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1 ECO TOSSICOLOGIA APPLICATA: PRINCIPI GENERALI 1 1 Il presente capitolo è opera del Prof.Renato Baudo (CNT Pallanza) che ha cortesemente autorizzato la pubblicazione in queste dispense

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ECO TOSSICOLOGIA APPLICATA:

PRINCIPI GENERALI1

1 Il presente capitolo è opera del Prof.Renato Baudo (CNT Pallanza) che ha cortesemente autorizzato la pubblicazione in queste dispense

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L’Ecotossicologia è una disciplina relativamente recente, così chiamata nel

1969 da Truhaut (1977) e nata come filiazione della Tossicologia (in particolare

della Tossicologia umana), dalla quale ha derivato principi, concetti e, almeno in

una prima fase, metodi, coniugati però con l’Ecologia (Moriarty, 1983).

Letteralmente, la Tossicologia è la “scienza dei veleni”: l’Ecotossicologia è

dunque la scienza dei veleni per l’ambiente e l’Ecotossicologia applicata descrive i

metodi utilizzati per verificare se e quanto un determinato veleno può interferire

con l’ambiente, e quali sono le soluzioni per evitare, alleviare o porre rimedio agli

eventuali danni arrecati.

In una accezione più estesa, l’Ecotossicologia può anche comprendere i

fattori fisici (calore, radiazioni), chimici e biologici che sono potenzialmente fattori

inquinanti (Ramade, 1977), estendendo il suo campo di applicazione dal singolo

organismo all’intero ecosistema.

Effetto ed esposizione

Si definisce:

VELENO: qualsiasi sostanza che, tramite interazioni fisico-chimiche con

tessuti viventi, può causare danni e/o morte dell’organismo

Ne consegue che:

Tutte le sostanze sono veleni potenziali, perché tutte possono produrre

danni agli organismi in conseguenza di una esposizione eccessiva.

Già Paracelso, infatti, riconosceva che: Dosis sola facit veleno Ad esempio, è risaputo che 1-2 cucchiaini di arsenico possono essere letali

per un uomo. Ma anche 300 g del comune sale da cucina, o meno di 1 kg di

zucchero, ingeriti tutti in una volta, sono sufficienti a determinarne la morte.

D’altra parte:

tutte le sostanze sono sicure, se l’esposizione è contenuta entro limiti

tollerabili.

Il concetto chiave è quindi quello di esposizione.

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ESPOSIZIONE: funzione della quantità (o concentrazione) della sostanza,

della sua forma, del tipo di somministrazione e del tempo di interazione con

l’organismo

Più precisamente, una esposizione eccessiva produce un effetto avverso,

mentre una esposizione tollerabile non produce alcun effetto avverso.

Tuttavia, per la stessa sostanza, e a parità di esposizione, l’effetto può

essere diverso per organismi diversi.

In particolare, un effetto avverso è rappresentato da qualsiasi cambiamento

anormale, indesiderabile, o dannoso, in un organismo esposto ad una sostanza

potenzialmente tossica. L’effetto avverso estremo comporta la morte

dell’organismo, mentre effetti avversi meno severi comprendono una alterazione

del consumo di cibo, del peso corporeo o di alcuni organi, cambiamenti patologici

visibili, od anche una alterazione dei livelli enzimatici.

Un cambiamento statisticamente significativo dallo stato “normale” non

configura però necessariamente un effetto avverso; per diventare tale, l’effetto

deve alterare una proprietà importante ed essere posto in relazione allo stato

complessivo di salute dell’organismo esposto.

Si può dunque definire, più in generale, l’effetto dannoso:

Effetto dannoso: causa danni funzionali o anatomici, cambiamenti

irreversibili dell’omeostasi, o aumenta la suscettibilità ad altre sostanze o allo

stress biologico, comprese malattie infettive (l’entità del danno è influenzata dallo

stato di salute dell’organismo)

La figura 1 rappresenta graficamente importanti differenze degli effetti indotti

da sostanze dannose. Innanzi tutto, la sostanza dannosa può produrre effetti

reversibili (l’effetto non si manifesta più quando cessa l’esposizione), oppure

irreversibili (l’effetto dell’esposizione causa danni permanenti anche quando

l’esposizione è cessata).

In alcuni casi (Fig. 1), l’effetto può essere diverso durante una prima

esposizione e nelle esposizioni successive dell’organismo alla stessa sostanza. È

quanto si verifica se l’organismo è in grado di sviluppare meccanismi adattativi

(l’effetto è molto più marcato con la prima esposizione, mente in seguito è

necessaria una esposizione superiore per determinare lo stesso effetto), oppure

nei fenomeni di sensibilizzazione (un organismo, esposto per la prima volta ad una

sostanza, sopporta l’esposizione senza mostrare effetti significativi, ma

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successivamente gli effetti sono molto più marcati già ad esposizioni ridotte; è il

caso ad esempio delle sostanze allergizzanti).

Reversibile Irreversibile

Adattamento Sensibilizzazione

Espo

sizi

one

EffettoEs

posi

zion

eEffetto

Espo

sizi

one

Effetto

Espo

sizi

one

Effetto

Fig. 1 – Diversi tipi di risposta (effetto) in funzione dell’esposizione.

Un caso particolare è rappresentato dagli elementi essenziali: un elemento X

è considerato essenziale se un organismo non può crescere o completare il suo

ciclo vitale in sua assenza; non può essere sostituito da un altro elemento; ha una

influenza diretta ed è coinvolto nel metabolismo dell’organismo (Bowen, 1979).

In questo caso(Fig. 2), si hanno effetti dannosi se l’esposizione non

raggiunge almeno un livello minimo, ma l’organismo funziona “normalmente” per

esposizioni superiori a questo minimo. In alcuni casi, tuttavia, superata una

determinata esposizione massima tollerabile, si ripresentano effetti dannosi

(eventualmente diversi da quelli in condizioni di carenza).

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Espo

sizi

one

Effetto

Fig. 2 – Risposte per elementi essenziali

Tra gli elementi essenziali si contano ovviamente C, H, N, O, P e S,

costituenti fondamentali della materia viventi; inoltre, sono probabilmente

essenziali per tutte le piante Ca, Cl, Co, Cu, Fe, K, Mg, Mn, Na, Se e Zn; per alcuni

organismi, anche se non necessariamente per tutti: B, I, Si; ancora da verificare:

As, Br, Cr, F, Ni, Sn, V (Bowen, 1979)

Relazioni di causa ed effetto

Avendo stabilito che una causa, l’esposizione, può determinare un effetto, è

necessario precisare come la causa determina un effetto.

È necessario cioè definire in termini quantitativi questa relazione.

Va innanzi tutto precisato che una associazione statisticamente significativa

tra esposizione (causa) e risultato (effetto) non stabilisce necessariamente una

relazione causa – effetto.

Ad esempio, in estate ci può essere una correlazione tra vendita di gelati e

scottature solari, ma in questo caso evidentemente l’effetto (= scottatura) non

dipende dal consumo di gelati !

L’associazione può essere casuale (fortuita: evento improbabile ma

comunque possibile), oppure essere spiegata da un elemento confondente, cioè

un elemento associato indipendentemente tanto all’esposizione che all’effetto (il

tempo assolato causa indipendentemente il consumo di gelati e le scottature

solari).

Bisogna inoltre tener conto del possibile errore sistematico: bias di selezione, quando il campione non è rappresentativo, e bias di osservazione,

quando i dati raccolti hanno un vizio di fondo (bias dell’osservatore = osservatore

non obiettivo, esempio indagine solo in agosto; bias di ricordo = soggetti che

rispondono in maniera viziata alle condizioni di esposizione, esempio albini golosi).

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Alcuni criteri guida possono essere utili nell’impostare l’esperimento,

soprattutto per escludere che l’associazione osservata sia dovuta a fattori casuali:

Forza dell’associazione (nei soggetti osservati l’effetto deve essere

abbastanza forte da poter essere distinto dalla risposta del gruppo di controllo)

Consistenza (esperimenti diversi portano agli stessi risultati)

Specificità (l’effetto si manifesta solo in seguito all’esposizione)

Temporaneità (la causa deve precedere l’effetto)

Gradiente biologico (effetto proporzionale dose - risposta)

Plausibilità biologica (l’esperimento è plausibile se è ipotizzabile un

meccanismo di azione della causa)

Coerenza (il risultato non deve essere in contrasto con informazioni

pregresse)

Esperimento (la rimozione della causa elimina l’effetto)

Analogia (altre cause, simili a quella investigata, determinano lo stesso

effetto)

Assumendo che il test programmato sia realizzato opportunamente, si

incontra qui per la prima volta una differenza sostanziale tra Tossicologia ed

Ecotossicologia.

Nella prima, basata essenzialmente su animali, e sull’uomo solo in casi

particolari (esposizioni accidentali, ricerche su volontari ma, purtroppo, in qualche

caso anche su soggetti inconsapevoli), la causa viene quantizzata con la dose:

Dose: quantità della sostanza (fornita con l’esposizione) per unità di massa

corporea (mg/kg) LDn

In Ecotossicologia, è invece forse più utilizzata la concentrazione:

Concentrazione: quantità della sostanza (fornita con l’esposizione) per

unità di massa del veicolo (mg/L, mg/kg) LCn

Tradizionalmente, i primi studi hanno preso in considerazione solitamente gli

effetti estremi, in grado cioè di provocare la morte di soggetti esposti. Il piano

sperimentale prevede in questo caso di sottoporre alcuni soggetti a dosi crescenti

di una sostanza e di contare, per ogni dose e per controlli non esposti, il numero

dei morti.

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La relazione causa – effetto assume allora la forma rappresentata in figura

3, dove si può distinguere, in particolare, la dose mediana letale. Sulla base di un

campione finito di soggetti, Questo tipo di rappresentazione permette di interpolare

la dose in grado di provocare la morte del 50 % degli organismi esposti; per

inferenza, si assume che questa dose sarebbe in grado di provocare la stessa

percentuale di morti nella popolazione di soggetti.

% R

ispo

sta

(Mor

talit

à)

Dose

100

50

0

LD50

Sostanza B

Sostanza A

LDn: Dosedella sostanzache determinala morte per n %degli organismiesposti

LD50: dose mediana letale. Singola dose, statisticamentecalcolata, che si prevede determini la morte del 50 % degliorganismi esposti in definite condizioni sperimentali

Fig. 3 – Relazione dose – mortalità.

Il grafico indica anche che due sostanze diverse possono (ma non

necessariamente) avere la stessa LD50, ma la relazione causa – effetto indica che

una sostanza (A) ha effetti letali anche quando l’altra sostanza (B) non ha un

effetto misurabile. Al contrario, la sostanza B ha un effetto letale superiore della

sostanza A a dosi più elevate (naturalmente, questa è una rappresentazione molto

semplificata, intesa a mettere in evidenza che la LD50, da sola, non è sufficiente a

caratterizzare completamente la relazione causa – effetto. Sostanze diverse

possono ovviamente avere curve simili, ma ampiamente sfasate).

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In Ecotossicologia, si ottengono curve dello stesso tipo (Fig. 4), ma

sostanzialmente diverse in quanto descrivono la relazione causa – effetto in

funzione della concentrazione dell’esposizione (riferita al mezzo di

somministrazione), invece che alla dose (riferita al soggetto che la riceve).

% R

ispo

sta

(Mor

talit

à)100

50

0

Threshold LC50LCn

Threshold(soglia):concentrazione (odose) minimanecessaria perindurre un effettorilevabile(impossibile damisurare concertezza)

LOEL: l

NOEL: l

ivello al quale è stato osservato il più piccolo effetto(differenza dal controllo statisticamente significativa)

ivello al quale non è stato osservato un effetto(differenza dal controllo non statisticamente significativa)

Fig. 4 – Relazione concentrazione – mortalità.

In questo caso, sulla base del confronto statistico tra esposti e controlli, è

possibile identificare una “soglia” (threshold) minima, al di sotto della quale non si

osserva una mortalità statisticamente significativa, alla quale corrisponde una

concentrazione NOEL (livello al quale non si osserva un effetto). La

concentrazione LOEL è invece il livello minimo per il quale viene osservato un

effetto statisticamente significativo.

Entrambi questi valori sono però ampiamente criticati, perché legati al piano

sperimentale: le concentrazioni LOEL e NOEL sono semplicemente identificate

con le concentrazioni sperimentalmente utilizzate e non con punti reali della

relazione causa – effetto. Ad esempio, se la sperimentazione prevedeva

concentrazioni (unità arbitrarie) pari a 1000, 500, 250, 125, 62,5 e 0 (controllo) e

se l’analisi statistica indica che la concentrazione 62,5 non è distinguibile dal

controllo, ma la concentrazione 125 dà un effetto statisticamente significativo, si

avrebbe LOEL = 125 e NOEL = 62,5. Non si ha però nessuna indicazione nel

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campo compreso tra 62,5 e 125. Una successiva sperimentazione, con

concentrazioni 100 – 75 – 50, 25, 0, potrebbe, infatti, produrre una NOEL di 25 ed

una LOEL di 75, e così via cambiando il piano sperimentale.

Per lo stesso motivo, anche il valore soglia è impossibile da determinare

sperimentalmente.

Questo tipo di rappresentazione ha comunque il vantaggio di poter

confrontare la tossicità di sostanze diverse (Fig. 5).

70003000 1500

100 60

0,02 0,020,01

0,1

1

10

100

1000

10000

Etan

olo

NaC

l

CuS

O4

DD

T

Nic

otin

a

Tetr

odot

ossi

na

Dio

ssin

a

mg/

kg p

eso

corp

oreo

Fig. 5 – Confronto tra LD50 per l’uomo di diverse sostanze.

In effetti, è stata utilizzata per cercare almeno di stabilire una scala relativa

di tossicità per le varie sostanze. Nella Direttiva Comunitaria su Classificazione,

Imballaggio ed Etichettatura dei prodotti chimici, recepita in Italia con il Decreto

Legislativo 3 febbraio 1997 N° 52, ad esempio, vengono indicati dei valori (Tab. 1)

che consentono di classificare le diverse sostanze in 3 categorie, in funzione della

loro LD50 quando somministrate oralmente a ratti (dose espressa in mg kg-1 di

peso corporeo).

Questa categorizzazione è abbastanza arbitraria e non completamente

soddisfacente: ad esempio, una sostanza con LD50 = 200 è classificabile come

tossica, mentre un’altra con LD50 = 199 è “solo” dannosa.

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In effetti, per un’applicazione concreta che dia garanzie di salvaguardia, è

necessario introdurre un altro concetto, quello di rischio:

Rischio: frequenza prevista o osservata (probabilità) con la quale una

sostanza può indurre danni o effetti inaccettabili quale risultato di una esposizione

di organismi o ecosistemi suscettibili

Non è sufficiente che una sostanza dimostri di poter produrre un effetto;

questa sostanza deve avere una probabilità (misurabile) di raggiungere

l’organismo bersaglio nelle dosi che determinano gli effetti avversi.

Il caso tipico è quello di sostanze che manifestano un effetto avverso solo a

concentrazioni superiori al loro prodotto di solubilità: è praticamente impossibile

che, in un’acqua potabile, raggiungano dunque concentrazioni tanto elevate da

danneggiare l’organismo che la beve.

Pertanto:

Una sostanza può essere ritenuta “sicura” quando c’è una elevata probabilità che l’esposizione non provochi danni

La misura del valore di LD50 non è certamente sufficiente per garantire che

una sostanza sia sicura. È necessario almeno stimare la dose corrispondente ad

una mortalità “accettabile”, alla quale non corrisponde un “danno”. Ad esempio, un

agricoltore può ritenere accettabile che, trattando con un diserbante il suo campo,

ottenga una germinazione soltanto dell’80 % dei semi utilizzati (rispetto ad un

campo non trattato), perché comunque la resa del raccolto risulterà superiore che

in un campo infestato da altre erbe. È cioè preparato ad accettare una LD20 (il 20

% dei semi non germina).

In generale, è dunque necessario definire il:

Rischio accettabile: Probabilità che il danno possa essere tollerato da un

individuo, un gruppo, o dalla società. La valutazione dipende dai dati scientifici, ma

la sua accettabilità è influenzata da fattori sociali, economici e politici

Se invece di un agricoltore ed il suo portafoglio è necessario proteggere

invece la salute umana, non solo non è sufficiente garantire una dose il più vicina

possibile a LD0 (non siamo disposti ad accettare nemmeno 1 morto su 1 milione),

ma dobbiamo anche cercare di evitare altri possibili danni non letali. Viene dunque

superata la verifica della mortalità, ritenuta non sufficiente in quanto non dà

indicazioni su eventuali effetti sub-letali, per investigare invece il maggior numero

possibile di relazioni causa – effetto che possono determinare effetti avversi.

Nel caso dell’acqua potabile, il Safe Drinking Water Committee della U.S.

National Academy of Sciences nel 1977, dovendo fissare una soglia di rischio ha

deciso di adottare questi criteri:

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Quando il pericolo non può essere valutato con precisione, per stimare una

concentrazione “sicura” si divide la NOEL (no observed effect level) per un fattore

di incertezza pari a:

•10, quando non esistono validi dati di esposizione cronica per umani;

•100, quando i dati sugli umani non sono conclusivi (ad esempio, limitati

esposizioni acute), ma esistono dati attendibili per una o più specie animali;

•1000, quando non esistono dati a lungo termine, non sono disponibili dati

su umani e sono scarsi anche quelli su animali

Tipi di effetto

Il tipo di effetto dipende non solo dall’esposizione, ma anche dal tipo di

esposizione: questa può essere singola (quando l’organismo è esposto una sola

volta alla sostanza potenzialmente tossica); ripetuta (più esposizioni in tempi

successivi), o cronica (l’organismo è costantemente sottoposto alla sostanza).

Bisogna poi distinguere tra effetti locali (dove vengono applicate le sostanze)

ed effetti sistemici (l’organo bersaglio, nel quale cioè si manifesta l’effetto avverso,

può essere diverso da quello di assorbimento): le sostanze corrosive, ad esempio,

hanno sempre effetto locale; le sostanze irritanti hanno spesso effetto locale, ma in

qualche caso possono aver un effetto sistemico su organi o tessuti bersaglio

diversi dal sito di assorbimento; altre sostanze, infine, come il Pb tetraetile, hanno

sia un effetto locale (per contatto sulla pelle) che un effetto sul sistema nervoso

centrale, dopo assorbimento e trasporto.

Per alcune sostanze, per le quali l’assorbimento supera l’escrezione, si

osserva un bioaccumulo, nell’intero corpo o in particolari parti. Di per sé, questo

non può essere considerato un effetto avverso: i tessuti adiposi possono

accumulare grandi quantità di pesticidi organoclorurati, senza riceverne un danno.

L’effetto avverso si manifesta invece nel caso in cui l’accumulo comporti il

raggiungimento, in una determinata componente, di una concentrazione

sufficientemente elevata da alterare una funzione essenziale di tale componente.

Al contrario, gli effetti di una sostanza possono essere cumulativi, anche

quando la sostanza stessa non viene accumulata (esempio: effetto dei pesticidi

organofosforati sul sistema nervoso).

Gli effetti di una sostanza possono anche non essere immediati, ma ritardati:

è il caso (già citato) della sensibilizzazione ad un allergene (effetto: allergia), o più

in generale delle sostanze mutagene, teratogene, carcinogene (esempio: cancro

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vaginale in giovani donne le cui madri sono state esposte al dietilstilbestrolo

durante la gravidanza).

Come si è visto per le modalità di azione, si distinguono poi effetti reversibili

ed irreversibili: molti effetti sul fegato sono reversibili, perché ha una grande

capacità di rigenerazione, mentre per il sistema nervoso centrale, che ha una

limitata capacità di rigenerazione, la maggior parte degli effetti che comportano

cambiamenti morfologici sono irreversibili ed il recupero, anche nel migliore dei

casi, è limitato (per alcuni effetti irreversibili, ad esempio carcinogenesi e

teratogenesi, un opportuno trattamento può però limitare la severità dell’effetto).

L’interpretazione dei risultati è poi particolarmente complicata quando si ha

una esposizione multipla, dando luogo ad interazioni di tipo additivo, sinergico,

potenziante o antagonista.

In pratica, l’esposizione contemporanea a due o più sostanze produce un

effetto complessivo pari, superiore, o inferiore alla somma degli effetti che

produrrebbero indipendententemente le due o più sostanze Il primo caso è quello

dell’effetto della sostanza A (pari a 1) che si somma all’effetto della sostanza B

(pari a 5), producendo un effetto complessivo pari a 6 (effetto additivo): pesticidi

organofosforati.

Altri casi possibili sono:

1 + 5 = 10 (effetto sinergico): fibre di asbesto + fumo di sigarette aumenta di

40 volte il rischio di cancro)

0 + 5 = 20 (effetto di potenziamento): isopropanolo (a concentrazioni non

dannose) aumenta i danni al fegato prodotti dal tetracloruro di carbonio

1 + 5 = 2 (effetto antagonista): il selenio aumenta la tolleranza al mercurio

In sostanza, la manifestazione di un effetto dipende da un complesso

bilancio tra assorbimento ed escrezione, danno esercitato e eventuali processi

metabolici di riparazione o alleviamento del danno.

Per questo, non sempre da esperimenti semplici è possibile predire con

certezza l’effetto finale. Da questo bilancio può, infatti, talvolta risultare una:

Tolleranza: diminuita sensibilità ad una sostanza a seguito di una

esposizione a tale sostanza o ad altre sostanze con una struttura simile

Od anche una:

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Resistenza: quasi completa insensibilità ad una sostanza (solitamente

riflette una capacità metabolica di inattivare ed eliminare rapidamente la sostanza

ed i suoi metaboliti)

Vie di esposizione

Particolarmente importante risulta essere la via di esposizione alla sostanza

potenzialmente tossica, che dipende soprattutto dalla sua forma. Come è risaputo,

possono causare danni i solidi (una tegola in testa), i liquidi (annegamento) i gas

(gas asfissianti possono causare la morte semplicemente perché manca

l’ossigeno). Ma la tossicologia si occupa “solo” di “veleni”: trascurando i casi di

danneggiamento fisico, va ricordato allora che:

una sostanza può causare danni solo se raggiunge una parte sensibile di un organismo con una concentrazione sufficientemente elevata e per un sufficiente tempo di esposizione.

I veleni possono ancora essere distinti in liquidi, gas, vapori, aerosol, polveri,

fumi, …, perché in ciascuna di queste forme può esistere un’esposizione in grado

di causare effetti avversi:

- per inalazione (vie respiratorie: gas, vapori, polveri, nell’uomo tra 0,5 - 10

µm)

- per ingestione (tratto gastro-intestinale: solidi e liquidi)

- topica (superficie di contatto: anilina, HCN, steroidi, Hg organico,

nitrobenzene, composti organici fosforati, fenolo, ...)

Poiché la forma di un veleno dipende dalle condizioni ambientali, in

particolare temperatura e pressione, anche i suoi effetti tossici possono variare con

le condizioni ambientali (mercurio liquido o gassoso; amianto solido o in particelle

respirabili, ecc.), che devono quindi essere specificate quando si presentano dati

di tossicità.

Il tipo di esposizione condiziona in particolare il destino della sostanza nel

corpo dell’organismo esposto (Fig. 6), perché diversi possono essere i meccanismi

di assorbimento, distribuzione ed escrezione.

Dopo l’assorbimento, il metabolismo delle diverse sostanze dipende invece

dalle loro proprietà chimicofisiche, ad esempio dal loro carattere idrofilo o polare

(Fig. 7): sostanze solubili in acqua, o dissociate in composti polari, entrano

direttamente nella circolazione sanguigna e, se facilmente vaporizzabili, possono

essere espirate attraverso i polmoni, oppure escrete nell’urina o in altri fluidi

(lacrime, saliva, latte, sudore, ecc.)

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Le sostanze lipofile (Fig. 8) e metabolicamente stabili, in genere tendono

invece ad essere accumulate nel grasso corporeo: ma, in condizioni di stress,

possono essere rimesse in circolo e provocare intossicazioni acute e/o dar luogo,

nel fegato e altri organi, a due tipi di reazioni:

ig. 6 – Assorbimento, distribuzione ed escrezione di una sostanza.

ig. 7 – Metabolismo di sostanze idrofile e polari.

Ingestione

Bocca

Tratto gastro-intestinale

Feci

Circolazioneenteroepatica

Inalazione

Naso oBocca

Polmoni

Sangue elinfa

Reni

Vescica

Bile

Fegato

Grasso

CapelliUnghie

Pelle

Ossa

Ghiandolesecretive

Urina

Topico

Sudore, latte,saliva, lacrime

Fluidiextracellulari

Organi

Tessutimolli

Polmoni

Aria espirata

Sostanze Sostanze

F

idrofile

Circolazionesangue

Polmoni

Aria espirata

Reni

Urine

lacrimesaliva

sudorelatte

capellipelle

Dissociatepolari

Indissociate

Proprietàlipofile

LinfaticoTessutoAdiposo

F

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Reazioni Fase 1: sono catalizzate dalla famiglia del citocromo P450 e da

altri enzimi del reticolo endoplasmatico liscio (ossidazioni, riduzioni, idrolisi,

dealchilazioni, deaminazioni, dealogenazioni, formazioni e rottura di anelli)

Reazioni Fase 2: reazioni di coniugazione - formazione di legami covalenti

delle sostanze assorbite o dei loro prodotti nelle reazioni di Fase 1 con composti

quali glutatione, acido glucuronico o aminoacidi. I coniugati, solitamente più solubili

in acqua delle sostanze di partenza, sono più facilmente escreti nella bile. Alcuni

possono essere separati nei loro componenti dai batteri nell’intestino ed essere

riassorbiti.

In alcuni casi, la biotrasformazione delle sostanze può ridurre la loro

tossicità: un caso di detossificazione è rappresentato dal cadmio, che induce la

sintesi di metallotioneine (proteine che legano i metalli), aumentando la tolleranza

a questo tossico (ma, a lungo andare, l’accumulo nei reni causa comunque una

nefrotossicità).

Sostanzelipofile

Legame con cellule del sangue,albumina, lipoproteine, cellulelinfatiche, proteine linfatiche

Prodotti solubili in acqua

Circolazione sangue

Localizzazione fisica,accumulo nei tessuti adiposi

Circolazionesangue

Escrezionenella bile

Riassorbimentointestinale

Passaggioattraversointestino

Reazioni Fase 1

Reazioni Fase 2

Escrezione renale

Sostanzealtamente lipofile

Latte

Idrolisi

Escrezionefecale

Fig. 8 – Metabolismo di sostanze lipofile. In altri casi (ad esempio agenti arilanti, alchilanti, o metalli) la

biotrasformazione può invece portare ad alterazioni strutturali o delle proteine (Fig.

9) che aumentano la tossicità, fino a vere e proprie biotossificazioni (Fig. 10): gli

idrocarburi policiclici aromatici vengono convertiti in derivati arilanti, che

interagiscono con DNA e proteine, causando mutazioni, cancro, teratogenesi,

sensibilizzazione del sistema immunitario, morte cellulare; le arilammine,

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trasformate in arilidrossilammine, convertono l’emoglobina in metaemoglobina,

incapace di trasportare l’ossigeno; i nitrati, assunti tramite la dieta, nell’intestino

vengono ridotti (da batteri) in nitriti e in presenza di sostanze contenti

amminogruppi, in nitrosammine; gli stessi nitriti possono anche convertire

l’emoglobina in metaemoglobina (questa reazione spiega la cosiddetta “sindrome

del bambino blu”: mescolando latte in polvere con acqua troppo ricca in nitrati, si

formano nitriti e metaemoglobina ed i tessuti vengono privati dell’ossigeno).

Fig. 9 – Biotrasformazioni possibili.

n caso speciale è quello delle “sintesi letali”, esemplificato da un comune

rattici

EscrezioneChelazione e

legame covalentecon acidi nucleici

e proteine

Accumulo nelleossa, se

chimicamentesimile al calcio

Rilascio perstress, malattia o

vecchiaia

Agenti arilantio alchilanti Radicali liberi

Metalli

Legamecovalente conacidi nucleici e

proteine

RiparazioneDNA

Alterazione DNAproduce mutazioni

Alterazione RNAfunzioni anormali

Alterazioni strutturaproducono alterate

funzioni

Alterazione proteinefunzioni anormali,

antigeni

U

da, l’acido fluoroacetico: attraverso la trasformazione in acido fluorocitrico e

all’inibizione dell’aconitasi, provoca il blocco del ciclo dell’acido citrico,

determinando la morte dei ratti.

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Fig. 10 – Biotossificazione.

Mutagenesi, carcinogenesi,

Idrocarburipolicicliciaromatici

Arilammine Nitrati

Ossidazionemediata dal

citocromo P450

Derivatielettrofiliarilanti

Arilazione diacidi nucleici e

proteine

Radicaliliberi

Alchilazionedi DNA e/oproteine

Compostinitrosi

Riduzione mediatada batteri intestinali

Nitriti

Metaemoglobina

Anossia deitessuti e

morteteratogenesi, effetti

immulogici, morte cellulare

iassumendo, la produzione di un effetto tossico passa attraverso tre fasi

(Fig.

Circolazione

Iniziatore della Reazione in

Tossicità

R

11): una fase chimica, o di esposizione; una fase tossicocinetica, di

trasformazione, e una fase tossicodinamica.

Fase chimica(esposizione)

Fase tossico-cinetica

Fase tossico-dinamica

Sostanzapotenzialmente

tossica

Formulatoo derivati

Ass

orbi

men

to

Biotrasformazioni

Circolazione

Legame aitessuti

Escrezione

tossicità siti chiave

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Fig. 11 – Fasi nella produzione di tossicità

Nella fase tossicodinamica gli iniziatori della tossicità (che possono essere i

tossici di partenza o i loro metaboliti) interagiscono in siti chiave e danno inizio ai

processi che si manifestano con gli effetti tossici veri e propri.

Se il sito chiave è:

- un particolare organo, si può avere una alterazione della funzionalità,

potenzialmente culminante con la morte;

- il DNA, una mutazione in una cellula somatica può degenerare in un

tumore; in una cellula germinale produrre effetti teratogeni;

- il sistema immunitario, la riduzione delle difese può portare a asma, riniti,

congiuntiviti, anemia emolitica, dermatiti da contatto, …

Dalla Tossicologia all’Ecotossicologia

I concetti finora enunciati sono tutti recepiti dall’Ecotossicologia, che tuttavia

estende il suo campo d’applicazione all’intero ambiente. È quindi necessario

prendere in considerazione (Fig. 12):

- le fonti dei veleni;

- la loro diffusione nell’ambiente;

gli effetti sul bersaglio (in ultima analisi, sull’intero ecosistema).

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Fonti Ambiente Target

Produttore

Prodottoiniziale

Prodottofinale

Emissioni

Trasformazioni

Dispersione

Deposizione

Controlloemissioni Assorbimento

Escrezione

Metabolismo

Normesulle

Emissioni

Norme diprotezioneambientale

Norme peresposizione,

biologiche, residui

Fig. 12 – Campi di intervento dell’Ecotossicologia

La funzione principale dell’Ecotossicologia, in tutti e tre questi campi, è quella

di stabilire delle norme che, complessivamente, garantiscano che l’eventuale

rilascio nell’ambiente di un veleno non comporti un danno, o quanto meno

un danno osservabile e irreversibile.

Nella pratica, ciò si traduce in norme sulle fonti, sull’ambiente recettore, sugli

organismi:

sulle fonti: restrizioni nell’autorizzazione alle emissioni (possono essere

immesse nell’ambiente solo sostanze per le quali non sono stati riscontrati

effetti avversi); limitazioni nelle quantità immesse (per sostanze per le quali è

possibile stimare una soglia di non effetto)

sull’ambiente: quantità massime consentite nei vari comparti ambientali (aria,

acqua, suolo, …), tenendo conto delle eventuali trasformazioni in

sottoprodotti, per evitare cambiamenti indesiderati (qualitativi, quantitativi,

economici, estetici, …)

sugli organismi:limiti di esposizione, quantità massime di residui in

determinate componenti (in particolare, della catena alimentare umana)

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-

Sostanzialmente, si basa ancora su una visione antropocentrica, tradotta in:

è proibito tutto ciò che direttamente od indirettamente può danneggiare l’uomo.

Gli strumenti Cronologicamente, l’Ecotossicologia ha dapprima osservato (Moriarty, 1983)

che la diffusione di veleni nell’ambiente poteva comportare effetti avversi (mortalità

di specie vegetali ed animali d’interesse economico, se non effetti diretti

sull’uomo); successivamente, ha sviluppato gli opportuni strumenti per investigare

le cause della tossicità osservata ed eventualmente per porvi rimedio.

Attualmente, lo studio dei veleni ambientali viene utilizzato per:

la previsione dei possibili effetti indesiderati sull’ambiente dovuti

all’immissione di una singola sostanza (commercializzazione di nuovi prodotti) o di

una miscela di sostanze, almeno in parte potenzialmente tossiche (effluenti)

la verifica degli effetti indesiderati che sono avvenuti o avvengono

nell’ambiente a causa dell’immissione di una singola sostanza o di una miscela di

sostanze, almeno in parte potenzialmente tossiche, tenendo conto delle interazioni

fisiche, chimiche e biologiche con le diverse componenti, biotiche ed abiotiche,

dell’ambiente stesso

Il primo settore è essenzialmente basato sulla stima della tossicità, mentre il

secondo ricorre ampiamente al biomonitoraggio e, nel caso venga effettivamente

rilevato un effetto avverso, a metodi di identificazione delle possibili cause (TIE).

Definendo:

Tossicità: potenziale intrinseco di una sostanza di causare un danno

sistemico a organismi viventi

Tossico: agente che produce effetti avversi in un sistema biologico,

danneggiando strutture e/o funzioni

Si può procedere alla

Stima della tossicità: severità degli effetti avversi indotti dall’esposizione ad

agenti tossici e frequenza con la quale si manifestano tali effetti mediante prove

sperimentali, oppure per via indiretta, applicando opportuni strumenti teorici

(QSAR, modelli).

Stima sperimentale della tossicità

Le prove sperimentali possono essere basate sulla stima della tossicità:

(ECETOC, 1993b).

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Acuta Effetti avversi che si manifestano in un breve tempo (non superiore

ad un terzo del tempo medio tra nascita e raggiungimento della maturità sessuale

e durante il quale l’organismo può essere mantenuto in buone condizioni in

assenza di alimentazione) dopo la somministrazione di una singola dose di una

sostanza

Subacuta (Subletale) Effetti avversi che si manifestano dopo l’esposizione

ad una sostanza per un periodo ≤ 10 % vita dell’organismo (e durante il quale gli

organismi vengono alimentati)

Cronica Effetti avversi che si manifestano dopo l’esposizione ad una

sostanza per un periodo > 50 % vita dell’organismo

I test di tossicità acuta prevedono la misura di una risposta individuale (mortalità, metabolismo: germinazione, produzione primaria, produzione

secondaria, uptake, escrezione, …).

Una tossicità sub-letale misura la risposta dell’intero organismo (crescita,

comportamento, patologia, …), oppure una risposta interna (biochimica, istologia,

fisiologia, …).

La tossicità cronica prende in considerazione la risposta di popolazioni

(parametri demografici), di comunità (interazioni tra specie), o dell’intero

ecosistema (interazioni totali).

In tutti i casi, la tossicità osservata solitamente è funzione di specie, età,

sesso, alimentazione, condizioni dell’organismo, caratteristiche fisico-chimiche del

mezzo.

Per l’esecuzione dei test, è possibile operare in laboratorio, cioè in

condizioni controllate dall’operatore, utilizzando una singola specie o più specie

diverse, in esperimenti indipendenti.

L’esposizione può essere statica (il mezzo contenente la sostanza viene

preparato all’inizio dell’esperimento e non più modificato fino al termine

dell’esperimento stesso), semi-statica (il mezzo viene periodicamente rinnovato),

continua (il mezzo viene rinnovato di continuo).

Particolarmente critica è la scelta della (o delle) specie, che può essere

effettuata sulla base di differenti criteri:

- tra specie indigene dell’ambiente da proteggere, in funzione di rilevanza

ecologica (specie chiave nella catena alimentare), importanza economica, facilità

di uso (disponibile e/o allevabile);

- tra specie particolari, in funzione della sensibilità ai tossici, della

disponibilità di laboratorio, della standardizzazione delle metodologie.

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Questi test permettono di determinare una relazione causa – effetto, ma non

sono in genere sufficientemente realistici, in quanto i risultati ottenuti sono validi

solo per le condizioni sperimentali utilizzate e non consentono di estendere le

conclusioni ad altre specie o a sistemi naturali complessi (in quanto non possono

tener conto delle interazioni complesse tra biota e ambiente).

Pertanto, una approfondita rassegna della bibliografia in materia (si veda ad

esempio Jørgensen et al., 1991; ECETOC, 1993) vede l’uso di numerosissimi

organismi diversi (alghe, batteri, vegetali, invertebrati, vertebrati) ed evidenzia

come, per diverse sostanze, ciascuno presenta una diversa sensibilità. Non

stupisce quindi che l’unico consenso finora raggiunto sia che non esista una

singola specie adatta a descrivere gli effetti di tutti i possibili tossici ed è quindi

necessario utilizzare in ogni caso una batteria di test, che utilizzi almeno un

batterio, un’alga ed un invertebrato. L’uso di vertebrati, pur se auspicabile, in

genere comporta notevoli complicazioni sperimentali, per le difficoltà di

reperimento e mantenimento di soggetti adeguati ed i tempi più lunghi, in

particolare nello studio di tossicità sub-letale e cronica: la vita di un vertebrato è

infatti solitamente superiore di uno o più ordini di grandezza, rispetto ad alghe o

invertebrati.

Tuttavia, anche l’uso di batterie di test non consente di verificare gli effetti

sugli organismi in presenza di interazioni interspecifiche (un erbivoro od un

predatore possono ad esempio essere danneggiati semplicemente perché il suo

cibo risulta alterato, qualitativamente o quantitativamente, dall’esposizione ad un

tossico).

Si possono allora effettuare degli esperimenti più complessi, con

esposizione contemporanea multispecie (più specie che convivono nello stesso

sistema sperimentale, ad esempio microcosmi o canali artificiali; Gillett, 1989;

Gearing, 1989).

Anche in questo caso però non è possibile cogliere appieno gli effetti delle

interazioni interspecifiche possibili (infatti, possono essere valutate solo quelle tra

le specie prescelte per l’esperimento, ma non quelle con altre specie, non testate,

che negli ambienti naturali comunque coesistono)

L’alternativa consiste nel realizzare l’esposizione sul campo, utilizzando

apposite enclosure (cioè delimitando fisicamente una parte dell’ecosistema,

comprendente la comunità naturale del sito) e operando gli esperimenti in questi

mesocosmi, nei quali le condizioni sono ancora parzialmente controllabili dallo

sperimentatore. Il caso più complesso è quello in cui i test vengono effettivamente

condotti nell’ambiente allo studio, riducendo al minimo le manipolazioni (test in

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situ) e nei quali le condizioni rispecchiano quindi esattamente lo stato

dell’ambiente.

Questo tipo di studi è quindi intermedio tra gli studi di laboratorio e l’esame

estensivo dell’ambiente, realizzabile tramite il cosiddetto biomonitoraggio (vedere

oltre).

In ognuno dei test di tossicità sperimentale è infine possibile (e, spesso,

desiderabile) rilevare diversi end point (parametri che esprimono l’intensità

dell’effetto), dai più immediati (mortalità), ai più informativi, in termini di

spiegazione del meccanismo di azione del tossico.

Sostanzialmente, poiché ognuno degli approcci qui sinteticamente riassunti

presenta vantaggi e svantaggi (Moriarty, 1983; Levin et al., 1989), la scelta può

essere diversa caso per caso, in quanto dipende essenzialmente dagli obiettivi

dello studio.

Va comunque sottolineato che gli studi più veloci ed aventi come oggetto i

livelli inferiori di organizzazione biologica dimostrano di essere in genere più

sensibili, con buone possibilità di identificare le relazioni di causa ed effetto.

Tuttavia, proprio perché tendono a semplificare la realtà per renderla interpretabile,

sono difficilmente estrapolabili e, complessivamente, hanno una modesta rilevanza

ecologica. Al contrario, le indagini ai più elevati livelli di organizzazione sono

effettivamente più rilevanti in termini ecosistemici, ma solitamente sono meno

sensibili, estremamente laboriosi, lunghi e complicati anche da interpretare

(Burton, 1991; Fig. 13).

Molecole- Organismi Popolazioni- EcosistemaCellule Comunità

Metaboliti Metabolismo Diversità ProduttivitàGeni Comportamento Abbondanza DecomposizioneEnzimi-proteine Crescita Interazioni Interspecifiche Ciclo NutrientiSistema Struttura Morfologia Successioni Catena alimentareImmunitario Riproduzione Struttura spaziale Flusso energiaIstopatologia Sopravvivenza

Sensibilità risposta

Rilevanza Ecosistema(secondi-giorni) (minuti-anni) (giorni-anni) (settimane-decadi)

Tempo di risposta

Livelli di organizzazione biologica

Fig. 13 - Sensibilità e rilevanza dei test ai diversi livelli di organizzazione biologica (Burton, 1991).