60
www.deportati.it euro 2,50 Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXIV N. 3 - 4 Dicembre 2006 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio grazie ai lavori di storici come Carlo Spartaco Capogreco, Bozidar Jezernik e Tone Ferenc che ci hanno con- sentito di avere una conoscenza complessiva del fenomeno e delle sue dimensioni. A pagina 8 ELLEKAPPA La tragica fine della scienziata fiorentina TRIANGOLO ROSSO I lager creati dal fascismo dopo l’occupa- zione della Jugoslavia Enrica Calabresi: con il veleno per topi si sottrae ad Auschwitz Le nostre storie Nel gennaio del 1944, a Firenze, in una cella del carcere fem- minile di Santa Verdiana, una donna si toglieva la vita in- gerendo una fialetta di veleno. Era l’unico modo per evitare l’inferno di Auschwitz. Si chiamava Enrica Calabresi, ave- va 53 anni ed era ebrea. (A pagina 32) Una tragedia dietro il cortile di casa Festeggiati i 95 anni di Bruno Vasari Nella sede della Fon- dazione Memoria della Deportazione, sabato 2 dicembre, sono stati fe- steggiati i 95 anni di Bruno Vasari, alla pre- senza dell’illustre ex de- portato che è stato uno dei fondatori dell’Aned e promotore di numero- se iniziative. A pagina 5

euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

  • Upload
    others

  • View
    8

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

www.deportati.iteuro 2,50

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati politici e della Fondazione Memoria della Deportazione

Nuova serie - anno XXIVN. 3 - 4 Dicembre 2006Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

IT

Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio grazie ai lavori distorici come Carlo Spartaco Capogreco, Bozidar Jezernik e Tone Ferenc che ci hanno con-sentito di avere una conoscenza complessiva del fenomeno e delle sue dimensioni.

A pagina 8

ELLEKAPPALa tragica fine della scienziata fiorentina

TRIANGOLOROSSO

I lagercreati dalfascismodopo l’occupa-zione dellaJugoslavia

Enrica Calabresi:con il veleno per topi si sottrae ad Auschwitz

Le nostrestorie

Nel gennaio del 1944, a Firenze, in una cella del carcere fem-minile di Santa Verdiana, una donna si toglieva la vita in-gerendo una fialetta di veleno. Era l’unico modo per evitarel’inferno di Auschwitz. Si chiamava Enrica Calabresi, ave-va 53 anni ed era ebrea. (A pagina 32)

Una tragedia dietro il cortile di casa

Festeggiati i 95 annidi BrunoVasari

Nella sede della Fon-dazione Memoria dellaDeportazione, sabato 2dicembre, sono stati fe-steggiati i 95 anni diBruno Vasari, alla pre-senza dell’illustre ex de-portato che è stato unodei fondatori dell’Anede promotore di numero-se iniziative.

A pagina 5

Page 2: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

2

IT Questo numero

Pag 3 I comunisti e la Resistenza DI GIANFRANCO MARIS

Pag 5 Festeggiati i 95 anni di Bruno Vasari ela sua amicizia con Manlio Magini

Pag 8 Il lager del fascismo. Una tragedia dietro il cortile di casa DI DARIO MATTIUSSI

Pag 12 Ancora liberi e impuniti dieci criminali nazistiPag 13 Squarciato l’oblio sulle ultime stragi dei nazisti in Italia

DI GIANLUCA LUONGOPag 16 Com’è difficile ricostruire il “trasporto” del 4 gennaio 1944

DI ALDO PAVIAPag 18 “Elementi indesiderabili partiti dallo scaloTiburtino diretti al

Brennero”Pag 20 Perché pochi studi sulla tragedia degli zingari italiani?

DI MARIO ABBIEZZIPag 20 Jaja Sattler: il primo nomade missionarioPag 23 L’infamia della conferenza di Teheran.

UNA LETTERA DI GIANFRANCO MARIS Pag 24 La VII sinfonia di Shostakovich eseguita nella Leningrado

assediata dai nazisti DI IBIO PAOLUCCI

Pag 27 I difficili rapporti tra il musicista e il potere sovietico DI RUBENS TEDESCHI

Pag 28 La penultima stazione con lo stemma imperiale DI CLAUDIO CALVI

LE NOSTRE STORIEPag 30 La Svizzera restituirà le scarpe (gialle) all’ex internato

DI FRANCO GIANNANTONIPag 32 Enrica Calabresi: con il veleno per topi si sottrae ad Auschwitz

DI BRUNO ENRIOTTIPag 35 Margherita Hack: “Quel giorno che la vidi nelle strade di

Firenze”Pag 36 Memoria familiare: successo dell’iniziativa dell’Aned MilanoPag 38 Settant’anni fa Franco aggrediva la Spagna democratica

DI PIERO RAMELLAPag 39 Ricordato a Roma il sacrificio di Fedor Poletaev

NOTIZIE ANEDPag 40 Ambrogino d’oro a Norina Brambilla

Presentato in Fondazione il libro di Sergio BanaliPag 41 Una lettera di D’Alema al professor Vitelli

All’Aned di Roma il progetto di formazione degli insegnanti Pag 42 La scomparsa di Gillo Pontecorvo, grande regista e fondatore

del Fronte della Gioventù DI IBIO PAOLUCCI“Kapo e La battaglia di Algeri” due indimenticabili capolavori DI SAURO BORELLI

Pag 46 Una mostra a Milano che celebra il lavoro

I NOSTRI RAGAZZIPag 48 “Sono venuti dal liceo a raccontarci il lager”

BIBLIOTECAPag 52 Tre volumi per orientarsi nella storia d’Italia del XX secoloPag 52 Anche con il governo Badoglio non fu facile la

reintegrazione degli ebrei DI ALESSANDRA CHIAPPANO

Pag 54 Quando risuonano le campane della pace DI ADOLFO SCALPELLI

Pag 55 Mille anni di storia per a conoscere la Germania di oggiPag 56 1943: milioni di persone trattate come schiaviPag 57 Suggerimenti di lettura

Giornale dell’Associazione nazionaleex deportati politici nei campi nazistie della Fondazione Memoria della DeportazioneE-mail: [email protected]

Una copia euro 2,50Abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia a: AnedVia Bagutta 12 - 20121 Milano.Tel. 02 76006449 - fax 02 76020637E-mail: [email protected]

Direttore Gianfranco Maris

Comitato di presidenza dell’AnedGianfranco Maris presidenteBruno Vasari vice presidenteDario Segre vice presidenteRenato Butturini tesoriereMiuccia Gigante segretario generale

Triangolo RossoComitato di redazioneGiorgio Banali, Bruno Enriotti, Franco Giannantoni, Pietro Ramellae Ibio Paolucci (coordinatore)Redazione di Roma Aldo PaviaSegreteria di redazione Elena Gnagnetti

Gli organismi della Fondazione Memoria della DeportazioneBiblioteca e Archivio Pina e Aldo RavelliVia Dogana 3, 20123 Milanotel. 02/87383240 fax 02/87383246

Gianfranco Maris, presidente Bruno Enriotti, direttoreGiovanna Massariello e Alessandra Chiappano (INSMLI),

attività didatticaElena Gnagnetti, segreteria

Consiglio di amministrazione: Gianfranco Maris,Dario Segre, Ines Ravelli, GiovannaMassariello, Ionne Edera Biffi, RenatoButturini, Guido Lorenzetti, Aldo PaviaComitato storico scientifico: Gianfranco Maris (presidente), Bruno Maida (coordinatore),Gianni Perona, Claudio Dellavalle, BrunelloMantelli, Italo Tibaldi, Alfredo Canavero

Comitato dei garanti: Bruno Vasari (presidente),Gianfranco Mariconti, Osvaldo Corazza,Enrico Magenes, e Mario Tardivo____________________________________

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Isabella Cavasino.

Stampato da:

Via Picasso, Corbetta - Milano

Mettere marchio Guado

Page 3: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

3

In che cosa consiste la“grande bugia” cheGiampaolo Pansa

addebita ai comunisti, laquale, da sola,consentirebbe, addirittura, diescluderli tutti dal noverodei patrioti che, dopo l’8settembre 1943, hannoorganizzato, guidato ecombattuto la sanguinosa edolorosa guerra diliberazione, per scacciare itedeschi che, come nemici,occupavano il nostro paese,per instaurare unaRepubblica democraticafondata sui valori di libertà,di pace, di lavoro, di solidarietà, di cultura?Nell’avere, secondo Pansa, gabellato la loro coraggiosapresenza nella Resistenza, con tutti gli alti costi umani chel’hanno accompagnata, come una lotta civile e patriottica,rivolta, appunto, alla liberazione del Paese dal fascismo edal nazismo ed all’instaurazione di una Repubblicademocratica, tacendo e coprendo quello che, invece,sarebbe stata la vera natura dell’azione e del pensiero deicomunisti nel corso di tutta la guerra di liberazione, chesarebbe stata, in realtà, finalizzata alla instaurazione nelpaese di un sistema politico sovietico e di dittatura delproletariato. L’accusa non è nuova. Da molto tempo nel Paese è incorso un tentativo di delegittimare l’azione dei comunistinella Resistenza, distinguendo l’antifascismo, che fu ditutti i resistenti, in un antifascismo buono – quello deisocialisti, dei cattolici, degli azionisti, inteso effettivamentea cacciare tedeschi e fascisti e ad instaurare unaRepubblica democratica – e in un antifascismo cattivo -quello dei comunisti, inteso invece a instaurare un regimedi tipo sovietico, chiuso, dispotico, repressivo, illiberale.

Il Comitato nazionale dell’Anpi, che si è riunito, nellesettimane scorse, a Sesto San Giovanni, aperto aldibattito e al dialogo con tutti i cittadini e non solo con

i componenti del Comitato nazionale, ha dedicatoparticolare attenzione alla “grande bugia” addebitata da

A PROPOSITO DELLA “GRANDE BUGIA” DI GIAMPAOLO PANSA

Giampaolo Pansa aicomunisti e ha sollecitato,da parte dell’Anpi, unarisposta pubblica, che è giàstata data.A questa risposta vorreiaggiungere soltanto unabreve nota, per rendere piùchiaro quello che, a mioavviso, è l’errore nel qualeGiampaolo Pansa è incorso.Ritengo che sia senz’altro daescludere, in un dibattito cheintenda veramente chiarire enon ulteriormente inquinarei termini di una discussione,che deve, quindi,esclusivamente sciogliere i

nodi di una questione “storiografica”, qualsiasi ricorso areciproche delegittimazioni ingiuriose. Ritengo, quindi, di affrontare la discussione accreditandoGiampaolo Pansa come un giornalista e uno scrittore disinistra, che ha coltivato in gioventù ricerche storiche sullaResistenza, che ritiene sia la sua patria etica. Nel che,semmai, consiste la più profonda amarezza di riscontrarevalutazioni tanto difformi fra persone che, da un punto divista etico e storico, appartengono a una medesima parte.A mio avviso tutto discende dal fatto che Pansa non hacontestualizzato le vicende delittuose, che hannomacchiato la condotta di certi ex partigiani, dopo laliberazione, con i fatti che hanno fortemente inciso efortemente caratterizzato la temperie politica propria dellaseconda metà dell’anno 1945 e di tutti gli anni 1946 e1947 e seguenti, tempo nel quale i fatti si collocano.Fatti e misfatti, badiamo bene, che sembra, addirittura,siano stati posti in essere proprio per danneggiare icomunisti, apprestando, come poi avvenne con ilterrorismo, una falsa giustificazione della intrinsecanecessità di escluderli dalla partecipazione alla direzionedel Paese.

Non c’è dubbio – poiché le indagini storiografichepossono operare correttamente soltanto sulla basedi un metodo logico deduttivo – che l’animus, le

intenzioni, di chi ha operato “politicamente”, come nel

I comunisti e la ResistenzaIl presidente dell’Aned e della Fondazione

Memoria della Deportazione Gianfranco Marisha scritto il seguente articolo per la rivista

“ANPI OGGI”

Page 4: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

4

caso concreto, dopo laliberazione, ponendo inessere misfatti, non possonoessere dedotti che dalla lorocondotta puntualmentecontestualizzata con glieventi successivi allaliberazione, con i qualisoltanto queste condottepossono essere poste in unrapporto di causalità.

Da quali accadimenti ècaratterizzato iltempo successivo alla liberazione? Non si era

ancora spenta l’eco di gioia che aveva riempito l’animo e ipensieri di tutti coloro che avevano partecipato alla guerradi liberazione, di tutti coloro che erano tornati, oppressi daricordi terribili, dai campi di sterminio, vittime della vastadeportazione politica che i partigiani avevano subito, chel’unità antifascista, nel dicembre del 1945, viene rotta.Il presidente del Consiglio Parri, già dirigente delComitato nazionale di Liberazione, viene congedato dalgoverno, nel quale subentra Alcide De Gasperi, il qualeimmediatamente stronca e chiude qualsiasi processo diepurazione nei confronti dei responsabili del fascismo, deicollaborazionisti con i tedeschi, della magistratura, deidirigenti amministrativi del Paese. E, a ridosso, immediatamente, nel marzo del 1946, aFulton, Wiston Churchill chiama tutti gli ex alleati dellaguerra antifascista a invertire le loro vecchie alleanzeperché sui Paesi liberi dell’occidente è calata una “cortinadi ferro”, che li separa e li contrappone al comunismo edalle cosiddette democrazie popolari dell’Est.E, ancora a ridosso, immediatamente, l’amnistia Togliatti,sconciata nei suoi intendimenti di pacificazione, forzataverso il salvataggio indiscriminato di tutti i criminalifascisti dalle infami interpretazioni della Corte diCassazione (non epurata!), che escluse che anche le piùsgomentanti e tremende delle sevizie poste in essere daifascisti nei confronti dei partigiani potessero mai integraregli estremi di quelle “sevizie particolarmente efferate”,che, con stile letterario più che giuridico, l’amnistia avevaevocato proprio per mantenere il provvedimento diclemenza nell’ambito esclusivo di responsabilità nonaggravate da ferocia e da bassezza morale.

Ea ridosso, ancorauna volta, l’entratain vigore il 1°

gennaio del 1948 di unaCostituzione che – proprioper il “clima politicofortemente divaricato daivalori della Resistenza” –non verrà applicata dallemaggioranze parlamentari,dalle quali i comunistierano stati esclusi, inquanto ritenuta – secondoil Ministro degli Interni

del tempo – una “raccolta di proverbi”, messa insiemedal “culturame italiano”.

Non solo la Costituzione non verrà applicata, mala Polizia e la Magistratura continueranno, peranni, ad applicare, per l’ordine pubblico, la legge

di Pubblica sicurezza imposta dal fascismo nel 1931!Se si vuole correttamente dedurre l’animus e leintenzioni degli ex comunisti, che dopo la liberazionepongono in essere in quegli anni delitti gravi, questadeduzione non può essere fatta che in rapporto allacondotta di questi ex partigiani con gli accadimentisopra ricordati. È escluso che possa essere ritenuto corretto attribuirel’animus e la condotta di questi ex partigiani a un tempoestremamente diverso, antecedente e lontano, come erastato quello che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile1945, che nulla ha a che vedere, come temperie politicacausante, con la temperie che, invece, è insortasuccessivamente al 25 aprile 1945, stravolgendocompletamente il clima precedente.Non si tratta di giustificare ciò che è accaduto dopo il 25aprile 1945, che tutti hanno immediatamentecondannato, anche i comunisti e che nessuno ha maisottaciuto. Si tratta di spiegarlo e tale spiegazione nonpuò essere cercata in fatti che nulla hanno a che vederecon ciò che è accaduto dopo quel glorioso aprile del1945, che fu gioia e gloria per tutti, nessuno escluso, dicoloro che si sono battuti per realizzarlo ed in esso sisono sempre riconosciuti e continuano a riconoscersi.

Gianfranco Maris

I comunisti e la Resistenza

Page 5: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

5

Festeggiati i 95 annidi Bruno Vasari e la sua amicizia con Manlio Magini

Nella sede della Fondazione Memoria della Deportazione,il 2 dicembre, sono stati festeggiati i 95 anni di BrunoVasari, alla presenza dell’illustre ex deportato che è sta-to uno dei fondatori dell’Aned e promotore di numero-se iniziative per far conoscere soprattutto alle giovanigenerazioni la tragedia della deportazione politica. E’ stata colta questa occasione per una iniziativa dal ti-tolo Profili di ex deportati. Storia di una amicizia: ManlioMagini e Bruno Vasari. Presentati da Gianfranco Maris hanno parlato su que-sto tema Alberto Cavaglion, dell’Istoreto di Torino,Mariarosa Masoero, dell’Università di Torino e GiovannaMassariello dell’Aned e della Fondazione Memoria del-la Deportazione. É intervenuta anche la figlia di Manlio Magini, Isabella.Vasari e Magini si erano conosciuti durante la Resistenza,avevano partecipato alla lotta clandestina e assieme era-no stati arrestati a Milano e deportanti nei lager nazisti.E’ nata così un’amicizia fraterna destinata a durare perdecenni e che solo la morte di Magini, avvenuta nel 2003ha potuto porvi termine.

IT

Portati assieme nel“bivacco della morte”

Il racconto della loro odissea in uno dei primi libri della vita nei lager nazisti

Pubblichiamo alcunistralci del libro"Mauthausen bivaccodella morte" scrittoda Bruno Vasarisubito dopo laliberazione, nell'estatedel 1945, edito dallaCasa Editrice "Lafiaccola" di Milano. Si tratta di uno deiprimi libri apparsi inItalia sulla tragediadei lager nazisti.

Fui arrestato per la strada il 6 Novembre 1944 dalle SS tedesche, assieme aManlio Magini (Antonio), Bruno Montagna (Ticino) e Aldo Vespa e fui tra-dotto a S. Vittore.Con noi c'era pure il Belli, il quale, come apparve poi chiaramente, ci avevatraditi, svelando il luogo e l'ora del nostro appuntamento.Mi furono contestati contatti con elementi partigiani.Nulla emerse dell'attività cospirativa in seno alla radio.Tutti i documenti che potevano accusare me e i miei compagni furono fatti spa-rire subito dopo il mio arresto e pochi istanti prima della perquisizione.Magini elaborò per ciascuno di noi il piano di difesa e riuscì a comunicarce-lo, sicché le nostre deposizioni furono concordanti.Nel corso dei due primi interrogatori, durante i quali mi mantenni sulla negativa

Bruno Vasari (a sinistra) con Gianfranco Maris durantel’incontro nella sede della Fondazione.

Page 6: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

6

prima di essermi accordato con Magini, fui schiaffeggiatodalle SS. Non subii alcun altro maltrattamento.Fui isolato per 17 giorni in una cella del 5° Raggio, in cuiattraverso i vetri rotti penetrava il freddo. La massima as-sistenza ci venne prodigata dal medico delle carceri, dal-l'avvocato De Micheli, pure lui detenuto, che fungeva da as-sistente e dal personale carcerario addetto all'infermeria.Gli altri secondini si mostrarono in ogni circostanza a noifavorevoli e, nei limiti ridottissimi delle loro possibilità,ci aiutarono.

Il 23 Novembre in autobus fummo trasportati a Bolzano,dove giungemmo il mattino del 24.

Al momento della partenza l'avvocato De Micheli ci di-stribuì il denaro inviatoci dal partito.Prima della separazione ci abbracciammo e De Micheli,sottovoce, disse "Viva l'Italia libera!". Fu un momento digrande commozione.Viaggiarono con noi i deportati provenienti dalle Nuove diTorino e da Marassi di Genova. Tra i torinesi c'era MarisaScala, unica donna ammanettata.Giunti al lager di Bolzano ci furono rasati i capelli ed a cia-scuno di noi fu data una divisa che consisteva in una tutadell'aeronautica italiana con una croce tracciata con pittu-ra ad olio sulla schiena.I detenuti nel campo di Bolzano parte lavoravano e parte no.I lavoratori erano ricompensati con una maggiore razionedi vitto: questo, scarso ma ben confezionato, consisteva incaffè al mattino, zuppa di riso e patate o pasta e patate amezzogiorno e alla sera, e 100 gr. di pane al giorno.I prigionieri venivano ordinariamente lasciati abbastanzatranquilli e solo in casi eccezionali sottoposti a maltratta-menti, per lo più ad iniziativa di giovani SS ucraine o sviz-zere.

Ci caricarono in 66 in un vagone merci, dove rima-nemmo stipati per 5 giorni e dal quale, durante ilviaggio, fummo fatti uscire soltanto 2 volte. I biso-

gni corporali venivano soddisfatti nel mezzo del vagone. Cifurono dati viveri in quantità assolutamente insufficiente.Ci dissetammo con la neve.Trascorremmo 15 ore al giorno al buio, senza poterci ri-posare per deficienza di spazio.Tentativi di fuga dal nostro vagone furono frustrati dallavigilanza della scorta, dai contrasti tra i prigionieri, alcunidei quali, per paura delle conseguenze, cercavano di osta-colare le iniziative dei compagni, e per spionaggio. Ricordoil nome della spia: Parisi, di Trieste, ex interprete delle SS. Stalattiti di ghiaccio si formavano sulle pareti del vagone.Per tutta la durata del viaggio udimmo da ogni parte l'eco

di formidabili bombardamenti aerei che squassavano il va-gone. Giunti alla stazione di Mauthausen la sera del 19Dicembre, fummo incolonnati ed avviati verso il lager di-stante circa 6 Km., e situato sulla vetta di una collina (700-900 m. di altezza) da cui si domina parte del corso delDanubio e la piana di Linz.

Il campo di Mauthausen fungeva da colossale depositoche riforniva gli uomini ai campi di lavoro dislocati intutta l'Austria e in parte della Cecoslovacchia.

Al tempo del nostro arrivo non c'erano donne né ebrei.Il campo di Mauthausen era sempre popolato da molte mi-gliaia di prigionieri (10-20 mila).La sorveglianza, l'inquadramento dei prigionieri e la di-sciplina sul lavoro erano affidati per lo più a delinquenticomuni tedeschi, che si erano conquistati la fiducia delle SSesagerando nella applicazione dei loro metodi bestiali.

Nel mese di Marzo il numero dei malati di enterocoli-te si accrebbe enormemente a causa pare, di un gras-so di scadente qualità con cui allora venivano conditi

gli alimenti, e i colpiti da diarrea furono lasciati nei loroblocchi. La dieta speciale venne soppressa e gli ammalati nonvennero in alcuna maniera curati. Nessuno di essi poté ave-re né bismuto, né caolino, né acido cloridrico, né carbone.Chi aveva un residuo di forza guariva da sé, ma i più in treo quattro giorni morivano.Come ho detto, nulla veniva tentato per salvarli: si cerca-va anzi di accelerare la loro fine.In questo campo mi sembra che gli efferati disegni delleSS abbiano trovato in taluni medici e infermieri troppo do-cili esecutori.I colpiti da diarrea (fino a 18 scariche al giorno che giun-gevano improvvise senza che il malato il più delle volteavvertisse alcuno stimolo premonitore) venivano scaccia-ti dal letto dai compagni di prigionia induriti e resi insen-sibili dalle proprie sofferenze e quelle altrui.I disgraziati raccolti dagli infermieri, denudati e lavati conqualche secchiata d'acqua fredda, venivano scaricati sulloScheisebett (letto di merda) che consisteva in una tela ce-rata stesa in terra accanto all'uscio vicino al cumulo deimorti. E tra gli spifferi d'aria gelida, senza coperte, tantiHäflings finirono i loro giorni in questa atroce maniera. Ipiù colpiti furono gli uomini anziani.*Ogni giorno le SS con pretesti vari (doccia, lavori nel cam-po retribuiti con una più abbondante razione di cibo) pre-levavano circa 200 individui e li rinchiudevano nella cameradei gas.I primi giorni questi disgraziati si avviavano alla morteignari della fine che li attendeva; ma poi, nonostante lo

Festeggiatii 95 annidi BrunoVasari

Page 7: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

7

stretto isolamento, trapelarono nel campo notizie sulla sor-te subita dai compagni prelevati dalle SS, e nell'animo deirestanti prigionieri del campo l'incubo angoscioso dellamisera fine si alternava con la speranza della liberazione.Col secondo scaglione furono avviati dal Revier al campoper cercare di completare il numero richiesto, anche degliindividui che non erano in condizione di reggersi e molti deiquali caddero infatti dopo aver fatto pochi passi.Fu comandata allora una carretta tirata da uomini (le SSavevano stabilito che 6 uomini corrispondevano a un cavalloe così quasi tutti i veicoli che circolavano per il campo diMauthausen e nelle adiacenze erano tirati da prigionierianziché da animali o motori), sulla quale vennero caricaticoloro che non erano in grado di camminare. Giunta al cam-po il contenuto di questa carretta venne rovesciato diretta-mente nelle bocche del forno crematorio, dove furono fat-ti precipitare uomini vivi e coscienti.Tutto ciò che accadeva al campo venne risaputo al Revier,da dove si vedevano dense volute di fumo uscire dal ca-mino del crematorio in cui bruciavano i corpi dei nostricompagni asfissiati.Aquanto mi risulta oltre 200 italiani furono assassinati coni gas.

Finalmente il 5 Maggio verso le ore 12 comparve su perl'erta della collina di Mauthausen una staffetta ame-ricana protetta da un carro armato e sul pennone del

Lager fu innalzata bandiera bianca.La voce si sparse, accorremmo tutti fuori dai reticolati: sa-ni e ammalati. Questi ultimi balzarono dai letti e seminu-di, scalzi, barcollando e cadendo si fecero con gli altri in-contro ai liberatori.Fu un momento di intensa commozione: i volti di tutti era-no rigati di lacrime; e mentre le voci si levavano in coro acantare gli inni della resistenza di tutta l'Europa, ci strin-gemmo in un fraterno abbraccio. La staffetta ripartì, i gendarmi tedeschi se ne andarono eper 48 ore il campo rimase nelle nostre mani. Si svelò al-lora una grandiosa organizzazione preparata nell'ombra eil governo del Revier e del Lager fu assunto da comitati in-ternazionali e nazionali. (il C.L.N. italiano del Revier eracosì composto: Calore, Partito d'Azione - Bardini, comu-nista - Micheli, socialista; gli altri partiti non erano rap-presentati).Compagni di tutte le nazioni in grado di impugnare le ar-mi mantennero la disciplina, custodirono i magazzini emontarono la guardia al campo. Le cucine e gli altri servi-zi continuarono a funzionare.

Gli americani arrivarono con il grosso delle loro for-ze e un reparto di carristi prese possesso del campo.Si iniziò per noi un periodo di semi-libertà, poiché

non eravamo più schiavi, ma i reticolati e le sentinelle nonci consentivano di essere completamente liberi.Giunsero ufficiali, fotografi, medici, cappellani, una com-missione francese ed una sovietica, tutti ad ammirare le be-stie rare.Non giunsero invece gli indispensabili soccorsi in viveri emedicinali.Per la confezione dei cibi vennero utilizzate le immensescorte di patate (mille tonn.) di fagioli, di farina di grano-turco, di piselli secchi, di carne in scatola, di margarina chei nostri affamatori avevano accumulato.

La prima messa fu celebrata dopo l'arrivo degli ame-ricani dal genovese Don Gaggero al Lager blocco 10)degli italiani. Ritornava la libertà in uno dei suoi

aspetti più preziosi: la libertà di religione e di culto.Il 2 Giugno, a un mese circa dalla liberazione, dopo cheavevamo visto partire russi, polacchi, cechi, jugoslavi, un-gheresi, francesi, spagnoli, austriaci, e tedeschi, arrivaro-no finalmente gli autocarri della C.R. internazionale perrilevarci.Fummo stipati come merci e molti di noi dovettero fare illungo viaggio in piedi; ma tale era la gioia per la partenzache non ne avvertimmo il disagio. Partimmo in 350: si ini-ziò così una inesplicabile odissea attraverso l'Austria e laGermania.Da Mauthausen attraverso Salisburgo e Monaco fummotrasportati a Höchst sulla frontiera svizzera, nei pressi delLago di Costanza. Le autorità svizzere non ci concesse-ro il transito perché la frontiera italo-svizzera era ancorachiusa (ma la C.R. internazionale non lo sapeva?). DaHöchst fummo portati a Lustenau e da qui a Feldkirchen,sempre nella zona del Lago di Costanza, ospiti delle au-torità francesi, alle quali è affidato il controllo di quellazona dell'Austria. I francesi ci fecero un'ottima acco-glienza e ci colmarono di cortesie. Fummo esentati daqualsiasi lavoro, poiché tutti i servizi dei campi dove fum-mo accolti erano affidati a prigionieri tedeschi. Né senti-nelle né reticolati limitarono la nostra libertà di movi-mento.Fu qui forse che per la prima volta avemmo la sensazionedi essere diventati finalmente degli uomini liberi.

Ad innsbruck arrivammo la sera del 6 giugno: rag-giunto a piedi dopo una marcia di 5 chilometri incondizioni di estrema stanchezza il campo che do-

veva ospitarci per la notte. Trovammo delle baracche sen-za tetti e senza pagliericci, infestate dalle cimici, dove fum-mo costretti a trascorrere la notte sdraiati per terra.E così prima e dopo di noi migliaia di altri italiani. Non cifu dato nulla da mangiare.L'indomani mattina camions americani ci trasportarono,attraverso il Tirolo e l'Alto Adige, a Bolzano.Al nostro arrivo mentre ancora eravamo sui camions, ci sistrinse attorno una piccola folla di borghesi e di preti, rap-presentanti dei Comitati costituitisi dappertutto per acco-gliere i reduci, che agitando cartelli con nomi di città e pae-si prevalentemente della Lombardia gridavano e interpel-lavano gli uni e gli altri e chiedevano informazioni.Nel loro accento commosso e festoso era la voce dellaPatria.Un'emozione dolcissima pervase i nostri animi: eravamo fi-nalmente in Italia! Eravamo pochi superstiti, ma in cia-scuno di noi riviveva lo spirito dei nostri poveri compagnicaduti.

Bruno Vasari

Portati assiemenel “bivaccodella morte”

Page 8: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

I LAGER CREATI DAL FASCISMO DOPO L’OCCUPAZIONE DELLA JUGO

8

Una tragedi Soprattutto nelle nostre pro-vince di confine, sarebbe op-portuno che se ne parlassedi più, anche perché i cam-pi di concentramento italia-ni, I campi del Duce, comeli ha definiti Capogreco, nonraccolsero solo anziani, don-ne e bambini deportati dal-le zone d’occupazione mi-litare o di nuova annessio-ne istituite dopo l’aggres-sione alla Jugoslavia. Un nu-mero consistente di depor-tati era costituito da cittadi-ni italiani delle provinceorientali di nazionalità slo-vena e croata. Persone a cuifinora è stata negata, di fat-to, anche la memoria dellesofferenze patite.L’Italia non è l’unico Paesein Europa ad aver cercato dirimuovere l’esistenza di unproprio sistema concentra-zionario. Anche la Francia,ad esempio, ha atteso moltianni prima di avviare un di-battito storiografico sui cam-pi di concentramento rea-lizzati ai piedi dei Pirenei al-l’inizio del secondo conflit-

di Dario Mattiussi*

■Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio grazie ai lavori di storici come Carlo SpartacoCapogreco, Bozidar Jezernik e Tone Ferencche ci hanno consentito di avere una conoscenza complessiva del fenomeno e delle sue dimensioni

■L’indagine storiografica rischia però di rimanere fine a se stessa se non èaccompagnata da una divulgazionescientifica, capace di rendere l’opinionepubblica consapevole anche delle pagine più buie della nostra storia

■Parliamo ovviamente di un processo lungo, ostacolato anche dal silenzio sui campi di concentramento italiani nella manualistica scolastica

to mondiale, campi in cui fu-rono detenuti anche moltireduci dalla guerra diSpagna, italiani e sloveni,originari delle nostre pro-vince.Non dobbiamo però caderein facili generalizzazioni,cercando analogie tra i cam-pi di concentramento italia-ni presi nel loro insieme e ilager o peggio i campi di ster-minio nazisti.Inevitabilmente il confron-to non farebbe altro che re-lativizzare l’orrore dei cam-pi fascisti.È necessario invece tenerconto delle diverse realtà e ti-pologie della deportazione.Molti dei campi di concen-tramento “regolamentari”,gestiti cioè dal ministero de-gli Interni, rispondevano arequisiti minimi di vivibi-lità, erano visitabili dallaCroce Rossa e vi era la pos-sibilità per gli internati di ri-cevere viveri dall’esterno epoter così migliorare le pro-prie condizioni di vita.Diversa era invece la situa-

Il campo di concentramento di Rab nel 1942.Nella pagina a fianco: uno dei disegni esposti nella mostra.

Isola di Rab

Page 9: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

O SLAVIA

9

a dietro il cortile di casa

zione nei campi destinati agliinternati jugoslavi, i “cam-pi dell’internamento paral-lelo” come li definisceCapogreco. Qui i prigionie-ri, per lo più donne, anzianie bambini, erano costretti auna disperata lotta per la so-pravvivenza, completamentenascosti al mondo e impos-sibilitati a ricevere aiuti dal-l’esterno.L’esercito italiano aveva giàalle spalle una certa espe-rienza nella costruzione dicampi di concentramento,basti pensare ai campi rea-lizzati in Libia dal generale

Graziani in cui trovarono lamorte migliaia di civili. Sitratta di eventi ugualmenterimossi dalla nostra storia epraticamente sconosciuti al-l’opinione pubblica nazio-nale. A favorire questa ri-mozione fu certamente lostereotipo culturale, tanto su-perficiale quanto diffuso, de-gli italiani “brava gente”, delsoldato italiano “buono”,sempre diverso nei compor-tamenti verso la popolazio-ne civile dall’alleato nazista.Contribuì poi, a guerra fini-ta, anche la volontà degli al-leati di condonare i crimini

di guerra italiani in nome diun superiore interesse stra-tegico. Alivello politico inol-tre nessun partito aveva in-teresse allora a rimettere indiscussione l’immagine delnostro esercito in un dopo-guerra che l’Italia affronta-va da paese aggressore scon-fitto, aggrappato alla Re-sistenza come simbolo di unriscatto morale completo edefinitivo della nazione.Tutti i campi realizzati dal-l’esercito durante la secondaguerra mondiale furono de-finiti ufficialmente “campidi concentramento”, ma la

definizione non rende con-to delle diverse modalità concui avveniva l’internamento.Capogreco ha definito ille-gale o meglio “fuori legge”l’internamento dei civili slo-veni e croati praticato dal re-gime fascista dopo l’inva-sione della Jugoslavia.Invasione che per altro av-venne da subito al di fuoridi ogni legge di guerra conil bombardamento improv-viso di Belgrado e poi conla trasformazione dei territorisloveni occupati nella Pro-vincia di Lubiana. Occorreperò distinguere tra la vio-

Per saperne di più• Carlo Spartaco Capogreco, I campi del Duce.L’internamento civile dell’Italia fascista (1940-1943)Torino, Einaudi, 2004• Tone Ferenc, Rab-Arbe-Arbissima. Confinamenti-ra-strellamenti-internamenti nella provincia di Lubiana1941-1943, Lubiana, 2000• Alessandra Kersevan, Un campo di concentramentofascista. Gonars 1942-1943, Udine, KappaVu, 2003• Bozidar Jezernik, Boj za obstanek, Lubiana, 1983• Boris M. Gombac e Dario Mattiussi (a cura di), La de-portazione dei civili sloveni e croati nei campi di con-centramento italiani: 1942-1943. I campi del confineorientale, Gorizia, Centro “L. Gasparini”, 2004• Metka Gombac, Boris M. Gombac, Dario Mattiussi,Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze dibambini dai campi di concentramento del confine orien-tale: 1942-1943, Gorizia, Centro “L. Gasparini”, 2004.

La mostra Quando morì mio padreDisegni e testimonianze di bambini dai campi di con-centramento del confine orientale: 1942-1943, cu-rata da Metka Gombac, Boris M. Gombac, DarioMattiussi, raccoglie in 26 grandi pannelli a colori di-segni e testimonianze di bambini sloveni, fra i 6 e gli11 anni, sopravvissuti ai campi di concentramentoitaliani.La mostra, realizzata dal Centro Isontino di Ricercae Documentazione Storica e Sociale “LeopoldoGasparini”, è stata allestita con successo a Gorizia,Venezia, Capodistria, Maribor ed è attualmente espo-sta presso la Risiera di San Sabba, MonumentoNazionale, a Trieste dove può essere visitata tutti i gior-ni fino al 28 gennaio 2007. L’ingresso è libero; sonoa disposizione guide per gruppi e scolaresche.

Page 10: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

10

lenza espressa in queste zo-ne dall’esercito italiano nel1941, mirata a obiettivi po-litici e militari ben definitie quanto avviene a partiredal 1942, quando viene de-cisa e attuata una vera e pro-pria strategia del terrore ver-so la popolazione civile. Le nuove direttive imparti-te dagli alti comandi, in unquadro ideologico marcata-mente razzista, prevedonol’utilizzo contro la popola-zione civile degli stessi me-todi applicati dai nazisti sulfronte orientale: dall’incen-dio dei villaggi alla fucila-zione di ostaggi, alla depor-tazione in massa dei civiliin campi di concentramentoper creare il vuoto attorno almovimento partigiano.In questo quadro non do-vrebbe sorprendere che iltasso di mortalità registratonel campo di concentra-mento di Arbe - Rab, dovu-to alla fame, al freddo e al-le condizioni igienico – sa-nitarie, sia stato per lunghiperiodi superiore a quellodei peggiori campi di con-centramento nazisti, esclusiquelli di sterminio.La differenza consiste solonella mancanza di un’effi-ciente “macchina della mor-te”, sostituita da condizionidi vita insopportabili di cuiovviamente sono i bambinia pagare il prezzo più alto.Si tratta in ogni modo di mor-ti che non possono essere at-tribuite al caso. Sono inve-ce il risultato di decisioniprese a tavolino con cui siprogrammava, ad esempio,un vitto del tutto insuffi-

ciente. Questo sia per nonsottrarre risorse all’eserci-to, sia per rendere i prigio-nieri più deboli e quindi con-trollabili con il minor im-piego di truppe. Non si con-danna a morte quindi ma silascia morire e questo nonsolo nell’inferno di Arbe.La posizione al di fuori del-la legge di molti campi eb-be ripercussioni pesantissi-me per tutti i civili interna-ti, definiti cittadini italiani“per diritto di annessione”e quindi privati anche dellostatus di sudditi nemici cheavrebbe consentito almenol’invio di viveri e vestiariopesante da parte delle orga-nizzazioni internazionali.Soltanto nell’agosto del 1943il ministero degli AffariEsteri permise alla CroceRossa di assistere i civilicroati e sloveni internati inItalia, a condizione che ciònon modificasse la loro po-sizione giuridica e che ci silimitasse a semplici azionidi carattere umanitario.Esiste quindi anche un pro-blema di continuità tra regi-me fascista e governoBadoglio che deve essere af-frontato.I campi non vengono chiu-si dopo il 25 luglio ma ab-bandonati solo dopo l’8 set-tembre, spesso a causa del-la fuga degli addetti alla sor-veglianza. In alcuni casi conun ritardo tale da permette-re la cattura degli internatida parte dei nazisti. Certonon mancano le eccezioni.Gruppi di internati furonorilasciati dopo pressioni del-la Chiesa o per decisione dei

comandi militari. Non sitrattò tuttavia di una libera-zione generale, a testimo-nianza del fatto che le re-sponsabilità italiane non ces-sarono con la destituzionedi Mussolini e la caduta delregime fascista.Si muore nella desolazionedell’isola di Arbe - Rab, co-me a Gonars in provincia diUdine e se il trasferimentodi donne e bambini strema-ti da Arbe - Rab incide anchesui tassi di mortalità deglialtri campi, questo non in-dica cambiamenti signifi-cativi nella filosofia del-l’internamento.Abbiamo già detto che le au-torità militari italiane fece-ro proprie le direttive ema-

nate dai comandi tedeschiper combattere la resisten-za lungo il fronte orientale.Questo spiega le fucilazionidi ostaggi e l’incendio deipaesi situati vicino a luoghiin cui si erano avuti com-battimenti con le forze par-tigiane o da cui risultavanomancare uomini presumi-bilmente arruolati nelle for-mazioni partigiane. La deportazione di donne ebambini come ostaggi rien-tra sicuramente in questastrategia. I numeri della de-portazione sono però trop-po alti per trovare una spie-gazione esauriente in questedirettive; sono anzi così al-ti da sconvolgere anche lestrutture predisposte per

Una tragedia dietro il cortile di casa

mare Adriatico

Terzo Reich

Regnodi Croazia

Regno d’Italia

Fiume

Pola

Trieste

LubianaGorizia

Udine

Territori occupati

di Carinzia e Carniola

Klagenfurt

Rab(Arbe)

Gonars

1942, l’occupazione italiana in Jugoslavia

Page 11: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

11

l’internamento dai coman-di militari tanto da trasfor-marle rapidamente da luo-ghi di segregazione in luo-ghi di morte.I motivi del degenerare del-la deportazione e della cre-scita esponenziale dei nu-meri sono probabilmente ri-sposte alla stessa situazionesul campo. Da una parte, lacrescita della resistenza ar-mata, e il suo riorganizzar-si dopo ogni offensiva con-dotta dall’esercito, sono ladimostrazione che l’uso in-discriminato della violenzaavvicinava la popolazionealla resistenza anziché al-lontanarla, vanificando an-che i successi militari otte-nuti dall’esercito grazie al-

l’utilizzo di milizie di col-laborazionisti, infiltrati e de-latori; dall’altra, l’ineffica-cia di questa strategia spin-ge i comandi italiani a ordi-nare misure repressive sem-pre più drastiche, fino a pia-nificare la distruzione e lospopolamento attraverso ladeportazione in massa deicivili di una vasta zona alconfine tra Slovenia eCroazia lunga alcune centi-naia di chilometri e larga piùdi una decina.Si innescava così una spira-le di violenza in cui gli stes-si obiettivi militari finivanocon l’essere stravolti. La ritorsione sui civili ve-niva giustificata come unavendetta per le perdite subi-

te durante i rastrellamentima la stessa spingeva anchegli incerti alla scelta dellalotta armata. In questa tra-gedia la guerra finiva colperdere ogni traccia di uma-nità, se mai l’aveva avuta.La deportazione e la mortedei bambini potevano esse-re considerate un effetto se-condario cui non dare trop-po peso e forse senza i do-cumenti degli archivi mili-tari e civili e soprattutto sen-za le testimonianze, i dise-gni e gli scritti dei soprav-vissuti, potremmo davverofingere che nulla sia acca-duto, o che la responsabilitàsia da addebitare esclusiva-mente a un ristretto gruppodi criminali di guerra.

*Curatore della mostra

I materiali riprodottinella mostra, messi a di-sposizione per la primavolta dall’Archivio diStato della Repubblicadi Slovenia e dal Museonazionale sloveno diStoria contemporaneadi Lubiana, costituisco-no un’accusa che nonlascia spazio a giustifi-cazioni.

Tanto i disegni quanto ibrevi scritti furono rea-lizzati, dopo la libera-zione dai campi, in zo-ne libere della Sloveniain strutture medichepartigiane, nel tentati-vo di far rielaborare aipiccoli sopravvissuti, ingran parte orfani, l’e-sperienza subita.

Collaborarono anchemaestri elementari, an-che loro ex deportati,certamente le personepiù adatte a relazionar-si con i giovani orfaniappena rientrati daicampi.

Recuperare questa me-moria e renderne con-sapevole l’opinione pub-blica nazionale e so-prattutto le generazio-ni più giovani è ancheun dovere civile.

Non solo un riconosci-mento alle vittime di al-lora ma un impegno mo-rale che ci coinvolge tut-ti e che può dare la mi-sura del cammino ver-so la democrazia chequesto Paese ha saputocompiere in questi an-ni, senza distinzioni diappartenenza politica.

In questefotografie:bambini incondizionimiserabili nel campo enell’infermeriadi Rab, 1942.

Nella cartinadella pagina asinistra la zonadel “Confineorientale” nel1942, durantel’occupazioneitaliana. Nella foto sottouna retata a Lubiana nel 1942.

La memoriarecuperatain unamostra

Page 12: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

12

Ecco i loro nomi: IvanDemjanjuk, responsabiledi innumerevoli esecuzio-ni nei campi di sterminiodi Sobibor e Majdanek,espulso dagli Stati Uniti,sotto inchiesta in Polonia;Alois Brunner, vice diAdolf Eichmann, respon-sabile di oltre centomiladeportazioni e di centinaiadi assassinii, da decenni inSiria dove ha organizzatola polizia segreta; SandorKepiro, ex ufficiale un-gherese con un ruolo atti-vo nella deportazione degliebrei ungheresi, vive aBudapest dove è in corsoun’inchiesta nei suoi con-fronti; Erna Wallisch, re-sponsabile di efferati cri-mini a Majdanek, vive inAustria, le cui autorità ri-fiutano di aprire un proce-dimento di estradizione;Aribert Heim, medico del-la morte, autore di orrendiesperimenti, dopo i quali

Ancora liberi e impuniti dieci criminali nazisti

Ad oltre sessant’anni dalla fine della guerra cisono ancora in circolazione criminali nazisti?Secondo il Centro internazionale “SimonWiesenthal” dieci di loro sono tuttora liberi eimpuniti. Se ne conoscono i nomi e si ritieneanche di sapere dove vivono in assoluta tran-quillità. Ad affermarlo è Efraim Zuroff che,dopo la morte di Wiesenthal, ha assunto la gui-da del Centro, famoso per avere contribuito inmaniera decisiva alla cattura di molti crimina-li nazisti, compreso Adolf Eichmann. Zuroff si

dice convinto della possibilità di catturarli e dipoterli processare: “Per il mondo, ma soprat-tutto per i paesi che ancora chiudono gli occhie negano il loro ruolo nella seconda guerramondiale, i processi ai ‘top ten’ sarebbero unmomento decisivo di giustizia e di presa di co-scienza. Ma la mancanza di volontà politica diconsegnare questa gente alla giustizia, dopodecenni, è ancora il nostro nemico più tenace.Siamo all’ultima occasione di fare giustizia,non ne verranno altre”.

L’ultima occasione per far giustiziale vittime venivano ucci-se; Milivoj Asner, capo del-la polizia croata nel corsodella guerra, responsabiledi centinaia di esecuzioni,vive in Austria e anche perlui le autorità competentirifiutano l’estradizione inCroazia; Mikhail Gor-shkov, bielorusso, respon-sabile di innumerevoli de-portazioni, espulso dagliUsa, indagato in Estonia;Algimantas Dailide, litua-no, responsabile di arresti,torture, esecuzioni, con-dannato in Lituania ma lasentenza non è stata ese-guita; Harry Mannil, re-sponsabile di persecuzionie di esecuzioni di ebrei, vi-ve nel Venezuela; KarloyZentaj, ungherese, re-sponsabile di innumerevolipersecuzioni a Budapest,vive in Australia, dove hapresentato appello contro larichiesta di estradizione.Dunque, in Polonia e in

Ungheria, paesi dove infi-niti sono stati gli orrori mo-struosi del nazismo, sono incorso inchieste giudiziarieche non si capisce che co-sa debbano accertare, vi-sto che i delitti degli im-putati sono più che docu-mentati. L’Austria, addi-rittura, rifiuta l’estradi-zione per criminali del ca-libro di Erna Wallisch e diMilivoj Asner, capo dellapolizia ustascia, che ha co-perto di sangue l’interaCroazia, negli anni in cuifuroreggiava il boia AntePavelic. Indagini sono an-che in corso in Estonia ein Lituania, i due paesi bal-tici dove decine e decinedi migliaia di ebrei sonostati massacrati. Perché tutto questo? “Cisono forme di aiuto cospi-rative per gli ultimi nazisti– dice Zuroff – come quel-le messe in piedi da orga-nizzazioni nostalgiche vi-

cine ai neonazisti quali‘Stille Hilfe’, aiuto silen-zioso. Però il problema piùserio è quando governi emagistratura, pur davantia prove schiaccianti, nonsi muovono. I tedeschi simuovono, ma in Austria èscandaloso. Se chiediamoinformazioni in Austria, il95 per cento delle telefo-nate di risposta sono te-lefonate antisemite”. E tut-tavia l’erede di Wiesenthalnon demorde ed è, anzi,nonostante tutto, ottimista.Dice, infatti: “Adesso, conla nostra operazione, lesperanze di acciuffarli, disbatterli in galera e pro-cessarli sono buone.Sappiamo o supponiamodi sapere dove sono.Abbiamo prove inconfu-tabili a loro carico”. La conclusione è che que-sti ‘top ten’ non dovreb-bero sfuggire al loro giu-sto castigo.

Secondo il Centro internazionale “Simon Wiesenthal”

Page 13: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

13

Condannati all’ergastolo i responsabili dei crimini

Squarciato l’obliosulle ultime stragidei nazisti in Italia

Seicentonovantacinque i fascicoli rinvenuti in un armadio presso la ProcuraGenerale della Corte d’Appello Militare di Roma.Migliaia i nomi di inermi civili italianiche dopo l’8 settembre del ’43 trovarono una morte apparentemente senza motivo.Circa sessanta gli anni che separano le primesentenze da quegli orrendi avvenimenti.Sono questi i freddi numeri che non riusciranno mai a dare interamente

conto di una tragedia che finalmente può dirsia pieno titolo entrata nel patrimonio della cultura e del dolore di questa nazione.Inchieste provvisoriamente archiviate neglianni ’50 in nome di una “ragion di Stato” cheletta a così tanti anni di distanza appare ancora più incomprensibile.Lo Stato italiano, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, si assunse una responsabilità enorme: quella di tradire la fiducia del proprio popolo.

Dopo 60 anni le prime sentenze basate sugli atti celati nell’armadio della vergogna

Quelle migliaia di vittime, padri, madri, nonni enonne, figli e figlie, sorelle e fratelli, ammazzate dauna inesorabile edefficiente macchi-na da guerra qualefu l’esercito e lostato nazista (mol-to spesso con laconnivenza di al-cuni fascisti italia-ni che con loro col-laborarono).Quelle migliaia dipersone semplici,ammazzate una se-conda volta attra-verso la scelta difar calare l’obliosui responsabili diquelle tragedie.Non che la storianon abbia già datempo individuatole responsabilitàpolitiche e moralidi coloro i quali,

di Gianluca Luongo * nazisti tedeschi e fascisti italiani, istigarono e favo-rirono la realizzazione di quelle brutalità.Ma quell’oblio è calato inesorabilmente sui reparti esugli ufficiali che si macchiarono di crimini tanto vi-li contro l’umanità. Nessuna ragion di Stato poteva ar-

rogarsi il diritto discegliere di non da-re un nome e unvolto ai responsa-bili materiali di ta-li aberrazioni, poi-ché dietro la mortedi ognuna di quel-le migliaia di per-sone vi erano sto-rie, fatte di gioie edolori, ed infine tra-gedie di cittadinisemplici, per lo piùcontadini o pastoridi un’Italia che nonc’è più e che quellestragi rischiaronodi cancellare persempre.Figli, fratelli, ma-dri e padri vissutinel ricordo esclusi-vamente personale

Giulio nato il 13 gennaio 2000. Il 12 agosto è andato con i genitori a deporrefiori al centro del girotondo che ricorda i piccoli massacrati a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944.

Page 14: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

14

Squarciato l’oblio sulle ultime stragi dei nazisti in Italia

di familiari massacrati neimodi più terribili che si pos-sano immaginare; senza chequello Stato, che dapprimanon aveva saputo o potutodifenderli perché si trova-va allo sbando, sia riuscitoa cogliere la possibilità direcuperare parte di quelladignità perduta, dando unnome e un volto agli auto-ri di quelle stragi.Lo Stato italiano decise al-lora di non scegliere.Semplicemente sospese, inmaniera “provvisoria”, ilproprio giudizio. Per quasicinquant’anni.C’è voluto il fortuito ritro-vamento di quell’armadio,con le ante rivolte verso ilmuro, e una serie di inda-gini parlamentari, conclu-sesi con una Commissioned’inchiesta istituita nel cor-so della XIV legislatura,per riportare alla luce queifatti.Sui quali, in assenza del-l’accertamento dei re-sponsabili diretti di que-gli eccidi, ognuno è statocostretto e chiamato a giu-dicare a proprio modo.E ciò che è ancora peggio,fatti sui quali qualcuno hapotuto speculare per fina-lità di lotta politica.Si è speculato sulle ragio-ni che portarono l’eserci-to tedesco a pianificare e arealizzare con spietata vio-lenza quelle stragi.Si è speculato sul fatto chequelle stragi fossero stateprocurate da “inutili” azio-ni di lotta partigiana, qua-si a voler trovare in quel-le azioni di resistenza unagiustificazione.Nel tentativo di equipara-

re alcune delle vittime(partigiani) ai carnefici,invece di aiutare coloroche avevano subito la per-dita degli affetti più cari acomprendere che un con-to erano le azioni condot-te dalle brigate partigianenei confronti di forze bel-ligeranti e occupanti, e unconto erano le rappresa-glie condotte indistinta-mente contro le popola-zioni civili dall’esercitotedesco.Senza aiutare a compren-dere che nessuna conven-zione internazionale, nes-suna legge di guerra ha maiprevisto il diritto di rap-presaglia nei modi e nelleforme che furono poste inessere nei confronti diquelle popolazioni, vitti-me degli eccidi.Ecco dove è nata, cresciu-ta e si è alimentata la “me-moria divisa” di quei fat-ti: nella giustizia che ognu-no è stato costretto o è sta-to indotto a fare da sé; nel-la colpevole assenza di unoStato incapace a pronun-ciare la parola “Giustizia”nelle aule a ciò deputate,quelle dei tribunali.E non dobbiamo lasciarciingannare dall’amenità diquei luoghi che furono tea-tro di quelle orrende stra-gi. Il Valdarno, la Val-dichiana, i comuni del-l’Emilia, la Versilia sonooggi luoghi nei quali sem-bra cancellata ogni memo-ria di quegli accadimenti,perché la natura e l’inge-gnosità dell’uomo ha fattosì che quelle tragedie sicompissero in ambienti tan-to belli e accoglienti.

La realtà ci racconta cheogni persona che haavuto la fortuna di fre-

quentare quei luoghi e di par-lare con i parenti delle vit-time ha potuto constatare ildolore che ancora vi albergae il lucido e terribile ricor-do di quei giorni tremendi.Comunità quasi cancellatedalla violenza dell’uomo chetra fatiche e stenti hanno sa-puto ricostruire una esistenzadignitosa; hanno saputo riac-quistare fiducia nel prossi-mo ed oggi accogliere, quo-tidianamente e con disponi-bilità, gli eredi di coloro chesi resero protagonisti deli-ranti di quei mesi.Di certo per lo Stato italianorimarrà un’occasione man-cata.Quegli assassini potevano edovevano essere perseguitie condannati, anziché vive-re comodamente una esi-stenza che li ha portati ad as-sumere ruoli anche di rilie-vo nella Repubblica FederaleTedesca.Probabilmente hanno avu-to anche la possibilità dispendere la propria esisten-za nel tentativo di ripulirsil’anima da quelle terribilimacchie.Qualcuno potrebbe dire chela giustizia divina saprà co-munque individuare i re-sponsabili di quei fatti e chia-marli a risponderne.Io penso che la giustizia de-gli uomini, quella giustiziache poteva e doveva esserescritta nelle aule di tribuna-le e che oggi, a sessant’annidi distanza e con enormi dif-

ficoltà e fatiche si sta final-mente tentando di scrivere,è la giustizia che doveva es-sere perseguita.Non vi sono ancora senten-ze di condanna definitive.È di qualche settimana fa lanotizia della condanna in ap-pello degli autori della stra-ge della Certosa dellaFarneta.In questi giorni è stato cele-brato il processo d’appelloper la strage di Sant’Anna diStazzema, in cui morironooltre cinquecento persone.Vi sono già sentenze di con-danna all’ergastolo pronun-ziate in primo grado dal tri-bunale militare di La Speziache hanno una valenza sto-rica straordinaria, poichécontribuiscono a rimuovereil pesante velo calato su queifatti.Insieme alla sentenza per lastrage di S. Anna di Staz-zema sono giunti a conclu-sione, con pesanti senten-ze di condanna, i processiper la strage di Falzano diCortona e S. Pietro a Dame,in cui è stato inflitto l’er-gastolo a due ufficiali te-deschi, e per la strage diCivitella in Val di Chiana,Cornia e S. Pancrazio, incui è stato inflitto l’erga-stolo al solo ufficiale tede-sco rimasto in vita.Altri processi si stanno ce-lebrando in queste settima-ne ed altri prenderanno av-vio nei prossimi mesi, sem-pre che sia possibile rin-tracciare in vita qualcunodei responsabili di queglieccidi.

La realtà è ben diversa

Page 15: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

15

Sconteranno la pena?

Purtroppo non possia-mo attenderci che que-ste persone scontino

neppure un giorno di carce-re, vista l’età e le condizio-ni di salute in cui alcuni di es-si versano.Ma ritengo che la portata diquesti processi e di questeprime sentenze di condan-na, pur tra mille difficoltà equalche ritardo evitabile, ab-biano molteplici significa-ti, tutti egualmente impor-tanti. Consentono innanzi-tutto ai parenti di quelle po-vere vittime di non esserepiù soli nel loro dolore, madi poterlo condividere conla propria comunità e con laNazione intera.Consentono all’Italia di ri-scattare, sebbene solo in par-te, la sciagurata scelta di farprevalere le ragioni della po-litica e della diplomazia trastati piuttosto che le ragionidella tutela della memoriadei propri figli.E dato non meno importan-te, a tutti quei tedeschi che siresero responsabili di con-dotte contro l’umanità, inprimis a quelli condannati,consentono di far capire chelo Stato italiano c’è, prima opoi arriva! Magari con ritardo, magaricon inefficienze ma prima opoi arriva. E quelle loro vi-te celate, quella loro parte diesistenza sulla quale proba-bilmente con gli anni avran-no fatto scendere il silenzioora può essere resa pubblica,affinché ciascuno sappia chedietro a quelle apparente-mente “normali” persone vi

fu un ufficiale dell’esercitotedesco che violò ogni re-gola, ogni principio – anchequelli della guerra e anziprincipalmente quelli di unaGuerra – nonché ogni con-venzione sui diritti umani.Ha preso avvio il 15 no-vembre scorso presso leCommissioni riunite Giu-stizia e Difesa del Senatodella Repubblica l’esame diun disegno di legge che pre-vede, ove approvato, il ri-sarcimento dei migliaia diparenti che in quelle stragipersero un familiare.Forse sarà poca cosa.Anzi sicuramente è poca co-sa a fronte della soddisfa-zione morale che sarebbeconseguita dalla persecu-zione giudiziaria dei re-sponsabili che decisero e rea-lizzarono quegli eccidi.Ma è un segno tangibile delmutare dei tempi, dell’at-tenzione che finalmentel’Italia tutta intende riser-vare a quei poveri cittadiniitaliani trucidati.Per far sì che la storia nonvenga dimenticata.Per non permettere più chele responsabilità morali ven-gano travisate. Perché la de-mocrazia e la libertà di que-sto Paese sono sorte e si so-no consolidate anche graziea quelle morti e perché il mo-nito rappresentato da quellemorti aiuti a preservare lanostra democrazia e la no-stra libertà.Per ripagare un debito mo-rale dell’Italia intera.

*Parte civile per i fami-gliari delle vittime

BOVES

MARZABOTTO

S. ANNA DI STAZZEMA

FONDO TOCE (NOVARA)

Page 16: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

16

Com’è difficilericostruire il “trasporto”del 4 gennaio 1944

Si incaricò di condurre ri-cerche Antonella Tiburzi,partendo soprattutto dallatestimonianza di MarioLimentani che risultava es-sere l’unico dei superstitiancora in vita. Le ricercheiniziarono scavando negliarchivi di stato di GallaPlacidia, ove sono raccoltiparte dei documenti del car-cere di Regina Coeli, nonincontrarono molte diffi-coltà, in quanto la docu-mentazione risultava lar-gamente incompleta, convuoti enormi. Non era pos-sibile rintracciare docu-mentazione relativa allamaggior parte del mese di

Italo Tibaldi, nel suo libro Compagni di viaggio, in cuiha pubblicato i risultati della sua cinquantennalericerca per ricostruire numeri, identità, storia delladeportazione politica dall’Italia, riferendosi al trasportodegli inizi di gennaio 1944 da Roma a Mauthausen,indica, sulla base di una documentazione certa dellager austriaco, in 257 i deportati che vi giunsero il 13gennaio e vi furono immatricolati. Aggiungendo però,in una preziosa nota, che uno dei deportati, in una suatestimonianza, aveva affermato essere stati 480 i

prigionieri che erano partiti alla volta della Germania.Questa nota suscitò la mia curiosità e fece crescere inme, giorno dopo giorno, la necessità di sapere di più suquel trasporto dal carcere di Regina Coeli, a Roma. Per dare un volto e un nome a uomini di cui si eraevidentemente persa memoria. Ritenendo giusto eancor più doveroso fare conoscere la loro vicendaumana e politica. Per ricostruire, infine, una paginadella storia romana di cui la maggior parte dei cittadini della capitale tutto ignorano.

UNA PAGINA POCO CONOSCIUTA DELLA RESISTENZA ROMANA

di Aldo Pavia gennaio 1944. Inoltre laTiburzi trovava più nume-ri che nomi. Ma qualcunofu possibile trovarlo e ave-re conferma che anche altri,oltre i 257 noti, erano staticonsegnati dalle celle fa-sciste ai nazisti e avevanofatto parte del gruppo di de-portati. Il maggior ostaco-lo a ricerche più probantisi trovava nel fatto che, adomande sul dove sarebbestato possibile cercare, ve-niva opposta l’affermazio-ne che gli archivi del car-cere erano andati distruttio persi, in particolare quel-li del braccio tedesco. Sitentò allora di cercare even-tuali superstiti, a noi sco-nosciuti, ricorrendo a unappello lanciato da una tra-

smissione televisiva, gra-zie all’interessamento perquesta ricerca di RobertoOlla, un giornalista a noimolto vicino, molto com-petente per quanto riguardai temi della deportazione.Non furono trovati super-stiti ma ci giunse una te-lefonata di Anna Tonon, ni-pote di Filippo D’Agostino,uno dei fondatori del PartitoComunista, che di quel tra-sporto faceva parte e chetrovò la morte ad Hartheim.A questo primo colpo di for-tuna ne fece seguito un al-tro. Ricevemmo un mes-saggio con cui EugenioIafrate ci chiedeva se erapossibile accedere agli ar-chivi e ai documenti del-l’Aned di Roma, in quanto

era interessato a conosce-re di più e meglio la vicen-da di suo zio, Valrigo Ma-riani che, partito da Romain quei primi giorni di gen-naio 1944, era morto aHartheim.Seguì un incontro a quat-tro, chi scrive, la Tiburzi,Iafrate e la Tonon.Quest’ultima, raccontan-doci i ricordi di quei gior-ni ci fornì informazioniquanto mai utili per prose-guire nella ricerca.Mostrandoci anche un li-bro, pubblicato nel lonta-no 1946, in cui si può leg-gere il testo del bigliettoche D’Agostino riuscì adinviare a casa, prima di ar-rivare a Mauthausen. Iafrate, con un colpo di sce-

È partito dal carcere di Regina Coeli diretto ai campi di sterminio.

Il ricordo dei pochi superstiti.

Page 17: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

17

na degno di un film, ci ri-velò di poter accedere agliarchivi del carcere, evi-dentemente non andati per-duti. Lui sapeva dove tro-varli. I suoi rapporti con ilMuseo criminologico diRoma, la disponibilità del-la sua direttrice, AssuntaBursacchiello e l’impegnoquotidiano dello stessoIafrate – un vero e propriocacciatore di documenti –resero possibile quanto or-mai si disperava di poterrealizzare.Sarebbe troppo lungo rac-contare i tanti giorni di cer-tosino lavoro, le tante dif-ficoltà affrontate, le tantesorprese. Quella più gran-de fu il ritrovare, negli ar-chivi del Museo dellaLiberazione di Roma, in viaTasso, 2.800 schede carce-rarie del terzo raggio tede-sco a Regina Coeli. Eranolì dal dopoguerra e qualcu-no ne aveva perso il ricor-do. Guardarsele una per unadava i brividi, era rilegge-re una storia lontana eppurancora vicina. Nomi noti emeno noti, ma tutti impor-tanti, i nomi di chi avevalottato, rischiando la vita,

contro l’infamia nazifasci-sta.Oggi, vicini alla fine dellaricerca, siamo già in gradodi dare una precisa rispo-sta sulla data in cui il tra-sporto partì dalla stazioneferroviaria di Roma Tibur-tina. Erano le ore 20,40 del4 gennaio 1944.Aveva quindi ragione MarioLimentani nel sostenere chequella fu la data di parten-za, e non il giorno 5. Ne fafede un “mattinale” del co-mando di polizia. E da que-sto documento viene la con-ferma che i deportati furo-no in numero maggiore diquanto risultasse a Tibaldi:292, secondo la Polizia. Unnumero ancora maggioresecondo i documenti delcarcere. Ben 327 risulta-vano essere stati i prigio-nieri “rilasciati su richie-sta” e portati, in più viaggi,su dei camion alla stazio-ne Tiburtina. Settanta per-sone di cui oggi conoscia-mo nome e cognome, datedi arresto e motivi deglistessi. Anche se ancora cirimane ignota la loro sor-te. Intanto però abbiamopotuto rintracciare un su-

perstite di cui l’Aned ave-va perso notizia, AntoninoGenco, allora attivo nellaResistenza con il falso no-me di Fragapane. Anche lasua testimonianza ci per-metterà di sapere di più sultrasporto.Ci è stato possibile, e le pa-role di Mario Limentani ciconfortano assieme ad al-tre testimonianze, appurareesserci stata una fuga nellevicinanze di Bologna. Nelcorso di questa fu ucciso

Vittorio Fattori, il cui no-me non appare tra quelli del-la lista di Tibaldi. Le testi-monianze di Forti e diD’Agostino parlano di unacinquantina di fuggiaschi.Più di tanto non riusciremoa sapere. Con certezza sap-piamo però che fuggì ancheun giovane ebreo, RubinoSonnino. Una fuga che nonsegnerà la sua definitiva sal-vezza. Tornato a Roma ven-ne di nuovo catturato e finìi suoi giorni infelici ad

La scheda delleSS relativeall’arresto diPiero Valenzano. La trascrizionein italiano (qui sotto) è opera deicuratori dellaricerca.

Page 18: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

‘‘

18

Com’è difficile ricostruire il “trasporto”del 4 gennaio 1944

Auschwitz. Di qualche altronominativo si sta verifi-cando la ragionevole ipo-tesi della fuga. Così comestiamo ricostruendo le iden-tità più complete, non soloanagrafiche, dei deportati.Alla prima apparenza si po-trebbe definire il trasportodel 4 gennaio 1944, un tra-sporto di “poveri cristi”, inquanto i dati registrati daicarcerieri ci mostrano unalto numero di misere per-sone, alcune senza fissa di-mora, dedite a umili atti-vità, quando nullafacenti.Un esame più accurato e in-crociato con altri documentiche via via Iafrate e laTiburzi vanno ritrovandorivelano come una buonaparte fosse già conosciutaalla polizia per il loro anti-fascismo, per la loro ap-partenenza a partiti e orga-nizzazioni proibite dal fa-scismo. Si evidenzia cosìuno spaccato assolutamen-te interessante dell’oppo-sizione popolare in Romaal nazifascismo. Nelle pe-riferie e nelle borgate in par-ticolare. Alcuni dei depor-tati furono protagonisti del-l’insurrezione popolare diPietralata. A questo propo-sito, la ricerca ha permes-so di stabilire che FaustoIannotti non fu fucilato aPietralata, bensì morì adEbensee pochi giorni pri-ma della liberazione, il 30aprile 1945.La nostra speranza, con-tando anche sulla collabo-razione della nostra Fon-dazione, è di poter prestopubblicare un libro in cuifare conoscere i risultati diquesta ricerca storica e po-litica, risultati di cui in que-sto articolo abbiamo for-

“Elementi indesiderabili partiti

Con queste burocra-tiche e fredde paro-le, il Comando di

forze di polizia della CittàAperta di Roma, la matti-na del 5 gennaio 1944,informava della partenzaper una ignota destinazio-ne e per una tragedia in-sospettabile di alcune cen-tinaia di esseri umani finoa quel giorno rinchiusi nel-le celle, italiane e tede-sche, del carcere di ReginaCoeli.

Il mattinale della poli-zia indica i partenti in292 individui mentre

alcune testimonianze deipochi sopravvissuti parla-no di un numero maggio-re. Gino Valenzano, nipo-te del maresciallo Bado-glio, che con il fratelloPiero fu rinchiuso in uno diquei carri bestiame, so-stenne nel suo libro di me-morie che i prigionieri era-no non meno di 480. Chefossero 400 o più venne te-stimoniato anche da MarioLimentani, uno degli un-dici ebrei romani giunti alKZ Mauthausen, daRoberto Forti, a sua voltasuperstite e primo presi-dente dell’Aned (Associa-zione nazionale ex depor-tati nei campi nazisti) diRoma. Nonché da FilippoD’Agostino, morto adHartheim il 7 luglio 1944.Anche Aldo Bizzarri (ma-

tricola 66270), nel suo or-mai introvabile libroMauthausen città ermeti-ca scritto nel settembre1945 e pubblicato daMondadori nel 1946, ri-corda che il primo trasportodi deportati italiani nel KZMauthausen era compostoda circa 400 persone.Durante il viaggio alla vol-ta del KZ Mauthausen,D’Agostino riuscì a scri-vere un biglietto con unsuccinto racconto di quan-to stava capitando a lui edai suoi sventurati compagnie a farlo pervenire allacompagna Majerotti aRoma, tramite un poliziottodi scorta al trasporto, che sioffrì, come altri suoi col-

IL RAPPORTO DEL COMANDO DI FORZE DI POLIZIA

leghi a fronte di denaro edella possibilità di entra-re in possesso delle lorotessere annonarie, di por-tare alle famiglie a Romaquanto fossero riusciti ascrivere con un mozzico-ne di matita.

Quanto scritto daD’Agostino è par-ticolarmente im-

portante perché ci permet-te di sapere qualcosa di piùe di importante sulla vi-cenda di questi nostri con-cittadini destinati a spari-re nel nulla, nelle “notti enebbie” invocate dai nazi-sti. Per questo motivo loriproduciamo qui di se-guito:

Sono nove giorni che siamo sballottati da un punto al-l’altro viaggiando nelle condizioni più pietose, perraggiungere, forse, Mauthausen.Partiti da Roma martedì, abbiamo fatto tre giornatedi treno, con lunghe soste notturne nei binari morti.Disastrosa la sosta nel Brennero, dove con clima ar-tico si era costretti a stare seduti per terra, ammuc-chiati nei carri bestiame, gelidi, e dove alcuni com-pagni ebbero sensazione di congelamento.Arrivammo alle 7 di sera a Dachau presso Monaco diBaviera, e incolonnati, con un suolo gelato, dovemmofare ancora una marcia di otto chilometri (Dachau,triste campo di internamento, è famoso per la campa-gna giornalistica contro i metodi di sevizie ivi usati).Tre giorni di sosta, alloggiati nel salone dei bagni, do-ve ci si sdraiava per terra, ma non ci si poteva neppu-re distendere.La prima sera i guardiani cercarono di terrorizzarci conurli e minacce, chiamandoci ladri e sporchi, e minac-

‘‘Alle ore 20,40 di ieri dallo scalo tiburtino è partito trenonumero 64155 diretto a Innsbruck con a bordo n. 292 individui, rastrellati tra elementi indesiderabili, iquali, ripartiti in dieci vetture, sono stati muniti di viveri per sette giorni. Il treno sarà scortato fino al Brennero da20 agenti di pubblica sicurezza e a destinazione da unmaresciallo e 4 militari della polizia germanica. Durantele ultime 24 ore sono stati rastrellati dalla locale Questura, a scopo preventivo, n. 162 persone”.

Page 19: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

‘‘‘‘

19

i dallo scalo tiburtino diretti al Brennero”ciandoci di farci passare la notte, nudi, nel cortileesterno. Schiaffi, calci, scudisciate per un nonnulla.Dopo le undici, abbiamo ricominciato l’odissea ver-so ignota destinazione. Durante la nostra sosta aDachau, sono giunti una sera una quindicina di ita-liani che venivano da altri campi: scheletriti, affama-ti, alcuni in barella; scena sottoposta ai nostri occhiper scoraggiarci. Ma il nostro morale è sempre alto ela certezza del ritorno sicura.Nella prima notte di viaggio scapparono 55 internati.Io sono insieme con Nuccitelli, Forti, Bologna ed al-tri 23 nostri, tra cui Clementi.Ci portano altrove: te lo diranno a voce. Sto benissi-mo. Coraggio, conservati sana, perché dobbiamo su-perare questa grande prova. Ad Anna e Nando chiedola massima serietà, e ti tengano la migliore compa-gnia.Pare che non ci sia consentito scrivere, ma ho fede diritornare, perché ho la coscienza a posto e la volontàdi vivere.Ti bacio affettuosamente coi bambini. Tutti i miei sa-luti cari agli amici, che, sono sicuro, non ti abbando-neranno”.

D’Agostino scrisse questeparole, una vera e propriatestimonianza, prima di ar-rivare a Mauthausen, dadove non tornò. RobertoForti invece tornò e la sua

testimonianza è inseritanel volume da lui curatocon Fernando Entasi Nottesull’Europa, pubblicatonel 1963 dall’Aned diRoma.

All’alba del 4 gennaio 1944, dal carcere di ReginaCoeli, furono chiamati con precisi elenchi, 480 dete-nuti politici. Nel portarli in matricola per riconse-gnargli la roba, fu detto loro che sarebbero andati inlibertà. Ma appena terminata tale procedura venim-mo inquadrati nei corridoi fino a che vedemmo arri-vare le SS e i poliziotti italiani in divisa, tutti arma-ti. […] A gruppi fummo messi in catene e condotti incortile ove vi erano camion coperti ad attenderci. Ci fecero salire senza dire dove si andava, però quan-do scendemmo dai camion vedemmo di essere davan-ti alla stazione Tiburtina. Non ci portarono subito altreno, ma lì, a circa duecento metri vi era un ricove-ro antiaereo, ci levarono le catene e ci schiaffarono tut-ti là dentro. Questo ricovero era formato di alcuni va-ni e corridoi, i soffitti erano tutti puntellati, ci dette-ro anche delle lanterne per vederci. Naturalmente siformarono gruppi e in generale discutevamo le loca-lità in cui saremmo stati portati e della eventuale fu-ga. Rammento bene i Valenzano (nipoti di Badoglio) essifacevano grandi piani strategici (dato che il grande eraufficiale). Nel pomeriggio fummo caricati come tan-ti animali: quarantacinque per vagone. Sostammo fi-

no a notte. Infine ci dettero delle cassette di gallette,poi i vagoni furono piombati. Prima della partenzaaccadde una tragedia, si sentivano tanti urli. Affiancandoci agli sportelli sbarrati, vedemmo che vierano famigliari che avevano saputo, non so come,che noi eravamo lì. Però neanche loro seppero dirci do-ve ci portavano, gridavano e piangevamo solamente.Questo viaggio fu fatto senza un goccio d’acqua […]Ricordo che a un certo punto l’interno del vagone di-ventò tutto ricamato, eravamo sotto zero. Tutte le par-ti in ferro erano divenute bianche argentate”.

Ascoltiamo anche la vocedi Gino Valenzano che, conil fratello Luigi, era rin-

chiuso nel terzo braccio diRegina Coeli, quello tede-sco.

Ogni mattina contavo i giorni di detenzione. Il 4 gen-naio erano quarantatré. Poco dopo udimmo il rumo-re del chiavistello della porta. Ci fermammo tutti aguardare con il fiato sospeso. Il tedesco entrò e dis-se: “Valenzano, prepararsi…”Nessuno dei miei compagni fiatò. Domandai: “Perché,dove mi portate?” E quello: “Esci, libero. Torni a ca-sa tua”.Maledetto scherzo! Altro che tornare a casa.[…] Ci fecero salire su di un autocarro. Alcuni soldativennero con noi, le armi in pugno. Un tedesco non miperdeva d’occhio […]. La minima mossa da parte miasarebbe stata interpretata come un tentativo di ribel-lione e mi avrebbe spacciato. Non volevano grane inostri angeli custodi vestiti di verde. […]. Arrivammopoco dopo alla stazione Tiburtina.Colonne di prigionieri aspettavano di salire sopra untreno formato da una fila interminabile di carri be-stiame. La notizia della nostra partenza era trapela-ta a Roma, perché molti familiari dei prigionieri siaccalcavano urlando e piangendo contro un muro disoldati tedeschi e di repubblichini. Parenti e amici deiprigionieri cercavano di superare lo sbarramento perabbracciare i loro cari. Quasi tutti portavano dei pac-chi, sicuramente viveri e qualche indumento, che ten-tavano invano di consegnare ai congiunti.Una scena straziante.Urla, pianti, ordini gridati in italiano ed in tedesco.Fascisti e tedeschi respingevano la folla brutalmente,picchiando chiunque si trovasse davanti.La gente si ritrasse urlando. Alcuni pacchi cadderoper terra sfasciandosi sotto gli stivali dei militari.[…] Salimmo sui carri. Sprangarono le porte con uncolpo secco. […] Eravamo quaranta nel carro be-stiame […]. Gridarono alcuni ordini in tedesco. Ci fuun po’ di trambusto, poi il treno si mise in moto.Le porte del carro erano sprangate. Nessuno di noiparlava. Ognuno pensava a sé, ai suoi, all’ignoto checi stava davanti”.

Page 20: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

20

Porrajmós per i rom sta asignificare divoramento;Samudaripen per i sintigrande uccisione, quelloche noi definiremmo ecci-dio: e fu veramente un ec-cidio, oltre 500 000 i mor-ti, sebbene le prime stimeindicassero un numero di-mezzato, 250 000. Circa venti anni fa, il ri-cordo della tragedia fu di-mezzato perché il portonedi Auschwitz, aperto a tut-te le comunità convenuteper ricordare la Shoah, perla comunità dei rom e deisinti non si aprì, fu negatoloro l’ingresso e venneroesclusi; metterli all’ultimoposto della graduatoria del-la tragedia è escludere ilprezzo pagato da loro inquegli anni.Un’esclusione che dura or-mai da troppo tempo. È perquesto motivo che iniziareuna riflessione seria, ap-profondita storicamente edocumentata è non solo ne-cessario ma importante per

ridare dignità al popolo delvento. Mentre nel resto d’ Europa,e non da oggi, la tragediadegli zingari è entrata nelpatrimonio comune di tut-te le comunità coinvoltenell’Olocausto, in Italia sistenta a discuterne e almassimo si mette, rigoro-samente all’ultimo posto,il popolo zingaro quasi fos-se un obbligo citarli ma co-

me consolazione di noi, ibuoni, nei loro confronti.In quei giorni in cui il si-lenzio, la notte, il grandefreddo, le parole urlate dal-le SS e quelle bisbigliatedai deportati, erano la co-lonna sonora della imma-ne tragedia che accadde nelXX secolo, era logico chenascesse una sorta di pu-dore del ricordo. Oggi, apiù di sessanta da quei fat-

di Mario Abbiezzi

Perché pochi studi sulla tra

Quanti Sinti sono morti ad Auschwitz-Birkenauper fame ed epidemie? Quanti Ungrika Roma?Quanti Lalleri? Quanti sono stati spinti nelle ca-

mere a gas? Non vogliamo valutare ancora una volta lecifre, vogliamo ricordare solo uno dei morti: Jaja Sattler,il “rashai”, il predicatore. Era cristiano, era missionarioa Berlino, nel Brandeburgo, nella Pomeriana fra i Lovarie i Kalderari, apparteneva alla sfera delle chiese cri-stiane eppure è dimenticato. Maria Michalsky-Knakaveva cominciato nel 1906 la sua attività di missionarionei campi di sosta a Berlino, scriveva nel 1945. «È stato anche possibile mandare nel convento Tabor a

Marburg Jaja, che si è fatto notare nel nostro lavoro fra iragazzi e indubbiamente ha doti evangeliche, Là ha impa-rato a lavorare manualmente e mentre studiava, ha comin-ciato a tradurre il Vangelo di Giovanni. Quando è tornatodalla sua gente e ha cominciato a narrare loro la storiadella salvezza nella sua lingua materna, l’hanno ascoltatain modo diverso di quando noi annunciamo la parola intedesco».

Tornato da Marburg a Berlino, Jaja Sattler andò dicampo in campo e annunciò al suo popolo il mes-saggio di Gesù, soprattutto ai bambini. Frieda

Jaja Sattler: il primonomade missionario

‘...una riflessione se-ria, approfonditastoricamente e do-cumentata è non so-lo necessario ma im-portante per ridaredignità al popolo del vento.

Le SS scortano un gruppo

di rom tedeschi destinati

ad Auschwitz.

UN MASSACRO IGNORATO COMPIUTO DAI NAZISTI

Page 21: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

21

a gedia degli zingari italiani?

Zeller-Pinzner, una “missionaria degli zingari” come siautodefiniva, racconta:«Che chiasso! Bisognava tapparsi le orecchie! Si gridavain due lingue l’uno verso l’altro. Per fortuna Jaja, il mis-sionario zingaro, era capace di gridare più forte. Hanno ungrande rispetto per lui e lo chiamano “Rashai”, che vuoldire prete».

Jaja Sattler era un Lovar. Ha tradotto oltre al Vangelodi Giovanni, alcuni salmi nella sua lingua. La Societàbiblica inglese ed estera ha stampato nel 1930 la tra-

duzione di Sattler, un libretto di settantasei pagine rile-

gato in rosso. Dalla primavera all’autunno i Sinti diBerlino, i Lovari e gli Ungrika Roma erano in viaggio.Per la maggior parte erano commercianti di cavalli. Nonappena la traduzione della Bibbia fu stampata, Jaja Sattlersi mise in viaggio verso i mercati di cavalli dellaPomerania. La Società biblica lo aveva incaricato dipredicare ai Lovari e di vendere il libretto.«Tre giorni prima mi sono comprato un calendario deimercati di cavalli per potermi orientare nella Pomerania.Il 4 luglio cominciai il mio viaggio. La mia prima meta era Lauenberg. Là trovai alla vigilia

segue

ti è giunto il momento dichiamare le cose con il lo-ro nome, il loro cognome,il loro intrinseco signifi-cato. Eppure, non sempreciò accade: è sempre mi-glio ricordare gli zingariper ultimi, in fin dei conticosa chiedono? Quante volte nel corso deisecoli sono stati esclusi?E allora, tentiamo una ri-flessione.In Europa gli studi di que-sto periodo, zingari inclu-si, se non moltissimi sonocertamente numerosi. InItalia invece, tranne qual-che tentativo anche di altolivello, non è stato ancorascoperchiato il vaso diPandora dove le sofferen-ze di un popolo vengono,con ostinazione, rinchiu-se. Tentiamo in poche righe dispiegarcene il motivo: ilprimo è il pudore che rome sinti italiani hanno neiconfronti del ricordo. Unpopolo che deve viverel’oggi, non ha il tempo dipensare al passato, lo com-prova la testimonianza diGnugo De Bar che ci rac-

conta di come i sinti, in-ternati in Emilia, descri-vevano quei giorni, li chia-mavano “quando eravamodal contadino”. E lui indi-gnato, ne fece una ragionedi principio, lui il saltim-banco si mise a scrivere lememorie di famiglia echiamò le cose per nome. Descrisse l’internamentoa Prignano, la partecipa-zione dei suoi alla lotta di

Liberazione, la loro uma-nità nei confronti dei vin-ti. Non volevano vendet-te. Chiedevano, unica-mente, giustizia. Allora, tocca a noi riflet-tere e ritessere la tela del-la storia, sistemando la tra-ma e l’ordito di quei lontanianni.La prima constatazione chedobbiamo fare è su di noi,perché abbiamo trascura-

‘...non è stato an-cora scoperchiatoil vaso di Pandoradove le sofferenzedi un popolo ven-gono, con ostina-zione, rinchiuse

La disperazione

di una madrerom accanto al cadavere

del figlio uccisodai nazisti.

Page 22: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

22

Jaja Sattler: il primonomade missionario

del mercato dei cavalli, trentaquattro carrozzoni con circaduecento Roma. Molti che mi conoscevano da tempo, gri-darono: “Arriva il rashai”. Per prima cosa dovetti raccon-tare le novità dei Roma di Berlino». [Diario di JajaSattler]

Egli avrebbe portato con sé un “libro meraviglioso”,diceva Jaja Sattler, senza rivelare che era scrittonella loro lingua. Un’ora dopo i viaggianti erano

accoccolati sul prato per farsi leggere dal rashai il libromisterioso.«Li stupiva che io pregassi prima di leggere ma io invocavoformalmente Dio che volesse rivelarsi nella sua parola elessi loro il capitolo terzo del Vangelo di Giovanni con ilmeraviglioso versetto sedicesimo.» [Diario di Jaja Sattler]Per settimane Jaja Sattler andò di mercato in mercato, dicampo sosta in campo sosta, predicò e vendette il suolibretto. Nell’estate 1931, egli compì il suo secondo viaggiomissionario, accompagnato da un altro rom.

Questa volta aveva un carrozzone tirato da cavalli.Il veicolo, comperato con i mezzi della Societàbiblica e della Missione degli zingari, era vec-

chissimo, ma prima di partire lo avevano ridipinto anuovo: bianco, rosso e verde. La Società biblica e laLega missionaria per l’Europa sud-orientale avevanodato un contributo, ma non era sufficiente. La traduzionedella Bibbia di Sattler trovò eco fra i Roma. Anche iKalderari comprendevano il suo testo, ma non i Sinti.

Dei duemila esemplari stampati dopo quattro anni neerano stati venduti milleduecento. Dato che a quel tempoben pochi Lovari e Kalderari sapevano leggere, è unavendita stupefacente.

Chi era Jaja Sattler? Una fotografia mostra il rashaiben vestito, con cravatta, mantello scuro e cappello.Portava i suoi capelli radi con la riga in mezzo e i

baffi ben curati. Si sa poco della sua vita. Apparteneva aquei Lovari che nel 1906 erano migrati dalla Romaniaverso l’Inghilterra. Quando furono cacciati da quel paese,vennero in Germania. D’estate viaggiavano per commerciare cavalli e d’invernosostavano a Berlino. Là la Missione degli zingari scoprì ilgiovane intelligente. Dapprima Sattler aveva lavorato come fantino. Arruolatodurante la prima guerra mondiale, fu ferito. Nel 1935, sarebbe avvenuta la sua conversione. La Legamissionaria per l’Europa sud-orientale lo avrebbe formatocome missionario per la Bucovina (distretto di Glatz).Poco dopo Jaja Sattler frequenta il convento Tabor aMarburg e inizia la traduzione del Vangelo di Giovanni.

Non si sa che cosa è stato di lui dopo i viaggi mis-sionari del 1930 e 1931. Certe sono le circostanzedella sua morte.

Nel marzo 1944 Jaja Sattler fu deportato nel campo diAuschwitz-Birkenau e ucciso. Lo attesta Tadeusz Pobozmiak nella sua Grammatica deldialetto dei Lovari, pubblicata a Cracovia nel 1964, per laquale si è servito della traduzione biblica di Sattler. Lechiese cristiane commemorano molti religiosi, che hannoperduto la vita nei campi di concentramento o sul patibolodell’aguzzino nazista. Jaja Sattler, che i Roma chiamavanorashai, parroco, cappellano, lo hanno dimenticato.

to la loro tragedia e perchécontinuiamo a farlo? La se-conda è perché il popolodel vento, ha rescisso ilcordone ombelicale, la me-moria, che lo teneva lega-

to alla storia? Tentiamo inpoche righe una spiega-zione.Presi come eravamo dalcontingente ci siamo, sem-plicemente, dimenticati

delle sofferenze degli al-tri: la ricostruzione, l’im-pegno quotidiano dell’og-gi che la società ci impri-meva accelerando il nostroritmo di reazione, ci hannofatto ricordare un solo seg-mento di storia; che rima-ne incompleta, spuria e in-fine dimezzata. Per il mondo dei rom e deisinti in Italia, occorre ri-cordare che non solo la tra-dizione orale implica, senon che in pochi esempipersonali, tenere a mentequanto diventa indispen-sabile oggi, mettendo in unangolo quanto è già acca-duto, quanto ormai non èpiù indispensabile.Sedimentandosi questomodo di vivere, ci trovia-mo, oggi, a ricucire glistrappi, nel tentare di usci-re da questa secca che ci

arena per poter ricomin-ciare a navigare in mareaperto.Ecco, ora, cosa – a mio av-viso – è necessario: ap-profondire la ricerca sto-rica della deportazione inItalia e la partecipazionedei rom e dei sinti allaResistenza, delle loro spe-ranze che, negli anni dellalotta antifascista, avevanoin una società migliore.Infine, e non ultimo, ri-mettere le cose al loro po-sto: ridare dignità a un po-polo, riconoscerne i dirit-ti fondamentali e con lorotentare di analizzare quan-to dal passato possiamo uti-lizzare per vivere il pre-sente e il futuro in cui laparola democrazia abbianella prassi il suo signifi-cato più intrinseco.

Mario Abbiezzi

Perché pochi studi sulla tragedia degli zingari italiani?

Page 23: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

23

la fame aveva trascorso notti e giorni in quel carro ge-lido, provenendo da Auswhitz, che stava per essere li-berata dall’armata rossa. Solo per odio che non si pla-cava che con la morte, i nazisti non volevano che co-noscessero mai la libertà questi poveri uccellini stremati,senza voce e quasi senza sguardo, destinati subito allecamere a gas di Hartaim e di Mauthausen.

Ecco la verità del genocidio.

La conferenza di Teheran resterà nella Storia come unmonumento, misura del livello infimo di etica e di cul-tura a cui porta l’odio dissennato di uomini contro altriuomini, ritenuti diversi e, quindi, da sopprimere, nelconvincimento che questo agire integri e sopperisca ivalori della ragione e del dialogo, i quali soltanto sonoelementi legittimi per regolare i rapporti tra i popoli.

Ma quello che ancora di più preoccupa e che deve man-tenere alta e continua la solidarietà tra quelli che oggi pro-testano contro la conferenza di Teheran, è quello chesta accadendo in questi giorni in Libano, con l’assediodi Ezbollah per impadronirsi del governo del Paese erealizzare il disegno di egemonia sopraffatrice nella re-gione dei Sciiti dell’Iran, della Siria e del Libano, in-combente come un disegno di morte su Israele.

Ed è grave che si diffondano e siano presenti mistifi-cazioni insopportabili sulla natura, sui contenuti, sullefinalità e sulla politica di Ezbollah, che taluni gabella-no per patrioti e per resistenti, spudoratamente lace-rando e capovolgendo le categorie storiche, ignorandole trame internazionali e le complicità con l’Iran e laSiria.

Questo non significa che non debba essere ulteriormentetesa, anzi, ulteriormente allungata la mano verso il po-polo palestinese, pensando i pensieri di David Grossman,ebreo, nato in Israele. Quelli che Grossamn esprimequando parla ai bambini palestinesi di suo figlio Uri,come se fosse vivo, mentre è saltato in aria sul suo car-ro il 14 agosto in un villaggio libanese.

Senza odio, parla di pace e di convivenza

Questa è la strada, perché la sopravvivenza ebraica aduemila anni di persecuzione non è mai stata garantitao affidata alla guerra o alla violenza, ma ha sempre per-corso le strade della cultura, che non si esprime attraversochiusure politiche, mediante negazione di diritti, mache è assicurata soltanto dalla giustizia e dall’equità chesono le sole garanzie per la convivenza pacifica tra duepopoli.A tutti invio un affettuosissimo abbraccio.

Il Presidente Gianfranco Maris

ALDO PAVIAPresidente Sezione Aned Roma

Caro Aldo,

nella manifestazione indetta in Roma - tutti uniti parti-giani, ebrei deportati e politici nei campi di sterminio na-zisti, patrioti e antifascisti, donne e uomini democrati-ci impegnati nel testimoniare le radici ideali e i valori del-la nostra Repubblica – avrei voluto essere con voi, perdenunciare l’infamia della conferenza di Teheran.

Come Ti ho già detto sarò impegnato, invece, nella riu-nione dell’assemblea generale di tutti i presidenti degliIstituti Storici della Resistenza, che si terrà nella sede del-la Fondazione Memoria della Deportazione, creaturadell’ANED, che ospita, per l’occasione, l’IstitutoNazionale Parri per la Storia del Movimento diLiberazione in Italia.

Come Direttore di questo Istituto sono orgoglioso dipotere dare alla manifestazione di Roma anche la soli-darietà e la presenza ideale tra di voi degli Istituti Storicidella Resistenza, che condividono le ragioni e gli sco-pi della manifestazione.

Impegnare le istituzioni massime di uno Stato - comeha fatto il Presidente Ahmadinejad in Iran - per rac-cattare il pattume dell’ignoranza e del negazionismoqua e la presente in Europa, nella illusoria speranza dipoter ammantare di cultura una propaganda infima ed in-fame contro gli ebrei e contro Israele, è quanto di più ver-gognoso si possa immaginare.

Sarà per l’Iran un boumerang, come ci fanno intenderele prime, forse timide, ma non per questo meno signifi-cative, proteste di alcuni gruppi di studenti dell’Universitàdi Teheran, che sicuramente si gonfieranno e si river-seranno in un onda che non potrà essere fermata su tut-ta la cultura iraniana, che non può non essere indigna-ta per essere stata considerata dal Presidente del suoStato come una sorta di massa beota, senza passato, sen-za memoria e senza storia.

Sento personalmente lacerante l’offesa di questa ini-ziativa, perché ho negli occhi e nel cuore i ricordi dei tan-ti, tanti compagni ebrei che ho visto assassinare nel cam-po di Mauthausen e vivissimo ho il ricordo di quel lon-tano gennaio del 1945, quando, dalla cava di pietra diGusen, fui mandato sulla ferrovia a scaricare vagonimerci, che credevo contenessero materiali inerti, sac-chi di cemento, strumenti di lavoro e che mi accorsi, in-vece, che contenevano seminude e quasi senza segni divita una massa confusa di donne, che nel freddo e nel-

L’infamia della conferenza di TeheranUna lettera di Maris ad Aldo Pavia sulla manifestazione del 16 dicembre

Page 24: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

24

La VII sinfonia del compositoresovietico eseguita nella Leningrado assediata dai nazisti

Nato a San Pietroburgo il25 ottobre del 1906 e mor-to a Mosca il 10 agosto del1975, Dimitri Shosta-kovich era a Leningradoquando iniziò l’assedio daparte delle truppe tedesche,durato ben 900 giorni. Èqui che il grande compo-sitore cominciò a scriverela VII sinfonia, dedicataall’eroica città. Nelle pri-me tremende giornate del-l’invasione nazista, Sho-stakovich chiese di arruo-larsi nell’Armata Rossa,ma i problemi della vistaglielo impedirono. Svolseallora compiti di volonta-rio con squadre destinate ascavare trincee anticarroper la difesa della città.Successivamente si arruolònelle formazioni dei pom-pieri del Conservatorio.Una famosa foto, scattatail 29 luglio del 1941, lo ri-trae mentre sta spegnendol’incendio in un’abitazio-ne colpita da una bomba.La foto, assurta a simbo-

Fu accusato di formalismo e di essere venduto agli ebrei.

La sinfonia composta nei giorni dell’assedio alla città martire.

La XIII sinfonia dedicata al massacro degli ebrei a Babi Yar, in Ucraina.

di Ibio Paolucci lo della determinazione delleningradesi di resistereall’assedio, ebbe un’am-pia diffusione. Il primo dei quattro movi-menti della VII sinfoniavenne completato il 29agosto. Sei giorni dopo, il4 settembre, i tedeschi det-tero inizio a massicci bom-bardamenti. Sotto le bom-be Shostakovich completòil secondo e il terzo movi-mento entro il 29 settem-bre. “Ho scritto la VIIsinfonia di getto - ricordòpiù tardi - era la cosa mi-gliore che potessi fare”.Nel corso dell’assedio, ri-

volgendosi al popolo rus-so dai microfoni della ra-dio, Shostakovich avevadichiarato: “Miei cari ami-ci, mi rivolgo a voi daLeningrado, mentre sicombattono feroci batta-glie poco distante [...] par-lo dalla prima linea delfronte. [...] Ieri mattina hocompletato il secondo mo-vimento. [...] Per tutti noiora il nostro sacro dovereè difendere la nostra pa-tria, la nostra vita, la nostramusica”.Verso la fine di settembrele autorità sovietiche ini-ziarono a organizzare, nei

limiti ristrettissimi del pos-sibile, ‘un’evacuazione sularga scala. Il lago Ladoga,quell’anno, gelò prima delsolito consentendo a mol-ta gente di spostarsi attra-verso la sua superficieghiacciata, la sola via d’u-scita dall’accerchiamentotedesco. Alla famiglia diShostakovich fu ordinatodi lasciare la città il 1° ot-tobre su un aereo, portan-do il minimo indispensa-bile. Lo spartito dei primitre movimenti della VIIsinfonia e quello dell’o-pera Una lady Macbeth deldistretto di Mcensk fece-ro parte del piccolo baga-glio. I primi due movi-menti Shostakovich li ave-va eseguiti al piano a unpubblico di amici a Lenin-grado, durante un’incur-sione aerea nemica, conl’accompagnamento del-lo scoppio delle bombe edel suono lacerante dellesirene d’allarme. La pri-ma vera esecuzione dellasinfonia avvenne a Kui-bysev, sede provvisoria delgoverno sovietico nella se-

IL CENTENARIO DELLA NASCI

Page 25: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

25

Il 9 agosto 1942 la radio trasmiseil concerto in tutto il paesesuscitando una grande emozione

Leningrado

l’assedio

è finito

TA DI DIMITRI SHOSTAKOVICH

Leningrado inverno 1945-1946: un cimitero di soldati tedeschi alla periferia della città liberata. Nella foto in alto: la copertina del CD ritrae il compositore sovietico a Leningrado mentre, vestito da pompiere, spegne un incendio causato da un bombardamento nazista.

Page 26: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

26

conda guerra mondiale,nel Palazzo della Cultura,il 5 marzo del 1942 conl’orchestra del Bolscioi,sotto la direzione diSamuel Samosud. La ra-dio la trasmise in tutto ilpaese e, in particolare, sututti i fronti di combatti-mento. Magnifica - se-condo Shostakovich - ladirezione orchestrale. Ma la giornata di gran lun-ga più emozionante fu il9 agosto 1942 quando l’o-pera di Shostakovich ven-ne eseguita a Leningradoassediata sotto i continuibombardamenti dei tede-schi. La trasmissione ra-diofonica venne precedu-ta da un breve annuncio:“Dimitri Shostakovich hascritto una sinfonia chechiama alla lotta e con-ferma la fiducia nella vit-toria”. Questa ecceziona-le esecuzione che suonavasfida all’invasione nazi-sta, venne preceduta daun’operazione militare suvasta scala volta a pro-teggere l’edificio dellaFilarmonica: il giorno delconcerto l’artiglieria so-vietica scatenò un violen-to bombardamento controi tedeschi.Negli Stati Uniti, dove lospartito della sinfonia per-venne tramite un micro-film, ci fu la gara fra i piùfamosi maestri per la pri-ma esecuzione. Vincitore risultò ArturoToscanini che la spuntò suKoussevitzky eStokowski, dirigendo laprima esecuzione ameri-

cana della sinfonia, conl’orchestra sinfonica del-la NBC, il 19 luglio del1942. In una lettera al col-lega Stokowski, Toscaniniscrisse: “Nella mia lungacarriera non ho mai solle-citato l’onore di dirigerela prima pagina di un com-positore. Ammirola musica di Shostakovich,ma non sento per essa unamore sviscerato come ilSuo. Tempo fa avevopromesso di esaminare lanuova partitura non appe-na giunta dalla Russia ...Fui subito folgorato dallasua bellezza, dal suo si-gnificato antifascista, e

La VII sinfonia di Dimitri Shostakovicheseguita nella Leningrado assediata dai nazisti

Il 9 agosto 1942 la radio trasmiseil concerto in tutto il paesesuscitando una grande emozione

inoltre devo confessare aLei l’ardente desiderio dieseguirla. Non pensa, ca-ro Stokowski, che sarebbemolto interessante per tut-ti, e anche per Lei, senti-re il vecchio direttore ita-liano (uno dei primi arti-sti a combattere strenua-mente il fascismo) ese-guire questo lavoro di ungiovane compositore rus-so antinazista?”. A sua volta Shostakovich,in una lettera del 23 apri-le del ‘43, scrisse aToscanini: “In compagniadi amici ho ascoltato l’in-cisione della Sua esecu-zione della mia VII sinfo-nia. Voglia gradire la piùsincera gratitudine per ilpiacere che mi ha datoquesta audizione”.

Malattia endemica della Russia zarista,l’antisemitismo sopravvive alla rivolu-zione. Ufficialmente negato, serve ai va-

ri bisogni della politica. Tipico esempio di dop-piezza: l’incoraggiamento offerto al ComitatoAntifascista Ebraico durante la guerra, e lo ster-minio dei suoi membri quando non furono piùutili. Negli anni della “pace”, la persecuzione ècontrabbandata e, per così dire, giustificata dal-la “necessità” di combattere il “sionismo”, il “co-smopolitismo” e, infine, l’immaginario “com-plotto dei medici”, accusati di avvelenare per-sonalità del Partito, e provvidenzialmente gra-ziati dalla repentina morte del feroce georgiano.Nel clima di sistematico inganno, i rari opposi-tori dovettero mantenersi cauti, anche se tenaci.Così si regolò Shostakovich, affidando alla mu-sica il rifiuto dei pregiudizi razziali e l’ostilità al-la tirannia (celata nelle pagine destinate ad ac-contentare il regime).Le preziose testimonianze sulla vita e l’opera delmusicista, raccolte da Elisabeth Wilson, A liferemembered, edito a Londra da Faber and Faber,ci offrono un episodio rivelatore di un disagiodestinato a perpetuarsi. Ancora nel 1962 (un de-cennio dopo la morte di Stalin!) la TredicesimaSinfonia venne giudicata “inopportuna”, a cau-sa dei versi di Evtushenko, intonati dal coro edal basso, rievocanti la strage degli ebrei perpe-trata dagli invasori nazisti nella località di BabiYar. Le pressioni governative, esercitate sugliinterpreti per dissuaderli dal collaborare all’o-perazione filosemita, portarono alla rinuncia deldirettore Evgenij Mravinskij e del basso VictorNecipailo, sostituito all’ultima ora da VitalijGromadskij.

Proprio costui provocò, con la sua ingenuità,l’incidente riferito dal maestro KirilKondrashin che a sua volta, aveva rim-

piazzato “il pusillanime Mravinskij”.“Gromadskij, era un giovane gentile ma non trop-po intelligente, avendo letto sui giornali le criti-che mosse a Babi Yar, saltò fuori a chiedere‘Dmitri Dmitrevic, perché avete scelto una si-mile poesia, quando non esiste antisemitismo

Le polemiche dopo la composizione della

Page 27: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

27

I difficili rapportitra il musicista

e il potere sovietico

nell’Unione Sovietica?’ Shostakovich rimasesconvolto dalla domanda e, con voce alterata, ri-sposte: ‘No, esiste, esiste l’antisemitismonell’Unione Sovietica. È una vergogna che dob-biamo combattere e gridare dai tetti’. Queste pa-role - commenta Kondrashin - si fissarono nellamia memoria e spiegano molte cose della suamusica”.Babi Yar, in effetti, non è l’unica partitura ispi-rata alla triste sorte del popolo ebraico. Ben no-to è il Trio n. 2, scritto fra il 1943 e il ‘44. In que-gli anni, mentre la guerra volgeva al termine,giungevano dal fronte le notizie sull’Olocausto.Il musicista non riuscì a dimenticare l’orrore diuomini e donne costretti dai carnefici a scavarsila fossa e a ballare sul bordo.L’atroce episodio ritorna nel “finale” del Trio:una festosa melodia nuziale, tramandata dallosbrindellato violinista del ghetto, e distorta dal-l’implacabile ritmo in una sinistra danza maca-bra. La violenza musicale rispecchia la violenzafisica.

Itemi yiddish, citati sovente (nel Quartetto n.4 eccetera) portano un esplicito messaggiofunebre nel ciclo di canti tratti Dalla poesia po-

polare ebraica.Lasciamo la parola all’autore: “Un giorno, do-po la guerra, vidi in una libreria un volume dicanzoni ebraiche. Essendomi interessato soven-te a questo folklore, pensai di trovare in quelle pa-gine le melodie, mentre vi figuravano soltanto i

testi. Ritenni che, se avessi scelto qualche poe-sia per metterla in musica, avrei potuto espri-mere la mia testimonianza sul destino di quel po-polo. Ai miei occhi, si trattava di un impegno im-portante perché vedevo crescere l’antisemitismoattorno a me. In quell’epoca, però, il ciclo non po-teva essere eseguito…”

L’epoca è quella degli editti di Zdanov che,nel ‘48, avevano colpito i maggiori artistisovietici. Shostakovich sperò di aggira-

re l’ostacolo aggiungendo ai progettati otto can-ti, altri tre dedicati alla “vita felice” dei colcosianiebrei. Tentativo vano: nel gennaio del ‘49, il ser-vile Comitato dell’Unione dei Compositori ri-fiutò la necessaria autorizzazione. Negata al pub-blico, l’opera fu cantata e suonata “privatamen-te” in casa dell’autore (e poi in altre case ami-che) dal contralto Nina L’vovna Dorliak, dal so-prano Tamara Yanko e dal tenore AlecMaslennikov, con Shostakovich al piano.

Soltanto nel gennaio del 1955 i leningradesiconobbero il ciclo proibito. Per il musici-sta l’attesa fu lunga e angosciosa. Lo prova

il diario del giovane collega Edison Denisov: “Il3 marzo (1954) visitai Dmitrij Dmitrevic. Eraoffeso dalla campagna contro i suoi Canti ebrai-ci. Aveva ricevuto numerose lettere, anonime evolgari del genere ‘Vi siete venduto ai giudei’. Midisse che non leggeva mai le lettere anonime, manon aveva potuto ignorare questa, assai breve escritta a macchina. Mi disse: ‘Cerco di prenderesimili cose con filosofia e non pensavo di sen-tirmi tanto angustiato’. Aggiunse di aver sempreodiato l’antisemitismo… e che riteneva di indi-viduare il sobillatore nel ministro della CulturaAlexandrov”.La calunnia, venuta dall’alto, era caduta su unterreno fertile!

a XIII sinfonia dedicata al massacro nazista degli ebrei a Babi Yar

di Rubens Tedeschi

(_) Ai lettori italiani segnaliamola corrispondenza del composi-tore riunita dalla Wilson nel vo-lume Trascrivere la vita interapubblicato dal Il Saggiatore.

Page 28: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

28

La casetta accanto al passaggio a livello una voltaera completamente intonacata di giallo, adessolascia vedere in gran parte i mattoni rossi della

muratura. Di fianco c’è un orticello striminzito, vivacizzato dalletinte sgargianti dei pomodori. Le imposte dell’abitazione sono verdi, quelle al centrodella facciata pendono sbilenche e mezzo scardinate.Sulla parete accanto all’ingresso è appena leggibile,sbiadita, un’aquila bicipite, lo stemma imperiale.

Ereditò il mestiere e la stazione da suo padre quandoancora era un ragazzo.Giusto in tempo per osservare il passaggio dei primitreni grigi, che puntuali e misteriosi correvano verso ilvecchio confine, quello prima dell’annessione. Due soldati stavano sulla locomotiva, qualcuno dietro,sull’ultimo vagone. Mai che un treno grigio si annunciassecon un fischio. Mai che uno si fermasse.Là, oltre i boschi, da un po’di tempo vedevi alzarsi unastriscia di fumo nero, ostinata e densa. La vedevi spuntare dietro agli alberi e salire in alto, fi-no a fondersi col cielo.

Del passaggio a livello restano solo i basamenti. I due binari, in disuso, non hanno più traversine. Le tra-vi di ferro giacciono inutili, e ad ogni pioggia sporcanodi ruggine le pietre grigie che le circondano. A dividere la via ferrata è un grande marciapiede in ce-mento.Su di esso, fra schegge di legno e carta di giornale, so-no rovesciati qua e là dei bidoni metallici.

Prima passarono gli aerei. Poi il treno. E quella volta, in uno sferragliare brusco e fastidioso lalocomotiva si fermò, giusto in tempo per vedere un ae-reo tornare e mitragliare i vagoni.I militari risposero inutilmente col fuoco dei loro fuci-li. Si sentirono da qualche parte alzarsi delle urla. Il por-tellone di un vagone fu aperto. Il treno era carico di persone che lentamente scesero.Accanto a loro arrivarono di corsa dei soldati, con i ca-ni lupo che abbaiavano forsennati.Le persone erano uomini, donne, bambini. Stavano lì.Fermi e impassibili. Davanti al furore degli animali eall’urlare isterico dei militari.Erano lì in piedi. Tranquilli. Troppo tranquilli.

Davanti alla porta di legno della casa è seduto un vec-chio che indossa una camicia grigia, pantaloni scuri eha un cappello di paglia posato sulla testa. Sembra dor-mire, ha il capo abbassato, le braccia rilassate e abban-donate lungo le cosce, le mani aperte con i palmi al-l’insù.

La stanchezza, il sole, la fame. Forse era solo quello arenderli così spenti. Ma lui, con una consapevolezza finora mai conosciuta,

vedeva la morte.La sentiva già addosso a loro, già dentro di loro.Un militare si accorse di lui. Gli andò incontro urlan-do e spingendolo verso casa, picchiandogli furiosamentecol calcio del fucile le gambe, il petto, la schiena. Ma lui sentiva che doveva stare lì.Doveva stare lì e leggere, finché poteva, ogni particolaredi quei morti che, ancora per poco, avevano respiro.

Il vecchio è in pieno sole, ma non sembra esserne infa-stidito. Un bastone è a terra davanti ai suoi piedi, pro-babilmente gli è caduto. Il legno, inciso a spirale, si allunga sul marciapiede, di-segnando con la sua forma un tratto scuro sul cementocrepato e sporcato dalle schegge d’intonaco giallo, ca-dute dalla facciata dell’abitazione.

Non sentiva i colpi del soldato, non sentiva la paura diciò che poteva accadere, che gli sparassero, o lo portasserovia, con gli altri. Sapeva di dover tenere stretti dentro di sé, finché pote-va, l’uomo magro con l’abito elegante e il naso storto,la donna grassa, abbronzata e sudata. Il bambino congli occhi grandi e il viso tondo. La bambina con le trec-ce tenute da due nastri ingialliti. La vecchia che si reg-geva col bastone dal manico in madreperla. Il bambino

Un racconto di Claudio Calvi

La penultima stazionecon lo stemma imperiale

Page 29: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

29

rapato tenuto per mano dalla madre. La bambina che pian-geva. Silenziosamente.Lui li fissava, e non gli interessavano le botte, e le urlaisteriche del soldato.

Al di là dei binari, oltre una palizzata cadente in legno,c’è un serbatoio in cemento. Sopra il contenitore roton-do è appena leggibile il nome di una località scritto in ver-nice rossa. Dietro di esso molto lontana s’intravede una strada asfal-tata. Di tanto in tanto ci passa qualche auto.

Rimase lì, con quelle persone, anche dopo la partenzadel treno. Rimase lì con loro finché lentamente non chiu-se le palpebre, e s’addormentò d’un sonno profondo ericco di sogni come quello di un bambino.

Sulla strada dietro il serbatoio in cemento le macchinepassano veloci.Il vecchio è ancora lì immobile sulla sedia di legno epaglia col bastone gettato ai suoi piedi. Forse sta dormendo.

Passò il tempo, passò la guerra. Lui ogni pomeriggio, fra un treno e l’altro, si sedeva alconfine dei binari e guardava il largo marciapiede. S’appoggiava sulle ginocchia un quaderno.

E scriveva.E ogni giorno, con le sue righe, continuava le vite del-l’uomo elegante con gli occhiali e il naso storto. Delladonna grassa, abbronzata e sudata. Del bambino congli occhi grandi e il viso tondo. Della bambina con le trec-ce tenute da due nastri ingialliti. Della vecchia che si reg-geva col bastone dal manico in madreperla, del bambi-no rapato per mano alla madre. E della bambina chepiangeva. Silenziosamente.

Il corpo del vecchio ha un respiro profondo, poi un sus-sulto violento.Per un attimo la campagna sembra ombreggiarsi, men-tre cade.Adesso l’uomo è sdraiato a terra accanto al suo basto-ne, con il viso pigiato contro il cemento bucato, e leschegge di intonaco giallo sparse tutt’intorno a lui. D’improvviso s’alza un vento deciso che spazza il piaz-zale e il marciapiede, smuove la polvere e i fogli di gior-nale scuotendo impetuoso i cespugli di pomodori e i ve-stiti del vecchio caduto.

Accanto all’uomo riverso, apparve d’improvviso unbambino vestito strano, brachette corte, giubba alla ma-rinara.Guardandolo perplesso, si piegò accanto al suo corpo. Poi con un gesto dolce della mano gli sfiorò i capelli, pre-se il copricapo di paglia che era caduto lì vicino e glie-lo posò con delicatezza sulla nuca. D’un tratto, come l’avessero chiamato, il piccolo sem-brò distrarsi. Si drizzò e correndo attraversò i binari.

Mentre il vecchio con un sussulto perde il suo respiro echiude per sempre il suo sguardo, verso nord, dietro glialberi, vediamo alzarsi uno sbuffo di fumo scuro. Questo attraversa l’orizzonte, andando a fondersi len-tamente con le nuvole cupe di un temporale.Intanto, nel mondo attorno alla stazione, è di nuovo si-lenzio.

Mentre oltre confine dopo decenni un’ultima lacri-ma di fumo nero tornò a disegnarsi nel cielo, sulmarciapiede al di là dei binari, ad aspettare il bam-bino pelato era la madre, che subito lo prese per ma-no.I due facevano parte di uno strano gruppo di perso-ne:un uomo con un vestito a righe ed un cappello nero,dei fanciulli, una donna accaldata e sudata e unavecchia che si reggeva ad un bastone di mogano conun manico lavorato in madreperla. Il piccolo sorrise verso una bambina che in piedi,solitaria, stava piangendo timidamente. Questa subito gli rispose con una risata limpida.Poi tutti si mossero e, affiancati, camminarono se-guendo il correre dei binari.

Sparirono lentamente, come fa un castello di sab-bia spazzato pian piano dal vento d’inverno che sof-fia, gelido di neve, ad addormentare il mondo.

Jonasz Stern, La deportazione di un bambino ebreo, 1940.

Page 30: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

30

Quando Mario Roncoroniprese la strada dellaSvizzera per evitare i ban-di di Salò aveva appenacompiuto 18 anni. Abitavacon la famiglia a Ter-razzano di Rho in viaCristoforo Colombo 1.Preparò probabilmente infretta e furia una valigia, lariempì di povere cose, ungolf, una camicia, qualchefazzoletto, il rasoio per labarba, e poi via in una cor-sa disperata, prima in tre-no, poi a piedi, fra stradee boscaglia, sino alla me-ta. Era il 17 settembre 1943.Il passaggio clandestinoavvenne al valico diChiasso confuso nella fiu-mana delle migliaia di ita-liani, civili e militari (aconti fatti saranno 45 mi-la), che presero d’assalto laConfederazione elveticadalla parte del confine me-ridionale fra il Piemonte ela Lombardia. Lugano e Bellinzona fu-rono come per tutti gli esu-li le prime tappe. Il go-verno locale accolse congenerosità, pur tra milleproblemi organizzativi,questi disperati. Occorrevadare loro una prima siste-mazione, verificare lo sta-to di salute, allestire strut-ture d’accoglienza suffi-cienti, offrire col tempo,

se possibile, un piccolo la-voro retribuito con qual-che franco per non can-cellare del tutto dignità esperanze di persone cheerano state costrette a undistacco traumatico dalproprio Paese e dagli af-fetti familiari.Una storia, verrebbe da di-re a questo punto, cometante altre, di cui c’è unasterminata traccia nellastoriografia contempora-nea a cominciare da Terrad’asilo, l’opera di RenataBroggini in cui si fa il pri-mo completo bilancio diquesto esodo biblico sup-portato dalla disponibilitàdegli archivi federali diBerna e di quelli cantona-li che sono in perfetto or-dine e consentono di rico-struire la memoria in mo-do completo. Per Roncoroni le cose nonfinirono con il ritorno a ca-sa. Nella sua storia c’è qual-cosa di particolare. Un pic-colo segno di difformitàma, se si riflette un po’,anche il marchio eloquen-te di quelle che furono leconseguenze della guerra. Il sapore dei beni primari.La impellente necessitàdella “roba” anche la piùcomune per riprendere ilcammino della vita. Unpaio di scarpe.

La Svizzera restituiràle scarpe (gialle) all’exinternato italiano

Le nostrestorie

MARIO RONCORONI LE AVEVA RICHIESTE NELL’AU

di Franco Giannantoni 8 settembre del ’43:varca la frontiera

Di scarpe basse e gial-le. Di scarpe rattop-pate. Roncoroni le ha

lasciate da sistemare inSvizzera e ne ha bisogno.Urgente bisogno. Il marginale eppur emozio-nante e sbalorditivo “giallodelle scarpe” esce fuori dauno stringato e ingiallitoscambio di corrispondenzaritrovato fra le carte privatedegli eredi di Alfredo BrusaPasquè, storico antifascistasocialista, amico di Pertini,Treves, Turati, Buozzi,Greppi, Roncari, Gasparotto(Luigi, il padre, Poldo, il fi-glio) e di tanti illustri italia-ni che gettarono le basi del-la nuova Italia.Cominciamo il racconto dalmomento in cui Roncoronidopo l’8 settembre varca lafrontiera. Le notizie sonopochissime per non dire nul-le. Ci soccorre in parte ilRegistro federale segnalan-doci che il giovane milane-se, dopo il periodo obbliga-torio della “quarantena”, pre-sumibilmente nel tetroCastello di Unterwalden chesovrasta Bellinzona, fu in-viato il 29 novembre 1943nel campo di Le Sentier, uncampo d’accoglienza per ci-vili come tanti altri, ospita-le come poteva essere quel-l’assieme di baracche di le-

gno tirate su in fretta per ri-spondere agli appelli dei bi-sognosi. Non sappiamo co-me se la sia passata Ron-coroni dall’autunno del ‘43all’aprile del ‘45 mentre inItalia la Repubblica di Mus-solini lasciava il segno del-la sua follia a fianco dei te-deschi. Avrà fatto il boscaioloo sarà stato utilizzato comecapitava in genere nei lavo-ri civili, sistemazione di stra-de, di acquedotti, ferrovie,rete elettrica. Sappiamo invece che nel-l’autunno del ‘45 rientra inItalia dopo che le AutoritàAlleate di Roma hanno con-cesso al governo di Berna ilnulla-osta per la sua par-tenza. Gli anglo-americaniinfatti (è poco noto) con-trollavano gli italiani in par-tenza dalla Svizzera per evi-tare eventuali infiltrazionifasciste. Arrivato a casaRoncoroni si era ritrovatopovero in canna. Una con-dizione generalizzata. Lastoria delle scarpe gialleemerge in quei primi giornidi libertà. Roncoroni è incondizione di tale indigen-za di ricordarsi di quel par-ticolare, di prendere carta epenna per rivolgersi, attra-verso il Cln locale, alle au-torità elvetiche rivendican-do il diritto ad entrare in pos-

Page 31: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

31

sesso delle sue calzature rat-toppate, spedite dal campodi internamento alMagazzino di Herzo-genbuchsee il 20 giugno1945, due settimane primadel rimpatrio avvenuto inquei primi giorni di luglio. Il giovane, sottolineando “ilbisogno quasi urgente” chelo tormentava, aveva rico-struito nella lettera del 28settembre 1945 l’iter dellavicenda. “Dichiaro-avevascritto- d’aver consegnatoalle guardie del MagazzinoVestiario di Le Sentier unpaio di scarpe basse, gialle,

per riparazioni che sono sta-te spedite al Magazzino diHerzogenbuchsee. Prego vi-vamente a voi l’interessa-mento in merito”.Un appello che poteva ap-parire non solo paradossalema venato da una dose mas-siccia di ingenuità dal mo-mento che la Confede-razione, come ogni altroPaese uscito snervato dallabufera della guerra, era alleprese con ben altri proble-mi. Ma, come qualche vol-ta accade, la limpidezza del-la richiesta ebbe un riscon-tro positivo pur se la man-

U TUNNO DEL 1945

canza di ulteriori strumentidi riscontro non ci permettedi conoscere la fine della sto-ria. L’8 ottobre 1945 il te-nente Schenk del “Dipar-timento Militare Federale-Commissariato Federale perl’Internamento e l’Ospi-talità” di Berna rispondevainfatti al reduce di Ter-razzano di Rho informandoMaria Rezzonico, respon-sabile del Soccorso Italianoin Svizzera, una struttura cheaveva collaborato da Luganoa mantenere i rapporti fra gliinternati e le famiglie in Italiae viceversa, che la doman-

da era perfettamente legit-tima. Le scarpe basse gialledi Roncoroni, spedite il 20giugno 1945 alla calzoleriadi Herzongenbuchsee, eranostate donate come impone-va il regolamento alla CroceRossa internazionale. Ma lapartita non era perduta per-ché il Comitato Federaleavrebbe provveduto a fareavere una copia esatta dellescarpe una volta conosciu-te “la grandezza esatta” e“possibilmente anche un di-segno della circonferenzadel piede del signorRoncoroni”!

La domanda... ... e la risposta

La richiesta dell’ex internato presentata nel settembre del 1945 e la risposta delle autorità elvetiche.

Una colonna di rifugiati appena varcata la frontiera svizzera.

Page 32: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

32

Enrica Calabresi:con il veleno per topi si sottrae ad Auschwitz

L’astronoma MargheritaHack, allora ragazzina, laricorda mentre, vestita di-messamente, camminavarapida per le stradine diFirenze. Il libro del gior-nalista fiorentino PaoloCiampi ricostruisce la tra-gica vicenda di questa vit-tima del nazifascismo dicui si era perso quasi to-talmente il ricordo.Enrica Calabresi era unadonna di scienza. Zoologaera stata insegnante uni-versitaria e direttrice dimusei. Era nata a Ferrara,una città dove la presenzadella comunità ebraica halasciato un segno profondo.La sua famiglia aveva stret-ti rapporti con i Bassani, eun’eco di questa amiciziala si può ritrovare nelGiardino dei Finzi Continidello scrittore ferrarese.Ebrea laica, la famigliaCalabresi. Nessuno di loroera osservante, e in sina-goga ci si recava solo nel-le grandi ricorrenze, piùper rispettare un obbligosociale che per convinzio-ne religiosa. Quando nac-que Giuseppe, fratello di

Le nostrestorie

Enrica, la madre, una Fanocognome antico e impor-tante nella comunità israe-litica, cacciò inviperita co-loro che si presentarono al-la sua porta per effettuarela circoncisione.Famiglia colta, numerosa eunita, dove le donne con-tavano molto. Quasi tutti ifigli, maschi e femmine,sono laureati in materiescientifiche, appassionatidi musica e di poesia: lesonate di Beethoven e lepoesie di Leopardi eranofamigliari nella loro casa.Enrica segue le tradizionidella famiglia: liceo aFerrara con un diploma dilicenza a pieni voti che lericonosce la “menzioneonorevole” e a 18 anni siiscrive alla facoltà di Ma-tematica, dove frequentaanche i corsi di zoologia edi botanica che si tengonoalla facoltà di medicina.Sono materie che l’appas-sionano e per questo, nonessendoci a Ferrara un cor-so di laurea in scienze na-turali, lascia la sua città epassa all’Università diFirenze.

Nel gennaio del 1944, a Firenze, in una cella del carcerefemminile di Santa Verdiana, una donna si toglieva la vita ingerendo una fialetta di veleno. Era l’unico modo per evitare l’inferno di Auschwitz. Sichiamava Enrica Calabresi, aveva 53 anni ed era ebrea.

Enrica Calabresi.

LA TRAGICA FINE DELLA SCIENZIATA FIORENTINA DE

di Bruno Enriotti

Page 33: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

33

Sono poche, in queglianni - siamo nel 1910-, le ragazze che se-

guono quel corso di lau-rea, e meno ancora quelleche lo portano a termine.Ma questa è la passione diEnrica che si laurea quat-tro anni dopo con una tesidi stretta natura scientifica:le ghiandole salivari delriccio durante il letargo in-vernale. Le è costata dueanni di fatica e sarà pub-blicata.Comincia così la sua car-riera scientifica. Ha un in-carico presso il Gabinettodi zoologia e anatomiacomparata dei vertebrati;qualche mese dopo è assi-stente effettiva del RegioIstituto di Firenze e iniziaa pubblicare i suoi primisaggi sull’organo ufficialedell’Unione zoologica ita-liana. Enrica ha 24 anni edè venuto il momento del-l’amore.Il suo uomo si chiamaGiovanni Battista De Ga-speris, è di Udine ed è ungeologo grande appassio-nato di montagna. La guer-ra mondiale travolge an-che il loro amore. Lui par-te per il fronte e ad Enricanon restano che le sue let-tere appassionate. In unadelle ultime scrive: “Ieri

ho provato il supplizio diTantalo applicato alla geo-logia. In una vicina sellet-ta stanno alcune trincee inmuro a secco: tutte le pie-tre sono piene di fossili. Ecome sono belli. Ma ne hopreso nota e se porto a ca-sa la ghirba…”. Non ci riu-scirà. Una pallottola au-striaca lo colpirà ucciderànella primavera del 1916. Enrica ora è rimasta sola enon si sposerà più.A lei resta la sua passioneper la scienza che l’ac-compagnerà per tutta la vi-ta. È stimata e apprezzatada studiosi italiani e stra-nieri. Stende relazioniscientifiche e forte dellasua conoscenza di france-se, inglese e tedesco è ingrado di allacciare rapporticon prestigiose realtà ac-cademiche e centri di ri-cerca, dall’Università diBerlino all’Istituto di sto-ria naturale di Nantes. Nel1922 vince un concorso peril museo di storia naturale“Giacomo Doria” di Ge-nova e si trasferisce nellacittà ligure. Due anni dopoviene abilitata alla liberadocenza in zoologia e tor-na a Firenze per insegna-re all’Università.La scienza è la sua passio-ne e la politica non la in-

teressa anche se tra fasci-smo e antifascismo la suascelta à precisa: tra lei e ilfascismo c’è una distanzaincolmabile e le manife-stazioni dei fascisti di que-gli anni le danno un gran-de fastidio. La conoscen-za delle lingue che le con-sente la lettura dei princi-pali giornali stranieri,rafforza questa sua presadi distanza dal regime.Quando all’università diFirenze la cattedra cui leiaspirava viene assegnataal conte ultrafascistaLodovico di Caporiacco,che ha partecipato alla“marcia su Roma”, Enricacapisce che le sue possi-bilità di carriera sono chiu-se e passa a insegnare nel-le scuole medie dove al-meno le viene garantitouno stipendio sicuro. Nel1933 per conservare il po-sto Enrica è però costret-ta a iscriversi al partitofascista.Le porte dell’Università siriaprono per lei dopo qual-che anno. Non quelle diFirenze, ma di Pisa, doveinsegna chimica agrariapresentata da un amico del-la sua famiglia, il prof.Ciro Ravenna, anch’egliebreo che morirà adAuschwitz nel 1944. A PisaEnrica diventerà direttri-ce dell’Istituto di ento-mologia agraria.Ormai contro gli ebrei inItalia si scatena la politica

razzista voluta da Mus-solini. Enrica, come moltisuoi colleghi, viene cac-ciata dalla scuola pubbli-ca e diventa insegnante inuna nuova scuola, apertadalla comunità israeliticadopo le leggi razziali, de-nominata “Corsi MediEbraici”. La sua avversione al fa-scismo è diventata fortis-sima. Si avvicina agli idea-li sionistici e comincia avagheggiare una patria delpopolo ebraico: il ritornoin Palestina dove gli ebreipossano vivere sicuri e inpace.Ai “Corsi Medi Ebraici”,Enrica insegna per diversianni, sempre più apprez-zata da colleghi e studen-ti per il suo impegno e lasua serietà. Ma sull’Italiasi stava ormai abbattendoil dramma della guerra vo-luta dal fascismo e con es-sa la tragedia degli italia-ni di etnia ebraica.L’8 settembre del 1943 an-che la relativa tranquillitàdi cui, tra odiose discrimi-nazioni, ha subito la co-munità ebraica, cessa im-provvisamente. La cacciaall’ebreo voluta dai nazi-sti e assecondata dai fa-scisti di Salò si scatena an-che in Italia. La famigliaCalabresi si è trasferita inuna loro proprietà a GalloBolognese. È un luogo piùsicuro della città, ma pursempre pericoloso. La spe-

Enrica Calabresiin una fototessera con la firma. A destra l’ingresso del museo di Storianaturale - Sezione diZoologia “La Specola” di Firenze, dove Enrica iniziò unabrillante carriera,tragicamenteinterrotta nel 1938.

La sua carriera scientificaavviata a un esito brillante

E FINITA “LA MADRE DELL’ERPETOLOGIA ITALIANA”

Page 34: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

34

ranza per tutti è di poterraggiungere la Svizzera cheper loro significa la sal-vezza. Ma Enrica è in-quieta, la sua vita è Firenzelà vuole tornare, nono-stante i familiari cerchinodi trattenerla. Le vacanzeestive sono finite e lei, pun-tigliosa come sempre, vuo-le riprendere l’insegna-mento. Appena scende a SantaMaria Novella, Enrica sirende conto quanto la si-tuazione sia cambiata nelbreve volgere di poche set-timane: ovunque scoraz-zano le truppe naziste ac-compagnate dalla soldata-glia di Salò. A Firenze sono giunte mol-te famiglie ebree prove-nienti da altre parti d’ Italiao d’Europa, in cerca di unrifugio più sicuro in unacittà internazionale e conla speranza che le truppealleate, che ormai avanza-no dal Sud, raggiungano alpiù presto la Toscana. Lacomunità fiorentina li haaccolti come ha potuto.Nella sinagoga di via Farinidormono su materassi ste-si nelle aule. Si nasconde a Firenze, inuna casa di via Carducci,anche il poeta UmbertoSaba, di madre ebrea. Vaspesso a trovarlo, di na-scosto, Eugenio Montale.Le prime settimane dopol’8 settembre trascorronoin una calma apparente ca-rica di tensione, perché itedeschi hanno preteso dal-

la comunità l’elenco com-pleto di tutti i tedeschi chevivono a Firenze. Il primoottobre, giorno del Ca-podanno ebraico il rabbinoparla per l’ultima volta nel-la sinagoga: “Siete scioltida questo momento da ogniobbligo di frequentare ilTempio. Ora andate; ci ri-troveremo certamente conl’aiuto di Dio, quando tut-to sarà finito”.Il rastrellamento dei nazi-sti inizia poche settimanedopo: prima a Trieste, il 9ottobre, poi a Roma, il 18.Queste notizie rimbalza-no a Firenze, dove transi-tano anche i treni diretti ailager.Enrica si rende conto di es-sere ormai in un vicolo cie-co. Vorrebbe tornare daisuoi, a Gallo Bolognese,ma le comunicazioni sonointerrotte per i civili e pergli ebrei mettersi in viag-gio è un grande azzardo.Cerca aiuto presso cono-scenti, ma nessuno pare ingrado di darglielo: na-scondere un ebreo, in queitempi, è troppo rischiosoed Enrica non accetta nes-suna protezione per nonmettere nei guai nessuno.Racconterà un suo nipote,Francesco, dopo la Libe-razione: “Enrica avrebbepotuto salvarsi, ma eratroppo consapevole diquanto fosse pericoloso na-scondere un ebreo. Quello che si poteva leg-gere sui giornali o sui ma-nifesti appesi per le mura di

Firenze, per lei erano piùche una minaccia. Enricaviveva nell’incubo chequalcuno potesse finire fu-cilato per lei”.Il 6 novembre l’organo deifascisti fiorentini esce conun editoriale con il titoloLa razza nemica: una chia-ra esortazione a passare al-l’azione contro gli ebrei. Da quel momento inizia-no i rastrellamenti casa percasa. Tedeschi della Gestapo edella SS assieme agli ita-liani della banda Carità -una delle più feroci sortenell’Italia di Mussolini -fanno irruzione nella si-nagoga. Il primo arrestatoè il custode, poi i profughiche qui hanno trovato ac-coglienza. La caccia all’e-breo viene condotta alla lu-ce del giorno, come provadi una forza ostentata. Nonsi salva nessuno: EmmaLevi Orefice, 91 anni, pa-ralizzata viene portata inbarella sul treno che la con-durrà nel lager.Enrica almeno per il mo-mento riesce a salvarsi.Nessuno la cerca e lei con-tinua a vivere nella sua abi-tazione di via Proconsolo.In tutto questo tempo nonha fatto nulla, ha sempli-cemente aspettato mentregli ebrei fiorentini cade-vano uno ad uno nelle ma-ni dei nazisti. Di lei la sua famiglia nonha più notizie. Per questosuo nipote Francesco, chevive a Galla Bolognese,

viene a cercarla. Arriva aFirenze in bicicletta edEnrica lo accoglie in ma-lo modo: è stata una paz-zia venire a Firenze, nondoveva rischiare di farsiintrappolare in città.Francesco riparte e lei re-sta sola. Di lei i famiglia-ri non avranno più notizie,fino al termine della guer-ra. Loro riusciranno a sal-varsi fuggendo da GalloBolognese e riparando inSvizzeraIl turno di Enrica arriva nelmese di gennaio quando itedeschi irrompono nellasua abitazione. Forse qual-cuno ha fatto la spia, forsei nazisti ci sono arrivati at-traverso gli elenchi dellacomunità.Viene rinchiusa in SantaVerdiana, la sezione fem-minile del carcere delleMurate. Non ci rimanemolto. Ha portato con sé una fia-letta di floruro di zinco, unliquido che viene usato an-che per ammazzare i topi.Nella notte tra il 19 e il 20gennaio lo inghiotte, evi-tando così il lager diAuschwitz. Ha lasciato poche righescritte a matita: “Prego contutta l’anima la MadreSuperiora di prendere inconsegna tutti gli oggettiche mi appartengono e dinon lasciarli andare nellemani dei tedeschi. Vogliaa suo tempo destinarli aopere di bene. Dio mi per-doni”.

La speranzache gli alleati arrivino presto aFirenze

Paolo Ciampi, Un nome,Giuntina,

euro 15,00

La tragica fine di Enrica Calabresi

Page 35: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

35

Questo libro ruota attorno alla figura di una donnadall’aspetto fragile, una donna estremamente ti-mida, che chi, come me, ha conosciuto solo co-

me la professoressa di scienze, riteneva chiusa, poco opunto comunicativa: una figura di cui ci si sarebbe di-menticati facilmente, se non fosse per il fatto di esserestata colpita da quella ingiustizia disumana che furono leleggi fasciste sulla «difesa della razza ariana».Infatti Enrica Calabresi si era macchiata della grave col-pa di essere nata ebrea.L’autore l’ha conosciuta solo attraverso i racconti di chil’ha frequentata, oltre che attraverso una paziente ricer-ca fra i documenti e i ricordi della comunità ebraica fio-rentina e degli ambienti universitari dove Enrica ha la-vorato e insegnato. Ma questa non è solo la storia di unadonna che si rivela forte, determinata, capace di grandiaffetti, ricercatrice di riconosciuto valore, in un’epoca incui le donne scienziate sono una rarità.È anche la storia di un’epoca compresa fra le due grandiguerre mondiali; la storia degli ebrei italiani, prima del-le leggi razziali cittadini a tutti gli effetti della cui appar-tenenza a una religione diversa da quella della maggioranzapochi si curavano, anche perché fra loro c’erano prati-canti, agnostici e atei, così come c’erano persone profon-damente democratiche e antifasciste e persone che avevanoaderito entusiasticamente al fascismo, alcune addiritturainsignite della «sciarpa Littorio», che distingueva coloroche avevano partecipato alla marcia su Roma.

Questo libro si pone a pieno titolo accanto a quegliindimenticabili documenti della barbarie nazifa-scista che sono il Diario di Anna Frank e Se que-

sto è un uomo di Primo Levi. Senza dimenticare che ilgrande merito di aver sottratto all’oblio il lavoro scienti-fico di Enrica va a due ricercatrici della Specula, il Museodi Storia Naturale dell’Università di Firenze, Marta Poggesie Alessandra Sforzi.Leggendo queste pagine ho sempre in mente l’ultima im-magine che mi è rimasta indelebile di Enrica Calabresi: unafigurina esile, vestita dimessamente, che camminava ra-pida, quasi strisciando contro i muri di una di quelle stra-dette dietro piazza della Signoria, parallele a via del Corso,diretta probabilmente a quella che ora ho saputo esserela sua casa, in via del Proconsolo.Sapevo perché era scomparsa dal liceo Galileo, poche set-

Margherita Hack:“Quel giorno che la vidinelle strade di Firenze”

La celebre astronoma ha scritto la prefazione al volume

timane dopo che avevo iniziato la seconda liceo, sapevodella discriminazione di cui cominciavano a essere og-getto i tanti amici e conoscenti ebrei che facevano partedella Società teosofica, di cui era presidente il babbo mio.Avrei voluto parlarle, esprimerle tutta la mia solidarietà.Non ne ebbi il coraggio.Era sempre la professoressa, lontana e distaccata, che in-cuteva soggezione.

Leggendo queste pagine ritrovo anche la Firenzedell’inizio del ‘900, che avevo imparato a conosceredai racconti dei miei, gli anni del dopoguerra, del-

la nascita del fascismo, della fine della democrazia. Siparlava in casa dell’assassinio di Matteotti, dell’obbli-go di iscriversi al fascio se si voleva mantenere il postodi lavoro, delle ultime elezioni pseudodemocratiche incui all’elettore erano state date due schede: una tricolo-re per chi votava per il governo fascista e una bianca perchi era contro. Solo che le due schede erano semitraspa-renti.

Ricordo anche il periodo in cui il fascismo raggiunse ilmassimo consenso. Fu quando l’Italia conquistò il «pro-prio posto al sole» con la guerra per la conquistadell’Etiopia. Le «inique sanzioni» furono una delle ragioniper cui anche molti antifascisti andarono spontaneamentea dare l’oro alla patria - le fedi matrimoniali. Francesi einglesi, dicevano, hanno molte e ricche colonie, perchéI’Italia no?La propaganda patriottica imperversava a scuola, i temiche ci davano parlavano sempre dell’impero tornato a ri-splendere sui «colli fatali» di Roma, e noi marciavamo indivisa cantando, giocando a fare i soldati.Furono proprio le leggi razziali del 1938 a far capire ame, e credo a molti altri ragazzi della mia età, che co-s’era il fascismo.Vedere compagni ebrei, professori ebrei, che fino ad al-lora erano stati solo compagni e professori come tutti glialtri, cacciati da scuola da un giorno all’altro, privati diogni diritto, solo sudditi, non più cittadini, rappresenta-va un’intollerabile ingiustizia, anche se nessuno di noi po-teva allora sospettare a quali atrocità si sarebbe arrivati.Da questo libro vengo a sapere la storia di Enrica dopo checon il decreto ministeriale del 18 marzo 1939, «annoXVII dell’era fascista», era stata dichiarata decaduta dall’abilitazione alla libera docenza in zoologia in quanto ap-

Page 36: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

36

partenente alla razza ebraica, dopo che aveva dovuto ab-bandonare anche l’insegnamento al Galileo.Vengo a sapere dell’entusiasmo e del coraggio con cui leie altri suoi colleghi fecero funzionare le scuole ebraiche,scuole private i cui studenti dovevano sostenere da privatistigli esami alle scuole pubbliche. E in quegli esami, comeper una rivalsa all’ingiustizia subita, loro risultavano sem-pre fra i migliori: anche quelli che prima erano tutt’altroche studenti modello.Arriva il 10 giugno 1940. Io sono in piazza del Duomo, da-vanti al caffè Bruzzichelli con la mia bicicletta, quando datutti gli altoparlanti risuona la voce stentorea del duce cheannuncia l’entrata in guerra.

Doveva essere una guerra lampo che avrebbe «fa-scistizzato» tutta l’Europa. E all’inizio sembròdavvero che potesse finire così, in questo truce

medioevo. Ma ecco l’entrata in guerra degli Stati Uniti,e poi del- l’Unione Sovietica, ecco l’eroica battaglia diStalingrado e il «generale inverno» che decima i soldatiitaliani e tedeschi. Pochissimi saranno i reduci. Arrivaanche il 25 luglio 1943, e lo spettacolo del giorno dopocon i ritratti del duce e i «brigidini» (cioè i distintivi delfascio) a decine, anzi a centinaia per terra nelle strade. Epoi il proclama di Badoglio - «La guerra continua» - e lesperanze che si gelano.Arriva l’8 settembre. A Firenze,in piazza San Marco, quattro tedeschi a bordo di due si-decar occupano il comando delle truppe italiane. L’esercitoè in rotta, c’è chi è catturato dai tedeschi e portato inGermania nei campi di lavoro e c’è chi si arruola nelle for-mazioni partigiane per continuare la guerra, questa vol-ta contro i nazifascisci.

Intanto la situazione degli ebrei, che finora avevano po-tuto seguitare a vivere, sia pure senza diritti e senza la-voro, diventa drammatica. Quell’immondo giornalac-

cio che è La difesa della razza tenta di aizzare la popola-zione contro gli ebrei; si dice che vengano prelevati nelleloro case e portati in Germania, nei campi di lavoro.Alcuni si nascondono in casa di amici, altri ovunque siapossibile. Il fisico Franchetti credo fosse nascostonell’Istituto di Fisica, (dove lo vidi fugacemente spariredietro una porta. Mora non sapevo chi fosse, lo seppi so-lo a guerra finita quando tornò sulla sua cattedra.Enrica avrebbe potuto tornare al suo paese, Gallo Bolognese,e con la sua famiglia fuggire in Svizzera. Invece torna aFirenze, torna nella sua casa da dove viene prelevata nelgennaio del 1944 e portata al carcere femminile di SantaVerdiana. Alcuni giorni dopo si suicida.Perché non tenta di salvarsi? L’autore se lo domanda.Forse ha perso la voglia di combattere, forse l’entusia-smo che l’aveva sostenuta grazie all’insegnamento si èormai spento? Otto mesi dopo, in agosto, arrivano gliAlleati. Per Firenze la guerra è finita.Ora bisogna rimboccarsi le maniche e ricostruire sullemacerie. Ma deve passare ancora quasi un anno perché laguerra si concluda davvero, perché gli orrori dei lagervengano alla luce.Questo libro ci fa rivivere quegli orrori, che non dovremomai dimenticare, perché non si ripetano. Mai più.

Margherita Hack

Il libro su Enrica Calabresi ALLA SEZIONE ERA GIUNTO ALLA

“Memoria familiare”Un grande successo l’ini-ziativa della sezione mila-nese dell’Aned di convoca-re figli e nipoti degli ex de-portati nei lager nazisti Nel corso del convegno, cheha occupato l’intera gior-nata di domenica 12 no-vembre, sono state presen-tate una dozzina di biogra-fie di ex deportati scritte dafamiliari. All’incontro hanno parte-cipato oltre 130 persone,che hanno affollato il salo-ne come non si vedeva damolti anni a una iniziativadell’associazione. Oltre 20interventi hanno fatto se-guito alla relazione svoltadal presidente della sezione,Dario Venegoni. Tra i pre-senti diversi i superstiti deilager, testimoni diretti de-gli orrori di Mauthausen,Dachau, Bolzano, Flossen-bürg, Ravensbrück, Aus-chwitz-Birkenau e Bergen

Belsen. Per l’Aned nazio-nale hanno partecipato il vi-cepresidente Dario Segre ela segretaria nazionaleMiuccia Gigante, entrambifamiliari di caduti nei Lager.“Per l’Aned - ha detto Vene-goni - questa è una giorna-ta di festa. Ci siamo chie-sti se fosse possibile stabi-lire tra i discendenti dei de-portati quel clima di soli-darietà e di vicinanza cheportò oltre 60 anni fa allafondazione della nostra As-sociazione. La vostra pre-senza, così numerosa oggiqui, è già una risposta po-sitiva. E questo ci incorag-gia a immaginare un futurodi vita e di lavoro perl’Aned ancora per lunghianni”. Concludendo la gior-nata, lo stesso Venegoni haespresso la soddisfazionedella sezione milanese peril successo del convegno:“Raramente abbiamo po-

Un premio della Fondazione AuschwitzLa Fondazione Auschwitz ha istituito un premio di2.500 euro per un lavoro inedito ed originale che co-stituisca un importante contributo alla conoscenza di:il terzo Reich (storia, politica, economia, società, col-tura e ideologia): crimini nazisti e genocidi e i mec-canismo e processi che li hanno determinati; influenza degli eventi sulle percezioni e sulla psicologiacontemporanea e sulla memoria collettiva; fenomeni simili nel passato e nella società contem-poranea.Per informazioni rivolgersi alla FondazioneAuschwitz 65, rue des Tanneurs B-1000 Bruxelles,info.fr@auschwitz. www.auschwitz.be

Page 37: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

37

VIGILIA UN MESSAGGIO DEL SINDACO DI MILANO, LETIZIA MORATTI

Il grande successo dell’iniziativa dell’Aned di Milano

tuto trarre da una nostrariunione tanta energia, tan-to impegno, tanta voglia difare, in una parola tanto ot-timismo sulle prospettive”.Quello delle biografie deideportati scritti da figli enipoti è un fenomeno rela-tivamente recente. In al-cuni casi - come è stato con-fermato anche il 12 no-vembre - la ricerca è sca-turita da una scoperta ca-suale di documenti e di fo-to che gli eredi hanno tro-vato solo all’indomani del-la scomparsa del loro con-giunto. Queste biografiecolmano una lacuna, lad-dove i protagonisti non han-no voluto o saputo raccon-tare la propria vicenda inprima persona. In molti ca-si, riproducendo documentiinediti e cimeli trovati tra lecarte di famiglia, questi te-sti diventano anche fontipreziose per ulteriori ri-cerche di altri. A questoproposito Venegoni ha esor-tato gli iscritti dell’Aned aoperare con più convin-zione, in futuro, affinchéquelle carte originali e queicimeli vengano progressi-vamente affidati in custodiaalla Fondazione Memoriadella Deportazione, che hale competenze e gli spaziadatti per garantirne la tu-tela, a beneficio delle pros-sime generazioni.Nel corso della giornata sisono iscritti all’Aned perla prima volta diversi fa-miliari. In una mail di com-mento, il giorno successi-vo, una giovane parteci-pante all’incontro ha scrit-

to: “È da ieri sera che miinterrogo su una cosa: co-me posso sentirmi così be-ne e in pace dopo avereascoltato per un intero gior-no storie così dolorose? Unbel paradosso, se ci si pen-sa. La risposta è solo una:sono storie che mi parla-no, mi danno coraggio,danno anche senso a me ealla mia vita”.Alla sezione era giunto al-la vigilia un messaggio delsindaco di Milano, LetiziaMoratti. La “memoria fa-miliare” - ha scritto - è “untipo di testimonianza pre-ziosa, anche perché può

rappresentare, in partico-lare per i più giovani, unaluce che si accende su uncapitolo cruciale della no-stra storia collettiva, chespinge alla ricerca e al-l’approfondimento, cherafforza i valori della de-mocrazia e della libertà,che promuove il rispettodelle idee e della dignitàumana”. “Il vostro proget-to - ha concluso il sindaco- riscuote la mia ammira-zione e la mia gratitudinedi figlia di un ex deporta-to a Dachau, di cittadinamilanese e di sindaco del-la nostra città”.

Salutandosi, molti dei par-tecipanti hanno chiesto chequesta riunione non ri-manga isolata, ma che sipossa ripetere, magari concadenza annuale. Un impegno che è stato as-sunto dalla sezione diMilano. Nel corso del prossimo in-contro, nel 2007, proba-bilmente si esamineràl’impatto che il fenome-no della deportazione, conle sue tragedie e il suo ca-rico di lutti familiari, haavuto sulle seconde gene-razioni, condizionandonela vita.

Il salone della Fondazione gremito di partecipanti al convegno della sezione dell’Aned di Milano mentre parla Dario Venegoni.

Page 38: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

38

Il conflitto vide partecipi gli italiani su ambedue i fronti, con morti, feriti e dispersi

Ricorre quest’anno il set-tantesimo anniversario del-l’inizio della Guerra civi-le Spagnola (18 luglio1936). Avvenimento cheviene ricordato in Italia dauna nutrita serie di mani-festazioni, con conferenze, film e mostre. Ilconflitto vide partecipi gliitaliani su ambedue i fron-ti, con morti, feriti e di-spersi. Come ho già ricordato conarticoli su questa rivistamolti di quanti combatte-rono per la libertà e de-mocrazia della parte re-pubblicana, conobberol’inferno dei campi di ster-minio nazisti, dove trova-rono come compagni disventura migliaia di spa-gnoli. La quasi totalità dei com-battenti antifascisti furo-no tra gli organizzatori del-la Resistenza in Italia emolti pagarono con la vitaquesta partecipazione.L’avvento alla guida delpaese del governo Zapateroha finalmente rotto quelcolpevole silenzio che ave-va accompagnato il ritornodella democrazia in Spagnadopo la morte di FranciscoFranco. Lentamente anchegli Olvidos, i combattentidella Repubblica, scampatialla vendetta dei vincito-ri, hanno avuto voce e ri-conoscimenti. Sono spariti i monumenti al“generalissimo” i nomi del-le strade intitolate a lui edai suoi generali, resta l’a-nacronismo storico di una

Settant’anni faFranco aggredivala Spagna democraticamonarchia imposta alla na-zione dal dittatore sangui-nario.Vale la pena di ricordare ilmessaggio pronunciato dalprincipe Juan Carlos ilgiorno della sua incorona-zione a re di Spagna:

“Generale, signori mini-stri, signori eletti.Pienamente consapevoledella responsabilità che miassumo giuro, come suc-cessore al titolo di re, lealtàa Sua Eccellenza il Capodello Stato e fedeltà aiprincipi del Movimentonazionale ed alle leggi fon-damentali del Regno.Tengo in primo luogo a di-chiarare che ho ricevutoda Sua Eccellenza il Capodello Stato e generalissi-mo Franco la legittimitàpolitica nata il 18 luglio1936, fra tanti sacrifici etante sofferenze, tristi manecessari, perché il nostropaese risollevasse di nuo-vo le sue sorti.In questi ultimi anni laSpagna ha percorso unagrande cammino sotto ladirezione di Vostra Ec-cellenza. La pace che ab-biamo conquistata, i gran-di progressi realizzati intutti i campi, la creazionedelle basi di una politicasociale, rappresentano ilcimento per il nostro fu-turo. Il fatto di aver tro-vato la vera strada e diaver chiaramente segnatola direzione del nostro av-venire è opera di que-st’uomo eccezionale, che

la Spagna ha avuto l’im-mensa fortuna di avere eche avrà ancora per mol-ti anni come reggitore del-la nostra politica.Io appartengo in linea di-retta alla casa reale spa-gnola, e nella mia fami-glia, per disegno dellaProvvidenza, si sono unitii due rami. Confido di es-sere un degno continuato-

re di colui che mi ha pre-ceduto…”

Correva il giorno delSignore 21 luglio 1969,trent’anni esatti dall’ini-zio dell’Alzamiento, le car-ceri spagnole erano pienedi rossi, le esecuzioni con-tinuavano.

Piero Ramella

Un manifesto del governo repubblicano durante la guerracivile promuove un programma di alfabetizzazione per gli operai.

Page 39: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

39

Un eroe della Resistenza italiano insignito della Medaglia d’Oro

Le precisazioni di Triangolo

Nel numero di ottobre di Triangolo Rosso sono ap-parse alcune inesattezze che correggiamo:

• Pag. 41. La poesia premiata al concorso della sez.di Pisa dell’Aned e patrocinato dalla Provincia diPisa, “Le tue Mani” è scritta da Martina Calugi di S.Miniato Basso (Pisa) non Varese. Il premio è la par-

tecipazione all’intero pellegrinaggio, organizzato dal-la Sezione stessa, che tocca cinque campi di stermi-nio e non uno.

• Pag. 29. La foto dell’incontro al Castello di Hartheimnon immortala l’incontro fra ex deportati e le loro fa-miglie, ma la visita-commemorazione di alcune sezionidell’Aned che nel percorso del pellegrinaggio - a cuipartecipano in centinaia fra studenti, amministratori,insegnanti - inseriscono anche Hartheim.

Ricordato a Romail sacrificio di Fedor Poletaev

Il 27 novembre, presso laCasa della Memoria e dellaStoria di Roma, si è inau-gurata la mostra “Il movi-mento della Resistenza inEuropa e la guerra partigia-na nell’Urss”, alla presen-za dell’ambasciatore dellaFederazione Russa in Italia.50 fotografie, provenientidagli archivi dell’agenziaRia Novisti, che ne possie-de circa 600.000 raccolte apartire dal 1941, illustranoai visitatori i momenti piùemblematici della lotta alnazifascismo, la presenzadei resistenti sovietici neimovimenti di Resistenza eu-ropei, in particolare quellanelle file delle formazionipartigiane in Italia. Questapresenza, quantitativamen-te e qualitativamente im-portante, è riassunta so-prattutto nella vicenda diFedor Poletaev. Giovanefabbro, al momento del-l’aggressione nazista al-l’Urss, venne arruolato nel-la 9a divisione fucilieri del-l’Armata Rossa. Fatto pri-gioniero nel 1942 e impri-gionato in lager della

Polonia e della Jugoslavia,inviato poi in Italia, inLiguria, riuscì a fuggire e,nell’estate del 1944, rag-giunti i partigiani, con lorocombatté nella Brigata“Oreste”. Nel corso di unoduro e scontro a fuoco neipressi di Cantalupo Ligure,che vedeva i partigiani in

Militare. Successivamente èstato riconosciuto, in patria,Eroe dell’Unione Sovietica.Le sue spoglie riposano aGenova, nel cimitero diStaglieno. Massimo Ren-dina, presidente dell’AnpiLazio e il professor SandroPortelli, nel portare il salu-to della città, dei partigianie di tutti coloro che furonoprotagonisti delle lotte an-tifasciste e della Liberazione,hanno voluto doverosa-mente ricordare agli inter-venuti come molti altri so-vietici militarono nelResistenza italiana. Insigniticon Poletaev di Medagliad’Oro furono Nikolaj Bu-janov, Fore Mosulishvili eDaniil Avdeev, quest ulti-mo noto come “CapitanoDaniele”.E molti altri, rimasti sco-nosciuti, sulle cui tombe,sparse per l’Italia, si leggesolo il nome russo Ivan.Eroi sconosciuti cui dob-biamo ricordo e riconosci-mento per il loro sacrificio,per averci aiutato, fino allamorte, a riconquistare la no-stra libertà. A. P.

minoranza ed in netta diffi-coltà, con una improvvisa epersonale azione, seppur fe-rito a morte, costrinse allaresa i militari nazisti. A“Fedor il gigante”, come lochiamavano i suoi compagniper la sua statura imponen-te, venne assegnata laMedaglia d’Oro al Valor

Page 40: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

40

Ambrogino d’oroa Norina Brambilla,

la partigiana “Sandra”Il Comune di Milano, quest’anno ha assegnato l’Ambroginod’oro - onorificenza assegnata ai milanesi meritevoli - al-la partigiana Norina Brambilla.Staffetta dei Gap, comandati da Giovanni Pesce, meda-glia d’oro al valor militare, Norina viene arrestata dai fa-scisti, torturata e infine deportata nel lager di Bolzano.

Nella foto: “Sandra” durante la guerra partigiana.

Presentato in Fondazione“Avanti popolo”

il libro di Sergio BanaliNella sala della Fondazione Memoria della Deportazioneè stato presentato il libro di Sergio Banali, collaboratoredi Triangolo Rosso dal titolo Avanti popolo - le lotte e lesperanze dei “lauradur” in un romanzo padano.Dopo che l’autore ha illustrato i contenuti del suo libro, so-no intervenuti numerosi amici e compagni di lavoro diSergio Banali. Il dibattito aperto da Bruno Enriotti è sta-to concluso da Ibio Paolucci.

Affidato all’Aned di Roma il progettodegli insegnanti (e degli allievi) dellePer il terzo anno consecuti-vo, l’assessorato alle Po-litiche Educative e Sco-lastiche del Comune di Romaha affidato alla Sezione ro-mana dell’Aned l’incaricodi gestire il progetto di for-mazione dei docenti dellascuola secondaria di primogrado (medie inferiori). Ilprimo anno il progetto trovòil momento formativo nel-l’allestimento. Su quattrocarri ferroviari alla stazioneferroviaria di Roma Tibur-tina, della nostra mostra“Sterminio in Europa”, inau-gurata per il Giorno della

Memoria,visitata, nell’arcodi una settimana da centinaiadi studenti, professori e dapersone che si trovavano apassare per la stazione. Laconclusione fu un viaggio,di una parte di insegnanti estudenti al KZ Mauthausen,nei giorni della CerimoniaInternazionale. Per prepara-re quel viaggio AntonellaTiburzi, per conto dell’Anedredasse un’apposita dispen-sa con la storia e la genesidel lager, dei suoi sottocam-pi, con particolari riferimentialla Deportazione politicadall’Italia. Altri insegnanti

e studenti si recarono aS.Anna di Stazzema.Il secondo anno l’Aned rea-lizzò per il programma unapposito libro, dal titoloKanada Kommando, nel qua-le Aldo Pavia e AntonellaTiburzi hanno raccolto la te-stimonianza di Ida Mar-cheria, integrandola con unaserie di schede storiche sul-la deportazione ebraica, sulcampo di annientamento diAuschwitz-Birkenau, sul KZRavensbrueck, sul ritornodei deportati e con una seriedi testimonianze di donnenei lager. La conclusione del

programma ha visto la visi-ta a Marzabotto di un foltogruppo di insegnanti e stu-denti, guidata dal sindaco,on.Veltroni e dall’assessoreMaria Coscia. Per la forma-zione 2006-2007, si è decisocon l’assessorato di richia-mare l’attenzione dei docentisu quelle che furono le radi-ci dell’annientamento e del-lo sterminio. Al primo in-contro di formazione, i do-centi rappresentanti oltre 40scuole medie romane hannoincontrato il prof. SandroPortelli, delegato del sinda-co di Roma alla Memoria e

NOTIZIE

ANED

Page 41: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

41

Una lettera di D’Alemaal professor

Romolo Vitelli di VareseIl Ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha inviato al pro-fessor Romolo Vitelli, collaboratore di Triangolo Rosso efino a qualche mese fa docente di filosofia al liceo Cairolidi Varese la lettera che qui pubblichiamo:

o per la formazione e medie inferiori

il prof. Gentiloni, presiden-te dell’Irsifar, che hanno ri-spettivamente inquadrato latragedia dei lager nel conte-sto della Memoria e della se-conda guerra mondiale. Ilpresidente della sezione Aneddi Roma ha invece affronta-to i due momenti topici, pre-sentati in due dispense, ap-positamente realizzate,dell’“Operazione Eutanasia”e delle “Aktion”, delle stra-gi e eccidi di massa delleEinsatzgruppen in Polonia,Ucraina, Bielorussia e PaesiBaltici. Faranno seguito, pertutto l’anno scolastico in cor-

so, incontri di approfondi-mento con i docenti, ma an-che momenti di conoscenza- e di testimonianza sullarealtà dei lager - direttamentenelle scuole con i giovanistudenti.In primavera sarà program-mato un viaggio di studio inuna località di profondo si-gnificato, che verrà scelta trale varie proposte ancora inesame, dalla Risiera di SanSabba al campo di Fossoli,ad altro luogo che possa an-che testimoniare dell’anti-fascismo e della Resistenzaitaliana.

I NOSTRI LUTTI

GUGLIELMO PISANI

della sezione di Parma, fudeportato a Bolzano con ma-tricola n. 9281.

UMBERTO RIDOLFI

fu deportato nel campo diconcentramento di Mautha-usen con matricola n. 76542.

Si sono svolti a Canicattì ifunerali del Prof. DOMENICO ARONICA

Nato nel 1923, la sua vitafu segnata dalla tragicaesperienza dei campi diconcentramento nazisti.

Arruolatosi giovanissimonell’esercito, dopo l’armi-stizio del 1943 si unì algruppo partigiano “Settecomuni”. Combatté la re-sistenza nelle campagne diBassano del Grappa, dovefu catturato a seguito di unrastrellamento nazi-fasci-sta. Condannato a 15 anni di re-clusione dal tribunale mili-tare nazista, fu internatoprima nel campo di smista-mento di Bolzano, e da lì aMauthausen e Gusen II.Sopravvissuto miracolosa-mente ai terribili orrori deilager nazisti, fece ritorno acasa.

Un gruppo di pittriciespone le opere

sulla deportazioneNella sede della Fondazione Memoria della Deportazionein via Dogana 3 a Milano La mostra rimarrà aperta fino al 19 gennaioUn gruppo di pittrici che si riconosce nell’associazioneVenerArte espone le proprie opere dedicate al tema delladeportazione nei lager nazisti nei locali della FondazioneMemoria della Deportazione in via Dogana 3 a Milano.Fanno parte di VenerArte: Arianna Baldanzi, Lara Didolani,Ilaria Di Resta, Cristina Maggioni, Laura Salvi, ChiaraTirloni, Nadia Torchia, Enrica Valtorta.

Page 42: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

42

Com’era Gillo Pontecorvo,il grande regista dellaBattaglia di Algeri, neglianni tremendi ma ancheesaltanti della Resistenza,lo dice molto bene GiorgioAmendola nel suo libroLettere a Milano: “Gilloaveva il dono della faci-lità. Tutto gli riusciva, econ la stessa eleganza concui a Saint Tropez si get-tava in mare per la pescasubacquea, ora si muovevaa suo agio tra le dramma-tiche difficoltà della si-tuazione torinese, riu-scendo ad infondere ai suoicollaboratori del Frontedella Gioventù un grandeslancio, una immensa fi-

La scomparsa di Pontecorvo

grande regista e fondatore

del Fronte della Gioventù

“Kapò” e “La battaglQuando, nel 1959, Gillo Pontecorvo pone mano alla rea-lizzazione di Kapò ha quarant’anni. Al suo attivo ha giàuna serie di documentari e cortometraggi di variabile in-tensità stilistica e tematica, oltre il suo primo lungome-traggio a soggetto La grande strada azzurra tratto dalromanzo di Franco Solinas Squarciò, cosceneggiatore ecomplice assiduo anche per i più significativi film Labattaglia d’Algeri e Queimada. Caratteristiche peculiari del mestiere e delle opzioniespressive di Pontecorvo si ritrovano, in ispecie, nel-l’attitudine a un rigore e, insieme, a una determinazio-ne marcati nell’individuare, definire con tutto l’agio ne-cessario - particolarità, questa, che costituirà la spiega-zione di fondo dell’esigua filmografia di tale cineasta:cinque lungometraggi più l’episodio intitolato Giovanna- le storie, gli spunti, i motivi ispiratori d’ogni suoi pro-getto creativo.In questo senso, non ha fatto eccezione Kapò, approdocompiuto d’una laboriosa ricerca, d’una circostanziatadocumentazione messe in opera, appunto, dal duoPontecorvo-Solinas. È Pontecorvo medesimo che ricorda: “Delle molte pro-poste che ricevetti l’unica a interessarmi fu questa sui cam-pi di concentramento. Il soggetto che ci avevano dato non piaceva né a me néa Franco: la cosa che ci sembrava essenziale racconta-re, sul modello di Se questo è un uomo di Primo Levi, eraa che punto di degrado può arrivare un essere umano in

di Ibio Paolucci

‘‘

‘‘Quando mi raccontòla sua lotta contro il fascismo

Page 43: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

43

ia di Algeri” due indimenticabili capolavorideterminate condizioni. Passammo otto mesi in giro perl’Europa a intervistare gli ex deportati”.L’esito di tale acribía documentaria è addensato, quin-di, nel film Kapò in tutte le sue componenti specifiche:un cast cosmopolita di funzionale peso nell’economianarrativa - da Susan Strasberg a Laurent Terzieff, daEmanuelle Riva a Paola Pitagora, da Gianni Garko aGraziella Galvani; scenografia (Piero Gherardi) di spic-cato rigore, musiche e fotografia sapientissime. Al proposito, Ugo Casiraghi ebbe a scrivere con l’abi-tuale acutezza: “Il regista imposta il suo film come una‘sinfonia della degradazione’, scandita da due temi mu-sicali (cui ha collaborato lo stesso Pontecorvo) ricor-renti e contrapposti: quello lugubre, della furia deva-statrice, che punteggia il progressivo sfacelo morale del-la protagonista, e quello, classico e cristallino, che nericorda l’adolescenza innocente”.In questo radicale contrasto tra il “prima” e il “seguito”sta infatti anche la strategia drammaturgica che gover-na dal principio all’epilogo il film Kapò: la tredicenneragazzina francese di famiglia ebraica è sbalestrata da unagiovinezza radiosa e serena nell’inferno dell’universoconcentrazionario. E lì s’incalzano da subito gli orrori d’un calvario ine-narrabile: i genitori mandati, nudi, nel forno cremato-rio; le angherie bestiali inflitte a tant’altre vittime comelei dai feroci aguzzini nazisti; il freddo, la fame devastanti.Edith (questo il nome dell’adolescente) viene fortuno-

samente salvata dalla morte da un provvido medico fran-cese che la camuffa come una criminale comune di no-me Nicole presto integrata tra le “kapò” (le donne guar-diane) che cinicamente, sadicamente perseguitano le lo-ro stesse compagne. Solo riscatto per l’ormai abbrutita Nicole è lo slanciod’amore e, poi, di eroica solidarietà per il soldatino so-vietico Sacha (Terzieff) in rivolta (e in fuga) contro le SSassassine.Kapò ebbe, alla sua prima sortita veneziana, immedia-ti, unanimi consensi e, altresì, un vistoso successo dipubblico in Italia e all’estero. Una nota schematicamente dissonante si levò in Franciaad opera di Jacques Rivette (critico e cineasta) che rim-proverò a Pontecorvo di avere, in modo “abietto”, spet-tacolarizzato la morte di Teresa (Emanuelle Riva) con un“carrello” (o uno “zoom”) d’indebita necessità. A quell’astioso, pretestuoso spunto polemico, Pontecorvonon rispose mai, ben consapevole della probità del pro-prio operato. In effetti, Pontecorvo è riuscito con Kapòin un’impresa assolutamente impervia: ovvero, comescrive ancora Casiraghi, quella “già storica di ricostrui-re, di riportare dinanzi alla troppo labile memoria degliuomini un mondo che è ‘di sterminio’ ”. Tutto ciò, con buona pace degli acrimoniosi detrattoriche hanno puntigliosamente voluto addebitare allo stes-so film semplificazioni e carenze tutte ampiamente da di-mostrare. Sauro Borelli

ducia nelle possibilità diazione contro i tedeschi.Egli allargò l’orientamen-to politico ed il carattereunitario del Fronte dellaGioventù torinese e purnon trascurando la lotta ar-mata, seppe indirizzare illavoro dei giovani versoobiettivi politici di avvi-cinamento e conquistaideale delle più larghe mas-se giovanili. In breve tem-po, il Fronte dellaGioventù, sotto la direzio-ne di Gillo, divenne unaforza essenziale della lot-ta del popolo torinese”.Com’era Gillo Pontecorvo,nel proprio ricordo, a cin-quant’anni di distanza, èlui stesso a dirlo, rispon-dendo alla prima e ad altredomande dell’intervista.

Com’è cominciata la tuaavventura politica?

A Parigi. Io ero allora unragazzetto, 18-19 anni diroba, un po’ play-boy, e so-prattutto appassionato di

tennis. Di politica, masti-cavo poco o niente. Venivodall’Italia, dove, figurar-si, il fascismo addiritturateorizzava che non ci si do-veva interessare di politi-ca. Ricordi la scritta? “Qui

non si parla di politica, quisi lavora!”. A Parigi quasiautomaticamente, comin-ciai a frequentare ambien-ti antifascisti. Andavo qual-che volta alle grandi as-semblee alla Mutualitè, do-ve si respirava un clima en-tusiasmante. Giovani, ra-gazze che arrivavano in bi-cicletta, canti, bandiere ros-se. Finché cominciai ad es-sere avvicinato dai primicomunisti, Scotti, Natoli,Negarville, che iniziaro-no, diciamo così, ad in-dottrinarmi, a fornirmi glielementi iniziali, l’abc del-la politica. Mi diedero an-che un libro, che si intito-lava, se ben ricordo,Préside du marxisme. Pervia di quel libro, venni an-che un po’ sfottuto. Tutti

Una scena di Kapo.

Page 44: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

44

marxisti in 15 giorni, midicevano i compagni, rife-rendosi a quella lettura.E tu come reagivi?Ma io, per la verità, pen-savo soprattutto ai fattimiei. Poi, certo, arrivaro-no i tedeschi, e dovemmoscappare. Ma anche allo-ra, io mica mi ero ancoratuffato del tutto in quel cli-ma di tragedia. Ricordo checon una ragazza, che poidiventerà la mia prima mo-glie, acquistammo un tan-dem e partimmo portan-doci dietro anche le rac-chette da tennis. Nella gen-te, invece la disperazioneera grande. C’era un fiu-me di persone che intasa-vano le strade verso sud.Sembrava l’uscita da unapartita di calcio. Molti, ve-dendoci con le racchette nelsacco, esasperati com’era-no, gridavano: “Guardaquelli, vanno in villeggia-tura loro!”. Avevano vo-glia di menarci.E dove eri diretto?Nel sud della Francia. Lì,la mia vita cominciò a cam-biare. Ormai potevo con-siderarmi come un antifa-scista, con forti simpatiecomuniste. E lì, nel sud,mi ripescarono Amendola,Dozza e Negarville.Difatti, Amendola scriveche veniva con Negarville,a Saint Tropez, per “pre-pararti politicamente”.Sì, certo. Allora la Dire-zione del Pci, installata inFrancia perché in Italia nonavrebbe retto più di unasettimana, teneva i contat-ti con quello che restavadell’organizzazione clan-destina in Italia, mandan-do dei compagni, che ve-nivano beccati quasi tuttidopo pochi giorni dalla ter-ribile ed efficientissimaOvra. Così pensarono che

Quando Pontecorvo mi raccontò

anche un ragazzetto di 21anni poteva essere utile.Dovevano contentarsi. Miproposero di fare un “viag-gio” in Italia. Dovevo por-tare materiale e prenderecontatti con esponenti del-l’antifascismo. Tra l’altro,io dimostravo tre o quat-tro anni meno della mia età.La mia faccia era il mi-gliore lasciapassare.Così venisti in Italia. Inche anno? E con chi ti in-contrasti?L’anno era il ‘42. Le cittàdove andai, Perugia, Pisa,Milano, Torino. I primicontatti li ebbi con Ca-logero, Capitini, Ramat, ilgruppo dei liberalsocialisti

e di Giustizia e Libertà. AMilano, invece, dovevo in-contrarmi con Ugo LaMalfa. Così, andai allaComit e quando lo vidi, mipresentai con la parolad’ordine che mi era statadata: “Vengo dall’uomoche mangia le mele per lastrada”. La Malfa miguardò sospettoso e per untrenta secondi non dissenulla. Io cominciavo adaver paura. Forse mi sonosbagliato di persona!Quanto a lui, in quel brevearco di tempo dovette pen-sare: “Ma guarda che ca-

volo mi hanno mandatoquei pazzi”. Poi però di-ventammo buoni amici,forse perché avevo impa-rato decentemente la le-zione di Amendola e diNegarville.Altri incontri?Beh, uno straordinario, aPisa, dove andai un po’ per-ché era la mia città, un po’perché Amendola eNegarville mi avevano det-to che più notizie portavo,meglio era. E proprio lì tro-vai un giovanissimo pro-fessore alla Normale, mol-to in gamba. Anche lui eraallora liberalsocialista ogiù di lì. Ma a me parvequello più vicino a noi. Eragià convinto della neces-sità del Fronte nazionale edella possibilità-necessitàdi passare subito a certeforme di azione. E sai chiera? Alessandro Natta. Fecianche una relazione suquell’incontro, tanto miaveva colpito. Una rela-zione che si trova negli ar-chivi del partito.Pieno successo, dunque.Cosa ti dissero i compagnial ritorno in Francia?Che visto che le cose nonerano andate troppo male,avrei dovuto ripetere queiviaggi. Ne feci, infatti, al-tri due o tre.E infine, definitivamen-te in Italia.Sì. Io, per la verità, non nevolevo sapere. Ma poiAmendola l’ebbe vinta. Luiaveva un grosso ascendentesu di me. Mi disse che do-po gli scioperi del marzo,bisognava rafforzare tuttal’organizzazione. E poi ag-giunse che era anche orache diventassi una personaseria. Così fui spedito aMilano per fare il funzio-nario a tempo pieno, il “ri-voluzionario di professio-

ne”, come si diceva alloracon un termine, che hosempre trovato un po’buffo. La caduta del fascismo,dunque, ti colse a Milano.Sì. Furono giorni entusia-smanti. Anch’io ero sul tet-to di quel camioncino af-fittato da Elio Vittorini, aPorta Venezia, quandoPietro Ingrao fece il suoprimo comizio pubblico.Un’emozione enorme.Ingrao parlò benissimo.E poi ti spostasti a Torino,alla direzione del Frontedella Gioventù piemon-tese.Beh, da Milano dovetti an-darmene perché in una ca-sa dove i fascisti avevanotrovato armi, un ciclostilee manifestini, c’era ancheuna carta di identità inbianco con la mia fotogra-fia. Il partito decise che do-vevo cambiare aria. In at-tesa dovevo starmene na-scosto. Assolutamente nondovevo uscire. Siccomenon si fidavano di me, mifecero andare nella casadelle sorelle Musci, cheerano ligie al cento per cen-to agli ordini del partito.Io, nemmeno se suonavala sirena d’allarme, dove-vo muovermi. Ma a me nonmi andava di star lì chiuso.

Page 45: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

45

ò la sua lotta contro il fascismo

Così mi feci crescere i baf-fi, mi misi degli occhialiscuri e una lobbia pur-troppo nera, che avevo pe-scato in un vecchio baule,e me ne uscii. Scalognavuole che fatto un centi-naio di metri, incontroGiancarlo Pajetta, che mifulmina con un’occhia-taccia. E poi si avvicina emi dice: “Dopo mi spie-gherai anche perché ti seitravestito da ebreo”. Tipicabattuta di Giancarlo. E,aveva ragione, perché con-ciato in quel modo sem-bravo proprio la caricatu-ra di un ebreo.Parlami di Torino.A Torino, comandavo laBrigata d’assalto EugenioCuriel. Ma facevo ancheparte della segreteria del-la Federazione, dove c’e-rano compagni, come di-re, ancora influenzati davecchie concezioni setta-rie. Io, in quella sede, do-

vevo portare avanti la li-nea di Amendola, ovvia-mente molto più aperta.Con Giorgio, fra l’altro,maturò un rapporto straor-dinario, un sodalizio bel-lissimo.Ed è stato lì, a Torino, chehai vissuto i giorni dellaliberazione.Certo, giorni indimenti-cabili. Ma voglio parlartidel primo comizio pubbli-

co di Amendola. La mat-tina c’erano stati i funera-li dei tanti morti dell’in-surrezione. I corpi deglioperai morti alle Ferrierefurono portati in una gran-de piazza, dove Giorgiosalì su un autocarro e co-minciò a parlare. Ora devisapere che, in quei giorni,la cosa più difficile per noiera quella di convincere inostri uomini a deporre learmi. Quando avevo co-minciato a parlarne coicompagni della miaBrigata, quasi mi sputa-vano in faccia. Dunque,siccome quello era il pri-mo comizio pubblico cheorganizzavamo, io miaspettavo che Giorgio par-lasse tenendo conto di que-sto grave problema.Invece, lui fece un discor-so bellissimo, ma si com-mosse. Di fronte ai corpidi quei caduti e ai volti del-le vedove dei fucilati del

Martinetto, che erano inprima fila, venne travoltodall’emozione e cominciòad urlare. Non solo nonparlò di deporre le armi,ma usò espressioni che an-davano in direzione oppo-sta, tipo, citando Lenin,che la libertà è il fucile nel-le mani degli operai.Quando finì, mi chiese, an-cora tutto eccitato, comeera andato. Di merda, gli risposi. Eora, gli dissi, chi ci va nel-le formazioni a dire chebisogna lasciare le armi?Lui ci rimase male e neparlò anche a Germane,sua moglie, dicendole cheaveva l’impressione di es-sere disastrosamente ca-duto nella mia stima.Figurarsi. Ma che scherzi,gli dissi. Io lo adoravo ve-ramente. Anzi, guarda,quella sua emozione micommuove ancora.Un’ultima domanda.Come mai tu che hai de-dicato film bellissimi al-la Resistenza di altri pae-si, non hai mai diretto unfilm sulla Resistenza ita-liana, da te vissuta, pe-raltro, con tanta inten-sità?Cosa vuoi che ti dica. C’èun certo ritegno. Forse,proprio perché è stata vis-suta in prima persona, c’èla paura di cadere nella re-torica o, comunque, in unasdrucciolevole emotività.Non lo so. Ma ora, chissà.Ora che sono passati tan-ti anni, diventerà più faci-le stabilire quel distaccoche ti consente di affron-tare un film nel modo giu-sto. Ma sì, perché no?Forse lo farò.

(Intervista rilasciata perl’Unità il 18 settembre1993)Pontecorvo sul set di Kapo riceve la visita di Jean Paul Sartre.

Page 46: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

46

Una mostra a Milanoche celebra il lavoro

Tutto questo ci è tornato al-la mente visitando la bellamostra promossa dall’As-sociazione Centenario del-la Cgil dal titolo “Lavoroinciso. Capolavori dell’ar-te grafica da Millet aVedova”. Esposta a Milanonella sede della FondazioneStelline nell’autunno scor-so, con un bel catalogoSkira, la rassegna era cu-rata da Patrizia Foglia,Chiara Gatti e LuigiMartini. Nelle sale dellamostra dominava un gran-de cartone di Giuseppe

Una cena in un paese della collina delForlivese con numerosi compagni,capotavola un Luigi Longo di buonumore e di eccellente appetito. Fra unavivanda e l’altra, uno di noi chiese al

segretario generale del Pci quali fossero i suoi pittoripreferiti. Con la sobrietà tipica del piemontese, abituatoa risparmiare su tutto, Longo fece solo tre nomi: Il primo, obbligatorio per un dirigente comunista, fuquello di Renato Guttuso, gli altri due, con generalesorpresa, Salomon van Ruysdael, grande paesaggistaolandese del Seicento, e Lorenzo Viani. Per quest’ulti-mo, forse, Longo deve aver ricordato ciò che il pittoreviareggino, di pensiero anarchico, avevascritto a un amico: “Io disegnavo quellescabre ed estreme figure di lavoratori edi plebe da cui trassi origine... e cheamo con dedizione di figlio”.

Promossa dall’Associazione Centenario della Cgil dal titolo “Lavoro inciso. Capo

Pellizza da Volpedo per lafigura centrale di Fiumana,il cui dipinto è esposto nel-la pinacoteca di Brera, poitrasferito nel celeberrimoQuarto stato, esposto sem-pre a Milano nel Museo diarte Moderna.Terminato nel 1896, il qua-dro divenne proprietà delcomune socialista nel 1920,grazie ad una sottoscrizio-ne popolare, che ebbe unenorme successo. Il suo au-tore, morto suicida nel 1907a soli 39 anni, diceva cosìdel suo capolavoro: “I miei

lavoratori che camminanoda un cammino secolare (...)vorrebbero mostrarsi in tut-ta la loro bellezza, forza,bontà”. Uomini e donne in marcia,non più umili sottomessioggetti della storia, ma sog-getti attivi, pienamente con-sapevoli di essere parte diun forte esercito al servi-zio di un grande ideale perun domani migliore.Nacque così, assieme alleprime organizzazioni delproletariato, uno dei dipin-ti più belli di fine Ottocento,

un’icona, come diremmooggi, simbolo del lavoronelle sue più nobili espres-sioni, di cui il cartone del-la mostra ne è un’efficacesintesi. Molti altri i fogli grafici,fra cui quelli, per l’appun-to, di Lorenzo Viani, meri-tevoli d’attenzione, a co-minciare dalle opere di JeanFrancois Millet, rappre-sentato con le sue “glaneu-ses” (spigolatrici), che fuuno dei pezzi più riprodot-ti del maestro francese, af-fisso in numerose abitazioni

‘‘

‘‘

Page 47: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

47

o lavori dell’arte grafica da Millet a Vedova”

di lavoratori. Nell’opera citata si vedo-no tre donne che raccolgo-no spighe di grano. Grandepittore della vita rurale dimetà ottocento, Millet - co-me osservano i curatori -“non si perde in dettagli madescrive la scena nella suaessenzialità, dando alle fi-gure la monumentalità eroi-ca della storia”. Vigorosele acquaforti di KatheKollwitz, presente nella ras-segna con il sesto e ultimofoglio del ciclo EinWeheraufstand (La rivolta

dei tessitori), che raccontail tragico epilogo della vi-cenda narrata da GerhartHauptmann, che costitui-sce una durissima denun-cia contro lo sfruttamentocapitalistico. Giovanni Fattori è presen-te con i suoi butteri, gli ama-ti miti bovi, i paesaggi ma-remmani, la fatica. Umberto Boccioni con unostupendo disegno di una ca-sa in costruzione e con unaacquaforte che raffigura ci-miniere di fabbrica in pe-riferia.

George Grosz colpisce conalcuni graffianti disegni del-la società berlinese del pri-mo dopoguerra. Seguono gli artisti che, conle loro opere, hanno ac-compagnato le lotte dei la-voratori nelle fabbriche enelle campagne nell’ulti-mo dopoguerra, da Ve-spignani a Zigaina, Tet-tamanti, Treccani, Guttuso,Vedova. Anche grazie al-l’opera di questi artisti - af-ferma Guglielmo Epifani,segretario generale dellaCgil - “i lavoratori, le loro

organizzazioni, il sindaca-to, hanno potuto esercitarela loro azione per la con-quista di diritti essenziali. Èanche grazie al loro lavo-ro, alle immagini prodotteper questo nascente movi-mento, che gli ha consen-tito di dotarsi di una propriiconografia, che le grandimasse dei senza diritti sisono trasformate in co-struttrici di idee guida, divalori riconosciuti, di prin-cipi che hanno favorito ilconsolidarsi delle nazionie della stessa Europa co-munitaria”. I. P.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, cartone con la figura centrale del quadro Quarto stato, 1896

Jean Francoise Millet, (1814-1875) Le Spigolatrici, incisione, 1857.

Page 48: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

48

I nostriragazzi

Le testimonianze delle scuole medie di Casciago e Besozzo (Varese)

“Sono venuti dal liceoa raccontarci il lager”“Siamo qui perché anche noi abbiamo voluto

diventare testimoni della memoria”. Così l’esordiodi un gruppo di studenti del liceo classico Cairoli

di Varese negli incontri con altri ragazzi delle scuolemedie di Besozzo di Casciago (queti ultimi seguitidalle loro insegnanti Luciana Sinatra e AngelaBianchi). Le insolite testimonianze documentate dafotografie e filmati, hanno suscitato emozione e moltointeresse, insieme al desiderio di trasmettere il ricordo– come scriveva Primo Levi – “di ciò che è stato”.È quanto risulta chiaramente anche dai commenti edalle impressioni che gli stessi ragazzi delle scuolemedie hanno espresso in numerose lettere inviate ad un ex deportato a Mauthausen, Sergio De Tommasi,che avevano incontrato per celebrare la Memoria delladeportazione e la condanna di ogni forma di razzismo.Di seguito pubblichiamo un primo gruppo ditestimonianze da Casciago e Besozzo.

Ho capito meglioquei tempi atroci

“La memoria va comunicata per discutere e fare in mo-do che le tragedie non si ripetano”. Questa la frase cheha dato l’avvio all’incontro con i ragazzi del liceo clas-sico di Varese e con il prof. Romolo Vitelli, docente distoria e filosofia.Questi ragazzi sono venuti nella nostra scuola per espor-ci le loro impressioni dopo le visite d’istruzione nei cam-pi di concentramento di Fossoli, Mauthausen e Terezine al museo di Carpi, dedicato alla deportazione.

Questo incontro mi ha fatto capire come noi ragazzi dob-biamo ritenerci fortunati di vivere in un periodo serenoin cui la guerra non ci sfiora. Mi ha fatto ragionare sul-la guerra facendomi capire meglio le atrocità compiutedai nazisti.

Luca Boretti

Nessuna razza puòritenersi superiore

A scuola abbiamo trattato un argomento che ha segnatola storia: la tragedia dei campi di concentramento. Abbiamoapprofondito questo tema grazie alla testimonianza diun ex deportato.Dobbiamo anche ringraziare i ragazzi del liceo classico“Cairoli” che ci hanno fatto partecipi delle loro espe-rienze dopo la visita ad alcuni campi di concentramen-to, mostrandoci fotografie e filmati. Il loro scopo eraquello di trasmetterci sensazioni ed emozioni, nella spe-ranza che non accadano più simili tragedie.Perché nessuna razza può ritenersi superiore alle altre.

Luca de Filippis

Page 49: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

49

Ricordare il passatoper non ripeterlo

Cari ragazzi del liceo classico, dopo il nostro incontro convoi, abbiamo potuto capire il dolore e la sofferenza chei deportati devono avere provato. La vostra spiegazioneè stata elaborata e approfondita e mi è piaciuta molto.La cosa che mi ha impressionato di più è stata “LASCA-LADELLAMORTE”; non sapevo che cosa fosse né do-ve si trovasse. La vostra “illustrazione” dei lager ci èservita moltissimo per il programma scolastico, ma so-prattutto ci aiuta e ci aiuterà nella vita personale, perchécome ho detto, bisogna ricordare il passato per non ri-peterlo. Spero vivamente che voi possiate andare di scuo-la in scuola per raccontare quello che avete raccontato anoi. Mi hanno colpito molto anche le foto che avete il-lustrato e spiegato, le foto di quella gente così magra etrattata male mi hanno lasciato un vuoto nel cuore e mihanno fatto capire che non dovrà succedere mai più.

Matteo Giusti

Potrà l’uomofinalmente imparare?

Pagina di diario: devo dire che è stato molto interessan-te ed emozionante ascoltare i racconti dei ragazzi del“Cairoli” sugli internati sfruttati, maltrattati e uccisi neicampi di concentramento… Questi ragazzi sono entra-ti in posti dove uomini, donne e addirittura bambini so-no stati uccisi e hanno provato l’emozione di attraversarequei cancelli che altri avevano nel passato attraversatosenza uscirne più.Potrà l’uomo imparare a non provocare più simili tra-gedie?Caro diario, me lo chiedo e non so darmi una risposta.

Mariasole

L’iniziativa dopo un viaggiodi istruzione a Fossoli,Mauthausen e Terezin

I ragazzi di 3ª media diCasciago riuniti inassemblea.

Nella foto della paginaaccanto, da sinistra: il preside delle mediedi Besozzo, il professor De Bonito, la professoressaFederica Lucchini e i trestudenti del liceo classico di Varese, Federica Santoro,Matteo Chilese ed EleonoraPermurian Tamburini chehanno “raccontato” ai ragazzi la loro visita di istruzione nei campi di concentramento.

Il contemporaneo,emozionante incontro con un ex deportato

Page 50: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

I nostriragazzi

Vorrei a mia voltapoter testimoniare

Quattro ragazzi del liceo classico Cairoli sono venuti araccontarci la loro esperienza e ad esprimerci le sensa-zioni che hanno provato quando hanno visitato i campidi concentramento di Mauthausen e Terezin.… È stato un incontro molto utile, ho capito molte cose.E se anch’io avrò la possibilità di visitare quei luoghi, po-trò a mia volta testimoniare tutto questo ad altri ragaz-zi.

Paolo Siniscalchi

Un’esperienza chepuò cambiare la vita

A me è piaciuta molto l’iniziativa dei ragazzi che rac-contano ad altri ragazzi quello che hanno visto. In par-ticolare mi ha colpito una delle testimonianze, perché ilsignificato era chiaro: un’esperienza così ti cambia lavita.[…] È stato coinvolgente il modo in cui ci spiegavano tut-to ciò che noi non abbiamo ancora potuto vedere.Spero che oltre a loro ci siano molte altre persone che pos-sano spiegare il grande errore che è stato commesso inquel terribile periodo.

Marco Ciotti

50

Uccidevano e poitornavano in famiglia

Alcuni ragazzi del liceo classico di Varese hanno volu-to condividere con noi le emozioni che hanno provato du-rante la loro visita nei campi di sterminio. Hanno proiet-tato delle diapositive e un video molto commovente…Di fronte a quella crudeltà non riesco a capire come queicarnefici potessero, magari alla sera, tornare a casa e ab-bracciare la propria famiglia come se non fosse succes-so nulla. Ora l’unica cosa che ci resta da fare è non di-menticare, in modo che queste tragedie non vengano piùripetute.

Elia Somaschini

La loro emozioneè ora anche nostra

Io ringrazio i ragazzi del liceo che hanno voluto tra-smetterci le loro emozioni e sensazioni durante la visi-ta ad alcuni campi di concentramento, dove moltissimepersone innocenti hanno perso la vita. Grazie anche peraverci fatto capire meglio questa terribile tragedia.

Mirko Galetti

È stata unalezione di storia

Sono molto contenta di aver potuto assistere all’incon-tro con alcuni ragazzi del liceo Cairoli di Varese sull’e-sperienza fatta con la visita ai campi di concentramen-to di Fossoli, Mauthausen e Terezin. Con parole che ve-nivano dal cuore, ci hanno trasmesso la sofferenza e il pian-to. Hanno visitato le camere a gas, il crematorio, la sca-linata della morte… che noi grazie al loro racconto sia-mo riusciti ancora di più a capire quello che ci voleva-no trasmettere, cioè che è necessario conoscere quel cheè accaduto…

Elena Clerici

“Sono venuti dal liceo a raccontar

Page 51: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

51

Mauthausen: la “scalinata della morte”

La doccia della morteHai ucciso migliaia di persone:entrando, pensavano di lavarsidi non morire soffocati dal gasche usciva dai tubi come acqua.Sotto gli ordini di uomini crudeli:prima uccidevanopoi andavano a casa dalla moglie e dai figlicome se non fosse successo nientecome se la vita di un ebreonon contasse niente.(3B Casciago)

L’entrata al lager L’entrata buia nel campodi sterminio di Auschwitzlasciava abbandonare ogni speranza.La speranza di viveresvaniva appena varcavi la porta

dell’“inferno”.Solo pochi tornavanoa casa con la vogliadi vivere e ricordare.

Melissa Forin(3A Besozzo)

La Shoah

Male, odio e distruzioneracchiusi in molte ore di lezione.Una tragedia così orribilecon un numero di morti

ormai non più contabileQuella gente strappata e deportataper la sola colpa di essere nata.Ormai i nomi come Auschwitz,

Mauthausen e Treblinkaci suonano familiari:hanno contenuto lo sterminiodi così tanti mortida poter riempire tutti i mari.

Ilaria Gianoli(3A Besozzo)

Fiori recisi

Mi ha trafittacome una lama di ossidianal’efferatamorte dei bambini di Terezin.(3A Besozzo)

Perché?

Nessuna risposta.Tutto tace.Quale misterioso

e arcano danno avrebbero maipotuto compiere?Nessuno lo sa.Sono solo sfortunati fiori nati

tra le rocceaguzze e imperviedoveuna mano instupidita dalla pazziali recide.Nullaormai si può piùse nonil più silente ricordo

Costanza Rendini Manzoni(3A Besozzo)

rci il lager”

ScalinataAltaRipidaGradiniMassicciErosiDal passo pesante.Hai visto viteDisperateSpezzateOcchi innocentiVuotiAtterritiSenza speranza.SpalleSpossateDeformateDal peso.L’orroreDi ogniGiornoNel vedereLa morteRotolareDalla scalaProprio da questa ripida scala

Alessandro Bresciani (con la collaborazione di Mattia Martinazzoli, TiffanyBretoni e Elena Crestati, scuola media Casciago).

Page 52: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

52

BIBLIOTECA

Tre volumi per orientarsi nella storia d’Italiadel XX secolo Il lavoro era stato concepitoinizialmente come uno stru-mento da affiancare alla col-lana “Storia del XX secolo”promossa dall’Istituto na-zionale per la storia del mo-vimento di liberazione inItalia, di cui sono effettiva-mente usciti alcuni volumi.Varie vicende ne hanno ral-lentato la pubblicazione, in-fine grazie alla disponibilitàdel ministero per i Beni cul-turali, nelle persone diSalvatore Italia e in partico-lare di Antonio Dentoni-Litta,all’operosità intelligente deldirettore scientifico del-l’Insmli, coadiuvato da unasquadra di giovani volente-rosi presso l’Insmli, nonchédi redattori capaci quali PaolaRadaelli e Francesco Zago,si è giunti alla pubblicazio-ne del lavoro. Si tratta un’o-pera poderosa, strutturata intre volumi. Il primo è dedi-cato agli elementi struttura-li della storia italiana del XXsecolo, nel secondo vienepresentato un quadro degliistituti, delle associazioni,dei finanziamenti per la ri-cerca specificatamente de-dicati alla storia contempo-ranea e nel terzo vengonoanalizzate le fonti docu-mentarie.Come avvisa Claudio Pavonenella sua introduzione, non sitratta di un’opera rivolta allettore magari appassionatoma profano, quanto piutto-sto al ricercatore. L’opera in-

fatti consente a chi vogliaavvicinarsi alla ricerca nelcampo della storia contem-poranea la possibilità di in-dividuare moltissime infor-mazioni e suggestioni chegli consentiranno di orien-tarsi. Infatti la storia con-temporanea non manca cer-to di fonti e strumenti, sem-mai il problema è quello ditrovare una bussola per nonsmarrirsi di fronte ad un ma-re magnum siffatto.All’interno del volume de-dicato agli elementi struttu-rali spicca una complessacronologia che permette dicomprendere la complessitàdel Novecento italiano, cosìcome i capitoli dedicati allostudio della legislazione co-munale e provinciale. Valela pena di ricordare che al-cune trattazioni, dalla storiaeconomica a quella religio-sa, sono del tutto nuove e an-che in considerazione di que-sto si auspica di poter rea-lizzare una serie di volumipiù contenuti in versionecommerciale. Scorrendo lepagine del secondo tomospicca la ricchezza degli isti-tuti e delle associazioni cheormai da tempo si occupanocon passione di approfondi-re lo studio del Novecento,che sempre più appare ai no-stri occhi come un secolo dimodernità e barbarie. Ma for-se il volume che più sembracostituire uno strumento for-midabile soprattutto per i gio-

vani studiosi è quello con-sacrato alle fonti. Qui tra-spare la passione di ClaudioPavone che allo studio degliarchivi ha dedicato una vi-ta: dal saggio di PaolaCarucci che getta una lucesul funzionamento degli ar-chivi fino ai saggi in cui sianalizzano le fonti cinema-tografiche e orali ci trovia-mo di fronte ad una disanimadelle fonti documentarie ine-renti alla storia italiana delXX secolo di grande spes-

sore, ricca di suggestioni perdare inizio a ricerche nuove,capaci di schiudere infinitimondi di conoscenza.

Storia d’Italia nel secoloventesimo.

Strumenti e fonti,edito a cura del

ministero dei Beni culturali e Insmli

Anche col governo Badoglionon fu facilela reintegrazione degli ebrei

Il corposo volume, dedi-cato da Giovanna D’Amicoal complesso tema dellareintegrazione degli ebreinell’Italia repubblicana, siarticola in due parti distin-te: nella prima viene af-frontato il nodo della rein-tegrazione nel lavoro e del-la restituzione dei beni ri-spetto alle norme vessato-rie varate dal regime fa-scista fino alla sua caduta,nella seconda invece si af-fronta il problema della re-stituzione rispetto alle nor-me persecutorie emanatedalla Repubblica di Salò. Le questioni affrontate so-no estremamente com-plesse: spesso i decreti leg-

“Quando l’eccezione diventa norma”, un interessantestudio di Giovanna D’Amico

di Alessandra Chiappano

ge seguivano vie tortuose,alcuni articoli chiave ve-nivano modificati, a se-conda delle differenti pres-sioni che erano esercitatesui legislatori, oppure per-ché risentivano dei muta-menti politici. Giovanna D’Amico non so-lo è riuscita a muoversi inuna materia difficile, ma èevidente che lo ha fatto at-traverso una duplice pro-spettiva: quella della pas-sione e quella della ragio-ne. Si nota infatti il rigoredella storica che cerca disciogliere nodi ostici, didomare documenti che nonsempre sanno parlare, masi percepisce anche la pas-

Page 53: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

53

sione che scaturisce dalconfronto serrato con pro-blematiche irte di contrad-dizioni.Le norme che reintegrava-no gli ebrei nei loro diritticivili e politici vennero ap-provate nel regno del Sudgià nella seduta delConsiglio dei ministri del28 dicembre 1943, mentreil decreto legge che dispo-neva della restituzione deibeni venne approvato solonell’autunno del 1944. Ildecreto legge del 20 gen-naio 1944 era la risultanzaanche delle pressioni al-leate e la prima stesura evi-denzia ancora permanenzerispetto alla discrimina-zione posta in essere dalfascismo, soprattutto là do-ve si impone di segnalarenei registri di stato civile“l’appartenenza alla razzaebraica”. Tale norma, con-testata anche dagli alleati,scomparve nel testo dellaquarta bozza. Ma le persi-stenze con lo stato fascistaerano palesi anche là dovesi parlava di riammissionenei pubblici uffici, ma nonsi faceva cenno a nessun ti-po di indennità economicaper il periodo intercorso trail licenziamento e la resti-tuzione del posto di lavoro.La questione della restitu-zione dei beni sottratti agliebrei venne affrontata apartire dall’agosto 1944 dalgoverno Bonomi, ma l’iterdel decreto non fu per nul-la lineare e si giunse all’e-manazione di una appositalegge soltanto il 29 set-tembre 1944.Anche la questione dellarestituzione dei posti di la-

voro fu assai complicata:più semplice fu la situa-zione per coloro che face-vano parte dell’ammini-strazione statale, assai piùcomplicata per chi lavora-va presso ditte private. Unadelle questioni più spino-se fu quella riguardante ilpagamento degli stipendiarretrati, che alla fine fuconcesso solo in parte. La situazione era compli-cata dal fatto che i primigoverni dell’Italia postfa-scista erano impegnati an-che nella epurazione diquanti avevano goduto diaccelerazioni nella carrie-ra grazie a benemerenze fa-sciste. La condotta adotta-ta fu varia: alcuni si vide-ro retrocessi, altri licen-ziati. Merita una menzio-ne il caso di Giorgio DelVecchio: filosofo del dirit-to, era stato licenziato nel1938 in seguito alle leggirazziali, fu reintegrato nel-l’agosto 1944 e sospeso nelnovembre in virtù del suopassato fascista fino al lu-glio 1943. Del resto unaparte del mondo ebraico as-sunse un atteggiamento cri-tico nei confronti di chi,come Silvio Ottolenghi eDante Almansi che aveva-no mantenuto con il passa-to regime fascista rappor-ti di acquiescenza. Anchele riassunzioni in servizio,sebbene previste dalle nor-me, presentavano proble-mi di non facile risoluzio-ne: come collocare coloroche erano subentrati ai per-seguitati? Questo valevasia per quanti chiedevano diessere reintegrati all’in-terno degli uffici della pub-

blica amministrazione, siaper coloro che avevano bi-sogno di licenze concessedallo stato, come nel casodei tabacchi e delle farma-cie. Generalmente ai per-seguitati era restituito il po-sto che avevano occupatoprima del licenziamentoforzoso, ma non sempre ciòera possibile, perché nelfrattempo si erano verifi-cati trasferimenti e con-corsi.La questione più vexataconcerneva la restituzionedei beni: come comportar-si nei confronti di coloroche avevano acquistato ibeni degli ebrei, che in virtùdella legislazione razzistanon potevano mantenernela proprietà? Uno dei casipiù interessanti riguarda laditta Tecoel. AmilcarePiperno Alcorso aveva do-vuto cedere alle sue mae-stranze tre ditte di sua pro-prietà e queste avevano da-to vita alla Società anoni-ma tessuti e confezioni ele-ganti. Alla liberazione diRoma, Piperno cercò di ri-tornare in possesso dellesue ditte, ma i lavoratori sisarebbero opposti. Con ilavoratori si schierò nonsolo il ministro delle

Finanze Pesenti, comuni-sta, ma anche l’ala sinda-cale della DemocraziaCristiana, mentre laComunità Ebraica prese leparti di Piperno.L’analisi della documen-tazione sulla restituzionedei beni dimostra che i go-verni progressisti mentreavevano recepito le istan-ze dei lavoratori, non ave-vano colto le ragioni realiche spinsero molti ebrei avendere o svendere i pro-pri beni: la paura della per-secuzione. Anche le normative voltea disciplinare la riammis-sione in servizio dei per-seguitati politici e razzialidimostra come spesso i le-gislatori si attenessero anorme di per sé accettabi-li, ma discutibili se si pen-sa al vulnus rappresentatodalla legislazione razzista;questo traspare se si ana-lizza la documentazionesulla riammissione in ser-vizio dei militari allonta-nati perché ebrei: un nu-mero complessivamenteesiguo venne reintegrato enon è dato sapere quanti sisiano effettivamente sot-toposti alle prove previsteper la reintegrazione. Sono di grande interesseanche i capitoli in cuiGiovanna D’Amico ana-lizza la genesi e la succes-siva pubblicazione dei con-corsi riservati ai persegui-tati politici e razziali. Quisi coglie, almeno all’iniziodel complicato iter legi-slativo, un trattamento difavore nei confronti dei re-duci di guerra: soltanto do-po discussioni, proposte e

Giovanna D’Amico,Quando l’eccezione

diventa norma. La reintegrazione degli

ebrei nell’Italia postfascista,

Bollati Boringhieri,Torino 2006,

pp. 390, euro 39,00

Page 54: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

54

BIBLIOTECA

bozze di decreti legge, siarrivò ad una imperfettaequiparazione tra i reduci ei perseguitati per motivipolitici e razziali, come di-mostra il fatto che si arrivòall’emanazione di concor-si riservati per questi ulti-mi solo dopo estenuanti ri-chieste e pressioni. Nellaseconda parte della sua mo-nografia GiovannaD’Amico si sofferma sullarestituzione dei beni in rap-porto alle normative postein essere dalla Repubblicadi Salò. Anche in questocaso si può cogliere unacerta linea di continuità trafascismo e stato repubbli-cano. Particolarmentedelicato fu il problema del-la restituzione degli allog-gi, soprattutto a Trieste:non sempre era facile per ilegittimi proprietari rien-trare in possesso delle pro-prie case, e quando anche cifossero riusciti assai spes-so le trovavano completa-mente depredate.Rispetto a questa delicatatematica il decreto legge

393/1946 accoglie sostan-zialmente il principio del-la “buona fede degli ac-quirenti” costringendo co-sì gli antichi proprietari apagare un corrispettivo perla conservazione degli im-mobili. Tuttavia i legisla-tori accolsero la totale inef-ficacia della legislazionedi Salò e cercarono di agi-re in modo più reciso neiconfronti della razzia deibeni, ma in concreto la lo-ro restituzione risultò as-sai più evanescente. Infine come conclude Gio-vanna D’Amico era possi-bile restituire “il danno mo-rale, gli anni di scuola per-duti, l’offesa? Per fare que-sto si sarebbe dovuto tra-valicare l’ordinamento giu-ridico italiano, andare nonsolo oltre Salò, ma ancheoltre il regime monarchi-co-fascista; inventare in-somma una normativa spe-cificatamente pensata perle vittime di crimini inusi-tati, fare tabula rasa del pas-sato: questo non avvenne”.

Quando risuonano le campane della pace

Un libro a cura di David Bidussa

Sogni di uomini del Nove-cento. Sogni di uomini chehanno fatto anche la storiadel secolo appena passatodietro le nostre spalle. Da

di Adolfo Scalpelli Martin Luther King aFranklin Delano Roosevelt,da Churchill a Mandela, daChe Guevara a SalvadorAllende, a Giovanni XXIII,a John Kennedy, a Sadat, aRabin. Ognuno con il suosogno. Per un sogno rea-

lizzato ancora tante spe-ranze sopravvivono nelmondo.Martin Luther King: “Ioho davanti a me un sogno,che un giorno perfino lo sta-to del Mississippi, uno sta-to colmo dell’arroganza del-l’ingiustizia, colmo del-l’arroganza dell’oppres-sione, si trasformerà inun’oasi di libertà e di giu-stizia”.Nelson Mandela: “Nel cor-so della mia vita… ho com-battuto contro la domina-zione bianca e ho combat-tuto contro la dominazionenera: ho accarezzato l’i-deale di una società demo-cratica e libera in cui tuttele persone vivano insiemein armonia e con pari op-portunità”.Papa Giovanni XXIII (altermine della giornata diapertura del ConcilioVaticano II): “Cari figlio-li, sento le vostre voci. Lamia è una sola, ma rappre-senta tutte le voci del mon-do; e qui, di fatto, il mondoè rappresentato… Noi chiu-diamo una grande giorna-ta di pace… Sì, di pace:Gloria a Dio, e pace agliuomini di buona volontà”.John Fitzerald Kennedy(nel discorso di Berlino del1963): “Voi [berlinesidell’Ovest] vivete in un’i-sola fortificata della libertà,ma la vostra vita è parte del-la vita del mondo intero.Vorrei quindi chiedervi dilevare lo sguardo oltre i pe-ricoli di oggi e verso la spe-ranza di domani; di guar-dare oltre la mera libertà diBerlino e della nazione te-desca verso l’affermazio-

ne della libertà di ogni par-te del mondo; di levare i vo-stri occhi oltre il muro ver-so il giorno della pace e del-la giustizia, di guardare ol-tre voi stessi e noi stessiverso tutta l’umanità”.Anwar Al-Sadat ( discor-so al Parlamento israelia-no del novembre 1977):“Mi trovavo nella posizio-ne di un uomo che imploraper la pace e per un cessa-te il fuoco… Firmai il pri-mo trattato di tregua [conIsraele], seguito dal secon-do dell’incontro sul Sinai…Motivato da questi fattori,ho anche deciso di venirequi con una mente e un cuo-re aperti, con la consape-vole determinazione cheriusciremo a stabilire un ac-cordo di pace stabile e fon-dato sulla giustizia…Quando le campane dellapace risuonano, non ci so-no più mani libere per bat-tere i tamburi della guer-ra”.Vaclav Havel:“Arrestiamo, tutti quantiinsieme, la funesta pazziadel mondo, sbarriamole ilpasso con una pazzia di-versa, migliore: la pazziadella nostra visione di unacomunità europea unita nel-la pace, la pazzia della no-stra coscienza europea”.Yassir Arafat: “La mia

I have a dream, a cura

di David Bidussa, Bur, 2006, euro 5,00

Page 55: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

55

gente nutre le speranza chel’accordo che oggi firmia-mo [settembre 1993, con ilpremier israeliano Rabin]segni l’inizio della fine diun capitolo di dolore e sof-ferenze che si è protrattoper tutto questo secolo”.Ytzhak Rabin: “Vogliamoaprire un nuovo capitolonel triste libro della nostraconvivenza, un capitolo diriconoscimento reciproco,di buon vicinato, di mutuorispetto, di comprensione.Speriamo di imbarcarci in-sieme in una nuova era peril Medio Oriente… Signoree signori, il tempo per lapace è giunto.”.

Nel destino di Rabin c’eraun Caino in attesa conun’arma che ha ucciso l’uo-mo, non la speranza di pa-ce (lontana) che ancora so-pravvive in un’area tor-mentata oggi, XXI secolo,più di ieri. Il sogno di Rabincontinua, così come conti-nuano quei sogni ancora ir-realizzati degli altri prota-gonisti i cui discorsi sonoraccolti in queste pagine.Quei sogni di pace e diuguaglianza di fronte ai di-ritti dell’uomo, sono statiil motivo delle passioni edelle lotte di vite intere chehanno percorso il XX se-colo, che hanno pervaso efruttificato nello spirito del-la gente in Europa, in Asiae nelle Americhe.Il sogno politico “ è essen-zialmente un atto”, notaBidussa nell’introduzionedensa di spunti e di rifles-sioni. Il sogno è frutto diuna situazione tormentata,inquieta, angosciante, con-

traddittoria. È la speranza discoprire una strada diver-sa, una via d’uscita alla po-vertà, alla schiavitù, al-l’oppressione, alla guerra,una via d’uscita che non siaun altro percorso di tor-mento.Il XX secolo, il più violen-to della storia, sta alle no-stre spalle con le sue dueguerre mondiali, le depor-tazioni di massa, uno ster-minio che resterà inenarra-bile, le sue guerre colonia-li, le sue dittature fascistein nazioni importantidell’Europa, le sue guerrecivili.Era giusto sognare un mu-tamento di scenario, guar-dare al futuro, coscienti delcosto delle battaglie per lalibertà. Questi discorsi rac-colti e ordinati, queste te-stimonianze del tempo e de-gli uomini di quel tempoche è stato appena ieri, so-no collocati da Bidussa nonin un ordine freddamentecronologico, ma disposti incategorie non separate madistinte tra “la retorica delsogno” e il “sogno del ri-scatto”, tra i “suscitatori disogni” e “il sogno della pa-ce e della concordia” conuno “scenario universali-stico” disegnato da ThomasW. Wilson e che fu laSocietà delle Nazioni,un’effimera presenza nel-la storia.Qualcuno di questi sogni èdiventato realtà, non si èdissolto alle prime luce del-l’alba, quelle parole hannoseminato speranze su cuiqualcosa si è costruito. Altrisogni sono rimasti sogni.Ma continuano a seminare.

Brunello Mantelli, Da Ottone di Sassonia

ad Angela Merkel.Società, istituzioni, po-

teri nello spazio germa-nofono dall'anno Mille

ad oggi, UTET, pp. 301, euro 22,50.

Mille anni di storiache aiutano a conoscerela Germania di oggi

Un saggio di Brunello Mantelli

Il lavoro di BrunelloMantelli è prezioso, ci per-mette infatti di avvicinar-ci al mondo tedesco attra-verso una monografia agi-le, ma nel contempo seria,aggiornata e documenta-tissima sul piano storio-grafico. Non era una impresa faci-le quella di condensare unastoria millenaria in una sin-tesi di 300 pagine, ma mipare che Mantelli abbiavinto la sfida. Come del resto egli stessopremette nell’introduzio-ne, è più che legittimo sce-gliere e selezionare i nodiche dal punto di vista dichi scrive sono ritenuti es-senziali, ma è una virtùquella di rendere com-prensibile l’essenzialità,riuscendo a disegnare at-traverso poche, ma incisi-ve pennellate un potentequadro di insieme che cipermette di comprendere“lo spazio germanofono”,dal Medioevo fino alla na-scita del Reich e ancora fi-no alla sconfitta nazista ealla nascita della Germaniaunificata. Del resto, avvicinarsi allaGermania e conoscere unpoco più a fondo la sua sto-

ria, il suo non facile pro-cesso di unificazione, si-gnifica gettare una luce suuno dei nodi storiograficisu cui maggiormente han-no discusso gli storici: co-me è stato possibile il na-zismo? Se da una parte Mantellisembra rifiutare il concet-to di Sonderweg, dall’al-tra sostiene con forza chela deriva nazista non eraaffatto così prevedibile:senza la grande crisi eco-nomica del 1929 probabil-mente Hitler sarebbe ri-masto l’oscuro leader di unpiccolo partito antisemita.E a proposito dell’antise-mitismo, Mantelli ci fa no-tare quanto il sentimentoantigiudaico fosse radica-to nell’Europa dei primidel Novecento, e come es-so si sia saldato con ildarwinismo, dando così vi-ta ad una miscela esiziale,destinata ad esplodere e adiventare politica di statonella nazione europea do-ve erano più fragili le isti-tuzioni, l’attaccamento al-la repubblica e alle sue re-gole democratiche.Proprio sul nazismo, sullasua guerra di sterminio,sulla Shoah Mantelli scri-ve pagine incisive e digrande chiarezza: innanzitutto ci ricorda che la re-pressione e in particolarei KL non furono un acces-sorio, ma un elemento co-stitutivo del regime hitle-riano: in soli sei mesi vie-ne spazzata via una re-pubblica democratica e in-staurato un regime di ter-rore che ha nel sistema deiKL un perno non di poco

Page 56: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

56

conto: “Come è noto, ilpercorso verso la dittatu-ra avrebbe richiesto allaNsdap e al suo leader pochimesi: alla fine di giugno1933 il tessuto politico eistituzionale della demo-crazia weimariana era sta-to irrimediabilmente lace-rato e sulle sue ceneri erasorto il Terzo Reich. il 20marzo era stato aperto ilprimo Konzentrationslagerper gli avversari politici:Dachau. In un certo senso,è come se i tempi di avvi-cinamento e di gestione delpotere in direzione autori-taria fossero stati invertiti,tra fascismo e nazionalso-cialismo: giunto presto algoverno il primo, ebbe bi-sogno di una fase relativa-mente estesa per trasfor-marsi in regime; passatoattraverso un lungo perio-do di attesa il secondo, unavolta alla testa dello statoconobbe una brusca acce-lerazione verso la dittatu-ra”. Qui è possibile cogliereuna interessante osserva-zione mantelliana: là do-ve postula la primogenitu-ra del fascismo per quelche concerne la creazionedei regimi autoritari svi-luppatesi nel primo dopo-guerra in varie partid’Europa, ci mette in guar-dia dal rischio di addossa-re al nazismo tutte le col-pe: se è vero che la bruta-

1943: milioni di personetrattate come schiavi

La questione della manodopera era a questo puntoeffettivamente cruciale, per due diversi motivi: da unlato buona parte degli uomini validi erano sotto learmi al fronte orientale, dall’altro il gruppo dirigentevoleva il più possibile evitare di far ricorso all’impie-go di donne nella produzione industriale, vedendonella tradizionale organizzazione familiare un pun-tello dell’ordine sociale autoritario. Giocoforza era perciò rivolgersi alle riserve costitui-te da lavoratori stranieri provenienti prima dai paesialleati, poi da quelli occupati. Nel 1943 erano ben7.000.000 i lavoratori stranieri attivi nell’economiadi guerra tedesca, in gran parte trattati come schiavi;a essi si aggiungevano i deportati nei Lager, in con-dizioni ben peggiori.Le decisioni prese in rapida successione all’inizio del1942 rappresentarono l’ultimo guizzo del cervellostrategico del Terzo Reich, che negli oltre tre annisuccessivi rimase sostanzialmente paralizzato; daallora in poi infatti troviamo solo svolte tattiche, mal’unica prospettiva restava quella del tener duro piùa lungo possibile, nella speranza da un lato che laricerca militare mettesse a disposizione le fantomati-che armi segrete di cui molti favoleggiavano, dall’al-tro che la sicuramente strana alleanza tra le demo-crazie anglosassoni e l’URSS staliniana si frantu-masse, nel qual caso sarebbe potuta tornare all’ordi-ne del giorno una qualche forma di compromessocon i britannici.Miti che restarono vivi fino al collasso finale di apri-le-maggio 1945, ma che comunque si fondavano sueventi esterni e incontrollabili anche dai decisori delpiù alto livello.Tratto dal libro “Da Ottone di Sassonia ad AngelaMerkel” di Brunello Mantelli

lità e la guerra di stermi-nio posti in essere dal na-zismo non ebbero egualinella storia europea, tutta-via questo non deve farciperdere di vista i molte-plici delitti compiuti dairegimi fascisti.

Nei pochi, ma densi capi-toli dedicati alla disanimasul nazismo e sull’esitodella seconda guerra mon-diale, Mantelli affrontaquestioni storiografica-mente rilevanti: la radica-lizzazione della guerra ad

Est, il processo decisiona-le che portò allo sterminiodegli ebrei d’Europa, losfruttamento della mano-dopera nei circuiti dei KL,fino alla caduta degli dei,contrassegnata dalla na-scita di forme di resisten-za nate solo nell’ambientemilitare. Non meno interessanti i ca-pitoli dedicati alla storiadella Germania dal dopo-guerra ad oggi: l’occupa-zione, la tragedia dei pro-fughi, la divisione, i pro-cessi di denazificazione,non privi di ambiguità, lanascita della Ddr, la con-testazione giovanile e lalenta presa di coscienza ri-spetto al proprio passato,fino agli anni tumultuosidella riunificazione. Capire la Germania non èrilevante solo rispetto al-la riflessione sul nazismo,ma lo è anche per com-prendere l’oggi: il contri-buto dato dalla Germaniaalla nascita dell’Europanon è di poco momento e lesperanze di una reale uni-ficazione passano ancheattraverso le politiche chesaranno poste in essere daBerlino. Dunque comprendere laGermania non solo per ri-flettere sul passato, sullagenesi, sullo sviluppo deifascismi europei, ma an-che per capire l’Europa dioggi. A.C.

Page 57: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

57

BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

La Russia di Putin, Adelphi, Milano 2006, pp. 293, euro 18,00

Anna Politkovskaja

Putin, ambizioso ex ufficiale del Kgb, capo della nuovaRussia, resta sempre sullo sfondo di questolibro di appuntiappassionati come lo aveva definito l’autrice prima delsuo recente assassinio a margine della vita come la si vi-ve oggi in Russia. Ma Putin c’è. Non lo si vede ma se neavverte il ruolo. Si sente il suo respiro, si coglie la sua stra-tegia. Una vita, quella di oggi in Russia, dove le speran-ze di una piena democrazia sono state affossate da una po-litica segnata dai massacri in Cecenia, dallo stato di po-lizia, dalle degenerazioni militari, dallo spionaggio mer-cenario, dal crack economico che ha tagliato le gambealla giovanissima media borghesia e ha dato la stura aduna mafia potente e criminale. Dal bagno di sangue nelteatro Dubrovka di Mosca e dalla strage dei bambini inOssezia. Putin, bravo ragazzo nella propaganda di certiambienti occidentali, ora è nudo. Anna è morta per que-sto gesto eroico e civile ma il libro resta come atto di ac-cusa insuperabile. È una requisitoria contro un regimeche dietro il volto di una democrazia nascente nascondei tratti di un sovietismo a tutto tondo. Uscito per la pri-ma volta in Inghilterra nel 2004, il volume esce in Italiatradotto dall’inedito russo.

Sragione di Stato. Parla il generale braccio destro diDalla Chiesa, Bur Rizzoli, Milano, 2006, pp. 188, euro 9,20.

Camillo Arcuri

Cronista di razza, inviato speciale de Il Giorno di Italo Pietrae poi del Corriere della Sera, Camillo Arcuri ripercorre lalunga stagione del terrorismo brigatista, massonico-devia-to e fascista, proponendo lo scenario inquietante e clande-stino di quelle forze, raccolte attorno alla P2 di Licio Gellie di una schiera infinita di funzionari dello Stato passati alservizio dell’eversione, molti smascherati, altri rimasti nel-l’ombra, che avevano come compito quello di scardinare lademocrazia del nostro Paese. Il primo tassello della ragna-tela è il Piano Solo (solo i carabinieri) di De Lorenzo, perpassare al tentato golpe del principe nero Junio ValerioBorghese rinviato in extremis, alle bombe contro gli inno-centi cittadini di Milano, di Brescia e di Bologna e dei tre-ni bersaglio degli attentatori sino agli scandali TelecomSerbia e Mitrokin. Fra queste oscure nubi che offuscaronoe offuscano l’Italia, spicca con la sua limpidezza, il suo co-raggio, la sua fedeltà alla Repubblica un ufficiale deiCarabinieri, Nicolò Bozzo, che dal primo incarico di gio-vane tenente (era il 1964) sino allo scettro di comandantegenerale della “Pastrengo” (il ruolo ricoperto dal suo “mae-stro” Carlo Alberto Dalla Chiesa) si batterà per dare un vol-to agli eversori. Bozzo parla pubblicamente per la primavolta. Basta questo per comperare il libro, prezioso docu-mento di storia contemporanea.

L’amore mio non può, Edizioni e/o, Roma, pp. 147, euro 14,50

Lia Levi

Lo scenario è quello delle infami leggi razziali del 1938che colpiscono la comunità ebraica nazionale in parte integratacol fascismo costituita da circa 50 mila persone. Una mi-noranza estrema. Gli ebrei vengono progressivamente mes-si ai margini della società, senza lavoro, senza scuola, sen-za speranze, additati al ludibrio popolare. All’interno del dram-ma maturano e esplodono situazioni personali sconvolgenticome questa che Lia Levi con la penna leggera e sofferta checonosciamo racconta sullo sfondo di Roma del 1939. Un uo-mo spezzato dal dolore si uccide gettandosi dal muraglio-ne del Pincio. Lascia alla moglie uno scritto, breve ma in-tenso. Il messaggio è di salvare in ogni modo la piccola fi-glia dal terrore che presto si scatenerà. Elisa non ha dena-ro. Povera, si adatta a far la domestica in casa di altri ebreiche non le renderanno la vita facile. Ma il destino è alleporte e segnerà per Elisa e per Lilia, la figlioletta di dieci an-ni, una sorte diversa da quella programmata dal regime.

“Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismoin Italia, 1943-1948, il Mulino, Bologna 2006, pp. 438, euro 25,00.

Giuseppe Parlato

È condivisibile l’amara considerazione di Nicola Tranfaglia,primo scopritore negli archivi americani delle carte che cer-tificavano l’imprimatur Usa nel tentativo di mettere le ma-ni, con i resti dei neofascisti sopravvissuti alla Rsi, sulla co-stituenda Repubblica italiana. Ma al buon Tranfaglia checon quelle carte documentò l’arcano con il suo Come nascela Repubblica (Bompiani 2004) nessuno diede atto (noi peròlo recensimmo) mentre oggi le trombe pubblicizzano alla gran-de l’opera di Giuseppe Parlato, allievo di De Felice, di sim-patie destrorse. La ragione è intuibile. Parlato, partendo dal-lo stesso punto di Tranfaglia, tenta un’operazione sperico-lata la sua parte. Se da un lato l’Oss, i servizi Usa, aiutaro-no i fascisti a raccogliersi nel Msi in funzione anticomuni-sta come “forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerrafredda” con una collaborazione non secondaria della Chiesa,dall’altro lo stesso Togliatti non si tirò indietro aprendo leporte del Pci “ai fratelli in camicia nera” tentando addirit-tura “di annettere al partito la spina dorsale dell’ammini-strazione che aveva operato sotto Mussolini”. Siamo allesolite: laddove, con interpretazioni personalissime, c’è daspruzzare qualche getto di fango sulla storia della Resistenza,del movimento operaio, del Pci, della Cgil, i giornali, i cri-tici, certi storici, prendono la palla al balzo e riempiono pa-gine intere con il risultato di creare confusione come se nonce ne fosse abbastanza. Parlato legge i documenti in una luce “di parte” e, pur ac-cennando ai dirigenti missini coadiuvanti all’intelligenced’oltre Oceano, sorvola sul loro passato. Non un richiamoalla Rsi e alle nefandezze dei suoi gerarchi.

Page 58: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

58

BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

Quell’antico ragazzo. Vita di Cesare Pavese, Rizzoli, Milano, pp. 240, euro 17,50.

Lorenzo Mondo

Il tormentato percorso terreno di Cesare Pavese torna sot-to la lente interpretativa del suo maggiore studioso, LorenzoMondo, autore della monografia sullo scrittore del 1961per Mursia e curatore con Italo Calvino dell’EpistolarioLettere 1924-1950 del 1966 per Einaudi, in una chiavenuova. Mondo infatti ripercorre l’epistolario e il Mestiere di vi-vere, il diario che Pavese scrisse per quindici anni e ne ri-cava un giudizio che abbraccia l’intera opera letteraria,dai romanzi alle traduzioni, dalle poesie alle vicende bio-grafiche aggiungendo un tassello del tutto inedito. Un tac-cuino segreto che riapre in una luce nuova l’ambiguo rap-porto che Pavese ebbe con il fascismo e più in generale conil mondo della politica. Il viaggio è appassionante, gli spunti eccellenti. Il grandescrittore, vittima del male oscuro che si chiama vita e chesi uccise il 27 agosto 1950 all’Hotel Roma in un caldissi-ma Torino, riappare stretto nel gioco implacabile dellesue contraddizioni.

Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco,Feltrinelli, Milano, pp. 147,euro 14,00.

Giorgio Bocca

Il partigiano “giellista” Giorgio Bocca, medaglia d’ar-gento al Valore Militare, in splendida condizione mal-grado i suoi 86 anni, tira fuori le unghie quando senteattorno a sé puzza di delegittimazione della Resistenza.E così, anche se non lo dice, vuole rispondere con unracconto che sa di pulizia, di speranze, di stagioni straor-dinarie, di amicizie forti, di costumi trapassati, di idea-lità, alla sgradevolezza imperante sul tema, non ultimoil libro di Giampaolo Pansa sui misfatti, noti, del primodopoguerra. Bocca ha avvertito il pericolo da tempo. Capisce che sequalcuno non dà un colpo al timone, la barca già tra-ballante va a fondo. È un gesto estremo di coraggio in-tellettuale ma anche il desiderio di ridare memoria a chil’ha persa per scelta o per colpa. Il libro spazia nell’arco delle molteplici esperienze del-la lotta armata arricchite da aneddoti gustosi, con sul-lo sfondo il balcone delle sue montagne fra la Val Mairae la Val Varaita e le storiche figure dei comandanti delCuneese, Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, DettoDalmastro. Intellettuali e valligiani che, assieme, inquell’estremo lembo di terra aspra ed orgogliosa, fece-ro la loro parte per riscattare l’Italia.

Il pistarolo. Da piazza Fontana: trent’anni di storiaraccontati da un grande cronista, introduzione di Corrado Stajano, Il Saggiatore, Milano,pp. 383, euro 19,00.

Marco Nozza

Scomparso all’improvviso sei anni fa, Marco Nozza,grande giornalista de Il Giorno, ha lasciato nel cas-setto di casa un piccolo tesoro che finalmente vede laluce. È la meticolosa ricostruzione, compiuta per unaintera vita in prima linea, di quella guerra terribile e mi-steriosa nei suoi mandanti contro la Repubblica.Assassinii, stragi, tentativi golpisti quasi tutti rimastiinsoluti, complice un sistema politico corazzato al pun-to da impedire che l’assalto alla democrazia potesse,tranne rari casi (vedi Bologna) in qualche modo esse-re sanzionato. Eppure lo sforzo di magistrati e organi

di polizia, seppur intersecati da velenose interferen-ze, è sempre stato vigoroso, puntuale, spesso premia-to da esiti felici. Il “pistarolo” Nozza della genia degliObici, delle Andreoli, delle Cederna, dei Paolucci, deiFlamini, tanto per fare qualche nome nel generoso grup-po di quelle straordinarie penne, recupera dal fondodella memoria questo filo di un’esistenza vissuta alservizio del Paese. Un percorso non facile, minato da rischi della vita, gio-cato con la passione civile di essere testimoni e inter-preti presso i propri lettori della verità. L’impresa nonsempre si è compiuta. E Nozza, indimenticabile collega di lavoro, ha la capacitàdi offrire questo spaccato di realtà delle “piste nere” (maanche di quelle “rosse”) con l’efficacia della sua scrit-tura e della sua incrollabile fede nella libertà.

Page 59: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

59

I ragazzi del ‘36. L’avventura dei fascisti italiani nellaguerra civile spagnola, Rizzoli Storica, Milano, pp. 378, euro 23.

Massimiliano Griner

L’unico studio ragionato sugli italiani che andarono inSpagna a combattere coi tedeschi a fianco di Franco, a par-te i libri dell’epoca (quelli della propaganda fascista), uscìin Italia nel 1977 firmato dallo statunitense John F. Coverdaleper i tipi di Laterza. Oggi il giovane Griner, autore neglianni scorsi di ricerche sulle bande repubblichine di Kocke della “Muti”, riprende questo tema e ripropone uno spac-cato di storia patria del tutto (o quasi) ignorata. È utile sa-pere come Mussolini aggregò questi giovani italiani, cosapromise loro, dove li fece andare e come li utilizzò al co-mando di generali sanguinari e qualche volta del tutto ina-deguati (Edmondo Rossi a Guadalajara). Griner dà rispo-ste puntuali e sorprendenti. La molla che eccitò le reclute fu il denaro facendo leva sulbisogno economico. Denaro per sopravvivere sol se si pen-si che il Corpo truppe volontarie alla fine fu di 70 mila uo-mini. I primi (3 mila camice nere) pensavano di andare inAfrica Orientale a dissodare la terra. Non fu così. Molti persero la vita senza sapere bene il per-ché anche se la propaganda mussoliniana aveva esaltato lemire della Roma imperiale. Tornarono a casa mutilati, fe-riti, segnati nello spirito. Dimenticati. Griner li recuperadall’angolo in cui erano finiti raccontando con rigore la lo-ro tragedia di ignari fascisti (a parte qualche canaglia e mol-ti carrieristi).

Cronache mediorientali,Il Saggiatore, Milano 2006, pp. 1180, euro 35,00.

Robert Fisk

La politica mediorientale di George W. Bush è clamoro-samente fallita ma solo lui e il suo entourage credono chele sorti della guerra in Irak ultimo dannato capitolo diquella linea accesa per “esportare la democrazia” (tesicara anche al centrodestra di Berlusconi) sia alla lunga vin-cente. Se questo è solo l’ultimo tassello di una storia chedura da decenni sui vari fronti in cui gli Usa hanno cer-cato di mettere le mani per controllare il potere locale infunzione di interessi giganteschi (petrolio in primis), il li-bro di Robert Fisk, un vero monumento alla storiografiadi quella parte del mondo, ci aiuta a capire nel dettagliocosa sia accaduto e come l’informazione ufficiale l’abbiasempre occultato. Ci porta lungo la strada degli infiniti “perché”. Fisk ha vis-suto gli ultimi trent’anni fra Israele, Libano, Siria, Iran,Afghanistan, Iraq, Algeria, Kossovo, Bosnia sul frontedi guerra, una lunghissima unica guerra. Dopo sedici an-ni di scrittura ha presentato il conto della sua fatica. Unarequisitoria implacabile contro le illusioni di chi ha affi-dato alle bombe, ai massacri, ai golpe costruiti e gestitimilitarmente, il compito di “normalizzare” il camminodi interi Paesi alla caccia disperata di un equilibrio che nonhanno trovato mai. Per non è immaginabile raccontarequelle guerre senza denunciare torture, esecuzioni, ge-nocidi.

Che Guevara top secret, Bompiani, Milano 2006, pp. 156, euro 7,50.

Vincenzo Vasile, Mario J. Cereghino

Quando il 9 ottobre del 1967, il Che venne ucciso a fred-do dalla polizia boliviana dopo la cattura nella foresta diLa Higuera al termine di una caccia durata undici mesi, ilmondo intero non ebbe dubbi sul mandante dell’assassi-nio dell’eroe moderno che sognava di esportare il mes-saggio rivoluzionario nell’intera America Latina sottoscacco degli Usa. Gli odiati yankee. L’equazione Barrientos-Johnson, capi all’epoca dei due Paesi, parve il binomiopolitico reo del delitto. Gli Usa volevano evitare che ilcontagio potesse un giorno o l’altro raggiungerli. Oggi lecarte dicono una cosa opposta. Gli americani furono col-

ti di sorpresa dalla notizia della morte del Che né aveva-no stabilito, se catturato, di eliminare il capo guerriglie-ro. Qualche mese prima avevano suggerito semmai che“si facesse nel caso di arresto tutto il possibile per tener-lo in vita”. Temevano, a ragione, di contribuire a costruire l’immagineun martire. Il saggio di Vasile (giornalista dell’Unità stac-cato al Quirinale) e del ricercatore Cereghino che hannoscavato al National Archives di Washington ci presentaquello che è un vero scoop. Cade infatti il mito dell’efficienza dei servizi Usa, si rivelain tutta la sua pochezza il tessuto reazionario di una me-diocre classe politica boliviana. Chi avrà motivo di tirareun sospiro di sollievo, oltre agli assassini, saranno i sovieticiche avevano da tempo bollato il Guevara come un av-venturiero “bakuniniano”.

Page 60: euro 2,50 TRIANGOLO IT ROSSO · Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Il sistema concentrazionario creato dal regime fascista è uscito dall’oblio

60

Per questo la Fondazione Memoria della Deportazione– che fa parte dell’Istituto nazionale per la storia delmovimento di liberazione in Italia – ha ritenuto utilepreparare una Mostra in occasione della Giornata delRicordo per metterla a disposizione di chi ne faccia ri-chiesta. La Mostra, che ha ottenuto lo scorso anno un notevolesuccesso, ha avuto il patrocinio del Presidente dellaRegione Lombardia ed è stata segnalata anche dall’UfficioScolastico Regionale per la Lombardia.

Il titolo generale della mostra è:

FASCISMO FOIBE ESODO

LE TRAGEDIE DEL CONFINE

ORIENTALEI 10 pannelli che la compongono (formato cm. 70 per cm.100) recano i seguenti titoli:1918 – 1922 Dopo la vittoria arriva il fascismo1922 – 1940 Proibita anche la messa in sloveno1941 – L’aggressione alla Jugoslavia1943 – L’occupazione tedesca1943 - 1945 La Resistenza antifascista1943 – 1945 La Risiera di San Sabba1945 – La tragedia delle foibe1946 – 1956 L’esodo dei 250 mila1946 – 1956 L’amara accoglienza

Ogni pannello è composto da brevi testi illustrativi euna documentazione fotografica.

La mostra può essere scaricata in formato A4 dal no-stro sito www.deportati.it cliccando su “Mostre”.

La Fondazione Memoria della deportazione è in gradodi fornire la mostra a chiunque ne faccia richiesta entroil 10 gennaio.

Il costo della mostra è di euro 300.

Anche quest’anno, il 10 feb-braio si celebra la “Giornatadel ricordo delle foibe e del-l’esodo”, istituita dal Par-lamento italiano. La nostra Fondazione – chesi occupa soprattutto delladeportazione politica neicampi di stermino nazisti –è da tempo impegnata anchenello studio di tutte le tra-gedie della seconda guerramondiale.

1

19181922

FascismoFoibeEsodo

Le tragedie del confine orientale

19181956

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONEMEMORIA DELLADEPORTAZIONE

ADERENTE ALL’INSMLI(ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE IN ITALIA)

PER SAPERNE DI PIÙIl litoriale adriatico nel nuovo ordine europeo 1943-1945

di Enzo Collotti (Vangelista editore)

Foibe di Raoul Pupo e Roberto Spazzali (Bruno Mondadori)

Esodo a cura dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia -dvd

Il lungo esododi Raoul Pupo (Rizzoli)

Con il patrocinio della Presidenzadel Consiglio Regionale della Lombardia

REALIZZATA DA BRUNO ENRIOTTI, DIRETTORE DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

CON LA COLLABORAZIONE DI ANGELO FERRANTI

GRAFICA DI FRANCO MALAGUTI E MARCO MICCICARTOGRAFIA DI ISABELLA CAVASINO

5LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

L’annessione di fatto al TerzoReich dei territori del confineorientale

sottratti alla sovranità italiana è la prima reazione da parte nazistaalla dissoluzione dell’esercitoitaliano dopo la caduta del fascismo del 25 luglio el’armistizio dell’8 settembre 1943.

1943

■ Il GauleiterFriedrich Rainer,un nazista cheodiava l'Italia con il prefetto di TriesteBruno Coceani.Secondo le suevalutazioni etnico-razziali il Friuli e la Venezia Giuliaerano per la gran parteestranei alla nazioneitaliana.

■ La copertina di un “manuale antipartigiano” distribuito alle truppe tedesche.

FascismoFoibe Esodo

■ Nella foto,l'insediamento alpalazzo di giustiziadi Trieste deltristemente notoPolizeifuhrerdelle SS Odilo LotarioGlobocnick,triestino di nascita,legato a Himmlere già organizzatoredi massacri in Polonia.Accanto allasvastica nazistal'alabardaemblema dellacittà giuliana. Nella foto in alto a destra, eccoGlobocnickpassare inrassegna le truppe.

mare Adriatico

Alpenv

orla

nd Terzo Reich

Territori occupatidi Carinzia e Carniola

RepubblicaSocialeItaliana

Regnodi Croazia

Litorale Adriatico

AdriatischesKustenland:

Litoraleadriatico dal 1943 al 1945

L’Adriatisches Küstenlandsopravvivrà per più di venti mesi.La Repubblica di Salò nascecome struttura amministrativa di collaborazione voluta dai tedeschi. Queste mutilazioniregionali la screditaronoulteriormente. L’Italia è privatabrutalmente della sovranità su

un’area in cui aveva profusol’ambizione nazionalistica diuna grande espansione neiBalcani e del controllo totaledell’Adriatico. Il Gauleiter Rainer, incaricatoda Hitler per le soluzioniamministrative e di gestione,impone condizioni durissimealle popolazioni con l’obiettivofinale di abbattere ogniresistenza e di annettere in via definitiva questi territori al Grande Reich.Le violenze e gli eccidiche vengono perpetratinell’Adriatisches Küstenland,con la complicità delle “bandenere” di Salò, aggravanoulteriormente le tensioninazionali nell’area giuliana, che nel dopoguerraconosceranno una nuovastagione di violenze di massa,questa volta a danno degli italiani.

Dal settembre del 1943 all’apriledel 1945 le province di Trieste,Gorizia, Udine, Pola, Fiume eLubiana furono riunite nella speciale zona di operazionedefinita Adriatisches Küstenland(litorale adriatico) che venneinclusa nelle struttureamministrative della Germanianazista. Analoga sorte subì la zona comprendente le province di Trento, Bolzano e Belluno.

La perdita di controllo dei territorientro i confini dello Stato italianoe anche di quelli sottoposti a occupazione militare, risultatodel collasso politico-militare del regime fascista, offre alla Wehrmacht la possibilità di occuparerapidamente l’area della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e del territorio dalmata.

L’occupazione tedesca

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

4

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

I l 6 aprile 1941 cinquantaseidivisioni tedesche, italiane,ungheresi e bulgare attaccano

da ogni parte il Regno diJugoslavia. La debole resistenzadel paese aggredito viene subitosopraffatta. Lo stato crolla,l’esercito si scioglie e laJugoslavia viene smembrata.

1941

■ In queglianni ilfascismoorganizza le“adunate”.Eccone unaa Trieste.

FascismoFoibe Esodo

L’aggressione alla Jugoslavia

■ Una sequenzafotografica fissa una strage fascista. I partigiani della zona vengono spinti a calci. Poi salutano a pugno chiuso: una raffica spegne le ultime grida.A destra, un altromassacro .

■ Famiglie di internati nel campo di concentramento di Gonars (Udine).

Ante Pavelic̆, un criminale di ideologia nazifascista, mentre Aimone di Savoia vienedesignato re con il nome di Tomislavo II. Il regime di occupazione della Jugoslaviada parte della Germania e deisuoi alleati fu spietato. Migliaiadi persone vennero uccise ecentinaia di villaggi incendiati.La resistenza all’occupazione si sviluppò sin dall’estate 1941,cominciando dal Montenegro ed estendendosi ben presto a Serbia, Croazia e Slovenia.

La Slovenia settentrionaleè assegnata alla Germanianazista, quella meridionaleviene annessa all’Italia con la denominazione“Provincia di Lubiana”. L’Italia ingrandisce, a spesedella Croazia, la provincia di Fiume e quella di Zaraannettendosi anche la partecentrale della Dalmazia. La Croazia viene dichiarataformalmente uno statoindipendente: si insedia algoverno il capo degli ustascia

Nella “Provincia di Lubiana”,annessa all’Italia, venne istituitofin dal settembre 1941 un tribunale straordinario che puniva con la pena di morte anche il solo possessodi materiale di propaganda o la partecipazione a riunioni “di carattere sovversivo”.

Nell’ottobre del ’41 si ebbero le primecondanne a morte.Nei 29 mesi di occupazioneitaliana nella sola provincia di Lubiana vennero fucilati circa5.000 civili e altre 7.000persone, in gran parte anziani,donne e bambini, trovarono la morte nei campi diconcentramento italiani.

Tristemente noti sono quelli di Gonars (Udine) e Rab in Croazia.

mare Adriatico

Terzo Reich

Regnodi Croazia

Regno d’Italia

Fiume

Pola

Trieste

LubianaGoriziaUdine

Territori occupatidi Carinzia e Carniola

Klagenfurt

Confine traRegno d’Italia,Regno di Croazia e Terzo Reich

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

2

19181922

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

In questa mescolanza di etnie e nel complessointreccio di vicendestoriche locali, trovòalimento un nazionalismofascista particolarmentevirulento e aggressivo. Già all’inizio del 1919 vengonocostituiti forti gruppi disquadristi che – come si legge in un documento dell’epoca –«insegnarono a tutti i Fascid’Italia il metodo più efficace di lotta contro l’Antinazione e inaugurarono per prime, come divisa ufficiale,la gloriosa Camicia nera».

Gli effetti della violenzafascista non tardarono a farsi sentire. Non solo gli antifascisti furonopresi di mira, come avvenne in quegli anni nel resto d’Italia, ma le squadracce fasciste si accanirono soprattutto contro la popolazione di etnia slovena ecroata. Gli squadristi, capeggiatida Francesco Giunta,incendiarono a Trieste il 13luglio 1920 l’hotel Balkan, sededel “Narodni Dom”, il piùimportante e moderno centro

culturale delle organizzazionislovene in città.

Questo gravissimoepisodio verrà definito da Mussolini «il provvidenziale incendio del Balkan». Dopo questo autorevole avallo,la violenza fascista dilaga conl’obiettivo della completaitalianizzazione dellepopolazioni di etnia non italianache abitavano quelle terre da tempo immemorabile.

19181922

Dopo la vittoriaarriva il fascismo

■ Unvolantinofascista del 1920.

■ Il“NarodniDom”,centroculturaledegli slovenidi Trieste.Il 13 luglio1920 fu datoalle fiamme.Nella fotoqui sotto,ripresa daigiornalidell’epoca,l’edificio infiamme.

■ Il ducevisita Triestenelsettembredel 1939.In basso,Mussolini aPostumianel 1938.

■ Disordiniprovocati da squadrefasciste a Trieste nei primi anni ’20.

FascismoFoibe Esodo

Confine traRegno d’Italia e monarchiaasburgica fino al 1918

Dopo il trattato di Rapallodal 1920 al 1941

mare Adriatico

Pola

Parenzo PisinoFIUME

Abbazia

Capodistria

TRIESTE

Sesana Postumia

Longatico

Gorizia

Gradisca

Udine

Tolmino Krainburg

Radmandorf

VillachHermagor

KLAGENFURT

Regnod’Italia

Impero d’Austria

mare Adriatico

Pisino

Regnod’Italia

Repubblicad’Austria

Pola

Trieste

Fiume

Udine Lubiana

Klagenfurt

Regno dei Serbi,Croati e Sloveni

L a conclusione della primaguerra mondiale con ilconseguente disfacimento

dell’Impero asburgico,consegnarono all’Italia la Venezia Giulia e Zara. Nel 1924 venne annessa anche la città di Fiume. Il Regno d’Italia si estese così su terre abitate sia da popolazionidi origine italiana, soprattutto nelle zone costiere, sia da sloveni e croati, in prevalenza nei paesidell’interno.

3

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

S u un intreccio perverso diantislavismo eantisocialismo si incardina

la politica del fascismo negli annisuccessivi alla presa del potere. «Di fronte ad una razza come laslava, inferiore e barbara, non sideve seguire la politica che dà lozuccherino, ma quella del bastone»,si legge in un proclama diffuso dal fascismo in quegli anni.

19221940

■ La scuolaelementaredi Doberdò.

■ LaPrefettura di Goriziadirama le istruzioniper il cambioanagraficodei cognomiin italiano.

■ Le circolari della Prefettura per sciogliere le associazionilocali e crearequelle fasciste.

FascismoFoibe Esodo

Proibita anchela messa in sloveno

Si arriva a proibire l’uso della lingua persinoin chiesa, durante le funzioni religiose. Il clero cerca di resistere, ma inutilmente. Nel 1928 il vescovo Fogar così si rivolgeva al clero e ai fedeli commentando le decisioni del governo italianoche colpivano anche la Chiesa:«Cosa possiamo fare noisacerdoti, combattuti tante volte da quelli stessi che dicono di credere in Gesù Cristo? Dove l’empietà comincia a trionfare, ivi non tarderà a scatenarsi la persecuzione».

squadristiche, si obbligano lepopolazioni alla italianizzazionedei loro cognomi, altrettantoavviene per i nomi slavi deipaesi, e soprattutto si imponel’obbligo della lingua italianain qualsiasi luogo pubblico (ne soffriranno soprattutto i bambini a scuola, costretti a studiare in una lingua che non conoscono affatto).

Gli abitanti di etniaslovena e croata, definiti “allogeni” (termine neutro dal punto di vista scientifico, ma caricatoin quegli anni da un forte sensodi estraneità, di disprezzo e di inferiorità), sono sottoposti a una serie inaudita di angherie:si chiudono i circoli culturalisopravvissuti alle devastazioni

■ Ilcarteggiodel clerolocale in difesadellalinguaslovenanellecerimoniereligiose.

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

7

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

Con l’occupazione nazistadella Venezia Giulia(Adriatisches Küstenland) tra

il 1943 e il 1945, i tedeschi cercanodi accattivarsi le simpatie dellapopolazione locale recuperando i miti asburgici e il fascino della Mitteleuropa;valorizzandone il folklore e letradizioni locali per stemperare i possibili nazionalismi e contemporaneamente giocaresulla loro contrapposizione.Ma il volto del nazismo aveva ben altre sembianze.

19431945

FascismoFoibe Esodo

■ Negli ampi spazi dove una volta si immagazzinava il riso prima del trasporto versol’Austria-Ungheria, vengono ricavate le anguste celle, anticamera del forno crematorio.

■ Sui muri della Risiera, con una matita, il segno di una presenza.

La Risieradi San Sabba

Qui si applicarono:a) le tecniche di uccisione di massa, proprie della logica SS:

abbattimento, gassazione, fucilazione, strangolamento;b) l’invio di deportati nei campi di sterminio in Germania;c) lo sfruttamento intensivo della forza-lavoro prigioniera;d) l’uso sistematico della violenza: tortura, corruzione, spionaggio,

collaborazione coatta e volontaria.Nella Risiera furono deportate circa 20.000 persone, di cui, secondocalcoli approssimati, ben 5.000 persero la vita. Oggi l’edificio della Risiera è monumento nazionale.

Il Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), dellaRisiera di San Sabba, destinato a detenuti politici ed ebrei èl’unico campo di concentramento nell’interaarea dell’Europa occidentaleprovvisto di forno crematorio. È il luogo dal quale si conducecontro la popolazione civile,sospettata di appoggiare il Movimento di liberazione, una vera e propria campagna di deportazione, di violenze e di uccisioni.La Risiera fu innanzitutto unaistituzione dedicata all’attività di cattura e deportazione degli ebrei e di tutti gli oppositori sia italiani che slavi.

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

6

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

L a Resistenza ha inizio in Istriasin dagli anni successivi allapresa fascista del potere.

Sono del 1929 le condanne del Tribunale Speciale, insediato per l’occasione a Pola, di 5 antifascisti croati: uno fu condannato a morte e glialtri a trent’anni di reclusione. L’anno successivo il TribunaleSpeciale riunito a Trieste condannòa morte 4 sloveni imputati di cospirazione contro l’Italia. Vennero fucilati il mattinosuccessivo al poligono militare di Basovizza, non lontano dal luogo dove, al termine della guerra, verrà scoperta una delle principali foibe.

19431945

FascismoFoibe Esodo

La Resistenzaantifascista

In un altro processo, nel dicembre del 1941,quando già la Jugoslavia erastata aggredita e smembrata,vennero processati 60antifascisti accusati dicospirazione armata contro lasicurezza dello stato e di spionaggio politico-militare.Nove furono le condanne a morte: Pinko Tomazic equattro suoi compagni vennerofucilati, mentre 4 condannefurono commutate in ergastolo.

Anche per questo nella Venezia Giulia la Resistenza ebbe iniziocon netto anticipo rispetto al resto d’Italia. Infatti già nei primi mesi del1943 la guerriglia partigiana,sempre più estesa in Jugoslavia,travalicò il vecchio confine ecominciò a lambire la stessacittà di Trieste. Alla data dell’8settembre il Movimento di liberazione jugoslavo era giàpresente nella regione ed era in grado di proporsi comecontropotere rispetto al regime instaurato dalle forze nazifasciste.

Parallelamente si sviluppòl’organizzazione della Resistenza da parte italiana. A Udine, tra il febbraio e l’aprile del 1945, avvenne la fucilazione di 52 partigiani. Questi eccidi vennero compiutidai nazisti con la collaborazioneattiva dei fascisti di Salò.L’asprezza del contrasto tra partigiani italiani e le mireespansionistiche jugoslave, portòa uno dei più tragici episodidella Resistenza: nel febbraiodel 1945 nelle malghe di Porzus,nel Friuli orientale, un gruppo di fanatici garibaldini massacrò,cogliendolo di sorpresa, l’interocomando della Brigata Osoppo,composta in prevalenza dapartigiani che si riconoscevanonel movimento “Giustizia eLibertà”, accusato ingiustamente di tradimento.Forti furono anche i contrasti tra il CNL triestino che tendeva a marcare la propria italianità e la resistenza slovena che si batteva per l’annessionedella Venezia Giulia alla Jugoslavia.

■ PinkoTomazic, nel cerchio,condannato a morte dalTribunaleSpecialefascista nel 1941. La foto lo ritraequandofaceva partedella bandamusicalemilitaredell’esercitoitaliano.

■ I tedeschi hanno fucilato un gruppo di donne aCelje. Siamo nel 1942. ■ Sloveni deportati dai nazisti

dopo un rastrellamento.

Nell’estate-autunno 1941iniziò in Jugoslavia la Resistenza control’occupazione italo - tedesca. A seguito dell’annessione dellaSlovenia all’Italia, lo Stato fascista si trovò con la guerriglia in casa.Venne istituito un tribunalestraordinario e introdotta la pena di morte non solo per coloro chefossero stati sorpresi armati, maanche per chi avesse possedutomateriale di propaganda o partecipato a riunioni o assembramenti giudicati di carattere eversivo.

■ Larappresaglia dei nazisti colpìanche i maggioricentri urbani: a Triestenell’aprile del ’44vennero fucilati72 antifascisti dopo un attentatoin cui persero lavita 7 militaridella Wehrmacht;sempre a Trieste, in via Ghega,furono impiccati51 ostaggi dopoun attentato in cui persero la vita 5 soldatitedeschi.

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

8

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

1945 FascismoFoibe Esodo

■ Un orrendo alternarsi di strati in una foiba.Nel dopoguerra si procede alpietoso recupero:affiora anche un sandalo da bambino.

Delle uccisioni di massacaddero vittime non solomembri dell’apparatorepressivo nazifascista e quadri, soprattutto di livelloinferiore, del fascismo giuliano, ma semplici cittadini la cuiunica colpa era quella di volerel’Italia, assieme a sloveni ecroati contrari al regime di Tito.Protagonista delle stragi fu ilMovimento partigiano jugoslavoche, nel momento in cui gettavale basi per una dittatura,trasformava in violenza di statol’aggressività nazionale epolitica accumulata negli annidel fascismo e dell’occupazionenazista. Obiettivo principale dei massacri fu l’eliminazione

dei “nemici del popolo”, cioè di chiunque si opponesseall’annessione della VeneziaGiulia alla Jugoslavia e alla costruzione di un regime comunista.

Almeno 5.000 personescomparvero nelle stragichiamate “foibe”,dal nome delle voragini tipichedei terreni carsici in cui spessovenivano gettati i cadaveri, anche se non tutte trovarono la morte in tale modo.Tra le Foibe più note vannoricordate quella di Vines, pressoAlbona, in Istria e il pozzo della miniera di Basovizza -monumento nazionale - nei pressi di Trieste. Più numerosi furono i decedutinelle carceri e nei campi diconcentramento jugoslavi.Tuttavia l’immagine simbolodelle stragi è rimasta quella dellasparizione in un abisso del Carso.

Una sorte oscura, segno di unavolontà di cancellazione totale,aggravata dalla negazione della pietà, perché la scomparsadei corpi ha prolungato per i familiari - talvolta fino ad oggi - l’incertezza sulla sortedei loro congiunti.

L’orroredelle foibe

Trieste

mare Adriatico

A

B

APola

Italia Jugoslavia

Austria

occupazioneAlleata

linea Morgan

linea Morgan

VENEZIA GIULIA

occupazioneJugoslava

Pisino

Zona A e Zona B dal giugno ‘45 al settembre ‘47

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

Quando si parla di “foibe” ci siriferisce alla violenza di massanei confronti di militari

e di civili, in prevalenza italiani, in diverse zone della Venezia Giulia. Questa violenza ha provocatomigliaia vittime per mano deipartigiani comunisti sloveni e croati,dei comunisti italiani filojugoslavi e dalle autorità jugoslave.

La prima ondata di violenze si ebbedopo l’8 settembre 1943 soprattutto in Istria da parte di partigiani croaticontro cittadini italiani ritenuti fascisti.Nel maggio 1945 con l’occupazionedella Venezia Giulia dall’esercito di liberazione jugoslavo, la violenzariprese con maggior vigore. Ne furono vittime migliaia di personedefinite “nemici del popolo”. Tra esse vi erano anche esponentiantifascisti che si opponevano al passaggio di queste terre alla Jugoslavia.

9

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

19461956

FascismoFoibeEsodo

■ Sulla banchinadella stazionemarittima di Pola,sotto la neve, il vapore“Toscana” tienesotto pressione le caldaie. Partirà con migliaia di esuli a bordo: è il 1946.

Subito dopo la fine della guerrainiziò a svuotarsi Fiume,stabilmente occupata dagli jugoslavi fin dallaprimavera del 1945. Il governo di Tito avviò nei confronti degli italianiuna politica assai dura,

fatta di espropri mirati a colpire le posizionieconomiche della piccola e media borghesia, di arresti e uccisioni, con lo scopo di eliminare qualsiasiembrione di dissenso politico. Gli esodi di massa siintensificarono dopo il 1946,con la firma del trattato di pace,che sancì il passaggio dell’Istriae della Dalmazia alla Jugoslavia.Simile a Fiume fu la situazionedi Pola, dopo che le truppeanglo-americane lasciarono la città. Uguale fu ilcomportamento degli italianiresidenti in altri territoridell’Istria, il cui esodo fu diluito nel tempo.

Negli anni 1946-1956 si compì il tragico esodo degli italiani dalle loro terre. La quasi totalità degli italianiche vivevano nei territori passatisotto il definitivo controllo dellaJugoslavia, fu costretta adabbandonare i paesi nei qualivivevano da molte generazioni.Un’intera comunità nazionale,calcolata sulle 250.000 persone,si disperse nel mondo. Solo una parte degli esuli trovòospitalità in Italia, mentre glialtri furono costretti a emigraresoprattutto nelle Americhe, in Australia o in Nuova Zelanda.

Lasciarono una terrasconvolta: borghi,soprattutto quelli costieri,ridotti a città fantasma, gravemente spopolate anche le campagne, completamentedisarticolata la società locale con la scomparsa di interi cetisociali (possidenti e artigiani),spezzati i legami con areetradizionalmente unite da una fitta rete di legami, come Trieste e l’Istria.La prima città a svuotarsi fuZara, abbandonata da larga partedella popolazione in seguito ai bombardamenti anglo-americani del 1944, cherecarono gravissime distruzionialla città dalmata.

L’esodo dei 250.000

■ Giugno 1945. La popolazione triestina festeggia la partenza dell’esercito jugoslavo.

■ La popolazionedi origine italianalascia con ognimezzo le case che aveva abitatoper secoli.In vista della frontiera con l’Italia la fila si ingrossacon gli automezziprovenienti da tutto il litorale adriatico.

MOSTRA A CURA DELLA FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE

A lla fine della guerra laJugoslavia rivendicò neiconfronti dell’Italia una

consistente espansione territoriale, checomprendeva anche la città di Trieste.In attesa della definizione di questocontrasto, il territorio giuliano vennediviso in due parti: la Zona A,comprendente Trieste, sottoposta adun governo militare anglo-americano,e la Zona B, governata dall’autoritàmilitare jugoslava. Soltanto nel 1954la Zona A passò definitivamente all’Italia, mentre la Zona B rimase alla Jugoslavia. Con il 1956, dataconvenzionale della fine dell’esodo, il 90% della popolazione italiana di Fiume e dell’Istria aveva dovutoabbandonare la propria terra.

10

19181922

LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE

Il rancore e l’odio accumulati da sloveni e croati per la criminaleoppressione fascista spiega solo

in parte l’asprezza dei comportamenti degli jugoslavinei confronti della popolazioneitaliana, che veniva identificata in blocco come nemico storico del nazionalismo sloveno e croato.

19461956

FascismoFoibe Esodo

■ Lamanifestazione per il passaggioall’Italia.A destra, la parata deglianglo-americani a Trieste il 20maggio del 1950.

■ Un campoprofughi a Triestenel 1948.

Per le decine di migliaia di profughi che trovaronorifugio in Italia la vita fu all’inizio estremamente dura. Il governo italiano era del tuttoimpreparato ad accogliere unamassa così imponente di profughi e una vera e propria politica di accoglienzavenne approntata purtroppo con gravi ritardi.Inoltre nel 1948 la condanna di Stalin contro Tito avevamodificato la posizione dellaJugoslavia nello scacchiereinternazionale, con laconseguenza di azzerare i tonidella denuncia contro il governodi Belgrado anche in riferimento

L’amaraaccoglienza mare

Adriatico

ISTRIA

Trieste

Hermagor

Repubblica Italiana

Repubblicad’Austria

RepubblicaFederativaPopolare

diJugoslavia

zonaA

zonaB

Gorizia

Udine

Klagenfurt

Villach

Pisino

Il Territoriolibero di Trieste dal 1947 al 1954

alle condizioni dei 250.000 profughi.I campi di assistenza allestiti in diverse parti d’Italia (nel Bergamasco, in Toscana, in Sardegna e nel Meridione)erano privi di tutto. Ecco come un profugo descrivela vita in uno di questi campi:«Questo infame campo erasituato in una vallata a fianco del fiume Arno e noi dovevamoaccontentarci di vivere in casematte usate dai prigionieridi guerra con una copertamilitare e un sacco di paglia. Il cibo era razionato e gli abitanti della zona ci trattavano peggio dei delinquenti».

Altrettanto dure furono, almenonei primi tempi le condizioni di vita di coloro che furonocostretti ad emigrare in paesilontani. Quella dei 250.000italiani costretti a lasciarele terre passate sotto il controllo del governojugoslavo è una tragediatroppo spesso ignorata,provocata dalla guerra e dall’esplodere di unnazionalismo che anche intempi più recenti ha causatodistruzioni, sofferenze e mortenelle popolazioni che hannoavuto la sventura di esserne coinvolte. MOSTRA A CURA DELLA

FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE