15
IL FILOSOFO DIOGENE 56 N. 13 Dicembre 2008 Ci sono tanti aspetti del pensiero di Edith Stein su cui varrebbe la pena di indagare: la sua metafisica, l’idea di persona, le conferenze sulla condizione della donna, la fenomenologia e gli scritti religiosi, quasi un’anticipazione del Concilio. Noi ci soffermeremo soprattutto sulle vicende della sua esistenza, il cui valore è andato oltre la dimensione filosofica, come dimostra il processo di beatificazione portato a termine da papa Giovanni Paolo II. Edith Stein i origine ebrea, Edith Stein naque il 12 ottobre 1891. Distintasi negli studi, decise di proseguirli iscrivendosi all’Università, scelta all’epoca non comune per le giovani donne. Il suo itinerario intellettuale la portò a fre- quentare Husserl a Gottinga e a seguirlo a Friburgo nel 1916, quando lui vi si trasferì. Dal 1916 al 1918 fu sua assistente. Dopo la pubblicazione de Il problema dell’empatia (1917), la sua tesi di laurea, lavorò prima a Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filoso- fica (1922), poi a Una ricerca sullo Stato (1925). Queste tre opere si distinguono per l’aderenza al metodo fenomenologico husserliano e per una sostanziale siste- maticità della trattazione, che indaga la natura umana nelle sue dimensioni psichi- che, spirituali e sociali. A Gottinga conobbe Max Scheler, che la avvicinò al cristianesimo. Vide così matu- rare gradualmente la propria fede, fino a che la lettura di Teresa d’Avila, nel 1921, la spinse a chiedere il battesimo, che ricevette nel 1922. Negli anni Venti si occupò di antropologia e filosofia dell’educazione, soprattutto in quanto docente all’Istituto delle Domenicane a Speyr e all’Istituto Tedesco per la Pedagogia scientifica a Münster (1922-33). Dopo un intenso periodo di insegna- mento, privata della cattedra a causa delle leggi antisemite, nel 1933 entrò nel Car- melo di Colonia. Continuò però gli studi, il cui esito più importante fu il podero- so tomo su Tommaso d’Aquino: Essere finito e Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere. Gli ultimi anni furono caratterizzati da una svolta mistica che culminò nel testo Scientia crucis. Studio su San Giovanni della Croce, incompiuto e pubblicato postu- mo. Con il precipitare della situazione politica, per decisione dei superiori, venne trasferita in Olanda. Nel 1942, per rappresaglia nei confronti dei vescovi olandesi che avevano protestato contro la persecuzione e la deportazione degli ebrei, fu cat- turata insieme alla sorella Rosa, convertitasi a sua volta. Entrambe furono deporta- te ad Auschwitz ove furono uccise il 9 agosto, ma la data non è del tutto certa. Nel 1998 Edith Stein è stata proclamata santa dalla Chiesa cattolica. D Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Edith Stein Loescher

  • Upload
    ele1020

  • View
    45

  • Download
    3

Embed Size (px)

DESCRIPTION

.

Citation preview

Page 1: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE56N. 13 Dicembre 2008

Ci sono tanti aspetti del pensiero di Edith Stein su cuivarrebbe la pena di indagare: la sua metafisica,l’idea di persona, le conferenze sulla condizione della donna, la fenomenologia e gli scritti religiosi,quasi un’anticipazionedel Concilio.Noi ci soffermeremosoprattutto sulle vicende della sua esistenza, il cui valore è andato oltre ladimensione filosofica,come dimostra ilprocesso dibeatificazione portato a termine da papa Giovanni Paolo II.

Edith Stein

i origine ebrea, Edith Stein naque il 12 ottobre 1891. Distintasi neglistudi, decise di proseguirli iscrivendosi all’Università, scelta all’epoca noncomune per le giovani donne. Il suo itinerario intellettuale la portò a fre-quentare Husserl a Gottinga e a seguirlo a Friburgo nel 1916, quando luivi si trasferì. Dal 1916 al 1918 fu sua assistente.

Dopo la pubblicazione de Il problema dell’empatia (1917), la sua tesi di laurea,lavorò prima a Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filoso-fica (1922), poi a Una ricerca sullo Stato (1925). Queste tre opere si distinguonoper l’aderenza al metodo fenomenologico husserliano e per una sostanziale siste-maticità della trattazione, che indaga la natura umana nelle sue dimensioni psichi-che, spirituali e sociali. A Gottinga conobbe Max Scheler, che la avvicinò al cristianesimo. Vide così matu-rare gradualmente la propria fede, fino a che la lettura di Teresa d’Avila, nel 1921,la spinse a chiedere il battesimo, che ricevette nel 1922. Negli anni Venti si occupò di antropologia e filosofia dell’educazione, soprattuttoin quanto docente all’Istituto delle Domenicane a Speyr e all’Istituto Tedesco perla Pedagogia scientifica a Münster (1922-33). Dopo un intenso periodo di insegna-mento, privata della cattedra a causa delle leggi antisemite, nel 1933 entrò nel Car-melo di Colonia. Continuò però gli studi, il cui esito più importante fu il podero-so tomo su Tommaso d’Aquino: Essere finito e Essere eterno. Per una elevazione alsenso dell’essere. Gli ultimi anni furono caratterizzati da una svolta mistica che culminò nel testoScientia crucis. Studio su San Giovanni della Croce, incompiuto e pubblicato postu-mo. Con il precipitare della situazione politica, per decisione dei superiori, vennetrasferita in Olanda. Nel 1942, per rappresaglia nei confronti dei vescovi olandesiche avevano protestato contro la persecuzione e la deportazione degli ebrei, fu cat-turata insieme alla sorella Rosa, convertitasi a sua volta. Entrambe furono deporta-te ad Auschwitz ove furono uccise il 9 agosto, ma la data non è del tutto certa. Nel1998 Edith Stein è stata proclamata santa dalla Chiesa cattolica.

DVetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 2: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

57

L’angelo spezzato

K Giuseppe PulinaÈ insegnante di filosofia e giornali-sta.È autore di L’angelo di Husserl.Introduzione a Edith Stein, Zona,Civitella in Val di Chiana, 2008.

La grandezza di Edith Stein sta nell’aver effettivamente praticato quellaintegrità di vita di cui parlava nei suoi scritti, unificando nella sua breveesistenza gli incontri interpersonali e il dialogo con Dio, il camminointellettuale e quello spirituale, la crescita umana e la ricerca religiosa.

ossiamo riassumere i primidue decenni della vita di EdithStein citando il curriculumvitae che lei stessa inserì nelsuo saggio sull’empatia del

1917.“Io, Edith Stein, figlia del defunto Sieg-fried Stein, commerciante, e di sua moglieAuguste nata Courant, sono nata il 12ottobre 1891 a Breslavia. Sono di citta-dinanza prussiana e ebrea. Dall’ottobredel 1897 alla Pasqua del 1906 ho fre-quentato la Viktoriaschule (liceo cittadi-no) a Breslavia e dalla Pasqua del 1908alla Pasqua del 1911 il liceo scientifico aquesta annesso dove ho sostenuto l’esa-me di maturità. Nell’ottobre del 1915dopo aver sostenuto un esame integrativodi greco presso il St. Johannesgymnasiumdi Breslavia ho conseguito il diploma dimaturità classica. Dalla Pasqua del1911 alla Pasqua del 1913 ho studiatopresso l’Università di Breslavia, e poiquattro altri semestri presso l’Universitàdi Gottinga, filosofia, psicologia, storia egermanistica. Nel gennaio del1915 ho sostenuto a Gottingal’esame di Stato pro faculta-te docenti in propedeuticafilosofica, storia e tedesco.Al termine di questosemestre ho interrotto imiei studi e ho prestatoservizio per un periodonella Croce Rossa. Dalfebbraio fino all’ottobredel 1916 ho sostituitoun professore ammala-to nel liceo scientifico di

Breslavia sopra citato. Poi mi sono trasfe-rita a Friburgo per lavorare come assi-stente del professor Husserl”. Da Breslavia, dove aveva svolto la suaprima preparazione filosofica, a Got-tinga, dove completò il suo percorso distudio, il passo non era scontato, maEdith Stein riuscì a compierlo, poten-do così entrare nella schiera degli allie-vi di Husserl. A introdurla nel nuovoambiente accademico fu Adolf Rei-nach, il braccio destro di Husserl, l’as-sistente fidato, capace di una notevoleautonomia di pensiero, di cui EdithStein scoprì ben presto la grande uma-nità. “Amico meraviglioso, ma incline

alla tristezza, perché sof-friva acutamente dei

limiti e dell’im-p e r f e z i o n e

delle creatu-re. ‘Ho

P

Monumento a Edith Stein, chiesa di Edith Stein, Boston, cortesia flickr.com.

Page 3: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE58N. 13 Dicembre 2008

sempre bisogno di un motivo per ralle-grarmi’, confessava con dolcezza, ‘men-tre per lo più gli uomini hanno bisogno diun motivo per affliggersi’. Hedwig Con-rad-Martius l’ha dipinto con finezzacome un uomo senza difese, essenzial-mente vulnerabile. Tuttavia, mai pesavasugli altri, animando d’allegria le riunio-ni familiari e mondane. Le sue operecomplete, pubblicate postume, non arri-vano a cinquecento pagine; scaturisconodal metafisico e dal credente che s’igno-ra”. Edith Stein aveva più di un motivo perapprezzare quell’uomo dall’aspettocosì ingannevolmente ordinario.Innanzitutto ebbe modo di indovinarein Reinach la tempra di una solida, perquanto combattuta, fede religiosa;entrambi, proprio come Husserl, eranoebrei. Sia nell’uno sia nell’altra, poi, lafilosofia si era prepotentemente impo-sta come una via privilegiata per inter-rogarsi sulla possibilità di una veritàaperta anche alla rivelazione dellafede. La vicenda umana di Reinach

non poté poi non avere una qualcheinfluenza su Edith Stein, se non altroper la conversione dell’amico filosofoal cristianesimo siglata dal battesimopoco prima della morte.

La fenomenologia

Per la fenomenologia Edith Steinprovò una vera infatuazione filosofica.Non è un’esagerazione. Husserl, di cuiaveva letto le Ricerche logiche, le si rive-lò subito come un formidabile maestrodal cui insegnamento poteva attingerecon continuità e profondità. La feno-menologia diventò per lei un costumementale, indispensabile per accostarsial nucleo delle questioni che le interes-savano. Non credeva che la fenomeno-logia potesse costituirsi come unavisione del mondo onnicomprensivama, ciò malgrado, ne difese sempre lavalidità del metodo in cui, a suo avvi-so, risiedeva il suo merito maggiore. A Gottinga, Husserl coltivava unagenerazione di formidabili talenti,Heidegger, Koyrè e Ingarden. Sono

anni in cui soffia forte il vento dellafenomenologia, come dimostra il fattoche molti dei più giovani e prometten-ti studiosi di Monaco si trasferirono aGottinga per lavorare con Husserl. Ciòportò alla fondazione della rivistaJahrbuch für Philosophie und phänome-nologische Forschung. E sono anche gli anni in cui maturavaquella che gli storici della filosofia con-siderano come la svolta idealistico-tra-scendentale della fenomenologia hus-serliana, il cui effetto immediato fuquello di produrre una forte divisionefra gli allievi. Nel giro di pochi anni sifece molto netta la contrapposizione alvecchio maestro da parte di un gruppodi allievi, fra cui Roman Ingarden, chefece dell’ontologia il nucleo portantedelle sue riflessioni. Il senso della “svolta” e la problematicaportata delle sue conseguenze nonsfuggì ad Edith Stein, assistente priva-ta di Husserl sino al 1918. La fiduciadel maestro verso l’assistente era inquegli anni tale da affidarle anche la

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 4: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

59

delicata rielaborazione editoriale discritti importanti come Idee II, Espe-rienza e giudizio e Sulla coscienza inter-na del tempo, opera, quest’ultima, lacui edizione definitiva fu ultimata daHeidegger nel 1928, quando EdithStein aveva già deciso di percorrerestrade diverse.Collaboratrice insostituibile, EdithStein seguì il maestro anche nei primimesi del suo nuovo insegnamento aFriburgo. Husserl pretendeva moltodalla disponibilità della sua allieva. Lecarte e le note che continuamente pro-duceva e in cui annotava tutti i pro-gressi delle sue ricerche richiedevanoun’incessante opera di trascrizione ecodificazione. Lei assolveva bene il suocompito, ma tutto questo a discapitodella propria autonomia.

L’autobiografia di Teresa d’Avila

Non fu, tuttavia, l’enorme e crescentecarico di lavoro la causa della separa-zione. A indurla a lasciare Friburgo e laseducente prospettiva della carrieraaccademica fu un testo galeotto: l’au-tobiografia di santa Teresa d’Avila, cheEdith trovò per puro caso, curiosando

nella biblioteca della casa dell’amicaHedwig Conrad-Martius e che lessecon bruciante e crescente passione, inuna sola notte in poche, intensissimeore di lettura. Il mondo che quelle pagine improvvi-samente le schiusero, le entrò dentroper non uscirne più. Iniziò così la fasematura della conversione, sicuramentepreceduta da indizi non trascurabili: lostudio del Pater Noster, ad esempio, eradiventato un testo di base per gli stu-denti di etimologia germanica.Osserva acutamente Elisabeth deMiribel che “come altri fenomenologi,Edith leggeva le opere di santa Teresad’Avila, certamente perché questa santapossiede, come nessun altro, il dono ditracciare in modo vivo le proprie espe-rienze”. L’assoluto diventava così l’obiettivo eil movente di una ricerca che nonnasceva più da interessi puramenteaccademici. Una simile ricerca richie-deva percorsi sino ad allora mai battu-ti. “Camminavamo vicinissime l’unaall’altra”, disse la sua amica Conrad-Martius, “come su una sottile cresta dimontagna, ognuna pronta in ogni

momento a una chiamata divina, che sipresentò in effetti, anche se ci condusse indirezioni confessionalmente diverse. Sitrattava di decisioni nelle quali la liber-tà ultima dell’essere umano, quella chelo nobilita a persona nel disegno dellacreazione, si collega reciprocamente,anche se in modo non decifrabile agliocchi umani, con la chiamata di Dio cuisi deve prestare ascolto”.Anche per via dell’esperienza religiosae della conversione dell’amica al cri-stianesimo evangelico, a Edith Steinnon era sfuggito il carattere simpateti-co che sembrava legare molti fenome-nologi all’esperienza religiosa. In MaxScheler, ad esempio, ella scorgeva unavisione del mondo attinta dall’agosti-nismo, “ma che ha anche una parentelacon il tomismo scolastico più di quantopensassero lui stesso e i suoi avversariprovenienti dalla fede della neoscolasti-ca”. Scheler rappresentò il versantedella fenomenologia in cui Edith Steintrovò più di un elemento congenialealla sua filosofia della persona, ma ciònon le impedì di notarne e disappro-varne la ruvida contrapposizione conHusserl: Scheler, scrisse nella propria

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 5: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE60N. 13 Dicembre 2008

autobiografia, “era aspramente contra-rio alla svolta idealistica e si esprimevaquasi con atteggiamento di superiorità;alcuni dei giovani si permettevano alloraun tono ironico e ciò mi indignava comeuna mancanza di rispetto e di gratitudi-ne. I rapporti tra Husserl e Scheler nonerano del tutto sereni. Scheler non perde-va occasione di ribadire che non eraallievo di Husserl, ma aveva trovato per-sonalmente il metodo fenomenologico”. E ancora: “La facilità con cui Scheleraccoglieva stimoli esterni è nota a tutticoloro che lo hanno conosciuto o chehanno letto attentamente i suoi libri.Accoglieva da altri delle idee che poi tro-vavano sviluppo dentro di lui, senza chelui stesso si accorgesse di essere statoinfluenzato. In tutta coscienza potevaaffermare che era farina del suo sacco”.

L’ordine del cuore

Il giudizio di Edith Stein è duro e fon-dato anche sul piano strettamente filo-sofico; ciò non toglie, però, che MaxScheler abbia esercitato un’influenzanon da poco su di lei. Se ne può spie-gare la ragione con le belle parole chein proposito ha scritto Maria Zambra-no: “Max Scheler reclamava energica-mente un ordine del cuore, un ordine del-l’anima che il razionalismo, più che laragione, ignora”. Per Edith Stein era,quindi, un irresistibile motivo dirichiamo, perché consentiva di integra-re, secondo un differente punto divista, la lezione fenomenologica di

Husserl. Come Scheler e altri fenome-nologi, anche Husserl lesse la Vita disanta Teresa d’Avila, ma, a differenzadi molti suoi allievi, non approdò maialla conversione, che pure negli ultimisuoi anni di vita molti consideravanoimminente. E a proposito di una pro-babile conversione di Husserl, EdithStein disse all’amica Conrad-Martiusche una simile possibilità era da esclu-dere assolutamente perché se fossepervenuto a una tale decisione, sicura-mente glielo avrebbe fatto sapere. Husserl, comunque, non smise diseguire la parabola sempre meno mon-dana della sua ex assistente, di cuicomprenderà, seppur non condividen-dola, la scelta radicale del chiostro. Maquali elementi, quale propensione equale talento poterono spingere tantifenomenologi a convertirsi al cristiane-simo? Si può dire, sulla scorta di quan-to ha già sostenuto Gianni Vattimo,che nell’atteggiamento fenomenologi-co erano già implicite una duttilitàmentale e culturale, oltre a una certadimestichezza metodologica, propizieai cambiamenti più radicali. Si tratta di“quella che, riprendendo un termine delpensiero tardo antico, Husserl ha chia-mato epoché, cioè il metter tra parentesiconvinzioni e certezze scientifiche, percogliere il loro fondamento ultimo nellaevidenza della coscienza.Proprio questo esige un mutamento diatteggiamento così radicale che si puòchiamare conversione”. K

Non proponendosi come una dot-trina ma come un metodo genera-le di conoscenza, la fenomenologiasviluppata da Edmund Husserlcostituisce una delle filosofie piùfeconde del Novecento, tanto daaver dato origine a una vera e pro-pria scuola. La fenomenologia,infatti, si sforza di arrivare allaessenza stessa delle cose, cioè alleleggi che regolano e determinanoogni fenomeno, distinguendolocosì dagli altri. Certo, l’obbiettivonon è nuovo nella storia della filo-sofia, ma invero originale la viaindicata da Husserl per arrivarvi. Egli proponeva, infatti, di “tornarealle cose stesse”, un appello chepuò apparire ingenuo o tropposemplice, ma che praticato con ilnecessario rigore produce effettiinaspettati. Tornare alle cose pervederle come “veramente” sonoimplica una serie di cautele: evita-re i preconcetti, non fidarsi neppu-re della propria esperienza, nondare nulla per “naturale” o sconta-to, nemmeno le più solide teoriescientifiche. In una parola, dubita-re di tutto, persino della realtà delmondo, mettendo almeno tempo-raneamente tra parentesi quellamassa di esperienza, convinzioni,ricordi e fantasie che formano ognisoggetto umano. Cose facili a dirsi,non certo a farsi. Che tale riduzio-ne fenomenologica (o epoché) siaefficace lo dimostra il suo successo.Come metodo generale, infatti,esso può essere applicato a ognioggetto di conoscenza, anche,come nel caso di Edith Stein, alproblema della natura del mistici-smo o dell’empatia. Come mostral’articolo nella pagina a fianco, ful’analisi fenomenologica , attentaalla realtà effettuale, a consentire aEdith Stein di distinguere l’empa-tia da altri fenomeni simili con cuipotrebbe facilmente essere confu-sa, come l’unipatia o il genericoco-sentire, sino a definirne l’essen-za come “capacità di cogliere il vis-suto dell’altro”.

Fenomenologia

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 6: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

61

Lo sguardo dell’empatia

ell’analisi di Edith Stein, ilprimo grado dell’empatiaconsiste nella lettura diun’espressione emotiva sulvolto di qualcuno. Il secondo

consiste nel dirigersi intenzionale del-l’attenzione verso lo stato d’animo del-l’altro. L’oggetto del vissuto non è piùl’espressione emotiva, quanto piutto-sto lo stato d’animo dell’altro, colquale ci si immedesima. Il terzo gradopone attenzione al vissuto dell’altro,colto, a questo livello, come oggetto,come vissuto altrui. Questo grado,rispetto al precedente, comporta unariguadagnata distanza dall’altro, arric-chita però dalla consapevolezza piùintima della condizione altrui. Va, inogni caso, tenuto presente che l’empa-tia non consiste necessariamente nelraggiungimento del livello più alto ma,anzi, spesso si limita all’attuarsi diquello più basso.Una caratteristica importante del vis-suto empatico consiste nel suo nonessere originario quanto al contenuto.Il contenuto non sgorga dall’Io cheempatizza, ma si origina in un altro. Sel’esperienza empatica è originaria inquanto avviene nel soggetto che lavive, il suo contenuto non è originario,perché si origina nell’Io altrui. Si trattadi una specificazione non scontata.Sarebbe, infatti, possibile un sentimen-to non empatico di gioia in occasionedella gioia di un altro: entrambi i vissu-ti sarebbero allora altrettanto originari.Si immagini, ad esempio, che qualcunoconcordi con un amico di compiere unviaggio con lui, dopo che questi abbiasuperato un esame. Quando lo supera,entrambi gli amici gioiscono, e lo fannoper lo stesso motivo, ma non si tratta diempatia, piuttosto di un con-gioire(genericamente co-sentire), un vissutoegualmente originario in entrambi isoggetti.

L’empatia non è unipatiaI tre gradi dell’empatia consentono dievitare un grave errore e la confusionedell’empatia con l’unipatia. Quantoall’errore, esso è presente nella teoriadi Lipps, secondo cui nell’empatia un

Io si fonde con l’altro. Ma, obiettaEdith Stein, la teoria di Lipps dimenti-ca l’esperienza della connessionepsico-fisica, secondo cui la connessionecon il corpo che dico mio non è nécasuale né contingente. L’Io dunquenon si unisce a un altro Io, ma rimanesempre se stesso. Quanto all’unipatia,in essa l’Io scopre nell’altro lo stessosentimento che egli sperimenta. La Stein fa l’esempio di alcuni concit-tadini che gioiscono alla notizia cheuna fortezza nemica è capitolata, noioggi forse preferiremmo pensare ai cit-tadini di uno Stato la cui squadra dicalcio ha vinto il mondiale. In entram-bi i casi, ciascuno si accorge che anchegli altri provano la stessa gioia. Nel-l’unipatia si forma, tra l’Io e il Tu, unNoi. È proprio questa forma di unitàsuperiore che manca al co-sentire eche distingue l’unipatia dall’empatia insenso stretto.Tutto ciò si comprende meglio allaluce di alcune considerazioni. In primoluogo, va detto che trarre conclusioni apartire dalla conoscenza empatica del-l’altro può condurre all’errore. Edith

Stein sottolinea però che il metodo peraccorgersi dell’errore è proprio l’aper-tura empatica all’altro: attraverso unpiù profondo atto di empatia è possibi-le comprendere qualcosa che prima,magari a motivo di un’inconsapevoleproiezione sull’altro di attese o pre-concetti, era sfuggito. In secondoluogo, l’empatia non implica necessa-riamente l’insorgere originario nel sog-getto di sentimenti corrispondenti aquelli empatizzati, non va cioè confusacol contagio emotivo. Il soggetto cheempatizza può non rispondere al mes-saggio emotivo che riceve, ma ciò nontoglie che comprenda pienamente lostato emotivo comunicato dall’altro.Infine, l’empatia non avviene necessa-riamente a prescindere dalla comuni-cazione verbale; al contrario è difficileche dalla sola osservazione dell’atteg-giamento corporeo sia possibile com-prendere l’emozione che l’ha diretto. KK Gian Paolo Terravecchia

Ha conseguito l’Internationale Aka-demie für Philosophie. Autore diFenomenologia sociale. Il contribu-to di Dietrich von Hildebrand,Torino, 2008. Ha curato il diziona-rio on line Foldop. Insegna nei licei.

NUn’analisi fenomenologica.

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 7: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE62N. 13 Dicembre 2008

ercando di tratteggiare con ilmetodo della fenomenologiauna corretta definizione del-l’essere umano, Husserl avevasottolineato il suo “essere get-

tato nel mondo”, ossia il fatto che l’in-dividuo concreto, ben diversamentedal “soggetto” della tradizione filosofi-ca, conduce un’esistenza in buonaparte già predeterminata da fattorifuori dal suo controllo (sesso, ambien-te, cultura e così via). A Edith Steinsembrò sempre che queste osservazio-ni, pur veritiere, finissero con il porrein secondo piano il tema della scelta,ossia il fatto che, oltre tutte le determi-nazioni, ogni individuo è chiamato adecidere cosa fare di se stesso. La suagrandezza sta nel fatto che testimoniòqueste convinzioni personalmente. Nel febbraio del 1918, si dimise dal-l’incarico di assistente di Husserl. Laprospettiva di una libera docenza,infatti, le era interdetta essendo statarespinta all’esame di abilitazione.Esclusa perché donna, non perché ina-datta all’insegnamento. Dalla conversione, la cui gestazioneterminò nell’estate del 1921, al batte-simo trascorsero pochi mesi. A farle damadrina fu l’amica Hedwig Conrad-Martius, con la quale rimase in contat-to anche negli anni della clausura,intrattenendo a distanza un ricco, sep-pur discontinuo, rapporto epistolare.La docenza universitaria negata dalconsorzio accademico fu una feritapresto rimarginata. Dal 1923 al 1931,infatti, Edith Stein si stabilì a Speyer,dove curava la formazione e la prepa-razione per l’insegnamento delle gio-vani suore domenicane. L’impegno

Dal Carmelo ad AuschwitzEdith Stein ritardò la scelta di farsi suora cattolica nel timore che fosseinterpretata come un tentativo di sfuggire alle persecuzioni naziste.

K Giuseppe Pulina

CVetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 8: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

63

scolastico non le impedì però di prose-guire lo studio di san Tommaso, delquale diede alle stampe un’apprezzatatraduzione del De veritate.Durante lo stesso arco di tempo, s’im-pegnò nella traduzione di una raccoltadi scritti di Newman, compito affida-tole da Dietrich von Hildebrand eErich Przywara, il padre gesuita che lecommissionò anche la prima partedella traduzione dell’opera di san Tom-maso. Lavorando a queste due tradu-zioni finì con l’approfondire il contat-to, sempre più intimo e fecondo, conun mondo che pochi anni prima le erain gran parte estraneo e verso il quale,tuttavia, la fenomenologia husserlianasembrava averle indicato la strada.Accedere al cuore del pensiero cristia-no medievale, esaminarne le matrici ericostruirne gli sviluppi era, in effetti,un compito da brava fenomenologa, eEdith Stein questo titolo se lo era gua-dagnato sul campo.

Il convento e niente altro

Ma fu proprio la fama di cui godevanegli ambienti cattolici a ritardarne lascelta di abbracciare la vita del Carme-lo, proposito che la filosofa aveva giàformulato con chiarezza prima del suoinsegnamento a Münster, non ottenen-do però il necessario consenso. L’av-vento del nazismo e le crescenti diffi-coltà dei nuovi tempi la indussero poiad assumere una presa di posizionesenza alternative: il Carmelo e nien-t’altro. Non fu una fuga; fu anzi ilmodo di fare fronte a responsabilitànuove, dando pieno corso a un proces-so vocazionale che non poteva conclu-dersi con il solo battesimo. Nel 1933 lasua parabola spirituale venne in uncerto senso incalzata dagli eventi edalla tragica spirale iniziata dalla presadel potere da parte di Hitler. Dalleautorità naziste le fu impedito di eser-citare la professione di insegnante. Fu,come la stessa filosofa dichiarò, un sol-lievo. Mai avrebbe voluto che il suorecente status di cattolica l’avessepotuta sottrarre al destino comune delsuo popolo. Il 1933 fu l’anno delle decisioni irrevo-cabili. Fece richiesta di entrare nel con-vento delle carmelitane. Ne avevavalutato tutte le possibili conseguenze,

compresi il non facile distacco dallamadre, che aveva sofferto non pocoper la conversione al cattolicesimo, e iltimore che quel suo gesto così radicalevenisse ingiustamente considerato unatto di ingratitudine verso il mondoebraico che proprio allora iniziava asubire la persecuzione hitleriana. Superati gli ultimi indugi, entrò nelmonastero di Colonia, prendendo ilnome di suor Teresa Benedetta dellaCroce. Per capire meglio le ragioni diquesta scelta radicale, si può leggerequanto scrisse nel 1932 in un saggiodedicato all’educazione femminile cheavrebbe dovuto far da base a un corsodi lezioni per l’Istituto Tedesco per laPedagogia Scientifica. “Alla chiamataallo stato religioso”, scrisse allora EdithStein, “e perciò alla verginità, corrispon-de un tipo di donna in cui si indebolisceil legame all’uomo (proprio del matrimo-nio e della maternità). Ma la tendenzaverso il personale e la posizione domi-nante dell’eros si attualizza, in formasuperiore, nell’amore di Dio che compe-netra tutta la vita. Ogni individuo ha ilsuo posto ed il suo compito nell’unicogrande sviluppo di tutta l’umanità”. Dopo aver emesso i voti temporanei,ratificati definitivamente nel 1938,diventò monaca di clausura a vita. Lavita claustrale non le impedì di prose-guire gli studi filosofici, sempre piùorientati verso temi di argomentomistico. A chiederle di non abbandona-re la ricerca filosofica furono proprio isuperiori che non volevano sacrificarneil talento. A Colonia soggiornò sino al1938, quando accettò, per motivi disicurezza, di trasferirsi nel monasteroolandese di Echt, nell’illusorio calcoloche in quella terra non si sarebbe maispinta la persecuzione antisemita deinazisti.A Echt, dove le suore carmelitane tro-varono rifugio, ebbe comunque mododi portare a termine la sua opera prin-cipale (Essere finito ed Essere eterno),redigendo in meno di un anno uno stu-dio sulla vita e sulla dottrina di sanGiovanni della Croce di cui ricorreva ilquarto centenario della nascita. L’im-provvisa irruzione della Gestapo nelconvento impedì un’ultima revisione.Il 2 agosto del 1942 suor Teresa Bene-detta della Croce fu tratta in arresto

Nato a Fontiveros in Spagna nel1542, fondatore dei CarmelitaniScalzi, beatificato nel 1675, pro-clamato santo da papa BenedettoXIII nel 1726 e dottore della Chie-sa da Pio XI nel 1926. Manifestò fin da piccolo un’incli-nazione alla carità verso i poveri ealla preghiera contemplativa. Siformò al Colegio de los doctrinos diMedina del Campo. Nel 1563entrò nell’Ordine Carmelitano.Compì gli studi all’Università diSalamanca, nel 1567 fu ordinatosacerdote. Nel 1568 a Valladolidfondò il primo convento di Carme-litane Scalze. Sperimentò sofferenze fisiche espirituali tra cui l’imprigionamen-to per otto mesi nel carcere delconvento dei Carmelitani Scalzi,dal quale riuscì comunque a fuggi-re in modo avventuroso, a causadelle persecuzioni da parte dell’or-dine.Fu poeta e teologo apprezzato.Fulcro della sua opera è il passag-gio dell’uomo attraverso tre fasi(“purgativa, illuminativa e uniti-va”) dove si libera progressivamen-te da ogni legame materiale ed èpronto a unirsi alla divinità (“lucetenebrosa e tenebra luminosa”).

Giovanni della Croce

Vetr

ata,

chi

esa

di O

xfor

dshi

re, c

orte

sia D

over

Pub

licat

ions

.

Page 9: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE64N. 13 Dicembre 2008

Padre Santo,

figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da undici anni figlia della Chiesa cat-tolica, ardisco esprimere al padre della cristianità ciò che preoccupa milioni di tede-schi.Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un tota-le disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo.Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora chehanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci - tra i quali ci sono dei noti ele-menti criminali - raccolgono il frutto dell’odio seminato.Le defezioni dal partito che detiene il governo fino a poco tempo fa venivano ammesse,ma è impossibile farsi un’idea sul numero in quanto l’opinione pubblica è imbavaglia-ta. Da ciò che posso giudicare io, in base a miei rapporti personali, non si tratta affat-to di casi isolati.Sotto la pressione di voci provenienti dall’estero sono passati a metodi più “miti” ehanno dato l’ordine “che a nessun ebreo venga torto un capello”.Questo boicottaggio - che nega alle persone la possibilità di svolgere attività economi-che, la dignità di cittadini e la patria - ha indotto molti al suicidio: solo nel mio priva-to sono venuta a conoscenza di ben 5 casi.Sono convinta che si tratti di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime.Si può ritenere che gli infelici non avessero abbastanza forza morale per sopportare illoro destino. Ma se la responsabilità in gran parte ricade su coloro che li hanno spintia tale gesto, essa ricade anche su coloro che tacciono.Tutto ciò che è accaduto e ciò che accade quotidianamente viene da un governo che sidefinisce “cristiano”. Non solo gli ebrei ma anche migliaia di fedeli cattolici della Ger-mania - e, ritengo, di tutto il mondo - da settimane aspettano e sperano che la Chiesadi Cristo faccia udire la sua voce contro tale abuso del nome di Cristo.L’idolatria della razza e del potere dello Stato, con la quale la radio martella quotidia-namente la masse, non è un’aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il san-gue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della bea-tissima Vergine e degli Apostoli?Non è in assoluto contrasto con il comportamento del nostro Signore e Redentore, cheanche sulla croce pregava per i Suoi persecutori? E non è una macchia nera nella cro-naca di questo Anno Santo, che sarebbe dovuto diventare l’anno della pace e dellariconciliazione?Noi tutti, che guardiamo all’attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa,temiamo il peggio per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolun-ga ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può alla lunga ottene-re la pace dall’attuale governo tedesco.La guerra contro il Cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali checontro il Giudaismo, ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo perchénessun cattolico possa più avere un impiego a meno che non si sottometta senza condi-zioni al nuovo corso.

Ai piedi di Vostra Santità, chiedendo la benedizione apostolica, Dott.ssa Edith Stein

12 aprile 1933Collegium Marianum di Münster

Già nel 1933 Edith Stein era con-sapevole che stavano per verificar-si eventi irreparabili. Voleva recarsidi persona a Roma per avvisare ilPapa della situazione degli ebrei,ma venendo a sapere che difficil-mente le sarebbe stata concessaun’udienza privata, rinunciòall’idea. Prese allora carta e pennae il 12 aprile 1933 scrisse a Pio XI. La lettera è stata resa nota solo nel2003 (e pubblicata il 19 febbraiosul Corriere della Sera con la tradu-zione di Brigida Pesce), quandopapa Giovanni Paolo II ha consen-tito l’accesso degli studiosi allasezione dell’Archivio Segreto Vati-cano relativa ai rapporti tra laChiesa di Roma e la Germaniaweimariana e hitleriana sotto ilpontificato di Pio XI. Il pontefice non ignorò i contenutidella missiva, anche se l’interventorisoluto che la filosofa richiedevavenne forse sconsigliato dalle cir-costanze che stavano maturando. Colpisce il tono risoluto dell’autri-ce, che subito dopo l’ascesa alpotere di Hitler era già in grado dicogliere tutta la tragica importanzadella svolta politica in corso inGermania e di prevedere le terribi-li conseguenze che nell’immediatoquesta avrebbe avuto sul resto del

Perché la Chiesa non taccia

Vetr

ata,

chi

esa

di O

xfor

dshi

re, c

orte

sia w

ww

.flick

r.com

.

Page 10: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

65

La responsabilità

di somigliare a DioSe Dio ha creato l’uomo a sua immagine, ildovere di ogni uomo è diventare simile a lui.

dith Stein, quando HedwigConrad-Martius, la sua madrinadi battesimo, le poneva doman-de sulla sua condizione spiri-tuale così rispondeva: secretum

meum mihi est! È una risposta che valeanche per noi che cerchiamo di acco-starci al volto affascinante, poliedrico ein parte misterioso di questa personacomplessa. Non è facile, infatti, confrontarsi con lapienezza di umanità di Edith Stein,una donna che, anche nello sviluppodel suo pensiero, si è mossa tra il pro-blema dell’empatia, la fenomenologia,l’antropologia filosofica e religiosa, lametafisica, l’etica e, non ultimo, lamistica. È difficile leggere i suoi scritti,spesso travisati, non compresi o malreinterpretati, come difficile è soffer-marsi sulla sua storia personale. Cisono, però, elementi del suo pensiero edel suo vissuto che ritornano costante-mente, mostrandoci Edith Stein comedonna del nostro tempo, maestra euditrice attenta dei segni dei tempi.

L’empatia è dialogo con l’altro

Innanzitutto, non va trascurata la suatesi di dissertazione, tradotta in italia-no con il titolo Il problema dell’empa-tia. Sebbene in seguito la filosofa nonabbia più sviluppato questo argomen-to, sarebbe farle un torto non analizza-re la sua prima opera, che ci trasmette

lo sguardo di questa donna sul mondoe sull’altro. Empatia infatti, chiarisceEdith, significa riconoscimento dellapresenza e della vita del prossimo; nonun semplice co-sentire, immedesimar-si e assimilarsi all’altro, ma un atto incui lo si coglie come un tu, nella suacomplessità e unicità, nel suo dirsi edesprimersi, nel suo stare nel mondocon le proprie personali dinamiche. Empatia è l’inizio del dialogo e delloscambio reciproco con il mondo e conle persone. È l’incontro con l’alterità;non è dominare l’altro, assorbirlo,tenerlo nelle proprie mani come pos-sesso, ma è riconoscerlo come simile e,al tempo stesso, totalmente diverso dasé, quindi, proteggerlo, custodirlo etutelarlo in un atteggiamento di liber-tà e corresponsabilità. L’altro è singola-re e domanda di essere colto nella suaunicità: “Se, mentre empatizziamo, cibasiamo sulla nostra costituzione indi-viduale... giungiamo a falsi risultati.Così succede se assegniamo ad un dal-tonico le nostre impressioni cromati-che, al bambino la nostra capacità digiudizio, al selvaggio la nostra capacitàestetica”.È un esempio semplice, ma incisivo esignificativo: mostra l’obiettivo di noninglobare, imbrigliare e incasellare l’al-tro nel proprio vissuto, ma di coglierloa partire dalla sua modalità d’espres-sione, tenendo presente che, in ogni

K Annalisa MargarinoÈ laureata in filosofia all’Universitàdi Genova e ha conseguitoil baccalaureato in teologia presso laPontificia Università Gregoriana.È socia dell’AIES, redattrice delleEdizioni OCD e coordinatrice delForum Edith Stein.Cura un blog di teologi laici:www.sognandoemmaus.ilcannocchia-

E

Vetr

ata,

chi

esa

di O

xfor

dshi

re, c

orte

sia w

ww

.flick

r.com

.

Page 11: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE66N. 13 Dicembre 2008

soggetto spirituale, ciascuna parola,movimento o reazione assume unsignificato unico e singolare. Si potrebbe addirittura affermare cheEdith Stein può anche essere presa inconsiderazione come maestra di incul-turazione: il suo scritto sull’empatia,infatti, può insegnare un approccioautentico e sano a chi si pone di fron-te all’altro, a partire dal suo riconosci-mento come persona, con una specifi-cità e complessità spirituale che non vaassolutamente ridimensionata, incasel-lata e semplificata, ma colta in tutta lasua ricchezza.

La domanda sull’uomo

Un approccio sistematico alle operedi Edith Stein evidenzia una doman-da costantemente presente: chi è l’uo-mo?Se non ci si sofferma sul suo bisognodi trovare risposte a questo interroga-tivo, il suo percorso spirituale e ledrammatiche scelte della sua vitadiventano difficili da capire.Il suo itinerario, infatti, comincia pro-prio dalla domanda sull’uomo, su que-sto essere finito e complesso al tempostesso, in cui corporeità, psichicità espiritualità si incontrano, dialogano einteragiscono. Per Edith, infatti, l’anali-si della persona umana rimanda a unaarmonia tripartita in corpo, anima espirito. In questo tempo in cui domina laparola “frammentizzazione”, è impor-tante ricordare come Edith Stein si siaimpegnata a volgere il suo sguardo sul-l’interezza della persona, in unadimensione in cui corpo, anima e spiri-to muovono l’essere personale, avendoogni parte una forza condizionante ecoordinatrice dell’altra. Il corpo, senzaessere idolatrato, è espressione dellapresenza concreta della persona,primo elemento dell’incontro con l’al-tro. L’anima è il centro della vita, illuogo della sensibilità e delle percezio-ni. Lo spirito, infine, è il luogo delsenso, della comprensione e della scel-ta. Ed è condizione della persona sana-mente costituita che queste tre dimen-sioni agiscano insieme e in modo coor-dinato. Nel suo percorso di crescita spiritualeil concetto di persona si sviluppa a

partire dal versetto del Genesi: “Diocreò l’uomo a sua immagine, a immagi-ne di Dio lo creò”. Infatti, l’idea che lapersona umana sia stata creata aimmagine e somiglianza di Dio com-porta per lei una serie di conseguenzefondamentali, prima tra tutte lamaturazione di una antropologia reli-giosa che dà all’uomo la sua massimadignità, ma al tempo stesso domandaresponsabilità per quanto gli è statodonato. “Anche l’azione dell’uomodovrebbe servire a mettere sempre piùin luce la somiglianza della natura conDio. Ogni opera dovrebbe essere nonsolo utile (servire cioè ai fini dell’uo-mo), ma anche bella (cioè specchio del-l’Eterno)”.Dignità e responsabilità sintetizzano inmodo efficace l’idea antropologicasteiniana, insieme alla definizione diessere umano come indifeso e protetto-re.Per Edith Stein la vita chiede di essereorientata, resa significativa e compresaal di là della religiosità della singolapersona. Solo a partire da un’idea diresponsabilità che impregna ogni attodella vita si può comprendere la dina-mica della sua esistenza, i suoi intreccidi relazioni niente affatto superficiali,le ragioni per cui decise di abbandona-re lo studio per prestare servizio comecrocerossina durante la Prima guerramondiale, la sua incessante ricercadella verità e le scelte che la portaronoalla morte. Il richiamo alla responsabilità e allacura, come atteggiamenti di fondo chedevono investire ogni ambito dellavita, sono una costante nelle opere diEdith Stein. La cura, infatti, è il primoatteggiamento a cui rimanda l’osserva-re fenomenologico, in quanto a essocorrisponde quell’atto di rivolgersi allecose stesse, proprio del metodo di Hus-serl. Quella di Edith Stein potrebbeessere definita come una fenomenolo-gia della cura, proprio per la sua atten-zione ai problemi della formazionedella persona, il suo sviluppo, ladimensione spirituale e il vivere socia-le. La persona è corresponsabile delproprio esistere e dell’esistere altrui,come riecheggia il suo riferimento asan Paolo: “Il turbato sospirare dellacreatura attende la rivelazione dei figli

di Dio”. L’uomo è chiamato a farsi carico delcreato e, quindi, degli altri suoi simili.In questo consiste la cura. Allora, apartire dalla propria condizione finita,ciascuno deve riconoscersi a un tempocome indifeso e protettore, in una real-tà sociale in cui ognuno deve assume-re la propria responsabilità individualeall’interno di quella comune.Ancora più appropriato, forse, è parla-re di corresponsabilità, dato che perEdith Stein l’atteggiamento responsa-bile e che si prende cura dell’altro èrichiesto a tutti, nessuno escluso. L’uo-mo non è consegnato a un vivere pas-sivo, gettato nell’esistenza come dicevaHusserl, ma, anzi, è chiamato a unatteggiamento di attenzione, cura ecustodia del vivere che gli è stato affi-dato.

Investigatrice della vita spirituale

Responsabilità è stare nel mondo congli occhi aperti, prendersi cura, inter-rogarsi, cercare e stare in ascolto. Cosìfacendo “nel suo mondo interiore,come in quello esteriore, l’essereumano trova rimandi a qualcosa che èal di sopra di lui e di tutto ciò che esi-ste, da cui egli e tutto ciò che esistedipendono. La domanda circa questoessere, la ricerca di Dio appartieneall’essere dell’uomo”.Anche l’atto fondamentale dell’empa-tia, si è visto, sta in un atteggiamentodi ascolto e comprensione. Persino lafede ha origine da un atto del sentire edel comprendere, dal desiderio diincontro, da un lasciarsi afferrare. PerEdith Stein la persona, una volta sco-pertasi creata gratuitamente da Dio e alui legata, è chiamata a mettersi incammino, ad aprirsi alla scoperta delsuo volto, di quel Dio che ha scelto diriconoscere e accogliere in sé. Questoè il cammino spirituale: un continuocercare l’incontro con un Dio persona-le e al tempo stesso inafferrabile. Uncammino lungo, perché la “rielabora-zione interiore di ciò che penetra nelprofondo dell’anima dell’uomo nonavviene in un attimo, ma occupa untempo più o meno lungo, in alcuni casipuò richiedere un periodo moltolungo. Ciò che penetra nell’intimo èsempre un appellarsi alla persona”.

Page 12: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

67

Oltre ogni umana ricerca della verità,la fede diventa così una chiamata, unappello che Dio rivolge al singolo, per-ché nel cammino spirituale l’anima “siapra liberamente a lui, e si abbandoni aquell’unione possibile solo tra esseri spi-rituali”. Solo nella vita eterna si rag-giungerà la perfezione, ma un’esisten-za a immagine di Dio può iniziare giàsu questa terra. Cristo è il modello diquesta perfezione e ognuno è chiama-to a imitare la sua vita, con l’aiutodelle Scritture e della Chiesa. “Finedell’uomo è che la sua voce entri a farparte del coro celeste”. Questo è l’impe-gno di chi ha scoperto in Cristo ilparadigma del suo vivere. A colloquio con il Dio crocifisso

La vita non è un blocco monolitico,ma si presenta con mille possibilità didirezione e implica un continuo met-tersi in gioco. Non a caso in molti suoiscritti la fenomenologa Edith Steindescrive l’atto della scelta. Una posi-zione che va analizzata alla luce dellasua personale scelta di morire con ilsuo popolo. Ma come si può comprendere questadecisione, volta non tanto al martirioquanto a riconfermare l’appartenenzaa una stirpe che oggigiorno la consid-era esclusivamente una santa cristiana,quasi non comprendendo questo suostrano percorso? Penso che anche quisi possa rimanere fermi a quel “Secre-tum meum mihi est” che ha caratteriz-zato tutto l’itinerario della sua vita. Altempo stesso, però, si deve far riferi-mento a quel suo colloquio intimo epersonale con il Dio crocifisso, che almomento della professione solenne lefarà assumere il nome di TeresaBenedetta della Croce, non casual-mente, come si capisce dal suo scrittosu Giovanni della Croce.Per la mistica Edith Stein la fede reli-giosa non si riduce in un atto teoreti-co, sterile e distaccato dal vivere. Lacontemplazione deve diventare fedeviva, colloquio e ascolto con il Diodatore di vita, secondo un’espressioneda lei utilizzata, incontro da persona apersona. Edith Stein è entrata in que-sto colloquiare attraverso la contem-plazione della croce, come si puòcomprendere anche dalle prime pagi-ne di Scientia Crucis: “Quando parlia-

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 13: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE68N. 13 Dicembre 2008

istica e fenomenologiahanno trovato in EdithStein un punto di fecondaconvergenza. Se il fattonon costituisce di per sé

una curiosa eccezione all’interno dellafamiglia dei fenomenologi, non può,comunque, passare inosservato perché,per quanto vasto fosse il campo d’inda-gine degli allievi di Husserl, l’attività diricerca tendeva a riferirsi preferenzial-mente alla sfera del razionale e del-l’empiricamente verificabile. “Se quel metodo”, scrive Angela Ales

Bello, una delle maggiori studiose diEdith Stein, “poteva risultare valido perl’analisi dei problemi metafisici, come èdimostrato dalla ricerca sull’essere, epoteva trovare una feconda applicazionenell’approfondimento del significato dellarealtà, tanto più doveva dare i suoi frut-ti nel campo dell’esperienza mistica, pro-prio per il carattere descrittivo che lo con-notava secondo l’intenzione di Husserl, ilquale lo aveva proposto in funzione del-l’analisi dell’esperienza, ricondotta nellasua indagine ai vissuti della coscienza”.Da Gerda Walther, autrice di una Feno-

La scienza della croceIl metodo fenomenologico servì a Edith Stein per analizzare le opere di san Giovanni della Croce. E per chiarire i fondamenti del proprio percorso mistico.

K Giuseppe Pulina

M

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.

Page 14: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE

N. 13 Dicembre 2008

69

menologia della mistica, allieva e colla-boratrice di Husserl proprio comeEdith Stein, sappiamo che il padredella fenomenologia scoraggiava leanalisi sui fenomeni mistici, sostenen-do che dell’esperienza mistica doveva-no essere prese in esame le modalità enon propriamente i contenuti, il modusoperandi del mistico e non i dati acqui-siti, più il modo di fare esperienza chele esperienze maturate. Le riserve delmaestro equivalevano ad una parziale,seppur piccola, apertura, ma a nulla dipiù. Husserl, precisò a scanso di equi-voci Gerda Walther, “riteneva che l’uni-ca cosa reale fosse il fare esperienza deimistici, il loro amore ardente, ma nonl’oggetto di questo amore”.Di ben altro avviso era Edith Stein, checercò di favorire un incontro pieno trafenomenologia e mistica, soprattuttoattraverso la lettura di san Giovannidella Croce. Fu, questa, una letturaappassionata, condotta con gli stru-menti critici acquisiti durante il lungoapprendistato fenomenologico deglianni di Friburgo, finalizzata anche allaredazione di un’opera, la Scientia Cru-cis, sulla figura e sull’opera del santocarmelitano da pubblicare in occasionedel quarto centenario della nascita. Ma come si accordarono in lei misticae fenomenologia? Quale grado di com-patibilità può essere assegnato a questosingolare binomio? La risposta di EdithStein, nelle prime pagine della ScientiaCrucis, è chiara: il metodo fenomeno-logico è utile per comprendere la com-plessa personalità del mistico spagnolo.

La pienezza della croce

Edith Stein, mistica lei stessa, credevapienamente nella possibilità e nel valo-re di un’esperienza trascendente. Ebasta leggere la Scientia Crucis percomprendere che per la filosofa la piùautentica tensione mistica sta nell’ap-prossimazione alla croce, nell’imitazio-ne integrale della vita di Cristo. Per imistici, infatti, Gesù è il prototipo ditutti i modelli. “Nessun cuore umano èmai piombato in una notte così oscuracome quella che avvolse l’Uomo-Dio nelGetsemani e sul Golgota. Nessuno spiri-to umano, pur avido di ricerca che sia,potrà mai penetrare nell’immenso miste-ro dell’abbandono divino da cui fu afflit-

to l’Uomo-Dio alle soglie della morte. MaGesù può dar modo a certe anime elettedi provare almeno parzialmente questaestrema amarezza. Sono i suoi amici piùfedeli, ai quali chiede l’ultima prova delloro amore. Se essi non indietreggiano,ma si lasciano trascinare volentieri nellanotte oscura, quest’amore diventa la loroguida”.

La notte oscura della fede

L’esperienza mistica è diretta, persona-le, intima, esclusiva e integrale, perchéquando si abbraccia la croce, non sipuò non accoglierne la pienezza, comedirebbe Simone Weil, filosofa che rive-la più di un’affinità con Edith Stein.Chi la vuole sperimentare può servirsidi modelli di vita vicini a quel prototi-po impossibile da imitare che è statoGesù Cristo, e quanto più quel model-lo si avvicinerà all’originale, tanto piùsarà efficace. Quelle dei mistici, infatti,sono esistenze straordinarie, modellidifficilmente imitabili, che Edith Steinvede incarnati nella figura di san Gio-vanni della Croce, “genio trascinatore”,mediatore, come tutti i mistici, tral’uomo che aspira a uno stile di vitasuperiore e Cristo, l’Uomo-Dio che haelevato la croce a strumento di reden-zione. L’opera del carmelitano spagnoloponeva però dei problemi di non faci-le soluzione, non avendo egli mai ela-borato una trattazione sistematica delpercorso mistico. Ci sono i commentialle poesie (La notte oscura, Salita almonte Carmelo, Cantico spirituale), maquesti fungono più da apparati integra-tivi che da veri e propri commentari,rendendo così necessario un ulterioreintervento chiarificatore. È qui che la fenomenologia viene insoccorso a Edith Stein, che si serve diquesto metodo d’indagine per giunge-re al cuore delle questioni poste dalsanto, cercando di penetrare il sensoultimo del suo pensiero. In questomodo, sotto l’apparenza di questionipuramente terminologiche, si svolge illavoro fenomenologico di Edith Steinche scava in profondità per assegnarealle parole il loro più appropriato valo-re concettuale. Del lessico di san Gio-vanni, la filosofa approfondisce soprat-tutto il significato di due termini: notte

e croce. Nella santità di san Giovanni dellaCroce la dimensione mistica è indistin-guibile da quella poetica. SecondoEdith Stein, infatti, il realismo dei santiè simile a quello degli artisti e dei bam-bini, gli unici capaci di provare per lecose del mondo, che sono sempre cosedi Dio, un inesauribile stupore, ulte-riormente vivificato, nel caso del car-melitano spagnolo, da un’irresistibileattrazione verso il trascendente. Nel-l’esperienza mistica di questo moder-no dottore della Chiesa, il realismo delsanto si fonde con quello del bambinoe dell’artista, “preparando così il terrenopiù favorevole al messaggio della croceche si sarebbe poi sviluppato fino adiventare la scienza della croce”. Questa scienza consiste propriamentein una forma d’attrazione. “Non esisteforse alcun artista credente, che nonabbia sentito l’impulso a raffigurare unCristo in croce o un Cristo in atto di por-tare la croce”, scrive Edith Stein, indu-cendo a pensare al volto di Gesù diMantegna o alla crocifissione bianca diChagall. La filosofa sembra sostenere indiretta-mente che l’artista concentrato sulvolto di Gesù in croce e desideroso dirappresentarne la sofferenza in tutta lasua dolente intensità, non può operareimpersonalmente sulla tela o sullamateria, perché “il crocifisso esige dal-l’artista qualcosa di più di un sempliceritratto”. Solo l’immagine di Cristo hala forza di imporre la piena imitazionedi sé a chi la evoca. E una volta evoca-ta quest’immagine, sarà impossibilefare come se niente fosse accaduto. Sipuò volgere lo sguardo da un’altraparte, fingere di non averla vista, masarebbe una finzione. Il volto di Cristocrocifisso o ancora più semplicementeil simbolo della croce chiedono all’uo-mo che “si conformi e si lasci plasmare aimmagine di colui che porta la croce e civiene confitto sopra”. Tutto il resto èomissione, mancanza.La croce è quindi il simbolo dell’inizia-zione e della rinascita mistica. Non èun accessorio per il culto; è un ricordovivo, che continuamente parla e indicauna strada, operando “come simbolo ditutto ciò che è difficile, gravoso e così for-temente contrario alla natura da risulta-

Page 15: Edith Stein Loescher

I L F I L O S O F O

DIOGENE70N. 13 Dicembre 2008

re per chi se lo addossa quasi una mar-cia verso la morte”. Ecco perché lacroce può essere, secondo Edith Stein,la fonte che rischiara il percorso del-l’uomo. Nella Salita del monte Carmelo, sanGiovanni della Croce spiega perché lanotte consista nella mortificazione deisensi: “Chiamo notte quello stato in cuigli appetiti vengono privati del gusto intutte le cose. Come quella naturale si haquando viene a mancare la luce e conquesta la visibilità di tutti gli oggetti,mancanza per cui la potenza visiva restaal buio e priva d’immagini, così la mor-tificazione degli appetiti si può dire nottedell’anima, poiché questa, rinunciandoal gusto sensibile in tutte le cose, restavuota e avvolta nelle tenebre”. L’accordodi Edith Stein è pieno: anche per lei lamortificazione dei sensi può evocarel’avvolgente oscurità della notte, cheannulla i vecchi legami e predispone alcontatto con il trascendente.

Il viaggio nella notte mistica

Di questo contatto Il canto della notteoscura racconta i passaggi iniziali.Durante il viaggio che viene portato atermine attraverso la notte, Dio ha soc-corso l’anima che gli si era totalmenteabbandonata. La notte non è però soloun punto di partenza e nemmeno untraguardo, essendo anche la via lungola quale si deve transitare. Si capisce

che la notte è in questo caso oscuracome la fede. Edith Stein equipara lanotte alla fede e definisce la secondauna via notturna perché “la fede è unaconoscenza oscura: ci porta sì a conoscen-za di qualche cosa, ma questo qualcosanon arriviamo a vederlo. Ecco perché sideve dire che anche il fine che noi rag-giungiamo battendo la via della fede èanch’esso una notte: Dio, sulla terra,anche nell’unione estatica, ci resta nasco-sto”. È la fede che trasforma la croce in un“giogo soave” e in un “peso leggero”.Nasce dalla rinuncia e si alimenta dellesue privazioni. “Come Gesù, nel suoabbandono di morte, si consegnò nellemani dell’invisibile e incomprensibileIddio, così dovrà fare lei, gettandosi acapofitto nel buio pesto della fede, che èl’unica via battibile verso l’incomprensi-bile Iddio”. Solo così, secondoun’espressione di Dionigi Areopagita,filosofo tra i più cari a Edith Stein,l’anima verrà illuminata e confortatadal “raggio di tenebra”, che coincidecon la contemplazione mistica con laquale si conclude il viaggio notturnodell’anima. Qui Edith Stein avverte la suggestionedel termine aniquilación che il santospagnolo impiegava per descrivere larinuncia totale. La Stein, con una nonminore energia semantica, parla di Zer-störung, ossia distruzione, annientamen-

to, liquidazione. Zerstörung, infatti,designa l’ineffabilità dell’esperienzamistica che nessun procedimentodiscorsivo potrà mai illustrare compiu-tamente e che rende necessario il ricor-so ai simboli. Come Platone usava il mito per ovvia-re alle carenze esplicative del linguag-gio razionale, così Giovanni dellaCroce e Edith Stein si servono del lin-

guaggio poetico e simbolico per illu-strare la via che dalla piena sottomis-sione a Dio conduce l’uomo alla per-fetta unione con il divino, a quell’inte-sa armoniosa che porta a vedere l’ama-to come “le montagne, le valli solitarie ericche d’ombra, le isole remote, le acquerumorose, il sibilo delle aure amorose”. K

A P P R O F O N D I R E

K E. Stein, Il problema dell’empatia,Studium, Roma, 1998.

K E. Stein, Essere finito e Essere eter-no, Città Nuova, Roma, 1988.

K E. Stein, La struttura ontica dellapersona, in Natura persona mistica,Città Nuova, Roma, 1999.

K E. Stein, La struttura della personaumana, Città Nuova, Roma, 2000.

K E. Stein, Formare la gioventù allaluce della fede cattolica, in La vitacome totalità, Città Nuova, Roma,1999.

K E. Stein, Scientia Crucis, EdizioniOCD, Roma, 2002.

K G. Pulina, L’angelo di Husserl.Introduzione a Edith Stein, Zona,Civitella in Val di Chiana, 2008.

K A. Margarino, In statu viae. Lafenomenologia religiosa di EdithStein, Edizioni OCD, Roma, 2002.

Vetrata, chiesa di Oxfordshire, cortesia www.flickr.com.