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Le filosofie femministe e la donna oggi. Una riflessione LE FILOSOFIE FEMMINISTE E LA DONNA OGGI UNA RIFLESSIONE 1. INTRODUZIONE Con questo mio scritto ho inteso esporre, senza alcuna pretesta di completezza data la vastità e la complessità dell’argomento, alcune riflessioni relative ad un tema, quello dell’attuale condizione femminile, per il quale ho sempre provato interesse e curiosità. Sono ormai passati più di due secoli dalla pubblicazione dei saggi della prima intellettuale che inaugura in epoca moderna il pensiero femminista, Mary Wollstonecraft, e nonostante la società occidentale abbia quasi universalmente compreso i valori di democrazia, uguaglianza, solidarietà e, di conseguenza, l’importanza dell’istruzione, della formazione, dell’assistenza sociale, alcuni brani tratti dai suoi scritti puntano il dito su una condizione, quella femminile, che per alcuni aspetti è rimasta quasi invariata. “Le donne” scrive la Wollstonecraft in A Vindication of the Rights of Woman del 1792 “si trovano dovunque a vivere in 3

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Le filosofie femministe e la donna oggi. Una riflessione

LE FILOSOFIE FEMMINISTE E LA DONNA OGGI

UNA RIFLESSIONE

1. INTRODUZIONE

Con questo mio scritto ho inteso esporre, senza alcuna pretesta di completezza

data la vastità e la complessità dell’argomento, alcune riflessioni relative ad un

tema, quello dell’attuale condizione femminile, per il quale ho sempre provato

interesse e curiosità.

Sono ormai passati più di due secoli dalla pubblicazione dei saggi della prima

intellettuale che inaugura in epoca moderna il pensiero femminista, Mary

Wollstonecraft, e nonostante la società occidentale abbia quasi universalmente

compreso i valori di democrazia, uguaglianza, solidarietà e, di conseguenza,

l’importanza dell’istruzione, della formazione, dell’assistenza sociale, alcuni

brani tratti dai suoi scritti puntano il dito su una condizione, quella femminile, che

per alcuni aspetti è rimasta quasi invariata.

“Le donne” scrive la Wollstonecraft in A Vindication of the Rights of Woman del

1792 “si trovano dovunque a vivere in questa deplorevole condizione: per

difendere la loro innocenza, eufemismo per ignoranza, le si tiene ben lontane

dalla verità e si impone loro un carattere artificioso, prima ancora che le loro

facoltà intellettive si siano fortificate.

Fin dall’infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro della donna e la mente

quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia dorata, contenta di

adorarne la prigione.

Le donne, assieme agli uomini, sono rese deboli e amanti del lusso dai piaceri

rilassanti che il benessere procura; ma in aggiunta a questo, sono rese schiave

della propria persona, e devono renderla attraente in modo che l’uomo presti loro

la sua ragione per guidarne bene i passi malsicuri”. 1

1 M. WOLLSTONECRAFT, A Vindication of the Rights of Woman, 1792 (trad. it. M. WOLLSTONECRAFT, I diritti delle donne, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 126, 270).

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In una condizione come quella presente nella società occidentale, una donna oggi

può davvero definirsi indipendente e in grado di realizzare se stessa e il proprio

destino libera da condizionamenti e imposizioni che la vogliono oggetto e non

soggetto? A ben guardare, la nostra cultura è pervasa, invasa, ossessionata, dal

culto della bellezza esteriore. E nonostante il fiorire di riviste maschili che

invitano “l’uomo moderno” a curare sempre di più il proprio aspetto fisico, la

“bellezza” è ancora intesa come peculiarità tutta femminile, e non come categoria

estetica, ma come vincolo indispensabile alla completa e a volte unica possibile

realizzazione femminile.

La donna moderna, così come ci appare dai mezzi di comunicazione di massa

che, consenzienti o no, invadono le nostre case, la nostra vita e la nostra mente,

influenzando noi e i nostri compagni, amici, figli, studenti, troppo spesso è

identificabile in una bambola bella e sciocca, che sorridendo beatamente vanifica

le conquiste culturali di donne straordinariamente coraggiose e sagge che, come

la Wollstonecraft, hanno sacrificato la propria tranquillità borghese in nome degli

ideali di libertà e democrazia.

In un’epoca in cui pensare è diventato sempre più faticoso, i pensieri ci sono

suggeriti e imposti da riviste e programmi televisivi in cui la legge dominante è

l’apparenza: l’apparenza tristemente reale di donnine seminude, sempre sorridenti

e bellissime, alle quali immancabilmente è tolta la parola, che accompagnano

uomini dinamici e protagonisti o che, come moderne sirene di Ulisse, attirano

l’uomo con la propria esteriore malia seduttiva per indurlo ad acquistare prodotti

di qualunque tipo.

La donna non riesce ancora ad emanciparsi da un ruolo, quello di oggetto, che da

sempre la rende succube del volere e del desiderio altrui.

Pare ancora attuale la preoccupazione della signora Bennet, madre della brillante

e ironica Elisabeth di Orgoglio e Pregiudizio (1813) di Jane Austen, che le figlie

siano belle, “giacchè non c’è peggior disgrazia per una donna che nascere di

sgradevole aspetto”.

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2. LA DONNA NELLA TRADIZIONE CULTURALE OCCIDENTALE

L’immagine della donna nella storia è spesso un’immagine stereotipata, costruita

culturalmente. Questa immagine è spesso proiezione dell’immaginario maschile,

è un’immagine speculare di tutto “il negativo” insito nell’universo stesso della

mascolinità. Fin dal Medioevo la donna ha incarnato immagini peccaminose, fin

dalle predicazioni monastiche è stata simbolo della vanità, della seduzione, della

falsità, dell’astuzia. La Chiesa ha propagato a lungo un’immagine negativa della

donna, addirittura misogina, pur indicando per essa modelli e valori di riferimento

come l’umiltà, la maternità, la passività, la castità. Nella letteratura religiosa

maschile, soprattutto monastica del Medioevo, la donna è spogliata di ogni

umanità o ricchezza psicologica: essa non è altro che “proiezione del desiderio

colpevole dell’uomo”2. Nell’immaginario medievale la donna assume talvolta

anche l’immagine della donna serpente tentatore, della sirena-ondina, del

demonio stesso. L’immagine della donna nel mito incarna poi sempre una

passione amorosa forte e rovinosa (Antigone, Didone, Arianna ecc.), incarna

ambiguità, pericolosità. Ecuba è immagine del mito delle madri il cui grido è

ignorato, così come Antigone è l’immagine di tutte le sorelle che tra le macerie di

una guerra cercano il loro fratello.

Nella cultura popolare, la donna risulta connotata per lo più negativamente, in

taluni casi in modo misogino. Appare ladra, astuta, sciocca, volubile, inaffidabile.

La donna incute spesso paura, è cattiva, chiassosa.

La rivoluzione femminista ha pertanto avuto un ruolo trainante, ha fatto emergere

un concetto di democrazia vero in cui devono trovare posto altre culture, altre

razze, altre identità prima condannate al silenzio. La donna in particolare, è uscita

da una condizione in cui il suo corpo, la sua vera natura era soggetta a troppe

2 C.FRUGONI,"La donna nelle immagini , la donna immaginata", in La storia delle donne in Occidente. I. Il Medioevo, a cura di G. DUBY, M.PERROT, Bari, 1990, pp. 424-457.

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norme, divieti imposti dall’altro sesso cui essa stessa aveva finito per aderire

consapevolmente o inconsapevolmente.

Il carattere mitico dell’immagine del femminile è particolarmente evidente, ed è

stato attentamente analizzato dalle critiche femministe, nella produzione artistica,

nei testi narrativi, artistici, cinematografici. La donna “reale”, spesso, non esiste e

la circolazione di queste proiezioni mitiche, con cui le donne sono spinte ad

identificarsi, risulta alla fine funzionale al discorso patriarcale, impedendo alle

donne la creazione autonoma di una soggettività. La ricerca femminista sulla

rappresentazione della donna viene approfondita soprattutto dalle teoriche della

differenza e dal femminismo postmoderno, con l’obiettivo di creare modelli

rappresentativi e di identificazione originali e alternativi.

La rivoluzione femminile nel nostro secolo ha messo in discussione e scardinato i

canoni stessi del pensiero occidentale, ha fatto emergere contraddizioni e

anomalie di una società falsamente democratica, di un sistema in cui un unico

“soggetto” culturale progredito, indifferenziato si autodefiniva universale. Al di

fuori di questo soggetto normalizzato occidentale, tutto era considerato anomalo,

di livello inferiore.

In questa direzione acquistano allora una valenza importante e significativa gli

“studi sulle donne” e la ridefinizione di una identità di genere e sessuale, per

affermare i canoni stessi di una cultura democratica; si può essere uguali sul

piano dei diritti ma diversi sul piano della propria identità.

Appare chiaro che la dimensione della “differenza” nel concetto di genere è

importante e liberatoria e non è antitetica al concetto di uguaglianza. Il genere

non deve essere più un terreno nel quale si manifesta il potere, si fissa

un’asimmetria tra i sessi, si crea una diseguaglianza di condizioni a svantaggio

della donna o di altri soggetti. Si tratta evidentemente, per ciascuna donna (ma

anche per ciascun uomo), di stabilire il confine tra queste due aree, il confine tra

ciò che è natura e ciò che è cultura.

Una parte della critica femminista, quella definita ‘essenzialista’, fa riferimento

ad un nucleo innato, ad essenze che rimangono costanti, qualità insite negli

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uomini come nelle donne, che scaturiscono da un corredo biologico ed

anatomico. La teoria femminista essenzialista sembra ingabbiare le due identità di

genere come in due scatole in maniera astorica.

Molti studi hanno dimostrato che la storia e la cultura cambiano incessantemente

sia le qualità maschili che femminili. Tra le ricerche più interessanti, Hélène

Cixous ha studiato il linguaggio femminile constatando che non vi è

conseguenzialità tra sesso femminile e genere femminile. Da ciò la necessità di

non pensare all’identità femminile in termini rigidi di essenzialismo, con una

sorta di ontologizzazione di un’essenza pura del femminile opposta ad una idea

ontologica del maschile. La Cixous fa un passo avanti rispetto alle teorie

strutturaliste e si avvale della lezione di J. Derrida e degli studi post-strutturalisti,

dell’idea di “differenza” come “differimento”, come segno che sposta sempre

verso ulteriori significati, senza mai essere chiuso in un preciso significato.

Cixous porta alla luce quello che spesso viene dimenticato dalla tradizione

occidentale, ossia l’importanza del corpo. Il linguaggio del corpo è capace di fare

emergere tutte le contraddizioni insite nel codice e nella norma che

differenziando discrimina ed esclude. Nella storia delle donne la differenza

sessuale o anatomica è stata purtroppo stigmatizzata dal potere maschile a suo

vantaggio. Anche oggi il corpo femminile diventa spesso la gabbia della donna.

3. L’ANIMA E’ UN CORPO FEMMINILE?

Ma perché il valore della donna viene ancora oggi misurato in relazione al suo

corpo inteso come oggetto?

L’antropologa Giulia Sissa, docente alla John Hopkins University di Baltimora,

ha affrontato l’argomento in un suo saggio, L’anima è un corpo femminile,

pubblicato in Francia da Odile Jacob. 3

3 Le considerazioni dell’autrice sono tratte dall’intervista di R. MINORE, “Quando le donne avevano un’anima”, in Il Messaggero, 10 settembre 2000.

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Mescolando la scienza e la medicina, la filosofia e la mitologia, il libro è un

singolare capitolo della complessa e difficile storia della “differenza dei sessi”.

Il corpo femminile, spiega la studiosa, è un’ossessione già nella Grecia antica,

che rappresenta l’anima con metafore femminili. Per i Greci l’anima

“concepisce”, è “gravida” di conoscenze, si piega nel dolore, si tende nel

desiderio. “Platone stabilisce la differenza tra maschile e femminile. E il

femminile è incompleto, mostruoso, è l’ombra del maschile”. Così l’anima

diventa metafora del corpo. Viene somatizzata, anche se si dubita che la donna ne

abbia una.

“L’anima del filosofo che produce pensiero e concetti è come un corpo di donna

che produce figli. La maternità è il modello segreto dell’attività intellettuale.

Platone usa immagini di nascita e di partorienti per far capire la difficoltà di

accesso alla verità. Dimentica in modo strategico la differenza tra anima e corpo,

tra maschile e femminile”. Platone recupera il linguaggio del corpo, il linguaggio

della sessualità femminile ma non in termini positivi: il corpo è l’ostacolo, “lascia

intravedere ciò che il femminile può significare”.

Se l’anima è come un corpo, è perché l’attività intellettuale non è perfetta. Viene

riproposto il primato assoluto del maschile sul femminile e di nuovo il corpo

diventa elemento condizionante. Il femminile lascia scorgere un residuo corporeo

nelle nostre attività intellettuali.

“Non riesci a liberarti dalla difficoltà che il femminile esprime molto bene”, dice

Giulia Sissa.

Quel modo di pensare, di stabilire differenze arriva fino a noi e ciò riguarda in

modo particolare la nostra visione della femminilità.

Pensiamo alla filosofia cartesiana, in essa viene alla luce sia l’opposizione fra

corpo e pensiero, sia il costruirsi del soggetto sul pensiero medesimo, e cioè, in

ultima analisi, sulla ragione 4. La Cavarero definisce l’opposizione tra pensiero e

corpo “fallologocentrica”; un’opposizione che conferma la vecchia economia

4 A. CAVARERO, “Il pensiero femminista. Un approccio teoretico” in Le filosofie femministe, F. RESTAINO, A. CAVARERO, Torino 1999, p. 135.

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binaria fra il principio attivo del logos maschile e quello passivo della corporeità

femminile in base ad una logica secondo la quale è il pensiero, invece che il

corpo materno, a generare addirittura l’esistente (cogito ergo sum, dichiara

appunto Cartesio). 5

Partendo dalla Grecia antica, è davvero rimasto immutato il nostro modo di

vedere il femminile e il maschile? Secondo Giulia Sissa, “la femminilità ci viene

proposta in offerta speciale nello stesso pacchetto insieme a passività,

insaziabilità, corporeità. E questo da un paio di millenni. Una cultura è una rete di

pensieri, disponibili in convenienti confezioni scontate, due o più al prezzo di

uno”. La Sissa sostiene che le sue indagini si svolgono “sulla contingenza storica

di connessioni che appaiono naturali e automatiche. Una sorta di consigli per gli

acquisti rivolti al consumatore che desidera per esempio amare - o essere - una

donna femminile ma competente, sexy ma non passiva”.

Consigli spesso difficili: basta pensare alle modificazioni profonde nei rapporti

tra i sessi che si sono verificate negli ultimi decenni. Resta il fatto che “per le

donne l’accesso alla cultura, alle professioni intellettuali è stato complesso. Non

siamo ancora usciti dal rapporto asimmetrico del maschile e del femminile”.

Ancora si discute se davvero le donne siano meno portate alla matematica degli

uomini. Si continua a pensare che siano dotate di “una intelligenza più legata ai

valori della sensibilità, in ogni caso questi valori sono svalutati rispetto alla pura

intelligenza”. Partendo dalla sua analisi sul mondo greco, la Sissa osserva quanto

sia “difficile far astrazione dal corpo se si parla di una donna. C’è una sua

pertinenza nella condizione intellettuale. E’ difficile dialogare con Valeria Marini

dentro uno spazio di lavoro e in modo diverso da come “si dialoga” con lei se la

si invita a cena”.

Però, nelle situazioni professionali, il corpo non dovrebbe entrare. “Dalle nove

alle cinque di pomeriggio devi, dovresti diventare trasparente”. Una trasparenza

davvero ancora molto complicata...Specie da noi: in Italia c’è ancora una cultura

in cui la differenza dei sessi è molto marcata. “Sei bella e taci. Sei brutta ed è

5 Ibidem.

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come se non esistessi. E, poi, restare nel corpo può anche essere molto

confortevole. Uscirne è sempre un rischio, non è un privilegio”.

4. L’OMOLOGAZIONE CULTURALE UNA CAUSA?

Il ruolo della donna è ancora imprigionato in un modello.

Dalle prime conquiste del pensiero illuminista ad oggi sono passati più di due

secoli e ormai dovrebbe essere consolidata in noi l’abitudine a pensare, riflettere,

ragionare. Ma l’epoca moderna, e in modo particolare gli ultimi vent’anni, ci ha

anche insegnato ad essere tecnici e produttivi, a vivere e collaborare all’interno di

un apparato, ad accettare di buon grado leggi e regole per il perfetto

funzionamento del microcosmo di cui facciamo parte.

Umberto Galimberti6 illustra la condizione di “omologazione” nella quale siamo

costretti, come condizione del nostro modo di vivere. Galimberti rileva che la

società moderna solo in parte ama la diversità e preferisce l’esistenza di linguaggi

e pensieri sempre più comuni. Per una sorta di “sano realismo”, come egli stesso

lo definisce, “fin da piccoli ci siamo sentiti dire che il successo si consegue più

facilmente se ci si adatta alle esigenze degli altri (rinunciando ovviamente a

realizzare se stessi), e così abbiamo fatto quando imitavamo i tratti e gli

atteggiamenti di tutte le collettività in cui entravamo a far parte. Dal gruppo dei

bambini con cui giocavamo, ai compagni di classe, ai gruppi di lavoro, a nostre

spese abbiamo imparato che ciò che paga è l’uniformità più rigorosa, dove la

capacità di adattarsi all’organizzazione appariva come l’unica condizione per

avere una certa influenza su di essa.

Alla minima obiezione c’era sempre chi ci ricordava che questo atteggiamento si

chiama ‘sano realismo’, mentre in noi sorgeva il sospetto che con questa

espressione non ci si riferiva tanto a una rappresentazione fedele del reale, ma a

6 U. GALIMBERTI, “La grande tribù dei prevedibili” in La Repubblica, 15 agosto 2002.

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quella determinata presa di posizione surreale che è l’accettazione indiscussa

dell’esistente. Il cui valore consiste semplicemente nell’essere cosa come esso è,

senza la minima cura della sua qualità morale.”7

Le donne, e gli uomini naturalmente, della moderna realtà contemporanea, fanno

parte di una società conformista, che nonostante l’enorme quantità di voci diffuse

dai media, o forse proprio per questo, parla nel suo insieme solo con se stessa. Al

di là degli specifici ambiti settoriali riservati agli ambienti prettamente

“culturali”, come le università o i circoli culturali, nella società di massa non c’è

spazio per la critica, per il dibattito, per la discussione intellettuale.

“Alla base infatti di chi parla e di chi ascolta non c’è, come un tempo, una diversa

esperienza del mondo, perché sempre più identico è il mondo a tutti fornito dai

media, così come sempre più identiche sono le parole messe a disposizione per

descriverlo”8.

E tra le altre cose che ci vengono proposte senza possibilità di discussione vi è

anche il consueto modello di donna oggetto. Una donna che cerca di “conoscere

se stessa”, che l’antico oracolo di Delfi indicava come la via della salute

dell’anima, diventa nelle società conformiste e omologate qualcosa di patologico.

Sembra quasi che ad una giovane donna che desidera la propria realizzazione

venga impedito l’essere se stessa e sia costretta a rinunciare alla propria

specificità.

5. CONCLUSIONI

In Tre ghinee, Virginia Woolf, che mi piace considerare “la madre spirituale

dell’odierno movimento delle donne colte”, indica l’esistenza di una cultura delle

donne estranea sia al potere patriarcale che alla cultura della violenza, della 7 U. GALIMBERTI, “La grande tribù dei prevedibili” in La Repubblica, 15 agosto 2002.8 Ibidem.

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dittatura, della guerra; una cultura diversa e separata da quella dominante e che

appartiene prima di tutto alle donne.

Una cultura che, purtroppo, è ancora tutta da costruire.

Penso che le riflessioni, i ripensamenti, gli errori, le ricerche sul ruolo e sulla

figura della donna siano di grande importanza per capire il nostro passato e un

primo fondamentale passo verso la costruzione della nostra identità.

Il lavoro di analisi su noi stessi, sui nostri sogni, sulle nostre azioni e reazioni

principali, l’interpretazione di ciò che è stato fatto, scritto, vissuto, permette ad

ogni essere umano di arginare la parte negativa insita in ognuno di noi e nella

realtà sociale, e addirittura mutarla in energia costruttiva.

Nonostante la lunga strada percorsa dalle prime teoriche del femminismo fino ai

recenti studi, ancora oggi per le donne si tratta di disfare una tela di preconcetti, e

tesserne un’altra per se stesse e per le generazioni future. Una tessitura che deve

partire dal “discorso”, dal dialogo stesso, dalla capacità di pensiero e di

riflessione. Un lavoro impegnativo che può comunque disporre di straordinari

mezzi come la letteratura, la filosofia, l’arte, il linguaggio. Il linguaggio deve

recuperare il passato nella sua vitalità ma soprattutto proiettarsi nel futuro inteso

come progettualità. Il linguaggio da una parte deve conformarsi ad un ordine

esistente ma dall’altro deve anche metterlo in crisi. Il linguaggio è infatti

comunicazione e come tale è azione, è potere e cultura ed influisce

sull’interlocutore9.

Come futura insegnante mi pongo un difficile e ambizioso obiettivo che spero di

perseguire con costanza e grande pazienza: stimolare il senso critico dei miei

studenti, indurli ad avere il coraggio di rischiare per conoscere nuove vie di

pensiero, perché il piacere del dialogo possa ritornare e gli stereotipi a cui la

società ci ha abituati non influenzino la capacità di essere obiettivi; un dialogo

che induca il desiderio, immenso e ricco di straordinarie rivelazioni, di scoprire se

stessi.

9 Fondamentali, a questo proposito, le riflessioni che ci suggerisce Derida nel suo fondamentale La scrittura e la differenza (J. DERIDA, La scrittura e la differenza, Torino 1971).

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