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1 Fatto e diritto In data 29 gennaio/19 maggio 2016 il Tribunale di Reggio Calabria- Sez. Mis. Prev.- rigettava la proposta di applicazione di misura personale nei confronti di (omissis) e disponeva la confisca dei beni già in sequestro che di seguito si indicheranno, anche in danno dei terzi interessati (omissis) (figli e coniuge del proposto) e (omissis) srl, in persona dei soci (omissis): a) imprese e partecipazioni societarie 1) Intero Patrimonio Aziendale della “(omissis)” (P.Iva n. (omissis)), compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa; 2) Quota del 50% di proprietà di (omissis) detenuta nella “(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis); 3) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa, elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di esecuzione del sequestro) della “(omissis) S.r.l.” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis); 4) Quota pari al 44,52% del capitale sociale (del valore in azioni di euro 5.755.848,00) detenuta da (omissis) nella “(omissis) Spa” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis), in concordato preventivo. 5) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di esecuzione del sequestro) della “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis); 6) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale della “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), costituita in data 12.12.1996, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di esecuzione del sequestro ed oggetto del sequestro integrativo n. (omissis) (fabbricato in Gioia Tauro (omissis)) ; 7) Intero Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa) della Ditta Individuale (omissis) (P.iva (omissis)), avvio attività il 3.1.1996, con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), esercente l’attività di “colture olivicole”; 8) Quota di di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis);

Fatto e diritto seguito si indicheranno, anche in danno dei terzi interessati (omissis) (figli e coniuge del proposto) e (omissis) srl, in persona dei soci (omissis): a) imprese e

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Fatto e diritto

In data 29 gennaio/19 maggio 2016 il Tribunale di Reggio Calabria- Sez.

Mis. Prev.- rigettava la proposta di applicazione di misura personale nei

confronti di (omissis) e disponeva la confisca dei beni già in sequestro che

di seguito si indicheranno, anche in danno dei terzi interessati (omissis) (figli

e coniuge del proposto) e (omissis) srl, in persona dei soci (omissis):

a) imprese e partecipazioni societarie

1) Intero Patrimonio Aziendale della “(omissis)” (P.Iva n. (omissis)), compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa;

2) Quota del 50% di proprietà di (omissis) detenuta nella “(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), con

sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis);

3) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili

intestati alla stessa, elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di

esecuzione del sequestro) della “(omissis) S.r.l.” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano

Sant’Angelo (TE), Via (omissis);

4) Quota pari al 44,52% del capitale sociale (del valore in azioni di euro 5.755.848,00)

detenuta da (omissis) nella “(omissis) Spa” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo

(TE), (omissis), in concordato preventivo.

5) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli

immobili intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in

sede di esecuzione del sequestro) della “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano

Sant’Angelo (TE), Via (omissis);

6) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale della “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)),

con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), costituita in data 12.12.1996, compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta

dalla Dia in sede di esecuzione del sequestro ed oggetto del sequestro integrativo n. (omissis)

(fabbricato in Gioia Tauro (omissis)) ;

7) Intero Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla

stessa) della Ditta Individuale (omissis) (P.iva (omissis)), avvio attività il 3.1.1996, con sede in

Gioia Tauro (RC), Via (omissis), esercente l’attività di “colture olivicole”;

8) Quota di di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in

Gioia Tauro (RC), Via (omissis);

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9) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili

intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis)del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di

esecuzione del sequestro ) della “(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), costituita con atto del 11.02.2002

con sede in Mosciano S. Angelo (TE), Via (omissis);

10) Intero Patrimonio (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)

dell’Azienda Agricola (omissis) (P.iva (omissis)), con sede in Giulianova (TE), Via (omissis),

esercente l’attività di “colture olivicole” e con unità locale sita nel Comune di Borgia (CZ),

località (omissis), adibita a deposito di carburante per uso agricolo;

11) Quota del 23% del Capitale Sociale di proprietà di (omissis) della “(omissis) Srl” (Cf.

(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis);

12) Quota di euro 2.400,00 di proprietà di (omissis) (pari al 24% del capitale sociale) e quota

di euro 2.300,00 di proprietà di (omissis) (pari al 23% del capitale sociale) detenute nella “(omissis)

Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis);

13) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili

intestati alla stessa, di cui alla nota Dia n. (omissis)) della (omissis)Srl (Cf. (omissis)), costituita in

data 30.05.2006, con sede a Gioia Tauro (RC), Via (omissis), con Capitale Sociale di 10.000,00

così suddiviso: (omissis): 50% (5.000,00); (omissis): 50% (5.000,00);

14) Quota di minoranza corrispondente a lire 9.600.000 (e relativa porzione del patrimonio

aziendale) di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Sas, di (omissis)” (Cf. (omissis), con

sede in Giulianova (TE), (omissis);

15) Intero Patrimonio, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa,

dell’Azienda Agricola (omissis) (P.iva (omissis)), con sede in Giulianova (TE), Via (omissis),

b)immobili

1) unità immobiliari site in Gioia Tauro (RC), (omissis), conferiti da (omissis) nel fondo

patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

2) unità immobiliare sita in Gioia Tauro (RC), (omissis) conferito da (omissis)nel fondo

patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

3) terreni, di natura uliveto, (omissis), conferiti da (omissis) nel fondo patrimoniale familiare

[Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

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4) terreno sito in località (omissis) del Comune di Gioia Tauro, (omissis), conferito da

(omissis)nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del

23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

5) terreni agricoli, siti in Melicuccà (RC), (omissis) conferiti da (omissis) nel fondo

patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

6) fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di

trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 28.12.2007 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

7) terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di trascrizione

nr. (omissis) Reg. Part. del 06.08.2009 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

8) terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis), di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di trascrizione

nr. (omissis) Reg. Part. del 06.08.2009 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

9) fabbricato, sito in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di

trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 03.05.2002 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

10) fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), conferito da (omissis) nel fondo

patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

c)beni mobili registrati:

1) Fiat Ducato targato (omissis), immatricolato nell’anno 2009, acquistato da (omissis) in data

01.06.2010;

2) Fiat Ducato targato (omissis), immatricolato nell’anno 2009, acquistato da (omissis)in data

01.06.2010;

d) rapporti finanziari:

1) conto corrente n. (omissis) presso filiale Reggio Calabria Ag. 1 della Banca Monte

dei Paschi di Siena intestato a (omissis) con saldo pari a €.10.024,67;

2) conto corrente n. (omissis) presso filiale Reggio Calabria Ag. 1 della Banca Monte

dei Paschi di Siena con saldo di €.10.526,53, intestato a (omissis);

3) conto corrente n. (omissis) presso filiale Reggio Calabria Ag. 1 della Banca Monte dei

Paschi di Siena con saldo di €. 1476,00, intestato a (omissis);

e) titoli

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1) Titoli intestati a (omissis), (concernenti il diritto alla percezione degli aiuti

comunitari), iscritti nel Registro Nazionale Titoli:

Nr. progr. Importo €. Titolo Superficie (Ha)

1 2.434,58 (omissis) 1,00

2 170,42 (omissis) 0,07

3 1.685,70 (omissis) 1,00

4 1.685,70 (omissis) 1,00

5 1.685,70 (omissis) 1,00

6 1.685,70 (omissis) 1,00

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8 1.685,70 (omissis) 1,00

9 1.685,70 (omissis) 1,00

10 1.685,70 (omissis) 1,00

11 1.685,70 (omissis) 1,00

2)i seguenti titoli intestati a (omissis), (concernenti il diritto alla percezione degli aiuti

comunitari), iscritti nel Registro Nazionale Titoli:

Nr. progr. Importo €. Titolo Superficie (Ha)

4.355,57 (omissis) 1,00

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1.685,70 (omissis) 1,00

1.685,70 (omissis) 1,00

3) i seguenti titoli intestati a (omissis) (concernenti il diritto alla percezione degli aiuti

comunitari), iscritti nel Registro Nazionale Titoli:

Nr. Progr. Importo €. Titolo Superficie (Ha)

1. 3.826,58 (omissis) 1,00

2. 3.826,58 (omissis) 1,00

3. 3.826,58 (omissis) 1,00

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33. 3.826,58 (omissis) 1,00

34. 3.826,58 (omissis) 1,00

35. 3.826,58 (omissis) 1,00

36. 3.826,58 (omissis) 1,00

37. 3.826,58 (omissis) 1,00

38. 3.826,58 (omissis) 1,00

39. 3.826,58 (omissis) 1,00

40. 3.826,58 (omissis) 1,00

41. 3.826,58 (omissis) 1,00

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42. 3.826,58 (omissis) 1,00

43. 3.826,58 (omissis) 1,00

44. 3.826,58 (omissis) 1,00

45. 3.826,58 (omissis) 1,00

46. 3.826,58 (omissis) 1,00

47. 3.826,58 (omissis) 1,00

48. 3.826,58 (omissis) 1,00

49. 3.826,58 (omissis) 1,00

50. 3.826,58 (omissis) 1,00

51. 3.826,58 (omissis) 1,00

52. 3.826,58 (omissis) 1,00

53. 3.826,58 (omissis) 1,00

54. 3.826,58 (omissis) 1,00

55. 3.826,58 (omissis) 1,00

56. 3.826,58 (omissis) 1,00

57. 3.826,58 (omissis) 1,00

58. 3.826,58 (omissis) 1,00

59. 3.826,58 (omissis) 1,00

60. 3.826,58 (omissis) 1,00

61. 3.826,58 (omissis) 1,00

62. 3.826,58 (omissis) 1,00

63. 3.826,58 (omissis) 1,00

64. 3.826,58 (omissis) 1,00

65. 3.826,58 (omissis) 1,00

66. 3.826,58 (omissis) 1,00

67. 3.826,58 (omissis) 1,00

68. 3.826,58 (omissis) 1,00

69. 3.826,58 (omissis) 1,00

70. 3.826,58 (omissis) 1,00

71. 3.826,58 (omissis) 1,00

72. 3.826,58 (omissis) 1,00

73. 3.826,58 (omissis) 1,00

74. 3.826,58 (omissis) 1,00

75. 3.826,58 (omissis) 1,00

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76. 3.826,58 (omissis) 1,00

77. 4.626,67 (omissis) 1,00

78. 4.626,67 (omissis) 1,00

79. 4.626,67 (omissis) 1,00

80. 4.626,67 (omissis) 1,00

81. 4.626,67 (omissis) 1,00

82. 4.626,67 (omissis) 1,00

83. 4.626,67 (omissis) 1,00

84. 4.626,67 (omissis) 1,00

85. 4.626,67 (omissis) 1,00

86. 4.626,67 (omissis) 1,00

87. 4.626,67 (omissis) 1,00

88. 4.626,67 (omissis) 1,00

89. 4.626,67 (omissis) 1,00

90. 4.626,67 (omissis) 1,00

91. 4.626,67 (omissis) 1,00

92. 4.626,67 (omissis) 1,00

93. 4.626,67 (omissis) 1,00

94. 4.626,67 (omissis) 1,00

95. 4.626,67 (omissis) 1,00

96. 4.626,67 (omissis) 1,00

97. 4.626,67 (omissis) 1,00

98. 4.626,67 (omissis) 1,00

99. 4.626,67 (omissis) 1,00

100. 4.626,67 (omissis) 1,00

101. 4.626,67 (omissis) 1,00

102. 4.626,67 (omissis) 1,00

103. 4.626,67 (omissis) 1,00

104. 4.626,67 (omissis) 1,00

105. 4.626,67 (omissis) 1,00

106. 4.626,67 (omissis) 1,00

107. 4.626,67 (omissis) 1,00

108. 4.626,67 (omissis) 1,00

109. 4.626,67 (omissis) 1,00

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110. 4.626,67 (omissis) 1,00

111. 4.626,67 (omissis) 1,00

112. 4.626,67 (omissis) 1,00

113. 4.626,67 (omissis) 1,00

114. 4.626,67 (omissis) 1,00

115. 4.626,67 (omissis) 1,00

116. 4.626,67 (omissis) 1,00

117. 4.626,67 (omissis) 1,00

118. 4.626,67 (omissis) 1,00

119. 4.626,67 (omissis) 1,00

120. 4.626,67 (omissis) 1,00

121. 4.626,67 (omissis) 1,00

122. 4.626,67 (omissis) 1,00

123. 4.626,67 (omissis) 1,00

124. 4.626,67 (omissis) 1,00

125. 4.626,67 (omissis) 1,00

126. 4.626,67 (omissis) 1,00

127. 4.626,67 (omissis) 1,00

128. 4.626,67 (omissis) 1,00

129. 4.626,67 (omissis) 1,00

130. 4.626,67 (omissis) 1,00

131. 4.626,67 (omissis) 1,00

132. 4.626,67 (omissis) 1,00

133. 4.626,67 (omissis) 1,00

134. 4.626,67 (omissis) 1,00

135. 4.626,67 (omissis) 1,00

136. 4.626,67 (omissis) 1,00

137. 4.626,67 (omissis) 1,00

138. 4.626,67 (omissis) 1,00

139. 4.626,67 (omissis) 1,00

140. 4.626,67 (omissis) 1,00

141. 4.626,67 (omissis) 1,00

142. 4.626,67 (omissis) 1,00

143. 4.626,67 (omissis) 1,00

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144. 4.626,67 (omissis) 1,00

145. 4.626,67 (omissis) 1,00

146. 4.626,67 (omissis) 1,00

147. 4.626,67 (omissis) 1,00

148. 4.626,67 (omissis) 1,00

149. 4.626,67 (omissis) 1,00

150. 4.626,67 (omissis) 1,00

151. 4.626,67 (omissis) 1,00

152. 4.626,67 (omissis) 1,00

153. 4.626,67 (omissis) 1,00

154. 4.626,67 (omissis) 1,00

155. 4.626,67 (omissis) 1,00

156. 4.626,67 (omissis) 1,00

157. 4.626,67 (omissis) 1,00

158. 4.626,67 (omissis) 1,00

159. 4.626,67 (omissis) 1,00

160. 4.626,67 (omissis) 1,00

161. 4.626,67 (omissis) 1,00

162. 4.626,67 (omissis) 1,00

163. 4.626,67 (omissis) 1,00

164. 4.626,67 (omissis) 1,00

165. 4.626,67 (omissis) 1,00

166. 4.626,67 (omissis) 1,00

167. 4.626,67 (omissis) 1,00

168. 4.626,67 (omissis) 1,00

169. 4.626,67 (omissis) 1,00

170. 4.626,67 (omissis) 1,00

171. 4.626,67 (omissis) 1,00

172. 4.626,67 (omissis) 1,00

173. 4.626,67 (omissis) 1,00

174. 4.626,67 (omissis) 1,00

175. 4.626,67 (omissis) 1,00

176. 4.626,67 (omissis) 1,00

177. 4.626,67 (omissis) 1,00

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178. 4.626,67 (omissis) 1,00

179. 4.626,67 (omissis) 1,00

180. 4.626,67 (omissis) 1,00

181. 4.626,67 (omissis) 1,00

182. 4.626,67 (omissis) 1,00

183. 4.626,67 (omissis) 1,00

184. 4.626,67 (omissis) 1,00

185. 4.626,67 (omissis) 1,00

186. 4.626,67 (omissis) 1,00

187. 4.626,67 (omissis) 1,00

188. 4.626,67 (omissis) 1,00

189. 3.826,58 (omissis) 1,00

190. 3.826,58 (omissis) 1,00

191. 3.826,58 (omissis) 1,00

192. 3.826,58 (omissis) 1,00

193. 3.826,58 (omissis) 1,00

194. 3.826,58 (omissis) 1,00

195. 3.826,58 (omissis) 1,00

196. 3.826,58 (omissis) 1,00

197. 3.826,58 (omissis) 1,00

198. 3.826,58 (omissis) 1,00

199. 3.826,58 (omissis) 1,00

200. 3.826,58 (omissis) 1,00

201. 3.826,58 (omissis) 1,00

202. 4.626,67 (omissis) 1,00

203. 4.626,67 (omissis) 1,00

204. 4.626,67 (omissis) 1,00

205. 4.626,67 (omissis) 1,00

206. 4.626,67 (omissis) 1,00

207. 4.626,67 (omissis) 1,00

208. 4.626,67 (omissis) 1,00

209. 4.626,67 (omissis) 1,00

210. 3.284,94 (omissis) 0,71

211. 4.355,57 (omissis) 1,00

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212. 4.355,57 (omissis) 1,00

213. 4.355,57 (omissis) 1,00

214. … 3.826,58 (omissis) 1,00

215. 420,92 (omissis) 0,11

216. 1.685,22 (omissis) 1,00

217. 1.685,22 (omissis) 1,00

218. 1.685,22 (omissis) 1,00

219. 1.685,22 (omissis) 1,00

220. 1.685,22 (omissis) 1,00

221. 1.685,22 (omissis) 1,00

222. 1.685,22 (omissis) 1,00

223. 1.685,22 (omissis) 1,00

224. 1.685,22 (omissis) 1,00

225. 1.685,22 (omissis) 1,00

226. 1.685,22 (omissis) 1,00

227. 1.685,22 (omissis) 1,00

228. 1.685,22 (omissis) 1,00

229. 1.685,22 (omissis) 1,00

230. 4.355,57 (omissis) 1,00

231. 4.355,57 (omissis) .1,00

232. 4.355,57 (omissis) 1,00

233. 4.355,57 (omissis) 1,00

234. 4.355,57 (omissis) 1,00

235. 4.355,57 (omissis) 1,00

Proponevano appello (omissis)e i terzi interessati (omissis).

Veniva fissata quindi udienza di trattazione del gravame, che subiva un

rinvio successivamente, essendo intervenuto il decesso del proposto, la

difesa depositava procura speciale e in relazione ai terzi interessati.

All’udienza del 28 aprile 2017 quindi, sulle conclusioni delle parti riportate

in verbale, la Corte riservava la decisione.

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La Corte ritiene di premettere alla presente trattazione la riproposizione

integrale del decreto impugnato, sia sotto il preliminare aspetto della

eccepita incompetenza funzionale dell’AG reggina, sia altresì nella parte

personale che per il versante patrimoniale, al fine di una maggiore chiarezza

espositiva ed allo scopo di non obliterare alcuna delle emergenze fattuali,

probatorie e valutative espresse dal primo giudice, anche allo scopo di

meglio esplicitare le doglianze difensive poste con l’atto di gravame.

Decreto impugnato

Sulla proposta personale.

Il Collegio ritiene che, all’esito del lungo contraddittorio camerale, debba essere

confermato il giudizio di pericolosità sociale del proposto formulato in via incidentale nel

decreto di sequestro.

Tale conclusione è frutto di un ragionamento inferenziale complesso ed articolato

fondato su un puntuale esame critico delle pendenze giudiziarie che hanno interessato nel

tempo il proposto e dei loro sviluppi processuali, di cui si darà contezza nel corso della

motivazione dopo alcune preliminari considerazioni in diritto utili a “selezionare” le

condotte emerse nei diversi procedimenti penali per analoghe fattispecie di reato anche al

fine di definire temporalmente il perimetro valutativo della pericolosità prevenzionale

generica di (omissis) ai sensi dell’art.1 e art.4 lett. c) del D.Lgs.159/2011.

Nel decreto di sequestro, in esito alla breve ricostruzione delle

vicende processuali che fin dai primi anni ’80 hanno visto coinvolto

(omissis) (da solo o anche in concorso con altri componenti della sua

famiglia d’origine, e precisamente il padre (omissis) ed il fratello

(omissis)) e dell’ultimo procedimento pendente a carico del proposto,

era delineata la personalità pericolosa dell’(omissis) quale “imprenditore

che attraverso le sue società – emettendo o ricevendo fatture fittizie

(relative cioè ad operazioni inesistenti) o comunque creando

artificiosamente l’apparenza di operazioni economiche inesistenti – ha

ottenuto indebitamente, in modo ripetuto e costante nel tempo, per un

verso, consistenti risparmi d’imposta e, per altro verso, cospicui contributi

pubblici, riuscendo, in tal modo, a costruire realtà aziendali nel settore

oleario ed immobiliare che altrimenti, ossia nel rispetto della legalità, non

avrebbero raggiunto le attuali conformazioni”, sussumibile nella

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categoria dei soggetti pericolosi di cui all’art. 4 lett.c del D.lgs. 159/2011

letto in coordinamento con l’art.1 lettere a e b del medesimo decreto, in

quanto “ abitualmente dedito a traffici delittuosi e comunque soggetto che

vive, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.

Gli elementi fondanti la valutazione espressa in sede cautelare sono stati tratti da

informative di reato redatte per lo più dalla Guardia di Finanza di varie parti del paese,

all’esito di complesse indagini e verifiche fiscali aventi ad oggetto società riconducibili al

proposto ed in generale a quella che vedremo essere la holding di fatto “(omissis)”, esitate

in plurimi procedimenti penali di cui, tuttavia, la gran parte, conclusisi con sentenze di

proscioglimento per intervenuta prescrizione, contenenti espresso riconoscimento

dell’impossibilità di pervenire a pronunce assolutorie nel merito, eccetto il procedimento

penale iscritto all’epoca della proposta al n. (omissis) RGNR della Procura della Repubblica

presso il Tribunale di Palmi e successivamente transitato a seguito di sentenza di

incompetenza al Tribunale di Teramo (n. (omissis) RGNR) dove è in corso di celebrazione

il dibattimento, in cui il proposto è imputato per associazione a delinquere finalizzata alla

commissione di plurimi reati di frode fiscale e truffa, perpetrati attraverso società aventi

sede legale in Abruzzo, ma di fatto radicate nel Comune di Gioia Tauro.

Ebbene proprio le risultanze probatorie di questa ultima operazione investigativa, che

ha disvelato un sofisticato meccanismo truffaldino ideato dal proposto con i suoi più stretti

congiunti, rappresentano a ben vedere il definitivo suggello di una risalente e pervicace

attitudine del proposto ad esercitare la propria attività di imprenditore nel settore oleario

mediante il sistematico ricorso a pratiche illecite consistenti nella emissione di fatture per

operazioni inesistenti e conseguente alterazione della contabilità aziendale finalizzate a

lucrare indebitamente contributi pubblici, via via affinatasi nel tempo e destinata a

procrastinarsi se non fosse stato interrotto il disegno criminoso dalla OCC emessa dal Gip

di Palmi il 26 luglio 2010.

Si procederà, dunque, partendo dall’analisi delle modalità di esercizio dell’attività

d’impresa avviata dal proposto agli inizi degli anni ’80 nel settore oleario, attraverso i dati

emergenti dai procedimenti penali via via succedutisi per poi soffermarsi sulla ricostruzione

dei “fatti” oggetto del procedimento penale attualmente pendente presso il Tribunale di

Teramo che –pur in assenza allo stato di un accertamento penale irrevocabile- saranno

oggetto di autonoma valutazione da parte di questo Tribunale in funzione del giudizio di

pericolosità che è chiamato a svolgere.

Comprendere la modalità con cui, senza soluzione di continuità, l’(omissis) ha

esercitato la professione d’imprenditore serve non solo a dare consistenza alla sua risalente

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pericolosità sociale ma anche, e soprattutto, sul piano patrimoniale, a rivelare la reale natura

delle imprese costituite in virtù di quella modalità di agire.

Tuttavia, prima di scandagliare i singoli dati indiziari emergenti dalla corposa mole

degli atti giudiziari prodotti dall’organo proponente e successivamente acquisiti, va

preliminarmente ribadita la legittimazione dell’autorità proponente e la conseguente

competenza a decidere sulla proposta di questo Tribunale di prevenzione, già oggetto

di ordinanza collegiale resa all’udienza del 11 giugno 2014, facendo applicazione in

combinazione tra loro dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in punto di

"dimora" (da un lato) e del criterio di "selezione" dei plurimi fattori incidenti sulle

manifestazioni di pericolosità.

Posto che l’attribuzione della competenza si riferisce alla “dimora” del proposto (art.5

D.Lgs.159/2011), per costante orientamento espresso dalla Corte di legittimità ai fini

dell'individuazione della competenza territoriale nel procedimento di prevenzione occorre

aver riguardo non tanto alla residenza anagrafica o alla dimora del proposto nell’accezione

civilistica di tali concetti, ma ai luoghi in cui sono state poste in essere le manifestazioni di

pericolosità assunte come rilevanti agli effetti della formulazione della proposta (tra le

molte, Sez. 6, 14.4.2003, rv n. 225686).

Ciò deriva dalla stessa connotazione del giudizio di prevenzione non già come tipico

giudizio ricostruttivo di "un fatto", quanto come giudizio ricostruttivo di una "condizione

soggettiva", rappresentata dalla pericolosità dell'agire di una persona, risultando l'intera

disciplina -specie sul piano personale- finalizzata ad una "inibizione" verso il compimento

di ulteriori condotte pericolose.

Ebbene, nulla essendo stato innovato rispetto al passato (arg. dagli artt. 2, 1° comma, e

2 bis, 1° comma, della l. 575/65, 4 l. 1423/56 e 19 l. 152/75), per dimora deve intendersi lo

“spazio geografico-ambientale delle manifestazioni comportamentali della pericolosità

sociale del proposto”, ossia il luogo in cui il soggetto tenga comportamenti idonei a

costituire elementi sintomatici della sua pericolosità, “ivi trovando stimolo e copertura

delle sue attività illecite” (in tal senso, ex multis, Cass.penale, Sez. I, 4 marzo 1999, n. 1826;

cfr. anche ibidem, sez. V, 31 marzo 2010, n. 19067).

Nell'ipotesi di manifestazioni plurime di pericolosità che si verifichino in luoghi

diversi, la competenza si determina “là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di

maggiore spessore e rilevanza” (Sez. U, Sentenza n. 33451 del 29/05/2014 Cc. ;

Cass.penale, Sez. Un., 3 luglio 1996, n. 18).

Orbene, nel delibare la questione di competenza, non può mancarsi di considerare la

natura peculiare della pericolosità su cui fonda la proposta: essa è direttamente connessa

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alla qualità dell’(omissis) di imprenditore nel settore oleario estrinsecandosi attraverso l’uso

strumentale delle imprese a lui riconducibili, alcune attive nel medesimo settore, rispetto ad

un disegno che unisce in una trama unitaria un percorso illecito intrapreso ancor prima che

fosse acquisto il notevole materiale probatorio riversato nell’ultimo procedimento in corso

presso il Tribunale di Teramo.

Come si vedrà più dettagliatamente in sede di ricostruzione delle condotte illecite del

proposto, il luogo in cui l’(omissis) ha manifestato nel tempo i comportamenti socialmente

pericolosi di maggior rilevanza coincide con il territorio della provincia di Reggio Calabria,

riferendosi le condotte pericolose attribuite a (omissis) dall’Autorità proponente a fatti di

emissione o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, tutti (anche quelli che hanno dato

origine a procedimenti penali presso i Tribunali di Catania e di Trani) commessi attraverso

o comunque a vantaggio di imprese, esercitate dal proposto in forma individuale o

societaria, all’epoca aventi sede nel territorio di Gioia Tauro, dove è iniziata l’ascesa

imprenditoriale del proposto.

Anche le più recenti imputazioni, formulate a carico di (omissis)nell’ambito del

procedimento penale iscritto al n. (omissis) RGNR della Procura della Repubblica presso il

Tribunale di Palmi ed oggi transitato a Teramo, ruotano intorno ad una fattispecie di

associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe, perpetrate attraverso

società aventi sede legale in Abruzzo, ma di fatto radicate nel Comune di Gioia Tauro.

Ivi, infatti, dalle emergenze investigative compendiate nell’ordinanza custodiale

emessa dal GIP presso il Tribunale di Palmi risultano collocati gli uffici amministrativi di

varie società che si trovano al centro del meccanismo truffaldino ben delineato nella

medesima OCC ((omissis) s.r.l., (omissis)s.r.l., (omissis) s.p.a.), la cui gestione era curata

direttamente dal proposto (e dai figli Matteo e Giovanni), erano intrattenuti rapporti bancari

privilegiati, oltre a risiedere molti dei soggetti partecipanti all’associazione contestata. Il

GIP di Palmi, affermando la propria competenza con riferimento sia al luogo d’avvio

dell’attività associativa sia al centro operativo dell’associazione medesima, condivideva

l’impostazione del Pm secondo cui “la genesi stessa dell’associazione (criterio utile ex art.

8 co. 3 c.p.p.) sia agevolmente riconducibile al circondario di Palmi, ove – non a caso – si

sono svolti o sono stati aperti, sul finire degli anni ’80, numerosi procedimenti penali

(omissis). E di questo genetico radicamento territoriale dell’associazione vi è ancora

chiara traccia ove si abbia riguardo alle relazioni con le filiali bancarie (sia con

riferimento ai movimenti registrati da parte delle cd. somme navetta, sia avuto riguardo al

“censimento” di tutte le imprese del “(omissis)” richiesto ed eseguito dalla filiale di Gioia

Tauro della Banca Popolare di Crotone S.r.l., benché aventi sede legale ed operativa

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distribuita sul territorio nazionale), ai rapporti fiduciari e professionali con soggetti

residenti in questo circondario o in questa provincia (ad esempio la (omissis) S.r.l., i

(omissis)), alla stessa residenza anagrafica di gran parte degli indagati che hanno svolto

un ruolo direttivo nella vicenda o che fanno parte della famiglia (omissis))”.

Del resto, nel procedimento da ultimo indicato grava su (omissis), tra l’altro, anche

un’imputazione specifica di truffa ex art. 640 bis c.p. per l’effettiva percezione illecita,

attraverso la (omissis)s.r.l., della somma di euro 147.264,00 quale prima quota del

contributo pubblico concesso ai sensi della legge n. 488/92, ed il reato consumato è

contestato in Rosarno, dove è avvenuto l’incasso della prima quota di contributo (mentre

solo con riferimento al reato tentato la contestazione è effettuata in Mosciano Sant’Angelo,

sede legale della s.r.l.).

Nella OCC del Gip di Palmi, ancora, si evidenziava come anche dagli accertamenti

svolti nei confronti della (omissis)S.r.l. era emersa l’ubicazione della sede amministrativa

delle diverse società del “(omissis)” in Gioia Tauro (RC), via (omissis).

In particolare, si legge “È stato rilevato, infatti, come la dipendente (omissis) abbia

dichiarato in atti che “attualmente lavoro con la mansione di impiegata amministrativa

presso la (omissis)S.r.l., una società del “(omissis)”. In passato, ho lavorato sempre con

imprese della famiglia (omissis) e precisamente con la (omissis) S.p.a. (circa dal 2001 al

2005), con la (omissis)S.r.l. (dal luglio 2008 al marzo 2009), quindi dall’aprile del 2009

per la (omissis)S.r.l.. Nonostante i diversi “cambi” di società, la mia mansione è sempre

stata la stessa, ossia mi occupo di aspetti amministrativi (contabilità fatturazione,

pagamenti, ecc.) delle varie società della famiglia (omissis). La mia sede lavorativa è

sempre stata a Gioia Tauro (RC), via (omissis), presso gli uffici del “(omissis)”. In

considerazione che nessuna delle società sopra indicate (omissis) risulta avere una sede

amministrativa e/o unità locale in Gioia Tauro (RC), appare evidente, quindi, come – a

prescindere dalle sedi legali e/o gli indirizzi stabiliti per le diverse imprese del “(omissis)”

- la gestione amministrativa-finanziaria delle stesse sia di fatto curata presso gli uffici di

Gioia Tauro (RC), presso i quali si reca quotidianamente l’(omissis)e, molto

frequentemente, i di lui figli (omissis) (tale dato è emerso informalmente nel corso

dell’escussione a s.i.t. delle dipendenti della (omissis) S.r.l. indicate nella presente

CNR)..omissis…Quanto sopra, quindi, conferma l’ipotesi investigativa secondo la quale

l’effettiva “base operativa” dell’organizzazione criminale riconducibile alla famiglia

“(omissis)” sia localizzata proprio in Gioia Tauro (RC)”.

Anche la residenza anagrafica del proposto – che, sebbene da sola irrilevante ai fini che

occupano, può essere valorizzata, unitamente agli altri elementi sopra indicati, al fine di

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individuare il centro degli interessi illeciti attribuiti al proposto - è rimasta fissata in Gioia

Tauro fino a tempi recenti (e certamente nel periodo al quale risalgono i fatti contestati), e

nel territorio della Provincia reggina insiste la gran parte del patrimonio fondiario del c.d.

“(omissis)”, detenuto dalla società (omissis) s.p.a..

La valutazione resiste alla declaratoria di incompetenza pronunciata dal Tribunale di

Palmi nel proc. pen. n. (omissis) RGNR con sentenza emessa in data 19 marzo 2014,

essendo diversi i canoni valutativi della competenza penale e di prevenzione.

Il Tribunale di Palmi, in particolare, dovendo attenersi ai criteri dettati per i casi di

connessione dall’art. 16 c.p.p. - che prevede la competenza del giudice del luogo in cui è

stato commesso il reato più grave fra quelli contestati (nella specie, quello associativo) - ha

ritenuto di non poter applicare la norma di cui all’art. 8, comma terzo, c.p.p., ritenendo che

non fosse possibile individuare in quella sede il luogo in cui aveva avuto inizio la

consumazione del reato ex art. 416 c.p. (valutazione, invero, non condivisa da questo

Collegio perché clamorosamente smentita dai dati oggettivi acquisiti), ed ha utilizzato i

criteri subordinati, individuando la competenza del Tribunale di Teramo sulla base del reato

commesso per primo, peraltro, da uno solo degli indagati ((omissis), fratello del proposto).

Per contro, nell’ambito dell’odierno procedimento di prevenzione, elementi decisivi in

ordine alla sussistenza di un unico centro organizzativo e decisionale (sintomaticamente

desumibile dalla gestione amministrativa unica delle varie società del gruppo, espressione

di un unico centro di interessi economici, a prescindere dalle diverse persone giuridiche

attraverso le quali si esprime) e al ruolo imprenditoriale da sempre esercitato dal proposto

in Gioia Tauro si traggono dalle considerazioni già già espresse dal Gip di Palmi, fondate

ovviamente su un materiale probatorio più ampio di quello del dibattimento, arricchite dei

dati che saranno esposti in prosieguo.

In sintesi, ritiene il Collegio che il centro di interessi del proposto è da sempre radicato

nel territorio della provincia di Reggio Calabria, ove ha avuto inizio quella che vedremo

essere una vera e propria strategia illecita di esercizio di impresa via via affinatasi nel corso

del ventennio attenzionato; né può sostenersi che le condotte per cui è attualmente processo

a Teramo siano la manifestazione più significativa di pericolosità, nonostante si proceda per

il reato di cui all’art.416 cp, poiché non si tratta di ipotesi associative previste dall’art.4 lett.

a) e b) D.Lgs.159/2011, bensì di associazione semplice che consente di collocare il proposto

nelle categorie previste dall’art.1 D.lgs.159/2011 e richiamate dall’art.4 lett.c (si rimanda a

Cass. Penale n.4175 del 2016).

Ritenuta la competenza territoriale di questo Tribunale, può passarsi al merito

della proposta personale.

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Come è noto, alla stregua della autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a

quello penale, il giudice della prevenzione può utilizzare ai fini della formulazione del

giudizio di pericolosità in virtù dell’appartenenza di un soggetto ad una delle categorie

legislative circostanze di fatto emergenti da procedimenti penali, anche prescindendo dalle

conclusioni alle quali il giudice penale è pervenuto; purché, a tali fini ed in ordine a tali

elementi, il giudice della prevenzione abbia effettuato un puntuale esame critico al fine di

affermare l'esistenza sul piano della realtà di quelle circostanze fattuali e di individuarne la

diretta incidenza sul giudizio di pericolosità sociale(Cass., Sez. 1^, 18 marzo 1994, Cass.,

Sez. 1^, 3 novembre 1995).

La non sovrapponibilità della prova nel giudizio penale alla “prova” per la prevenzione

è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità in quanto in linea con "le

profonde differenze, di procedimento e di sostanza" che è possibile intravedere tra le due

sedi, penale e di prevenzione: la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di

verifica nel processo, a seguito dell'esercizio della azione penale; la seconda riferita a una

complessiva notazione di pericolosità, la quale è desumibile non solo da singoli fatti illeciti,

ma da un più ampio quadro di abitudini di vita, rapporti e frequentazioni.

Ne deriva che l'assenza di condanne o di sviluppi processuali delle varie pendenze

giudiziarie del proposto non può infirmare l'autonomia del giudizio di prevenzione purchè

si dia conto dello specifico rilievo dimostrativo, ai fini del giudizio di pericolosità, delle

circostanze di fatto non ontologicamente negate in sede penale ed emergenti dai

procedimenti penali a carico del proposto pendenti all’epoca della decisione.

Questo è l'unico limite (insieme, ovviamente, con quello di non avvalersi di prove

vietate: cfr. Cass. S.U. n. 13426 del 25.3.10, dep. 9.4.10) posto all'autonomia valutativa del

giudice della prevenzione: i fatti storici ritenuti sintomatici della pericolosità del proposto

non devono essere stati smentiti in sede di cognizione penale.

Senza ripercorrere il dibattito che ha avuto ad oggetto il sistema prevenzionale a causa

delle regole che ad esso presiedono, meno “garantiste” di quelle del processo penale, va

affermato che esso ha sempre superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. ord. nn

368/1964, 721/1988 e sentenze n 465/1993, 487/1995, 335/1996, 21 e 216 del 2012) ed è

stato ritenuto legittimo dalla stessa CEDU (sentenza 22/02/1994, Raimondo; 04/09/2001

Riela; 05/07/2001, Arcuri; 05/01/2010, Bongiorno; 06/07/2011, Pozzi; 17/05/2011 Capitani

e Campanella), concentrandosi gradualmente gli sforzi nell'effettuare interpretazioni

costituzionalmente orientate di quelle norme maggiormente sospettate di essere in contrasto

con i valori costituzionali agganciando il giudizio di pericolosità alla oggettiva valutazione

di fatti -sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del soggetto- accertati in

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modo da escludere valutazioni meramente soggettive ed incontrollabili da parte dell'autorità

proponente (Cass.Pen. 6613/2008).

Posto, dunque, che lo scrutinio di pericolosità sociale può fondare sia sugli stessi fatti

storici tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti con sentenza irrevocabile

ed anche se non sfociati in una condanna e sia su altri fatti acquisiti o autonomamente

desunti nel giudizio di prevenzione (v. Sentenza n. 47764 del 06/11/2008;Cass., Sez. 5^, 31

maggio 2000, 21 ottobre 1999, Castelluccio; Cass., Sez. 1^, 12 gennaio 1999, Bonanno), il

giudizio di pericolosità espresso in sede di prevenzione va scisso nelle sue componenti

logiche in una prima fase di tipo "constatativo" alimentata in primis dall’apprezzamento di

"fatti" storicamente apprezzabili e costituenti a loro volta "indicatori" della possibilità di

iscrivere il soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste dalla legge.

Alla fase constatativa si unisce una seconda fase di tipo essenzialmente prognostico,

per sua natura fondata sui risultati della prima, tesa a qualificare come "probabile" il

ripetersi di condotte antisociali, inquadrate nelle categorie criminologiche di riferimento

previste dalla legge.

L'esistenza di tale duplice profilo consente - anche in chiave di rispetto dei valori

costituzionali di tutela dell'individuo - di adottare le limitazioni alla sfera di libertà del

soggetto raggiunto da tale prognosi, con l’applicazione della misura di prevenzione

personale, se del caso "congiunta" a misura patrimoniale, lì dove in ipotesi di pericolosità

tipica sussistente, ma non più attuale (sempre al momento della decisione di primo grado)

può essere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale

della confisca "disgiunta" (per tutte, Sez. U. n. 4880 del 2015, ric. Spinelli).

Il soggetto coinvolto in un procedimento di prevenzione viene dunque

ritenuto "pericoloso" o "non pericoloso" in rapporto al suo precedente agire

per come ricostruito attraverso le diverse fonti di conoscenza elevato ad

"indice rivelatore" della possibilità di compiere future condotte

perturbatrici dell'ordine sociale costituzionale o dell'ordine economico e

ciò in rapporto all'esistenza di precise disposizioni di legge che

"qualificano" le diverse categorie di pericolosità tipizzate attualmente dal

D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1 e art. 4 (sul tema si veda ex multis

Sez. 1 n. 23641 del 11.2.2014, rv 260104).

Considerato che le indicazioni del legislatore sono "tipizzanti" e dunque tassative,

iniziando dalla parte constatativa o ricostruttiva del giudizio di prevenzione va apprezzato

il significato delle previsioni utilizzate dall’autorità proponente come modello in cui calare

le condotte emerse nel tempo a carico del proposto: l’essere abitualmente dedito a traffici

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delittuosi (art.1 lettera a) e il vivere abitualmente, anche in parte, dei proventi di attività

delittuose (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. b).

Tanto i “traffici delittuosi” quanto “l’attività delittuosa”, con il cui provento il

soggetto proposto si mantiene, sono stati oggetto nel tempo sin dalla legge 1423 del 1956

di interpretazioni estensive della giurisprudenza di merito, sicché questi non s’identificano

più esclusivamente nei classici delitti contro il patrimonio (rapina, furto, ricettazione) bensì

anche in quelle condotte imprenditoriali “moderne” di percezione di ingiusti vantaggi

patrimoniali, come la corruzione, la concussione, delitti in materia economica, tributaria o

fiscale.

Tale inquadramento, da operarsi sulla base di idonei elementi di fatto (ivi compreso il

riferimento alla condotta e al tenore di vita) richiede la verifica della realizzazione di attività

delittuose (importata da correlato procedimento penale o ricostruita in via autonoma in sede

di prevenzione) produttive di reddito illecito non episodica ma almeno caratterizzante un

significativo intervallo temporale della vita del proposto e la destinazione, alimento

parziale, di tali proventi al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento della persona e del

suo eventuale nucleo familiare.

Non ignora il Tribunale il recente arresto giurisprudenziale secondo cui il principio

della "autonoma valutazione" opera anche in relazione a fatti desumibili da decisioni di

assoluzione ma solo nelle ipotesi di pericolosità qualificata di cui all’art.4 lettera a) del

D.lgs.159/2011 per la diversità ontologica della prova della condotta di appartenenza

mafiosa ai fini del giudizio di prevenzione rispetto alla prova della condotta partecipativa

in senso pieno (art. 416 bis) per cui le medesime circostanze di fatto (le frequentazioni

stabili con il soggetto mafioso, ad esempio) ben possono rappresentare indice rivelatore di

contiguità - ove accertate - pur se ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa

di penale responsabilità.

Diversamente, la Suprema Corte ha sostenuto nel settore della pericolosità "semplice"

di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, ed in particolare per quanto riguarda l'ipotesi della

lettera b) non è possibile porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla

osservanza del principio di tassatività e di quello, ancor più generale, di unitarietà

dell'ordinamento e di non contraddizione, una simile operazione di valorizzazione di fatti

per i quali sia intervenuta una pronuncia penale di assoluzione piena (Cass. Penale, Sez. 1,

Sentenza n. 31209 del 24/03/2015).

Osserva, infatti, il giudice di legittimità che imponendo la norma di riferimento di

constatare la ricorrente commissione di un delitto (attività delittuose) produttivo di reddito,

laddove la realizzazione del delitto sia stata esclusa in sede penale con una pronuncia

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assolutoria- e ciò sia in rapporto all'elemento materiale che a quello psicologico, non

potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo-

manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della

fattispecie.

E tuttavia, il giudice di legittimità ha ribadito la possibilità per il giudice della

prevenzione di valutare autonomamente "fatti accertati" in sede penale che non abbiano

dato luogo a sentenza di condanna, anche dove si discuta dell'inquadramento del soggetto

proposto nella categoria di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. B, in

presenza di sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione (limite esterno alla

punibilità del fatto) “lì dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza nella

decisione di proscioglimento o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti”.

In definitiva, è stato confermato il principio in base al quale l’unico limite all’autonomia

del giudizio di prevenzione è quello della negazione in sede penale, con pronunce

irrevocabili, di determinati fatti: ciò in quanto la negazione penale irrevocabile di un

determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e, quindi, di assumerlo come elemento

iniziale del giudizio di pericolosità sociale.

Fissati i principi cui si atterrà il Tribunale nel valutare il corposo materiale probatorio,

può passarsi a prendere in esame le numerose vicende giudiziarie che hanno riguardato il

proposto, seguendo un criterio temporale agganciato alla data di commissione dei reati

oggetto dei vari procedimenti penali tentando per tale via anche una ricostruzione storica

della genesi e dello sviluppo dell’attività imprenditoriale del proposto nell’esercizio della

quale l’Oliveri ha manifestato la sua pericolosità sociale.

1)Proc. pen. nr. (omissis) R.G.N.R. - Procura della Repubblica di

Palmi.

In data 25 giugno 1986 era avviata una verifica fiscale del Comando di Polizia

Tributaria di Reggio Calabria nei confronti della ditta individuale (omissis) con sede in

Gioia Tauro (costituita il 1.7.1981) scaturita dai controlli nei confronti della (omissis),

società di produzione di lattine per il confezionamento dell’olio di cui l’(omissis) era cliente,

dai quali era emerso che detta ultima società possedeva una doppia contabilità per le

operazioni di vendita di lattine con emissione di due fatture per ogni operazione riportanti

stesso numero e data di emissione ma diverso imponibile.

In esito ai controlli incrociati l’(omissis) era rinviato a giudizio dinnanzi al Tribunale

di Palmi con l’imputazione del delitto di cui all’art. 1, nn. 1 e 2, della L. 516/82 (“per avere

omesso di annotare nelle scritture contabili obbligatorie ai fini IVA, fatture per un

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ammontare di lire 3.015.159.406 relative all’anno 1985”), nonché del reato di cui all’art. 4

della L. 516/82 (per aver utilizzato fatture di acquisto per operazioni inesistenti al fine di

evadere l’IVA e le II.DD., nel periodo 1983 – 1985, contabilizzando l’acquisto dalla

“(omissis)” di 549.569 lattine pari a lire 442.388.640 più IVA, mentre di fatto risultavano

acquistate solamente 63.000 lattine”). Fatti accertati dalla Guardia di Finanza in data

24.10.1988.

Con sentenza n. (omissis), emessa dal Tribunale di Palmi in data 31.01.1996,

nell’ambito del proc. pen. iscritto al n. (omissis)RGNR il proposto è stato condannato alla

pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione e 500.000 lire di multa, ravvisata la sussistenza di

inequivoca relazione di continuità criminosa tra i due reati per l’evidente identità del

disegno criminoso, sia pure con la concessione del beneficio della sospensione condizionale

della pena motivata in ragione della sostanziale incensuratezza all’epoca dell’imputato e la

previsione della futura astensione in futuro dalla commissione di altri reati, smentita dalle

numerose altre vicende che lo hanno visto coinvolto.

Dalla motivazione della sentenza emerge che, sebbene la Guardia di Finanza non avesse

potuto esaminare la documentazione amministrativo-contabile della ditta del proposto fino

al mese di ottobre 1985, tuttavia sulla base dei registri tenuti ai fini AIMA (nei quali sono

riportate le quantità di olio e dei contenitori acquistati nonché i quantitativi di olio

confezionati e venduti) ed alcuni tabulati fornitori esibiti dallo stesso (omissis)era stato

possibile ricostruire indirettamente il volume d’affari relativo alle attività di

imbottigliamento e commercio di olio esercitato dalla ditta “(omissis)”.

Dai controlli incrociati e da questionari inviati ai fornitori ed agli acquirenti risultanti

dalla predetta documentazione contabile era emerso che numerosi di essi non conoscevano

affatto la ditta “(omissis)” mentre altri avevano venduto e/o acquistato quantitativi di olio

inferiori rispetto a quelli che risultavano nei registri AIMA. Per tale via, venivano riscontrati

i rilievi effettuati presso la (omissis) relativi alla emissione di fatture maggiorate, “avuto

riguardo alla circostanza che le lattine acquistate fittiziamente dalla ditta (omissis)

servivano per dare riscontro ai quantitativi di olio corrispondenti, anch’essi in parte fittizi

alla luce di quanto era emerso dai suddetti accertamenti, che la ditta stessa aveva

contabilizzato nei registri Aima. In particolare, come risulta dal processo verbale di

constatazione, la ditta (omissis) aveva nel periodo compreso dal 1983 al 1985 annotato nei

registri Aima ed allegato alla dichiarazione annuale dei redditi le fatture fittizie emesse

dalla “(omissis)” per un numero complessivo di 549.569 lattine pari ad un costo imponibile

di lire 442.388.640 più IVA, mentre di fatto risultavano acquistate solamente 63.090 lattine.

La ditta (omissis), pertanto, aveva fatto risultare ed aveva contabilizzato, al fine di

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conseguire una indebita detrazione di imposta iva, le suddette fatture emesse dalla

Merlat”.

In data 23.01.2001 la Corte d’Appello di Reggio Calabria in riforma alla citata Sentenza

emessa dal Tribunale di Palmi in data 31.01.1996 assolveva l’(omissis) dai reati di omessa

annotazione di fatture nelle scritture contabili obbligatorie ai fini IVA perché il fatto non è

più previsto dalla legge come reato e dichiarava di non doversi procedere nei suoi confronti

in ordine al reato di utilizzazione di fatture di acquisto per operazioni inesistenti ai fini di

evasione perché estinto per intervenuta prescrizione.

2) Con rapporto penale nr. (omissis) del 14.4.1988 (allegato 6 alla proposta) il Nucleo

di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania, trasmetteva a quella Procura della

Repubblica, denuncia nei confronti di (omissis), nato a (omissis), il (omissis), titolare

dell’omonima ditta individuale di commercio ambulante di generi alimentari, nonché nei

confronti di altri 11 soggetti, tra i quali (omissis), quale titolare della ditta omonima, il

fratello (omissis), quale amministratore unico della srl (omissis), e il padre (omissis), quale

titolare della omonima ditta individuale, per il reato di associazione a delinquere e truffa

aggravata ai danni dell’AIMA nonché utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

Dalla denuncia in atti emerge che la Guardia di Finanza di Catania, nel corso di una

verifica fiscale iniziata il 10.09.1987, nei confronti della Ditta Individuale (omissis),

relativamente alle attività svolte negli anni 1984-1986, riscontrava che il (omissis) aveva di

fatto creato “una impresa esistente solo formalmente” (in quanto agli indirizzi riportati nei

documenti fiscali della citata ditta individuale, ossia fatture e bolle di accompagnamento

non esistevano locali idonei o destinati allo svolgimento dell’attività commerciale bensì

altre aziende o civili abitazioni, ruderi e indirizzi inesistenti) creata ad hoc al solo scopo di

far conseguire un indebito contributo comunitario a varie ditte di Gioia Tauro, produttrici e

imbottigliatrici di olio di oliva, tra cui quelle facenti capo ad (omissis)nonché ai citati

componenti della famiglia (omissis), tutte con sede in Gioia Tauro alla via (omissis).

Il dato significativo emergente dagli accertamenti svolti dalla PG nel corso

dell’indagine confluita nel predetto rapporto di denuncia è rappresentato dalla emissione da

parte della ditta facente capo al proposto di fatture per forniture fittizie in favore della citata

ditta inesistente del (omissis), di quintali 167,00 di olio che “fruttavano” all’(omissis)

indebiti contributi comunitari percepiti dall’AIMA nell’anno 1985 per £.16.043.690

(eguale truffa era perpetrata dalla ditta individuale del padre del proposto con un indebito

contributo AIMA pari a £.20.381.250 ed alla srl (omissis)amministrata dal fratello per lire

4.131.010).

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In ordine a tali fatti, non è stato possibile rintracciare presso il Tribunale di Catania

documentazione attestante l’esito del procedimento incardinatosi a carico del proposto a

seguito della predetta denuncia, e tuttavia la sussistenza sotto il profilo oggettivo e

soggettivo della condotta illecita di emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa ai

danni dell’Aima può desumersi dalla sentenza del Tribunale di Catania, Seconda Sezione,

nr. (omissis) del 22.12.1993, esecutiva il 04.10.1994, con cui il (omissis) era condannato

alla pena di anni uno di reclusione e lire 6.000.000 di multa, oltre al pagamento delle spese

processuali, in ordine al reato di cui all’art.4, comma 1, nr.5 del D.L.429/1982, convertito

nella legge 516/1982, poiché nella qualità di titolare unico della ditta omonima esercente

l’attività di commercio ambulante di generi alimentari, nel 1985, ebbe ad utilizzare per la

propria contabilità fatture emesse da ditte di Gioia Tauro per la vendita al (omissis) di

quantitativi di olio di oliva per complessivi litri 133.541 per un imponibile di lire

402.754.890, senza essere in possesso né di licenza a vendere, né di mezzi per il trasporto

della merce, né di locali idonei al deposito della stessa, né di ogni struttura idonea per

l’esercizio dell’attività commerciale (in particolare, in (omissis)dove avrebbe dovuto avere

sede la ditta i locali sono stati sempre occupati da ditte esercenti l’attività di fotografo,

mentre in Via (omissis), dove l’olio di oliva risulterebbe essere stato depositato, si trova

l’abitazione della sorella del (omissis).

Così chiosava il Tribunale di Catania: “ è certo che in realtà le forniture di olio sono

meramente fittizie in quanto corrispondenti ad operazioni in realtà inesistenti e le fatture

sono state emesse per precostituire a favore del (omissis) una documentazione di

operazioni passive da utilizzare nella contabilità fiscale, e per consentire, a favore delle

ditte pretese fornitrici, un indebito conseguimento di contributo comunitario”.

E’ dunque certo che la ditta del (omissis) non esistesse (dunque fosse una società c.d.

cartiera) come è stato accertato dalla Gdf e che la ditta individuale del proposto (come quelle

del padre e del fratello) avesse emesso in favore della stessa fatture per operazioni di vendita

inesistenti, da ritenersi evidentemente fittizie e funzionali all’indebito ottenimento di

contributi comunitari (AIMA) per la commercializzazione dell’olio di oliva oltreché

all’evasione fiscale mediante indebita detrazione dell’iva sulle fatture per operazioni

inesistenti (f.o.i.).

3) Con decreto del 19.7.1996 (omissis) ed il padre, (omissis)erano rinviati a giudizio

davanti al Tribunale di Palmi, insieme ad altre quattro persone, per il reato di cui all’art.416

cp, “per essersi associati tra loro al fine di porre in essere un articolato circuito fraudolento

onde commettere più delitti, tra cui l’indebita percezione di aiuto comunitario, emissione

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ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e formazione di bolle accompagnatorie

ideologicamente false; reati specificatamente descritti nei successivi capi di imputazione;

accordo delittuoso permanente interrotto unicamente dalle indagini di P.G. esperite”.

Con sentenza nr. (omissis), emessa dal Tribunale di Palmi in data 11.06.2001, nel proc.

pen. nr. (omissis) R.G. presso la Procura della di Palmi, il Collegio –acquisite le sentenze

di non doversi procedere per intervenuta prescrizione emesse in relazione ai singoli reati

fine rientranti nel programma associativo ed in esito ad una istruttoria dibattimentale

esauritasi con l’escussione di un solo teste di PG- emetteva sentenza di non doversi

procedere per intervenuta prescrizione del reato associativo per cui si procedeva che

risultava essere stato consumato “fino al settembre del 1985” con conseguente maturare

della prescrizione decennale già prima del decreto di rinvio a giudizio. Dalla lettura della

motivazione si evince che il Tribunale, sentito quale teste il M.llo (omissis) il quale aveva

dichiarato che “l’attività di indagine da lui compiuta aveva disvelato l’esistenza di una

organizzazione illecita finalizzata alle frodi comunitarie ed alla commissione di violazioni

finanziarie poste in essere fino ad epoca non successiva al settembre 1985”, ha ritenuto

fondata la retrodatazione al 1985 della condotta associativa contestata, per cui escluse le

aggravanti per la mancata precisazione dei ruoli rivestiti dai singoli imputati nella

organizzazione, riteneva maturata la prescrizione.

4) Proc. pen. nr. (omissis) R.G.N.R. - Procura della Repubblica di Palmi .

Con decreto del 4 maggio 1993 del Gip di Palmi era disposto il rinvio a giudizio nei

confronti di (omissis), quale amministratore unico della (omissis) srl, e (omissis), quale

autotrasportatore della srl amministrata dal fratello, per il delitto previsto e punito agli

artt.110,112 n.1 cp, 4 p.5 L.516/1982, perché in concorso con altri “al fine di conseguire o

far conseguire ad altri un indebito rimborso IVA, utilizzavano ed emettevano fatture per

operazioni inesistenti di compravendita di n.89956 lattine contenitori di olio da litri cinque

per l’anno 1985”(capo A), nonché del delitto di truffa aggravata perché “con artifizi e

raggiri consistiti nell’utilizzare documenti comprovanti un fittizio acquisto di lattine

contenitori inducevano in errore la Pubblica Amministrazione circa il presunto acquisto di

litri 449.780 di olio, procurandosi in tal modo l’ingiusto profitto del contributo AIMA pari

a £.241.418.560” (Capo B). Fatti accertati in Gioia Tauro nel febbraio 1988 ma commessi

con riferimento al periodo 1984-1986.

Il procedimento penale, cui erano riuniti quelli n. (omissis) nei

confronti di (omissis) (soggetto già destinatario di misura di

prevenzione irrogatagli da questo Tribunale il 3.4.2013, confermata con

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decreto della Corte d’appello n. (omissis) del 11.7.2014, quale

imprenditore del settore oleario dedito nell’esercizio della propria

attività alla violazione sistematica delle regole che sovraintendono al

corretto esercizio dell’attività economica, al fine di percepire ingiusti

profitti), scaturiva da un’attività di verifica e controllo ai fini IVA e delle

II.DD. effettuata dalla Guardia di Finanza nei confronti della “(omissis)

Srl” (amministrata da (omissis)ed alle cui dipendenze, in qualità di

autista figurava (omissis)) e di altra ditta “(omissis)” relativamente al

periodo compreso tra il 01.01.1983 ed il 25.06.1986, nonché nei confronti

della società “(omissis)” facente capo ai fratelli (omissis), nato a (omissis)

il (omissis) e (omissis), nato a (omissis) il (omissis), avente per oggetto la

produzione di lattine per il confezionamento e l’imbottigliamento

dell’olio d’oliva.

Il meccanismo truffaldino consisteva nella emissione da parte della

(omissis), per ogni operazione, di due distinte fatture riportanti lo stesso

numero progressivo e la stessa data di emissione ma diversi quantitativi

di merce venduta e, conseguentemente diverso importo imponibile,

consentendo così alla ditta (omissis) amministrata dal fratello del

proposto di dimostrare l’avvenuto confezionamento di un numero di

lattine superiore a quello effettivo ottenendo, pertanto, attraverso la

falsa attestazione (tramite l’alterazione delle scritture contabili) di un

volume d’affari superiore di gran lunga a quello realmente posto in

essere ingiusti profitti costituiti dai contributi all’integrazione per il

consumo erogati dall’AIMA nel settore della commercializzazione

dell’olio.

Con sentenza n. (omissis) il Tribunale di Palmi dichiarava non doversi procedere nei

confronti del proposto e del fratello per i reati di cui al capo A perché estinti in virtù di

prescrizione.

Osservava, tuttavia, il Tribunale che sulla base delle risultanze istruttorie non era

emersa con evidenza la prova dell’innocenza degli (omissis), in particolare era ritenuto non

credibile che (omissis) ignorasse di trasportare una quantità di lattine “considerevolmente

inferiore” a quella che veniva indicata sulle bolle di accompagnamento e relative ai viaggi

che lo stesso effettuava per conto della citata ditta del fratello da cui dipendeva (sebbene

già all’epoca titolare di una ditta propria), per cui la circostanza relativa alla sottoscrizione

da parte dello stesso delle bolle di accompagnamento della merce trasportata non consentiva

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di ritenere che non fosse consapevole di concorrere nel reato di emissione ed utilizzazione

di documentazione contabile per operazioni inesistenti. Ed ancora, il Tribunale

argomentava sulla fondatezza dell’assunto accusatorio valorizzando le risultanze delle

escussioni testimoniali disposte ai sensi dell’art.507 cpp volte ad accertare le quantità di

olio trattate dalla (omissis) da cui era emerso che molte delle ditte che risultavano dalla

documentazione in atti essere state clienti della predetta srl non avevano avuto rapporti

commerciali con la (omissis).

L’espediente criminoso è lo stesso oggetto del procedimento penale nr. (omissis)

R.G.N.R. - Procura della Repubblica di Palmi, di cui si è detto sopra a carico del proposto

quale titolare dell’omonima ditta individuale, a conferma della esistenza sin dai primi

anni’80 di una unica mente criminale riconducibile alla triade (omissis), che attraverso la

creazione contemporanea di ditte e società con lo stesso oggetto sociale (produzione e

commercializzazione di olio) ideavano programmi criminosi finalizzati al conseguimento

di ingiusti profitti (indebiti rimborsi iva e indebiti contributi aima) che poi erano reiterati

“in fotocopia” per tutte le società del gruppo (omissis), così moltiplicando l’effetto di

arricchimento illecito e con l’effetto di disorientare le indagini anche allungando i tempi

degli accertamenti fondati su controlli incrociati, ciò che gli ha di fatto garantito l’immunità

per prescrizione.

Quanto al reato di truffa di cui al capo B), il Tribunale –pur motivando sulla base delle

risultanze dibattimentali che la condotta che emergeva a carico delle ditte esaminate non

appariva limitata alla sola esposizione di dati e notizie false tese ad ottenere indebiti

contributi comunitari ma si concretizzava nella predisposizione di documentazione di

supporto non veritiera tale da indurre in errore gli organi di controllo comunitari

predisponendo l’apparenza di una situazione non conforme alla reale entità dei traffici

economici delle stesse- pronunciava sentenza di non doversi procedere per amnistia ex l.

n.75 del 1990, esclusa l’aggravante del danno di rilevante entità essendo emerso in

dibattimento che la percezione indebita di contributi era inferiore a quella contestata (circa

20 milioni di lire).

Appare significativo, nell’ottica di evidenziare l’agire illecito congiunto del proposto

con il padre ed il fratello e tramite le varie ditte e società nel tempo costituite, che anche

(omissis), padre di (omissis), è stato coinvolto nell’analogo procedimento definito con

Sentenza nr. (omissis)emessa dal Tribunale di Palmi in data 17.04.1996, nell’ambito del

proc. pen. nr. (omissis)R.G.N.R., nel quale risultava imputato del reato p.p. dall’art. 4 lettera

d) della L. 516/82 per aver utilizzato fatture fittizie d’acquisto della “(omissis) Srl” di lattine

(nr. 691.056) pari a lire 555.551.500 nel periodo 1983 – 1985, mentre di fatto risultavano

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acquistate solamente 80.278 lattine. Fatti accertati dalla Guardia di Finanza in data

07.08.1988.

5) In data 11 marzo 1996 il GIP di Trani emetteva ordinanza di custodia cautelare

n.113/96 nei confronti di (omissis)ed altri soggetti (tra cui il fratello (omissis)) ritenuta la

sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati frode fiscale, ricettazione e

truffa aggravata – fatti commessi tra il 1989 ed il 1993- nella qualità di socio responsabile

e gestore della società (omissis)- come contestati con l’ordinanza applicativa confermata in

sede di riesame del 19.4.1996 che riteneva sussistente l’esigenza cautelare di cui all’art.274

lett b solo per (omissis) per essersi questo sottratto alla esecuzione dell’ordinanza

rendendosi latitante.

In particolare, erano contestati ad (omissis), nella qualità anzidetta (ma anche al padre

(omissis), quale responsabile legale della (omissis)), plurimi reati ex art.4 n.5 L.516/1982

di utilizzazione, al fine di evadere l’imposta I.I.D.d. e per indebito rimborso Iva, di fatture

per operazioni inesistenti emesse dalle società di (omissis) relative a cessione di olio di oliva

vergine lampante, in realtà olio di nocciola, ma anche di ricettazione per avere acquistato

dalla (omissis) srl olio di nocciola recante a scorta fatture fittizie di vendita di olio di semi

vari grezzo diverso da quello indicato in fattura, oggetto del delitto di contrabbando

commesso dal Ribatti e consapevole della sua provenienza delittuosa, nonché di truffa

finalizzata a procurare a terzi con la ricettazione l’indebita percezione di contributi

comunali.

Il giorno precedente la sua costituzione ai Carabinieri di Gioia Tauro (RC), il G.I.P. del

Tribunale di Trani con ordinanza del 8.6.1996 disponeva la misura della custodia

domiciliare in luogo di quella in carcere, pur osservando che : “il sodalizio criminoso tra

(omissis) e (omissis) e gli altri coindagati non appare frutto di un estemporaneo accordo

criminoso risalente nel tempo ma una piattaforma affaristica destinata ad avere durata

indeterminata se non fossero intervenuti gli accadimenti prima cautelari e quindi

giurisdizionali (sentenza del Tribunale di Trani) che solo per singoli periodi hanno

interrotto temporaneamente l’illecite transazioni di olio”.

Significativi sono alcuno passaggi dell’ordinanza da ultimo richiamata (in atti)

laddove il GIP motiva approfonditamente sull’esistenza del pericolo di reiterazione a fronte

della accertata sistemizzazione delle condotte illecite di frodi fiscali e truffe concertata tra i

coindagati tutti con posizione di preminenza nel mercato dell’olio di oliva destinate a

frodare l’erario e la CEE, cagionando così un danno all’economia di settore, al punto da

osservare che “la condizione di latitanza dell’(omissis), appare quasi un dato trascurabile

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se non si riconnettesse con una riflessione in ordine alla possibilità che egli ha di muoversi

nel suo territorio impunemente (come attestano i certificati medici rilasciati a Messina) e

così di reiterare identiche condotte, ovvero di inquinare le prove sottraendo alle indagini

documenti che non possono ritenersi tautologicamente ed irrimediabilmente sottratti”. Solo

considerazioni giustiziali di analogo trattamento cautelare agli altri indagati ma anche lo

stato avanzato delle indagini, pur a fronte della gravità dei reati, induceva il Gip ad

accogliere l’istanza di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari da

eseguirsi in località compresa nel territorio del circondario del Tribunale di Trani,

osservando il GIP “Ciò che è necessario evitare, infatti, è che l’(omissis) continui di fatto

ad amministrare la (omissis)–società che non è fallita né è il liquidazione ed alla cui

amministrazione si alternano gli (omissis)”.

Dalla lettura del provvedimento restrittivo custodiale, circa i fatti ascritti a (omissis),

tra l’altro, contestati anche al padre (omissis), emerge che la vicenda processuale ruotava

attorno alla figura di (omissis) (cui faceva capo la (omissis) Srl di Barletta), il quale con

sentenza nr. (omissis) emessa il 17.11.1995 dal Tribunale di Trani era già stato giudicato

colpevole, unitamente ad altri due soggetti, dei reati di associazione per delinquere

finalizzata al falso, al contrabbando doganale di olio, alla truffa continuata in danno

dell’AIMA ed alla CEE nonché alla frode fiscale realizzata anche attraverso l’emissione di

false fatture. L’associazione organizzata dal (omissis), già delineatasi in occasione della

emissione della prima ordinanza applicativa della custodia in carcere del predetto -si legge-

era costituita su solide basi organizzative che prevedevano la costituzione di società

all’estero regolate da sistemi giuridici che sfuggivano al controllo della legislazione italiana

e che dovevano non solo essere destinatarie dell’olio vegetale importato di fatto da società

turche che transitava dai porto di Heraclion (Creta) e di quello del Pireo mediante documenti

doganali falsi (in quanto non soltanto mai rilasciati ma corrispondevano ad altri documenti

rilasciati per beni di diversa natura, ad es. legno, scatole di ferro esportate all’Etiopia,

tabacco lavorato proveniente dalla Grecia,etc.) ma anche il mezzo attraverso il quale il

Ribatti, beneficiando del pagamento delle forniture, costituì ingenti provviste di denaro

all’estero.

Nel prosieguo dell’indagine era emerso che le società greche, che figuravano essere

venditrici dell’olio di oliva alle società del (omissis), risultavano inesistenti e che di fatto,

l’olio trasportato in Italia era olio vegetale il quale durante il trasporto ed attraverso la

modifica e la falsificazione dei documenti di viaggio, si trasformava in olio di oliva.

Veniva accertato che presso la sede della (omissis) Srl erano pervenute, apparentemente

venduti a tale società, tonnellate di olio di semi ed il G.I.P., in merito, nel provvedimento

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restrittivo, evidenziava che l’olio di tale natura era stato introdotto all’interno della

(omissis)Srl ed era stato pagato attraverso rimesse sulle banche elvetiche e che certamente

vi era stato chi lo aveva acquistato per poi rivenderlo come “olio di oliva” percependo in

tal modo anche aiuti comunitari al consumo.

In effetti dall’indagine era emerso che per il pagamento in nero delle partite di olio

commercializzate, il (omissis) aveva acceso, presso Istituti di Credito elvetici, rapporti

bancari, sui quali confluivano parte delle somme di denaro relative alle citate transazioni

commerciali, tra i quali il conto denominato “(omissis)”, acceso dal (omissis) presso la

Hendelsfinanz HF CCF Bank di Ginevra, il quale, tra l’altro, è stato utilizzato per alimentare

il sottoconto acceso presso lo stesso istituto di credito svizzero ed intestato alla (omissis)

Srl facente capo alla famiglia (omissis) di Gioia Tauro (RC).

Quanto alle plurime attività illecite attribuite in concorso al (omissis)ed agli

(omissis)che agirono attraverso la (omissis) Srl, tra l’altro, si legge nell’OCC: “la

trattazione dei rapporti tra il (omissis) e gli (omissis), amministratori e soci della (omissis)

Srl appaiono al decidente quelli maggiormente finalizzati alla realizzazione dei reati

contestati che vanno dalla ricettazione, al contrabbando di olio, alla truffa ed a plurime

violazioni fiscali. La conoscenza tra il (omissis) ed (omissis) è attestata dai frequenti viaggi

che gli stessi compirono, tutti documentati dalla Guardia di Finanza: gli stessi infatti

alloggiarono insieme il 14 ed il 15 maggio 1991 presso il Grand Hotel di Roma, il 16 ed il

17 gennaio 1990 presso l’Hotel Hilton di Rotterdam (tornando in tale circostanza insieme

in aereo), il 18 gennaio 1990 al Palace Hotel di Varese, il 19 gennaio 1990 all’Hotel

Cassarate Lago, viaggi coincidenti con lo stringersi dei rapporti di natura illecita

riguardanti acquisti e forniture di olio, accreditamenti in nero su conti esteri, acquisti da

parte della (omissis) dalla (omissis) Srl di quantità di olio miscelato. Peraltro dalla

documentazione acquisita presso (omissis) –fiduciario del (omissis) e movimentatore dei

suoi conti all’estero- la Guardia di Finanza accerterà che presso la Hendelsfinanz HF CCF

Bank di Ginevra il (omissis) aveva aperto un conto contrassegnandolo con il nome di sua

figlia “(omissis)”. E’ stato il (omissis), poi, a rivelare che tale conto fu acceso dal (omissis)

allorquando la figlia raggiunse la maggiore età e che lo stesso fu dallo stesso (omissis)

utilizzato per effettuare pagamenti a fronte di acquisti di olio di nocciola dalla (omissis),

olio importato con falsa denominazione di “crude vegetable oli” (olio di semi grezzo).

Orbene, esaminando la documentazione bancaria acquisita dal (omissis), la Guardia di

Finanza accertò che presso lo stesso istituto di credito, dove operava la “(omissis)” –

società del (omissis) – era stato acceso un sottoconto a nome “(omissis)”, conto che lo

stesso (omissis) riferì alimentato da trasferimenti in denaro del conto “(omissis)” fino alla

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concorrenza di US$ 876.084. Circostanze che attestano una suddivisione di utili illeciti e

la costituzione di riserve di danaro all’estero anche da parte degli (omissis). Tali riserve –

che confluirono anche sui conti del (omissis) – sono rappresentate dalla vendita, a prezzo

inferiore, di un prodotto “olio di semi”, in luogo dell’altro reale, “olio di nocciola” di

prezzo superiore e con l’accredito della differenza di prezzo sui predetti conti”. Gli

inquirenti accertavano diverse transazioni intervenute tra la (omissis) LTD (società del

(omissis)) e la (omissis) (degli (omissis)), la cui natura era poi ricostruita attraverso

manoscritti sequestrati al (omissis) che riferì al P.M. che le annotazioni afferivano a

forniture di olio di nocciola fatti ad (omissis) al quale il (omissis) versava una provvigione,

riferendo altresì della esistenza di giacenze all’estero di “olio di semi grezzo”

dell’(omissis).

Le indagini consentivano di risalire ad accreditamenti da parte della stessa (omissis)

sul conto “(omissis)” di ingenti somme di denaro, oltre ai 600 milioni di lire, che il (omissis)

ha riferito versati in più soluzioni dall’(omissis) al (omissis) per contanti, somme che

rappresentavano la compensazione del prezzo effettivo del prodotto e, per una parte, l’utile

illecitamente conseguito.

Peraltro – si legge- l’illiceità delle transazioni tra la (omissis) la (omissis) sono

attestate, anche in relazione all’emissione di fatture per operazioni inesistenti e per vendite

di olio di oliva miscelato da una serie di dichiarazioni, puntualmente riscontrate

dall’acquisizione della documentazione fiscale alla quale va data la decifrazione offerta

dagli stessi informatori. Ha riferito, infatti, (omissis), impiegato della (omissis), di aver

visto (omissis), nei periodi in contestazione, cinque o sei volte, presso l‘opificio della

(omissis) per acquistare olio che, sulle fatture, era indicato come “olio di oliva lampante”,

mentre in realtà era olio di nocciola e di semi acquistato dal (omissis) dalle sue società

(omissis).

Analoghe dichiarazioni hanno reso il (omissis) e (omissis), addetto amministrativo alle

vendita della (omissis), puntualizzando, per quanto riguarda i rapporti tra il (omissis) e

gli (omissis), che la provvigione o la provvista illecita in ordine ad acquisti di olio miscelato

ovvero in relazione ad operazioni commerciali inesistenti veniva creata come segue:

l’acquirente emetteva ricevuta bancaria a 60/90 gg., ma prima della scadenza il (omissis)

emetteva un assegno con il quale il falso acquirente pagava la stessa ricevuta bancaria.

La differenza fra gli importi dei due titoli costituiva la provvigione.

E, a tale riguardo, va evidenziato che sia nel 1992 che nel 1993 (omissis)concorse nel

costituire una disponibilità “cartolare” di olio di oliva (Kg.476.135 nel 1992 e Kg.412.980

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nel 1993 per un ammontare di lire 3.116.050.497), allorquando era amministratore della

stessa società, carica che ricoprì dal 30.07.1992.

Analogamente appaiono accertate vendite di olio miscelato (O.T.) con olio di oliva

relativamente ad una fornitura avvenuta nel 1990 dalla (omissis) alla (omissis)

(Kg.268.420 di “olio di oliva lampante” in realtà composto da Kg.187.398 di olio di oliva

lampante e da Kg.20.822 di olio di nocciola) ed altra fornitura, avvenuta nel 1991, di

Kg.192.427 di olio di oliva contenente Kg. 12.827 di olio di nocciola, nonché la cessione –

nel 1990 – da parte della (omissis) alla (omissis) – nel 1990 – di Kg.60.200 di olio di

nocciola venduto come “olio di oliva lampante”.

Nel motivare le esigenze cautelari, il G.I.P. del Tribunale di Trani, oltre a sottolineare

il pericolo di distruzione delle prove in quanto “è di tutta evidenza che anche le imprese

amministrate e gestite dagli (omissis) ebbero una doppia contabilità attesa la necessità di

giustificare transazioni fittizie o simulate quanto all’oggetto” e di reiterazione dei reati in

quanto osservava “Non può revocarsi in dubbio che (omissis) e (omissis) furono coloro che,

con maggiore continuità, per anni e reiterando le stesse condotte furono persone che si

misero a disposizione del (omissis) perché quest’ultimo realizzasse il suo piano criminoso

nell’interesse economico di tutti”, evidenziava inoltre che la gravità e l’entità dei reati

contestati agli indagati superava i limiti del contrabbando, della truffa e della frode fiscale,

andando ad incidere sull’economia ledendo oltre agli interessi dei consumatori (acquisto

di prodotti di buona qualità) anche quello di altri produttori costretti a immettere sui

mercati prodotti di qualità più elevata ad un prezzo quasi equivalente al costo per

sopportare la sleale concorrenza.

Il maxiprocedimento penale avviato con i nr. (omissis) registrava tortuose vicissitudini

processuali, ben ricostruite nella richiesta di archiviazione in atti datata 20 marzo 2006,

venendo integrati gli originari capi di imputazione di cui alla richiesta di rinvio a giudizio

del 13.12.1996 con atto del 23.1.1998 cui segui il decreto di rinvio a giudizio del

14.10.1998, quindi con nota datata 16.06.2000 l’ufficio del PM così riformulava originari

capi di imputazione a seguito della riforma dei reati fiscali di cui al DL 74/2000: -(Capo A) associazione a delinquere in qualità di promotori, unitamente ad altri,

per aver costituito un’associazione criminosa finalizzata alla realizzazione dei delitti di contrabbando doganale aggravato di olio di nocciola ed altri prodotti oleari, di frode fiscale, di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti relative alla vendita ed all’acquisto di prodotti oleari, di omessa annotazione nelle scritture contabili, di truffa comunitaria, per aver venduto olio di nocciola come olio vergine lampante scortato da fatture per operazioni inesistenti e comunque miscelato con olio di oliva, di frode in commercio, di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e del delitto di ricettazione dei prodotti oleari. Fatti commessi in Barletta ed in altri luoghi fino all’anno 1992.

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-(capo T) (omissis) ed altri, del reato ex art.292, 295, comma 2 lettera c) e d) e 338 DPR 43/73 e 110 C.P., per aver in concorso tra loro importato in modo illecito, con documenti falsificati e senza pagare i diritti doganali, sotto il profilo del dazio, della sovraimposta per oli di semi e dell’IVA, gravante sul valore non dichiarato in dogana, relativi a Kg.263.000 di olio di nocciola, ricevuto da (omissis) S.A., per il tramite della (omissis) Srl. Fatti commessi in Barletta ed in altri luoghi nel 1990.

-(capo Z17) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.2 comma 3° C.P., art. 2 e 3 DPR 74/2000 per aver annotato componenti negativi di reddito in misura superiore a quelli reali pari a lire 1.444.273.390 per le false fatturazioni, indicando gli elementi passivi fittizi di cui alle fatture per operazioni inesistenti nelle rispettive dichiarazioni ai fini IVA e II.DD. (presentate nell’anno 1992) relative al periodo di imposta dell’anno 1991. Fatti commessi in Barletta ed in altri luoghi nel 1992.

-(capoZ24) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.648 C.P., 61 nr.7 C.P., 12 C.P.P. per aver acquistato da (omissis) e per lui dalla (omissis) Srl, Kg.509.575 di olio di nocciola, per fini di lucro, recante a scorta fatture fittizie di vendita di olio di semi vari grezzo, per un valore di circa lire 1.019.150.000, diverso da quello indicato in fattura, oggetto del delitto di contrabbando e ben consapevoli della sua provenienza delittuosa. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1989.

-(capo Z25) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.2 comma 3° C.P., art. 2 e 3 DPR 74/2000 per aver simulato nella dichiarazione dei redditi nell’anno 1991 documentati da false fatture, componenti negativi di redditi diversi da quelli reali per lire 225.588.800, indicando gli elementi passivi fittizi di cui alle fatture per operazioni inesistenti nella rispettive dichiarazioni ai fini IVA e II.DD. (presentate nell’anno 1990) relative al periodo di imposta dell’anno 1989. Fatti commessi in Gioia Tauro nel 1990.

-(capo Z26) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.648 C.P., 61 nr.7 C.P., 12 C.P.P. per aver acquistato da (omissis)e per lui dalla (omissis) Srl, Kg.263.000 di olio di semi vari grezzo, per fini di lucro, recante a scorta fatture fittizie di olio di oliva per Kg.60.200, diverso da quello indicato in fatture, oggetto del delitto di contrabbando e ben consapevoli della sua provenienza delittuosa. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1990.

-(capo Z27) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della(omissis)Srl, del reato di cui all’art.640 bis, C.P., 61 nr.7 C.P., perché con (omissis), con la ricettazione di cui sopra, procuravano a terzi, con il prodotto sopra descritto, l’indebita percezione dei prescritti contributi comunitari, pari a lire 60.247.319, circa. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1990.

-(capo Z28) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, (omissis) quale responsabile della (omissis) Srl nonché (omissis)ed altri, del reato ex art.292, 295 e 338 DPR 43/73, perché attraverso la formazione e l’uso di documenti doganali falsi per la denominazione ed il valore del prodotto importavano Kg. 1.420.720 di olio di

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nocciola, documentalmente descritto come olio di semi di girasole, con mancato pagamento di dazi doganali. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1991.

-(Capo Z29) (omissis), quali responsabili della (omissis) Srl, nonché (omissis), del reato ex art.81, cpv C.P., 61 nr.7 C.P., 640 Bis. C.P., perché attraverso le vendite fittizie di Kg. 476.135 di olio di oliva e poi, in continuazione, per Kg.412.980, procuravano a terzi, con il prodotto sopra descritto, l’indebita percezione dei prescritti contributi comunitari pari lire 457.489.845 prima e lire 396.807.956 poi. Fatti commessi in Barletta e altri luoghi nell’anno 1992 e 1993.

-(capo Z30) (omissis), quali responsabili della (omissis) Srl, del reato ex art.2 comma 3 C.P., art.8 comma 1, DPR 74/2000, per avere emesso, al fine di consentire a terzi di evadere le II.DD. e l’I.V.A., per motivi di lucro, in continuazione, 15 fatture per operazioni inesistenti, nei confronti della (omissis) Srl per lire 1.651.545.477 e per lire 1.598.147.040 di corrispettivo totale compresa l’IVA. Fatti commessi in Barletta e altri luoghi fino all’anno 1992 e 1993.

Nel prosieguo del giudizio il procedimento tornò nelle fase delle indagini per ritenuta

genericità di alcune contestazioni e per diversità del fatto rispetto a come contestato, quindi

seguì una richiesta di archiviazione accolta dal Gip per alcuni reati prescritti nelle more ex

art.157 cp vecchia formulazione, mentre per i restanti si pose un problema di riformulazione

dei capi di imputazione per ricettazione e quello associativo così risolto dal PM di Trani che

nella sua richiesta di archiviazione del 2006 argomentava: “Invero, l’attenta lettura della

informativa di reato principale redatta in data 18.5.1995 dal Nucleo Regionale di Polizia

Tributaria di Bari rileva che le prove e gli indizi acquisiti a diretto sostegno dell’ipotesi

criminosa associativa sono esclusivamente concentrati a carico di quei soggetti che hanno

fatto parte della stabile e collaudata organizzazione diretta ad introdurre in Italia olio

(non necessariamente, anzi quasi mai, di oliva) di provenienza extracomunitaria

facendolo passare per olio di provenienza comunitaria, così tra l’altro evadendo i diritti

doganali ed avviandolo alla commercializzazione in regime agevolato da incentivi al

consumo, ovvero destinandolo all’adulterazione dell’olio di oliva locale, il cui

quantitativo veniva incrementato con l’aggiunta di prodotto a più basso costo”.

Il P.M. pone al vertice dell’organizzazione il (omissis), il suo fiduciario svizzero ed i

referenti esteri per l’acquisto di olio di provenienza turca, mentre riconosce il ruolo di

partecipi ai responsabili di alcune ditte che, assieme alla (omissis), beneficiarono del

contrabbando realizzato per via terrestre di partite di olio turco (per lo più di nocciola), “vale

a dire la (omissis)”, a carico dei quali l’originaria imputazione addebitava talvolta il

concorso con (omissis) nel contrabbando aggravato e talaltra la ricettazione.

IL PM, nel richiamare agli argomenti eccellentemente spiegati nell’OCC, riteneva più

coerente ed aderente alla realtà probatoria contestare a tutti (e dunque anche al proposto) il

concorso con il (omissis) nei vari episodi di contrabbando aggravato in quanto, al di là del

mero acquisto della merce contrabbandata, i responsabili delle aziende coinvolte risultavano

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aver posto in essere altre attività di supporto rispetto ai vari interessi illegali della (omissis),

e pertanto ciascuno era consapevole di concorrere –almeno per quelle partite di olio

extracomunitario la cui introduzione lo riguardava direttamente, perché indirizzato alle sue

aziende- nel delitto aggravato di contrabbando di cui il (omissis) era l’autore materiale.

Precisate le imputazioni residue a carico del proposto, il padre ed il fratello in concorso con

altri (eccetto il (omissis)già condannato per l’associazione con sentenza del 1995, divenuta

definitiva nel 2000) in quelle di associazione per delinquere e di contrabbando aggravato di

cui al capo T (divenuto F), il PM -alla luce della novella della L.251/05- osservava che

l’associazione per delinquere si era prescritta nell’anno 2004 ed ancor prima i reati di

contrabbando e, pertanto, richiedeva l’archiviazione, disposta poi con decreto emesso dal

Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Trani, in data 27.03.2006 per

intervenuta prescrizione dei reati contestati agli imputati.

Dunque, nessuna assoluzione per l’(omissis) che, ancora una volta, esce

miracolosamente illeso dal procedimento per i gravissimi reati commessi con fine di lucro

e produttivi di profitti illeciti grazie alle difficoltà di indagini e procedurali conseguenti agli

intrecci illeciti abilmente architettati per truffare lo Stato e la CEE attraverso la creazione

di un sistema sofisticato in cui per dirla con le parole del Gip di Trani “come in una

commedia pirandelliana, l’apparenza e la realtà si miscelavano in un tutt’uno”.

L’oggettività dei dati riscontrati dalla Guardia di Finanza e delle dichiarazioni rese dai

soggetti fidati del (omissis) nei confronti di (omissis)relativi ai rapporti affaristici illeciti tra

il proposto ed il (omissis), con il quale ha concorso per anni nella realizzazioni delle frodi

fiscali e truffe nonché delle attività di contrabbando, è un tassello fondamentale della

ricostruzione del quadro complessivo di pericolosità del proposto.

La vicenda di Trani lumeggia perfettamente la figura di spregiudicato imprenditore

dell’(omissis) e le condotte di contrabbando di olii di provenienza extracomunitaria e frode

in essa emersi non rappresentano un unicum nella sua storia imprenditoriale, come emerge

non solo dai fatti oggetto del procedimento penale di Imperia di seguito illustrato, ma anche

dalle informative di reato confluite nel Proc. pen. nr. (omissis) R.G.N.R. incardinato

presso la Procura della Repubblica di Teramo (allegato n.7 proposta) nei confronti di

(omissis), da cui si traggono dati significativi nell’ottica del giudizio constatativo della

pericolosità.

Non ignora il Tribunale che il suddetto procedimento si sia concluso con

un’archiviazione per sostanziale incompletezza delle indagini, e tuttavia ad colorandum

delle altre vicende giudiziarie “selezionate” si ritiene di dover sinteticamente richiamare

alcuni esiti degli accertamenti eseguiti dal Gruppo Repressioni Frodi della Guardia di

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Finanza abruzzese nell’ambito di una inchiesta che focalizzava l’attenzione su ingenti

movimentazioni di oli vegetali, olio di nocciola e olio d’oliva introdotti in contrabbando

provenienti da paesi terzi ed oggetto, in territorio comunitario, di diversificate frodi in danno

del bilancio dell’Unione Europea. Un primo filone riguardava operazioni commerciali

effettuate in Portogallo, Spagna e Francia, mentre un secondo filone riguardava

l’introduzione in territorio comunitario di “olio di nocciola” proveniente dalla Turchia,

sdoganato in porti del nord Europa e fittiziamente dichiarato, all’atto di importazione, quale

“olio di girasole e destinato, per quota parte, ad operatori economici italiani.

L’Organo di P.G. operante precisava nella nota nr. (omissis) del 09.02.1998 che

generalmente in tale settore commerciale l’olio di nocciola non veniva mai utilizzato in

quanto tale ma principalmente per essere miscelato con l’olio di oliva in percentuali

inferiori al 20% e quindi non identificabile, consentendo di realizzare un prodotto adulterato

e di aumentare il volume del prodotto adulterato con l’indebita percezione di aiuti

comunitari riservati solo all’olio di oliva prodotto all’interno della .

Nell’ambito di tale procedimento penale, con nota nr. (omissis) del 09.07.1997 il

Gruppo Repressione Frodi del Nucleo Regionale Polizia Tributaria di Ancona comunicava

–in esito a perquisizione- l’esito degli accertamenti riguardanti le società (omissis) Srl e

(omissis) Srl (entrambe riconducibili alla famiglia (omissis)) evidenziando che alcune

forniture di olio, effettuate dalla (omissis) Srl, erano state respinte dai clienti in quanto il

prodotto venduto non era conforme né agli standard né alla campionatura fornita ai

medesimi clienti, evidenziando, inoltre, che in un caso il prodotto respinto conteneva una

percentuale di trilinoleina superiore ai valori consentiti, sostanza questa, sovente utilizzata

per la sofisticazione dell’olio di oliva, per cui i responsabili della (omissis) erano denunciati

per i reati di associazione a delinquere, frode in commercio e falso.

Sempre nell’ambito del medesimo procedimento penale, il Gruppo Repressione Frodi

di Ancona, con successiva nota nr.1496 del 09.02.1998, accertava che la (omissis) Srl (di

cui era amministratore il fratello del proposto) aveva acquistato partite di olio di nocciola

fittiziamente indicato nei documenti fiscali quale olio di girasole, provvedendo poi a

rivenderlo come olio di girasole alla (omissis) Srl, che a sua volta, lo commercializzava

vendendolo ad altre ditte (tra cui quella del padre (omissis)), per cui il proposto quale

procuratore ad negotia della (omissis) era denunciato per falso e frode in commercio

(artt.483 e 515 c.p.).

Con ulteriori due distinte comunicazioni di reato datate 25.05.2000 e 20.07.2000

confluite nel medesimo procedimento penale nr. (omissis) RGNR, il Nucleo Regionale di

Polizia Tributaria Abruzzo, denunciava alla Procura della Repubblica di Teramo, (omissis)

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ed altri componenti del Gruppo (omissis) per i reati di emissione e/o utilizzo di fatture per

operazioni inesistenti.

In particolare nel corso di verifiche fiscali di carattere generale, eseguite nei confronti

delle (omissis) Srl (tutte aziende del Gruppo (omissis)), l’Organo di Polizia Tributaria

operante, evidenziava l’esistenza di un complesso sistema di emissione e/o utilizzo di

fatture per operazioni inesistenti per ingenti importi posto in essere tra aziende, in massima

parte appartenenti a componenti della famiglia (omissis).

Nel dettaglio la Guardia di Finanza, riscontrava che la (omissis) Srl utilizzava fatture

di acconto, emesse da altre aziende riconducibili al medesimo Gruppo (omissis), a fronte

di future forniture di merci i cui pagamenti venivano effettuati nei mesi successivi

all’emissione delle fatture stesse oppure i cui pagamenti, contemporanei all’emissione, si

riferivano a fatture a cui non facevano seguito le relative consegne, riuscendo così ad

anticipare la detrazione dell’IVA esposta in fattura al fine di omettere il versamento nelle

successive liquidazioni periodiche dell’IVA.

Nel corso dell’analoga attività ispettiva, svolta nei confronti della (omissis) Srl (società

partecipata all’epoca per il 50% ciascuno dai predetti fratelli (omissis)) venivano

individuate medesime fattispecie di reato che coinvolgevano, tra le altre, anche la Ditta

Individuale (omissis)e la Ditta Individuale (omissis)per le ipotesi delittuose di emissione

di fatture per operazioni inesistenti in favore della (omissis) Srl, ciascuna dell’importo di

lire 5.500.000.000 in ordine a fittizie forniture di olio.

In particolare, la Guardia di Finanza abruzzese nella comunicazione di notizia di reato

evidenziava:”…circa i fenomeni evasivi verificatisi nel settore dell’agricoltura, in virtù del

citato regime speciale ed agevolativo pro-tempore vigente, si riporta un caso concreto

riscontrato nell’annualità 1994 che mette in evidenza come delle semplici fatture di acconto

(riferibili ad operazioni inesistenti) emesse da aziende agricole (in regime speciale)

riconducibili alla famiglia (omissis) abbiano consentito alla (omissis) Srl (in regime

normale) di garantirsi un “serbatoio” di IVA a credito (lire 440.000.000), con nessun onere

tributario a carico delle citate aziende agricole (mediante l’applicazione delle percentuali

di compensazione IVA).

….omissis….

Le predette fatture sono da ritenersi entrambe relative ad operazioni inesistenti, in

quanto l’acconto risultante dai documenti in parola non è stato pagato nè nella data della

fattura nè nel medesimo mese della fatturazione (l’oggetto della fattura è inesistente).

Si tratta di dati che, letti in coordinamento con gli altri emersi negli altri procedimenti

“selezionati”, vanno a comporre ulteriormente il quadro della personalità del proposto quale

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imprenditore abitualmente dedito alla commissione di delitti di natura fraudolenta

nell’esercizio della sua attività e mediante l’utilizzo strumentale delle ditte e società

appartenenti al gruppo familiare (omissis).

6) Procedimento penale nr. (omissis) RGNR- Procura della Repubblica di Imperia.

In data 22.05.2002, il Nucleo Regionale Polizia Tributaria Liguria -Gruppo

Repressione Frodi , trasmetteva alla Procura della Repubblica di Imperia, la comunicazione

di notizia di reato nr. (omissis), nei confronti di 28 soggetti, tra cui (omissis), quale legale

rappresentante della (omissis) srl dal 14.11.1998, ed il fratello, (omissis) quale legale

rappresentante della (omissis) srl, poiché ritenuti responsabili dei reati di concorso in

associazione a delinquere finalizzata al contrabbando aggravato reiteratamente commesso

con sottrazione di diritti doganali, emissione di fatture per operazioni inesistenti, reati contro

il patrimonio e frode in commercio, al fine di ottenere indebiti profitti. Fatti commessi negli

anni 1998 e 1999 in Imperia, Livorno, Genova, Castel di Tusa, Gioia Tauro (RC), Lamezia

Terme, Porcari (LU), Mosciano Sant’Angelo (TE), Andria (BA) e Monopoli (BA).

Dall’attività investigativa, svolta dal Reparto della Guardia di Finanza ligure, veniva

tra l’altro accertato, l’utilizzo -da parte dei soggetti responsabili delle società fallite

(omissis)Spa e della (omissis)Spa-, di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla

(omissis) Srl e concernenti le seguenti false forniture di olio:

Forniture fittizie della (omissis) Srl alla (omissis) Spa

Anno Quantità olio Imponibile in lire

1997 Kg. 403.370 1.801.008.100

1998 Kg. 44.000 159.423.000

1999 Kg. 347.170 1.319.246.000

Forniture fittizie della (omissis) Srl alla (omissis) Spa

Anno Quantità olio Imponibile in lire

1998 Kg. 79.960 235.804.000

1999 Kg. 328.180 1.395.685.000

In merito alle fittizie transazioni commerciali poste in essere dalla (omissis) Srl,

l’Organo di P.G. operante, nella comunicazione di notizia di reato diretta alla Procura della

Repubblica di Imperia, dopo aver premesso che le operazioni commerciali oggetto di

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controllo riguardavano principalmente forniture di olio vergine lampante effettuate dai

depositi della (omissis) srl situati in Porcari (LU) e Gioia Tauro, rilevava che i trasporti

effettuati dalla (omissis) in conto proprio o tramite vettori non avevano evidenziato, per la

quasi totalità dei casi, elementi indicativi che potessero confermare l’effettività dei viaggi,

ed in particolare tutti i documenti erano privi della pesata (ossia il più tangibile immediato

riscontro circa l’effettivo quantitativo della merce), erano stati emessi e registrati a blocchi,

indicavano firme di ricevimento con sigle quasi assolutamente indecifrabili, erano stati

rinvenuti privi di macchie o pieghe, ciò che lasciava ragionevolmente pensare che non erano

stati utilizzati durante il trasporto. Ed ancora, le schede carburante esibite dalla (omissis)

per gli anni 1997-1999 erano risultate incomplete rispetto alle scritture contabili

obbligatorie che non erano state prodotte, come non erano stati esibiti documenti relativi a

pasti o pernottamenti relativi ai viaggi dalla Calabria alla Liguria. L’Organo di P.G.

operante poneva, poi, in evidenza i seguenti “ulteriori aspetti tendenti ad avvalorare

l’univocità di intenti nella realizzazione del delineato sistema di frode con il fine ultimo di

ottenere reciproci indebiti profitti:

-Il Nucleo Regionale Polizia Tributaria Abruzzo della G. di F. di Pescara, nel corso di

una verifica fiscale a carattere generale effettuata nei confronti della (omissis) Srl, ha

rilevato e segnalato alla competente Agenzia delle Entrate che la medesima società, in data

31.12.1996, ha emesso nei confronti della (omissis)Spa una fattura a fronte di operazioni

inesistenti per un importo pari a lire 3.000.000.000 con IVA (aliquota 4%) pari a lire

120.000.000.

Grazie a questo espediente la (omissis) Spa ha presentato la dichiarazione annuale

IVA con un credito di imposta superiore di oltre un decimo a quello spettante ottenendo un

indebito rimborso IVA per complessive lire 200.000.000;

-La (omissis) Srl non si è insinuata nello stato passivo del fallimento relativo al

(omissis)Spa pur avendo contabilizzato crediti per forniture di merce per complessive lire

639.906.614 ne si è insinuata nello stato passivo del fallimento relativo all’(omissis) Spa

pur avendo contabilizzato crediti per forniture di diverse qualità di olio di oliva per

complessive lire 1.920.158.240.

-L’assetto societario della (omissis) Srl la collega, in modo inequivocabile, alla

(omissis) Srl ed alla (omissis) Srl (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE),

(omissis). Sussistono rapporti commerciali incrociati con la (omissis)Srl e la (omissis) Srl

per l’acquisto e vendita di rilevanti partite di olio di oliva che non permettono, come nel

caso dei rapporti tra gli (omissis)Srl con l’(omissis)Spa ed il (omissis) Spa,

l’identificazione degli improbabili fornitori delle ingenti partite di merci fittiziamente

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fatturate alle società liguri. Sintomatico appare come la (omissis) Srl, abbia tra il 1996 ed

il 2000, subito una drastica riduzione del proprio giro d’affari passato da oltre lire

143.000.000.000 a poco più di 6.000.000.000 di lire.”

Nella stessa comunicazione di reato, veniva evidenziato altresì, che la principale finalità

delle fittizie transazioni commerciali non era (solo) quella dell’evasione fiscale bensì quelle

di aggiustare le giacenze contabili della merce che in regime doganale di perfezionamento

attivo, veniva riesportata solo apparentemente.

A seguito dell’attività di indagine svolta, ad (omissis), quale rappresentante della

(omissis) Srl veniva contestato, a titolo di concorso, la commissione dei reati di cui agli artt.

282, 291 e 295 del DPR 43/73 commessi sotto il vincolo associativo ex art.416 C.p., nonché

la violazione di cui all’art.8 del Dlgs 74/2000.

Con sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Imperia in data 04.04.2006, (omissis)

veniva condannato alla pena di anni 1 di reclusione per emissione di fatture per operazioni

inesistenti in violazione dell’art.8 Dgls nr.74/2000, ma la sentenza veniva riformata a

seguito di pronuncia della Corte di Appello di Genova in data 19.02.2009, che con Sentenza

nr. (omissis), dichiarava di non doversi procedere nei confronti di (omissis), per intervenuta

prescrizione del reato ascrittogli.

7) Con ordinanza emessa dal Gip presso il Tribunale di Palmi in data 26 luglio

2010 (p.p. n. (omissis) RGNR), era applicata al proposto, al padre (omissis) (deceduto in

data 8 marzo 2010) ed al fratello (omissis), ed altri sodali, la misura degli arresti domiciliari

per le seguenti imputazioni provvisorie a carico di (omissis) (rimaste sostanzialmente

invariate in sede di rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Palmi e, successivamente di

Teramo, ove si sta celebrando il dibattimento):

� reato p.e p. dall’art. 416 commi 1,2 e 3 cp, per essersi stabilmente associati tra

loro (e con (omissis)) allo scopo di commettere più delitti di indole patrimoniale e con

modalità fraudolente ai danni della Pubblica Amministrazione, nonché dei connessi delitti

contro la fede pubblica e tributari a mezzo di plurime società gravitanti nell’ambito del

gruppo Oliveri, nell’ambito delle procedure previste dalla L. 488/92.

In particolare, (omissis) ((omissis) successivamente deceduto),

(omissis) e (omissis), operando come ideatori, promotori ed

organizzatori dell’associazione per delinquere, con le seguenti modalità:

- costituivano numerose società, alle quali, anche mediante la

presentazione di documentazione mendace, venivano assegnati cospicui

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finanziamenti pubblici da parte del Ministero dello Sviluppo Economico

(già delle Attività Produttive) ai sensi della Legge 488/92;

- amministravano e gestivano le procedure agevolate avviate dalle

predette società (anche ove formalmente rappresentate da altri correi),

attraverso l’utilizzo di documentazione ideologicamente non veritiera,

ponendo in essere artifizi e raggiri che inducevano in errore i funzionari

delle banche concessionarie sulle condizioni necessarie per l’erogazione

delle pubbliche provvidenze, procurandosi così un ingiusto profitto, con

pari danno per lo Stato e per l’Unione Europea, rappresentato dalla

percezione indebita, attraverso le società beneficiarie dei contributi,

delle somme erogate a titolo di agevolazioni finanziarie pubbliche a

fondo perduto;

- ottenuti i finanziamenti pubblici in parola, li destinavano a finalità

diverse da quelle per le quali i medesimi erano stati concessi dal

Ministero dello Sviluppo Economico;

- ponevano in essere tutta una serie di articolate transazioni

finanziarie, sia utilizzando conti correnti personali che di società e

persone giuridiche da loro partecipate e gestite (direttamente o

indirettamente), al fine di dimostrare il pagamento di oneri di spesa - in

realtà inesistenti - relativi ai programmi oggetto di pubblica

contribuzione, nonché al fine di accaparrarsi il profitto degli illeciti così

conseguiti, facendoli rientrare nella loro disponibilità sotto la forma di

aumenti di capitale corrisposti dai soci, adempiendo così –

apparentemente – all’ulteriore requisito richiesto per l’ammissione alle

agevolazioni e rientrando in possesso di quei valori economici;

- impartivano disposizioni a terzi (prossimi congiunti o

amministratori di società estere) per l’esecuzione di articolate

transazioni bancarie finalizzate a riciclare i cospicui proventi delle

attività delittuose perpetrate e/o comunque dimostrare spese in realtà

non sostenute, mantenendo sempre la reale disponibilità di denaro;

- nell’ambito dei summenzionati disegni criminosi, al fine di evadere

le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto, ponevano in essere

- direttamente o per interposta persona - diversi reati fiscali, quali la

presentazione di dichiarazioni fraudolente mediante utilizzo di fatture

per operazioni inesistenti rilasciate da soggetti compiacenti;

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- ideavano, concordavano e pianificavano le strategie criminose

necessarie a locupletare ingenti risorse finanziarie pubbliche ed, anche

mediante il coinvolgimento di prossimi congiunti, fornivano indicazioni

circa la predisposizione di documentazione mendace e/o di fatture per

operazioni inesistenti agli amministratori delle società coinvolte;

- si procuravano molteplice documentazione ideologicamente

mendace, funzionale agli scopi fraudolenti, contattando e fornendo

indicazioni a soggetti compiacenti (funzionari di istituti di credito,

periti, ecc.).

-sottoscrivevano mandati fiduciari attraverso i quali davano

incarico a consulenti/professionisti di costituire e gestire, operando

secondo le direttive di volta in volta impartite, soggetti economici esteri

utilizzati per riciclare i proventi delle attività delittuose perpetrate e/o

comunque a dimostrare spese in realtà non sostenute, mantenendo

sempre la reale disponibilità del denaro movimentato;

In Gioia Tauro (RC), Abruzzo ed altri luoghi dalla fine degli anni ’80

a tutt’oggi.

� reato previsto e punito dagli articoli 81 cpv., 110, 112, 483, 640-bis, 56, 640 bis

c.p., perché il proposto unitamente (omissis), in concorso morale e materiale fra loro - con

più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso anche in relazione al reato

associativo ed agli altri delitti fine, connessi alla procedura agevolata avviata dalla sotto

indicata - attraverso gli artifizi e raggiri consistiti nell’avere attestato, in relazione alla

(omissis) S.r.l.:

-requisiti per l’ammissibilità del progetto al finanziamento pubblico, nonché per la

successiva erogazione del medesimo contributo, in realtà non posseduti;

- uno stato di avanzamento dei lavori non corrispondenti al vero;

- oneri di spesa inesistenti;

- apporti di “mezzi propri” da parte dei soci non effettivamente prodotti;

- che la realizzazione dell’investimento era concluso alla data del 25.01.2009, con

contestuale entrata in funzione dell’impianto; circostanza falsa;

inducevano in errore i funzionari di Efibanca S.p.a. -banca

concessionaria del Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero

delle Attività Produttive) per i finanziamenti di cui alla Legge n. 488/92

– circa la sussistenza dei requisiti necessari per l’erogazione del

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contributo pubblico, nonché delle condizioni necessarie per preservare

la quota di finanziamento pubblico percepito a titolo di anticipazione, e

si procuravano così un ingiusto profitto, con pari danno per il suddetto

Ministero, rappresentato dall’effettiva percezione indebita, attraverso

la (omissis) S.r.l., della somma di € 4.842.234,00, quale 1^ quota, a titolo

di anticipazione, del contributo pubblico di € 14.526.702,00 erogato ai

sensi della citata Legge n. 488/92, nonché nei successivi atti funzionali a

conseguire le ulteriori quote programmate della predetta complessiva

somma oggetto dell’agevolazione finanziaria pubblica. In particolare: - in data 15.10.2002, (omissis) redigeva una perizia giurata innanzi al

Tribunale di Teramo, nella quale attestava falsamente, con riguardo al programma di investimenti della (omissis) S.r.l., che “l’immobile sito in Borgia (CZ), (omissis)

su cui la società intende realizzare un’unità produttiva destinata alla lavorazione ed al confezionamento dell’olio di olia vergine ed extravergine, ha destinazione

urbanistica conforme all’attività stessa” e che “il relativo progetto è stato redatto nel rispetto del vigente strumento urbanistico”;

- in data 23.01.2003, (omissis), in qualità di funzionario dell’Unicredit Private Banking, in assenza di specifica autorizzazione da parte del citato istituto di credito e senza osservare le procedure interne della medesima banca, sottoscriveva e faceva pervenire all’Efibanca S.p.a., una attestazione nella quale indicava falsamente, tra l’altro, che i soci della (omissis) S.r.l. disponevano “mezzi

finanziari e patrimoniali” adeguati nella loro consistenza per far fronte agli apporti di mezzi propri previsti per il programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione;

- in data 27.04.2004, (omissis), in qualità di amministratore, (omissis), in qualità di soci, partecipavano all’assemblea ordinaria della (omissis) S.r.l. – nella quale veniva deliberato il versamento di euro 18.375.000,00 da parte dei soci in conto futuro aumento capitale sociale, somma da vincolare alla realizzazione del programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione – il cui verbale veniva successivamente inoltrato alla banca concessionaria;

- in data 06.08.2004, (omissis)redigeva una perizia giurata innanzi al Tribunale di Teramo, nella quale attestava falsamente, con riguardo al programma di investimenti della (omissis) S.r.l., che “l’immobile sito in Borgia (CZ) (omissis)

cu cui la società intende realizzare una unità produttiva di confezionamento di olio di oliva extravergine ha destinazione urbanistica conforme all’attività stessa” e che “il relativo progetto è stato redatto nel rispetto del vigente strumento urbanistico

pertanto non esistono vincoli ostativi al rilascio della Concessione edilizia da parte del Comune di Borgia”;

- in data 22.08.2006, (omissis), in qualità di direttore dei lavori per la realizzazione dell’opificio industriale della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente che le eccezionali avversità atmosferiche che hanno colpito la Regione Calabria, “hanno causato il ritardo nell’avvio dei lavori e nei tempi

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previsti di realizzazione dell’opera quantificabile in circa 10 mesi”; - nel periodo compreso tra il 06 ed il 19 giugno 2007, al fine di consentire

alla (omissis) S.r.l. di dimostrare il sostenimento di costi relativi al programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., emetteva nei confronti della citata (omissis) S.r.l. le fatture n. 47 del 06.06.2007, n. 48 del 12.06.2007 e n. 49 del 19.06.2007, per complessivi € 6.170.000,00 (oltre iva per € 1.234.000,00), a fronte di operazioni commerciali inesistenti, atteso che i relativi pagamenti venivano “girati” ad un’altra società del “(omissis)” (la (omissis) S.p.a.) prima di “ritornare”, dopo ulteriori transazioni finanziarie, sui conti correnti della stessa (omissis) S.r.l.;

In particolare, con riferimento a tale ultima operazione: � in data 07.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l.,

utilizzando risorse finanziarie provenienti dall’accredito della 1^ quota del contributo pubblico ex lege 488/92, eseguiva nei confronti dell’(omissis) S.r.l., n. 4 bonifici di € 500.000,00 cadauno (per un totale di € 2.000.000,00), a titolo di pagamento di fatture relative, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti;

� in data 08.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito dei summenzionati bonifici, (omissis), amministratore (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore della (omissis) S.p.a.;

� in data 11.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico, (omissis), amministratore della (omissis) S.p.a. disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore dell’(omissis) S.r.l.;

� in data 11.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico, (omissis), amministratore (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore di (omissis)

esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;

� in data 12.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico, (omissis)disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore del padre (omissis), esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;

� in data 12.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico proveniente dal figlio (omissis), (omissis)disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., completando, in tal modo, il complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente dall’accredito della prima quota di contributo pubblico in favore della predetta (omissis) S.r.l..

Ed ancora, sempre con riferimento al predetto rapporto con (omissis)S.r.l.: � in data 13.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l.,

utilizzando risorse finanziarie provenienti, di fatto, dall’accredito della 1^ quota del contributo pubblico ex lege 488/92, disponeva un altro bonifico di € 2.000.000,00 in favore dell’(omissis) S.r.l., a titolo di pagamento di fatture relative, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti;

� in data 14.06.2007, (omissis), amministratore dell’(omissis)S.r.l.,

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utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore della (omissis) S.p.a.;

� in data 15.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.p.a., utilizzando il denaro ricevuto dall’(omissis)S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore dell’(omissis)S.r.l.;

� in data 15.06.2007, (omissis), amministratore dell’(omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis) S.p.a., disponeva un bonifico di € 1.500.000,00 in suo favore (accredito del c/c personale n. (omissis) della BNL S.p.a.) e di € 500.000,00 in favore di (omissis) (accredito del c/c n. (omissis) della Banca Popolare di Crotone S.p.a.), esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti le citate operazioni finanziarie;

� in data 18.06.2007, (omissis)bonificava gli € 500.000,00 ricevuti (omissis)S.r.l. al padre (omissis) (accredito del c/c n. (omissis)della Banca Popolare di Crotone S.p.a.), al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;

� in data 19.06.2007, (omissis), utilizzando il denaro ricevuto dall’(omissis)S.r.l., disponeva, tra l’altro, tre bonifici (€ 270.000,00, € 750.000,00 e € 10.329,14), per complessivi € 1.030.329,14, in favore della (omissis)S.p.a. ed uno di € 240.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., operazioni eseguite, ancora una volta, con l’unico fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro utilizzato, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citate operazioni finanziarie;

� in data 20.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito dei suddetti n. 3 bonifici provenienti da (omissis), la (omissis)S.p.a., disponeva un bonifico di € 250.000,00 in favore della (omissis) S.r.l. e n. 2 bonifici (€ 370.000,00 e € 404.000,00) per complessivi € 774.000,00, in favore di (omissis);

� sempre in data 20.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del bonifico ricevuto il giorno precedente dal figlio (omissis), (omissis)disponeva un bonifico di € 500.000,00 in favore della(omissis)S.r.l..

� in data 21.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito dei suddetti n. 2 bonifici provenienti dalla (omissis) S.p.a. (€ 774.000,00), (omissis)disponeva un bonifico di € 770.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., completando, in tal modo, una prima fase del complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente dall’accredito della prima quota di contributo pubblico in favore della predetta (omissis)S.r.l..

- in data 20.06.2007, al fine di consentire alla (omissis) S.r.l. di dimostrare il sostenimento di costi relativi al programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., emetteva nei confronti della citata (omissis) S.r.l. la fattura n. 31 di € 2.000.000,00 (oltre iva per € 400.000,00), a fronte di operazioni commerciali inesistenti, atteso che il relativo pagamento veniva “girato” ad un’altra società del “(omissis)” (la (omissis) S.r.l.) prima di “ritornare”, dopo ulteriori transazioni finanziarie, sui conti correnti della stessa(omissis) S.r.l.;

In particolare, con riferimento a tale ultima operazione: � in data 21.06.2007, (omissis), amministratore della(omissis)S.r.l.,

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utilizzando risorse finanziarie provenienti, di fatto, dall’accredito della 1^ quota del contributo pubblico ex lege 488/92, disponeva un bonifico di € 2.400.000,00 in favore della (omissis)S.r.l., a titolo di pagamento di una fattura relativa, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti;

� in data 21.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.340.000,00 in favore della (omissis)S.r.l.;

� in data 21.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis)S.r.l., disponeva, tra l’altro, un bonifico di € 2.300.000,00 in favore della (omissis) S.p.a.;

� in data 22.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.p.a., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis)S.r.l., disponeva, tra l’altro, un bonifico di € 2.170.000,00 in favore della (omissis). S.r.l.;

� in data 25.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis)S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis)S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.100.000,00 in favore del (omissis)S.r.l., esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;

� in data 25.06.2007, (omissis), amministratore del (omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla S.A.I.M. S.r.l., disponeva un bonifico di € 1.928.000,00 in favore del suo conto corrente personale n. (omissis), acceso presso la Banca Popolare di Crotone S.p.a.;

� in data 26.06.2007, (omissis), anche utilizzando il denaro ricevuto dal (omissis)S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.100.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., completando, in tal modo, il complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente, di fatto, dall’accredito della prima quota di contributo pubblico in favore della predetta (omissis) S.r.l..

- nel periodo compreso tra il 12.06.2007 ed il 07.11.2007, (omissis), sulla base della provvista finanziaria venutasi a creare grazie alla restituzione dei pagamenti eseguiti dalla (omissis) S.r.l. in favore della (omissis)S.r.l. e della (omissis)S.r.l., disponeva l’esecuzione di n. 6 bonifici bancari, per complessivi € 6.420.000,00, in favore della citata (omissis) S.r.l., a titolo di “versamento in c/futuro aumento di capitale sociale”;

- (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., faceva pervenire alla banca concessionaria le fatture emesse dalla (omissis)S.r.l. e dalla (omissis)S.r.l. (relative, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti) e le contabili bancarie concernenti gli apporti di “mezzi propri” da parte dei soci (non effettivamente prodotti per € 6.420.000,00, in quanto trattasi di mere “partite di giro”);

- in data 03.08.2007, (omissis), in qualità di legale rappresentante della(omissis)S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente che “alla data del 30.06.2007, a fronte del suddetto programma approvato, la sottoscritta impresa ha acquistato

e/o realizzato direttamente beni e sostenuto corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto dell’I.V.A., di € 9.790.280,10, pari al 34,25% della

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suddetta spesa ritenuta ammissibile per i beni da acquistare o realizzare

direttamente, come comprovabile attraverso i relativi documenti di spesa fiscalmente regolari e quietanzati o comunque pagati che vengono tenuti a

disposizione”; - tra il 07 ed il 26 novembre 2007, (omissis), in qualità di legale

rappresentante della (omissis) S.r.l., con nota priva di data sottoscritta a norma del D.P.R. 445 del 28 dicembre 2000, attestava falsamente che “sono state rinviate e posticipate le varie fasi successive di realizzazione dell’unità produttiva, che alla

data odierna risulta realizzata per uno stato fisico pari all’incirca al 40% del programma previsto ed approvato”;

- in data 27.01.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente, con riferimento all’esercizio 2008, l’ammontare degli investimenti realizzati (€ 12.157.887,33) e del capitale proprio versato dai soci (€ 9.970.000,00);

- in data 23.02.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente che l’unità produttiva oggetto del provvedimento di concessione “è in perfetto stato di funzionamento”, il programma di investimenti è stato ultimato in data 25 gennaio 2009 e che l’impianto è entrato in funzione in data 25 gennaio 2009.

In Roma il 3.12.2004 (data di incasso della prima quota di

contributo) con riferimento al reato consumato ed in Roma sino al

23.2.2009 (sede legale della srl e data di rilascio della ultima

dichiarazione falsa all’interno della procedura ) con riferimento al reato

tentato.

� reato previsto e punito dagli articoli 81 cpv., 110, 316-bis c.p., perché unitamente

a (omissis), in concorso morale tra loro e nelle rispettive qualità di amministratore unico

(omissis) e di soci aventi la gestione effettiva (omissis) della (omissis) S.r.l. - con più azioni

esecutive di un medesimo disegno criminoso anche in relazione al reato associativo ed agli

altri delitti fine, connessi alla procedura agevolata avviata dalla predetta S.r.l. – avendo

ottenuto dallo Stato (Decreto n. (omissis) del 23.06.2003 dell’allora Ministero delle Attività

Produttive, ora dello Sviluppo Economico), ai sensi del 14° Bando della Legge 488/92 –

Settore Industria, l’erogazione della 1^ quota di un contributo a fondo perduto di €

4.842.234,00, per la realizzazione di un impianto per la produzione di olio d’oliva vergine

ed extravergine, destinavano a scopi diversi dalla realizzazione del programma oggetto di

agevolazione la somma di € 1.500.000,00 (utilizzata per eseguire un bonifico in favore della

PAC S.p.a., a fronte di nessuna operazione economico-commerciale sottostante).

In Roma e Gioia Tauro il 30.1.2009.

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� reati p.ep. dagli artt.81 cpv, 110 cp, 2 D.Lgs.74/2000, perché in concorso con

(omissis), nelle rispettive qualità di legale rappresentante (omissis) e di soci aventi la

gestione effettiva della (omissis) srl i due (omissis) padre e figlio –con più azioni

esecutve di un medesimo disegno criminoso- al fine di evadere le imposte sui redditi e sul

valore aggiunto, avvalendosi delle seguenti fatture per operazioni inesistenti, indicavano

nella dichiarazione annuale 2007 relativa a dette imposte elementi passivi fittizi.

Denominazione emittente Numero Data Imponibile

in € Iva in € Totale in €

(omissis)S.r.l. 47 06.06.2007 1.666.666,67 333.333,33 2.000.000,00

(omissis)S.r.l. 48 12.06.2007 1.666.666,67 333.333,33 2.000.000,00

(omissis)S.r.l. 49 19.06.2007 2.836.666,67 567.333,33 3.404.000,00

(omissis)S.r.l. 31 20.06.2007 2.000.000,00 400.000,00 2.400.000,00

TOTALE 8.170.000,01 1.633.999,99 9.804.000,00

In Roma e Gioia Tauro (RC), 28.10.2008 (data di trasmissione della dichiarazione)

� reato previsto e punito dagli articoli 81 cpv., 110, 112, 640-bis, 483, 56, 640 bis

c.p., perché (omissis) nella qualità di legale rappresentante della (omissis) Spa (socio al

30% dell’(omissis)srl) e legale rappresentante della (omissis) srl, unitamente a

(omissis), in concorso morale e materiale fra loro - con più azioni esecutive di un

medesimo disegno criminoso anche in relazione al reato associativo ed agli altri delitti fine,

connessi alla procedura agevolata avviata dalla (omissis)S.r.l. - attraverso gli artifizi e

raggiri consistiti nell’utilizzo di documentazione ideologicamente non veritiera - con

riguardo all’entità dei costi sostenuti, ai versamenti in conto futuro aumento capitale sociale

da parte dei soci ed alla riconducibilità alle medesime persone dell’impresa cedente e di

quella acquirente l’immobile oggetto dell’iniziativa imprenditoriale - inducevano in errore

i funzionari del Mediocredito del Friuli Venezia Giulia S.p.a., banca concessionaria del

Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero delle Attività Produttive) per i

finanziamenti di cui alla Legge n. 488/92, procurandosi così un ingiusto profitto, con pari

danno per il suddetto Ministero, rappresentato dall’effettiva percezione indebita, attraverso

la (omissis) S.r.l., della somma di € 1.400.713,00, quale 1^ quota, a titolo di stato

avanzamento lavori, nonché richiedendo la somma di € 1.400.713,00, quale 2^ quota, a

titolo di stato avanzamento lavori, del contributo pubblico di € 2.801.426,00 concesso ai

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sensi della citata Legge n. 488/92, non riuscendo in quest’ultimo intento per cause

indipendenti dalla loro volontà.

In particolare: - (omissis) - nel novembre del 2005, (omissis), in qualità di legale rappresentante della

(omissis) S.r.l., (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l. ed (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.p.a. e della (omissis) S.r.l., ponevano in essere tutta una serie di articolate transazioni finanziarie che, sebbene formalmente eseguite, producevano solo la mera apparenza del pagamento delle fatture emesse da parte della (omissis) S.r.l. (di cui era legale rappresentante (omissis)) nei confronti della (omissis) S.r.l., nonché il versamento di “mezzi propri” in favore di quest’ultima società da parte del socio (omissis)S.p.a., atteso che il denaro utilizzato per le movimentazioni bancarie in argomento era di fatto sempre lo stesso (la cd. “somma navetta”) che faceva “la spola” tra i conti correnti dei summenzionati soggetti economici, agendo in concorso quanto meno morale con (omissis) che avevano partecipato alla assemblea della (omissis)S.r.l. in cui si era falsamente deliberato l’importo complessivo di mezzi propri da versare nel capitale sociale;

- in data 01.12.2005, al fine di consentire alla (omissis)S.r.l. di dimostrare il sostenimento di costi relativi al programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., emetteva la fattura n. 97 del 01.12.2005, di € 1.400.000,00 (oltre iva per € 280.000,00), a fronte di operazioni commerciali parzialmente inesistenti, in quanto riportati corrispettivi ed imposta sul valore aggiunto nettamente superiori al reale valore dell’operazione (€ 40.000,00, oltre iva per € 8.000,00);

- tra il dicembre 2005 ed il gennaio 2006, (omissis), attraverso la (omissis)S.r.l., società dallo stesso amministrata, restituiva alla (omissis) S.r.l., amministrata da (omissis), la somma di € 1.632.000,00, ossia la differenza tra l’importo della fattura falsa di cui al precedente punto (€ 1.680.000,00) ed il reale valore dell’operazione (€ 48.000,00);

- (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., faceva pervenire alla banca concessionaria le suddetta fatture emesse dalla (omissis) S.r.l. e dalla (omissis)S.r.l. (relative, in realtà, ad operazioni commerciali parzialmente inesistenti) e le contabili bancarie concernenti gli apporti di mezzi propri da parte dei soci (non effettivamente prodotti in quanto trattasi di mere “partite di giro”), agendo, quanto con riferimento alla seconda parte della dichiarazione, in concorso morale con (omissis)che avevano partecipato alla assemblea della (omissis) S.r.l. in cui si era falsamente deliberato l’importo complessivo di mezzi propri da versare nel capitale sociale;

- in data 19.01.2006, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione (cd. Allegato 25°) ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, mediante la quale attestava falsamente che “alla data del 27.12.2005, a fronte del suddetto

programma approvato, la sottoscritta impresa ha acquistato e/o realizzato direttamente beni e sostenuto corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto dell’I.V.A., di € 5.038.333,33, pari al 50,45% della suddetta

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spesa ritenuta ammissibile per i beni da acquistare o realizzare direttamente, come

comprovabile attraverso i relativi documenti di spesa fiscalmente regolari e quietanzati o comunque pagati”;

- in data 16.02.2006, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione (cd. Allegato 33°) ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, mediante la quale attestava falsamente, con riferimento all’esercizio sociale 2005, che le spese sostenute ammontano a € 5.323.333,33 ed il capitale proprio versato e/o accantonato è pari a € 6.400.850,00, agendo, quanto con riferimento alla seconda parte della dichiarazione, in concorso morale con (omissis) che avevano partecipato alla assemblea della Abruzzo Impianti S.r.l. in cui si era falsamente deliberato l’importo complessivo di mezzi propri da versare nel capitale sociale.

- (omissis) In Giulianova (TE), il 31.3.2006, con riferimento alla porzione del reato

consumato (data di incasso della 1^ quota di contributo); in Mosciano Sant’Angelo (TE), fino al 20.01.2009, con riferimento alla porzione del reato tentato.

� reato previsto e punito dagli articoli 640-bis e 483, 56, 640 bis c.p., perché, in

qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., attraverso gli artifici e raggiri di seguito descritti, induceva in errore i funzionari del Mediocredito Centrale S.p.a. - banca concessionaria del Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero delle Attività Produttive) - circa la sussistenza dei requisiti (assunzione di quattro nuove unità lavorative) necessari per l’erogazione della seconda quota di contributo pubblico, nonché delle condizioni necessarie per preservare l’accredito della prima quota del medesimo finanziamento pubblico, e si procurava così un ingiusto profitto, con pari danno per il suddetto Ministero, rappresentato dall’effettiva percezione indebita, attraverso la (omissis) S.r.l., della somma di € 147.264,00, quale prima quota del contributo pubblico di € 294.528,00 concesso ai sensi della Legge n. 488/92, nonché nei successivi atti funzionali a conseguire l’ulteriore quota programmata della predetta complessiva somma oggetto dell’agevolazione finanziaria pubblica.

In particolare: - nel business plan allegato alla domanda di contributo pubblico sottoscritta

da (omissis), in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della (omissis) S.r.l., la società indicava l’impegno a “creare” n. 4 nuovi posti di lavoro, derivanti dall’assunzione di operai addetti alla produzione;

- in data 03.03.2004, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., dichiarava, ai sensi degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28.12.2000, nella scheda tecnica allegata alla domanda di agevolazione finanziaria di cui alla Legge n. 488/92 il proprio impegno ad assumere, entro l’esercizio “a regime” del programma di investimento, n. 4 nuove unità lavorative;

- in data 21.07.2008, (omissis), faceva artificiosamente “transitare” nella (omissis)S.r.l. una dipendente (omissis) proveniente da un’altra società del “(omissis)”, la quale veniva falsamente assunta con la qualifica di operaio addetto al frantoio di Borgia (CZ), quando, in realtà, la stessa (omissis)continuava a prestare la sua attività lavorativa (quella di impiegata amministrativa per conto delle diverse società della famiglia “(omissis)”) presso gli uffici siti in Gioia Tauro

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(RC); - in data 20.01.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della

(omissis)S.r.l., ai sensi degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28.12.2000, dichiarava, con riferimento all’esercizio sociale 2008, che l’ammontare di capitale proprio versato e/o accantonato ammonta ad € 300.000,00, che le spese sostenute ammontano ad € 500.000,00 e che l’occupazione media è di n. 4,25 unità;

- in data 27.11.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., trasmetteva alla banca concessionaria una copia autentica del libro matricola della società, nel quale venivano falsamente indicati, tra gli addetti ancora assunti a quella data, i dipendenti (omissis).

In Rosarno (RC) il 28.3.2006, con riferimento al reato consumato (data incasso 1^ quota

del contributo) ed in Mosciano Sant’Angelo (TE) sino al 27.11.2009 (sede legale della srl

e data dell’ultima nota con la quale veniva inoltrato il documento falso) con riferimento al

reato tentato.

Nello stesso procedimento penale, oltre ai citati soggetti (e ad altre 13 persone fisiche)

sono coinvolte alcune delle aziende facenti parte della holding “(omissis)”, tra cui

“(omissis)Srl, l’“ABRUZZO IMPIANTI” s.r.l., la “OLEARIA JONICA S.r.l.”, la

“(omissis) S.r.l.” e la “(omissis)S.r.l.”, la (omissis)Spa e (omissis)Srl, in relazione

agli illeciti amministrativi dipendenti da reato ex art. 5 e 24 del D.Lgs. n. 231/2001.

Il patrimonio di tali società è stato sottoposto a sequestro preventivo

per equivalente –in vista della confisca obbligatoria ex

art.640quater/322 ter cp e 19 D.Lgs.231/02- con provvedimento del GIP

di Palmi del 28.7.2010, “sino al concorrere della somma di

€.17.950.566,46”, corrispondente al profitto confiscabile (art.322ter e 19

D.Lgs.231/01), rappresentata dal totale dei contributi pubblici

indebitamente percepiti dalle predette compagini, pari alle tranches di

finanziamenti erogati ed accreditati costituenti oggetto delle

contestazioni ex art.640bis cp cui si aggiungono gli indebiti vantaggi

patrimoniali ottenuti dalla organizzazione criminale attraverso le

rilevanti violazioni fiscali, ovvero le condotte di emissione ed utilizzo di

fatture per operazioni inesistenti descritte nei capi di imputazione (capo

6, misura imposta evasa €.1.633.999,99).

Osservava il Gip, nel motivare in ordine alla sussistenza dei

presupposti per procedere al ‘sequestro per equivalente’, che il lasso di

tempo trascorso dalla erogazione dei benefici economici, il ricorso al

meccanismo delle false fatturazioni con conseguente sopravalutazione

dei patrimoni aziendali, la mancata presenza di molti dei beni che le

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società avrebbero dovuto acquisire grazie ai finanziamenti erogati, non

consentono di individuare il ‘profitto’ dei reati, di tal che rispetto alle

società beneficiarie dei contributi, pur essendo certa l’esistenza del

profitto, questo non è suscettibile di essere rinvenuto, né una indagine

patrimoniale più dettagliata di quella fin qui svolta consentirebbe di

conseguire risultati utili sul punto atteso che “sarebbe impossibile,

considerata la promiscuità dei rapporti sociali, individuare i flussi di

ricchezza e imputarli alla attività delittuosa attenzionata piuttosto che a

diversi movimenti finanziari”.

Con successivo decreto del Gip di Palmi del 29.4.2011, era

mantenuto il sequestro preventivo sul solo patrimonio immobilizzato in

senso stretto delle predette società nei limiti dell’ingiusto profitto

accertato.

Con decreto del GUP di Palmi in data 24.5.2012, il proposto è stato rinviato a giudizio

davanti al Tribunale di Palmi per i reati di cui ai capi di imputazione dell’OCC, sopra

richiamati.

Con sentenza n. (omissis) il Tribunale di Palmi, come si è detto sopra, dichiarava la

propria incompetenza per territorio e disponeva trasmettersi gli atti al Tribunale di Teramo

ove il procedimento prendeva il n. (omissis) RGNR.

Il Gip presso il Tribunale di Teramo con decreto emesso in data 7.4.2014 disponeva il

sequestro preventivo del patrimonio immobilizzato in senso stretto delle medesime società

del gruppo sopra elencate finalizzato alla confisca per equivalente sino alla concorrenza di

euro 17.950.566,46, ed attualmente pende il giudizio di primo grado in fase di dibattimento

(come certificato in atti).

Orbene, se quanto accertato in sede cautelare dal Gip presso il Tribunale di Palmi

costituisce grave indizio di colpevolezza in ordine alla commissione dei gravi reati oggetto

di imputazione nel processo attualmente pendente presso il Tribunale di Teramo, a maggior

ragione i soli fatti indizianti che hanno sorretto il provvedimento di custodia cautelare, in

quanto di spessore probatorio di gran lunga più elevato rispetto a quello necessario per

l'applicazione della misura di prevenzione, assumono una forte valenza ai fini del giudizio

di pericolosità sociale del proposto proiettata dagli anni ’80 –cui risalgono le precedenti

condotte delittuose per cui l’(omissis) è stato coinvolto in procedimenti penali conclusisi

con sentenze dichiarative della prescrizione- fino all’epoca dei reati per cui pende

attualmente processo (v. per tutte Cass. 1995 n.2606).

E tuttavia, il principio di autonomia del giudizio di prevenzione rispetto al giudizio

penale impone una - sia pur sintetica- considerazione autonoma della rilevanza dimostrativa

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dei dati emersi nel procedimento attualmente in corso a carico del proposto sotto il profilo

delle esigenze proprie del processo di prevenzione, attraverso l’analisi delle fonti

dimostrative su cui si regge l’impianto accusatorio per la parte condivisa dal Gip di Palmi

arricchito con altri elementi di riscontro emergenti dagli atti acquisiti al presente

procedimento (in particolare il processo verbale di constatazione della Agenzia delle

Entrate-Direzione Provinciale di Teramo del 29.2.2012 e la consulenza tecnica d’ufficio a

firma della dr.ssa Tripodi).

L’operazione investigativa, confluita nelle tre informative di reato del Nucleo di Polizia

Tributaria della Guardia di Finanza di Catanzaro– Gruppo Tutela Spesa Pubblica- Sezione

Frodi Comunitarie (prot. (omissis) del 7.10.2009, prot. (omissis) dell’11.12.2009 e prot.

(omissis) del 15.7.2010), su cui si fonda l’impianto accusatorio posto a fondamento della

richiesta di misura cautelare reale e personale avanzata dal PM, origina

dall’attenzionamento di alcune iniziative imprenditoriali agevolate da finanziamenti

pubblici poste in essere da otto imprese della famiglia (omissis) che tra il 2003 ed il 2005

si collocavano in graduatoria utile per l’assegnazione delle sovvenzioni pubbliche,

assicurandosi contributi di ammontare complessivo pari ad oltre 63 milioni di euro.

In particolare oggetto della primigenia attività di indagine era l’assegnazione di

finanziamenti pubblici, di rilevante importo (per complessivi 28,3 milioni di euro) ai sensi

della Legge n. 488/92, per la realizzazione di programmi di investimento nel comune di

Borgia (CZ), (omissis), a due società in particolare, le cui soggettività giuridiche venivano

ricondotte dagli inquirenti ad un medesimo assetto proprietario, ossia la:

- la (omissis)S.r.l., c.f. (omissis), con sede legale in Roma, via (omissis) (legale

rappresentante (omissis), soci (omissis)), a cui era stato assegnato un contributo pubblico

a fondo perduto di € 13.826.667,00;

- la (omissis)S.r.l., codice fiscale e partita iva (omissis), con sede legale in Roma,

via (omissis)(legale rappresentante Surdo Salvatore, (omissis)), a cui era stato assegnato

un contributo pubblico a fondo perduto di € 14.526.702,00.

L’articolata attività di indagine, che poi si estendeva ad altre tre compagini societarie

riconducibili al medesimo gruppo ((omissis)srl e (omissis)srl, nonché (omissis)s.r.l.),

è stata svolta sulla scorta della documentazione istruttoria relativa alle richieste di

finanziamento ex L.488/92 avanzate dalle società del gruppo (omissis) (trasmessa dal

Ministero e dalle banche concessionarie e dagli istituti di credito con i quali le predette

società intrattenevano rapporti bancari), incrociata con i dati emergenti dalla escussione di

soggetti coinvolti nei progetti di finanziamento e dalla ricostruzione dei complessi rapporti

(societari, bancari, commerciali) emersi tra tutti i soggetti imprenditoriali a vario titolo

coinvolti nelle procedure di finanziamento oggetto della indagine.

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Le indagini approfondite della GdF hanno messo in luce la commissione di condotte e

meccanismi fraudolenti analoghi da parte dei legali rappresentanti e soci delle cinque

società del Gruppo che si erano aggiudicati finanziamenti ex L.488, incentrati su una serie

di articolate transazioni finanziarie che, sebbene formalmente eseguite, producevano solo

situazioni di mera apparenza del pagamento di fatture, dell’effettuazione di investimenti e

del versamento di mezzi propri da parte dei soci, al fine di indurre in errore i funzionari

delle rispettive banche concessionarie circa l’adempimento delle condizioni richieste per

l’ammissione alle agevolazioni e per l’erogazione delle quote.

Il sistema utilizzato è quello classico delle c.d. “scatole cinesi”, all’interno del quale

ogni impresa del “(omissis)”, sulla base di un fitto reticolo di operazioni commerciali e

bancarie, partecipava all’ “ambizioso” piano fraudolento finalizzato alla indebita

percezione di risorse pubbliche di cui alla L.488/92 ideato e promosso da (omissis) e dai

figli (omissis), operando, a seconda dei casi, quale:

-beneficiaria di indebite pubbliche contribuzioni concesse dal Ministero dello Sviluppo

Economico ai sensi della Legge n. 488/92;

-emittente di fatture per operazioni inesistenti, che erano poi utilizzate dalle stesse

società del gruppo beneficiarie della contribuzione per conseguire plurimi vantaggi

patrimoniali: ridurre artificiosamente il reddito d’impresa imponibile attraverso la

contabilizzazione di costi fittizi, conseguire indebiti rimborsi IVA, ottenere finanziamenti

pubblici del tutto indebiti (nei casi di mancata realizzazione dell’impianto) o

sovradimensionati rispetto al reale investimento impiegato in opere produttive ammesse ai

fondi erogati ex L. 488/92.

-strumento di auto-riciclaggio degli illeciti profitti conseguiti.

Per comprendere il meccanismo fraudolento, ben descritto nei suoi passaggi chiave

nello stesso capo di imputazione relativo alla truffa consumata e tentata in relazione alla

(omissis) srl, vanno sintetizzati i fatti storici, riscontrati e suffragati dalla considerevole

quantità di materiale probatorio esitato nel procedimento penale pendente a Teramo, dopo

un brevissimo accenno alla disciplina relativa alle procedure per la concessione ed

erogazioni delle agevolazioni in favore delle attività produttive nelle aree depresse del

Paese, contenuta nella Legge 19 dicembre 1992, n. 488.

La concessione del finanziamento ex L. 488/92, la cui istruttoria era

affidata a banche concessionarie, era subordinata ad alcune condizioni: alla

presentazione di documentazione comprovante l’apporto di capitale proprio

in una determinata entità (la posizione del programma nella graduatoria di

merito era determinata dal valore del capitale proprio investito nel

programma rispetto all’investimento complessivo) ed alla dimostrazione

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documentale di aver effettuato i pagamenti dei macchinari acquistati,

oggetto di sovvenzione.

Ciascuna delle due o tre quote del finanziamento veniva erogata dalla

banca concessionaria subordinatamente all’effettiva realizzazione della

corrispondente parte degli investimenti, eccezion fatta per la prima, che

poteva anche essere erogata a titolo di anticipazione previa presentazione di

fideiussione bancaria o polizza assicurativa irrevocabile, incondizionata ed

escutibile a prima richiesta, di importo pari alla somma da erogare.

Tanto premesso, appare utile al fine di dare una idea più comprensibile del modus

operandi del proposto e dei suoi congiunti nella perpetrazione delle truffe e successiva

complessa fase di dissimulazione del relativo profitto, riportare un organigramma del

gruppo per rendere maggiormente comprensibili i cervellotici intrecci societari posti in

essere e finalizzati a mettere in atto il disegno criminoso degli (omissis), padre e figli, a

conferma della simbiosi imprenditoriale realizzatasi fin dagli anni ottanta.

(omissis)

Ciò posto, per illustrare il sistema operativo illecito ideato e realizzato dal (omissis) e dai figli (omissis)mediante le società del “Gruppo” allo scopo di appropriarsi di fondi pubblici erogati ex L.488/92 e di frodare il fisco attraverso indebiti rimborsi iva, basta richiamare gli esiti dell’attività di indagine svolta dalla Gdf di Catanzaro, incrociati con i dati acquisiti dall’Agenzia delle Entrate di Teramo ed illustrate nel processo verbale in atti del 2012.

In particolare, è emerso che la (omissis) srl (società costituita nel 2001 dai soci (omissis) con oggetto sociale “l’industria di

produzione e confezionamento dell’olio di oliva e dell’olio di

semi vari e relativi sottoprodotti…, mai di fatto operativa) presentava in data 13.11.2002 domanda di agevolazioni ai sensi della L. 488/92 relativa ad un nuovo impianto da ubicare nel Comune di Borgia (CZ) – (omissis), per la produzione di olio d’oliva vergine ed extravergine.

Il Ministero delle Attività Produttive con D.M. 125464 del 23.06.2003

disponeva la concessione in via provvisoria di un contributo in conto

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impianti di € 14.526.702,00, da erogare in 3 quote annuali di € 4.842.234,00

ciascuna, e in data 3.12.2014 era erogata la prima quota previa presentazione

di polizza fideiussoria ed ulteriore documentazione a firma

dell’amministratore unico (omissis) (genero di (omissis)), tra cui il verbale

di assemblea ordinaria della (omissis) S.r.l., datato 27.04.2004, mediante il

quale è stato deliberato il versamento di euro 18.375.000,00 da parte dei

soci, ognuno in relazione alle quote possedute, in conto futuro aumento

capitale sociale, somma da vincolare alla realizzazione del programma di

investimento oggetto di pubblica contribuzione. Il verbale risulta sottoscritto

da (omissis), in qualità di presidente dell’assemblea e da (omissis), in qualità

di segretario. Risultava presente, inoltre, (omissis), in qualità di socio della

(omissis) S.r.l..

In data 03.12.2004, sul conto corrente n. (omissis) aperto dalla (omissis)

S.r.l. presso l’agenzia di Roma dell’Unicredit Banca S.p.a. con saldo

negativo pari a €.406,40 è stata accreditata la somma di € 4.842.234,00,

quale prima quota del contributo pubblico, a titolo di anticipazione, concesso

ai sensi della Legge 488/92. In data 21.12.2004, la (omissis) S.r.l. ha estinto

il c/c n. (omissis) acceso presso la filiale di Roma viale Liegi della Unicredit

Private Banking S.p.a. ed ha contestualmente fatto accreditare le somme

residue, pari a € 4.315.685,00, sul c/c n. (omissis) acceso presso la filiale di

Gioia Tauro (RC) della Banca Intesa S.p.a (il chè conferma ulteriormente

che ivi si è manifestata da sempre la pericolosità del proposto).

Gli accertamenti compiuti hanno consentito di rilevare che

la(omissis)S.r.l., dopo avere percepito la prima quota, a titolo di

anticipazione, del contributo pubblico assegnatole ai sensi della Legge

488/92 e sostenuto alcuni oneri di spesa relativi al programma di

investimento oggetto di pubblica contribuzione nonché girato senza

giustificazione la somma di €.1.500.000 alla (omissis) Spa, ha impiegato le

somme residue (circa 2 milioni di euro) per eseguire un bonifico in favore

della (omissis)S.r.l. per il pagamento di fatture emesse a titolo di “acconto

su forniture”, documenti di spesa che, in realtà, sono risultati essere relativi

ad operazioni commerciali totalmente inesistenti atteso che i pagamenti

avvenuti il 7.6.2007 delle quattro fatture emesse in data 6.6.2007 erano

“girati” il giorno successivo alla (omissis)S.p.a., che, a sua volta, le ha

bonificate dopo tre giorni in favore dell’(omissis)S.r.l., che le ha “girate” lo

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stesso giorno ad (omissis)(omissis), il quale le ha “girate” in data 12.6.2007

al padre (omissis), il quale, infine, le ha fatte “rientrare” nella (omissis) S.r.l.

a titolo di “versamento in conto futuro aumento di capitale”, così

completando il meccanismo di ripulitura del denaro proveniente

dall’accredito della prima quota di contributo pubblico consentendo ai soci

di onerare apparentemente l’obbligo di apporto di capitale sociale.

Tale “circuito finanziario” è stato ripetuto più volte al fine di

raggiungere, complessivamente, gli importi necessari alla (omissis) S.r.l. per

dimostrare alla banca concessionaria di:

-avere sostenuto, a fronte del programma approvato, spese per un

importo (al netto di iva) in misura almeno pari al 33% dell’investimento

complessivo;

-avere ricevuto dai soci “mezzi propri” in misura superiore al 50% di

quella prevista dal decreto di concessione provvisoria delle agevolazioni

finanziarie pubbliche.

Analoga operazione era, infatti, reiterata in data 13 giugno 2007 sempre

attraverso la (omissis) srl e successivamente attraverso la (omissis)S.r.l.

(società sempre riconducibile alla famiglia (omissis)), nei confronti della

quale la (omissis) S.r.l. eseguiva il pagamento di una fattura, emessa a titolo

di “acconto per fornitura macchine industriali”, anch’essa da considerare

relativa ad operazioni commerciali totalmente inesistenti, atteso che le

somme ricevute dalla citata (omissis) S.r.l., venivano “girate” da parte della

(omissis)S.r.l. ad altre società del “(omissis)” (omissis) prima di ritornare sul

conto corrente del socio (omissis), il quale le utilizzava per eseguire nei

confronti della (omissis) S.r.l. un “versamento in c/futuro aumento di

capitale sociale”.

In considerazione della falsità delle fatture emesse dalla (omissis) S.r.l.

(fatture n. (omissis) del 06.06.2007, n. (omissis) del 12.06.2007 e n.

(omissis) del 19.06.2007, per complessivi € 6.170.000,00 oltre iva per €

1.234.000,00 con causale “Acconto per la fornitura di impianti e macchinari

da fornirVi ed installare nel Vostro stabilimento in Borgia) e dalla (omissis)

S.r.l. (fattura n. 31 del 20.06.2007, di € 2.000.000,00 oltre iva per €

400.000,00) nei confronti della (omissis) S.r.l., nonché degli apporti di

“mezzi propri” da parte dei soci di quest’ultima, deriva la falsità ideologica

delle attestazioni:

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- del 03.08.2007, a firma di (omissis), in qualità di legale rappresentante

della (omissis) S.r.l., nella quale è stato attestato uno stato d’avanzamento

lavori corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto

dell’I.V.A., di € 9.790.280,10, pari al 34,25% dell’investimento

complessivo e richiesto alla banca concessionaria di svincolare la polizza

fideiussoria rilasciata a garanzia della prima quota del contributo assegnatole

dal Ministero dello Sviluppo Economico;

-del 27.01.2009, a firma di (omissis), in qualità di legale rappresentante

della (omissis) S.r.l., nella quale è stato attestato, con riferimento

all’esercizio 2008, che l’ammontare degli investimenti realizzati è pari a €

12.157.887,33.

Gli accertamenti compiuti hanno consentito di appurare che le somme oggetto della

originaria movimentazione della (omissis) S.r.l. verso la (omissis) S.r.l. e la (omissis) S.r.l.

sono il provento della erogazione della prima quota di contributo pubblico, erogazione

illecita perché frutto delle condotte fraudolente accertate consistenti nella predisposizione

e inoltro alla banca concessionaria di documentazione ideologicamente non veritiera

relativamente alla destinazione d’uso dell’immobile ove realizzare l’iniziativa

imprenditoriale e alla disponibilità da parte dei soci di (omissis) srl di adeguate risorse

finanziarie e patrimoniali per far fronte agli apporti di mezzi propri necessari alla copertura

dell’investimento de quo.

Ed infatti, dal processo verbale di constatazione della Agenzia delle Entrate di Teramo

del 29.12.2012 (in atti) emerge che la (omissis) dal 2001 al 2010 non ha mai realizzato

operazioni imponibili, è sempre in perdita e il reddito di impresa è negativo per dieci anni

consecutivi, per cui il saldo attivo al 1.1.2007 pari a €.2.054.717,60 del conto corrente

presso la Banca popolare di Crotone su cui erano eseguiti i pagamenti alle altre società del

gruppo per operazioni inesistenti rappresentava la disponibilità di liquidità conseguente alla

percezione della prima quota di contributo L.488.

Ora se i trasferimenti di valori dalla (omissis) S.r.l. verso la (omissis) S.r.l. e la

(omissis) S.r.l. poi rientrati nella (omissis) srl sono da ritenersi funzionali e strumentali a

fare apparire sussistente un apparente rapporto commerciale, anche ai fini dei costi sostenuti

per la realizzazione dell’opera agevolata, diversamente le successive movimentazioni tra

altri soggetti giuridici ben descritte nello stesso capo di imputazione (persone fisiche o

giuridiche) attivi nel medesimo circuito di interessi familiari ed economici del gruppo

(omissis) , del tutto prive di giustificazione economica, sono chiaramente funzionali ad

occultare la provenienza originaria delle somme illecite incassate dalla (omissis) S.r.l. e

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consentire, quindi, ai soci di onorare apparentemente l’obbligo di apporto di capitale sociale

mediante il versamento di quelle stesse somme oggetto dei fittizi pagamenti ad altre società

del gruppo rientrate nella disponibilità del socio (omissis) che le versava imputandole come

capitale proprio.

In sostanza la c.d. somma navetta, originariamente illecita, è stata ripulita attraverso

una serie di partite di giro poste in essere dai correi, al fine di fare apparire come provenienti

da risorse proprie le somme versate dai soci a titolo di apporto di capitale proprio (fino al

raggiungimento dell’importo di euro 18.375.000,00, in conformità alla previsione di cui all’

art. 6, comma 1 del citato D.M. 125464 del 23.06.2003), mentre in realtà le somme a tale

titolo versate non erano altro che patrimonio della stessa (omissis) S.r.l..

Nella realizzazione delle condotte fraudolente descritte, è innegabile

che anche i soci della (omissis) SRL, (omissis), abbiano avuto un ruolo

attivo nella vicenda quali concorrenti morali rispetto al legale

rappresentante (omissis) quanto meno in termini di rafforzamento delle

condotte criminose da quest’ultimo poste materialmente in essere.

Sul punto, condivisibilmente era osservato nella OCC del Gip di Palmi

“La circostanza che i predetti (omissis) e (omissis) siano soci e/o

amministratori di altri soggetti giuridici del gruppo (in particolare della

(omissis) spa, di cui sono soci tutti i membri della famiglia (omissis)) che

un ruolo decisivo ha assunto nelle vicende relative al programma di

investimento della (omissis) srl, sia per ciò che attiene alla cessione

dell’immobile sito in Borgia, sia per ciò che attiene alle movimentazioni di

somme, fuoriuscite dalla (omissis) srl per pagamento di forniture per

operazioni inesistenti e rientrate successivamente nelle casse della società

(al fine di creare l’apparenza di apporti di mezzi propri da parte dei soci

per la copertura dell’investimento de quo) tramite passaggi che hanno

direttamente coinvolto la predetta (omissis) spa, è elemento sintomatico

del coinvolgimento dei due soci (omissis) nelle condotte fraudolente poste

materialmente in essere dal legale rappresentante della (omissis) srl,

(omissis)”.

Attraverso le false fatturazioni da parte delle società del gruppo,

(omissis) srl e (omissis) srl, la (omissis) srl conseguiva inoltre consistenti

e indebiti vantaggi fiscali derivanti dalla indicazione in sede di dichiarazione

annuale dei redditi e dell’iva di elementi passivi fittizi avvalendosi delle

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fatture per operazioni inesistenti per totale imponibile di €.8.170.000,00 e

iva per €.1.633.999.

Perfettamente speculari al meccanismo posto in essere dalla Ico srl sono le vicende

dell’altra compagine societaria del gruppo attenzionata nel 2009, ossia la (omissis) srl, di

cui soci erano all’epoca dei fatti il padre ed il fratello del proposto (omissis) ed

amministratore (omissis) (che nel 2009 è stato anche legale rappresentante della(omissis)

srl, a conferma della simbiotica gestione delle società in capo a (omissis) padre e figli), cui

è opportuno un breve accenno perché esemplificativo della unica leadership imprenditoriale

e regia criminale in capo ai fratelli (omissis) e (omissis) ed al padre degli stessi.

Seppur amministrate e gestite da persone fisiche diverse, dalla stessa lettura del capo di

imputazione nel medesimo processo di Teramo per truffa a carico di (omissis), il padre

(omissis), (omissis), per l’indebita percezione, attraverso la (omissis) S.r.l., della somma

di € 4.608.889,00, quale 1^ quota, a titolo di anticipazione, del contributo pubblico di €

13.826.667,00 erogato ai sensi della citata Legge n. 488/92, nonché nei successivi atti

funzionali a conseguire le ulteriori quote programmate della predetta complessiva somma

oggetto dell’agevolazione finanziaria pubblica, emerge la comune la “strategia” criminale

adottata dai responsabili della (omissis) S.r.l. e della (omissis) S.r.l. per la locupletazione

di importanti contributi pubblici ex L.488/92: dall’inoltro alle rispettive banche

concessionarie di documentazione ideologicamente falsa predisposta dai medesimi soggetti

(il (omissis) per le false attestazioni sulla destinazione d’uso del terreno ove realizzare le

iniziative imprenditoriali in argomento, il (omissis) per le lettere di referenze bancarie, ecc.),

al ricorso all’utilizzo di fatture emesse a fronte di operazioni commerciali inesistenti, dalle

false attestazioni sullo stato di avanzamento dei lavori, all’impiego dei contributi pubblici

per scopi diversi da quelli per i quali erano stati ottenuti (in entrambi i casi, mediante

bonifici in favore della (omissis) S.p.a., holding del “(omissis)”, senza alcuna

giustificazione da parte della (omissis) e della (omissis), oggetto di distinte imputazioni per

316bis cp).

In esito ai sopralluoghi della Guardia di Finanza emergeva che nessuno stabilimento

era stato edificato dalla (omissis) S.r.l. e, conseguentemente, che nessun bene era stato

fornito alla stessa da parte della società austriaca Humanaexpert Medizinisch Tecniche

nonostante gli oltre 9 milioni di euro bonificati alla stessa, mai restituiti nemmeno in misura

parziale alla (omissis) s.r.l.. Anzi (e questo è un dato significativo su cui si tornerà nella

trattazione della parte patrimoniale) dalla documentazione bancaria acquisita è emerso che

nella (omissis) srl sono confluite in esito al un complesso circuito finanziario parte delle

somme pari a 4,5 milioni di euro circa bonificate nel 2006 in favore della (omissis) S.p.a.

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(altra società del “(omissis)”) dalla società lussemburghese (omissis) S.a. (una So.Par.Fi.

amministrata a mero titolo fiduciario, da 3 persone fisiche di nazionalità italiana) che risulta

essere azionista della (omissis) S.p.a. con una quota pari al 5,99% del capitale sociale

(azioni del valore nominale di € 774.468,00). Le suddette somme, dopo ulteriori “passaggi”

su conti correnti di soggetti economici riconducibili al “(omissis)” e sul c/c n. 21234, aperto

da (omissis) presso la filiale di Gioia Tauro (RC) della Banca Popolare di Crotone S.p.a.,

sono state trasferite alla (omissis) S.r.l., con causale “versamento in c/futuro aumento di

capitale sociale”, completando in tal modo -secondo la ricostruzione degli inquirenti,

plausibile e in alcun modo smentita- il circuito finanziario grazie al quale le somme erogate

alla (omissis) S.r.l. a titolo di pubblica contribuzione sono state trasferite all’estero al fine

di dimostrare il pagamento di fatture - in realtà relative ad operazioni inesistenti – per

rientrare, a seguito di articolate transazioni finanziarie eseguite, anche all’estero, su conti

bancari di soggetti terzi, nelle “casse sociali” della stessa (omissis) S.r.l. perfettamente

“ripulite”.

Analogamente a quanto accertato per il contributo pubblico della

(omissis) S.r.l., le transazioni finanziarie sopra descritte costituiscono il

meccanismo fraudolento ideato dai responsabili della (omissis) S.r.l. (e dai

relativi complici) al fine di simulare il pagamento delle forniture oggetto di

agevolazione pubblica e, successivamente, il versamento in conto futuro

aumento capitale sociale da parte dei soci il cui apporto è sempre preceduto

da tortuosi movimenti di valori tra le società controllate del gruppo

(omissis), senza che per ciascuna movimentazione sussistano

giustificazioni economiche non solo concrete, ma persino artificiosamente

rappresentate.

Nello stesso disegno criminoso si inserisce la condotta di malversazione

contestata al proposto in relazione al bonifico da parte della (omissis) in

favore della (omissis) della somma di € 1.500.000,00, in data 25.01.2005,

priva di causale (eguale contestazione è stata formulata nei confronti di

(omissis) (omissis) quale socio della (omissis) srl per la somma di

€.672.000,00 bonificata alla (omissis) subito dopo l’accreditamento della

prima quota del contributo ex l. 488 senza alcuna giustificazione

economica).

Il credito di € 1.500.000,00 vantato dalla (omissis) S.r.l. nei confronti

della (omissis) S.p.a. veniva parzialmente estinto con i seguenti bonifici,

dell’importo complessivo di € 1.456.420,00:

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-€ 250.000,00 in data 21.06.2007;

-€ 370.000,00 in data 25.06.2007;

-€ 836.420,00 in data 26.06.2007.

In tal modo la (omissis) Spa “simulava” restituzioni del denaro ricevuto

nel 2005 dalla (omissis) S.r.l. senza che vi fosse nessuna valida ragione

economico-commerciale sottostante, evitando in tal modo che venisse

accertata una destinazione del contributo pubblico erogato alla predetta

(omissis) S.r.l. per finalità diverse da quelle per le quali era stato concesso

dal Ministero dello Sviluppo Economico, essendo risultata la provvista

indirettamente creata –come si è viso- attraverso il trasferimento di somme

di denaro da altre società del gruppo sul conto corrente della (omissis) Spa

grazie all’accredito della prima quota del contributo pubblico ex lege 488/92.

Tanto è stato valorizzato nell’OCC per ritenere sussistenti i gravi indizi

di colpevolezza per il reato di malversazione del contributo pubblico erogato

alla citata(omissis) S.r.l atteso che costituendo i bonifici eseguiti (omissis)

S.p.a. in favore della (omissis) S.r.l. mere “partite di giro”, non possono

essere considerati come un’effettiva restituzione degli € 1.500.000,00

ricevuti il 25.01.2005 ed utilizzati dalla (omissis) S.p.a. per eseguire un

bonifico di pari importo in favore di tale (omissis) , con causale “vendita

terreno nel Comune di Anoia (RC)”, con conseguente accertamento di una

malversazione del contributo utilizzato per una finalità diversa da quella per

la quale era stata concessa da parte del Ministero dello Sviluppo Economico.

Speculari al meccanismo posto in essere dalla (omissis) srl del proposto ed alla

(omissis) srl del fratello sono anche le vicende che riguardano le altre compagini societarie

del gruppo attenzionate dalla indagine, in particolare la Olearia Jonica srl (capi nn.da 9 a

17 dell’OCC) e la (omissis) srl, quest’ultima per la fattispecie di truffa tentata e consumata

di cui al capo 18 dell’Occ di Palmi. In particolare, è emerso dagli accertamenti della Gdf

che degli € 1.680.000,00 bonificati dalla (omissis) S.r.l. in favore della Ventuno Service

S.r.l. a titolo di pagamento della fattura n. 97 del 01.12.2005, ben € 1.632.000,00 sono stati

restituiti alle imprese del (omissis) attraverso l’interposizione della (omissis) S.r.l. (impresa

riconducibile all’amministratore della (omissis) S.r.l.) e della (omissis) S.r.l. (impresa

riconducibile alla famiglia (omissis) amministrata da (omissis) ) che provvedeva a ripartirle

a più società del medesimo gruppo imprenditoriale ((omissis) ; si rimanda alle pag. 195 e

ss dell’OCC).

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Osservava sul punto il Gip di Palmi quanto al coinvolgimento dei soci della (omissis)

srl, in persona di (omissis) e (omissis) (entrambi figli del proposto) unitamente al padre

(omissis) (quest’ultimo quale rappresentante della (omissis) spa socio della (omissis) srl),

che poiché gli accertamenti svolti hanno verificato l’assoluta fittizietà dei versamenti di

mezzi propri (deliberati dall’assemblea ordinaria dei soci della (omissis) S.r.l. per

complessivi € 8.000.000,00) “ne deriva che certamente anche i soci avessero

programmato, pianificato ed infine accettato le fittizie movimentazioni di denaro che li

avevano – di fatto – esonerati dall’obbligo di conferimento dei mezzi propri a cui pure si

erano impegnati. Non è possibile, infatti, che essi siano venuti meno al loro obbligo, senza

essere perfettamente a conoscenza e senza, quindi, supportare l’azione delittuosa, grazie

alla quale avrebbero ottenuto un ingente risparmio. Lo stringente rapporto di parentela e/o

affinità con gli altri soggetti coinvolti nelle movimentazioni finanziarie truffaldine che si

sono descritte (in particolare con (omissis) , legale rappresentante della (omissis) srl, e

con (omissis) legale rappresentante della (omissis) srl), sono tutti elementi sintomatici

della sicura partecipazione morale anche dei soci alle condotte fraudolente materialmente

consumate dal (omissis) ”.

Appare rilevante, in quanto ulteriormente confermativo della creazione

ad hoc da parte dei fratelli (omissis) e del loro padre di plurime società

utilizzate strumentalmente per la consumazione del reato associativo e dei

vari reati fine, l’accertata circostanza per cui la compagine societaria della

(omissis) srl è stata abilmente pianificata dai fratelli (omissis) nell’ottica di

eludere la normativa prevista dalla Legge 488/92 con riguardo alla non

ammissibilità a contributo pubblico delle spese sostenute per l’acquisto degli

immobili, qualora l’azienda compratrice e quella cessionaria siano

partecipate, anche indirettamente e cumulativamente, dalle medesime

persone fisiche per oltre il 25% del capitale sociale. Ed infatti, l’iniziativa

imprenditoriale in relazione alla quale sarebbero stati richiesti i contributi

pubblici prevedeva proprio l’acquisto di un immobile preesistente, di

proprietà della (omissis) S.r.l. (società partecipata al 50% da (omissis)), ove

quest’ultima stava svolgendo un’attività di impresa analoga a quella che

avrebbe dovuto svolgere la suddetta (omissis) S.r.l., per cui ai fini

dell’ammissibilità dell’operazione alle sovvenzioni pubbliche di cui alla

legge n. 488/92 le due società non potevano essere riconducibili alle

medesime persone fisiche, per come rilevato anche dal contenuto di una

missiva del Mediocredito del Friuli Venezia Giulia (v. OCC pag. 185 e ss).

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Pertanto, la (omissis) S.p.a. sottoscriveva il 23% del capitale sociale

della (omissis) S.r.l. (appena un punto percentuale al di sotto del suddetto

limite del 25%), mentre le rimanenti quote sociali venivano suddivise tra i

figli di (omissis) ((omissis) ) e tra (omissis) .

Osserva sul punto il GIP di Palmi: “In considerazione della giovane età delle suddette

persone fisiche - poco più che maggiorenni all’epoca della costituzione della (omissis)

S.r.l. (25.09.2003) – e della circostanza che le stesse risultavano risiedere anagraficamente

in Gioia Tauro (RC) – ((omissis) vi risiede ancora oggi, (omissis) ed (omissis) vi

risiedevano rispettivamente fino al settembre 2008 ed al gennaio 2009), nonché lavorare

presso aziende ubicate nello stesso comune della Piana ((omissis) nella (omissis) S.r.l. e

(omissis) nello stabilimento della (omissis) S.r.l.), località ben distante dalla sede legale ed

operativa della (omissis) S.r.l., è possibile ipotizzare che i germani (omissis) , nonché

(omissis) siano delle mere “teste di legno” utilizzate per cercare di non attribuire sia la

proprietà che la formale gestione della società in parola ai fratelli (omissis) ; il tutto

nell’ambito di un’ampia e complessa strategia criminale, tra l’altro, tesa:

-ad eludere la normativa ex lege 488/92 in tema di “connessioni” tra

venditore ((omissis) S.r.l.) ed acquirente degli immobili oggetto di pubblica

contribuzione ((omissis) S.r.l.).

-all’emissione di tutta una serie di fatture per operazioni inesistenti da

parte della (omissis) S.r.l. nei confronti della (omissis) S.r.l., amministrata

da (omissis) ”.

Orbene, i dati sopra riassunti evidenziano il carattere “permanente e programmatico”

del vincolo associativo tra (omissis), i quali –secondo una tecnica criminale già collaudata

in passato, basti richiamare le vicende della (omissis) risalenti ai primi anni ’80 che hanno

visto coinvolte le ditte e società di padre e figli- per il conseguimento di uno scopo comune,

ovvero perpetrare più delitti a sfondo economico sfruttando la “generosa” normativa statale

e comunitaria, hanno promosso, costituito ed organizzato una struttura associativa

sofisticata che sfruttando il vincolo di familiarità o affinità che li lega ((omissis) è padre di

(omissis) , nonché suocero di (omissis), che è padre di (omissis) , soggetti alternatisi nella

rappresentanza delle società beneficiarie dei finanziamenti) o i loro legami fiduciari,

consolidati da stabili rapporti imprenditoriali, si è tradotta:

- nel ricorso ad un comune modus operandi, caratterizzato dal costante ricorso ai

finanziamenti pubblici tramite la creazione ad hoc di numerose strutture economico

finanziarie, conseguiti attraverso articolate manovre finanziarie, pressocchè sovrapponibili

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tra loro, finalizzate, attraverso documentazione spesso falsa, a dimostrare la sussistenza dei

requisiti richiesti dalla legge per l’accesso e l’erogazione dei contributi;

- nell’utilizzo di conti correnti personali o di soggetti economici da loro amministrati o

controllati al fine di dimostrare il pagamento di oneri economici in realtà non sostenuti o di

consentire ai profitti illeciti di rientrare nel circuito economico-finanziario delle società

beneficiarie dei finanziamenti sotto forma di quote di partecipazione dei soci al capitale

sociale;

- nella creazione, anche all’estero, di società terze (c.d. cartiere), costituite e gestite con

il solo scopo di consentire l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, che, come si è

detto, rappresentavano una della modalità operative tipiche di una vera e propria ‘catena’

di manovre fraudolente ai danni dello Stato;

- nel ricorso a ‘prestanomi’ nella gestione di alcune delle società interessate dalle

procedure di finanziamento (si pensi ad (omissis)), onde non concentrare la proprietà e la

gestione formale del gruppo nei medesimi soggetti ed eludere la normativa vigente ( ad

esempio quella in tema di acquisti di immobili, oggetto di finanziamento pubblico) ;

- nel ricorso a comuni sinergie professionali e a condivisi supporti esterni per la

attuazione delle metodologie illecite individuate per il raggiungimento delle finalità del

programma criminoso, la cui realizzazione ha richiesto la messa in opera di meccanismi

sofisticati, implicanti necessariamente un ausilio tecnico professionale, quale quello

assicurato dallo studio di consulenza finanziaria (la (omissis) srl di (omissis) con sede a

Gioia Tauro, che ha predisposto e curato l’avanzamento di tutti i ‘business plan’ delle

società del gruppo (omissis), anche di quelle localizzate fuori regione), dal progettista e

direttore dei lavori (l’ing. (omissis) ), dal fornitore ((omissis) s.p.a. di (omissis) per la

realizzazione delle opere murarie degli impianti industriali che dovevano essere avviati in

Borgia), dall’istituto di credito (la Filiale di Gioia Tauro della ex Banca Popolare di Crotone

presso cui risultano censite tutte le imprese del gruppo (omissis) e che ha, nella maggior

parte dei casi, rilasciato le attestazioni sulla capacità economico-finanziaria delle varie

persone giuridiche che venivano inoltrate alle banche concessionarie per comprovare la

situazione finanziaria e patrimoniale dei soci);

- nel comune e condiviso utilizzo della forza lavoro, promiscuamente impiegata, a

seconda delle esigenze, da parte di tutte le società del gruppo (omissis) , sintomatica della

sussistenza di un’unica struttura organizzativa e di un unico centro decisionale, localizzato

a Gioia Tauro, a cui fanno capo non solo le determinazioni relative alla gestione

imprenditoriale, ma anche le decisioni strategiche dell’attività criminale, che si sono

tradotte nella strumentalizzazione delle strutture imprenditoriali, aziendali e finanziarie al

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perseguimento di scopi fraudolenti aventi l’obiettivo ultimo di locupletare ingenti risorse

finanziarie erogate dallo Stato e da enti pubblici.

Valutazioni conclusive del collegio. La biografia giudiziaria del proposto delineata

sulla scorta dei numerosi procedimenti penali avviati a suo carico “selezionati”(non sfociati

in condanne solo per la sopravvenuta prescrizione dei reati e la conseguente loro estinzione),

che lo ha visto ideare sin dai primi anni ‘80 ed affinare via via un meccanismo finalizzato

a conseguire indebitamente agevolazioni pubbliche mediante l’emissione e/o utilizzazione

di fatture per operazioni inesistenti o ad eludere oneri (per lo più fiscali) gravanti sulle sue

attività di impresa, letta unitamente alle emergenze fattuali del processo attualmente

pendente a suo carico, consente con rassicurante tranquillità di formulare confronti di

(omissis) un giudizio di risalente pericolosità sociale generica.

In esito alla ricostruzione dei fatti emersi nelle indagini giudiziarie che hanno riguardato

il proposto durante l’intero arco della sua storia di imprenditore emerge l’esistenza di una

vera e propria consorteria illecita costituita da Vincenzo Oliveri unitamente al padre

(omissis) (già imprenditore nel settore oleario dagli anni ’50) ed al fratello ed avente quale

scopo principale quello di perpetrare rilevanti frodi allo Stato e alla Unione Europea,

attraverso il coinvolgimento di numerose persone giuridiche, mediante le quali il gruppo

(omissis) ha cercato di massimizzare i profitti derivanti dalla generosa normativa statale e

comunitaria di ausilio alle imprese operanti sul territorio italiano, ideando un meccanismo

a delinquere che, seppure via via affinatosi (come attestano le recenti truffe ex L. 488/92),

è rimasto sostanzialmente inalterato nei suoi elementi costitutivi rispetto a quello delineatosi

nelle prime vicende giudiziarie: imprese cartiere, l’emissione ed utilizzazione di fatture per

operazioni economiche inesistenti in tutto o in parte in diretto collegamento con

l’erogazione di contributi pubblici e comunitari, ove non collegate a operazioni di

contrabbando di olio di provenienza extracomunitaria utilizzato anche per “allungare” l’olio

prodotto e così aumentare il volume effettivamente prodotto lucrando maggiori contributi

cui altrimenti non avrebbe avuto diritto.

E’, dunque, nella conduzione delle sue imprese e società che l’(omissis) ha manifestato

la propria pericolosità mediante il ricorso sistematico ad abili “falsificazioni” della realtà

che hanno consentito il conseguimento di indebiti vantaggi patrimoniali (contributi pubblici

ed indebiti rimborsi IVA) nell’esercizio della attività imprenditoriale, in funzione della

creazione un impero economico che altrimenti non sarebbe mai nato o certamente non

avrebbe assunto le attuali configurazioni e valori aziendali.

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La circolazione cartolare dell’olio realizzata dal proposto fin dai primi anni ’80, come

emerso dai dati tratti dai procedimenti a suo carico, da un lato ha permesso la percezione

di indebiti aiuti comunitari all’agricoltura, dall’altro portava con sé un ulteriore vantaggio

patrimoniale, ossia l’indebito rimborso IVA.

Infatti, nel passato, gli aiuti comunitari (contributi AIMA ora AGEA), erano legati alla

produzione, pertanto, il fatturato doveva “necessariamente” essere opportunamente

“gonfiato” per documentare, una maggiore vendita e/o acquisto di lattine e/o di prodotto,

ovvero una maggiore produzione di olio.

Il sistema truffaldino attuato dal proposto e dai suoi congiunti è puntualmente descritto

in nota di Cat. (omissis) redatta nel lontano 14 marzo 1995 dal Commissariato di P.S. di

Gioia Tauro nella quale è analizzato il sistema di frode perpetrato dai produttori agricoli,

frantoi oleari ed imprenditori acquirenti per la percezione indebita di contributi da parte

della Comunità Europea (allegato n.307 alla proposta). Si legge: “….omissis….il pro

duttore di olive, proprietario di terreno agricolo coltivato ad uliveto, consegna le olive per

la macinazione in un qualsiasi frantoio della zona. Il produttore, dopo la macinazione, può

scegliere tra due sistemi, il primo: riprendersi l’olio prodotto mediante ricevuta rilasciata

dal frantoio che attesta la quantità di olive macinate (cosiddetto modello F) e con la copia

di ricevuta del modello F richiedere l’integrazione di produzione dell’olio tramite

l’associazione di appartenenza (Es.AIPO, APOR… ecc..) che cura l’inoltro della pratica

all’AIMA dopo aver accertato la produzione attraverso dei parametri CEE; il secondo: il

produttore lascia l’olio ricavato al frantoio ove lo ha macinato, oppure porta l’olio per la

vendita ai grossisti della zona, quali (omissis) ed (omissis) . In questa ultima ipotesi, il

grossista rilascia al produttore fattura o ricevuta di acquisto opportunamente “gonfiata”

in base al prodotto massimo ricavabile dal terreno in possesso al produttore secondo i

parametri stabiliti dalla CEE (Esempio se 1 ettaro di uliveto, come da parametro CEE,

produce 30 litri di olio, il grossista, in realtà, acquista quello prodotto che può essere 15

litri, facendo risultare dalle ricevute l’acquisto degli ipotizzati litri 30). Stesso

procedimento lo si può fare tra grossista, ovvero società (omissis) , e il frantoio. In pratica

il frantoio vende l’autofattura (gonfiata) di acquisto di olio dal produttore alla società

(omissis) . Con questo carico di olio documentato, (documentato ma non reale ndr) la

società (omissis) si fa carico di fatture per l’acquisto di bottiglie e tappi (ovviamente fatture

false o concordate con le ditte fornitrici) gonfiando così la produzione di imbottigliamento

per la quale, fino a pochi mesi fa, era prevista l’integrazione CEE. Inoltre la società

(omissis) riempie il vuoto che in realtà non ha recepito (la quantità di olio acquistata è

solo documentata ma non reale, ndr), comprando a basso prezzo, olio di noccioline od olio

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di minor qualità proveniente con delle navi cisterne dalla Tunisia o dalla

Grecia…omissis…”.

L’(omissis) , dunque, quale produttore e grossista ha massimizzato i profitti della sua

attività di impresa sfruttando a pieno le debolezze del sistema di aiuti comunitari, riuscendo

mediante il ricorso alla pratica della emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni

inesistenti a creare una situazione documentale di apparenza di traffici economici non

rispondenti alla loro reale entità.

Come osservato anche dal Gip di Palmi, sulla scorta della mole di procedimenti penali

avviati nei riguardi dei principali esponenti della famiglia sin dagli anni ’80, è evidente

come si sia in presenza di una vera e propria associazione delinquenziale guidata ab origine

dal padre (omissis) affiancato dai figli (omissis) che via via si sono sostituiti al primo e che

nel corso degli anni ha dato vita ad un avido ed ambizioso progetto criminale su vasta scala,

sia dal punto di vista dei reati perpetrati (dalla truffa per il conseguimento di erogazioni

pubbliche al riciclaggio, dalla malversazione ai danni dello Stato ai reati fiscali, ecc.) che

della localizzazione delle attività criminali poste in essere (dalla Calabria all’Abruzzo, dalla

Sicilia alla Puglia).

L’organizzazione ha operato stabilmente per un trentennio senza arrestarsi nonostante

le numerose indagini cui sono stati sottoposti i suoi capi e organizzatori, anzi il disegno

criminoso è divenuto via via più complesso e tanto più ha necessitato di esperienza

professionale e di ampie strutture organizzative per commettere i reati-fine programmati

quali inesauribile fonte di guadagni illeciti, minimizzando i rischi di condanne attraverso la

creazione di un groviglio di operazioni e passaggi tra le società del gruppo che certamente

ha reso le indagini più complicate e lunghe sì da potere ‘sperare’ in una prescrizione.

L’oggettiva gravità delle condotte illecite poste in essere senza soluzione di continuità

dai primi anni ’80 e fino al 2010 denotano una particolare e non comune pervicacia del

proposto nella perpetrazione dei comportamenti delittuosi e nel perseguimento degli illeciti

profitti ad essi connessi, determinanti per la crescita e lo sviluppo del gruppo

imprenditoriale “(omissis) ” nato dalla fusione delle attività imprenditoriali avviate

separatamente ma di fatto avvinte da un unico disegno espansionistico, come conferma il

dato della circolazione indifferenziata dall’una all’altra impresa delle somme derivanti dalle

pratiche fraudolentemente avviate ex l.488 sintomatica di una gestione unitaria del gruppo

imprenditoriale al servizio della distrazione delle somme indebitamente percepite a titolo di

contributo pubblico.

Lo spessore criminale degli (omissis) , padre e figli, è certamente meglio lumeggiato

alla luce della personalità del defunto padre (omissis) , destinatario nel 1990 di Avviso Orale

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con provvedimento del Questore di Reggio Calabria, confermato il 17.10.1990, poiché

“…sospettato di mantenere collegamenti con le famiglie (omissis) …” e “più volte notato

in compagnia di pregiudicati quali (omissis) ex sorvegliato speciale e (omissis) entrambi

inseriti nell’organigramma dell’omonima cosca mafiosa” (allegato 1 alla proposta).

In una nota inviata alla Prefettura di Reggio Calabria in data 22.11.2001 la Divisione

Anticrimine della Questura di Reggio Calabria, così scriveva sul conto di (omissis) , padre

di (omissis) : “…pur non esistendo prove documentabili, permane, a parere di questo

ufficio, l’elevato sospetto che l’(omissis) , unitamente ai propri familiari, sia vicino alla

cosca mafiosa (omissis) operante nel comune di Gioia Tauro e centri limitrofi. Questo

sospetto è suffragato anche dall’amicizia che lega gli (omissis) con (omissis) , elemento di

spicco della malavita organizzata facente capo alla precitata consorteria mafiosa, ritenuto

il braccio destro di (omissis) boss dell’omonimo clan mafioso…”.

Significativo è quanto segnalato sul conto di (omissis) , in una nota inviata alla Questura

di Reggio Calabria dal Commissariato di P.S. di Gioia Tauro in data 12.11.2001, in cui si

legge: “ … (omissis) ha ereditato l’inestimabile impero economico e commerciale creato

dal di lui padre (omissis) . Lo stesso già negli anni 80 veniva attenzionato e segnalato

poiché ritenuto affiliato alla cosca (omissis) , ritenuto, peraltro, fidato prestanome di

questi. I componenti della famiglia (omissis) hanno sempre dimostrato, nel corso degli

anni, di avere affinato un’elevata capacità nel riuscire ad eludere e vanificare i controlli

delle Forze di Polizia tant’è che agli atti di questi Uffici non risulta che lo stesso si

accompagni a pregiudicati, risulta però essere coinvolto in faide di chiara matrice mafiosa.

Nella serata del 29.01.1999, infatti, mentre a bordo del proprio fuori strada Range Rover

usciva dallo stabilimento denominato (omissis) S.r.l. di sua proprietà, veniva raggiunto da

diversi colpi d’arma da fuoco (pallettoni) rimanendo illeso. ..omissis…. Ad avvalorare tali

sospetti torna comunque utile considerare non per ultimo il rapporto di amicizia che lega

(omissis) a (omissis) , elemento di spicco della malavita organizzata facente capo alla

precitata consorteria mafiosa, viene infatti considerato il braccio destro di (omissis) , boss

dell’omonima cosca, entrambi tratti in arresto dopo un lungo periodo di latitanza.

Trova conferma quanto sopra il fatto che i lavori di pavimentazione dell’imponente

costruendo stabilimento di proprietà dell’OLIVERI, sito in questa via Nazionale 111 siano

stati ultimati dalla ditta edile riconducibile a ZITO Antonio … permane tutt’ora l’elevato

sospetto che il potere economico gestito dagli OLIVERI altro non sia che una parte

dell’inestimabile impero della consorteria mafiosa di Gioia Tauro alla quale gli stessi sono

ritenuti asserviti…”(allegato 2 alla proposta).

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La costanza e la spregiudicatezza con cui il proposto ha gestito nel tempo la propria

attività di imprenditore (dapprima nel settore oleario, rimasto prevalente, ma poi estesa ad

altri settori come vedremo esaminando la composizione del patrimonio sequestrato)

perseguendo, accanto a fini leciti, il fine illecito di ottenere consistenti ed ingiustificati

guadagni in pregiudizio e con evidente danno per lo Stato, denota l’abitualità a delinquere

ed è sintomatica di un modo distorto di fare impresa che, evidentemente, si pone al di fuori

della legalità. Egli ha dimostrato, infatti, di conoscere con esattezza i meccanismi

burocratici di accaparramento del denaro pubblico ed i “simulacri” da porre in essere per

dissimulare una realtà imprenditoriale ben diversa da quella rappresentata “sulla carta”.

Sulla base della lettura congiunta dei dati convergenti sopra riassunti, da cui emerge la

ripetizione costante di comportamenti illeciti posti in essere nella sua qualità di imprenditore

ed attraverso enti al medesimo riconducibili, senza soluzione di continuità e nell’arco di

circa un trentennio, è certamente possibile affermare senza ombra di dubbio che (omissis)

sia stato soggetto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 4 comma 1 lett. c) del Dlgs

159/2011 dai primi anni ’80 e certamente fino alle vicende oggetto del processo attualmente

pendente presso il Tribunale di Teramo.

E tuttavia è necessario verificare l’attualità della pericolosità, quale indefettibile

presupposto della adozione della misura di prevenzione personale, specie nei casi in cui

l'accertamento di condotte devianti risulti "datato" rispetto al momento della decisione di

primo grado in sede prevenzionale.

Le misure di prevenzione non hanno, infatti, carattere sanzionatorio ma riguardano il

futuro, perché sono dirette a neutralizzare la immanente pericolosità sociale e la probabile

estrinsecazione di tale pericolosità in future attività delinquenziali: il giudizio sulla

pericolosità sociale - per sua natura e funzione - postula sempre una valutazione concreta

della personalità del soggetto con riguardo all'intera condotta ed un accertamento in

relazione alla persistenza di un comportamento illecito o antisociale, che renda necessaria

una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza (v. Cassazione penale,

sez. I, 28/02/1991).

La parte prognostica del giudizio di prevenzione, per sua natura alimentata dai risultati

della prima fase constatativa della pericolosità, richiede una valutazione concreta di

"probabilità" del ripetersi di condotte antisociali, rapportata alla "intensità" dei sintomi di

deviazione riscontrati ma anche alla loro "prossimità temporale" rispetto al momento della

decisione (da ultimo si rimanda a Cass. Penale, Sentenza n. 23641 del 2014, est. Magi,

secondo cui ).

La pericolosità attuale del soggetto è presupposto applicativo generale, da riferirsi ad

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ogni categoria criminologica specifica e va valutata in rapporto a taluni indicatori

fondamentali. E precisamente, la potenzialità criminale espressa dal proposto anche in

contesti associativi, la tendenza del gruppo criminoso di riferimento a mantenere intatta la

sua capacità operativa che consenta di ipotizzare una nuova "attrazione" del soggetto nel

circuito relazionale illecito, il lasso temporale dalle ultime condotte sintomatiche di

pericolosità sociale.

Nel caso in esame, ritiene il Collegio che pur a fronte di una di una escalation

imprenditoriale illecita particolarmente allarmante per le modalità e per la sistematicità

della reiterazione delle condotte illecite in stretta connessione con l’esercizio dell’impresa,

non possa essere ignorato in punto di attualità il decorso di un apprezzabile intervallo

temporale tra i fatti oggetto dell’ultimo procedimento penale pendente a Teramo (anni 2003-

2009) ed il momento della presente decisione.

Certamente l’Occ del Gip di Palmi ed i successivi decreti di sequestro preventivo per

equivalente del patrimonio di tutte le società riconducibili al proposto ed ai suoi sodali

hanno interrotto un’azione criminosa destinata altrimenti a perpetuarsi, privando

sostanzialmente il proposto della disponibilità delle società strumentalmente e

sistematicamente utilizzate per la consumazione del reato associativo e di quelli fine, per

cui l’attività di tali società (oggi sottoposte a sequestro di prevenzione) dal 2010 ad oggi

non può essere interpretata quale indice sicuro di attualità della sua pericolosità che, come

si è visto, è strettamente connessa alla sua qualità di imprenditore.

In mancanza di altri dati successivi all’adozione dei provvedimenti cautelari personali

e reali nell’ultimo procedimento penale (ad es. frequentazioni, altre denunce per fatti

successivi, etc.) cui agganciare una prognosi di concreto pericolo di reiterazione di altre

condotte antisociali, considerata altresì la disgregazione del sodalizio criminoso a seguito

del decesso del padre del proposto nell’anno 2010, va rigettata la proposta di applicazione

della misura personale per difetto di attualità della pericolosità sociale al momento della

decisione.

Motivi di gravame

Con due diversi atti di appello contenenti motivi esattamente sovrapponibili

(omissis) contestano innanzitutto la competenza funzionale dell’organo

proponente, ritenendo che il presente giudizio avrebbe dovuto essere trattato

dall’AG di Teramo. Si sostiene che per in relazione ai medesimi fatti, erano

state all’epoca formulate dalla DIA due identiche proposte, nei confronti

dell’(omissis) e del fratello, (omissis) : la prima era stata inviata all’AG di

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Reggio Calabria, mentre per (omissis) si era proceduto presso il Tribunale di

Teramo, con una decisione peraltro di rigetto della richiesta. Non vale a

giustificare la diversa valutazione la differente residenza dei due germani,

posto l’assunto accusatorio che vuole i due soggetti non solo appartenenti

alla medesima famiglia anagrafica, ma altresì inscindibilmente legati per

effetto delle condotte asseritamente poste in essere nell’ambito di un

medesimo gruppo imprenditoriale. Le condotte che connoterebbero in modo

peculiare l’agire pericoloso dell’(omissis) (anzi degli (omissis) ) sarebbero

state commesse a Teramo ed in luoghi limitrofi, dove sono avvenuti i fatti

oggetto del procedimento penale celebrato presso quel Tribunale, a seguito

della sentenza di incompetenza pronunciata dal Tribunale di Palmi. Detta

vicenda infatti assume una rilevanza determinante al fine di individuare la

competenza, anche tenuto conto della contestazione associativa formulata a

carico dell’(omissis) . Si richiama la sentenza di incompetenza pronunciata

dal Tribunale di Palmi e i criteri normativi per la determinazione della

competenza nel procedimento di prevenzione, affermando che la “dimora

pericolosa” si rinviene nel luogo dove è avvenuto il numero più rilevante di

fatti-reato ed a tale fine irrilevante appare la sede lavorativa della dipendente

(omissis) , elemento valorizzato dal primo giudice al fine di confermare la

competenza dell’organo proponente.

Nel merito, si contesta la ritenuta sociale pericolosità “generica”

dell’(omissis) , rinvenuta per un arco temporale di 32 anni, tra il 1978 e il

2010, non essendosi tenuto conto che il predetto è soggetto sostanzialmente

incensurato, in quanto annovera un solo precedente definitivo per lesioni

colpose commesso nel 1994 e tre contravvenzioni per violazioni del codice

della strada e della legge sismica e edilizia. La difesa poi esamina i

procedimenti elencati dal Tribunale quali indicatori sintomatici della sociale

pericolosità del soggetto, sostenendo l’erronea valorizzazione degli stessi in

questa sede, in quanto tutti conclusisi con pronunce liberatorie nei confronti

dell’(omissis) . Si rammenta la sentenza della Suprema Corte n. 4880/2015

ric. Spinelli, quanto alla perimetrazione temporale della pericolosità

generica e si afferma che non possono essere utilizzati ai fini del giudizio di

pericolosità procedimenti definiti con sentenza di estinzione del reato per

prescrizione, a meno che non sia stato operato un esame nel merito dei fatti

contestati. Si osserva che il Tribunale, nonostante la qualificazione in

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termini di pericolosità generica, ha proceduto ad un’ablazione totale dei

beni, come avviene in relazione alla pericolosità qualificata.

La difesa esamina quindi partitamente i singoli processi penali posti a base

del giudizio di sociale pericolosità, per come indicati nel provvedimento

gravato: in relazione al proc. pen. n. (omissis) Proc. Rep. Palmi, si rileva che

è stata acquisita solo la sentenza di primo grado, l’esito del giudizio di

appello si ricava dall’annotazione ivi apposta in calce, ossia l’assoluzione

dal primo reato contestato e la declaratoria di estinzione per prescrizione del

reato sub b). Con riferimento a tale ultimo fatto, si afferma che non risulta

indicato nel capo d’imputazione l’importo della somma evasa, che,

trattandosi di reato di false fatturazioni, rappresenta il profitto acquisito

dall’imputato, inoltre la mancata acquisizione della sentenza di secondo

grado comporta l’impossibilità del giudice e delle parti di verificare se sia

stata analizzata nel merito la condotta contestata e la fondatezza dei motivi

di appello proposti, in ogni caso si evince che, essendo stata concessa la

sospensione condizionale della pena, l’(omissis) era stata ritenuto soggetto

non pericoloso. In relazione al rapporto n. (omissis) del 14.4.1988, si

asserisce essere stata attribuita un’enfasi irragionevole alla vicenda in

questione, poiché la condotta contestata è ascritta esclusivamente a carico di

(omissis) e nessuno degli appartenenti alla famiglia (omissis) risulta

coinvolto. Inoltre rilevasi che, dal decreto della Corte d’Appello di L’Aquila

che rigettava la proposta di misura di prevenzione a carico di (omissis),

emerge che alcun riferimento alla ditta (omissis) è contenuto nella vicenda

(omissis), indicandosi solo un generico riferimento a “ditte di Gioia Tauro”.

Peraltro, si osserva, la circostanza che non sia stato rinvenuto alcun riscontro

dell’esistenza di un provvedimento giurisdizionale a carico di (omissis)

esclude che sia mai esistita una vicenda processuale a carico dell’odierno

proposto.

Con riferimento al proc. pen. n. (omissis) si cita la sentenza emessa dal

Tribunale di Palmi in data 11.6.2001 e si dà atto che viene acquisita la

sentenza emessa, in data 22.3.2001, per i singoli reati-fine del programma

associativo, allegata all’atto di gravame. Anche in relazione a tale decisione

si evidenzia che la parte motivazionale dichiarativa della prescrizione non

contiene alcuna specificazione in ordine alla condotta posta in essere dagli

imputati, sicchè non può essere utilizzata in sede di giudizio di prevenzione,

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non recando alcuna valutazione di merito sui fatti. L’unico elemento di

riscontro all’attività d’indagine è costituito dalla sentenza n. (omissis),

emessa in data 22.3.2001 dal Tribunale di Palmi: trattasi del procedimento

connesso e riunito sul quale si fondava l’ipotesi associativa. In esso erano

contestati tutti i fatti di truffa per indebiti aiuti comunitari, ma tra i numerosi

imputati non figura alcun componente della famiglia (omissis). Proc. pen. n.

(omissis) RGNR -Procura Repubblica Palmi: tale giudizio attiene a fatti di

indebito rimborso IVA mediante utilizzo di fatture inesistenti e truffa

finalizzata al conseguimento di indebito contributo AIMA. Si osserva che

dalla sentenza emessa in data 14.12.1995 emerge che la prima ipotesi di

reato veniva dichiarata prescritta, mentre l’ipotesi di truffa era amnistiata,

previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p. Dagli atti del

processo, in particolare dall’accertamento peritale infatti era risultato che la

somma contestata quale indebito contributo ammontava a soli 20.000,00

euro e di ciò non può non tenere conto il giudice della prevenzione,

soprattutto in relazione al nesso di pertinenzialità che deve intercorrere tra

ingiusto profitto del delitto e successivo acquisto del bene da confiscare, alla

luce della sentenza di legittimità n. 4880/2015. Quanto poi al processo

pendente presso la Procura della Repubblica di Trani, lo stesso attiene a fatti

avvenuti tra il 1989 e il 1993. (omissis) si rese latitante per qualche mese,

ma la vicenda si concluse con un’archiviazione, sicchè appare privo di

fondamento il richiamo all’ordinanza custodiale operato nel provvedimento

impugnato.

Proc. pen. n. (omissis), incardinato presso la Procura di Teramo: dalla

richiesta di archiviazione depositata dal PM emerge l’assoluta inconsistenza

dell’ipotesi accusatoria, avallata dal GIP con il conseguente provvedimento.

Proc. pen. n. (omissis) RGNR Procura Repubblica Imperia: l’atto di gravame

rileva la carenza probatoria del dato, atteso che è stata acquisita

esclusivamente la notizia di reato e non anche le sentenze, sebbene

specificate nella nota della Polizia Tributaria di Genova (che si allega). In

ogni caso, dalla nota è dato evincere che tutte le ipotesi delittuose

inizialmente contestate ad (omissis) sono state abbandonate, perché

evidentemente ritenute infondate, inoltre dell’unica contestazione dichiarata

prescritta in appello, ossia l’emissione di fatture inesistenti, non è dato

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conoscere né il numero e l’ammontare delle fatture emesse, né l’ammontare

dell’imposta evasa, sicchè il dato risulta irrilevante ai fini prevenzionali.

Proc. pen. n. (omissis) Tribunale Palmi: è la vicenda principale che

attinge il proposto, sebbene la mera pendenza di un procedimento penale

costituisca circostanza neutra, per come statuito da Cass. n. 3191/92. In ogni

caso ai fini della valutazione autonoma in sede di prevenzione, devono

essere acquisiti i relativi atti e pertanto si appalesano insufficienti

l’ordinanza custodiale, l’informativa di reato della Polizia Tributaria di

Catanzaro e il decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP di Palmi.

Il decreto impugnato, peraltro, omette di riportare un’altra vicenda

processuale, di cui è traccia nella proposta, e cioè il procedimento n.

(omissis) RGNR, iscritto presso la Procura di Reggio Calabria. Anche tale

processo però si concludeva con richiesta di archiviazione e successivo

conseguente provvedimento emesso dal GIP in data 18.2.2011 (entrambi

allegati). L’atto di gravame segnala inoltre che dinanzi al collegio del

Tribunale di Teramo competente a giudicare quella vicenda processuale è

stato escusso il teste operante, mar. (omissis). Dalla testimonianza di costui

emerge che l’attività d’indagine si è limitata all’acquisizione documentale,

senza operare alcun accertamento sulla veridicità o meno della consegna dei

beni oggetto di fatturazione.

In ordine alle valutazioni conclusive del collegio, infine, si deduce che

la nota del Commissariato di Gioia Tauro del 14 marzo 1995, citata alla pag.

51 del decreto impugnato è in realtà una lettera anonima evidentemente

inutilizzabile al fine di fondare il convincimento del giudice. Si contestano

poi le illazioni operate dal Tribunale in merito a non ben individuate

collusione della famiglia (omissis) con soggetti appartenenti a contesti

mafiosi, di cui a pag. 53-54 del decreto impugnato, si rileva che lo stesso

Tribunale aveva rigettato la richiesta del PM di udienza di acquisizione di

documenti comprovanti le contiguità mafiose degli (omissis) , sicchè del tutto

inopportune appaiono le considerazioni sul punto operate in decreto. Non

risulta poi esaminata il prodotto rigetto divenuto definito della proposta di

prevenzione a carico di (omissis) .

Con memoria prodotta in udienza camerale, poi, la difesa ribadiva ed

integrava le superiori argomentazioni, in particolare, sul tema della

pericolosità generica la difesa richiama la sentenza di legittimità n.

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31209/2015, ric. Scagliarini, laddove statuisce che nessuna misura di

prevenzione può essere applicata qualora manchi una ricostruzione di fatti,

idonei a determinare l’inquadramento del proposto in una delle categorie

specifiche di pericolosità espressamente tipizzate dal legislatore. Detta

decisione del Supremo Collegio poi prosegue nel rammentare che per quanto

riguarda in particolare la lett. b) dell’art. 1 d.lg.vo 159/2011 l’inquadramento

in tale fattispecie di pericolosità presuppone la realizzazione di attività

delittuose, che le stesse siano produttive di reddito e che tali proventi siano

destinati in tutto o in parte al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento

della persona e della sua famiglia. Da ciò consegue che se la realizzazione

del delitto è esclusa in sede penale, manca uno dei presupposti a cui ancorare

la fattispecie in esame. La difesa richiama poi la recente giurisprudenza

comunitaria in materia di pericolosità generica (in particolare la sentenza De

Tommaso c. Italia), indi esamina ancòra una volta i singoli processi posti a

base del giudizio di sociale pericolosità: quanto al proc. n. (omissis)

Procura Palmi (pagg.11-12 decreto impugnato) osserva che per uno dei

reati in contestazione (omessa annotazione nelle scritture contabili) il

proposto è stato assolto per sopravvenuta abolitio criminis, sicchè il dato è

inutilizzabile a fini prevenzionali, stante la necessaria ricorrenza di “traffici

delittuosi” richiesta dalla lettera della legge. Si ribadiscono poi le medesime

argomentazioni in relazione ai reati dichiarati prescritti, in quanto la

punibilità è elemento costitutivo interno al reato, sicchè la seconda

imputazione ascritta in quel processo, ossia l’utilizzazione di fatture per

operazioni inesistenti, dichiarata prescritta dalla Corte d’Appello, con

sentenza del 23 gennaio 2001, non può essere parimenti utilizzata nella

valutazione da operare in questa sede. Si rimarca altresì l’incompatibilità tra

la sospensione condizionale della pena e la pericolosità generica, fondata su

traffici delittuosi, richiamando la sentenza di legittimità n. 31209/2015, ric.

Scagliarini. In merito poi al proc. pen. trattato dalla Procura di Catania

(pag. 12-14 decreto di primo grado), si osserva che la denuncia a carico

dell’(omissis) non ha evidentemente avuto alcun seguito processuale, sicchè

difettano quei fatti storicamente apprezzabili che potrebbero costituire gli

indicatori della possibilità di iscrivere il proposto in una delle categorie

criminologiche previste dalla legge. Quanto poi al proc. pen. n. (omissis)

Procura Palmi, rilevasi che la sentenza, nella sua sinteticità, non descrive

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fatti storicamente apprezzabili e tali non possono essere considerati quelli

indicati in reati dichiarati prescritti. Si richiama poi la sentenza di legittimità

n. 31617/2015, ric. Lucci, che ha affrontato la questione dei rapporti tra

confisca e sentenza di prescrizione, sostenendo l’affinità fra confisca diretta

di cui all’art. 322 ter c.1 c.p., oggetto di detta sentenza e la confisca di

prevenzione, basata su valutazione di pericolosità generica. Proc. n. (omissis)

Procura Palmi: si ribadiscono ancòra una volta le argomentazioni relative

all’impossibilità di apprezzare a fini prevenzionali una sentenza di

prescrizione, peraltro maturata a seguito di esclusione dell’aggravante del

danno di rilevante entità. Si sottolinea comunque che risulta in sentenza

come (omissis) avesse il ruolo di mero autotrasportatore del fratello (omissis) ,

per il quale il Tribunale di Teramo ha rigettato la proposta di misura di

prevenzione. Il proc. trattato dalla Procura di Trani è stato archiviato dal GIP

per infondatezza della notizia di reato e non già per intervenuta prescrizione,

come erroneamente affermato dal Tribunale, in quanto, alla richiesta di

archiviazione del PM per intervenuta prescrizione corrispondeva una

decisione del GIP nei termini già detti, sicchè anche la vicenda di Trani è

inutilizzabile ai fini prevenzionali, a carico di (omissis) , senza tenere conto

poi che lo stesso sviluppo processuale per come documentato ha fatto sì che

il materiale probatorio iniziale ne risultasse indimostrato e ridimensionato.

In ogni caso, devesi ritenere che il proposto, a partire dal 9 giugno 1996 e

per tutta a durata dell’esecuzione della misura cautelare l’asserita

pericolosità dell’(omissis) sia rimasta sospesa, in quanto lo stesso non ha

esercitato quell’attività imprenditoriale attraverso la quale si ipotizza abbia

posto in essere i comportamenti integranti la sociale pericolosità ravvisata.

Proc. pen. n. (omissis) Procura Teramo: tal procedimento risulta archiviato,

come da richiesta del PM, per infondatezza della notizia di reato, talchè

anche per tale ipotesi non può utilizzarsi il dato al fine di configurare quegli

elementi di fatto necessari ad integrare i traffici e le attività delittuosi che

delineano la pericolosità sociale generica. Proc. pen. n. (omissis) Procura

Imperia: il primo giudice, afferma l’appellante, ha ignorato il contenuto

delle due sentenze che hanno deciso la vicenda in esame. Invero, il proposto

era stato imputato dei reati di bancarotta fraudolenta e emissione di fatture

per operazioni inesistenti: in ordine al primo delitto era intervenuta sentenza

assolutoria, mentre in relazione alla seconda contestazione si emetteva in

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primo grado condanna con sospensione condizionale della pena e in appello

veniva dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Si

svolgono pertanto le medesime argomentazioni più volte proposte e sin qui

riportate in relazione al (non) valore a fini di prevenzione da attribuire a tale

dato, richiamando ancòra una volta le statuizioni contenute nella sentenza

Lucci, laddove si afferma l’inidoneità di una sentenza dichiarativa di

prescrizione a fondare un provvedimento di confisca.

Proc. n. (omissis) Procura Palmi, poi trasferito a Teramo: la sentenza

intervenuta il 7.11.2016 assolve (omissis) dal reato associativo, dal reato di

truffa aggravata e dal reato di falso, mentre dichiara l’estinzione per

prescrizione del reato dei reati di cui agli artt. 316 bis c.p. e 2-8 d.lgs.

74/2000. Tale pronuncia quindi impedisce di considerare il proposto quale

soggetto dediti a traffici delittuosi, non potendo essere valorizzati fatti che

sono stati ritenuti “non- delitti”, in quanto carenti di un elemento strutturale

del reato, costituito dalla punibilità. Non può riconoscersi, quindi, maggiore

significazione agli indizi che hanno sorretto il provvedimento cautelare, per

come invece operato dal primo giudice che ha “letto” erroneamente la

sentenza di legittimità n. 2606/1995, ric.Lupo (pag. 39 decreto impugnato),

attinente alla pericolosità qualificata di tipo mafioso, che pertanto non può

essere trasposta alla fattispecie oggi in esame. L’atto di gravame ritiene

invece maggiormente aderente al caso concreto la decisione n. 41320/2009

ric. Anile, che richiede l’esistenza di fatti obiettivi e non di ipotesi

investigative e non considera sufficiente a costituire indizio di prevenzione

la mera imputazione ascritta al proposto.

In conclusione, quindi, la biografia giudiziaria di (omissis) è costellata

da numerosi esiti favorevoli dei procedimenti instaurati a suo carico e per

quelli che invece sono stati decisi con sentenza di prescrizione o amnistia si

rileva che in primo grado era comminata una pena modesta con sospensione

condizionale e, laddove l’estinzione del reato è stata dichiarata in primo

grado, la confisca non può essere disposta alla luce dell’insegnamento di

legittimità ric. Lucci. Si conclude pertanto per l’assenza del presupposto

della sociale pericolosità in capo al proposto.

Motivazioni della Corte

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Ritiene la Corte che la valutazione di sociale pericolosità del proposto operata dal Tribunale meriti di essere confermata. Deve innanzitutto esaminarsi l’eccezione di incompetenza funzionale dell’AG di Reggio Calabria, in favore di quella di Teramo, avanzata in via preliminare dall’appellante. Sul punto, la Corte condivide pienamente le conclusioni raggiunte dal primo giudice, nonché le osservazioni svolte nel decreto impugnato. Invero, premesso ogni opportuno riferimento alle disposizioni normative ed all’elaborazione giurisprudenziale in materia, rilevasi che il criterio fondamentale cui informare la risoluzione della questione risiede nell’individuazione del luogo dove il proposto ha manifestato con continuità le condotte pericolose, non assumendo alcun rilievo, come sostenuto dalla difesa, la collocazione spaziale della condotta di maggiore gravità. Da ultimo tale principio è affermato da Cass. Sez. 1, n. 45380 del 07/07/2015 “Nel procedimento di applicazione di misure di prevenzione personali, la competenza territoriale, per decidere sulla richiesta presentata nei confronti di un soggetto la cui pericolosità non sia riferibile ad un contesto associativo criminale, si determina avendo riguardo al luogo nel quale, sulla base degli elementi di fatto prospettati dall'autorità proponente, la pericolosità sociale attuale si manifesti con carattere di continuità in rapporto con l'ambiente locale, non assumendo rilievo decisivo a tal fine la collocazione spaziale della condotta di maggiore gravità. (In applicazione del principio la Suprema Corte, dirimendo un conflitto negativo di competenza, ha attribuito la cognizione del procedimento al Tribunale del luogo ove il proposto, con continuità, risiedeva e nel quale aveva posto in essere reati, sebbene se lo stesso avesse, occasionalmente, commesso una rapina in altro ambito territoriale). Ciò posto, non vi è dubbio che, seppure i processi penali instaurati a carico dell’(omissis) siano distribuiti non solo nel distretto reggino ma altresì in luoghi diversi del territorio nazionale, fino al più recente giudizio celebratosi a Teramo, tuttavia non può tacersi che il centro decisionale e operativo delle aziende riconducibili al proposto e ai terzi interessati è sicuramente da individuarsi nel territorio di Gioia Tauro, per le considerazioni già svolte dal primo giudice e sopra riportate, alle quali la Corte integralmente rinvia. Né può considerarsi decisiva o esplicare alcuna rilevanza la circostanza che la proposta a carico di (omissis), fratello dell’appellante, sia stata trattata dal Tribunale di L’Aquila, posto che le due posizioni non possono essere ritenute automaticamente sovrapponibili, sol perché anche (omissis) è parte imprenditoriale della famiglia, in

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ogni caso, con tutta evidenza, nessuna efficacia vincolante su (omissis) può esplicare tale diversa scelta operativa. Parimenti priva di rilievo, a fini d’interesse, è la sentenza di incompetenza pronunciata dal Tribunale di Palmi, nell’ambito del processo poi transitato a Teramo, posto che, con tutta evidenza, diversi sono finalità e criteri cui obbedisce il giudizio penale rispetto a quello di prevenzione e differenti quindi i parametri valutativi ad essi connessi. Senza contare poi che il giudice penale ha valutato singolarmente detta vicenda processuale, laddove invece il giudice della prevenzione considera tale segmento nell’ambito di un più ampio contesto temporale che, quindi, come detto, fornisce la diversa chiave interpretativa del dato.

Ciò posto e ribadita quindi la correttezza della ravvisata competenza

nell’AG reggina, quanto al merito del gravame, va innanzitutto rammentato

il principio assolutamente generale dell’autonomia tra processo penale e

giudizio di prevenzione, per cui diversi sono come detto, gli obiettivi e le

finalità che i due istituti perseguono e differenti quindi i princìpi e gli

strumenti probatori ai quali essi rispettivamente obbediscono. Infatti,

oggetto del giudizio di prevenzione non è quello di accertare se un soggetto

sia o meno colpevole di un determinato fatto costituente reato, ma se lo

stesso sia pericoloso o non pericoloso, sicchè possono essere valorizzati

nell’ambito di un giudizio di prevenzione, come noto, anche dati fattuali che

hanno condotto a pronunce assolutorie in sede di merito, con l’unico limite

che i fatti non siano risultati storicamente smentiti nella sede processuale

propria. Conseguenza necessaria di tale principio è che si appalesa infondata

la ricorrente affermazione contenuta nell’atto di gravame, secondo la quale

solo le sentenze di condanna possono formare oggetto di valorizzazione ai

fini del giudizio di pericolosità generica. E’ del tutto evidente infatti che se

persino le sentenze assolutorie possono costituire la base significativa di un

giudizio di sociale pericolosità, ciò può conseguire maggiormente ad una

decisione dichiarativa della prescrizione, che comporta uno scrutinio

preliminare di insussistenza di estremi per l’assoluzione e

conseguentemente, lungi dal negare la sussistenza dei fatti contestati, prende

atto del decorso del tempo e nel contempo non ne esclude la sua

verificazione, una volta statuito che non si ravvisano ragioni che consentano

di emettere una pronuncia liberatoria in favore dell’imputato. Non si vede

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pertanto quale divieto possa operare rispetto alla valorizzazione di elementi

tratti da processi conclusisi con sentenze di estinzione del reato per

prescrizione e quindi non può costruirsi alcun impedimento in tal senso nel

giudizio di prevenzione.

Altro principio cardine in materia è costituito dalla necessaria ricorrenza,

ai fini della configurabilità della pericolosità di cui all’art. 1 lett. a) e b)

d.lg.vo 159/2011, di “attività delittuose” o di “proventi di attività delittuose”,

talchè, osserva la difesa, ove il giudizio penale si sia concluso con la

declaratoria di prescrizione del reato, non può ritenersi la sussistenza di un

delitto, rappresentando la punibilità un elemento interno al reato, sicchè se

la realizzazione del delitto è esclusa in sede penale, mancherebbe uno dei

presupposti a cui ancorare l’ipotesi in esame. Anche tale assunto non è

condivisibile, posto che, come detto, la sentenza dichiarativa di prescrizione

non esclude la realizzazione di un delitto, come sostenuto dalla difesa, ma si

limita a prendere atto del decorso del tempo, contestualmente però

ravvisando la presenza di elementi che non consentono di giungere ad una

sentenza assolutoria nei confronti del soggetto. Nella vicenda in esame, per

come meglio si specificherà oltre, non vi è dubbio che la storia giudiziario-

imprenditoriale di (omissis) comprovi come costui sia stato abitualmente

dedito a “traffici delittuosi” ed abbia vissuto abitualmente, anche in parte,

con i proventi di attività delittuose. In particolare, rilevasi che, al di là degli

esiti favorevoli di alcuni processi instaurati a suo carico, ciò che deve

rimarcarsi è il reiterato, prolungato e seriale coinvolgimento del proposto (e

dei suoi stretti congiunti che lo coadiuvavano nell’attività imprenditoriale)

in numerose indagini che, sin dalla fine dagli anni ’80, lo vedevano

interessato alla medesima tipologia di violazioni costituenti delitto, ossia le

fatturazioni per operazioni inesistenti e le truffe per ottenere contributi

comunitari. Quanto alla prima delle attività delittuose, la Corte rileva

che tale fattispecie delittuosa, già prevista dal d.p.r. n. 633/72, quindi

dalla legge n. 516/8 2 e da ultimo dal d. l.vo n. 74/2000, è stato nel tempo

univocamente ritenuto quale reato di pericolo e di mera condotta,

essendo teso a preservare la fedeltà delle operazioni finanziarie, sicchè

prescinde dal verificarsi dell’evento di danno e dalla concreta evasione

dell’imposta (da ultimo Cass. Pen. Sez. 3, n. 25808/2016), tant’è che

alcuna soglia di punibilità risulta mai stata prevista dalla normativa

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succedutasi nel tempo. Risulta quindi smentito l’assunto difensivo che

lamenta una mancata indicazione delle imposte evase e connette a tale

carenza conseguenze di deficit probatorio in realtà non ricorrenti. Come

detto, infatti, se è indubbio che a tale condotta si colleghi una finalità di

indebita evasione dell’imposta (è infatti richiesto un dolo specifico in tale

senso) e quindi comunque un illecito provento che l’agente utilizza a proprio

vantaggio, il delitto è in ogni caso perfezionato in presenza della mera

falsa fatturazione, sicchè alcun rilievo assume il quantum di imposta

lucrata, avendo l’ordinamento ascritto alla mera infedele dichiarazione la

violazione degli interessi tutelati.

Passando quindi all’esame dei singoli processi penali posti a base della

proposta, quanto al proc. n. (omissis) Procura Palmi, rilevasi che

l’imputazione contestata attiene all’utilizzazione di fatture per operazioni

inesistenti, al fine di evadere le II.DD. e l’IVA, nel periodo 1983-1985. Per

quanto attiene ai fatti specifici ascritti all’(omissis), si rimanda al decreto

impugnato sopra riportato e in relazione ai motivi di gravame, si ribadiscono

le considerazioni fin qui svolte nelle linee generali, quanto al difetto di

indicazione della somma evasa, alla mancanza di analisi nel merito della

condotta contestata, al valore della declaratoria di estinzione per

prescrizione, osservando altresì che con tutta evidenza priva di

significazione favorevole al proposto è la circostanza che nell’occasione sia

stata concessa all’(omissis) la sospensione condizionale della pena, sia

perché la valutazione da operare a tal fine è del tutto differente rispetto a

quella richiesta al giudice della prevenzione e sia poiché comunque

all’epoca ricorrevano le condizioni di legge per la concessione del beneficio,

essendo il proposto soggetto incensurato. Nessuna contraddizione quindi si

ravvisa, posto che la pericolosità oggi delineata anche a far data da quegli

anni viene ricostruita leggendo le diverse vicende processuali

succedutesi nel tempo che quindi ricevono nuova e diversa luce dagli

accadimenti posteriori. La sentenza di legittimità Scagliarini citata

dall’appellante, peraltro, nel corpo della motivazione, nell’escludere che ai

fini della configurabilità della pericolosità generica possano essere

valorizzati fatti coperti da giudicato assolutorio, ammette tuttavia la

possibilità di un’autonoma valutazione del giudice della prevenzione

nell’ipotesi di proscioglimento per intervenuta prescrizione, purchè il fatto

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risulti delineato con chiarezza nella sentenza di proscioglimento o sia

comunque ricavabile dagli atti. Nell’ipotesi in esame, i fatti appaiono

nitidamente ricavabili dalla sentenza di primo grado, che si era conclusa con

la condanna del proposto, di cui dà atto il primo giudice, essendosi solo in

secondo grado giunti alla declaratoria di prescrizione, sicchè appare del tutto

evidente la correttezza dell’iter argomentativo seguìto dal Tribunale anche

sotto tale profilo. Aggiungasi poi, ancòra in merito alla citata sentenza di

legittimità Scagliarini, che i supremi giudici sottolineano la necessaria

ricorrenza e la valenza sintomatica quindi di condotte delittuose abituali,

produttive di proventi illeciti, nonché la massiccia e continuativa elusione

degli obblighi tributari, che realizza una provvista finanziaria, la quale, una

volta reinvestita in attività commerciali da cui il soggetto trae sostentamento,

può ben dirsi fornisca a costui i proventi di attività delittuose, così integrando

il presupposto normativo per la configurabilità della pericolosità sociale

generica. Quanto argomentato dalla Corte di legittimità appare

perfettamente sovrapponibile alla presente vicenda, laddove la sistematicità

e serialità del ricorso reiterato alla falsa fatturazione, sempre ritenuta

costituente delitto, ha comportato risparmi di imposta e quindi proventi

notevoli poi reinvestiti nell’attività produttiva che riceveva quindi

esponenziale sviluppo dall’attività delittuosa posta in essere. Di nessun

pregio in senso contrario appare la sentenza emessa dal GUP di Palmi in data

6.3.1990, indicata genericamente senza alcuna considerazione, nella

memoria prodotta ed allegata alla stessa, in quanto relativa all’imputato

(omissis), quindi a soggetto diverso dall’(omissis), sebbene tratti di fatture

inesistenti emesse dalla (omissis), decisione quindi non idonea ad esplicare

alcuna influenza nella presente procedura, in quanto comunque precedente

giudiziario non vincolante per questa Corte.

Quanto al processo c.d. (omissis), celebrato a Catania, emerge dalla

denuncia il coinvolgimento nella vicenda sia del proposto, che del fratello

(omissis) e del padre (omissis), sempre in relazione ad una condotta di

utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di conseguire un

indebito contributo comunitario, nella misura indicata nel decreto impugnato

sopra riportato. Del tutto irrilevante quindi l’eventuale mancanza in atti della

sentenza emessa o lo sviluppo processuale della vicenda non documentato

nei riguardi dell’(omissis), posto che deve ritenersi ragionevolmente i fatti

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non siano stati smentiti, se si pone mente alla circostanza che il (omissis)

risulta condannato per la contestazione in esame e che si fa riferimento a

ditte di Gioia Tauro nella decisione emessa, sicchè è fondato ritenere si tratti

delle ditte degli Oliveri indicate in denuncia. Ancòra una volta quindi i fatti

addebitati non risultano smentiti nella loro storicità e risulta il

coinvolgimento del proposto e dei suoi più stretti congiunti, senza che osti a

una tale conclusione la diversa lettura operata dal Tribunale di L’Aquila,

che, con tutta evidenza non esplica alcuna influenza sulla valutazione a cui

è chiamata la Corte. Anche per il proc. (omissis), nel rinviare a quanto

contenuto nel provvedimento gravato, nel quale si dà atto che (omissis) era

stato rinviato a giudizio per il reato associativo, finalizzato all’emissione ed

utilizzazione di fatture inesistenti e all’indebita percezione di aiuti

comunitari, si ribadisce quanto argomentato in relazione all’apprezzamento

a fini prevenzionali della declaratoria di prescrizione, altresì rilevasi che,

contrariamente a quanto affermato, la sentenza emessa il 22.3.2001 reca tra

gli imputati del reato sub a) del proc. n. 1405/88 il cognome (omissis) , sia

pure senza indicazione del nome di battesimo (peraltro ciò accade anche per

gli altri imputati, indicati solo mediante il cognome) e nell’elencazione delle

ditte interessate alle false fatturazioni è compreso (omissis) . Quanto poi

all’esame della condotta contenuto in sentenza, si osserva che in relazione

al capo a) (ossia la contestata truffa aggravata ai danni dell’AIMA, attuata

mediante l’emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti) la

stessa sentenza prodotta afferma che non si ravvisano elementi tali da

addivenire alla pronuncia di proscioglimento nel merito alla luce della

perizia in atti, mentre in relazione al capo b) il Tribunale perviene

all’assoluzione, rilevando che la contestazione formulata addebita

l’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di

commettere il reato di truffa aggravata sub a), e poichè la finalità ascritta è

diversa da quella di evadere le imposte dirette e/o l’IVA, prevista dalla

normativa tributaria, difetta il dolo specifico dell’evasione dell’imposta e

quindi non può configurarsi la fattispecie delittuosa contestata, senza che

tuttavia da tale motivazione emerga alcuna smentita ai fatti descritti, anzi

ribadendosi la loro storica ricorrenza. Quanto infine alla questione dei

rapporti tra confisca e sentenza di prescrizione, affrontata dalla sentenza

Lucci, citata dalla difesa, che sostiene la sostanziale affinità tra la confisca

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di prevenzione e la confisca diretta di cui all’art. 322 ter c.1 c.p., è evidente

l’infondatezza dell’assunto, essendo la confisca di cui all’art. 322 ter c.p.

immediatamente collegata ad un reato di cui il soggetto è stato ritenuto

responsabile, sicchè è istituto connotato da finalità meramente sanzionatorie,

laddove invece la confisca di prevenzione non può prescindere dalla

valutazione di pericolosità del soggetto ed ha per l’appunto finalità di

“prevenzione”, ossi impedire che un bene ottenuto con proventi di attività

delittuose continui ad operare nel circuito produttivo.

Proc n. (omissis) Procura Palmi: il delitto di utilizzazione di fatture

inesistenti veniva dichiarato prescritto, mentre il delitto di truffa finalizzata

all’indebito contributo AIMA veniva amnistiato, previa esclusione

dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p., in quanto era risultato che la

somma indebitamente percepita a titolo di contributo ammontava a soli

20.000,00 euro. La difesa ritiene che tale dato non possa non esplicare effetti

nel giudizio di prevenzione, soprattutto in relazione al nesso di

pertinenzialità che deve intercorrere tra ingiusto profitto e successivo

acquisto del bene, alla luce della sentenza di legittimità n. 4880/2015.

Rilevasi sul punto che un indebito contributo percepito di 20.000,00 euro

non può considerarsi irrilevante ai fini prevenzionali, dovendosi apprezzare

non la vicenda atomisticamente considerata, bensì quale anello di una

catena di processi analoghi nei quali l’(omissis) è stato coinvolto con i più

stretti congiunti, né comunque un profitto di 20.000,00 euro, che

successivamente produce l’effetto moltiplicatore tipicamente connesso

all’attività imprenditoriale, può considerarsi irrisorio, essendo anzi

dimostrativo di sociale pericolosità nella misura in cui comprova l’agire

delittuoso del soggetto nell’espletamento della sua attività. Di nessun rilievo

poi la qualifica formale di autotrasportatore del fratello rivestita

dall’(omissis) Vincenzo, essendo emersa a piene mani, dalla storia

imprenditoriale della famiglia (omissis), la cointeressenza economica di

tutti i più stretti congiunti, sicchè non può fondatamente sostenersi

l’ignoranza del proposto in relazione all’attività illecita posta in essere dal

germano, solo in virtù del ruolo formale all’epoca rivestito dallo stesso.

Quanto alla vicenda trattata dal Tribunale di Trani, si osserva che la

circostanza che la stessa si sia conclusa con l’archiviazione, alla luce del

tortuoso iter processuale registratosi, non impedisce di apprezzare in questa

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sede i fatti, che ancòra una volta non hanno ricevuto smentita sotto il profilo

del loro oggettivo verificarsi. Dalla stessa richiesta di archiviazione

presentata dal PM (allegata all’atto di gravame) emerge i nfatti che l’organo

di accusa, nel ripercorrere le vicissitudini delle contestazioni, prende atto

della maturazione del termine massimo di prescrizione in relazione a tutte le

ipotesi di reato ascritte e chiede pertanto l’archiviazione per tale causa,

laddove invece il GIP, utilizzando un modulo prestampato, afferma che “la

notizia di reato è infondata per le ragioni esposte dal PM nella sua richiesta

qui integralmente richiamata”. E’ evidente pertanto che la declaratoria di

infondatezza dell’accusa non è frutto di una valutazione autonoma del

decidente, che richiama integralmente le ragioni esposte dal PM, bensì

esclusivamente dell’erronea scelta di una casella inserita nel modulo

prestampato, poi adattato al caso concreto. In sostanza, quindi, la corretta

interpretazione degli atti fà sì che si configuri non una pronuncia liberatoria,

ma soltanto una presa d’atto del decorso del tempo e dello sviluppo

processuale carente che ha caratterizzato l’iter della vicenda. Peraltro, al di

là degli esiti del processo di merito, comunque i fatti emersi nelle indagini,

analiticamente riportati nel decreto impugnato, danno contezza, ancòra una

volta, del modus operandi illecito dell’(omissis) nella gestione della propria

impresa. Con tutta evidenza poi non può parlarsi di una “sospensione” della

pericolosità, in costanza di esecuzione dell’ordinanza custodiale, atteso che,

se è vero che nel corso di un periodo (omissis) non ha potuto esercitare

quell’attività attraverso la quale si è manifestata la sua sociale pericolosità,

è altrettanto vero che trattasi di un arco temporale che non appare

significativo nell’economia pluridecennale della valutazione e comunque è

altrettanto chiaro che per configurarsi la sociale pericolosità non è necessario

che il proposto debba agire illecitamente senza soluzione di continuità,

richiedendosi soltanto la configurazione di una condotta improntata

all’illecito, che caratterizza il percorso esistenziale del soggetto, senza che

ciò debba obbligatoriamente manifestarsi in ogni istante della sua esistenza.

Proc. n. (omissis) Procura Teramo: anche in tale ipotesi, sebbene

conclusasi con un’archiviazione, di cui dà atto lo stesso decreto impugnato,

è dato rilevare la ricorrente condotta addebitata ad (omissis) e (omissis),

consistente in un’attività di contrabbando di olio, con conseguente frode in

danno dell’Unione Europea. Tale emergenza quindi, contribuisce

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ulteriormente a lumeggiare, sia pure ad colorandum, per come ammesso del

primo giudice, lo stile di vita delittuoso cui l’ (omissis), ed i suoi stretti

congiunti, sembrano avere improntato la loro attività imprenditoriale.

Proc. n. (omissis) Procura Imperia: trattasi di una vicenda che ricalca

il medesimo clichè già emerso. Infatti, l’imputazione relativa alla falsa

fatturazione è stata dichiarata prescritta, con tutte le considerazioni che ne

conseguono, per come sopra già argomentato, non risultando rilevante

l’indicazione del numero delle fatture o del quantum di imposta evasa,

essendo sufficiente il mero dato della falsa fatturazione. Parimenti priva di

rilievo in senso favorevole al proposto, la concessa sospensione

condizionale della pena, per le ragioni sopra evidenziate. Nessuna discrasia

è rilevabile quindi con la sentenza di legittimità ric. Lupo, erroneamente

citata nel decreto impugnato, secondo quanto sostenuto nell’atto di gravame,

posto che non si tratta di riconoscere maggiore valenza ai dati risultanti in

fase di indagine rispetto all’esito del giudizio: si ribadisce, la circostanza

decisiva è che i fatti in questione, ossia le false fatturazioni, non siano

risultati smentiti nel giudizio penale di merito e tanto è sufficiente al fine di

una corretta utilizzazione degli stessi in questa sede.

Infine, per quanto attiene al proc. del 2010 originariamente pendente

a Palmi e poi transitato per competenza a Teramo, rilevasi ancòra una

volta che dalla stessa sentenza di primo grado versata dalla difesa nel corso

dell’udienza di secondo grado, emerge innanzitutto che imputati in quel

processo erano, oltre al proposto, anche il fratello (omissis) ed i figli,

(omissis), senza contare poi che alcuni capi d’imputazioni ipotizzano il

concorso anche di (omissis), deceduto, padre del proposto. Da notare poi

che, come per i giudizi in precedenza esaminati, nei confronti di (omissis) si

dichiarava la prescrizione per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, perché

si avvaleva di fatture per operazioni inesistenti, indicando, al fine di evadere

le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, nella dichiarazione annuale

2007 elementi passivi fittizi, nonché per il reato di cui all’art. 8 d. l.gs.

74/2000, perché, al fine di evasione delle imposte, emetteva fatture per

operazioni inesistenti nei confronti della (omissis) s.r.l., altra società di

famiglia. E’ evidente pertanto che alcuna efficacia liberatoria possiede detta

decisione n favore del proposto, per come asserito dalla difesa, risolvendosi

anzi la stessa in una presa d’atto del decorso del tempo, senza che siano

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smentiti in alcun modo i fatti di natura analoga a quelli già più volte emersi,

che avevano fondato l’esercizio dell’azione penale. La Corte quindi non può

che ribadire le argomentazioni già in precedenza sviluppate: la sentenza

prodotta infatti, dà atto (pag. 40) che “difetta nel caso di specie l’evidenza

della prova dell’estraneità degli imputati ai fatti-reati contestati, tenuto

conto delle testimonianze dei testimoni di polizia giudiziaria e della

documentazione versata negli atti del fascicolo per il dibattimento,

elementi questi che restituiscono indizi rappresentativi della fittizietà delle

fatture rilasciate dalle persone imputate emittenti, per le ragioni già

rassegnate con riguardo alle vicende più complesse riguardanti i

finanziamenti per i quali erano state emesse le fatture indicate” . Risulta

quindi con tutta evidenza che quel collegio ha esaminato nel merito

approfonditamente la vicenda processuale in oggetto e che, dovendosi

arrestare per il maturare della prescrizione, si è dovuto fare ricorso alla

formula tecnica del difetto di evidenza della prova dell’estraneità degli

imputati. Non è dato comprendere quindi alcuna ragione che possa impedire

di utilizzare le emergenze di quel giudizio ai fini della presente valutazione,

essendo risultati tutt’altro che smentiti i fatti oggetto delle contestazioni ivi

formulate.

Nè può contraddire le conclusioni raggiunte la circostanza che il mar.

(omissis), teste di p.g. operante, abbia dichiarato, dinanzi al Tribunale di

Teramo, di avere proceduto esclusivamente ad acquisizione documentale,

senza operare alcun accertamento sulla veridicità della consegna dei beni

oggetto di fatturazione. Si osserva infatti che detta modalità di indagine è

stata ritenuta sufficiente e conducente rispetto ai delitti contestati e che la

decisione adottata da quel collegio costituisce ormai cosa giudicata, per

come sottolineato dalla difesa nel corso dell’udienza camerale, sicchè non

può oggi svilirsi la testimonianza dell’operante ritenuta in sede di merito

elemento atto a fondare una valutazione di non estraneità degli imputati ai

fatti-reato loro ascritti. Se infatti anche le decisioni assolutorie possono

costituire patrimonio utilizzabile in sede di prevenzione, sarebbe alquanto

arduo sostenere che una pronuncia non liberatoria, quale quella dichiarativa

della prescrizione, non possa essere apprezzata in giudizi nei quali non viene

in rilievo la colpevolezza per un fatto-reato, bensì la condizione di

pericolosità o meno di un soggetto. In ogni caso, premessa l’esaustiva

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esposizione contenuta nel decreto impugnato, sopra riportato, dalla lettura

della testimonianza del teste di p.g. (omissis), resa dinanzi al Tribunale di

Teramo, allegata dalla difesa all’atto di gravame (all. 9), risulta che in

relazione alla società (omissis), la p.g. operante non si è limitata ad effettuare

esclusivamente acquisizioni documentali, come sostenuto dalla difesa, bensì

ha espletato due sopralluoghi, rilevando che il capannone dell’impresa non

era mai stato realizzato, ad eccezione delle fondamenta e dei pilastri

portanti (pag. 26 della trascrizione). Il teste quindi si diffonde nel riferire

sulle indagini espletate in relazione alle diverse società riconducibili alla

famiglia (omissis) , narrando del sistema della cd. somma navetta, (ad esempio

per la (omissis) si sono rilevate cospicue somme di denaro che figuravano

quali pagamenti di fatture, denaro che però rientrava successivamente come

aumento di capitale), nonché di un’ipotesi nella quale risultavano costi per

forniture di beni pari a circa 347.000,00 euro, mentre gli stessi beni

risultavano poi indicati nella fattura complessiva come imponibile per la

somma di 1.900.000,00 euro (pag. 45 trascrizione). Il teste (omissis)

ulteriormente precisava che la falsa fatturazione era stata rilevata

documentalmente da fatti quali quelli sin qui rammentati ed aggiungeva che,

ai sensi del d. l.vo 74/2000, la falsa fatturazione attiene a regole fiscali, può

essere anche parziale e non comporta necessariamente l’inesistenza fisica

dei beni fatturati, in quanto il bene può essere stato realmente fornito, ma

con un valore inferiore a quello fatturato, sicchè è sotto tale profilo che

l’operazione viene qualificata come inesistente, anche in considerazione

della somma navetta, che non trova giustificazione lecita, rammentando poi

il caso di macchinari che risulterebbero consegnati quando ancora erano in

produzione (pag. 64 della trascrizione).

A conclusione di quanto sin qui argomentato, quindi, la Corte non può

che condividere e ribadire la valutazione di sociale pericolosità operata dal

primo giudice: invero non si vede quale considerazione alternativa possa

essere sviluppata alla luce delle risultanze fattuali che hanno costellato

l’intera vita imprenditoriale di Oliveri Vincenzo e dei suoi più stretti

congiunti, con i quali vi erano cointeressenze societarie ben esposte, anche

visivamente, dal Tribunale. Non può essere infatti diversamente apprezzato

il sistematico ricorso a condotte fraudolente e di falsa fatturazione che ha

contraddistinto l’attività imprenditoriale del proposto, costellata da

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procedimenti penali che si sono conclusi talora con decisioni di

archiviazione e spesso con declaratorie di estinzione del reato per

prescrizione. Risulta individuato un metodo seriale, costante di false

fatturazioni e di fraudolenta percezione di agevolazioni pubbliche che, al di

là dell’esito processuale di merito (come detto non vincolante per il giudice

della prevenzione), dà conto di fatti storicamente avvenuti, chiaramente

emergente dagli atti di p.g., fatti che, come detto, i giudizi penali non hanno

in alcun modo escluso, dovendosi sovente attribuire le favorevoli

conclusioni processuali a motivazioni tecnico giuridiche piuttosto che a

carenze di prova dei fatti. La pericolosità sociale del proposto è dimostrata

oggettivamente dalle numerose vicende, tutte connotate dal medesimo

modus operandi, che hanno interessato (omissis) e i familiari, parimenti

inseriti nelle società del gruppo, vicende che hanno inizio pressochè

contestualmente all’inizio dell’attività imprenditoriale del proposto. Atteso

che l’attività illecita posta in essere nel corso dei decenni da (omissis) è

sicuramente configurabile come condotta delittuosa, deve

conseguentemente affermarsi che (omissis) sia stato un soggetto dedito a

traffici delittuosi e che da tali attività delittuose abbia tratto i proventi che

hanno contribuito al sostentamento ed allo sviluppo esponenziale delle sue

imprese, che hanno nel tempo raggiunto le notevolissime dimensioni ben

evincibili dal provvedimento gravato, giovandosi dell’apporto di risorse

illecitamente ottenute con le condotte delittuose sopra specificate. Alla luce

di tali emergenze, prive di pregio si appalesano le deduzioni difensive già

esaminate, così come la circostanza che altro procedimento trattato dal GIP

di Reggio Calabria e non indicato in decreto si sia concluso con

l’archiviazione o che non sia risultata provata la vicinanza degli (omissis)

alla cosca (omissis), pure ipotizzata, o l’intervenuto rigetto della proposta

nei confronti di (omissis) , o la circostanza che la Corte dei Conti abbia

rigettato la domanda di pagamento, in favore del Ministero dello Sviluppo

Economico, delle somme percepite in virtù delle agevolazioni concesse alle

aziende del gruppo (omissis) . Su tale ultimo dato, si osserva in particolare che

oggetto della valutazione della Corte dei Conti è la sussistenza di un danno

erariale, che nella specie, si è ritenuto di non dovere riconoscere per ragioni

soggettive e/o tecnico-giuridiche che nulla smentiscono rispetto ai fatti

storici in esame, ma sono esclusivamente frutto di considerazioni che

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caratterizzano eminentemente il giudizio contabile e che pertanto alcuna

influenza spiegano in questa sede. Quanto, poi, alle ulteriori deduzioni

difensive, le stesse appaiono prive di significazione: come detto il rigetto

della proposta nei confronti del fratello non esplica alcuna efficacia sul

presente giudizio, caratterizzato da una sua autonomia probatoria e

valutativa, inoltre la vicinanza alla cosca (omissis), proprio perché elemento

non utilizzato dal primo giudice, non può costituire dato da considerarsi e

l’ulteriore archiviazione che eventualmente l’(omissis) abbia guadagnato

non fà che aggiungersi alla serie di procedimenti che hanno interessato negli

anni il proposto, per violazioni della medesima natura. Si ribadisce: la

messe di elementi fattuali che hanno contraddistinto l’intero percorso

imprenditoriale di (omissis), quantomeno nell’arco del trentennio 1980-

2010, danno conto di una risalente pericolosità generica dello stesso,

dovendosi apprezzare complessivamente la medesima tipologia di vicende

giudiziarie nelle quali il proposto è stato negli anni coinvolto, sicchè

correttamente è stata ritenuta integrata l’ipotesi di cui agli artt. 1 e 4 lett. c)

d.lvo 159/2011, sulle medesime considerazioni, del tutto condivisibili,

sviluppate nelle valutazioni conclusive del Tribunale, da intendersi

integralmente richiamate.

Sulla proposta patrimoniale

Decreto impugnato

La valutazione del Tribunale. Fatte queste necessarie premesse di

ordine generale, occorre ora passare alla trattazione specifica delle richieste

avanzate dall’autorità proponente.

In primo luogo sarà definita la consistenza del patrimonio riconducibile

a (omissis) ed ai suoi stretti congiunti (omissis), con brevi informazioni sulle

compagini societarie, e successivamente ne verrà valutata la provenienza.

Preliminarmente, si osserva che la questione del vincolo di pertinenzialità temporale tra

le acquisizioni patrimoniali oggetto di proposta ed il requisito soggettivo della pericolosità

sociale, è facilmente superabile dal momento che, per come argomentato sul piano

personale, la pericolosità sociale sia pure generica del proposto abbraccia il suo intero

percorso imprenditoriale, dunque ricorre quella condizione esistenziale unitaria di

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pericolosità affermata dai più recenti arresti giurisprudenziali per cui la misura temporale

ricorre per tutti gli acquisti, le addizioni e gli incrementi patrimoniali oggetto di sequestro.

Ed infatti, sebbene l’accensione della partita IVA per l’esercizio dell’attività agricola

di colture olivicole risalga al luglio dell’anno 1981, anno in cui è costituita la Ditta

Individuale (omissis) con oggetto principale “produzione di olio di olive prevalentemente

di produzione non propria”, solo in data 2.1.1984 risulta ufficialmente avviata l’attività di

coltivazione di frutti oleosi (v. visura camerale della ditta individuale allegata alla relazione

degli amministratori giudiziari).

Come confermato dallo stesso consulente agronomo dr. (omissis) in sede di esame, su

cui si tornerà oltre, dal ‘78 all’83 le superfici agricole coltivate dal proposto erano

pochissime e il volume d’affari era sostanzialmente zero, mentre è dall’84 che “l’azienda

acquisisce una certa corposità a livello di terreno, perché prima le superfici agricole in

affitto sono minimali”: dunque l’ascesa imprenditoriale del proposto si può datare

esattamente negli anni 1984-1985, in perfetta corrispondenza temporale alla realizzazione

delle prime condotte illecite di false fatturazioni, diffusamente descritte nella trattazione

della parte personale della proposta.

4.2. Breve descrizione del compendio in sequestro.

Con la proposta è stata chiesta dall’ufficio proponente la confisca dei seguenti beni:

a) imprese e partecipazioni societarie:

1) Intero Patrimonio Aziendale della “Ditta Individuale (omissis)”

(P.Iva n. (omissis)), (compresi i conti correnti e gli immobili intestati

alla stessa), con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), con data di

inizio dell’attività di impresa il 1.7.1981 (Produzione di olio di oliva da

olive prevalentemente non di produzione propria Importanza).

Dalla visura camerale risulta quale data inizio della coltivazione di

frutti oleosi il 2.1.1984.

2) Quota di euro 7.000,00 (e corrispondente porzione del patrimonio

aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)

di proprietà di (omissis), nonché quota di euro 1.335,56 (e

corrispondente porzione del patrimonio aziendale) di proprietà di

(omissis)Spa, detenute nella “(omissis)Srl” (Cf.02239190800), con sede

in Gioia Tauro (RC), Via (omissis) avente per oggetto “la fabbricazione

di prodotti alimentari come gelati di qualsiasi tipo, pasticceria

surgelata, prodotti alimentari surgelati e conservati in genere …ecc.”,

acquistata il 25.9.2003;

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3) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis)Srl” in

Liquidazione (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE),

Via (omissis), avente per oggetto l’industria di produzione di olio di

oliva, di semi e di oli in genere e relativi sottoprodotti … ecc, con

Capitale Sociale di euro 377.400,00 così suddiviso: (omissis) quota

sociale € 339.660,00 pari al 90 % del capitale sociale; (omissis) quota

sociale € 37.740,00 pari al 10 % del capitale sociale.

Per tale srl costituita nell’anno 1982 dai genitori del proposto,

(omissis), è stata reperita documentazione societaria solo a partire

dall’anno 1991, anno in cui la società trasferiva la sede dalla Provincia

di Reggio Calabria a quella di Teramo, rilevandosi dal verbale di

assemblea del 20.09.1991 che all’epoca il capitale sociale della (omissis)

Srl di lire 1.900.000.000 era suddiviso tra i soci: (omissis)e (omissis),

ciascuno per la quota di €.855.000.000, e (omissis) (moglie del proposto)

per la quota di €.190.000.000.

La ctu dr.ssa (omissis) ha accertato dall’esame del libro soci che il

proposto ha acquistato le quote della (omissis)per €.441.570,64 il 10

luglio 1990 e la moglie (omissis)in data 7.8.1991 al prezzo complessivo

di €.105.352,20.

Dall’anno 1998, a seguito di cessione delle quote da (omissis) a

(omissis), le quote societarie sono intestate per intero al proposto ed alla

moglie.

4) Quota di euro 5.000,00 e corrispondente porzione del patrimonio

aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)

di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)),

con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis), costituita con atto

del 16.11.2006, avente per oggetto “l’attività immobiliare in genere

nonché la gestione e l’acquisto di alberghi, motel, ostelli della gioventù,

rifugi di montagna, case per ferie e di riposo, ecc..”, con capitale Sociale

di euro 10.000,00 così suddiviso: (omissis): 50%; (omissis): 50%;

5)Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl”, (Cf.

(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis), avente

per oggetto “l’industria di produzione e confezionamento dell’olio di

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oliva e dell’olio di semi vari e relativi sottoprodotti… ecc”. La società,

costituita in data 05.12.2001, ha un Capitale Sociale di euro 10.500,00

con socio unico: (omissis);

6)Quota di euro 5.755.848,00 (e corrispondente porzione del

patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati

alla stessa) di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis)Spa” (Cf.

(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis), avente per

oggetto “ l'industria di produzione di olio di oliva, di semi e oli in genere

e relativi sottoprodotti… ecc.”, con Capitale Sociale di euro

12.929.140,00, suddiviso come segue: (omissis): 44,52%; (eredi)

(omissis): 4,97%; (omissis): 44,52%; (omissis) S.A.: 5,99%.

La (omissis) srl fu costituita con atto del 04.03.1987, con un capitale

Sociale iniziale di lire 20.000.000 sottoscritto da (omissis) (nominato

A.U.) e (omissis), per una quota rispettivamente di lire 8.000.000,

(omissis) per la quota di lire 1.000.000 ciascuna, e (omissis)per lire

2.000.000.

Nell’anno 1990, la (omissis)Srl deliberava l’aumento del Capitale

Sociale da lire 20.000.000 a lire 4.067.550.000 mediante il conferimento

nella citata società delle aziende agricole intestate ai soci

(omissis)(valutata in lire 305.000.000), (omissis)(valutata in lire

1.242.550.000) e (omissis)(valutata in lire 2.500.000.000, di cui lire

2.300.000 costituenti valore di stima di immobili acquistati dallo stesso

negli anni dal 1978 al 1981). Nell’anno 1991, la società (omissis)Srl

deliberava l’aumento del Capitale Sociale da lire 4.067.550.000 a lire

11.000.000.000, in parte mediante il conferimento in natura ed in parte

in denaro, con ingresso di due soci (omissis). Tra la data in cui è stato

deliberato l’aumento del Capitale Sociale (17.12.1991) e la data di

deposito dell’elenco soci (28.07.1994), la titolarità delle quote intestate

ai citati soggetti veniva trasferita ai fratelli (omissis): in particolare la

quota di (omissis) passa da lire 626.450.000 a lire 4.724.225.000 con un

incremento di lire 4.097.775.000, mentre la quota di (omissis), da lire

2.508.000.000 passa a lire 4.724.225.000 con un incremento di lire

2.216.225.000. Nell’anno 2000, la (omissis)Srl deliberava l’aumento del

Capitale Sociale da lire 11.000.000.000 a lire 20.000.000.000 mediante

l’emissione di nr.9.000.000 di quote del valore di lire 1.000 ciascuna,

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sottoscritte da (omissis) (ciascuno sottoscriveva nr.3.750.000 quote del

valore nominale di lire 3.750.000.000 versandola nelle casse sociali

mediante il prelievo della somma dal “conto futuro aumento di capitale)

e dalla (omissis) S.A. con sede in Lussemburgo, rappresentata nell’atto

dal procuratore speciale (omissis), nato a (omissis) il (omissis),

sottoscriveva le quote rimaste inoptate del valore nominale di lire

1.500.000.000 impegnandosi a versare la somma nelle casse sociali entro

5 giorni dalla data dell’atto. Con verbale di assemblea del 23.06.2000, la

società deliberava la conversione del Capitale Sociale in euro e la

trasformazione della forma giuridica da (omissis)Srl a (omissis)Spa.

Risalgono al 2001 i primi consistenti conferimenti della società

lussemburghese (omissis) SA..

La società detiene quote nominali pari ad € 4.000,00 del capitale

sociale dichiarato della società a responsabilità limitata (omissis) S.R.L.

e quote nominali pari ad € 8.314.956,00 del capitale sociale della società

a responsabilità limitata (omissis)S.R.L (che a sua volta detiene quote di

minoranza nella gruppo (omissis) srl e (omissis) srl, quest’ultima socio

di minoranza della (omissis) srl); quote nominali pari ad € 3.000,00 del

capitale sociale della società a responsabilità limitata (omissis)S.R.L. e

quote nominali pari ad € 3.000,00 del capitale sociale dichiarato della

società a responsabilità limitata (omissis) S.R.L.

7)Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.

(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis), avente

per oggetto “l'industria di produzione di olio di oliva e relativi

sottoprodotti …. ecc…”, con Capitale Sociale di euro 100.000,00 così

suddiviso: (omissis): 90% (90.000,00); (omissis): 10% (10.000,00). La

società è stata costituita in data 29.11.1990, per atto pubblico del Notaio

Dr. (omissis) numero di repertorio (omissis), tra i soci (omissis); alla data

del 28.07.1994 le quote in precedenza detenute da (omissis) (pari a

complessive lire 19.600.000), risultano trasferite a (omissis)per lire

10.000.000 e ad (omissis) per lire 9.600.000.

La società ha un Capitale Sociale di euro 100.000,00, che dall’ultimo

elenco soci depositato (29.03.2009), risulta così suddiviso: (omissis),

quota del 90% e (omissis) quota del 10%.

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In data 20/06/2008 ha aperto una unità operativa in Borgia (CZ)

relativa alla struttura alberghiera e di ristorazione denominata

“(omissis)”.

8)Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.

(omissis)), con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), costituita in data

12.12.1996, avente per oggetto “la fabbricazione e riparazione di

macchine per l'agricoltura e la silvicoltura in particolare ….. ecc…”,

con Capitale Sociale di euro 10.200,00 così suddiviso: (omissis): euro

8.466,00; (omissis): 1.734,00, ;

9) Intero Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli

immobili intestati alla stessa) della Ditta Individuale (omissis) (P.iva

(omissis)), avvio attività il 3.1.1996, con sede in Gioia Tauro (RC), Via

(omissis), esercente l’attività di “colture olivicole”;

10) Quota di euro 520,00, (e corrispondente porzione del patrimonio

aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)

di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl”

(Cf.01055290801), costituita nel 1988, con sede in Gioia Tauro (RC), Via

Roma, avente per oggetto “ la coltivazione di fondi rustici e

l’allevamento di animali, lavorazione industriale dei prodotti della terra

e dell’allevamento, le colture protette, la sperimentazione di piante

tropicali, la floricultura, l’agriturismo ed ogni altra attività

complementare e similare”.. ecc..”, con Capitale Sociale di euro

10.400,00 così suddiviso: (omissis):5% (520,00); (omissis): 45%

(4.680,00); (omissis): 25% (2.600,00); (omissis): 25% (2.600,00);

11) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.

(omissis)), costituita con atto del 11.02.2002 con sede in Mosciano S.

Angelo (TE), Via (omissis), avente per oggetto sociale “L'esercizio

dell'attività alberghiera, della ristorazione e delle attività comunque ad

esse annesse e connesse… ecc…” con Capitale Sociale di euro 10.000,00

così suddiviso: (omissis):50% (5.000,00); (omissis): 50% (5.000,00);

12) Intero Patrimonio (compresi i conti correnti e gli immobili

intestati alla stessa) dell’ Azienda Agricola (omissis) (P.iva (omissis)),

con sede in Giulianova (TE), Via (omissis), esercente l’attività di

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“colture olivicole” e con unità locale sita nel Comune di Borgia (CZ),

(omissis), adibita a deposito di carburante per uso agricolo;

13) Quota del 23% del Capitale Sociale di proprietà di (omissis) e

corrispondente parte del Patrimonio Aziendale (compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.

(omissis)), costituita in data 25.09.2003 con sede in Mosciano

Sant’Angelo (TE), (omissis), avente per oggetto “l'acquisto di

stabilimenti esistenti …. la costruzione di opifici …. la raffinazione di

oli di oliva e qualsiasi altro tipo per uso alimentare … ecc…”, con

Capitale Sociale di euro 10.000,00 così suddiviso: (omissis):77%

(7.700,00); (omissis): 23%(2.300,00);

14) Quota corrispondente al 23% di euro 4.900,00 (e corrispondente

porzione del patrimonio aziendale compresi i conti correnti e gli

immobili), di proprietà della (omissis)Srl, detenuta nella (omissis) Srl

(Cf. (omissis)), con sede in Ravenna, Via (omissis), esercente l’attività

di “la realizzazione, la gestione, la manutenzione di un parco eolico sito

in Borgia (CZ), e la vendita dell’energia elettrica prodotta dallo

stesso…ecc.”, con Capitale Sociale di euro 10.000,00 così suddiviso:

(omissis) Srl:49% (4.900,00); (omissis) (Cf. (omissis)): 51% (5.100,00);

15) Quota di euro 2.400,00 di proprietà di (omissis), quota di euro

2.300,00 di proprietà di (omissis), nonché quota di euro 1.335,56 (il tutto

con le corrispondenti porzioni del patrimonio aziendale, compresi i

conti correnti e gli immobili intestati alla stessa) di proprietà della

(omissis) Spa, detenute nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), costituita in

data 25.09.2003 con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis),

avente per oggetto “la costruzione di impianti industriali, elettrici e/o

commerciali, pubblici e privati, realizzati chiavi in mano”, con Capitale

Sociale di euro 10.000,00 suddiviso tra i soci come segue: (omissis): 24%;

(omissis): 23%; P.A.C. Spa: 30%; (omissis): 23%;

16) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (e

corrispondente porzione del patrimonio aziendale, compresi i conti

correnti e gli immobili intestati alla stessa) della (omissis) Srl (Cf.

(omissis)), costituita in data 30.05.2006, con sede a Gioia Tauro (RC),

Via (omissis), avente per oggetto l'attività immobiliare ed edilizia ….. la

gestione di aziende agricole, agrituristiche ed alberghiere… ecc.”, con

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Capitale Sociale di 10.000,00 così suddiviso: (omissis): 50% (5.000,00);

(omissis): 50% (5.000,00);

17) Quota di minoranza corrispondente a lire 9.600.000 (e relativa

porzione del patrimonio aziendale) di proprietà di (omissis), detenuta

nella “(omissis) Sas, di (omissis)” (Cf. (omissis)), con sede in Giulianova

(TE), (omissis), avente per oggetto “l’attività di autolavaggio servito e

self-service e la somministrazione di alimenti e bevande”, con Capitale

Sociale di lire 40.000.000 così suddiviso: (omissis), nato a (omissis), il

(omissis) - Socio Accomandatario (19.600.000); (omissis), nato a

(omissis), il (omissis)– Socio Accomandante (9.600.000); (omissis), nato

a Gioia Tauro, il 05.08.1981 – Socio Accomandante (9.600.000); (eredi)

OLIVERI Matteo Giuseppe, nato a Melicuccà il 08.06.1928 (omissis)–

Socio Accomandante (1.200.000);

18) Intero Patrimonio, compresi i conti correnti e gli immobili

intestati alla stessa, dell’Azienda Agricola OLIVERI Giovanni (P.iva

02384680803), con sede in Giulianova (TE), Via Retta nr.2/A, esercente

l’attività di “coltivazione di semi oleosi”;

19) Quota di euro 169.732,50 (e corrispondente porzione del

patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati

alla stessa) di proprietà della (omissis) Srl, detenuta nella “(omissis) Srl”

(Cf. (omissis)), con sede in Giulianova (TE), Via (omissis), avente un

Capitale Sociale di euro 1.525.000,00 suddiviso come segue: (omissis)

Srl: 50% (762.500,00); (omissis): 50% (762.500,00);

20) Quota di euro 3.746.338,41 (e corrispondente porzione del

patrimonio aziendale) di proprietà della (omissis) Spa, detenuta nella

“(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE),

(omissis), avente un Capitale Sociale di euro 8.314.956,00 così suddiviso:

(omissis) Srl 100% (8.314.956,00);

21)Quota di euro 1.780.800,00 (e corrispondente porzione del

patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati

alla stessa) di proprietà della (omissis)Spa, detenuta nella “(omissis)Srl”

(Cf.(omissis)), con sede in Gioia Tauro (RC), Strada Statale 111, nr.210,

avente un Capitale Sociale di euro 4.000.000,00, così suddiviso:

(omissis)Srl 100%(4.000.000,00);

22) Quota di euro 44.520,00 (e corrispondente porzione del

patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati

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alla stessa) di proprietà della SIAL 2 Srl, detenuta nella “(omissis) Srl”

(Cf.(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis), con

Capitale Sociale di euro 100.000,00, così suddiviso: (omissis) Srl

100% (100.000,00);

23) Quota di euro 1.076.493,60 (e corrispondente porzione del

patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati

alla stessa) di proprietà della (omissis) Srl, detenuta nella “(omissis)

Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis),

avente un Capitale Sociale di euro 4.836.000,00 così suddiviso:

(omissis) Srl (2.418.000,00); (omissis) (2.418.000,00).

b)immobili

- unità immobiliari site in Gioia Tauro (RC), (omissis), censito

(omissis), conferiti da (omissis)nel fondo patrimoniale familiare [Cfr.

Nota di trascrizione nr.(omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

- unità immobiliarie sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), censito

(omissis) conferito da (omissis)nel fondo patrimoniale familiare [Cfr.

Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

- terreni, di natura uliveto, siti in Melicuccà, (omissis) conferiti da

(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione

nr.(omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

-terreno sito in località Morrone del Comune di Gioia Tauro,

(omissis), conferito da (omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr.

Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.

di Reggio Calabria)];

-terreni agricoli, siti in Melicuccà (RC), (omissis)conferiti da

(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione

nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio

Calabria)];

-fabbricati rurali, siti in Melicuccà (RC), (omissis), conferiti da

(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione

nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio

Calabria)];

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- fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), di proprietà di

(omissis) (omissis) [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del

28.12.2007 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

-terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di (omissis)

[Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 06.08.2009 (Uff.

Prov. di Reggio Calabria)];

36) terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis), di proprietà di

(omissis) [Cfr. Nota di trascrizione nr.(omissis) Reg. Part. del

06.08.2009 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

- fabbricato, sito in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di

(omissis) [Cfr. Nota di trascrizione nr.(omissis) Reg. Part. del

03.05.2002 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

-fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), conferito da

(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione

nr.(omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];

Osservava il Tribunale con il decreto di sequestro relativamente agli

immobili vincolati: “Senz’altro tutte le acquisizioni effettuate

dall’(omissis) quantomeno dopo il 1983 – anno in cui è accertato il primo

fatto relativo al massiccio utilizzo di fatture per operazioni inesistenti,

nell’ambito del proc. pen. n. (omissis)RGNR Procura della Repubblica di

Palmi, concluso in primo grado con sentenza di condanna (n. (omissis)del

Tribunale di Palmi) – sono state effettuate con i proventi dell’illecita

attività, e vanno dunque sottoposte a sequestro: trattasi dei terreni siti in

Melicuccà, (omissis), elencati nelle conclusioni della proposta, par. 6.b) ai

nn. da 22 a 25, il cui acquisto risale al 2002.

A ben vedere, peraltro, anche le unità immobiliari edificate in Gioia

Tauro, (omissis)(cfr. proposta, par. 6.b, nn. da 1 a 18), su terreno

acquistato dal proposto nel 1982, rappresentano il risultato delle opere di

costruzione, poste in essere nel 1991 e nel 2001, con il sicuro afflusso del

denaro di illecita provenienza.

Più in generale, con riferimento alle acquisizioni antecedenti il 1983 -

compreso quindi il locale terraneo e seminterrato, (omissis), acquistato nel

1981 (par. 6.b, n. 21 della proposta) - è a dirsi che esse sono state effettuate

in anni in cui il reddito e le complessive entrate del nucleo familiare erano

pari a zero (1982), ovvero erano appena sufficienti a coprire le spese

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familiari ed i debiti accumulati negli anni precedenti (1981: v. supra,

tabella riepilogativa).

Pertanto, vanno sottoposti a sequestro tutti gli immobili, conferiti dal

proposto nel fondo patrimoniale familiare, meglio indicati ai nn. da 1 a

25, par. 6.b della proposta, con esclusione di quelli portati dai nn. 19 e 20:

questi ultimi invero sono stati acquistati il 14.8.1978, prima del

matrimonio dell’(omissis), senza che nulla risulti in ordine alle

complessive possibilità economiche dell’originario nucleo familiare, in cui

era allora inserito il proposto.

Deve inoltre essere accolta la richiesta di sequestro degli immobili di

proprietà della moglie e dei figli del proposto, in relazione ai quali vale la

presunzione di disponibilità in capo al proposto, e trattandosi comunque

di acquisti intervenuti in periodi in cui i formali titolari non avevano le

capacità economiche necessarie”.

- beni mobili registrati, titoli e rapporti finanziari intestati al proposto,

alla moglie ed ai figli.

4.3. La disponibilità dei beni in capo al proposto.

Va preliminarmente evidenziato che devono ritenersi nella sicura

disponibilità del proposto non solo l’omonima impresa individuale, le

partecipazioni societarie, gli immobili ed i rapporti finanziari direttamente

intestati ad (omissis)ma anche i beni già sequestrati e riferibili alla moglie

(omissis)e i loro due figli (omissis).

Ribadito che la disponibilità dei beni oggetto di confisca in capo al

proposto non è riconducibile esclusivamente ad una relazione naturalistica

o di fatto con il bene, ma altresì, a tutte le situazioni nelle quali il bene ricade

nella signoria e nella sfera degli interessi economici del proposto, come si è

detto sopra, lo statuto dimostrativo del requisito di disponibilità dei beni in

capo al proposto è diversificato per le ipotesi in cui i beni siano intestati a

soggetti che fanno parte del nucleo familiare e quelli che possono definirsi

terzi in senso stretto.

Per la prima categoria, che include il coniuge, i figli ed i conviventi del

proposto nel quinquennio, devono essere sempre disposte le indagini, ai

sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 19, comma 3 (già

dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 - bis, comma 3), in quanto il rapporto esistente

tra detti terzi ed il proposto costituisce, pur fuori dei casi delle specifiche

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presunzioni di cui al comma 2 dell’art. 26 citato, circostanza di fatto

significativa, con elevata probabilità, della apparente formale disponibilità

giuridica e dunque della fittizietà della intestazione in capo alle persone di

maggior fiducia dei beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita

provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente

titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica.

A fronte della presunzione di diretta o indiretta disponibilità in capo al proposto, era

onere dei terzi interessati introdurre concreti elementi di prova indiziaria di segno contrario

idonei a superare gli effetti di quella presunzione per sottrarre i beni ad essi formalmente

intestati alla confisca (così, da ultimo, Sez. 1, n. 39799 del 20/10/2010, Sez. 1, Sentenza n.

17743 del 07/03/2014): tale prova contraria è mancata, non bastando a superare la

presunzione di cui all’art.19 comma 3 del D.lGs.159/2011 la documentazione prodotta dalla

difesa dei terzi interessati.

Del resto, è evidente che il protagonismo imprenditoriale del proposto si

è proiettato naturalmente sulle posizioni economiche della moglie e dei figli

i quali, a fronte dell'accertato ruolo gregario e subalterno nella formazione e

gestione del patrimonio familiare (ben evidenziato nella stessa ordinanza del

Gip di Palmi in ordine alle vicende dell’(omissis), che ha qualificato i figli

“mere teste di legno” del padre), presentano la titolarità di beni mobili e

immobili che sono rimasti senza adeguata giustificazione.

Di qui la naturale e logica qualificazione di questo diffuso protagonismo

della moglie e dei figli nel mondo immobiliare, nelle partecipazioni

societarie, nei depositi bancari, come apparente e come strumento elusivo e

difensivo rispetto all'intervento espropriativo dello Stato.

Tale posizione non è certamente smentita dalla presenza degli stretti

congiunti in alcuni dei motori del meccanismo economico facente capo al

proposto: questo inserimento è naturalmente dovuto all'esperienza

conseguita grazie alla strategia imprenditoriale del capo famiglia.

Ciò posto, gli elementi offerti alla valutazione del Collegio non

consentono dunque di superare, la presunzione posta dall’art. 19, comma

terzo, del d. lgs. n. 159/2011 e dunque il giudizio di disponibilità in capo ad

(omissis).

In particolare, a fronte dei redditi inesistenti o esigui risultanti presso la Banca Dati

dell’Anagrafe Tributaria della moglie e figli del proposto negli anni in cui operano i primi

atti di acquisto di quote societarie ed immobili ad essi formalmente intestati, tali da non

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giustificare la disponibilità degli esborsi dichiarati come prezzo di acquisto (ad esempio, la

moglie (omissis)acquisisce nel 1988 – in assenza totale di redditi – il 36% delle quote della

società (omissis), con un investimento di £. 7.200.000; nel 1991, sempre in totale assenza

di redditi dichiarati, diventa socia di (omissis) s.r.l. , cui partecipa con una quota pari a £.

190.000.000; nel 1996 fonda la propria impresa agricola individuale e nel 2003, in presenza

di redditi dichiarati per poche migliaia di euro, effettua investimenti nella (omissis)s.r.l.-

costituita nel 2002 - per euro 460.000,00), non sono stati offerti dai terzi elementi di prova

contraria della esistenza di altri redditi o entrate proprie lecite sufficienti a finanziare quegli

acquisti.

4.4. La provenienza illecita del compendio sequestrato: l’attività d’impresa

intrinsecamente illecita.

Quanto illustrato sul piano della pericolosità sociale deve costituire da premessa per la

cognizione e valutazione del materiale posto a fondamento della proposta patrimoniale.

Ritiene il Collegio che, sulla scorta delle risultanze istruttorie, possa dirsi raggiunta la

prova secondo la statuto proprio del giudizio di prevenzione che la crescita esponenziale

dell’attività imprenditoriale del proposto e l’accumulo di ricchezze da parte di quest’ultimo

e dei suoi stretti congiunti (moglie e figli) sia stata concretamente agevolata nell’avvio ma

soprattutto nell’espansione dal ricorso sistematico a pratiche imprenditoriali illecite

diversificate ben descritte nella parte personale, dalla frodi fiscali alle frodi comunitarie,

attraverso il contrabbando di olio di provenienza extracomunitaria e l’adulterazione del

prodotto venduto, e fino alle truffe finalizzate alla indebita percezione di contributi ex L.

488/92, sicchè l’imponente patrimonio sequestrato può ritenersi “il frutto o reimpiego di

proventi di attività illecite” in quanto direttamente ricollegabile (anche quale

reinvestimento della frazione alla accertata e risalente pericolosità sociale generica

strettamente connessa alla sua attività imprenditoriale intensificatasi negli anni.

Il ricorso alle condotte illecite ricostruite nella parte constatativa del giudizio di

pericolosità sociale rappresenta l’espressione di un modus operandi che ha caratterizzato la

complessiva strategia di impresa del proposto ed ha avuto un ruolo strategico (e certamente

non marginale data la sistematicità) nella affermazione ed espansione delle ditte e società

riconducibili al proposto ed ai suoi stretti congiunti che, grazie alle operazioni illecite

dispiegate, hanno potuto realizzare reddito e non tanto sopravvivere nel mercato ma

raggiungere una posizione di preminenza a livello nazionale penetrando nel mercato

dell’olio ed inquinandolo fin nel fondamento della libera concorrenza, come evidenziato

dal Gip nell’OCC resa nel procedimento di Trani.

L’attività imprenditoriale di per sé lecita, quanto all’oggetto, ha rivelato una natura

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illecita per l’utilizzo sistematico della frode fiscale e comunitaria per la cui consumazione

il proposto ha strumentalmente utilizzato secondo l’occorrenza le sue ditte e le società a lui

riconducibili anche tramite i suoi familiari.

Si tratta di una conclusione fondata su un quadro probatorio solido e concludente, in

ragione della forte valenza indiziaria degli elementi tratti dai procedimenti penali intentati

a suo carico, anche laddove conclusisi con l'archiviazione o con sentenza di non luogo a

procedere per prescrizione, dovendo ribadirsi che tali esiti non sono mai conseguiti

all'accertamento negativo della sussistenza dei fatti ovvero dell'estraneità del proposto agli

stessi.

Le vicende giudiziarie che lo hanno riguardato, lette in coordinamento tra di loro e

valutate alla luce dei più recenti fatti oggetto della OCC emessa dal Gip di Palmi per cui il

proposto è stato rinviato a giudizio anche davanti al Tribunale di Teramo, sono pienamente

sintomatiche della sua costante ed inarrestabile dedizione a traffici delittuosi.

L’attività di impresa del proposto è, dunque, da sempre strutturalmente illecita per il

metodo di affermazione e di espansione non rientrante nella normale economia di mercato,

sicchè le stesse imprese ed i beni mobili, immobili e societari acquistati con le risorse dalla

stessa generati si configurano inequivocamente come frutto o reimpiego di attività illecite,

e come tali vanno confiscati.

E’ rimasta una mera allegazione non supportata da dati documentali né ragionevoli

quella della provenienza paterna delle risorse finanziarie con cui il proposto ha compiuto i

primi acquisti immobiliari dall’anno 1978 (di costituzione autonoma del suo nucleo

familiare) ed avviato la sua attività di impresa nel settore olivicolo, mancando riscontri in

ordine alle dimensioni anche economiche e di fatturato dell’impresa del padre ed al grado

di caratterizzazione della stessa.

In sostanza, i dati certi da cui si deve partire sono quelli tratti dalla ricostruzione dei

fatti operata nella parte personale dalla cui lettura emerge che:

- l’(omissis) è un imprenditore con “spiccata” professionalità nel mercato

oleario di Gioia Tauro dove inizia ad operare con proprie imprese dagli inizi

degli anni ’80, assumendo via via il ruolo di protagonista nel mercato

nazionale, incrementando il profitto della lecita attività imprenditoriale

svolta sotto forma di ditta individuale prima e societaria poi mediante

espedienti contrastanti con la legge consistenti nel ricorso sistematico alla

emissione e/o utilizzo di fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti

grazie alle quali ha conseguito o fatto conseguire ad altre società del gruppo

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significativi indebiti risparmi di imposta e lucrato contributi pubblici, con

reiterato intreccio di lecito ed illecito;

-la principale fonte di sostentamento del proposto e del suo nucleo

familiare sono le imprese olearie in cui lo stesso è titolare, socio e/o

amministratore;

-le principali imprese del gruppo, partecipate dal proposto e dai suoi stretti congiunti

(moglie e due figli), sono imprese strutturalmente illecite, perché permeate di un’agire

imprenditoriale evidentemente illegale, culminato nelle vicende del processo attualmente

pendente a Teramo.

Ed infatti, non c’è una sola ditta o società riconducibile al proposto tra quelle avviate

nel settore oleario tra gli anni ’80 e ’90 (ma anche dopo) che non sia stata oggetto di

procedimenti penali per fatti illeciti della stessa natura connessi all’esercizio dell’attività di

impresa, basti rinviare quanto alla ditta individuale omonima ed alla (omissis) srl agli esiti

delle indagini delle Procure di Palmi e Trani ma anche di Imperia sopra ricostruiti.

Dagli accertamenti condotti dalla Gdf abruzzese confluiti nel procedimento penale

nr.690/97 RGNR presso la Procura di Teramo, sopra richiamato, emerge il dato per cui il

vorticoso intreccio finanziario tra le società del gruppo grazie al quale si sono realizzate più

di recente anche le truffe ex l. 488/92 oggetto del procedimento in corso a Teramo era stato

progettato e realizzato dal proposto fin dai primi anni ’90, costituendo le ditte e società del

gruppo strumenti di un meccanismo illecito funzionale alla realizzazione di profitti illeciti,

sia in termini di risparmio di imposta, e dunque di evasione fiscale, sia di percezione di

indebiti aiuti comunitari.

In tale contesto, ben si comprende la necessità per gli (omissis) –che come si è visto

agivano in assoluta sinergia con le varie società del gruppo moltiplicando i meccanismi

fraudolenti abilmente ideati e creando un’apparenza di liceità attraverso fittizi traffici

commerciali- di creare un meccanismo di copertura di movimentazioni di denaro di sospetta

provenienza utile a giustificare, a posteriori, esborsi non proporzionati alle proprie capacità

economiche apparenti, mediante l’acquisto nell’anno 2000 della società lussemburghese

(omissis)S.a. che risulta essere socio per il 5,99% dalla (omissis) Spa, ossia della cassaforte

immobiliare del Gruppo.

Ed infatti, degli atti della rogatoria compiuta dalla Procura di Palmi (confluiti nel

fascicolo del dibattimento in corso a Teramo) acquisiti in corso di istruttoria risulta il dato

certo della costituzione della (omissis) ad opera di (omissis), padre del proposto.

Non può certo sfuggire l’anomalia di tale operazione societaria già sospetta per il solo

fatto di essere avvenuta in un paese a fiscalità agevolata ed il cui ordinamento non garantisce

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la trasparenza della costituzione, della situazione patrimoniale e finanziaria e della gestione

delle società (basti pensare che la (omissis)S.a. è una Società di partecipazione finanziaria,

c.d. (omissis)., amministrata a mero titolo fiduciario, da 3 persone fisiche di nazionalità

italiana che amministrano altre 45 (omissis) con sede nel medesimo ufficio in

Lussemburgo), vieppiù se si considera che già nella vicenda di Trani dei primi anni ’90 era

emersa la tendenza del proposto a far confluire all’estero i proventi della propria attività

illecita in paesi a fiscalità agevolata che garantivano l’anonimato all’investitore (si richiama

la vicenda del conto (omissis) del (omissis)).

Dunque, quella che era una ragionevole ipotesi iniziale dell’organo proponente (che

imputava i finanziamenti dalla (omissis) alla (omissis)al proposto in misura proporzionale

alla sua quota di partecipazione nella società finanziata) ha ricevuto l’avallo negli esiti della

rogatoria, tra cui le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio condotto dal P.M. di Palmi

dall’amministratore della predetta società lussemburghese, (omissis), non smentite dalla

difesa che sul punto nulla ha dedotto. Il predetto ha dichiarato di avere conosciuto

(omissis)ed il figlio (omissis), ma anche altre due o tre persone della società di cui non

ricordava i nomi, e che i fondi che dalla (omissis)pervenivano alla (omissis) derivavano da

giacenze personali della “(omissis)” che erano versate su un conto acceso presso la banca

Antonveneta del Lussemburgo intestato alla società panamense (omissis) Ltd che poi le

bonificava alla (omissis), aggiungendo che nel 2006 –intervenuta la modifica della

normativa italiana per cui i redditi delle Holding del 1929, quale la (omissis), sono tassati

in Italia- si decise di cambiare la natura fiscale della società lussemburghese in Società di

partecipazione finanziaria, c.d. (omissis).

Orbene, il dato della materiale costituzione della società da parte del padre (omissis),

letto unitamente a quello inconfutabilmente emerso dai procedimenti penali che hanno

coinvolto per un trentennio gli (omissis) (padre e figli), ossia l’agire imprenditoriale illecito

in forma associativa grazie al quale è stato realizzato un avido ed ambizioso progetto

criminale su vasta scala culminato nelle recenti vicende oggetto del processo attualmente

pendente a Teramo, consente di affermare il nesso di derivazione dei finanziamenti e

versamenti della (omissis) alla (omissis) da disponibilità dei tre componenti del gruppo

(omissis).

In sostanza, l’evidente ruolo centrale e determinante per la genesi, la crescita e lo

sviluppo del gruppo imprenditoriale criminale che hanno svolto (omissis), attraverso le

varie persone giuridiche in cui il sodalizio è venuto ad articolarsi ed ha espresso negli anni

la sua azione imprenditoriale unitaria caratterizzata da sistematici e costanti reimpieghi

nelle società stesse dei proventi delle attività illecite messe in atto nello svolgimento

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dell’impresa, conduce a ritenere che unica sia sempre stata la “cassa” a disposizione della

“famiglia (omissis)” per cui ogni investimento è stato partecipato in eguale misura dai suoi

tre componenti che così hanno beneficiato degli “utili” del comune, condiviso e pervicace

piano delinquenziale.

La considerazione che precede è rafforzata dallo stesso organigramma del gruppo sopra

illustrato da cui ben si evidenzia l’equilibrata distribuzione del patrimonio societario tra i

due fratelli (omissis), mentre la partecipazione del padre funge da anello di

congiunzione/ago della bilancia tra le diverse società equamente ripartite tra i due figli, oltre

ad essere ben fotografata dallo stesso perito dr.ssa (omissis) che –come vedremo- ha rilevato

un significativo numero di operazioni finanziarie in entrata ed in uscita, anche nel

medesimo giorno, condotte dal proposto e dai suoi familiari e coinvolgenti altre persone

fisiche e giuridiche collegate dall’appartenenza al medesimo gruppo (omissis), ma anche

dalle stesse partite di giro registrate nella vicenda giudiziaria di Teramo.

Tirando le fila del ragionamento illustrato sulla scorta delle risultanze dei procedimenti

penali a carico del proposto, ritiene il Collegio che le frodi non siano semplici accidenti in

una storia imprenditoriale limpida ma aspetti essenziali, altamente connotativi, di una

strategia imprenditoriale illecita, generalizzata e costantemente adottata, di tal chè va

esclusa la marginale incidenza sul complessivo assetto aziendale dei frutti del metodo

illecito che hanno irreversibilmente contaminato il complessivo sistema economico ed

imprenditoriale costituito dalle società e ditte del proposto.

Così come si parla d’impresa mafiosa, in cui nel complesso aziendale

non si può scindere tra eventuali “componenti sane”, riferibili a capacità e

lecita iniziativa imprenditoriale ed apporto di capitali illeciti, così avviene

per l’impresa dell’evasore fiscale abituale ed in genere del soggetto

pericoloso perché dedito a traffici delittuosi o che vive col provento, anche

in parte, di delitti posti in essere nell’esercizio dell’attività di impresa, con

condotte prolungate e reiterate di non agevole scoperta da parte degli organi

dello Stato (quali ad esempio, false fatturazioni, truffe, associazioni per

delinquere finalizzate alla commissione dei citati reati) tali da evidenziare

una strategia illecita di esercizio per effetto della quale si realizza un

fenomeno di inquinamento dei profitti dell’attività di tipo commerciale

stessa quale effetto del reinvestimento della frazione imputabile alle

pregresse attività illecite.

E’ noto che, sulla base di un insegnamento di legittimità costante e

condiviso, la confisca di prevenzione di un complesso aziendale non può

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essere disposta solo con riferimento alla quota ideale riconducibile

all'utilizzo di risorse illecite, non potendosi distinguere, in ragione del

carattere unitario del bene, l'apporto di componenti lecite riferibili alla

capacità e alla iniziativa imprenditoriale da quello imputabile ai mezzi

illeciti, specie quando il consolidamento e l'espansione dell'attività

economica siano stati sin dall'inizio agevolati dall'agire imprenditoriale

illecito (da ultimo Sentenza n. 16311 del 23/01/2014; ma anche Sez. 5 n.

17988 del 30/01/2009, n. 5640 dell'8.2.2007), salvo siano offerti dalla difesa

affidabili elementi dimostrativi atti a consentire una tale indagine selettiva,

prova nella specie mancata.

L’azienda è, infatti, il risultato combinato di capitali, beni strumentali, forza lavoro ed

altre componenti, giuridicamente inglobati ed accomunati nel perseguimento del fine

rappresentato dall'esercizio dell'impresa (art. 2555 c.c.). Nell'insieme unitario costituente

autonoma realtà economico-sociale rispetto alle sue componenti, proprio perché i vari

fattori interagiscono finalisticamente e si integrano vicendevolmente dando luogo ad

un'entità autonoma, non è possibile discernere l'apporto riferibile a componenti illecite da

altre.

In altri termini, l’azienda funzionale all’esercizio di un’attività

d’impresa con sistematico ricorso alla frode è, per intero, frutto di attività

illecita, perché, senza il metodo illecito che la anima non avrebbe

raggiunto le sue dimensioni attuali.

Le entrate accumulate nell'esercizio dell'attività avvenuto con

pratiche illecite e reimpiegate per lo sviluppo aziendale, dunque,

assumono connotazioni di illiceità cd. derivata che ne condiziona

irrimediabilmente la natura.

Al di là dell'impossibilità pratica di individuare soprattutto in caso di

lunghi periodi i flussi di ricchezza imputabili all’attività illecita confiscabili

e quota lecita, è evidente, per legge economica, che le attività lecite del

proposto ed il patrimonio dallo stesso accumulato nell’arco temporale

trentennale di manifestazione della sua pericolosità non sarebbero state le

stesse ove vi fosse stato impiego di capitali minori, ossia solo quelli leciti:

dunque l'inquinamento, per definizione e per legge logico-economica, non

può non essere omnipervasivo e travolgente (Corte di cassazione, sez. II

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penale - sentenza 25 marzo 2015, n.12638; v. anche Cass. Penale 2009

n.17229)1.

Tale ragionamento è valido anche nel caso di inquinamento del mercato

e assicurazione di quote di mercato da parte di imprese apparentemente

lecite, ma inquinate ora nell’avvio, che avviene utilizzando profitti illeciti

conseguenti a precedenti condotte criminali nello stesso settore (evasione

fiscale, bancarotta, etc.), ora nell’ordinaria attività imprenditoriale in cui si

opera la sistematica evasione fiscale attraverso false dichiarazioni, false

fatture con crediti IVA, ma anche contributiva, nonché mediante la

creazione di artifici grazie ai quali si conseguono indebiti contributi.

Dalla qualificazione dell’attività di impresa del proposto come intrinsecamente illecita

consegue che anche le entrate progressivamente reimpiegate per l'ulteriore sviluppo

aziendale debbano ritenersi connotate da quella illiceità che l’art.24 del D.Lgs.159/2011

intende colpire attraverso la confisca dei beni di provenienza illecita.

1 A tale riguardo, va richiamata la recente pronuncia della Sezioni Unite (sent. 29 maggio 2014 n.33451) della Suprema Corte che -confermando l'orientamento sino ad oggi seguito dalla giurisprudenza prevalente- hanno escluso che, ai fini dell'applicabilità della confisca di prevenzione, il destinatario della misura possa giustificare la disponibilità di beni in valore sproporzionato al proprio reddito allegando proventi non dichiarati al fisco, ciò in quanto i proventi dell'evasione fiscale non possono essere considerati proventi leciti perchè «sicuramente l'evasione fiscale integra ex se attività illecita (contra legem) anche qualora non integri reato» e, pertanto, devono essere assoggettati alla confisca di prevenzione che mira a sottrarre alla disponibilità del preposto tutti i beni che siano frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego, in questo modo impedendo che tali beni siano utilizzati per realizzare ulteriori vantaggi (non necessariamente reati) e che il funzionamento del sistema economico legale sia alterato da anomali accumuli di ricchezza. Significativamente, le Sezioni Unite affermano che in caso di accertata evasione fiscale

massiccia e ripetuta negli anni – ragionamento estensibile alle ipotesi di sistematico ricorso

alle frodi nell’esercizio dell’impresa- non è consentita una valutazione sulla quota

confiscabile (valutazione che avrebbe senso solo ove si trattasse di un'evasione puntuale,

circoscritta e unisussistente), attuandosi inevitabilmente un reimpiego delle utilità illecite

nel circuito economico dell'evasore, con conseguente confusione di proventi leciti e illeciti

che è proprio quello che la normativa vuole impedire, confusione che si implementa nella

successione dei periodi di imposta con una sorta di “anatocismo dell’illecito” per

l’inevitabile effetto moltiplicatore.

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Ciò che giustifica, nel caso in esame, l’ablazione non è, dunque, il requisito della

sproporzione –su cui peraltro ci si soffermerà oltre- bensì l’esistenza di sufficienti indizi

che portano a ritenere che il patrimonio del proposto, nella composizione di beni e

partecipazioni societarie al momento del sequestro, sia il frutto della sua attività

imprenditoriale illecita.

Se le società del proposto, anche quelle partecipate pro quota, sono frutto e/o reimpiego

di attività illecita, per quanto fin qui detto, è evidente che anche eventuali afflussi di denaro

provenienti da una fonte lecita si “mischiano” e si confondono con il corposo substrato

illecito, non potendosi, al che, più distinguersi dal resto attesa la natura dinamica

dell’impresa.

In proposito si richiama quanto scritto dal G.I.P. del Tribunale di

Palmi, nella parte motiva del provvedimento di sequestro preventivo

disposto in data 28.07.2010, nei confronti delle società del “(omissis)”,

nella parte in cui rilevava che l’intreccio di rapporti tra le società del

gruppo è a tal punto intricato che la promiscuità dei rapporti sociali non

consente di “individuare i flussi di ricchezza e imputarli alla attività

delittuosa piuttosto che a diversi movimenti finanziari” ed ancora:

“…omissis… Quanto al requisito della confiscabilità dei beni è certo come

i patrimoni aziendali delle società direttamente coinvolte nei singoli reati,

rappresentino il diretto profitto del reato (essendo costituiti di beni

conseguiti attraverso i finanziamenti illecitamente ottenuti che è servita

per il loro acquisto o per la loro edificazione)…..omissis”.

La rotta illecita impressa da subito dal proposto alla sua attività di impresa e

costantemente mantenuta fino alla data del sequestro penale emesso dal Gip di Palmi, ha

dunque conformato di illiceità l’intero patrimonio originato dai flussi di ricchezza generati

da quell’attività, rendendo irriconoscibile la sua parziale riconducibilità a flussi leciti.

Le modalità illecite di esercizio dell'attività imprenditoriale vengono a costituire un

criterio prioritario in ordine alla valutazione della provenienza illecita dei beni sequestrati,

come tale prevalente sull'altro criterio della proporzione del valore di tali beni rispetto ai

redditi dichiarati e all'attività economica svolta, atteso che i redditi di cui ha goduto il

proposto e i suoi familiari sono esclusivamente quelli derivanti dal circuito produttivo

dell'attività di impresa illecita.

A fronte del dato sufficiente a giustificare il provvedimento ablativo della intrinseca

illiceità delle prime realtà imprenditoriali create dal proposto e costituenti il volano della

sua affermazione nel mercato dell’olio, in quanto permeate da un agire imprenditoriale

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illegale per effetto del quale i beni personali ed aziendali acquisiti con le risorse dell’attività

medesima devono considerarsi frutto o reimpiego di attività illecita, inutili appaiono gli

sforzi difensivi intesi a dimostrare la proporzione tra gli investimenti effettuati dal proposto

(anche sotto forma di conferimenti di capitale nelle società sequestrate) e la capacità

economica latu sensu espressa dal proposto, riconducibile ai proventi della sua attività di

imprenditore.

Al di là di ogni valutazione dello sforzo allegatorio della difesa, ciò che il Collegio non

può ignorare è che l’(omissis) non ha esitato ad esercitare abitualmente la sua attività

sviandola dagli scopi propri dell’impresa legale, utilizzando le proprie imprese come

strumento di perpetrazione di condotte illecite grazie alle quali ha ricavato considerevoli

risorse economiche illecite che hanno “patologicamente” concorso alla sua personale

ricchezza e come tali non costituenti fonte valutabile a giustificare tutti gli investimenti nel

tempo effettuati.

Le conclusioni che si sono sin qui esposte appaiono sufficienti a ritenere integrato il

presupposto della confisca di cui all’ultimo inciso dell’art.24 cit. con riguardo ai beni già

sequestrati, rappresentando gli investimenti negli anni operati il reimpiego di denaro di

provenienza illecita frutto delle frodi fiscali e comunitarie realizzate sistematicamente.

Quantunque superfluo alla luce di quanto sopra osservato, ad colorandum, ritiene il

Collegio che sia comunque doveroso –in considerazione della tormentata istruttoria sul

punto- trattare l’alternativo parametro di accertamento presuntivo della provenienza illecita

del patrimonio in sequestro rappresentato dal requisito della sproporzione tra il valore dei

beni ed i redditi dichiarati o l’attività economica svolta, di cui nel decreto di sequestro è

stata valutata la congiunta sussistenza quale dato oggettivo ulteriore che dimostra come il

proposto non solo sia abitualmente dedito a traffici illeciti ma sia persona che da tali attività

illecite multiformi ha tratto i mezzi per finanziare la propria vita e quella dei propri

congiunti.

La complessità della ricostruzione dei flussi finanziari del nucleo familiare e le

contestazioni da parte dei consulenti della difesa delle imputazioni in entrata ed in uscita

operate dalla Dia nella originaria tabella sperequativa di cui alla proposta hanno determinato

la necessità di disporre una consulenza contabile affidata al ctu Dr.ssa (omissis)(omissis)

Tripodi al fine di rispondere sul seguente quesito: " esaminata la documentazione in atti,

tenuto conto delle contestazioni formulate dai consulenti della difesa in ordine ai criteri

utilizzati dall’autorità proponente (DIA) per la redazione del prospetto sperequativo tra

capacità economiche-reddituali ed investimenti/uscite del proposto e del suo nucleo

familiare rettificato da ultimo con le controdeduzioni della DIA depositate in data 2.9.2014:

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-ricostruisca il consulente Dr.ssa (omissis)con riferimento al medesimo arco temporale

1978-2011 le uscite (acquisto quote, costituzione società, versamenti in conto capitale,

finanziamenti, anticipazioni) e le entrate (vendita quote, rimborsi di finanziamenti o

versamenti, etc.) relative a tutte le società del gruppo partecipate da (omissis) e componenti

del suo nucleo familiare (omissis) tenuto conto delle modalità attraverso cui si è formata

nel tempo la relativa quota di partecipazione, illustrando i dati utilizzati e la loro maggiore

attendibilità anche alla luce della disciplina societaria vigente, soffermandosi sulle

discrasie tra l’imputazione dei versamenti e/o rimborsi in conto capitale o in conto

finanziamento effettuata dalla DIA e quella effettuata dai consulenti del proposto, fornendo

al collegio ogni utile elemento per valutare le contestazioni formulate dai consulenti della

difesa in replica alle controdeduzioni dell’ organo proponente in ordine alla ricostruzione

dei movimenti finanziari;

- Rediga la Dr. (omissis)sulla scorta dei dati rielaborati in risposta ai quesiti di cui ai

punti che precedono una nuova tabella sperequativa delle entrate e delle uscite del proposto

e del suo nucleo familiare convivente nell’arco temporale esaminato, tenuto conto della

spesa media familiare annua Istat".

Prima di trattare il principale elemento che ha caratterizzato la sperequazione di cui

alla tabella originaria redatta dalla Dia, ossia i guadagni netti derivati dall’attività di impresa

agricola, verrà esaminato l’elaborato della Dr.ssa (omissis) di cui (tranne quanto si dirà per

i finanziamenti della (omissis)SA) si condividono le approfondite e motivate valutazioni in

quanto frutto di una rigorosa ed approfondita disamina secondo i principi di regolare

contabilità aziendale della corposa documentazione prodotta relativamente a ciascuna

società del gruppo partecipata dal proposto e dai suoi stretti congiunti, di cui sono state

ricostruite le vicende finanziarie nell’arco dell’intero periodo esaminato, ma anche dei

prestiti/erogazioni che sono stati riconosciuti come entrata limitatamente a quelli per cui è

stata riscontrata con puntualità la provenienza e la destinazione (pag.131 e ss.

dell’elaborato).

La consulente d’ufficio, dopo aver illustrato i principi cui si è attenuta nella

valutazione della documentazione acquisita, ha ricostruito le operazioni principali in entrata

ed in uscita con le società di proprietà o partecipate dal proposto e suoi familiari, ha

rettificato i dati della tabella originaria secondo una lettura dei bilanci di esercizio delle

società del proposto congiunta alla contabilità aziendale laddove munita di ufficialità,

seguendo un percorso non contestato dai ctp –anzi condiviso dagli stessi- eccetto i tre punti

che si andranno ad esaminare.

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Quanto alla operazione del 27.7.2007 di cessione delle quote della (omissis)srl dalla

(omissis)srl (socio unico dal 22.9.1999) in favore del proposto e del figlio Giovanni per il

corrispettivo totale di €.816.000,00, il perito ha condiviso la correttezza della imputazione

operata nella tabella sperequativa originaria dalla Dia che -sulla base di quanto indicato

nell'atto di trasferimento (dove era previsto che, detratti gli acconti corrisposti, per un totale

di € 16.000,00 la rimanente somma di € 800.000,00 sarebbe dovuta essere corrisposta in 6

rate annuali ovvero sino al 31/12/2012)- imputava ai soci, in proporzione delle rispettive

quote di partecipazione € 720.000,00 quali esborsi di (omissis) (6 rate da € 120.000,00) ed

€ 80.000,00 quali esborsi di (omissis)(6 rate da € 13.333,33) con decorrenza 31/12/2007 e

sino al 31/12/2012.

A tal riguardo, condivisibilmente la ctu evidenziava perplessità in ordine alla

produzione da parte della difesa delle scritture contabili della società cedente da cui

risulterebbe mai avvenuto quel pagamento, ritenendo inverosimile e contrario ai principi di

una regolare amministrazione contabile che non vi fosse stato il pagamento, in ragione del

tempo trascorso, delle somme dovute ed impegnate, della natura del credito, della mancanza

di alcuna attività di recupero delle somme e/o vizi di invalidità dell'atto di cessione ad opera

del creditore, replicando alla sorprendente osservazione della difesa per cui verosimilmente

il proposto (amministratore della (omissis)srl) non “aveva voglia di chiedere soldi a sé ed

al figlio” che l’amministratore di una società ha precise responsabilità nel momento in cui

cede delle quote per cui non è lecito non azionare un credito derivante da una operazione di

tale portata.

Quanto alle uscite per versamenti e/o finanziamenti effettuati nella (omissis) Srl

(società costituita con atto del 11.2.2002 con capitale Sociale di euro 10.000,00 sottoscritto

al 50% dai soci fondatori (omissis)e (omissis), ammontanti secondo la DIA a complessivi

euro 3.366.218,00, i periti della difesa hanno sostenuto che (omissis)avrebbe anticipato

somme per versamenti e/o finanziamenti per un totale complessivo di €. 3.250.818,00 a

fronte di somme in entrata (rimborsi/restituzioni) per € 2.600.000,00 con una sproporzione

netta di € 650.818,00.

La difforme conclusione della Dia e della difesa poggia sulla scrittura privata non

autenticata e non registrata - allegata in copia dalla difesa (Cfr. allegato difensivo nr.60),

avente ad oggetto un preliminare di vendita del 09/05/2007 dell’intero capitale di

€.10.000,00 della (omissis)srl alla società (omissis)(di cui è socio al 99% ed amministratore

il fratello del proposto) impegnandosi la promissaria acquirente a versare entro e non oltre

la data del 31/12/2007 la somma complessiva di € 2.500.000,00 ai soci (omissis), di cui €

5.000,00 a titolo di caparra confirmatoria del prezzo di cessione ed il resto di euro

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2.495.000,00 a titolo di parziale rimborso di somme versate da (omissis) nella (omissis) srl

in conto futuro aumento di capitale sociale.

La difesa produceva due contabili bancarie una (Banca Tercas) con valuta dell'

11/06/2007 relativa a disposizione di bonifico di € 2.000.000,00 da (omissis)srl a

(omissis)con causale "caparra confirmatoria" e l’altra (BNL) con valuta del 14/06/2007 di

disposizione di bonifico di € 500.000,00 da Hotel Carlton srl a (omissis) con causale

"caparra confirmatoria".

La Dia non ha considerato le predette somme tra le entrate lecitamente conseguite dal

proposto e dal suo nucleo familiare in quanto secondo quanto emerso dal controllo antifrode

della Gdf di Catanzaro relativo alla società (omissis) srl (dalla cui informativa origina il

processo attualmente pendente a Teramo), si è trattato di partite di giro costituenti provento

illecito, atteso che sono parte del contributo pubblico erogato alla (omissis) srl ai sensi della

Legge 488/92. Si rimanda agli esiti delle investigazioni richiamate nella parte personale in ordine al

capo di imputazione del processo di Teramo in corso di celebrazione per il reato previsto e

punito dagli articoli 81 cpv., 110, 112, 483, 640-bis, 56, 640 bis c.p. in relazione alla

(omissis) srl, da cui è emerso che le predette somme provengono dal contributo pubblico

erogato ai sensi della legge 488/92 alla (omissis) Srl, società del medesimo Gruppo

(omissis) per cui rappresentano uno dei molteplici artifizi posti in essere dagli (omissis), al

solo scopo di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.

La ctu dr.ssa (omissis) con approfondita e ragionevole argomentazione ha ritenuto non

sostenibile la prospettazione dei ctp evidenziando che gli estratti conto bancari prodotti

dalla difesa danno riscontro alle investigazioni della Gdf nella misura in cui comprovano

che le disposizioni di bonifico del 11 e 15 giugno 2007 dalla (omissis) a favore di (omissis),

erano precedute “in pari data” da un bonifico in accredito alla (omissis)

da parte della (omissis) spa con causale rimborso caparra di pari importo.

La somma di €. 2.000.000,00 oggetto della partita di giro, secondo le investigazioni,

proveniva alla (omissis) Spa da bonifici in suo favore da parte della (omissis) srl (che a sua

volta li aveva ricevuti dalla (omissis) srl a fronte di fatture per operazioni inesistenti atte a

dimostrare il sostenimento dei costi della L.488), quindi una volta arrivata sui conti della

(omissis) S.r.l. era bonificate in favore di (omissis) che, in pari data, le bonificava al padre

(omissis) che a sua volta li bonificava alla (omissis) srl, completando, in tal modo, il

complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente dall’accredito della prima quota

di contributo pubblico in favore della predetta (omissis) S.r.l..

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Anche la somma di euro 500.000,00 bonificata in data 15.06.2007 dalla (omissis) Srl a

(omissis) , segue la stessa sorte dei 2.000.000,00 di euro di cui al precedente bonifico del

11.06.2007, come emerso dalle medesime investigazioni della Guardia di Finanza di

Catanzaro, sopra richiamate.

La ctu confermava la ricostruzione della Dia, fondata sull’esito del controllo antifrode

della Gdf di Catanzaro sulla (omissis) srl, evidenziando che la documentazione prodotta

(anche bancaria, completa di estratti conto) non aveva offerto spunti per una diversa

conclusione, osservando condivisibilmente che una somma entrata ed uscita nello stesso

giorno non crea disponibilità .

Né è stata documentata alcuna formalizzazione della cessione/acquisto quote nei

termini di cui all'art. 6 del contratto preliminare stesso (anzi in data 31.12.2011 risulta un

versamento nel conto futuro aumento di Capitale Sociale nella (omissis) Srl per euro

131.000,00 come effettuato da (omissis) , indicandolo quale reale titolare, unitamente alla

madre (omissis) dell’intero Capitale Sociale della (omissis) Srl), con ciò determinando

quindi in capo alla società (omissis) srl una ingiustificata movimentazione di denaro non

supportata dai reali intendimenti contenuti nel contratto stesso e con utilizzo di causali ben

lontane da quanto convenuto.

Può esaminarsi la terza questione oggetto di contestazioni della difesa relativa alle

somme versate dalla (omissis) SA alla (omissis) Spa (partecipata per il 7,5% prima e da

ultimo per il 5,99% dalla società lussemburghese) che rappresentano l'elemento principale

(in aggiunta ai reali guadagni dell’attività agricola) che caratterizza la sperequazione in

quanto imputate dalla Dia nell’originario prospetto al proposto pro quota di partecipazione

alla (omissis).

Il perito, non disponendo di documenti sulla cui scorta ricostruire la compagine

societaria della (omissis) S.a. e la quota di partecipazione di (omissis) e famiglia al capitale

sociale della stessa, riferendosi esclusivamente sull'esito degli accertamenti bancari

condotti(esame degli estratti conto della (omissis) SPA), ha espunto dalla tabella

sperequativa le uscite computate dalla Dia imputando parte della somma versata dalla

(omissis) S.a. ad (omissis) sulla base della partecipazione detenuta nella (omissis) spa.

Si riassumono, di seguito, le somme complessive versate dalla (omissis) SA alla

PAC(omissis) spa, al lordo delle commissioni bancarie, ed imputate dalla DIA (PRO-

QUOTA) al proposto:

Ordinante/Beneficia

rio Importo € Causale Data

Quota

%

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(omissis) 2.045.169,3

2

Versam. conto

futuro aum. cap.

Agosto

2001

42,37112

5 (omissis)

510.000,00 Versam. conto

futuro aum. cap.

28/09/20

01

42,37112

5 (omissis)

903.000,00

Versam. in conto

futuro aum.

Capitale

12/02/20

02

42,37112

5

(omissis) 1.150.000,0

0

Versam. conto

futuro aum. cap.

11/03/20

02

42,37112

5 (omissis) 1.650.000,0

0

Versam. conto

futuro aum. cap.

23/10/20

02

42,37112

5 (omissis) 1.000.000,0

0

Versam. conto

futuro aum. cap.

23/10/20

02

42,37112

5 (omissis)

550.000,00 Versam. conto

futuro aum. cap.

05/11/20

02

42,37112

5 (omissis) 1.800.000,0

0

Versam. conto

futuro aum. cap.

08/11/20

02

42,37112

5 (omissis) 1.500.000,0

0

Finanziamen

to

03/01/20

06 43,9052

(omissis)

950.000,00 Finanziamen

to

17/01/20

06 43,9052

(omissis)

300.000,00 Finanziamen

to

13/02/20

06 43,9052

(omissis)

900.000,00 Finanziamen

to

23/03/20

06 43,9052

(omissis) 1.000.000,0

0

Finanziamen

to

29/05/20

06 43,9052

Totale 14.258.169,

32

A ciò si aggiungono le rimanenti somme, imputate dalla DIA al proposto pro quota

nell’anno 2009 sulla scorta dell’annotazione nel bilancio chiuso al 31.12.2009 di un

incremento del “conto finanziamento soci” di euro 2.849.000,00, secondo la difesa

erroneamente trattandosi di somme derivanti da una migliore classificazione del “conto

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finanziamento terzi” effettuati dalla (omissis) sa negli anni 2003/2004 ma imputati nel “conto

finanziamento soci” solo nell'anno 2009.

Ordinante/Beneficiari

o

Importo € Causale Data

(omissis) 900.000,00 Finanziament

o

10/12/200

3 (omissis) 950.000,00 Finanziament

o

30/12/200

3 (omissis) 960.000,00 Finanziament

o

16/12/200

3

Totale 2.810.000,0

0

La ctu (omissis) pur dando atto della circostanza per cui dal libro giornale (comunque,

non autenticato) e dalle contabili prodotte risultavano annotati i predetti importi come versati

dalla (omissis) negli anni 2003 e 2004 quali finanziamenti da terzi, non riteneva vi fossero

elementi certi per riscontrare la rettifica operata dalla difesa in quanto le movimentazioni

suddette non erano state riportate nel bilancio degli anni 2003 e 2004, nè in quello dell’anno

2008 in cui era stata effettuata la rettifica contabile mediante giroconto da “finanziamenti di

terzi” a “(omissis) ”, per cui c’è uno sfalsamento temporale che unitamente alle irregolarità

contabili rilevate non consente di ricondurre quelle movimentazioni a quelle riportate nel

bilancio del 2009 sulla cui base la Dia ha effettuato l’imputazione al proposto pro quota.

Ritiene il Collegio che il ragionamento del ctu sia immune da vizi sul piano logico e delle

norme che presiedono alla tenuta regolare della contabilità aziendale, per cui la contestazione

della difesa che vorrebbe espunta dall’anno 2009 l’uscita di euro 1.250.860,74 (pari al

43,90525588% della somma appostata nel bilancio 2009 quale incremento finanziamento

soci) non può essere accolta.

In ogni caso, la questione anzidetta può ritenersi superata alla luce di quanto già osservato

sopra in ordine alla ritenuta riconducibilità (appartenenza) della società lussemburghese alla

famiglia (omissis) , intesa come composta dal padre e dai due figli (omissis) , sulla scorta

della lettura degli esiti della rogatoria compiuta dalla Procura di Palmi (confluiti nel fascicolo

del dibattimento in corso a Teramo ed acquisiti dopo la ctu) congiunta con gli altri dati

emergenti dall’indagine da cui è scaturito l’ultimo procedimento in ordine temporale che ha

visto coinvolto il proposto.

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In particolare, va richiamato quanto osservato dalla Gdf di Catanzaro nelle informative

relative alle truffe ex L.488 laddove si evidenziava che nell’anno 2006 la società

lussemburghese ha finanziato la (omissis) Spa mediante bonifici, riportanti la causale di

“finanziamento soci”, per complessivi circa 4,5 milioni di euro, sospettati di essere un

“ritorno” di una parte del denaro, perfettamente “riciclato”, trasferito all’estero dalla (omissis)

S.r.l. alla Humanaexpert Medizinisch Tecniche, a fronte di nessuna concreta fornitura di beni

e/o servizi) dopo la percezione della prima quota di contributo pubblico ex lege 488/92). Ed

infatti, l’organo di p.g. accertava che le suddette somme, dopo ulteriori “passaggi” su conti

correnti di soggetti economici riconducibili al “(omissis) ” e sul c/c n. (omissis) , aperto da

(omissis) presso la filiale di Gioia Tauro (RC) della Banca Popolare di Crotone S.p.a., erano

trasferite alla (omissis) S.r.l. con causale “versamento in c/futuro aumento di capitale

sociale”, “completando, in tal modo, il circuito finanziario grazie al quale le somme erogate

alla (omissis) S.r.l. a titolo di pubblica contribuzione sono state trasferite all’estero al fine

di dimostrare il pagamento di fatture - in realtà relative ad operazioni inesistenti – per poi

rientrare, a seguito di articolate transazioni finanziarie eseguite, anche all’estero, nelle

“casse sociali” della stessa (omissis) S.r.l. perfettamente “ripulite”.

La tesi per cui le somme movimentate dalla (omissis) SA (costituita dal capostipite

(omissis) ) non siano altro che mere partite di giro per consentire il rientro in Italia, nella

disponibilità della famiglia (omissis), delle somme fittiziamente pagate all’estero per

giustificare le spese (in realtà mai sostenute), riguardanti gli investimenti di cui alla legge

488/1992”, trova indiretta conferma nella sostanziale coincidenza degli importi transitati dalla

società Lussemburghese alla cassaforte immobiliare di famiglia ((omissis) Spa) con il

profitto ‘accertato’ nelle imputazioni per il reato di cui all’art. 640 bis c.p. oggetto del

processo attualmente pendente a Teramo pari alla entità delle tranches dei finanziamenti

erogate e accreditate a favore delle società del gruppo, (omissis) srl, (omissis) srl, (omissis)

srl, (omissis) srl, (omissis) srl, per totali Euro 14.678.797,00.

Dalla ritenuta provenienza dalla comune “cassa” a disposizione della “(omissis) ” della

consistente capacità finanziaria della (omissis) deriva che le somme versate nel tempo dalla

società lussemburghese alla (omissis) vanno imputate al proposto quantomeno nella misura

di un terzo (33,3333%).

Né la difesa ha fornito giustificazioni alternative in ordine alla provenienza e legittimità

dei consistenti conferimenti ricevuti dalla società cassaforte immobiliare del gruppo familiare

(omissis) e provenienti dalla società lussemburghese, donde la piena correttezza del

ragionamento inferenziale sopra illustrato sostenuto dalle risultanze investigative secondo cui

quelle ingenti somme siano la risultante di illecite risorse –determinate o favorite nella loro

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formazione dall’agire imprenditoriale permeato da illiceità- immesse nel circuito

imprenditoriale/finanziario nella prospettiva non solo del relativo occultamento, ma anche

dell'utile e remunerativo reimpiego.

Ciò posto, in assenza di contestazioni alla ricostruzione dei flussi di entrata ed uscita

operata dal ctu (per cui si fa rinvio al capitolo 7 dell’elaborato del consulente d’ufficio), anche

da parte dell’organo proponente, si recepiscono le conclusioni dell’elaborato della dr.ssa

Tripodi, da intendersi richiamato, eccetto le rettifiche di seguito operate.

Un breve accenno va fatto alle contestazioni circa la considerazione tra le uscite del

proposto dei costi di costruzione degli immobili confluiti nel fondo patrimoniale familiare

costituito da (omissis) in data 07.06.2006, quantificati dall’organo proponente in complessivi

euro 680.570,09, sostenendo dalla difesa trattarsi di beni c.d merce dell’impresa di costruzioni

edili esercitata dal proposto con la medesima partita iva della ditta individuale rimasti

invenduti ed estromessi dall’attività di impresa per confluire nel citato fondo patrimoniale

familiare.

Osservava l’organo proponente che nell’atto di conferimento degli immobili, stipulato in

data 07.06.2006, con specifico riferimento alla provenienza dei fabbricati, non si vi è alcun

riferimento alla circostanza asserita della difesa, circa la natura di beni merce della ditta

individuale OLIVERI Vincenzo, anzi dall’atto si rileva che i beni immobili in questione erano

stati conferiti nel fondo quali beni immobili di esclusiva proprietà di OLIVERI Vincenzo,

quale persona fisica e non quale titolare di ditta individuale, per un valore indicato dal notaio

ai soli fini dell’iscrizione del repertorio pari a euro 1.190.000,00.

Ed ancora, si osservava che ai sensi dell’art.2 comma 2, n. 5, del D.P.R. 633/72

l’estromissione di un immobile “merce” dall’attività dell’impresa edilizia costituisce una

operazione assimilata alla cessione di beni e quindi soggetta ad IVA, ciò per impedire che

beni acquistati nell’esercizio dell’impresa (cemento, ferro, infissi, bagni, rivestimenti,

pavimenti… ecc.) per quali l’IVA corrisposta all’acquisto è stata compensata

dall’imprenditore o ne ha richiesto il rimborso, possano accedere al consumatore finale senza

il pagamento della citata imposta: ne deriva l’obbligo di dichiarare nell’atto di trasferimento

all’uso personale o familiare dell’imprenditore la natura strumentale del bene ai fini

dell’assoggettamento ad iva.

Premesso che, in punto di disponibilità, nessun rilievo può essere attribuito al vincolo di

destinazione del fondo patrimoniale, dato che pacificamente i beni restano nella disponibilità

del soggetto che li ha costituiti ed il vincolo di destinazione - in ipotesi di confisca di

prevenzione- non è opponibile posto che la disciplina pubblicistica prevede la prevalenza

dell'interesse generale al recupero di patrimoni "derivanti" dalla constata attività illecita del

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soggetto che ha realizzato l'accantonamento, ritiene il Collegio che la difesa non abbia

corredato l’obiezione da ulteriore documentazione da consentire un diverso approccio rispetto

a quello adottato dalla Dia, che pertanto va tenuto fermo.

In punto di correlazione temporale tra gli acquisti dei predetti immobili

conferiti in fondo patrimoniale ed oggetto di sequestro con la pericolosità

sociale del proposto, la Suprema Corte ha affermato in tema di misure di

prevenzione patrimoniali, “quando risulti che un immobile lecitamente

acquisito sia stato ampliato o migliorato con l'impiego di disponibilità

economiche prive di giustificazione, la confisca può investire il bene nella sua

interezza nel caso in cui le trasformazioni e le addizioni abbiano natura e

valore preminente, tale da non consentire una effettiva separazione di distinti

valori "pro quota (sent. n.29186 del 22.4.2013; a principi non dissimili si è

ispirata Sez. UU, n. 1152 del 25/09/2008 secondo cui, sotto un profilo

penalistico, il principio civilistico superficies solo cedit sostanzialmente si

inverte , nel senso che ciò che ha un valore economico preminente, perché

può in vario modo essere utilizzato , è proprio il fabbricato , mentre il suolo ,

anche se non può essere considerato una pertinenza dell'edificio , svolge una

funzione strumentale rispetto ad esso ; di conseguenza il suolo non può che

seguire , sul piano penalistico , il regime giuridico dell'edificio sullo stesso

costruito, ancorché la sua provenienza sia legittima, comportando

l'investimento di denaro illecito nella edificazione il duplice vantaggio

economico della costruzione e dell'incremento di valore del suolo sul quale è

avvenuta la edificazione ).

Orbene, dalla documentazione catastale in atti, si evince che l’edificazione dei manufatti

nello stato in cui sono stati sequestrati si deve far risalire certamente al decennio 1991-2001,

dunque ad epoca coincidente con la manifestazione di pericolosità sociale del proposto.

Occorre ora affrontare l’altro elemento centrale della tabella sperequativa, rappresentato

dagli utili netti dell’impresa agricola del proposto.

Come si è detto sopra, il riferimento normativo all’ ”attività economica

svolta” di cui all’art.24 cit. richiede che in sede di sequestro, qualora sia nota

un’attività economica generatrice di redditi legittimamente non dichiarabili,

interamente o parzialmente, vi sia da parte dell’autorità proponente una

valutazione ulteriore anche di questi ai fini della sproporzione, ovviamente di

tipo presuntivo, spettando al proposto –ove intenda confutare la ricostruzione

dell’organo proponente ed anche in virtù del principio di vicinanza della

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prova- allegare elementi diretti a dimostrare l'entità e la natura lecita di tale

reddito.

La puntualità dell’allegazione della parte lecita del reddito comporta: da

un lato, la necessaria esistenza di elementi, anche documentali, sull'effettiva

produzione del reddito; dall'altro, la corretta allegazione della piena liceità del

reddito non dichiarato fiscalmente che, notoriamente, presenta ampi margini

di derivazione illecita conseguente all'omesso rispetto di normative di diversa

natura (tenuta della documentazione contabile, versamenti contributivi, etc.)

Con riguardo al reddito da attività agricola, è noto che è rappresentato dalla differenza

tra i ricavi effettivi, oltre i contribuiti pubblici ottenuti (a meno che, ex adverso, si dimostri

che gli aiuti siano effetto di condotte fraudolente o comunque ottenuti con meccanismi

illeciti), ed i costi sostenuti, quest’ultimi per lo più rappresentati dal costo della manodopera

impiegata da individuarsi secondo criteri di ragionevolezza e verosimiglianza, per cui la sola

documentazione dei ricavi, in mancanza di una indicazione ragionevole e verosimile dei costi

sostenuti, non è sufficiente per assolvere il detto onere deduttivo della difesa, con la

conseguenza che i ricavi evidenziati, senza il necessario accompagnamento dei costi, non

possono essere considerati nel giudizio di congruità economica (cfr. decreto di confisca

emesso nel procedimento di prevenzione n. (omissis) R.G.M.P., nei confronti di (omissis),

divenuto definitivo il 16 settembre 2015).

L'onere di allegazione rimesso alla parte che intenda elidere l'efficacia indiziante degli

elementi offerti dall'accusa impone la serietà e la concretezza delle allegazioni.

Ciò premesso, posto che il valore della produzione non è rappresentativo del guadagno

effettivo percepito con l’esercizio dell’attività agricola, in quanto dato dalla mera differenza

algebrica tra i “corrispettivi” e gli “acquisti destinati alla produzione” e non contempla i costi

fissi dell’attività agricola (come il costo della manodopera, che come abbiamo già detto

costituisce il principale costo di un’impresa agricola, i canoni di locazione per il godimento

dei terreni, i costi di manutenzione dei fondi, i costi di trasporto del prodotto agricolo dal

luogo di raccolto al cliente, la benzina, etc…), si illustrerà di seguito il primigenio criterio

seguito dall’autorità proponente (la DIA) per elaborare la tabella sperequativa in esito alla

verifica sulla capacità di produzione di reddito lecito e sul valore degli investimenti effettuati.

Dopo avere riportato i redditi rilevati dalle interrogazioni effettuate alla

banca dati dell’Anagrafe Tributaria, integrati dai dati acquisiti presso la

Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, premetteva la DIA che i

proventi derivanti dall’attività agricola non concorrendo alla formazione dei

redditi dichiarati ai fini IRPEF, in quanto sottoposti ad un regime fiscale

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agevolato, erano stati desunti presuntivamente dalle dichiarazioni dei redditi

(Modello Unico, Sezione Valore Della Produzione Netta Settore Agricolo)

presentate da (omissis) dal 1998 al 2011, con la precisazione che per l’anno

1997 (in cui nessun dato reddituale è stato acquisito atteso che all’Anagrafe

Tributaria la dichiarazione risulta “non liquidabile per incompletezza dei dati

anagrafici e/o contabili”) e 1996 (in cui la dichiarazione non risulta

presentata), il reddito agricolo erano stato calcolato presuntivamente dalle

dichiarazioni IVA sottraendo dal volume d’affari relativo al settore agricolo

l’ammontare degli acquisti nel medesimo settore.

Eguale modalità è stata seguita per le annualità dal 1986 al 1995, mentre

non è stato possibile acquisire i dati IVA per l’anno 1985 e conseguentemente

non è stato possibile desumere l’eventuale esistenza di reddito derivante

dall’attività agricola.

I proventi derivanti dall’attività agricola al lordo dei costi sostenuti per

la manodopera sono stati così sintetizzati:

Ann

o

Volume Affari

e/o

corrispettivi

Dichiarati

Totale

acquisti

dichiarati

Imposta Valore netto

in lire

Valore netto in

euro

1985 n.d. n.d.

= = =

1986 859.563.0

00

166.457.00

0

= 693.106.000 357.959,37

1987 381.034.0

00

143.218.00

0

= 237.816.000 122.821,71

1988 1.191.803.000 117.798.00

0

= 1.074.005.0

00

554.677,29

1989 2.085.975.000 209.344.00

0

= 1.876.631.0

00

969.199,02

1990 91.014.000 76.716.000 = 14.298.000 7.384.30

1991 773.714.000 57.904.000 = 715.810.000 369.685,01

1992 4.225.335.000 32.948.000 = 4.192.387.0

00

2.165.187,1

9

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1993 4.522.543.000 680.554.00

0

= 3.841.989.0

00

1.984.221,7

2

1994 7.946.033.000 952.997.00

0

= 6.993.036.0

00

3.611.601,6

8

1995 215.045.000 414.536.00

0

= -

199.491.000

-103.028,50

1996 1.232.047.000 449.788.00

0

= 782.259.000 404.003,06

1997 = = = = =

1998 1.713.195.000 184.973.00

0

29.036.000 1.499.186.0

00

774.264,95

1999 3.546.366.000 391.002.00

0

61.160.000 3.094.204.0

00

1.598.023,0

0

2000 2.251.760.000 365.441.00

0

35.840.000 1.850.479.0

00

955.692,

64

2001 3.813.402.000 296.452.00

0

66.822.000 3.450.128.0

00

1.781.842,40

2002 536.059,0

0

200.453,00 6.377,00 329.229,00

2003 1.772.464,00 273.870,00 28.473,00 1.470.121,00

2004 0 98.179,00 0 - 98.179,00

2005 3.071.244,00 491.410,00 49.017,00 2.530.817,00

2006 1.763.917,00 2.082,00 33.475,00 1.728.360,0

0

2007 0 271.271,00 0 -

271.271,00

2008 -

238.085,00

0 0 0

2009 250.000,0

0

0 4.750.00

0

245.250,00

2010 0 0 0 0

2011 0 0 0 0

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Evidenziava la Dia due criticità con cui si era dovuta confrontare nella ricostruzione

presuntiva, se non reale quantomeno realistica, del guadagno effettivo percepito dal

proposto con l’esercizio dell’attività agricola.

La prima derivante dalla sistematica emissione di fatture per transazioni fittizie o

simulate per l’oggetto, emersa dalle vicende giudiziarie sopra ricostruite che hanno segnato

l’intero percorso imprenditoriale dell’(omissis) (a cominciare dalle vicende (omissis) e

(omissis)), che ha naturalmente determinato un volume d’affari desunto dalle dichiarazioni

Iva “gonfiato” e che grazie al regime fiscale agevolato previsto per le imprese agricole2 non

ha concorso alla formazione del reddito imponibile per il calcolo dell’Imposta sul Reddito

delle Persone Fisiche (Irpef) ma ha certamente permesso di lucrare indebiti contributi di

aiuto all’agricoltura oltrechè indebiti risparmi di imposta anche ad altre società del gruppo.

Infatti, nel periodo passato e fino al 2005, gli aiuti comunitari (contributi AIMA ora

AGEA), erano legati alla produzione, pertanto, per l’ottenimento di maggiori contributi, il

fatturato doveva “necessariamente” essere incrementato per documentare una maggiore

vendita e/o acquisto di lattine e/o di prodotto, ovvero una maggiore produzione di olio.

La seconda difficoltà è relativa ai costi sostenuti da (omissis) per la

manodopera necessaria allo svolgimento dell’attività agricola non compresi

nell’ammontare degli acquisti riportato nelle dichiarazioni e, pertanto, da

sommare all’ammontare di questi ultimi per il calcolo presuntivo del reddito

agricolo netto.

Per il calcolo dei costi della manodopera impiegata da (omissis) nel

settore agricolo, ed in particolare quanto alla utilizzabilità dei dati rilevati

dai modelli 770 presentati da (omissis) , la DIA evidenziava l’oggettiva

impossibilità di attribuire con esattezza i costi della manodopera relativi al

settore agricolo, poiché la Ditta Individuale (omissis) , oltre all’attività

agricola, risultava esercitare la sua attività in diversi settori economici, quali

la“compravendita di beni immobili propri”, il “commercio all’ingrosso di

oli e grassi alimentari” nonché l’attività di “lavori generali e costruzioni

di edifici”.

Tali attività, hanno concorso alla formazione del reddito dichiarato ai

fini IRPEF da (omissis) , ed il relativo importo è stato inserito nella tabella 2 Nell’impresa agricola il Valore della produzione, c.d. Reddito dell’Impresa Agricola

(determinato annualmente dalla differenza tra i corrispettivi incassati dichiarati ed i costi

sostenuti nel medesimo periodo), risulta sottoposto ad una tassazione irrisoria pari al 1,9%

del totale, così come tra l’altro di desume dalle dichiarazioni fiscali presentate dallo stesso

(omissis).

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dei redditi alla voce “reddito di impresa”, mentre l’ulteriore attività svolta

dallo stesso nel settore agricolo concernente le “colture miste oli-viti-

vinicole”, come noto, non concorre alla formazione del reddito dichiarato ai

fini IRPEF, tuttavia, i relativi proventi, desunti con le modalità sopra

descritte, sono stati anch’essi inseriti nella citata tabella dei redditi alla voce

“redditi dell’impresa agricola”.

Osservava ancora la Dia che dall’analisi della tabella dei redditi e dei dati

relativi al volume d’affari, si rileva che il reddito agricolo imputato

presuntivamente ad (omissis) , riporta valori notevolmente superiori ai

redditi dallo stesso dichiarati ed assoggettati all’Irpef, quantomeno fino

all’anno 1992.

Dai dati rilevati dai modelli 770 e dalle dichiarazioni fiscali presentati

da (omissis) è stata elaborata la seguente tabella di confronto tra il costo

della manodopera ed il volume d’affari dichiarato dallo stesso e che ha

concorso alla formazione del reddito Irpef di (omissis) , nonché il volume

d’affari dichiarato nel settore agevolato dell’agricoltura e che, come tale,

non ha concorso alla formazione del reddito Irpef:

Valori in lire fino al 2001 ed in euro dal 2002 in poi

Anno Numero

percipienti e/o

Moduli

Importo

retribuzioni come da

Mod.770 o da

dichiarazioni fiscali

Volume

d’affari settore

agricolo

Volume

d’affari altri settori

1985 n.d. n.d. non disponibile non disponibile

1986 n.d. n.d. 859.563.000 33.685.453.000

1987 n.d. n.d. 381.034.000 10.921.131.000

1988 n.d. n.d. 1.191.803.000 42.337.825.000

1989 n.d. n.d. 2.085.975.000 46.326.287.000

1990 = 80.045.000

(dich. Fiscale)

91.014.000 67.913.033.000

1991 = 235.283.000

(dich. fiscale)

773.714.000 27.813.584.000

1992 = 445.792.000

(dich. fiscale)

4.225.335.000 11.632.047.000

1993 = 275.048.000

(dich. fiscale)

4.522.543.000 - 170.000.000

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1994 = 181.695.000 (dich.

fiscale)

7.946.033.000 582.858.000

1995 = 102.711.000

(dich.fiscale)

215.045.000 421.108.000

1996 3 Percipenti

(Mod.770)

24.185.000

(Mod.770)

1.232.047.000 664.186.000

1997 33

Percipenti

(Mod.770)

37.942.000

(Mod.770)

= =

1998 28

Percipenti

(Mod.770)

48.076.000

(Mod.770)

1.713.195.000 29.860.000

1999 59

Percipenti

(Mod.770)

237.853.000

(Mod.770)

3.546.366.000 265.500.000

2000 57

Percipenti

(Mod.770)

273.275.000

(Mod.770)

2.251.760.000 52.866.000

2001 72 moduli

(Mod.770)

non disponibile

(Mod.770)

3.813.402.000 137.734.000

2002 85 moduli

(Mod.770)

210.891,00

(Mod.770)

536.059,00 165.215,00

2003 58 moduli

(Mod.770)

158.393,00

(Mod.770)

1.772.464,00 77.549,00

2004 20 moduli

(Mod.770)

67.187,00

(Mod.770)

0 99.520,00

2005 13 moduli

(Mod.770)

81.922,00

(Mod.770)

3.071.244,00 30.159,00

2006 n.p. n.p. 1.763.917,00 35.615,00

2007 n.p. n.p. -238.085,00 27.309,00

2008 n.p. n.p. 0 33.524,00

2009 n.p. n.p. 250.000,00 42.809,00

2010 n.p. n.p. 0 129.989,00

201 n.p. n.p. 0 26.710,00

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I dati relativi al costo del personale dipendente rilevabili dai Modelli 770

o dalle dichiarazioni fiscali, non sono dunque presenti per tutte le annualità

in cui la Ditta Individuale (omissis) ha operato, mentre per altre annualità

l’importo del costo della manodopera ivi riportato, non appare proporzionato

alla dimensione aziendale ed al relativo volume d’affari dichiarato dalla ditta

individuale.

L’autorità proponente ha, tuttavia, cercato di pervenire ad una

determinazione realistica dei proventi dell’attività agricola, tenendo fermo il

volume d’affari “ufficiale” (sebbene raggiunto da gravi e concordanti indizi

di fittizietà parziale quale effetto della pratica del ricorso a false fatturazioni

di vendita finalizzate all’indebita percezione di contributi AIMA) e cercando

di pervenire ad una determinazione dei costi di manodopera agganciata al

fatturato dichiarato, si da evitare che da quella apparenza creata per lucrare

indebiti contributi e realizzare una sistematica evasione fiscale il proposto

potesse trarre ulteriore vantaggio dimostrando una capacità di reddito

maggiore di quella che avrebbe avuto se avesse operato lecitamente.

Il primo criterio applicato in proposta è consistito nel calcolare

l’incidenza dei costi della manodopera rispetto al volume d’affari

maggiormente aderente alla realtà riscontrato nelle aziende agricole dei figli

di (omissis) ((omissis) ), nate in consecuzione rispetto alla cessazione della

ditta del padre, i quali sono titolari delle rispettive Ditte Individuali che

operano esclusivamente nel settore dell’agricoltura in un periodo in cui

(2006-2011) l’ottenimento del contributo AGEA non era più legato alla

produzione e come tale indipendente dall’aumento del volume d’affari.

In particolare, tenendo conto del volume d’affari dichiarato da

(omissis) per l’esercizio dell’attività agricola e dei costi sostenuti dallo

stesso per i lavoratori in essa impiegati, è stato possibile rilevare che una

incidenza media di detti costi rispetto al volume d’affari superiore al 50%:

Anno Volume affari

impresa agricola

Costi per il personale

come da mod.770

Incidenza % dei costi del personale

rispetto al volume d’affari

2006 145.838,00 91.667,00 62,85%

2007 797.388,00 237.723,00 29,81%

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2008 460.180,00 171.500,00 37,26%

2009 358.083,00 275.772,00 77,01%

2010 292.237,00 248.590,00 85,06%

2011 358.877,00 262.172,00 73,05%

Totale 2.412.603,00 1.287.424,00 53,36%

Analogamente, tenendo conto del volume d’affari dichiarato da (omissis) per

l’esercizio dell’attività agricola e dei costi sostenuti dallo stesso per i lavoratori in essa

impiegati, è possibile rilevare che l’incidenza media di detti costi rispetto al volume

d’affari è superiore al 80%:

Anno Volume affari

impresa agricola

Costi per il

personale come da

mod.770

Incidenza % dei

costi del personale

rispetto al volume

d’affari

2006 209.777,00 261.695,00 124,74%

2007 301.508,00 383.112,00 127,06%

2008 709.168,00 341.160,00 48,10%

2009 336.952,00 231.631,00 68,74%

2010 252.839,00 206.810,00 81,79%

2011 124.573,00 177.833,00 142,75%

Totale 1.934.817,00 1.602.241,00 82,81%

Ottenuto il dato di incidenza percentuale media dei costi del personale

rispetto al volume d’affari pari a circa il 68%, si è stimato un costo di

manodopera per tutto il periodo considerato di €.17.266.289,47 sul fatturato

dagli anni 1986 all’anno 2009.

A fronte della individuazione da parte dell’organo proponente di un

criterio di determinazione degli utili netti dell’attività d’impresa agricola

agganciato ad un ragionamento logico sostenibile, si è spostato sulla difesa

l’onere di offrire elementi idonei a paralizzare il significato degli indizi di

fittizietà del volume d’affari dichiarato.

La difesa, contestando la ricostruzione del dato della sproporzione

operata dalla Dia, ha inteso dimostrare, attraverso la produzione di proprio

elaborato tecnico, la disponibilità di maggiori fonti reddituali derivanti

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dall’attività agricola mediante abbattimento del costo di manodopera stimato

dalla Dia, elaborando tre diversi criteri.

Il dato del costo di manodopera rappresentato è stato oggetto di ben due

consulenze tecniche d’ufficio disposte dal Tribunale, la prima affidata al Dr.

Antonino Romeo e la seconda al Dr. agronomo (omissis), su cui si tornerà

oltre, dopo aver esaminato i criteri proposti dalla difesa alla luce

dell’elaborato del Dr. (omissis) e delle controdeduzioni della Dia all’una e

all’altro.

Il primo metodo di calcolo del ctp sostanzialmente condivide

l’approccio metodologico adottato dalla Dia (incidenza del costo di

manodopera sulle ditte dei figli del proposto) ma con un correttivo

consistente nel sommare ai valori del reddito al lordo della manodopera

l’importo derivante dall’aiuto comunitario incassato dalle aziende dei figli

del proposto (contributi Agea) ed ottenendo così un’incidenza del costo sul

totale del reddito lordo pari al 22,5% anziché del 68%, con un valore stimato

per tutto il periodo di €.7.650.332,76.

La Dia contestava tale correttivo in quanto negli anni 2006-2011, i

contributi AGEA percepiti dalle aziende agricole dei figli di (omissis), non

erano legati alla produzione agricola fatturata nel medesimo periodo, poiché

dall’anno 2006 in poi, il contributo AGEA è rappresentato dai titoli

posseduti il cui importo è fisso per ogni anno e non è più legato alla

produzione. Conseguentemente il costo della manodopera è completamente

sganciato dall’eventuale percezione di contributi di qualsiasi entità dovendo

essere legato unicamente alla produzione agricola.

Il ctu Dr. (omissis), in ordine a tale approccio metodologico ha ritenuto

praticabile il correttivo operato dalla difesa, asserendo che la contribuzione

comunitaria prima di essere elemento integrativo di reddito va intesa come

contributo alla produzione servendo all’imprenditore per coprire tutti i costi

di gestione, in particolare quello di manodopera.

A parere del Collegio, la superiore conclusione del perito non è

condivisibile atteso che vi è senz’altro una relazione tra fatturato e impiego

di manodopera ma non vi è collegamento tra l’aiuto comunitario percepito

dalle aziende dei figli ed il lavoro aziendale inteso come impiego di salariati,

ciò in quanto dal 2005 l’aiuto comunitario non è più concesso in base alla

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produzione ma è disaccoppiato da questa, in quanto legato agli ettari

coltivati2.

Ed ancora, il limite del correttivo al primo metodo usato dalla difesa

emerge evidente se si consideri che se un’azienda in un anno non produce

olive, quindi non fattura olio, avrà le spese fisse (ordinaria manutenzione

fondi) ma non avrà spese di manodopera relative alla raccolta: in questo

caso, paradossalmente, se al reddito negativo dell’azienda, essendo l’aiuto

disaccoppiato dalla produzione, si andassero a sommare gli aiuti Agea,

secondo il metodo della difesa, si avrebbe un costo di manodopera più basso

di quello reale, dunque falsato.

In sostanza, la manodopera costituisce elemento essenziale della produzione (volume

d’affari) e influisce direttamente sulla stessa, mentre al contrario il contributo AGEA è un

elemento esterno, erogato dall’AGEA a sostegno ed integrazione del reddito, ma non

influisce direttamente sul costo della manodopera.

Il secondo metodo proposto dalla difesa per pervenire al calcolo presuntivo del costo

della manodopera sostenuto da (omissis) per lo svolgimento dell’attività agricola, prende in

considerazione i costi per la manodopera agricola dichiarati con i modelli 770 dalle aziende

agricole dei figli del proposto, in relazione all’estensione dei terreni coltivati, ottenendo il

dato mancante attraverso il calcolo del “costo medio annuo di manodopera per ettaro

coltivato” determinato in euro 1.275,97. Applicato tale costo, alla superficie coltivata

annualmente dall’azienda agricola del proposto, è stato stimato un costo per la manodopera

per tutto il periodo di €.4.701.933,50, riducendo pertanto ulteriormente e notevolmente i

costi rispetto al primo metodo di calcolo prospettato dalla difesa.

La Dia ha ritenuto tale secondo approccio meritevole di approfondimento laddove

permette di ancorare dati finanziari ignoti ad un elemento certo, ossia l’estensione dei terreni

coltivati dall’azienda agricola di (omissis).

Per tale via, l’autorità proponente è arrivata a determinare, sempre attraverso i volumi

d’affari delle ditte intestate ai figli (criterio condiviso dai consulenti della difesa), il “valore

2 A conferma di quanto sopra – la stessa Dia- evidenziava come dalle tabelle riepilogate

dalla difesa (cfr. Relazione della D.ssa (omissis) - Allegato nr.1), emerge che (omissis) , a fronte di un volume d’affari complessivo dichiarato dall’anno 1986 al 2009 di circa 25 milioni di euro, ha percepito contributi AGEA per un totale di circa 9 milioni di euro, mentre le aziende dei figli a fronte di un volume d’affari complessivo dichiarato dall’anno 2006 al 2011 di soli 4,3 milioni di euro circa, hanno percepito contributi AGEA per circa 8,4 milioni di euro (l’ammontare dei contributi AGEA percepiti risulta quasi uguale, mentre i rispettivi volumi d’affari differiscono di oltre 20 milioni di euro).

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medio della produzione per ettaro coltivato”, al fine di mantenere una correlazione tra i due

dati (costi di manodopera e volume d’affari) che conducesse ad una rappresentazione

quanto più realistica possibile degli utili netti dell’attività agricola rappresentativi della reale

capacità economica lecita del proposto, arrivando anche per tale via a riscontrare

l’inattendibilità del volume d’affari dichiarato dal proposto.

Si è dunque calcolata la produzione media (volume d’affari) per ogni ettaro di terreno,

coltivato dalle aziende agricole dei figli del proposto, relativamente al periodo 2006-2011,

come da tabelle che seguono.

DITTA INDIVIDUALE (omissis)

Valore medio della produzione per ettaro coltivato

Anno Volume affari

impresa agricola

Superficie

coltivata in

ettari

Valore medio di

produzione per ettaro

coltivato

2006 145.838,00 143,20 1.018,42

2007 797.388,00 171,78 4.641,91

2008 460.180,00 154,46 2.979,28

2009 358.083,00 159,76 2.241,38

2010 292.237,00 159,76 1.829,22

2011 358.877,00 159,74 2.246,63

Totale 2.412.603,00 948,70 2.543,06

DITTA INDIVIDUALE (omissis)

Valore medio della produzione per ettaro coltivato

Anno Volume affari

impresa agricola

Superficie

Coltivata in

ettari

Valore medio di

produzione per ettaro

coltivato

2006 209.777,00 195,78 1.071,49

2007 301.508,00 225,72 1.335,76

2008 709.168,00 229,49 3.090,19

2009 336.952,00 228,17 1.476,75

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2010 252.839,00 230,87 1.095,15

2011 124.573,00 230,87 539,58

Totale 1.934.817,00 1.340,90 1.442,92

Applicando il valore medio della produttività per ettaro così ottenuto (euro 1.993,26) e

costo medio della manodopera per ettaro coltivato pari ad euro 1.275,97 (dato quest’ultimo

indicato dalla stessa difesa) la Dia ha ottenuto i volumi d’affari presuntivamente realizzati

da (omissis), nel periodo che va dal 1978 al 2011. Tale operazione viene riepilogata nella

tabella che segue:

DITTA INDIVIDUALE (omissis)

Valore della produzione presunto calcolato in funzione del valore medio della

produzione per ogni ettaro coltivato realizzato dalle aziende agricole dei figli (omissis)

Anno Superficie

Coltivata in

ettari dell’impresa

agricola (omissis)

(dato indicato dalla

difesa)

Valore medio di

volume d’affari

per ettaro

coltivato riferito

alla produttività

delle aziende

agricole dei figli

di (omissis) (in

euro)

Volume affari stimato

dell’impresa agricola (omissis)

(in euro)

1978 9,38 1.993,26 18.696,78

1979 26,49 1.993,26 52.801,46

1980 26,49 1.993,26 52.801,46

1981 50,65 1.993,26 100.958,62

1982 50,65 1.993,26 100.958,62

1983 50,65 1.993,26 100.958,62

1984 179,44 1.993,26 357.670,57

1985 179,44 1.993,26 357.670,57

1986 179,44 1.993,26 357.670,57

1987 179,44 1.993,26 357.670,57

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1988 179,44 1.993,26 357.670,57

1989 179,44 1.993,26 357.670,57

1990 179,44 1.993,26 357.670,57

1991 173,06 1.993,26 344.953,58

1992 142,34 1.993,26 283.720,63

1993 142,34 1.993,26 283.720,63

1994 142,34 1.993,26 283.720,63

1995 158,52 1.993,26 315.971,58

1996 158,52 1.993,26 315.971,58

1997 140,50 1.993,26 280.053,03

1998 140,90 1.993,26 280.850,33

1999 143,68 1.993,26 286.391,60

2000 143,68 1.993,26 286.391,60

2001 143,68 1.993,26 286.391,60

2002 146,24 1.993,26 291.494,34

2003 146,24 1.993,26 291.494,34

2004 146,24 1.993,26 291.494,34

2005 146,24 1.993,26 291.494,34

2006 Cessazione attività

agricola dato

indicato dalla difesa

Totale 3.684,91 1.993,26 7.344.983,71

I valori così ottenuti (volumi d’affari e costi di manodopera presunti), calcolati in ragione

della dimensione fondiaria aziendale dell’impresa agricola (omissis) (superficie coltivata)

sono stati considerati dalla Dia quelli maggiormente attendibili ed aderenti alla realtà.

Quanto al terzo metodo di calcolo proposto dalla difesa basato sul costo di manodopera

risultante dai modelli 770 ove esistenti della ditta del proposto, lo stesso condurrebbe a

risultati inverosimili atteso che a fronte di un fatturato nel periodo esaminato (1986-2009) per

euro 25.153.517,16 (cfr. colonna 3, tabella 3 della relazione della d.ssa (omissis)), al netto

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della spesa sostenuta per la manodopera agricola, indicata dalla difesa in complessive euro

1.521.303,23, (cfr. ultima colonna, tabella 10 della relazione della d.ssa (omissis)) nonché al

netto dei costi dichiarati, pari ad euro 3.682.148,95 e delle imposte, pari ad euro 221.694,84

(cfr. tabella riportata a pagina 310 della proposta), il proposto avrebbe conseguito un reddito

netto agricolo pari a euro 19.728.370,14, corrispondente a oltre 850.000,00 euro netti

all’anno, corrispondenti ad oltre 71.000,00 euro al mese netti, dato che contrasta con la realtà

aziendale rappresentata dalle stesse dichiarazioni reddituali presentate dall’impresa agricola

del figlio (omissis) che –come emerso ma anche riconosciuto dai ctp Dr. (omissis)

nell’elaborato allegato alla consulenza del Dr. (omissis) - ha sostanzialmente proseguito nella

coltivazione dei medesimi terreni siti in Melicuccà, Gioia Tauro e Borgia condotti in

locazione dal padre fino al 2005.

DITTA INDIVIDUALE (omissis)

Anno Superficie

coltivata (ha)

Volume d’affari

dichiarato

Costi dichiarati Imposta Manodopera

dichiarata

Guadagno

netto

2006 143,20 145.838,00 251.928,00 0 91.667,00 -197.757,00

2007 171,78 797.388,00 377.889,00 7.883,00 237.723,00 173.893,00

2008 154,46 460.180,00 180.675,00 5.311,00 171.500,00 102.694,00

2009 159,76 358.083,00 165.345,00 2.192,00 275.772,00 -85.226,00

2010 159,76 292.237,00 46.795,00 4.995,00 248.590,00 -8.143,00

2011 159,74 358.877,00 120.022,00 4.912,00 262.172,00 -28.229,00

Total 948,70 2.412.603,00 1.142.654,00 25.293,00 1.287.424,00 -42.768,00

Mentre (omissis) dichiara di aver guadagnato dal 1986 al 2009 la somma di 19 milioni di

euro al netto dei contributi AGEA, il figlio dal 2006 al 2011, per lo svolgimento della stessa

attività agricola sugli stessi fondi, va addirittura in perdita.

Quest’ultima circostanza spiega la ragione ed il senso del contributo AGEA, che

costituisce un sostegno al reddito dell’imprenditore agricolo, mentre, nel caso di (omissis)

l’analoga attività agricola avrebbe fruttato diversi milioni di euro e pertanto il contributo

AGEA non avrebbe avuto alcuna ragione di esistere, considerati i notevoli profitti che

l’attività avrebbe consentito.

Talmente insostenibile tale terzo criterio che la stessa difesa ha optato per l’utilizzo del

primo metodo, con il correttivo sulla cui non condivisibilità si è già detto.

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Il ctu Dr. (omissis) , cui era stata richiesta una valutazione di ragionevolezza “dei criteri

di elaborazione del dato costituito dai costi presuntivi della manodopera sostenuti dal

proposto individuati dal consulente di parte Dr.ssa (omissis) nella perizia in atti” in termini

di aderenza alla realtà aziendale dell’impresa di (omissis) , “anche in considerazione del

volume d’affari dichiarato per ciascuna annualità, segnalando eventuali criticità ed

indicando quale tra i vari criteri prospettati -compresi quelli elaborati dalla DIA- si presti a

fornire una rappresentazione quanto più reale degli utili netti effettivi tratti dalla impresa

agricola (omissis) per ciascuna annualità”, ha ritenuto di elaborare un ulteriore criterio

utilizzando le rilevazioni statistiche elaborate dal Farm Accountancy Data Network (FADN)

e ratificate per l’Italia dall’INAE (Istituto Nazionale di Economia Agraria) da cui risulta che

il costo di manodopera è la voce di costo più rilevante delle aziende agricole rappresentando

all’incirca il 70% del totale dei fattori produttivi, agganciato ai costi sostenuti diversi dalla

manodopera ricavabili dalle dichiarazioni fiscali del proposto.

Attraverso l’equazione: costo di manodopera (X)= costi diversix70: 30, il dr. Romeo è

pervenuto a determinare il costo di manodopera per l’intero periodo esaminato nella somma

complessiva di €.8.591.439,33.

Tale risultato, fondato su un calcolo puramente matematico, presenta ovviamente i limiti

di applicazione e di aderenza alla realtà tipico di un metodo statistico e, pertanto, al di là della

non aderenza ed esorbitanza rispetto al quesito formulato, non è stato ritenuto condivisibile

per assenza di correlazione tra il presupposto dell'incarico (individuabile nel quesito e

finalizzato a pervenire ad “una rappresentazione quanto più possibile realistica degli utili

netti tratti dall’impresa agricola di (omissis) ”) e la soluzione proposta (si rimanda alla

tabella del costo di manodopera elaborata dal predetto consulente che registra oscillazioni

prive di giustificazione logica rispetto al volume d’affari dichiarato nei vari anni).

Il Collegio, in esito, all’esame del Dr. (omissis) , pertanto, ha ritenuto di

rinnovare la consulenza avvalendosi di un dottore agronomo nella persona del

Dr. (omissis) al quale ha sottoposto il seguente quesito:

“Esaminate la consulenza di parte, le note della Dia e le reciproche

controdeduzioni con riferimento alla determinazione del reddito netto tratto

dall’impresa agricola di (omissis) negli anni 1978-2011, nonché letta la

consulenza del dr. (omissis) :

- illustri la formula più corretta in economia agraria per pervenire

partendo da dati noti e tenuto conto delle caratteristiche dimensionali,

colturali, di gestione e produttive dell’impresa esercitata da (omissis) , ad una

quantificazione realistica dei costi di manodopera, precisando se il dato

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ottenuto sia compatibile, secondo il criterio dell’ordinarietà aziendale, con il

volume di affari dichiarato/fatturato negli anni 1978/2011 dalla impresa

(omissis) ; solo nell’ipotesi in cui il perito accerti un’evidente incompatibilità

tra i volumi dichiarati e il dato ottenuto provveda alla rideterminazione dei

volumi d’affari e dei conseguenti utili netti”.

Il ctu (omissis) ha proceduto alla individuazione delle particelle nel tempo

gestite dall’azienda del proposto in forza dei contratti prodotti dalla difesa,

analizzato sulla base di orto-foto tratte dal Sistema informativo Agea

dall’anno 1996 al 2012 le modifiche che le stesse hanno subito nel corso degli

anni, la superficie agraria utilizzata (c.d. SAU) anno per anno e nell’intero

periodo, la scadenza dei contratti di affitto, la qualità di coltura, la presumibile

età media della piante, e quindi ha effettuato un calcolo del costo medio di

manodopera per ettaro coltivato secondo il criterio dell’ordinarietà aziendale

(ossia dell’utilizzo dei valori più frequentemente rappresentati da aziende con

caratteristiche similari, stimandolo in euro 2275,50 ad ettaro, compresa la

molitura.

Il ctu ha sostanzialmente recepito i dati relativi al costo di gestione

ordinaria dell’oliveto di cui al piano Ismea dell’anno 2010, allegato

all’elaborato, relativi alla Regione Calabria, con qualche adattamento

asserendo il dr. Tassone la non comparabilità della realtà aziendale del

proposto con quelle campionate dall’Ismea, ossia aziende calabresi di medie

dimensioni con superficie olivetata media di 3,6 ettari, densità di impianto

media di 258 piante per ettaro con una risposta di circa 16 kg di olive a pianta,

basso livello di specializzazione e meccanicizzazione.

L’importo ottenuto moltiplicato per gli ettari coltivati nell’arco dei 28 anni

esaminati ha condotto il perito a stimare costi complessivi di manodopera per

l’oliveto dal 1978 al 2005 (esclusi gli oneri sociali e contributivi) in totali euro

6.104.766,96, compresa la molitura. A tale somma, il predetto ha aggiunto

€.1.135.434 per costi di manodopera agrumi, avendo riscontrato una discreta

superficie coltivata ad agrumi, di cui non si era mai fatto menzione neppure

nelle due consulenze della difesa.

Ma le maggiori criticità e debolezze dell’elaborato del dottore agronomo

si sono registrate nella risposta alla seconda parte del quesito, relativa alla

valutazione di congruità dei costi di manodopera stimati rispetto al volume

d’affari dichiarato dal proposto (dati disponibili dal 1986 in poi), essendovi

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come si è ampiamente argomentato sopra plurimi dati convergenti nel senso

della non rispondenza di questi ultimi alla reale entità dei traffici economici.

L’agronomo ha riportato due ipotesi di valore medio di produzione olive e

olio trasformato per ettaro, e precisamente una con resa medio bassa (16,30

kg di olive per pianta ) e una ottimale (60 kg di olive per pianta), con una

oscillazione da €. 1639,30/ha a €.7.392,60 /ha, considerando una densità

media di impianto di 258 piante per ettaro e nella seconda ipotesi una giacenza

costante annua del 25% di prodotto.

Dopo aver asserito (ma non argomentato) la maggiore aderenza della seconda ipotesi

“alla realtà imprenditoriale di che trattasi”, l’agronomo è giunto per tale via a stimare un

valore della produzione della coltura olio -comprensivo delle giacenze e “al netto dei

contributi” -pari a €.19.832.645,50.

A tale somma ha ritenuto poi di dover aggiungere l’ulteriore somma di

€.3.027.360,00 quale valore della produzione della coltura agrumi, basandosi

su un prodotto medio per ettaro di 40t/ha con un costo medio di prodotto

all’ingrosso di euro 40/quintale, arrivando per tale via a formulare un giudizio

di compatibilità del costo di manodopera stimato con il volume d’affari

dichiarato per gli anni 1986-2005 pari a €.23.377.685,16.

Orbene, premesso che per consolidata giurisprudenza di legittimità,

compete al giudice del merito della causa di valutare l’attinenza, la coerenza

e la concludenza della relazione peritale per cui ove ritenga non condivisibili

le conclusioni del perito può discostarsene, purchè motivi il proprio avviso

dopo aver esaminato l’iter seguito dal consulente per verificare se le sue

conclusioni siano fondate su dati concreti (Cass. 2013 n.43923), ritiene il

Collegio che la risposta fornita al secondo quesito non possa essere

acriticamente recepita, essendo apparso l’approccio del consulente –anche in

esito al suo esame in contraddittorio- quantomeno approssimativo, a dispetto

di una ricostruzione iniziale puntuale quanto alla superficie agricola

coltivata nel tempo e successivi infoltimenti e nuovi impianti eseguiti sui

fondi gestiti negli anni 1997 e 2001, basata su orto-foto disponibili dagli

anni 1996 in poi.

Ci si soffermerà su alcuni passaggi dell’elaborato e dell’esame

dell’agronomo per evidenziarne l’incoerenza a tratti e l’assenza di agganci

fattuali concreti delle sue asserzioni in punto di specifica realtà aziendale del

proposto.

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Dopo aver affermato di non aver proceduto ad un calcolo di compatibilità

costi manodopera/volume d’affari anno per anno per assenza di un

parametro omogeneo annuale, in quanto dal 1978 al 1983 “le superfici

agricole erano pochissime e il volume d’affari era zero”, l’agronomo

Tassone interrogato dal PM sulle ragioni per cui si registrano picchi

significativi nel volume d’affari emergenti dal fatturato dichiarato dal

proposto3, ha asserito di non poter escludere che un’azienda agricola come

quella del proposto con enormi macchinari agricoli e che molisce potesse

realizzare in un anno il doppio dell’anno precedente (ma nel caso del

proposto siano fuori dall’alternanza, rilevandosi dei picchi in annualità

consecutive come gli anni 1992-1993 e 1994 a parità di ettari coltivati),

aggiungendo che i costi della manodopera sono più o meno costanti, anche

se gli uliveti sono soggetti alla carica e scarica e possono avere delle

alternanze, nel senso diminuzioni e aumenti legati al fatto che alcuni anni si

raccoglie di più e altri si raccoglie di meno.

Ha poi dichiarato di aver utilizzato il parametro di produzione quello di

60 kg di olive a pianta quale media dei valori di picco, mentre quanto alla

concentrazione di piante per ettaro coltivato stimato in 258 ha affermato

trattarsi di un dato medio tratto dal piano Ismea presumibile per tipo di sesto

di impianto che in quegli anni “oscillava tra cento e trecento piante”,

segnalando poi che nel ‘97 e nel 2002 ci sono state delle trasformazioni

fondiarie legate a nuovi impianti e infittimenti, cioè, negli intercalari tra le

piante sono state messe nuove piante, quindi è aumentato il numero di piante.

A domanda del Collegio sul tipo di approfondimenti documentali

condotti atti a risalire alla specifica realtà aziendale dell’(omissis),

l’agronomo Tassone ha poi risposto di non aver tenuto conto dei modelli F

prodotti dalla difesa solo per alcune annualità (ossia le attestazioni di molitura

contenente i dati relativi alle quantità di olive lavorate e di olio prodotto da

allegare alle domande di aiuto) in quanto “superiori come livello produttivo a

quello che io ho giudicato ordinario, medio-ordinario per questa tipologia

aziendali”, rispondendo alla domanda sulla attendibilità dei modelli predetti

secondo esperienza che gli stessi “erano spinti al massimo”.

3 Ad es. nel ‘90 c'è una dichiarazione d’incasso di euro 261,95 per ogni ettaro di uliveto

coltivato, nel ‘91 stessi terreni c'è una dichiarazione invece di euro 2.309,76 per ogni ettaro di terreno, nel ‘92 oltre 15.000 euro, nel ‘93 oltre 16.000, nel ‘94 per € 28.000 euro.

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Ha poi affermato di non aver avuto riscontro dalla difesa alla richiesta di

avere le dichiarazioni UMA da cui desumere il tipo di macchinari, ossia la

mole del parco macchine di cui l’azienda poteva disporre, ma di avere tenuto

conto di alcune dichiarazioni prodotte dalla difesa a partire dagli anni ’90 da

cui si desumeva il tipo di macchine agricole che il proposto deteneva in quegli

anni.

Ma il culmine dell’approssimazione si è raggiunto nel momento in cui

l’agronomo alla domanda specifica sull’anno esatto in cui l’azienda del

proposto avrebbe iniziato l’attività di molitura (ossia la produzione di olio che

secondo lo stesso determina la resa ottimale media stimata) ha candidamente

dichiarato di non avere elementi per datarne l’inizio pur avendola considerata

nel calcolo della resa per ettaro fin dall’anno 1978 (in cui il proposto non era

neppure titolare di una propria impresa agricola).

Eguale approssimazione si è riscontrata nelle risposte fornite alle

domande relative al dato assunto relativo alle giacenze di invenduto calcolato

nella misura fissa del 25% per ciascun anno, non indicando l’agronomo fonti

ufficiali o studi di settore a sostegno della percentuale stimata, comprensiva a

suo dire di giacenze da moliture per conto terzi pagate in olio e vendute l’anno

successivo.

Ed ancora, l’agronomo “sorprendentemente” ha ritenuto di stimare

ulteriori guadagni derivanti da una attività secondaria di coltivazione di

agrumi, per totali €. 1.891.826 (volume d’affari di totali €.3.027.360,00- costi

di manodopera per totali €.1.135.434), attività cui non si è mai fatto accenno

neppure da parte dei consulenti della difesa nell’ultimo elaborato a firma dei

dott. (omissis), stimando altresì una produttività medio-alta spalmata per gli

anni dal 1978 al 2005, senza corredare l’elaborato di fonti ufficiali dei prezzi

del prodotto né del piano ismea che ha affermato di avere utilizzato (c’è solo

una paginetta allegata di cui si sconosce la provenienza).

Così riassunti gli esiti peritali e dell’esame del ctu tassone, osserva il

Collegio che non può tenersi in alcun modo conto di tale parte dell’elaborato

in quanto non supportata da dati certi in ordine alla caratterizzazione come

agrumicola dell’azienda del proposto né per datare l’inizio di tale attività

eventualmente secondaria (dalla visura camerale risulta iscritta l’attività

secondaria di coltivazione di frutti non oleosi dal 1995 mentre dalla

documentazione prodotta dalla difesa risalirebbero agli anni 2002-2003 le

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prime domande di aiuto comunitario per gli agrumi).

A fronte delle lacune nell’elaborato del dr. (omissis), che da un lato

afferma di avere tenuto in considerazione una realtà aziendale stakeholder e

dall’altro non ha saputo indicare i dati documentali sulla cui base ha

ricostruito la specifica realtà riferendo genericamente “ho assunto

informazioni, io sono figlio di uno che faceva questo mestiere, faceva

l’agronomo, e all'epoca io aiutavo papà in queste attività”, lo sforzo del

Tribunale deve essere quello di pervenire egualmente a quella ricostruzione

più realistica degli utili netti dell’attività di impresa agricola olearia per cui si

era deciso di disporre consulenza tecnica d’ufficio, aggangiandola ai dati certi

e/o non contestati emersi comunque nel corso dell’istruttoria compiuta.

In primo luogo, a dispetto di quanto affermato dai ctu (omissis),

dall’incrocio tra i dati catastali relativi ai fondi coltivati dal proposto

emergenti dalla relazione di (omissis) con quelli relativi ai fondi coltivati

dalle aziende dei figli tratti dalla relazione degli amministratori giudiziari

(l’ultima in ordine temporale quella a firma del Dr. agronomo (omissis)

acquisita all’udienza del 29.1.2016), emerge l’omogeneità spaziale in

termini di capitale fondiario tra l’azienda esercitata dal proposto fino

all’anno 2005 e quella avviata dal figlio (omissis) nell’anno 2006 che è

subentrato al padre nella coltivazione di tutte le superfici in Melicucca,

Gioia Tauro e Borgia (si rimanda al confronto tra l’elencazione delle

particelle coltivate dal proposto nell’elaborato di (omissis) e la relazione

degli amministratori).

La circostanza è riconosciuta nella stessa relazione dei ctp (omissis)

allegata alla relazione del Dr. (omissis) in cui si legge “L’attuale situazione

agronomica dell’azienda (intendendo quella di (omissis) ) si discosta poco

da quella del periodo in cui la conduceva il Sig. (omissis), anche se nel

tempo sono stati eseguiti dall’attuale conduttore Matteo (omissis) interventi

di sistemazione..(omissis).Alle piante è stata eseguita una potatura di riforma

ma non è stato incrementato il loro numero”.

Partendo dal dato della omogeneità spaziale ed anche colturale e di

macchinari, ritiene poi il Tribunale che non può ragionevolmente sostenersi

la non comparabilità tra i volumi d’affari dichiarati dal figlio (omissis) jr negli

anni dal 2006 al 2011 (peraltro con superficie coltivata in ettari maggiore) e

quelli dichiarati dal padre in relazione ai medesimi fondi negli anni 2000-

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2005, apparendo sul punto generiche le asserzioni del dottore Tassone circa

un presunto ingresso di olio dalla Turchia nell’anno 2004 che avrebbe segnato

un crollo del mercato dell’olio (in realtà l’olio dalla Turchia arrivava già nei

primi anni ’90 sotto forma di contrabbando, come evidenziato dalle vicende

del processo di Trani a carico del proposto).

Per gli anni immediatamente precedenti la nascita dell’impresa agricola

del figlio (omissis) sussiste dunque anche una omogeneità temporale, per cui è

logicamente sostenibile sulla scorta del confronto dei valori di volumi d’affari

dichiarati dal proposto e dal figlio Matteo Giuseppe sopra operato l’abnormità

(ossia la non corrispondenza alla realtà in quanto frutto di fatturazioni false)

dei primi, dunque la loro inattendibilità nella ricostruzione dei redditi

dell’attività agraria, ma anche l’inattendibilità del dato di resa media stimato

dall’agronomo Tassone.

Basti osservare che a fronte di ricavi medi per ettaro emergenti dal volume

d’affari/corrispettivi dichiarati dal proposto per gli anni 2000-2005 di circa

9800 €/ha su ettari coltivati 146,29 (v. pagina 10 degli esiti della delega

depositati dal Pm all’udienza del 16 ottobre 2015), l’azienda del figlio

(omissis) ha dichiarato un volume d’affari su una superficie coltivata di circa

158 ettari con una resa media di €.2543,00/ha (quasi un terzo di quella stimata

dall’agronomo (omissis) per un trentennio), raggiungendo un picco nell’anno

2007 di €.4641,91/ha.

In ogni caso, l’omogeneità spaziale da sola consente di superare il dato medio statistico

di concentrazione di piante ad ettaro adottato dal ctu (omissis) (258 piante/ha), che pure

avrebbe potuto assolvere all’incarico assegnatogli contando il numero esatto di piante

allargando l’immagine delle ortofoto acquisite, utilizzando il dato reale di concentrazione

piante per ettaro emergente dalla relazione dell’amministratore giudiziario acquisita

all’udienza del 29.1.2016.

A tal riguardo, va sottolineata la posizione di assoluta terzietà dell’amministratore

giudiziario in quanto pubblico ufficiale che ha agito nell’espletamento delle attività di

descrizione, custodia ed amministrazione del patrimonio sequestrato, in ragione della quale è

stata disposta l’acquisizione della relazione descrittiva dei fondi all’udienza del 29.1.2016.

Sommando il numero totale di piante esistenti sui fondi gestiti oggi da (omissis) e prima dal

padre, tratto dalla relazione dell’amministratore giudiziario citata, e dividendolo per gli ettari

coltivati si ottiene una concentrazione di 140 piante/ha (arrotondata in eccesso e favorevole al

proposto in quanto su alcuni fondi sono stati realizzati nel ‘97 e nel 2002 nuovi impianti in aree

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che non erano coltivate ed infittimenti in altre che hanno portato incremento, per cui le piante

ante 1996 erano di numero inferiore), ossia quasi la metà del numero di piante presa da Tassone

come dato di partenza del suo calcolo della resa media per ettaro e spalmato su un trentennio.

Assumendo per validi gli altri parametri utilizzati dall’agronomo Tassone

(produzione 60kg di olive a pianta, resa del 20%, prezzo olio €.1,91 kg), senza

le giacenze in assenza di dati di riscontro, ed utilizzando quale dati certi il numero

di ettari coltivati ad uliveto indicato nella relazione dei ctp (omissis) (più

favorevole perché maggiore alla S.A.U. calcolata da (omissis)) ed il numero di

piante tratto dalla relazione degli amministratori giudiziari richiamata si ottiene,

per gli anni 1984 (a partire dal quale il capitale fondiario acquisisce una

consistenza tale per cui l’azienda comincia a produrre utili, come asserito

dall’agronomo Tassone, secondo cui prima i redditi netti erano pari a zero) e fino

al 2005 (in cui il proposto cessa la sua attività di impresa individuale), un dato di

ricavi olio al lordo della manodopera pari a complessivi € 11.078.385,02, come

da tabella che segue (a fronte di un volume d’affari/corrispettivi dichiarati dal

1986 al 2005 pari a €. 23.377.685,15).

Dal dato dei ricavi così ottenuto bisogna, ovviamente, detrarre i costi di

manodopera, non potendosi assumere il dato finale dell’agronomo Tassone in

quanto evidentemente agganciato al numero di piante per ettaro maggiore dallo

stesso utilizzato, per cui sulla scorta della omogeneità fondiaria con l’azienda del

figlio (omissis) appare maggiormente realistico calcolare il costo di manodopera

sulla base della incidenza percentuale del 53,36% rilevata quale media del costo

di manodopera desumibile dai modelli 770 dell’azienda del figlio in rapporto al

fatturato realizzato nel periodo 2006/2011 (v. sopra).

Si ottiene la seguente tabella:

anno ettari

(omissis) (LIA)

piante

(Amministratori)

produzione

(omissis)

olio prodotto

(omissis)

ricavi olio

(omissis)

Manodopera

53,36%

Utili

(53,36 %)

1984 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

1985 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

1986 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

1987 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

1988 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

1989 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

1990 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83

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1991 173,0697 24.229,76 1.453.785,48 290757,096 € 552.438,48 € 294.781,17 € 257.657,31

1992 142,3428 19.927,99 1.195.679,52 239135,904 € 454.358,22 € 242.445,54 € 211.912,67

1993 142,3428 19.927,99 1.195.679,52 239135,904 € 454.358,22 € 242.445,54 € 211.912,67

1994 142,3428 19.927,99 1.195.679,52 239135,904 € 454.358,22 € 242.445,54 € 211.912,67

1995 158,5218 22.193,05 1.331.583,12 266316,624 € 506.001,59 € 270.002,45 € 235.999,14

1996 158,5218 22.193,05 1.331.583,12 266316,624 € 506.001,59 € 270.002,45 € 235.999,14

1997 140,5039 19.670,55 1.180.232,76 236046,552 € 448.488,45 € 239.313,44 € 209.175,01

1998 140,9018 19.726,25 1.183.575,12 236715,024 € 449.758,55 € 239.991,16 € 209.767,39

1999 143,6853 20.115,94 1.206.956,52 241391,304 € 458.643,48 € 244.732,16 € 213.911,32

2000 143,6853 20.115,94 1.206.956,52 241391,304 € 458.643,48 € 244.732,16 € 213.911,32

2001 143,6853 20.115,94 1.206.956,52 241391,304 € 458.643,48 € 244.732,16 € 213.911,32

2002 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00

2003 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00

2004 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00

2005 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00

€ 11.078.385,024 € 5.911.426,25 € 5.166.958,78

Inserendo il dato di “reddito derivante dall’attività agricola” calcolato secondo il procedimento

sopra illustrato agganciato a dati certi ed incontestati (estensione ettari coltivati e concentrazione

piante per ettaro), senza tenere conto degli ulteriori costi ed imposte riportate nelle dichiarazioni

fiscali presentate da (omissis) per l’attività agricola (operando pertanto, nel senso più favorevole

4 Ad un utile lordo sostanzialmente coincidente (€.11.635.832,4) si perviene sommando al reddito netto per la produzione olivicola calcolata secondo i parametri del ctu (omissis) ma senza le giacenze e con il numero esatte di piante per ettaro riscontrato dagli amministratori giudiziari (140/ha) pari a € 8.608.472,38 ( come da tabella che segue), il valore della produzione agrumicola stimata dal ctu Tassone (omissis) per totali €.3.027.360,00.

di totale piante per ettaro 140

totale di ettari (SAU) 2.683

totale Piante considerate 375.588

sa totale in KG per pianta 60

totale Kg di olive prodotte 22.535.268

totale olio prodotto (KG) con resa del 20% 4.507.054

va valore della produzione al prezzo di 1,91 Kg/olio € 8.608.472,38

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al proposto), nella tabella finale redatta dalla Dr.ssa (omissis) comprensiva degli altri redditi

dichiarati dal proposto e dai suoi familiari si ottengono i seguenti valori.

Anno

A B C D E F

Reddito Netto

Familiare

Spesa Media

Familiare ENTRATE USCITE A-B+C-D Saldo Scalare

1978 - 3.355,44 - 63.989,00 -67.344,44 -67.344,44

1979 - 4.584,00 1.032,91 62.250,23 -65.801,32 -133.145,76

1980 - 6.038,44 - 14.288,64 -20.327,08 -153.472,84

1981 - 7.334,48 25.577,01 14.254,20 3.988,33 -149.484,51

1982 - 8.856,52 - 79.937,59 -88.794,11 -238.278,62

1983 - 9.647,44 - 64.273,03 -73.920,47 -312.199,09

1984 267.141,83 10.527,68 - 16.097,94 240.516,21 -71.682,88

1985 297.158,31 12.741,48 3.718,48 - 288.135,31 216.452,43

1986 305.505,28 14.224,84 - - 291.280,44 507.732,87

1987 278.424,34 14.822,24 155.324,07 15.596,98 403.329,19 911.062,06

1988 289.614,42 16.024,60 31.768,42 24.445,43 280.912,81 1.191.974,87

1989 296.929,52 18.193,68 198.953,14 8.387,06 469.301,92 1.661.276,79

1990 292.354,74 19.346,40 28.405,12 588.903,33 -287.489,87 1.373.786,92

1991 257.657,31 20.930,88 29.213,50 906.517,69 -640.577,76 733.209,16

1992 226.858,94 21.306,84 250.905,00 837.006,18 -380.549,08 352.660,08

1993 225.916,92 20.976,40 333.857,41 24.325,11 514.472,82 867.132,90

1994 225.217,63 22.907,92 138.638,54 1.261.340,98 -920.392,73 -53.259,83

1995 251.669,46 23.482,20 1.082.365,24 1.760.449,72 -449.897,22 -503.157,05

1996 235.999,14 23.990,40 950.886,59 1.612.763,19 -449.867,86 -953.024,91

1997 209.175,01 26.499,32 1.803.457,07 2.420.891,70 -434.758,94 -1.387.783,85

1998 343.721,33 28.698,76 236.603,55 94.008,06 457.618,06 -930.165,79

1999 239.527,59 26.030,12 2.320.164,84 1.787.377,79 746.284,52 -183.881,27

2000 231.261,18 28.872,56 1.299.476,49 1.987.390,68 -485.525,57 -669.406,84

2001 239.437,75 28.332,20 1.325.999,05 3.036.063,86 -1.498.959,26 -2.168.366,10

2002 268.843,00 26.856,48 1.076.504,94 884.600,00 433.891,46 -1.734.474,64

2003 257.847,00 27.963,56 616.067,03 1.240.490,00 -394.539,53 -2.129.014,17

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2004 256.440,00 30.114,32 1.545.615,71 1.335.705,52 436.235,87 -1.692.778,30

2005 -42.535,00 31.009,60 967.800,42 3.351.252,05 -2.456.996,23 -4.149.774,53

2006 356.636,00 29.160,08 2.082.694,34 3.083.440,07 -673.269,81 -4.823.044,34

2007 1.037.757,

00 29.530,56 7.304.713,89 9.356.326,00 -1.043.385,67 -5.866.430,01

2008 477.306,00 34.568,00 3.379.548,46 5.296.490,00 -1.474.203,54 -7.340.633,55

2009 241.711,00 33.548,00 4.517.126,21 7.529.753,50 -2.804.464,29 -10.145.097,84

2010 283.811,00 34.212,00 3.701.915,33 2.111.239,51 1.840.274,82 -8.304.823,02

2011 263.869,00 34.536,00 1.446.970,43 755.788,00 920.515,43 -7.384.307,59

8.115.255,70 729.223,44 36.855.303,19 51.625.643,04 -7.384.307,59 -7.384.307,59

Il dato significativamente negativo del saldo a scalare (- €. 7.384.307,59) non è inficiato nella

sua valenza –ulteriormente- indiziaria della provenienza illecita del patrimonio accumulato dal

proposto dalla presenza in alcuni dei primi anni di un saldo annuale e scalare positivo, in

considerazione di una molteplicità di fattori concorrenti di cui occorre tenere conto e che

certamente vanno ad incidere in senso deteriore sui redditi derivanti dall’attività agricola e

conseguentemente sulla entità delle entrate lecite computabili, quali:

1) il prezzo dell’olio fornito dal ctu (omissis) (pari a 1,91 kg/olio) è un prezzo medio per il

trentennio globalmente considerato dal ctu, quindi sicuramente il prezzo dell’olio nei primi anni in

cui il proposto ha iniziato la sua scalata imprenditoriale era significativamente più basso (sul punto

si rimanda alla ctp dei dott. (omissis) che stimava un prezzo medio dell’olio dal 1978 al 1985 di €.

1,3410 kg/olio e dal 1986 al 2005 di €.1,91 Kg/olio);

2) nel calcolo degli utili netti di cui alla ricostruzione operata dal Collegio secondo i dati reali

acquisiti non si è tenuto conto della incidenza dei costi di gestione/acquisti diversi dalla

manodopera (trasporti, benzina, macchinari, etc..), che secondo quanto rilevato dagli stessi studi

statistici citati dal ctu (omissis) incidono in misura pari al 30% sul totale dei costi dell’impresa

agricola, come confermato anche dal dato dei costi dichiarati negli anni dal proposto5 e dall’esame

della incidenza media del 20-25% dei costi diversi dalla manodopera sul fatturato/volume d’affari

dichiarati dal figlio del proposto (omissis);

3) la accertata non rispondenza alla realtà dei traffici economici dell’impresa agricola del

proposto del volume di affari/fatturato dichiarato non consente di computare tra le entrate lecite i

5 Si rimanda ai dati riassunti sopra alla pagina 95 e ss, con acquisti dichiarati per gli anni

1986/1989 per una media di oltre 75.000 €. Annui.

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contributi comunitari percepiti perché –appunto- agganciati ad un volume d’affari che si è accertato

essere anche solo in parte gonfiato6.

Sul punto va replicato alla obiezione della difesa, secondo cui i contributi erano agganciati non

al fatturato ma ai modelli F, che lo stesso ctu (omissis) ha dichiarato che i modelli F a lui esibiti

per un decennio dal 1985 erano “spinti”, evidentemente per lucrare indebiti contributi comunitari,

finanche rispetto al volume d’affari “ottimale” stimato dallo stesso ctu e che, come si è detto, non

è stato recepito per evidenti limiti di aderenza alla realtà fondiaria dell’impresa del proposto.

Si riproducono le somme percepite a titolo di contributi comunitari tramite le associazioni di

categoria e direttamente dall’Agea per gli anni 1987-2004 (come da documentazione della difesa),

considerate tra le entrate nella predetta tabella, ma evidentemente da espungersi in quanto ottenute

con meccanismi fraudolenti:

Anno 1987: euro 155.324,07

Anno 1988: euro 31.768,42

Anno 1989 : euro 198.953,14

Anno 1991 : euro 11.372,76

Anno 1992: euro 250.905,00

Anno 1993: euro 333.857,41

Anno 1995: euro 151.667,72

Anno 1996: euro 950.886,59

Anno 1997 : euro 336.461,25

Anno 1998 : euro 236.603,55

Anno 1999 : euro 1.201.869,91

Anno 2000 : euro 963.779,51

Anno 2001 : euro 832.293,63

Anno 2002 : euro 977.606,37

Anno 2003 : euro 665.580,35

Anno 2004 : euro 845.615,71

Totali: 8.144.545,39

La sproporzione aumenta ulteriormente se si inseriscono tra le uscite le somme sopra quantificate

versate nella (omissis) a titolo finanziamento soci e versamento conto futuro aumento di capitale dal

socio di minoranza (omissis) SA, che come si è detto è una propalazione dei “soci” in affari (omissis),

6 Si richiama quanto emerso nel corso degli accertamenti sul reale volume d’affari

effettuati dalla p.g. e confluiti nel procedimento n.214/95 Palmi (vicenda c.d. (omissis)) ossia che

numerosi tra i clienti della ditta individuale del proposto risultanti dai registri Aima, che all’epoca

erogava gli aiuti all’agricoltura, avevano dichiarato di non aver intrattenuto rapporti con il proposto

o di avere venduto o acquistato dallo stesso quantitativi di olio inferiori a quelli dichiarati.

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(omissis) e (omissis), da imputarsi al proposto se non per la sua quota ufficiale di partecipazione

alla (omissis) quantomeno per quella di un terzo7.

Del resto, l’esistenza di un patrimonio (rappresentato da immobili, denaro, titoli, partecipazioni

societarie) del valore di svariati milioni di euro supera oltre ogni limite la somma dei redditi percepiti

dal proposto e suoi stretti congiunti nel periodo temporale tutt’altro che limitato in cui è stata

accertata l’attività imprenditoriale illecita del proposto e manifesta qualcosa che è eufemistico

qualificare nei termini della mera sproporzione, rafforzando ulteriormente la ragionevole

presunzione della sua provenienza ed accumulazione da illecito.

Si ribadisce che, infatti, quello che rileva non è solo e tanto il dato finale di sproporzione ma

l’iter di formazione dell’ingente patrimonio accumulato, come sopra tracciato.

Ciò posto, sussistendo i requisiti della disponibilità e della provenienza illecita,

si impone la confisca delle ditte e delle società partecipate dal proposto e dalla

moglie e figli in misura pari al 100% (in tal caso estesa al patrimonio immobiliare

e conti correnti, indicati negli atti di esecuzione del sequestro) e pro quota, nonché

dei beni immobili, mobili e dei rapporti finanziari in sequestro con saldo attivo

superiore ad euro 1000,00 intestati al proposto nonché alla moglie ed ai figli in

relazione ai quali opera la presunzione legislativa di cui all’art. 19, terzo comma,

del D.Lgs. 159/2011.

In ordine alla confisca della quota di partecipazione pari al 44,52% del

proposto nella (omissis) Spa (ammessa alla procedura di concordato preventivo

con decreto del 25-27 marzo 2015 emesso dal Tribunale di Teramo-Sezione

Fallimentare), si osserva che la società detiene quote di partecipazione in varie

altre società del gruppo, e precisamente: quote nominali pari ad € 4.000,00

corrispondenti al 100% del capitale sociale dichiarato della società a responsabilità

limitata (omissis) S.R.L. e quote nominali pari ad € 8.314.956,00 pari al 100% del

capitale sociale della società a responsabilità limitata (omissis) S.R.L (che a sua

volta detiene il 100% delle quote della (omissis) srl e la quota del 50% della

(omissis) srl); quote nominali pari ad € 3.000,00 del capitale sociale della società

a responsabilità limitata (omissis) S.R.L.(pari al 30% del capitale sociale) e quote

7 Si riportano le somme uscite dalla (omissis) e confluite nella (omissis) Spa a titolo di versamento in

conto futuro aumento di capitale e finanziamento soci:

Anno 2001: €. 2.045.169,32 e €. 510.000;

Anno 2002: €. 903.000,00, €. 1.150.000,00, €. 1.650.000,00, €. 1.000.000,00, €. 550.000,00, €. 1.800.000,00.

Anno 2006: €. 1.500.000,00, €. 950.000,00, €. 300.000,00.

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nominali pari ad € 3.000,00 del capitale sociale dichiarato della società a

responsabilità limitata (omissis) S.R.L..

Ciò premesso, osserva il Collegio che essendo il proposto titolare di una quota

consistente ma comunque minoritaria di partecipazione alla (omissis) Spa, ossia

che non assicura le maggioranze che sulla base delle disposizioni del codice civile

consentono di esercitare il controllo sulla (omissis) Spa, e non essendovi elementi

sulla cui scorta sostenere che (omissis) abbia il controllo di fatto della totalità delle

quote anche a lui non direttamente intestate, non è possibile estendere la confisca

ad una quota parte ( calcolata dall’organo proponente tenendo conto della

percentuale detenuta dal proposto nella controllante) delle quote detenute da

(omissis) Spa nelle società controllate o collegate. Ed infatti, il diritto alla quota,

che ha natura obbligatoria, attiene alla posizione dei singoli soci ed ha ad oggetto,

non una frazione ideale degli elementi attivi del patrimonio sociale (tra cui sono

da ricomprendere le partecipazioni in società controllate e collegate iscritte in

bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie e valutate per un importo pari alla

frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio), ma una percentuale

degli utili di ogni esercizio e l’eventuale eccedenza attiva in caso di liquidazione

((Cass. Pen. n. 668/1994). La titolarità dei diritti relativi alla quota confiscata

consente all’amministratore giudiziario di vigilare sull’andamento dell’azienda,

azionando i rimedi civilistici previsti per la tutela del socio di minoranza.

Non ravvisandosi alcuna convenienza nell’apprensione allo Stato, va

confermato il rigetto della proposta con riferimento alle quote delle seguenti

società, trattandosi di quote di minoranza di società in liquidazione, per le

quali dunque l’apprensione alla procedura appare antieconomica, in quanto

allo stato è presumibile che la partecipazione in forma minoritaria alla fase

di liquidazione produrrebbe costi superiori agli eventuali utili: quota di euro

4.900,00 (e corrispondente porzione del patrimonio aziendale) di proprietà

della (omissis) Srl, detenuta nella (omissis) Srl (Cf.(omissis) ); quota di euro

4.900,00 di proprietà della (omissis) Srl, detenuta nella (omissis) Srl

(Cf.(omissis) ; n. 16 della proposta), in liquidazione; quota di euro 1.700,00 (e

corrispondente porzione del patrimonio aziendale) di proprietà di (omissis)

nonché quota di euro 1.700,00 (e corrispondente porzione del patrimonio

aziendale) di proprietà di (omissis), detenute nella “(omissis) Srl” (Cf.

(omissis); n. 18 della proposta) in Liquidazione.

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Per la medesima valutazione di difetto di utilità dell’apprensione va rigettata la proposta, e

conseguente disposto il dissequestro:

-della C(omissis) SRL” (P.I. (omissis) ), posta in liquidazione con atto del 30.11.2011 ma

già inoperativa da anni, nel cui patrimonio non risultano beni immobili ma solo beni mobili

registrati privi di valore per vetustà ed un conto corrente presso la filiale della Banca Tercas, di

Teramo con saldo a debito di Euro 152,51 (v. relazione amministratori);

-della quota del 70% intestata al proposto nella “(omissis) SRL” con sede in Gioia Tauro

(RC), P.I. (omissis) , società inattiva e in liquidazione dal 29.7.2013, nel cui patrimonio non

risultano beni immobili e beni mobili registrati;

-della quota di minoranza proprietà della (omissis) SRL, detenuta nella “(omissis) SRL” con

sede in Ravenna (RA), P.I. (omissis), in operativa già all’epoca del sequestro e successivamente

cancellata dal registro imprese;

In ragione della data risalente di immatricolazione e, dunque, dell’assenza di valore di mercato,

va rigettata la proposta e disposto il dissequestro anche dei beni mobili di cui ai punti 1,2,3,4,5 e 6

del decreto di sequestro, disponendo la confisca dei restanti beni mobili registrati indicati in

proposta di più recente immatricolazione e dunque dotati di un apprezzabile valore di mercato.

Motivi di gravame

In relazione al versante patrimoniale della proposta, gli atti di gravame

redatti e la memoria depositata deducono innanzitutto l’opposizione

all’acquisizione della relazione dell’amministratore giudiziario (omissis),

ritenuta arbitraria in quanto il professionista non può essere qualificato né

un perito, né un teste esperto, non avendo prestato il giuramento di rito e non

essendo stato lo scritto del dott. (omissis) oggetto di contraddittorio, peraltro

considerando che il predetto aveva ragioni di inimicizia con il proposto e i

familiari, che più volte lo avevano denunciato. Inoltre, si afferma che le

dichiarazioni dei redditi sono state valutate con approccio privo di

competenze disciplinari e pretendono di capovolgere l’onere probatorio,

atteso che il giudice vorrebbe che si decurtassero le cifre dichiarate, la cui

anomalia dovrebbe essere dimostrata dall’accusa. Perplessità si esprimono

poi in ordine alla asserita distorta lettura della rogatoria che involge la Wave

Investments(omissis), trattandosi di fatti che non lambiscono la persona del

proposto. Si evidenzia poi che il primo giudice ha smentito il suo stesso

perito, dott. (omissis) in relazione alla cui segnalata presenza di agrumeti

nessun accertamento si è ritenuto di disporre. Si contesta, ancòra una volta,

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l’acquisizione della relazione (omissis) e si segnala la straordinaria capacità

di esaminare oltre 400 ettari di terreno, senza nulla riferire in ordine alla

tempistica di tale accertamento che, si sospetta, sia stato espletato tra la data

del deposito della perizia (omissis) (29 dicembre 2015) ed il 26 gennaio 2016,

data di presentazione dell’elaborato. Si segnala che comunque il dato

dell’esistenza di agrumeti era già noto agli atti, tanto che gli stessi

amministratori giudiziari avevano ottenuto l’autorizzazione al taglio degli

stessi, per la sostituzione con piante di kiwi. In ogni caso il numero delle

piante rilevate dagli amministratori è in contrasto con quanto risulta dal

verbale di constatazione elevato nel 1999 dal Ministero delle Politiche

Agricole, nel quale si dà atto della corrispondenza tra quantità di olio

prodotto e quantitativi di olio venduto; congruità della manodopera

impiegata nella coltivazione dei fondi olivetati e delle spese inerenti

l’impiego delle attrezzature e dei prodotti impiegati per la coltivazione dei

fondi; corrispondenza tra le particelle indicate e quelle riscontrate nel corso

del sopralluogo effettuato. Da ciò emerge quindi, prosegue l’atto di gravame,

che il numero medio delle piante a suo tempo riscontrato è superiore di circa

il 20% rispetto a quello rilevato dagli amministratori circa 17 anni dopo.

Dalla comunicazione dell’AGEA dell’anno 2005 si evince che il numero

medio di piante è pari a 205 per ettaro, a fronte di una concentrazione di solo

140 piante rilevata dai custodi giudiziari.

Si sottolinea altresì che il Tribunale ha disatteso le conclusioni di ben

due periti dallo stesso nominati, in ordine ai costi di manodopera, finendo

per asseverare apoditticamente le conclusioni dell’organo investigativo che

smentisce la stessa risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale

gli aiuti comunitari alla produzione di olio di oliva sono da annoverare tra i

ricavi di esercizio. Si contesta poi la scelta di adottare, per il costo della

manodopera, il metodo della sovrapposizione temporale dell’incidenza dei

costi dell’impresa individuale di (omissis), figlio del proposto, affermando

che i guadagni di quest’ultimo sono ottenuti anche attraverso la vendita di

olive e non esclusivamente di olio. Si deduce quindi che l’erroneità nella

determinazione del costo della manodopera ha fatto sì che venissero

indebitamente decurtati i redditi dichiarati dal proposto, in misura di

percentualmente elevata, in violazione dell’art. 24 del codice antimafia, che

prescrive la verifica della relazione reddito-patrimonio, in ragione di quanto

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dichiarato. Il primo giudice, inoltre, ha omesso di considerare che il fatturato

dell’impresa agricola è influenzato non solo dalla produzione ma anche dagli

anticipi e dagli acconti ricevuti, così come dalla giacenze di olio rilevati a

fine esercizio. Risulta smentito in sede di confisca quanto già ritenuto

all’atto del sequestro: infatti in precedenza si fonda la presunta

sperequazione su un costo esorbitante e non veritiero della manodopera,

laddove con il decreto impugnato si contestano i ricavi riducendoli

sostanzialmente e ribaltando l’onere della prova sul proposto, che si vede

costretto a provare un fatto negativo, in spregio al principio civilistico

secondo cui la contabilità fa fede contro l’imprenditore. L’intero percorso

logico deduttivo è inficiato da presunzioni, non essendo rinvenibili dati certi

cui ancorare le valutazioni probabili, che quindi difettano di attendibilità. La

DIA ha infatti ignorato il dato del costo della manodopera risultante dai

modelli 770 del sostituto d’imposta, già versati in atti.

Si confutano poi specificamente alcuni dati: non si è tenuto conto che per

l’inizio dell’attività lavorativa, avvenuto nel 1981, come da attestazione

della Camera di Commercio, (omissis) riceveva dalla BNL nel 1982 un

finanziamento di circa 123.000,00, sicchè nell’anno 1984 il saldo negativo

di 71.000,00 euro circa, diviene positivo per circa 52.000,00 euro. Sulle

cessione delle quote della (omissis) s.r.l. dal (omissis) in favore di (omissis)

e (omissis) per un ammontare di 816.000,00 euro, si segnala che la

considerazione del Tribunale che asserisce una responsabilità

dell’amministratore che non azioni un credito derivante da un’operazione di

tale portata non tiene conto che trattasi di interessi civilistici e che tale

affermazione non vale in una società a ristretta base familiare, in cui la

legittimazione ad agire compete ai soci o ai creditori eventualmente lesi. In

ogni caso, il primo giudice ha disatteso la stessa affermazione del perito

dott.ssa (omissis), secondo cui non è stata sostenuta negli anni oggetto di

esame contabile la somma di euro 800.000,00 da parte di (omissis) e

(omissis), inserendo il Tribunale la somma di euro 671.720,00 nella

sperequazione. Sulla somma di euro 2.500.000,00 concernenti la cessione di

quote della s.r.l. (omissis), ritiene la difesa non debba accertarsi se si tratti

di somma lecita o meno, ma se la stessa abbia in concreto determinato

“spostamenti patrimoniali” che siano stati causa di indebito arricchimento

del proposto, tali da influenzare la tabella sperequativa dei redditi. I periti e

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i consulenti che si sono interessati della presente vicenda sono stati concordi

nel ritenere che una somma che “transita” meramente da un conto corrente

a un altro non ha alcun rilievo patrimoniale e reddituale. In ordine poi alla

(omissis) ed ai finanziamenti dei soci attribuiti al proposto nel 2009, la difesa

rileva che, per come si evince dalla copia autenticata del libro giornale

consegnato al perito, il finanziamento in questione non è stato effettuato da

(omissis). Si riportano quindi le considerazioni svolte sul punto dai

consulenti di parte, i quali affermano che i versamenti in questione sono stati

inconfutabilmente eseguìti nel 2003 e nel 2004, dalla (omissis) , sicchè non

può attribuirsi ad (omissis) nel 2009 un’uscita finanziaria mai sostenuta e che

non trova riscontro nella documentazione bancaria e contabile della (omissis)

. In realtà si è trattato di un finanziamento intervenuto nel 2003 e 2004 da

parte del socio (omissis) , erroneamente contabilizzato dalla (omissis) tra i

debiti verso finanziatori, successivamente nel 2008 (in contabilità) e nel

2009 (in una nota integrativa) la (omissis) ha provveduto mediante una

scrittura contabile a girocontare il finanziamento in questione dal conto

debiti verso finanziatori, che conseguentemente è diminuito, a debiti verso

soci che è aumentato. Infine si osserva che ben tre perizie d’ufficio hanno

ricostruito il patrimonio prodotto negli anni da (omissis) , riconoscendone la

liceità.

Con la memoria depositata in atti si richiamano i princìpi statuiti dalla

sentenza di legittimità n, 4880 ric. Spinelli, in relazione all’ambito

cronologico di esplicazione della pericolosità, in rapporto al momento di

acquisizione dei beni. Si contesta l’affermazione del primo giudice secondo

cui la pericolosità sociale del proposto abbraccia l’intero suo percorso

imprenditoriale, sottolineando la contraddittorietà insita nella concessione

della sospensione condizionale della pena concessa nel medesimo contesto

temporale in cui invece il proposto si valuta socialmente pericoloso. Si

rammenta poi che la misura cautelare domiciliare applicata l’8 giugno 1996

ha segnato di fatto un’ulteriore cesura della sociale pericolosità del proposto,

mentre la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Teramo impone

quantomeno una retrodatazione del momento finale della medesima

pericolosità. Pertanto non possono essere confiscate le acquisizioni

patrimoniali intervenute in una fase cronologica in cui il soggetto non era

pericoloso. In relazione, poi, alla presunzione legislativa di cui all’art. 19

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comma 3 d.l.vo n. 159/2011, che il Tribunale ha affermato essere operante

con riferimento alla moglie e ai figli del proposto, si osserva che tale asserita

presunzione non trova conferma nella legge ma è frutto dell’elaborazione

giurisprudenziale sviluppatasi sul precedente art. 2 bis comma 3 l. n 575/65,

in ogni caso detta presunzione non ha avuto nella stessa giurisprudenza un

riconoscimento pacifico, inoltre è stata utilizzata pressocchè soltanto in

procedimenti di prevenzione riguardanti gli indiziati di appartenere alle

associazioni mafiose e risulta superata dalla giurisprudenza più recente, che

ha preso atto dell’introduzione del comma 14 all’art. 2 ter della l. n. 575/65.

La stessa giurisprudenza citata dal Tribunale si esprime nel senso di

riconoscere l’esistenza attuale della sola presunzione testè citata, ora trasfusa

nell’art. 26 comma 2 d. lgs. 159/2011. Il primo giudice non avrebbe potuto

quindi operare un’inversione dell’onere della prova a carico della moglie e

dei figli del proposto, i cui beni quindi devono essere esclusi dall’ablazione.

Si richiamano poi integralmente le note tecniche integrative a firma dei

consulenti di parte (omissis).

Nell’interesse di (omissis), si deduce che egli ha avviato la sua attività

nel 2005, stipulando un contratto di affitto nel 2006, che lo autorizzava ad

apportare tutte le modifiche necessarie al fondo, potendo beneficiare delle

iniziative previste dalle norme comunitarie. All’atto dell’inizio dell’attività

(omissis) ha ricevuto in donazione da parte dello zio (omissis) e del nonno

((omissis) ) i titoli abilitanti agli aiuti comunitari. Si indicano i redditi

conseguìti negli anni da (omissis), anche considerando i costi per la

manodopera, concludendo per la presenza di un utile di circa 3 milioni di

euro. Si riportano altresì gli investimenti effettuati dall’appellante attraverso

la costituzione di nuove società o l’acquisto di quote di società già esistenti.

Si conclude quindi evidenziando che (omissis) non ha avviato la propria

attività per il tramite del proprio genitore, (omissis) , proposto, non ha avuto

alcun rapporto economico con lo stesso, mantenendo la propria opera

autonoma e distinta da quella del padre.

Per quanto attiene a (omissis) e (omissis), rispettivamente figlio e moglie

del proposto, l’atto di gravame rileva la duplice carenza di indagine in merito

alla disponibilità dei beni in capo al proposto, nonché in ordine all’incapacità

economica dei terzi intestatari di potere acquisire il bene stesso. Si segnala

altresì l’omessa determinazione del momento temporale in cui si sono

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verificate le operazioni economiche che hanno legato il ricorrente al

proposto. Non risulta alcun elemento che consenta di rivelare un rapporto

tra il proposto e il terzo, tale da dimostrare che il proposto sia in grado di

esercitare un potere di fatto sul bene, in vece del formale titolare del diritto.

Non è sufficiente la presunzione fondata sul rapporto familiare, laddove le

risultanze peritali dimostrano una sostanziale distinzione di attività in capo

ai terzi, rispetto all’operato del proposto. L’onere della prova grava

sull’organo proponente, una diversa lettura dell’impianto normativo

violerebbe i princìpi costituzionali. Per quanto attiene ad (omissis), non si è

tenuto conto che i beni allo stesso intestati trovano ampia e lecita

giustificazione nell’operato dello stesso che da giovanissimo ha seguìto le

orme familiari, avviando una propria azienda agricola, con inizio attività nel

2006, con sede in Giulianova (TE), iscritta quale impresa agricola alla

CCIAA di Teramo, a seguito di trasferimento da quella di Reggio Calabria,

nel 2011. (omissis) ha avviato l’attività mediante la stipula di un contratto di

affitto nel 2006, ricevendo in donazione dal padre i titoli abilitativi agli aiuti

comunitari, da quel momento la su attività è proseguìta in modo autonomo,

effettuando investimenti con i proventi della sua attività agricola,

investimenti peraltro di carattere modesto, non elevati a sospetto neanche

dall’organo proponente. Analoghe doglianze, afferma l’atto di gravame,

devono essere intese anche in relazione alla posizione della (omissis).

Valutazioni della Corte

Ritiene la Corte che debba essere integralmente condivisa la valutazione

del primo giudice, anche in relazione al versante patrimoniale della proposta

in esame. Invero, si osserva innanzitutto che il giudizio di sociale

pericolosità per come espresso e sopra argomentato connota di ricadute per

così dire inevitabili la valutazione in ordine alla confisca dei beni disposta

dal Tribunale. Infatti, se è vero che la pericolosità sociale

dell’Oliveri(omissis) si è manifestata proprio attraverso la costante attività

delittuosa produttiva di proventi economici illeciti, dallo stesso espletata

nell’ambito della sua attività imprenditoriale, è del tutto conseguenziale che

quanto finanziariamente lucrato mediante quell’attività fraudolenta (sia in

termini di risparmio e quindi di evasione di imposta, con le note statuizioni

di legittimità sul punto, sia in termini di pura e semplice illegittima esazione

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di agevolazioni comunitarie) è stato immesso nel circuito produttivo della

costellazione di aziende che costituivano l’universo imprenditoriale degli

(omissis), facendo sì che si attivasse quel meccanismo moltiplicatore che

consente una crescita esponenziale dell’impresa, che altrimenti non avrebbe

raggiunto quelle dimensioni notevoli che invece ha potuto conseguire. In

sostanza quindi la pericolosità si identifica e coincide con l’attività delittuosa

posta in essere nella conduzione delle imprese riconducibili al proposto, non

costtuisce quindi una condotta estranea e diversa ad essa, sicchè è

immanente nella reddittività che quelle imprese hanno generato e che quindi

rendono geneticamente illecito ex se il prodotto della loro attività, ossia le

risorse finanziarie derivanti da quelle imprese che si sono giovate delle

attività delittuose poste in essere. Sostanzialmente quindi le imprese del

proposto ed i beni ad esse direttamente o indirettamente collegabili, in

quanto si sono giovati dell’apporto delle prime, costituiscono lo strumento

mediante il quale (omissis) ha posto in essere le condotte illecite via via

emerse nel corso degli anni. E’ ben vero che la sentenza di legittimità n.

4880/2015 richiede che la pericolosità, in specie generica, debba essere

temporalmente delimitata, sicchè solo quei beni acquisiti all’interno del suo

perimetro possono formare oggetto di confisca, tuttavia, nella fattispecie in

esame, posto che la sociale pericolosità del proposto ha investito l’intero suo

percorso esistenziale, per come correttamente ritenuto dal Tribunale, alla

luce del coinvolgimento dell’(omissis) nei processi penali sopra riportati,

che lo hanno visto interessato sin dalle origini della sua storia

imprenditoriale e si è caratterizzato proprio nell’ambito di detta attività, è

evidente che non può operarsi alcuna distinzione, sotto tale profilo, tra

acquisizioni lecite e non, atteso che i beni oggetto di confisca ricadono tutti

nell’arco temporale nel quale il soggetto ha manifestato la sua pericolosità.

Da sottolineare la particolare valenza della circostanza per cui, da un volume

di affari sostanzialmente nullo ravvisabile negli anni 1978/1983, si passa ad

un’esplosione delle imprese del proposto a partire dal 1984, ossia proprio

dal periodo in cui iniziano le condotte di false fatturazioni sopra rammentate

e la significatività di tale dato è immediatamente percepibile.

Peraltro, devesi ancòra evidenziare, che consistendo i beni confiscati

nelle diverse società riconducibili al proposto ed ai suoi congiunti, i beni

medesimi devono essere considerati intrinsecamente illeciti, in quanto

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sviluppatisi mediante il ricorso alle attività delittuose di cui più volte si è

detto, sicchè, non può distinguersi, per evidenti ragioni di ordine tecnico-

aziendale, tra componenti sane e componenti inquinate dell’impresa, posto

che una volta immesso nel circuito economico produttivo il quantum di

provento illecito, si verifica una commistione di capitali non separabili e la

“quota” illecita apportata fa sì che, mediante l’effetto moltiplicatore di cui si

è detto, l’impresa si espanda in misura esponenziale, talchè l’inquinamento

provocato dai capitali illeciti immessi non può che essere travolgente e

omnipervasivo, facendo assumere connotazioni di illiceità derivata all’intero

complesso aziendale.

Ciò posto, atteso che la quasi totalità dei beni confiscati è costituita dalle

imprese e dal patrimonio aziendale delle medesime o comunque da beni ad

esse immediatamente ricollegabili, essendo come detto tali beni illeciti ex

se, in quanto geneticamente inquinati nella loro origine e nel loro sviluppo,

la Corte ritiene non in linea con tale premessa un’indagine che miri ad

accertare la proporzione o meno delle risorse in capo al proposto. Si

ribadisce, su un patrimonio illecitamente prodotto, per le ragioni

ampiamente argomentate, non può fondarsi un accertamento di congruità di

risorse che si rivela intrinsecamente fallace, perché basato su presupposti

non veritieri. Ritiene la Corte infatti che non possa metodologicamente

condividersi un accertamento che miri a verificare se il proposto avesse o

meno la disponibilità economica per effettuare le acquisizioni patrimoniali

oggetto di esame, una volta acclarato che l’iter di formazione di quel reddito

è viziato in sé, talchè detta illiceità originaria trascina con sé ogni successiva

derivazione che da essa promani. E’ chiaro infatti che un giudizio di

proporzione reddituale non può prescindere dalla liceità

dell’acquisizione delle grandezze che si considerano quale termine di

paragone, viceversa risultando non corretta un’indagine basata su

presupposti contrari all’ordinamento. A nulla varrebbe infatti tentare di

estendere la provvista finanziaria di cui poteva disporre il proposto e si suoi

più stretti congiunti se tali risorse provengono da imprese intrinsecamente

illecite perché inquinate nel loro percorso produttivo, tenuto conto peraltro

che le acquisizioni patrimoniali che si vuole sottrarre alla confisca sono

costituite per la massima parte da quelle imprese (e beni ad essa

riconducibili) che si sono formate e sviluppate con l’attività delittuosa di cui

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si è detto. Per come correttamente evidenziato dal Tribunale, infatti, la

totalità dei redditi provengono da fonti relative all’attività imprenditoriale e,

analogamente, i beni ablati non sono estranei a tale attività e in ogni caso

sono stati acquisiti con le risorse prodotte da quell’attività delittuosa di cui

si è ripetutamente detto. Risulta pertanto evidente l’irrilevanza dimostrativa

di un accertamento che miri ad espandere la piattaforma di risorse

finanziarie, in difetto della dimostrazione della lecita provenienza delle

disponibilità medesime.

Ad ogni buon conto, qualora si dovesse ritenere comunque di dovere

esaminare l’ulteriore requisito della sproporzione fra risorse finanziarie e

acquisizioni patrimoniali riconducibili ad (omissis), rileva la Corte che

pienamente condivisibile si appalesa il percorso argomentativo svolto dal

primo giudice e contestato dalla difesa. In particolare, in relazione ai motivi

di gravame, si osserva che infondate appaiono le deduzioni difensive in

ordine alla lamentata acquisizione della relazione dell’amministrazione

giudiziario dr. (omissis), provvedimento che risulta adottato nel corso

dell’udienza di primo grado e quindi in contraddittorio delle parti che sono

state poste in condizioni di interloquire sul punto. Né sussistono divieti

all’utilizzazione probatoria della relazione citata, che può legittimamente

concorrere, al pari delle risultanze peritali, alla formazione del

convincimento del decidente, salve, naturalmente, le deduzioni nel merito

della valenza dimostrativa delle affermazioni del citato amministratore. In

ordine a tale profilo, la Corte concorda con il Tribunale che ha rilevato la

maggiore affidabilità delle affermazioni rese dal dott. (omissis) , rispetto a

quanto opinato dai due periti nominati dal primo giudici, (omissis) , che,

richiamando quanto esaustivamente esposto nel decreto impugnato,

appaiono avere raggiuto conclusioni dotate di minore concretezza rispetto a

quanto accertato dall’amministratore, in quanto basate su deduzioni e dati

documentali, anziché sull’osservazione diretta che l’amministratore ha

potuto avere, in virtù del ruolo rivestito. Né sono idonee a smentire tale

assunto le certificazioni AGEA ed il verbale di constatazione redatto dal

Ministero delle Politiche Agricole, risalenti al 1999, quindi ad epoca

alquanto precedente al tempo verificato dall’amministratore che ben avrebbe

potuto rinvenire una situazione mutata nel tempo. Quanto, specificamente

alla documentazione AGEA e ministeriale, allegata all’atto di gravame, dalla

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lettura della stessa si rileva che trattasi per lo più di verifiche a carattere

documentale, basate su dati per come rappresentati dalla stessa parte

interessata, tant’è che in conclusione del processo verbale di constatazione

(fl7) si precisa che “il controllo ha preso in esame soltanto l’aspetto cartolare

riguardante le operazioni inerenti la campagna olearia 1995/96, senza

entrare nel merito di riscontri approfonditi e sostanziali tipici di una verifica

fiscale a carattere generale”, quindi sostanzialmente si è trattato di

accertamenti aventi carattere formale. Anche il sopralluogo eseguìto sui

fondi di Melicuccà e Gioia Tauro, di cui si dà atto a fl.6, appare essere

caratterizzato da un controllo a carattere generale sulle complessive

caratteristiche dei fondi. Si conclude quindi, a pag. 8 “…..avendo raggiunto

il ragionevole convincimento sulla realtà delle stesse operazioni, si conclude

senza alcun rilievo nei confronti della ditta controllata”. Ma, se si pone

mente all’humus di illiceità emerso nei numerosi procedimenti penali che

hanno visto interessato l’(omissis) anche in detto settore di attività, non può

considerarsi tale impresa estranea alle condotte fraudolente che hanno visto

interessato il proposto, soprattutto qualora si pensi che, per come è dato

leggere nel processo verbale di constatazione in questione, tra la

documentazione esaminata dal funzionario del Ministero delle Politiche

Agricole vi sono anche fatture emesse dalla (omissis) nei confronti

dell’azienda agricola (omissis) , e si è già detto sopra delle irregolarità emerse

anche in relazione alla (omissis) , anch’essa società riconducibile ad (omissis) ,

sicchè anche sotto tale profilo può apprezzarsi l’attendibilità tutt’altro che

assoluta della documentazione allegata. Aggiungasi poi che nella memoria

dei consulenti di parte ad integrazione della perizia redatta dalla dott.ssa

Tripodi l’8.1.2016, si legge che la DIA ha affermato di non disporre dei dati

inerenti il volume d’affari ed i redditi dichiarati dal proposto e dai sui

familiari per il periodo 1978-1985, per quanto concerne l’impresa agricola,

tuttavia neanche la difesa, per espressa affermazione contenuta in memoria,

dispone di tali dati e oltre parla di “dati presuntivi del costo complessivo

della gestione dell’impresa agricola”, nonché di “presunto volume d’affari”.

Quanto al finanziamento di euro 123.000,00 circa che (omissis) avrebbe

ottenuto per l’inizio della propria attività nell’anno 1984, il dato,

quand’anche sussistente, appare inidoneo ad inficiare la valutazione operata

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dal primo giudice, sicchè del tutto ragionevolmente, di esso non si è tenuto

conto da parte del Tribunale nella tabella sperequativa.

Quanto poi, alla cessione di quote dalla (omissis) s.r.l. in favore di (omissis) e

(omissis) per un ammontare di euro 816.000,00, rilevasi, del tutto

concordemente con la valutazione del Tribunale, che tale operazione,

sebbene intervenuta tra soggetti legati da stretti vincoli familiari, non può

considerarsi un’elargizione gratuita, posto che comunque devono essere

osservate le norme societarie che impongono il rispetto di regole in materia,

al fine di tutelare i diritti dei soci e dei terzi che con la società si relazionano

per ragioni economiche, sicchè è altrettanto evidente che anche

un’acquisizione così operata comporta un incamerare di risorse illecito,

perché compiuto in violazione della normativa societaria. Analoghe

considerazioni valgono per gli “spostamenti patrimoniali” che hanno

interessato la s.r.l. (omissis) . Innanzitutto deve sempre tenersi conto della

provenienza originaria della somma in questione, per come puntualmente

ricostruita nel decreto impugnato, con l’ausilio della consulenza (omissis) e

comunque, si ribadisce, la normativa societaria non consente di operare

indifferentemente trasferimenti di somme da una società all’altra, senza che

ciò comporti alcuna conseguenza, come sostiene la difesa. Ammettere una

tale possibilità (addirittura prescindendo, come sostenuto nell’atto di

gravame, dalla liceità o meno della fonte della somma in questione!), anche

in caso di coincidenza di socio di stretti rapporti familiari tra di loro,

significherebbe infatti porre nel nulla il diritto societario, in quanto sarebbe

del tutto contrastante con le precise e specifiche regole, anche di carattere

fiscale, che governano le società e vanificherebbe la stessa esistenza di

queste e l’autonomia patrimoniale che le caratterizza, facendo sì che

rimangano senza tutela alcuna, come detto, i soci e i terzi che con tutta

evidenza devono poter contare sulla trasparenza delle operazioni

economiche eseguìte. In ogni caso, se si conviene sull’assenza di

“spostamenti patrimoniali” nella fattispecie, si deve conseguentemente

negare che tali operazioni abbiano prodotto disponibilità finanziaria

ulteriore, con tutto ciò che tale conclusione comporta, in relazione alla

capacità finanziaria del proposto.

In relazione poi alla vicenda (omissis) -(omissis), premessa la

ricostruzione effettuata nel decreto impugnato, rilevasi, innanzitutto che non

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può condividersi l’assunto difensivo secondo cui l’operazione non lambisce

in alcun modo la persona dell’(omissis). Si dimentica infatti che i rapporti

hanno interessato due società entrambe riconducibili al proposto, per le

ragioni ampiamente evidenziate nel decreto impugnato, inoltre lo stesso

motivo di gravame ammette l’esistenza di un’irregolarità, sia pure addebitata

ad un’erronea contabilizzazione da parte della (omissis). In ogni caso, per

come già precisato sul punto dal primo giudice, l’obiezione difensiva è stata

già valutata dallo stesso c.t.u. (omissis) , che, in difetto di riscontri

documentali certi alle asserzioni difensive, correttamente ne escludeva la

fondatezza, conclusioni alle quali la Corte ritiene di aderire, per le medesime

ragioni diffusamente esplicitate dal Tribunale, alle quali si opera integrale

rinvio. Le considerazioni fin qui svolte devono intendersi riferite altresì alle

note integrative a firma dei consulenti Femia e Schiavone, con le quali si

ribadiscono le doglianze difensive già esaminate, richiamando le sentenze

del Tribunale di Teramo e della Corte dei Conti, il finanziamento che

sarebbe stato ottenuto da (omissis) all’inizio della sua attività, tutti temi sui

quali ci si già soffermati in precedenza. Anche in relazione ai redditi che

(omissis) avrebbe prodotto dal 1981 al 1984, che il primo giudice avrebbe

omesso di considerare nella tabella sperequativa, rilevasi che la stessa nota

dei consulenti, a pag. 4, afferma apoditticamente che il Tribunale “ha omesso

di considerare (stante la concordanza grave e precisa degli indizi) la

possibile esistenza di redditi per gli anni dal 1981 al 1984). Il grado di

attendibilità di una tale generica e indimostrata affermazione è del tutto

evidente, fatta salva comunque la sua rilevanza, alla luce della complessiva

situazione patrimoniale del proposto. Si contesta altresì la mancata

valutazione da parte del Tribunale dei redditi prodotti dall’attività agricola

di (omissis) e dei figli, per come dichiarati dal proposto, basata su un sospetto

di fittizietà delle fatturazioni, ma su tale profilo non possono che essere

richiamate le approfondite considerazioni che diffusamente sono state svolte

nell’incipit del versante patrimoniale della presente trattazione. I consulenti

lamentano quindi un’indebita riduzione dei ricavi, anche in relazione

all’attività dell’azienda agricola, richiamando le valutazioni dei tre periti

d’ufficio con le conseguenti ricadute sulla tabella sperequativa e

confrontandole con quanto risultante dalle valutazioni dell’organo

proponente. Concludono redigendo due diverse tabelle sperequative, a

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seconda che si tenga conto dei rilievi del perito Tassone o meno. Sul punto

rileva la Corte che, ferme restando le premesse sopra esposte, in ordine alla

natura intrinsecamente illecita delle risorse economiche dell’(omissis) , gli

stessi consulenti di parte registrano un saldo negativo dei redditi negli anni

1978-79-80 ed un saldo positivo di soli euro 4.540,22 nel 1981, verificandosi

poi un’esplosione di disponibilità a cominciare dal 1981, ossia proprio

dall’anno in cui, come correttamente evidenziato dal Tribunale, comincia

l’odissea giudiziaria che ha costellato l’intero sviluppo imprenditoriale del

proposto e che consente di passare da un saldo di 100.00,00 euro circa nel

1982, ad un saldo di 855.000, euro circa nel 1987, fino a giungere a cifre

nell’ordine di qualche milione di euro a partire dall’inizio degli anni ’90 e

oltre, arrivando infine ai 6 milioni di euro dell’anno 2011. Tali cifre danno

la reale contezza dell’evoluzione inquinata che ha caratterizzato il percorso

imprenditoriale dell’(omissis) e costituisce dato di estrema significazione,

poiché dimostra ulteriormente la valenza delle considerazioni svolte dal

primo giudice e condivise da questa Corte, con tutte le conseguenze che tale

stato di fatto comporta. Rilevasi infine che anche qualora si volesse aderire

alla misura dei saldi positivi calcolati dai consulenti di parte, comunque

anche le cifre che ammontano (6.000.000,00 di euro circa) ravvisata nel

2011, ove si ritenessero di provenienza lecita, non sarebbero idonea a

giustificare l’enorme patrimonio che ammonta a svariati milioni di euro,

immediatamente percepibile dalla sola elencazione dei beni confiscati.

Passando quindi all’esame dei motivi di gravame proposti nell’interesse di

(omissis) , rilevasi innanzitutto, sotto il profilo della ritenuta disponibilità in

capo al proposto dei beni intestati ai congiunti, terzi, che Cass. Pen n. 17743

del 7.3.2014 ha così statuito: “In tema di sequestro e confisca di prevenzione,

il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi

costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui all'art.

2 ter, comma 13, legge n. 575 del 1965 (ora art. 26, comma secondo, D.Lgs.

n. 159 del 2011), circostanza di fatto significativa della fittizietà della

intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita

provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente

titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica”. Ancòra

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Cass Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015 ha statuito che “in materia di misure di

prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad

oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi

ritenere la sussistenza di una presunzione di "disponibilità" di tali beni da

parte del prevenuto - senza necessità di specifici accertamenti - in assenza

di elementi contrari”.

Alla luce di tali insegnamenti di legittimità, la fittizietà delle formali

intestazioni a stretti congiunti del proposto è correttamente dimostrata

dall’assenza e/o dall’esiguità dei redditi goduti dai terzi, tali da non

giustificare le acquisizioni patrimoniali formalmente ad essi riconducibili,

oltrechè dall’illiceità delle risorse che originariamente detti soggetti hanno

utilizzato per avviare le loro attività. In particolare, Detta evenienza si

ravvisa, per l’appunto, nella fattispecie in esame, laddove alcuno dei

congiunti dell’(omissis) ha dimostrato di avere percepito entrate lecite

diverse da quelle connesse alle imprese olearie, risorse che soffrono quindi

della medesima illiceità derivata di cui si è ampiamente detto. Invero, quanto

alla (omissis), la stessa non può vantare un’attività propria ma risulta

esclusivamente intestataria di titoli concernenti il diritto alla percezione di

aiuti comunitari, quindi di beni costituenti una chiara derivazione

dell’attività illecita posta in essere dal marito, addirittura di beni che può

dirsi costituiscono essi stessi l’immediato provento dell’attività delittuosa

posta in essere dal proposto, con riferimento ai quali la fittizietà

dell’intestazione in capo ai più stretti congiunti, alla luce di quanto sin qui

esposto, assume indubbiamente caratteri di assoluta evidenza che appare

assai arduo contestare.

Per (omissis), poi, la circostanza che egli abbia beneficiato, per l’inizio della

sua attività dei titoli donatigli dallo zio e dal nonno, entrambi parte attiva di

quella complessa e sistematica strategia fraudolenta portata avanti dai

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componenti della famiglia (omissis), comporta analogamente che anche nei

suoi confronti debba ritenersi inequivocamente e con certezza acclarata una

originaria utilizzazione di risorse illecite che, a cascata, ha inquinato tutte

le successive derivazioni patrimoniali allo stesso riconducibili. Senza

contare poi che anche (omissis) deve considerarsi soggetto che ha preso

parte concretamente all’attività delittuosa connessa alle imprese di famiglia,

per come dimostrato dalle imputazioni elevate anche nei suoi confronti da

ultimo nel processo penale celebrato a Teramo. Anche per tale appellante

quindi di nessun pregio appare accertare le utilità percepite dalle imprese

che costituiscono la diretta promanazione dell’agire delittuoso dei familiari

e che pertanto sono intrinsecamente illecite anch’esse. Anche in relazione

ad (omissis) devono essere sviluppate considerazioni esattamente

sovrapponibili a quelle sin qui svolte. Egli, al pari del fratello, non si limite

ad essere meramente formale intestatario dei beni in questione, ma partecipa

attivamente alla condotta delittuosa fraudolenta che accomuna numerosi

appartenenti alla famiglia, sicchè la sua attività imprenditoriale è in realtà

riconducibile a quella dell’intera famiglia e costituisce parte integrante della

galassia di imprese in cui ha operato il gruppo (omissis). Non si ravvisa

pertanto quella distinzione asserita dalla difesa ed il dato parentale, nella

fattispecie in esame, non si manifesta quale mera connotazione formale ma

costituisce il collante concreto che ha unito le condotte di tutti i congiunti

impegnati in attività che non sono soltanto della medesima natura ma

appaiono collegate tra loro con un sostanziale legame che le rende

espressione di un’unica realtà imprenditoriale. Pertanto è consentito

affermare che non si tratta di una conclusione di carattere meramente

presuntivo, ma di una necessaria deduzione e conseguenza alla luce di

quanto plasticamente emerso dalla presente indagine. Peraltro, (omissis)

avvia la sua attività proprio con l’ausilio dei titoli donatogli dal padre che li

aveva acquisiti mediante l’attività illecita di cui più volte si è detto. Nessun

Page 168: Fatto e diritto seguito si indicheranno, anche in danno dei terzi interessati (omissis) (figli e coniuge del proposto) e (omissis) srl, in persona dei soci (omissis): a) imprese e

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dubbio quindi che tale origine viziata abbia inquinato anche la prosecuzione

dell’attività dallo stesso posta in essere.

Per concludere, quindi, il decreto impugnato si presenta immune da censure

e merita integrale conferma, anche sotto il versante patrimoniale, alla luce

della massiccia e continua attività delittuosa posta in essere dal proposto.

Risulta conseguentemente pienamente legittima la confisca generalizzata

operata dal primo giudice, in quanto ancorata all’intero periodo di

manifestazione della pericolosità sociale dell’odierno appellante, anche

perché derivante, come detto, senza alcuna possibilità di discrimine, da un

riciclo di risorse illecite incrementatesi nel tempo ed esse stesse al contempo

costituenti frutto e nuovo reimpiego di quelle successive.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria-Sezione Misure di Prevenzione-

conferma il decreto del Tribunale di Reggio Calabria-Sezione Misure di

Prevenzione, emesso in data 29.1.2016 nei confronti di (omissis) e dagli stessi

appellato.

Reggio Calabria 28 aprile 2017 Il Presidente Il Cons. est.

Indice

Decreto impugnato pag. 1

Motivi di gravame pag. 67

Valutazioni della Corte pag. 77