alla pace: è una nozione molto ampia e (difficilmente riconoscibile) potrebbe riguardare un comportamento statale suscettibile di provocare un conflitto armato

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internazionale, un comportamento di soggetti non statali, situazioni interne ad uno stato, disordini interni o guerre civili. Il CdS intende questa nozione in senso ampio e dice che sono minacce alla pace: la proliferazione di armi di distruzione di massa, il sottosviluppo, i massicci spostamenti di rifugiati, le violazioni dei diritti dell’uomo e gli atti di terrorismo (infine, potrebbe essere costituita da un ultimatum con il quale uno stato afferma che ricorrerà alla forza se un altro stato non si comporta in un certo modo). Violazione della pace: il CdS, raramente, fa riferimento ad una situazione caratterizzata dall’uso della forza armata da parte degli stati. Ma l’ipotesi più grave è quella dell’atto di aggressione, il caso più grave di violazione della pace. L’aggressione è l’uso della forza armata da parte di uno stato contro un altro stato ed è considerata un crimine internazionale che comporterebbe la responsabilità penale dell’individuo responsabile. E’ successo assai raramente che il CdS abbia fatto riferimento ad un aggressione, anche nei casi più eclatanti il CdS si limita ad accertare una violazione della pace o a fare un generico riferimento al Cap. VII. Può capitare che il CdS adotti misure contrarie al diritto internazionale, in questi casi le decisioni del CdS prevalgono e non costituirà, dunque, un illecito la violazione di un trattato per rispettare una decisione del CdS.Missioni di mantenimento della pace (o peace-keeping operations): Sono una vera e propria invenzione delle NU. Esse sono missioni dirette dal Segretariato generale, il quale ha anche il compito di costituire la forza ONU formata da militari messi a disposizione dagli Stati membri. Esse sono molto diverse tra loro, alcune hanno carattere militare, alcune carattere civile, alcune carattere misto ecc.. Qual è il fondamento giuridico di queste missioni? Probabilmente non esiste, si è formata una norma consuetudinaria particolare che vale nell’ambito del Cap. VII (Anche la prof è d’accordo con questa teoria). Il termine peace-keeping ha 2 significati, a seconda del fatto che sia utilizzato in senso tecnico o non tecnico; se lo utilizziamo in senso non tecnico: il termine indica tutte le tipologie di missione che le NU possono dirigere (ma in verità solo una tipologia può dirsi di “peace-keeping”; Senso tecnico: identifica solo una singola categoria di missioni. Le operazioni di peace-keeping possono essere classificate secondo alcuni criteri: criterio temporale: quelle che hanno avuto luogo durante la guerra fredda (di 1° generazione), dopo la guerra fredda (2° generazione) e seconda metà degli anni ’90 (3° generazione). Criterio funzionale(le operazioni sono divise sulla base delle mansioni): operazioni di peace-keeping in senso tecnico, operazioni di peace-keeping (non tecnico) e operazioni di peace-enforcement. Vi è qualche corrispondenza tra i 2 criteri, infatti spesso, ma non sempre, le operazioni di 1° generazione coincidono con operazioni di peace-keeping in senso tecnico ecc.. Operazioni di peace keeping in senso tecnico (1° generazione): La prima operazione di peace-keeping: UNEF 1° in Egitto nel 1956 durante la crisi di Suez (Egitto vs Israele), è un’operazione di peace-keeping tradizionale, queste operazioni (di peace-keeping tecnico) hanno 5 caratteristiche (molto connesse tra loro e difficilmente isolabili): 1) carattere militare (i militari sono i caschi blu), 2) operazioni di osservazione e monitoraggio (i militari garantiscono che un accordo di pace, di tregua ecc.. tra i due ex belligeranti venga osservato, agiscono quindi come “forza cuscinetto”) 3) carattere consensuale (previo consenso stato territoriale) 4) carattere imparziale (i peace-keepers devono essere neutrali e non devono intervenire) 5) l’uso della forza è limitato alla legittima difesa (limited o expanded).Operazioni di peace-keeping di 2° generazione (o operazioni di peace-building): Inizio simbolico: Missione PUNTAG in Namibia (1989). Queste missioni svolgono attività diverse tra loro, dal monitoraggio e l’osservazione all’aiutare lo stato a costruire infrastrutture, strade, aeroporti ecc.., e affiancare e sostenere il governo Sono missioni molto più articolati e molto più complesse. Le forze di pace non sono più solo contingenti militari, infatti ad essi si aggiungono dei funzionari civili, compresa la polizia civile. Queste missioni possono utilizzare la forza solo per legittima difesa. Il peace-building nella forma più elevata diventa amministrazione diretta internazionale di territori: sostituire completamente le autorità nazionali inesistenti, quindi le NU hanno potere legislativo, esecutivo e giudiziario di quel territorio (raramente succede ciò). Quando gli stati sono particolarmente disastrati si istituisce un’amministrazione parziale e transitoria: le autorità nazionali esistono e le NU le affiancano e hanno dei poteri incisivi: attuazione coattiva del diritto, le NU hanno poteri esecutivi diretti, es. se bisogna cercare dei crimali, controllare le frontiere, arresti ecc.. questi compiti vengono svolti dalle NU. Operazioni di peace-enforcement (3° generazione): sono operazioni che in alcuni specifici casi possono utilizzare la forza armata al di là della legittima difesa, ma solo per garantire la

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realizzazione dei loro compiti. Es. operazione UNPROFOR nei Balcani nella prima metà degli anni ’90 e operazione UNOSOM in Somalia negli stessi anni, entrambe sono state dei fallimenti. Peace-keeping robusto: a metà strada tra peace-keeping e peace-enforcement, a seconda della situazione che si trovano davanti decidono se svolgere un’operazione di peace-keeping o se trasformarla in un’operazione di peace-enforcement.Autorizzazione all’uso della forza da parte degli stati. Il CdS può anche decidere di autorizzare gli stati ad usare tutti i mezzi necessari, compreso l’uso della forza armata, per far fronte ad una minaccia alla pace o a una violazione della pace. Vediamo, ora, alcuni tipi di autorizzazioni:In alcuni casi, si è trattato di vere e proprie operazioni belliche condotte contro uno Stato. Es. Ris. 1973 (2011) sulla Libia (Ris. Successiva a quella del 2011, è stata adottata perché la situazione non migliorava) in questa Ris. Il Consiglio autorizzò l’uso di tutte le misure necessarie per proteggere i civili minacciati da attacchi da parte delle forze del regime .10 Stati hanno votato a favore (Tra gli stati che hanno votato contro ricordiamo Brasile, India, Cina, Russia)In altri casi, si è trattato di operazioni coercitive finalizzate a prevenire o reprimere violazioni di misure non implicanti l’uso della forza precedentemente adottate dal CdS: Es. la già citata Ris. 1973 autorizzò anche l’uso delle misure necessarie per creare una “fly zone”, ovvero una zona di interdizione aerea per evitare che gli aerei libici bombardassero il territorio, nonché l’ispezione delle navi in alto mare sospettate di violare l’embardo di armi, precedentemente imposto dal CdS.In altri casi ancora, si è trattato di operazioni militari condotte all’interno di uno stato, ma implicanti l’uso della forza al di là dell’autodifesa personale da parte dei membri delle forze armate coinvolte, è necessario il consenso del sovrano territoriale e quindi queste operazioni sono riconducibili a quelle di peace-keeping. L’autorizzazione ha suscitato dubbi, infatti essa è priva di un’espressa base giuridica, qualcuno fa riferimento alla teoria dei poteri impliciti e qualcuno ad una consuetudine (anche la prof.). La prassi recente di alcuni stati mostra la tendenza ad individuare un’autorizzazione del CdS anche quando essa non è necessaria. Una questione molto delicata è quale dell’ammissibilità di un’autorizzazione implicita, non sembra corretto ed opportuno, l’autorizzazione dovrebbe sempre essere esplicita. Questa questione è strettamente legata a quella della possibilità di una sanatoria successiva, in quest’ottica il CdS potrebbe regolarizzare a posteriori un’operazione. Anche le sanatorie dovrebbero essere esplicite. Un altro problema assai delicato è quello del limite temporale di un’autorizzazione, infatti l’autorizzazione all’uso della forza è stata data in alcuni casi senza limiti temporali espliciti. Nel corso di un’operazione militare dell’ONU può accadere che vengano commessi illeciti internazionali. Per prima cosa bisogna distinguere tra 1)le operazioni condotte direttamente dall’ONU e 2)quelle da essa raccomandate o autorizzate. Nel primo caso esse sono qualificabili come organi sussidiari del CdS e quindi gli illeciti commessi dalle persone che partecipano all’operazione sono imputabili all’ONU. Nel secondo caso, non siamo in presenza di organi sussidiari del CdS e quindi i comportamenti illeciti commessi nel corso dell’operazione non sono imputabili all’ONU ma, semmai, alla coalizione di stati, o alla diversa OI che ha il controllo dell’operazione. Potremmo concludere dicendo che se la persona in questione ha agito sotto il controllo dello Stato nazionale, è questo che ne risponde, se invece ha agito sotto il controllo dell’OI che ha il controllo dell’operazione, l’illecito deve imputarsi a quest’OI. Il Cap. VIII C. Onu “Accordi regionali” è dedicato agli accordi e alle OI regionali che si occupano del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tra esse: Organizzazione degli Stati Americani, l’Unione africana, la Lega araba, l’OSCE. E’ dubbio se vi rientrino l’UE e la NATO. L’Art. 54 dice che il CdS deve essere tenuto pienamente informato dell’azione intrapresa e progettata in base ad accordi regionali o da parte di OI reg. A parte ciò, il Cap. VIII cerca di coordinare l’azione delle OI reg. con quella dell’ONU tenendo fermo il principio che la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale spetta al CdS. L’art. 53 afferma che a) il CdS può utilizzare accordi o OI reg. per svolgere azioni coercitive sotto la sua direzione; b) nessuna azione coercitiva potrà essere intrapresa da OI reg. senza l’autorizzazione del CdS. Ma che cos’è un’azione coercitiva? Alcuni ritengono che sia un’azione non consensuale, ovvero priva del consenso dello stato. Altri, è una qualsiasi azione militare che implichi l’uso della forza al di là dell’autodifesa delle forze armate coinvolte. Infine, la prassi dimostra che spesso le operazioni di mantenimento della pace sono svolte fuori dal contesto ONU

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da coalizioni ad hoc di stati. L’opinione preferibile è che tali operazioni siano lecite se condotte con il consenso del sovrano territoriale.

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALEriassunto capitolo 16 + appunti 29 novembre 2013

L’INDIVIDUO NEL DIRITTO INTERNAZIONALEGli individui in quanto tali non sono membri della società internazionale, essi non hanno la capacità di stipulare accordi regolati dal diritto internazionale e non partecipano alla vita di relazione internazionale, però hanno un ruolo (seppur limitato) nell’attivazione di alcuni procedimenti di accertamento del diritto, previsti in particolare da trattati relativi alla tutela dei diritti dell’uomo.Una parte della dottrina tradizionale tende a negare la soggettività internazionale degli individui (fino a poco tempo fa anche Conforti), possono discendere diritti ed obblighi per l’individuo solo nell’ambito degli ordinamenti interni degli stati e di altri enti internazionali (es. quelli delle OI).La più gran parte della dottrina moderna tende ad ammettere una limitata soggettività internazionale degli individui (ora anche Conforti): gli individui sono destinatari di alcune norme internazionali, per es. quelle relative ai diritti dell’uomo e ai crimini internazionali, che attribuiscono loro diritti ed obblighi.Comunque, la questione ha un rilievo prevalentemente teorico: alcuni dei diritti e degli obblighi di cui si afferma che gli individui sarebbero titolari in base a norme internazionali possono essere fatti valere esclusivamente nell’ambito degli ordinamenti interni degli stati o delle OI (infatti, le norme internazionali, una volta rese applicabili negli ordinamenti interni, possono essere invocate direttamente dagli individui). Maggiore rilevanza assumono le norme internazionali che attribuiscono agli individui dei diritti che possono essere direttamente invocati nell’ambito dell’ordinamento internazionale o norme che attribuiscono agli individui degli obblighi della cui violazione essi possano essere chiamati a rispondere direttamente nell’ambito dell’ordinamento internazionale (es. tribunale penale internazionale)Occorre precisare che quando parliamo di individui ci stiamo referendo sia alle persone fisiche, sia alle persone giuridiche.La cittadinanza (o nazionalità) è la condizione giuridica di una persona fisica cui l’ordinamento giuridico di uno Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici, anche per le persone giuridiche si parla di nazionalità (non di cittadinanza). La popolazione è presupposto e condizione necessaria per l’esistenza dello stato inteso come organizzazione di governo di una comunità territoriale. Però, pur essendo il rapporto di cittadinanza il legame giuridico fondamentale tra l’individuo e lo stato, il diritto internazionale si è disinteressato dei modi d’acquisto e di perdita della cittadinanza, lasciando una sostanziale libertà a ciascuno stato, con la conseguenza di situazioni di doppia, plurima o apolida cittadinanza. Lo straniero è una persona che non ha la cittadinanza del posto in cui si trova, la cittadinanza è un legame tra l’individuo e lo stato. Spesso è attribuita per nascita secondo il criterio ius soli (al di la della nazionalità dei genitori) e il criterio ius sanguinis (se i genitori hanno quella nazionalità anche il figlio l’avrà, indipendentemente dal luogo in cui è nato). A volte la cittadinanza è attribuita in un secondo momento, si dice per naturalizzazione, per esempio dopo un matrimonio o dopo un esame sulla lingua, la cultura ecc.. (come in Svizzera). Comunque, si manifesta sempre di più una tendenza (probabilmente non si è ancora trasformata in norma consuetudinaria) volta a limitare la tradizionale libertà dello stato nel concedere o revocare agli individui la propria cittadinanza. Tra i fattori che sono alla base della tendenza ricordiamo la successione tra stati e i fenomeni migratori. Ciascuno stato è libero di ammettere o meno gli stranieri sul territorio nazionale e di stabilire le condizioni per la loro ammissione, per es. lo stato può ammettere lo straniero al previo ottenimento di un visto di ingresso: ciò vuol dire che nel diritto internazionale consuetudinario non esistono limiti relativi all’ammissione dei cittadini stranieri, questo vale anche per l’allontanamento. Infatti, una volta ammesso uno straniero, lo stato è libero di allontanare o di espellerlo, purché ciò avvenga con modalità non oltraggiose (probabilmente questa è diventata una norma consuetudinaria ma è l’unico limite sull’allontanamento). Numerosi limiti derivano da convenzioni internazionali, sia bilaterali sia multilaterali.

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-Per quanto riguarda l’espulsione degli stranieri: Art. 13 Pdcp afferma che l’espulsione deve avvenire in conformità alla legge e lo straniero deve avere la possibilità di far valere le sue ragioni dinanzi all’autorità competente, il rispetto della legge nazionale è condizione necessaria ma non è un motivo sufficiente. Sicuramente esiste una tendenza a limitare lo stato ad espellere gli stranieri.-Per quanto riguarda l’ammissione degli stranieri: esistono “convenzioni di stabilimento” con le quali gli stati contraenti si obbligano ad ammettere i cittadini degli altri stati contraenti. Queste convenzioni possono essere anche provvisorie. Nella UE non serve un visto d’ingresso, l’UE è un mercato comune e in esso esiste la “cittadinanza europea”, questo concetto è espresso nel trattato di Maastricht all’art. 20 TFUE, se una persona ha la cittadinanza di uno stato membro dell’UE acquista automaticamente anche la cittadinanza europea (le due cittadinanze si sommano, una non esclude l’altra). Con la cittadinanza europea possiamo votare alle elezioni europee e comunali/locali. Inoltre, all’interno della UE gli stati membri non possono negare di concedersi la cittadinanza tra loro. Infatti, l’Art. 21 dice che ogni cittadino di uno degli stati membri è libero di circolare e soggiornare (vivere) negli altri stati membri. Vedi su Ariel la Direttiva 2004/38, essa è stata adottata in base all’art. 21 (che prima era il 18). L’Art. 5 dice che gli stati membri devono ammettere il cittadino dell’UE munito della C.I., anche i familiari devono essere ammessi, anche se non sono cittadini europei. Art. 2 indica chi si intende per familiari: coniuge, discendenti diretti (del cittadino o del coniuge) di età inferiore a 21 anni o anche di più se sono a carico e gli ascendenti del cittadino e del coniuge (per i familiari che non sono stati menzionati in questo articolo bisognerebbe comunque agevolare l’ingresso, sempre seguendo le norme). Art. 6 dice che i cittadini stranieri, una volta entrati nello stato, possono rimanerci per 3 mesi senza alcuna condizione e formalità. Art. 7 afferma che dopo i 3 mesi può rimanere solo se ha un lavoro fisso, se ha le risorse economiche sufficienti per mantenersi e l’assicurazione malattia. Anche uno studente può rimanere ma deve risultare iscritto ad un istituto pubblico o privato e deve seguirlo a titolo principale, inoltre anche gli studenti devono avere risorse economiche necessarie e assicurazione malattia. -Per quanto riguarda la concessione d’asilo: lo stato non è obbligato, la concessione di asilo attribuisce all’individuo lo status giuridico di “rifugiato”. Un rifugiato è colui che, temendo di essere perseguitato per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o per opinioni politiche, si trovi fuori dello stato di cittadinanza e non può o non vuole farvi ritorno. Esiste un Alto Commissario delle NU per i rifugiati (1950), esso protegge i rifugiati. Comunque, è difficile dire se si sono create delle norme consuetudinarie, la maggior parte della dottrina ritiene di no, ma cmq esistono delle convenzioni…-La convenzione dell’ONU sui rifugiati del 1951, la convenzione dell’ONU del 10 dicembre 1984 contro la tortura e il diritto internazionale consuetudinario impongono l’obbligo di non respingimento alla frontiera (non-refoulement) e di non espulsione della persona verso lo stato in cui essa rischia di essere sottoposta a persecuzioni. (Nel caso Saadi c. Italia, la Corte europea ha ribadito che lo straniero non può essere respinto verso lo stato anche nel caso si tratti di un terrorista, inoltre recentemente è stato affermato che uno straniero non può essere respinto né alla frontiera, né a bordo di navi dello Stato in alto mare).Una volta che lo straniero è stato ammesso, il diritto internazionale consuetudinario impone allo stato alcuni obblighi diretti a proteggerne la persona e i beni: l’obbligo di non richiedere allo straniero prestazioni non giustificate da un sufficiente legame con la comunità statale (norma molto vaga e generale, es. lo stato non può chiedergli di prestare servizio militare), l’obbligo dello stato di proteggere i cittadini stranieri presenti sul suo territorio e i loro beni da offese dirette contro la persona e i loro beni (Full protection and security, bisogna evitare che allo straniero vengano arrecati danni, alla persona o ai suoi beni, e quindi c’è l’obbligo di adottare tutte le misure preventive e repressive necessarie ed esse devono essere commisurate allo status dello straniero, quindi saranno diverse se lo straniero sarà un capo di stato o un cittadino normale, e idonee date le circostanze.) e l’obbligo dello stato di corrispondere un indennizzo in caso di nazionalizzazione (espropiazione di intere categorie di beni) o espropriazione (senso più generale) di beni appartenenti a stranieri (l’indennizzo dev’essere “pronto, adeguato e effettivo” cioè versato entro un periodo di tempo ragionevole, commisurato al valore di mercato del bene e corrisposto in valuta convertibile in modo da essere trasferibile).Una di queste 3 norme può ritenersi completamente violata se lo straniero si è rivolto, o ha provato a rivolgersi, al tribunale interno competente ma non ha ottenuto giustizia. Lo straniero deve

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rivolgersi a tutti i gradi e se alla fine non riesce ad ottenere giustizia lo stato territoriale ha commesso un diniego di giustizia, quindi un illecito internazionale. Questo si chiama esaurimento dei ricorsi interni.La protezione diplomatica è l’intervento dello stato di nazionalità dello straniero danneggiato volto a far valere la responsabilità internazionale di uno stato che ha violato le norme applicabili al trattamento degli stranieri. Vedi pag. 175 Casi&Materiali il progetto di articoli della CDI sulla protezione diplomatica (2006), molte di queste norme sono consuetudinarie. All’Art. 1 troviamo la definizione di protezione diplomatica. Casi di cittadinanza plurimi non causano problemi riguardo la protezione diplomatica. Ai sensi dell’Art. 6 tutti gli stati di cui la persona possiede la cittadinanza possono intervenire in protezione diplomatica. L’Art. 7 afferma che, però, uno stato di cui quella persona ha la cittadinanza non può intervenire contro un altro stato di cui quella persona ha la cittadinanza, a meno che la cittadinanza del primo sia prevalente, es. legami familiari (nel 1° paese vive la sua famiglia). Lo stato di nazionalità può chiedere la cessazione dell’illecito, il risarcimento del danno e può adottare contromisure. Poiché lo stato che interviene a titolo di protezione diplomatica fa valere un diritto proprio e non dell’individuo, si ritiene che la protezione diplomatica sia discrezionale e lo stato non è obbligato ad esercitarla, a meno che un obbligo non derivi dal suo diritto interno. Si ritiene anche che, un’eventuale clausola di rinuncia alla protezione diplomatica in un contratto tra lo stato territoriale e un investitore straniero non impedisca allo stato di nazionalità dello straniero di intervenire a titolo di protezione diplomatica. Le condizioni per l’esercizio della protezione diplomatica sono 2: la nazionalità della pretesa e l’esaurimento dei ricordi interni.Per quanto riguarda la nazionalità della pretesa: occorre distinguere tra le persone fisiche e le persone giuridiche. Per quanto riguarda le persone fisiche, la protezione diplomatica va esercitata dallo stato di cittadinanza, esistono però anche dei casi in cui la protezione diplomatica può essere esercitata da uno stato diverso da quello della cittadinanza; per esempio nel caso di apolidi o di rigugiati la protezione diplomatica può essere esercitata dallo stato in cui la persona di cui si tratta ha la residenza abituale. Per quanto riguarda le persone giuridiche, la protezione diplomatica va esercitata dallo stato di nazionalità di società e non da quello di nazionalità dei soci. Il progetto di articoli della CDI utilizza il criterio del luogo di costituzione per quanto riguarda l’attribuzione della nazionalità alla società. Ci sono, comunque, dei casi in cui la protezione diplomatica può essere esercitata dallo stato di nazionalità di ciascun singolo socio, per es. quando il socio abbia subito un pregiudizio diretto in quanto socio, distinto da quello della società in quanto tale.Per quanto riguarda l’esaurimento dei ricorsi interni, si ritiene che lo stato di nazionalità non possa intervenire fintantoché il suo cittadino non abbia esaurito tutti i rimedi, di carattere giurisdizionale o amministrativo, che l’ordinamento interno dello stato dell’illecito gli mette a disposizione per ottenere giustizia. (Quindi, prima di “iniziare” la protezione diplomatica, lo straniero deve aver esaurito i ricorsi interni.)Dopo la 2°g.m. e la nascita dell’Onu, il diritto internazionale iniziò ad interessarsi ai diritti dell’uomo e iniziarono ad affermarsi delle norme sulle protezione dei diritti dell’uomo. Quella sfera prima era considerata competenza degli ordinamenti interni. L’ONU svolge anche dei controlli mediante il Consiglio dei diritti umani, e inoltre dispone anche dell’Alto commissariato delle NU per i diritti umani, il quale ha dei compiti operativi e di coordinamento. Comunque, le norme del trattato istitutivo dell’Onu relative alla protezione dei diritti umani hanno un carattere programmatico: infatti chiedono agli stati di cooperare con le NU per promuovere e rispettare queste norme e questi diritti, per es. l’art. 55 si limita a ribadire che l’ONU è chiamata a promuovere “il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti” e l’art. 56 obbliga gli stati membri a cooperare con l’ONU a tale scopo. Un impulso decisivo è venuto dall’adozione di alcune dichiarazioni di principi dell’AG dell’ONU, però esse sono atti di soft law. Tra queste dichiarazioni ricordiamo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, questa dichiarazione non ha carattere vincolante ma ha esercitato una grandissima influenza infatti molti stati l’hanno presa come modello e hanno inserito queste norme nelle loro costituzioni, inoltre anche molti trattati sui diritti dell’uomo hanno preso spunto da questa dichiarazione. Quanto alle norme vincolanti, dobbiamo distinguere tra i trattati di portata generale e quelli che si occupano di materie più specifiche. Tra i trattati di portata generale distinguiamo quelli elaborati all’interno di org. Regionali e quelli adottati in seno alle NU.

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Nel 1950, il Consiglio d’Europa ha adottato la convenzione europea sulla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) vedi casi&materiali pag. 79, gli art. 2-3-4-7 costituiscono il nocciolo duro, essi non possono mai essere derogati o sospesi, nemmeno in situazioni di emergenza. Essi riguardano il diritto alla vita, divieto di tortura, divieto di schiavitù e diritto alla libertà e sicurezza. L’art. 8 (diritto al rispetto della vità privata e familiar) 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) 10 (libertà di espressione) e 11(libertà di riunione) sono divisi in due parti, la prima parte definisce il diritto e la seconda elenca in quale situazioni questi art. possono essere derogati, sono le clausole di deroga Infatti, l’Art. 15 afferma che in caso di guerra o altro pericolo pubblico, lo stato può derogare o limitare alcuni diritti. Inoltre, la convenzione contiene norme che prevedono un meccanismo di controllo, il quale consiste nella creazione di un organo giurisdizionale: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Dall’Art. 19 in poi si parla della CEDU, essa ha sede a Strasburgo ed è composta da un numero di giudici imparziali pari al numero degli stati contraenti. Essi si riuniscono in adunanza plenaria solo per le questioni di carattere amministrativo. Per le cause si riuniscono in comitati composti da 3 giudici, in sezioni composte da 6 o in una Grande Camera composta da 17 giudici. La corte ha una competenza contenziosa, infatti quest’organo può ricevere ricorsi dagli stati contraenti contro altri stati (art. 33) e anche dagli individui (art. 34). Art.35 afferma che i ricorsi sono ammissibili previo esaurimento dei ricorsi interni e nel termine di sei mesi dalla decisione statale definitiva. Inoltre non sono ammissibili i ricorsi anonimi, eguali ad altri precedentemente esaminati, infondati o abusivi. Se il ricorso è ricevibile la Corte procede, in una prima fase, ad un tentativo di composizione amichevole della controversia, se questo ha esito positivo la causa è cancellata con una decisione che si limita a una breve esposizione dei fatti e della soluzione. Se ha effetto negativo si inizia la seconda fase che si conclude con una sentenza vincolante, la corte può accordare alla parte lesa un equa soddisfazione, ovvero un risarcimento monetario. Esiste un doppio grado di giudizio, alcune cause possono essere rinviate alla Grande Camera, ma solo se la domanda delle parti viene accolta da un collegio di 5 giudici della Grande Camera stessa.La Corte ha anche una competenza consultiva che si traduce nel rendere pareri, su richiesta del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, su questioni giuridiche relative all’interpretazione della Cedu e dei relativi protocolli. Prima del 1998 esisteva anche la commissione europea dei DU, ma il protocollo n. 11 del 1994 (in vigore dal 1998) l’ha toltaNel 1969, l’Organizzazione degli stati americani ha adottato la : la convenzione americana sui diritti umani, essa è abbastanza simile alla Convenzione Europea, anche qui nella 2° parte ci sono norme che prevedono 2 organi giurisdizionali: la Corte americana dei DU e la commissione americana dei DU, gli individui possono rivolgersi alla corte. Nel 1981 l’Unità africana ha adottato la carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. In questa carta ci sono norme individuali ma anche collettive (popoli). Inizialmente non prevedeva un organo giudiziario, ma un protocollo del 1998 (in vigore dal 2004) ha istituito la Corte Africana dei DU e dei popoli.Nel 1966 (in vigore dal ’77) ONU: i due Patti dell’ONU: il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Pdcp) e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Nel primo patto, gli stati devono tenere un comportamento “passivo” nel senso che non devono interferire con questi diritti e non devono ostacolarli. Nel secondo patto,gli stati devono avere un atteggiamento “attivo” e di sostegno: es. diritto al lavoro, lo stato deve fornire lavoro.Solo il PDCP prevede l’istituzione di un organismo che deve controllare l’osservazione del patto: comitato dei DU (creato ai sensi dell’Art. 28 Pdcp). Esso è composto da 18 membri, essi sono esperti del diritto internazionale e sono eletti ogni 4 anni dagli stati contraenti del patto. Questo comitato riceve dei rapporti da parte degli stati contraenti, in questi rapporti gli stati spiegano in che modo hanno attuato le norme del patto, dopo aver raccolto questi rapporti, il comitato li trasmette agli altri stati, i quali possono così prenderne conoscenza. Art. 41 Pdcp dice che gli stati contraenti possono segnalare eventuali e presunte violazioni da parte di un altro stato, ma il comitato può iniziare a controllare l’attendibilità della violazione solo dopo che 10 stati segnalano la violazione. Il comitato cerca di far mettere d’accordo gli stati. Il Protocollo del 66 (in vigore dal ’77) abilita il comitato a ricevere reclami anche da individui degli stati contraenti (essi devono essere effettivamente vittime, e devono aver esaurito i ricorsi interni). Il comitato svolgerà delle ricerche e poi cercherà di far trovare una soluzione alle parti in lite, quindi utilizza un mezzo diplomatico. Infine, il comitato deve consegnare un “rapporto annuale” al segretario dell’AG, in esso includerà anche i reclami degli individui.Esempi di trattati relativi a materie più specifiche: Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio (ONU, 1948, in Italia nel ‘52), Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale,

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Convenzione relativa allo status dei rifugiati, Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti contro le donne…). A parte i trattati, un nucleo di diritti fondamentali dell’uomo è protetto anche da norme consuetudinarie, alcune sono cogenti, es: genocidio, schiavitù, tortura, discriminazione razziale.. Gli stati hanno l’obbligo di prevenire e reprimere tali comportamenti. Le misure preventive: si ritiene sufficiente che lo stato disponga di un apparato di polizia, le misure repressive: lo stato deve disporre di un apparato giurisdizionale.I trattati sui diritti dell’uomo presentano molti problemi interpretativi, che vanno risolti caso per caso. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione soggettivo: da un punto di vista generale, i beneficiari sono gli individui, a prescindere dalla loro nazionalità. Alcuni trattati più specifici riguardano i cittadini dello stato oppure i cittadini stranieri.Per quanto riguarda l’ambito di applicazione territoriale, in linea generale, ciascuno stato è vincolato sul territorio statale, nelle rappresentanze diplomatiche, nelle basi militari all’estero. Eccezionalmente, anche territori non appartenenti allo stato ma cmq soggetti al suo potere di governo. In relazione alle norme che vietano le più gravi violazioni dei diritti dell’uomo, la giurisprudenza afferma che tali norme devono applicarsi ovunque lo stato si trovi o sia in grado di agire. In caso di conflitto armato, le norme sui diritti dell’uomo vanno coordinate con le norme del diritto internazionale di guerra che costituisce lex specialis: alcuni diritti sono di esclusiva pertinenza del diritto umanitario, e si applicano solo in tempo di guerra; alcuni diritti sono di esclusiva pertinenza delle norme sui diritti umani, e si applicano in tempo di pace e in tempo di guerra, alcuni diritti sono previsti da entrambi i gruppi di norme e, in questo caso, il diritto internazionale di guerra costituisce lex specialis. La protezione diplomatica può oggi essere esercitata dallo stato di nazionalità anche quando è violato un obbligo relativo alla tutela dei diritti dell’uomo (che sono norme erga omnes). Se la persona offesa è un cittadino dello stesso stato che ha commesso l’illecito, la responsabilità dello stato può essere fatta valere da qualsiasi altri stato.CRIMINI INTERNAZIONALI DELL’INDIVIDUOIl diritto internazionale attribuisce agli individui anche degli obblighi, mediante le norme relative alla repressione dei crimini internazionali. Occorre distinguere tra crimini che sono esclusivamente previsti da trattati internazionali e crimini previsti anche da norme generali di fonte consuetudinaria, solo per questi ultimi si può parlare di soggettività internazionale dell’individuo, infatti la repressione dei crimini previsti da trattati è affidata agli ordinamenti interni (si dice che essi siano crimini di diritto interno internazionalmente imposti)Per quanto riguarda invece i crimini previsti da norme generali consuetudinarie, si ritiene che si tratti di crimini autonomamente configurati dal diritto internazionale e la repressione di questi crimini può avvenire anche a livello internazionale. I crimini internazionali sono tradizionalmente classificati in 3 categorie: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini contro la pace. Inoltre esistono anche dei crimini internazionali distinti.La categoria più antica è quella dei crimini di guerra: essi sono le gravi violazioni del diritto internazionale dei conflitti armati, non tutti i reati commessi in una situazione di conflitto armato sono crimini di guerra, ma solo le gravi violazioni. Ciò che li distingue dai reati comuni è la loro connessione con il conflitto armato. La categoria dei crimini contro l’umanità è la più recente e comprende le violazioni diffuse e sistematiche dei fondamentali diritti umani: es. omicidio, sterminio, tortura, stupro, persecuzione razziale o religiosa.. Essi possono essere commessi anche in un conflitto armato ma non è un elemento necessario. Ciò che li distingue dai reati comuni è il fatto che il singolo atto criminoso non è isolato. La categoria dei crimini contro la pace comprende solo il crimine dell’aggressione e i crimini ad essa collegati. L’aggressione è un illecito dello stato ma anche un crimine internazionale dell’individuo, ma non è ancora chiaro se essa sia già una norma consuetudinaria. Il più importante tra i crimini distinti è sicuramente il genocidio, esso è costituito da una serie di atti criminosi commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico o religioso. Esiste una convenzione dell’ONU per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Anche la pirateria è un crimine distinto, anche se una parte della dottrina ritiene che oggi appartenga ai crimini contro l’umanità Secondo una parte della dottrina anche la tortura e il terrorismo internazionale sono crimini distinti, esiste una convenzione dell’ONU per la repressione della tortura e esistono diversi trattati per la repressione del terrorismo internazionale.Tra il crimine internazionale commesso da un individuo e l’illecito internazionale imputabile ad uno stato, non vi è una necessaria coincidenza. I crimini internazionali sono spesso, ma non sempre, commessi da individui che rivestono la qualità di

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organi di uno stato (es. membri delle forze armate, di polizia o vertici di uno stato. In ogni caso, anche quando vi sia coincidenza tra il crimine dell’individuo e l’illecito dello stato, va tenuta distinta la responsabilità internazionale in cui incorre lo stato, dalla responsabilità penale in cui incorre l’individuo che ha commesso il crimine. Una delle caratteristiche dei crimini internazionali è l’irrilevanza della qualità di organo statale eventualmente propria dell’autore del comportamento: pertanto, in deroga all’immunità organica; l’individuo resta penalmente responsabile nonostante che il crimine da esso commessa costituisca anche un illecito di cui lo stato è responsabile. Un’altra regola è l’irrilevanza dell’ordine superiore come causa di esclusione della responsabilità penale individuale. D’altra parte è prevista anche la responsabilità del comandante o superiore gerarchico per i crimini commessi da forze sottoposte al suo comando e controllo se esso sapeva e ha omesso di prendere misure preventive o repressive. L’immunità personale ha carattere esclusivamente processuale e viene meno una volta che l’individuo abbia cessato di ricoprire la carica; rigarda esclusivamente le giurisdizioni nazionali e può venir meno se ciò è previsto dall’atto istitutivo di un tribunale internazionale. Principio di “universalità condizionata”: requisito della presenza della persona accusata del crimine nel territorio dello stato che intende esercitare la giurisdizione, che secondo alcuni è necessario, mentre secondo altri non lo è (principio di “universalità pura”). Secondo una parte della dottrina, l’esercizio della giurisdizione universale da parte di ciascun stato per reprimere i crimini internazionali sarebbe oggetto di un vero e proprio obbligo, ma l’opinione maggiormente conforme alla prassi è quella in base alla quale non esiste un obbligo in tal senso ma solo una facoltà che ciascun stato è libero o meno di esercitare. Alcuni crimini internazionali sono previsti anche da trattati i quali pongono a carico dello stato nel cui territorio si trovi la persona accusata del crimine l’obbligo di processarla. I tribunali penali internazionali sono incaricati si sottoporre a processo le persone accusate di tali crimini. I due tribunali creati alla fine della seconda guerra mondiale sono il tribunale di Norimberga, creato per processare i criminali nazisti, e il tribunale di Tokyo, creato per processare i criminali giapponesi. Il carattere internazionale di questi due tribunali è stato, però, messo in dubbio. Di veri e propri tribunali internazionali può parlarsi a proposito dei due tribunali penali ad hoc creati dal CdS con risoluzioni adottate in virtù del Cap. VII C.Onu. Essi sono organi sussidiari del CdS dell’ONU e hanno giurisdizione concorrente con quelle nazionali ma godono di un primato su di esse, essi sono: Tribunale penale internazionale per l’Ex Iugoslavia, che ha sede all’Aia ed è stato creato per processare le persone accusate di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Iugoslavia a partire dal 1991, e il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, che ha sede ad Arusha ed è stato creato per processare le persone accusate di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità commessi in Ruanda durante il conflitto armato interno del 1994. Inoltre, esistono altri tribunali ad hoc di cui è discussa la natura giuridica, internazionale, interna o “mista” (es. corte speciale per la Sierra Leone, Camere straordinarie per la Cambogia). In tutti i casi finora menzionati abbiamo parlato di tribunali ad hoc, una vera e propria svolta si è avuto con la creazione della Corte penale internazionale. Essa è stata istituita da un apposito trattato adottato a Roma nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002, ha 121 stati contraenti (Italia si, Usa no). La corte è una distinta OI e si trova all’Aia. La corte ha giurisdizione in relazione ai soli crimini commessi dopo l’entrata in vigore del relativo Statuto, essa vincola solo gli stati contraenti. La giurisdizione della corte si estende solo ai più gravi crimini di portata internazionale (di guerra, contro l’umanità e genocidio e aggressione solo in teoria) e può essere attivata da parte di uno stato o di un Procuratore (individuo indipendente). La corte non gode di un primato ed ha una giurisdizione sussidiaria rispetto alle giurisdizioni nazionali, essa infatti è chiamata ad intervenire solo se un processo in sede nazionale è impossibile o inefficace. La corte non può processare le persone accusate di crimini internazionali in contumacia e quindi la collaborazione degli stati è essenziale. Una volta instauratosi il giudizio, la competenza spetta alla camera di primo grado, ma è prevista la possibilità di proporre appello alla camera d’appello. La pena massima è quella dell’ergastolo.