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1 Florenzia: il canto di una vita

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Florenzia: il canto di una vita

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L’acquerello in copertina è di Armando Saltalamacchia come gli altri del libretto e

raffigura Madre Florenzia al balcone della casa natale di Pirrera dove, da superiora

portava le sue suore per trascorrere momenti di convivialità e di preghiera.

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Queste pagine sono prese dal mio libro “Questa è

Florenzia”( Edizioni San Paolo, 2013) che diversamente

dal precedente, “Florenzia che ha svegliato l’aurora”,

(Edizioni San Paolo, 2009), che si basava su una ricerca

storica documentata che puntava ad inserire la storia

di Florenzia nei diversi contesti sociali, ha cercato invece

di ricostruire la formazione della sua personalità,

spiritualità e vocazione anche andando al di là dei

documenti. Così è per questo “testamento spirituale”.

Sicuramente Florenzia non lo pronunciò in questi termini

ma i concetti e qualche volta anche le parole sono sue, io

le ho raccolte e messe in fila costruendo un ragionamento

cioè i mattoni sono di Florenzia, io vi ho messo solo la

calce che li tengono insieme.

Michele Giacomantonio

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Quella del martedì, 21 febbraio 1956, fu la giornata fatidica. Pioveva e

vi era umido e freddo. La mattina Florenzia non se la sentì di alzarsi per sedersi sulla sua poltrona come faceva sempre, ma rimase a letto. Questo fu il segnale che soffriva molto e le forze la sorreggevano sempre meno, anche se lei alle domande di come si sentisse rispondeva sempre “bene”(…).

Le suore passarono il pomeriggio tutte intorno a Florenzia e – vedendola serena e attenta, come al solito, alla conversazione – si interrogavano perché mai il parroco avesse voluto amministrarle l’estrema unzione (…). Alle 18,30 fece cena, mangiò come al solito e bevve acqua calda con succo di mandarino, perché sentiva freddo. Alle ore 19 volle che le suore andassero a cenare e rimasero a farle compagnia solo suor Ludovina e suor Amalia.

Sopra, a sinistra, la Casa generalizia delle Suore come era negli anni ’50 subito

quando fu acquistata. A destra, com’é oggi vista dal giardino. Sotto, a sinistra, la

chiesa annessa all’Istituto dove si trova oggi la tomba di Florenzia ( al centro).

Sotto, a destra, la stanza che era di Madre Florenzia trasformata in cappellina

interna.

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In questo intervallo, venne a trovarla don Traiano, (il cappellano), che era rientrato in istituto. Lei gli disse, contenta, che vi era stato don Paolo, il parroco, di aver fatto la comunione e di aver ricevuto anche l’estrema unzione.

– Se lei ha pazienza, Padre, vorrei esporle un ragionamento che sono

venuta facendo in questi ultimi mesi e che è come un riassunto della mia vita spirituale. Il mio cammino spirituale.

Il Padre le disse che era felice di ascoltarla e Florenzia riprese il discorso.

“Vede, Padre, la cosa più importante nella mia vita è stata la preghiera, e cioè il dialogo con Gesù e con la Madonna. Ma forse, ancor prima della preghiera, è stato il silenzio. Le suore pensano che io sia un po’ fissata con il silenzio. E può essere vero. Con l’età anche alcuni valori finiscono con l’apparire manie. Ma per me il silenzio vuol dire l’incontro della mia anima con Dio. Il silenzio è una tale forza trasformatrice che ci fa scoprire la nostra povertà umana, la nostra incapacità, i nostri limiti. Il silenzio non è il nulla, ma è ascolto per cogliere la presenza di un altro che è oltre la percezione dei nostri sensi. Il silenzio è la premessa della preghiera, perché vuol dire fare spazio all’ascolto di Dio. Questo l’ho sempre saputo, fin da bambina, quando passavo lunghe ore in silenzio dinanzi alla statua della Madonna degli Angeli nella vecchia chiesetta di Pirrera a Lipari. E un giorno, il giorno della mia prima comunione, ho sentito finalmente la voce di Gesù.

Ho detto molte volte che “Gesù parla alle anime silenziose. Quando si accorge che nel nostro cuore si nutrono pensieri che non sono per lui, ci lascia sole e non si può conoscere la via che porta al cielo”. Sì, il silenzio è già preghiera. E la preghiera è stata per me l’alimento giornaliero, il sostegno a cui appoggiarmi nelle difficoltà. La preghiera fatta di ascolto e di dialogo. Dialogo con Gesù. Dialogo con la Madonna. Dialogo e meditazione. Anche il rosario è stato per me dialogo e meditazione. Un modo di comunicare con Dio lungo i misteri della fede.

Silenzio e preghiera sono fra loro connessi e uno introduce all’altro, così come la perfetta letizia e l’abbandono a Dio, che sono le altre tappe di questo cammino sulla strada dello Spirito.

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La perfetta letizia è stato il passaggio, credo, più complesso. Mi riusciva difficile pensare come si potesse rimanere nella gioia interiore di fronte a eventi terribili, a disgrazie familiari, alla sofferenza che vedevi intorno a te. Il racconto di Francesco che torna da Perugia in una durissima notte d’inverno e, giunto al convento, non lo lasciano entrare, la prima volta che lo sentii mi parve una storiella, allo stesso tempo, irritante e divertente. Com’è possibile essere lieto, quando subisci un’ingiustizia? Com’è possibile non reagire?

È possibile – mi disse un giorno un frate francescano –, se al centro non ci sei tu, se non sei tu al centro dei tuoi pensieri, delle tue emozioni, del tuo mondo. Fino a quando non ti poni in un angolo e non occupi quel centro con Dio, non puoi. Per questo, la perfetta letizia pretende l’abbandono fiducioso a Dio.

Ho ancora nelle orecchie le parole di quel frate. Si chiamava padre Daniele e lo conobbi viaggiando sulla nave verso gli Stati Uniti e poi lo ritrovai a New York nella chiesa di Sant’Antonio.

Quel viaggio verso l’America fu un momento importante della mia maturazione spirituale e, soprattutto, la notte terribile di tempesta quando pareva che dovessimo affondare e sentivo intorno a me grida e pianti. La mattina, la tempesta si era quietata e raccoglievamo morti e feriti. Allora mi sono detta che, se ero ancora viva, è perché l’aveva voluto Dio e, quindi, la mia vita non mi apparteneva più. Apparteneva a lui e dovevo vivere ogni momento nella gioia di servirlo. Da quel momento, per quanto forti fossero le preoccupazioni, mi dicevo che, se una cosa era bene che si verificasse, allora Dio avrebbe provveduto. Se c’era qualcosa che io avrei potuto fare, dovevo impegnarmi sino in fondo.

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Ma se le cose esorbitavano dalle mie possibilità dovevo affidarmi a lui. Affidarsi a Dio non è lo stesso che fidarsi di Dio, è un passo in più. Vuol dire abbandonarsi a lui e avere la certezza che tutto quello che ti succede ha una finalità e questa finalità non può non essere buona perché viene da Dio. Le contrarietà sono le forti carezze di Dio. Le difficoltà, le prove arrivano perché Dio vuole saggiare la nostra fiducia in lui, ma lui stesso le avrebbe risolte.

Nella foto in alto, emigranti di fine ‘800 su

una nave che collegava New York. A

sinistra, passeggeri di terza classe sul ponte.

Sotto, l’arrivo a Ellis Island dove gli

immigrati venivano posti in quarantena.

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Foto in alto, come appariva New York agli immigrati giunti in America: è una veduta

del 1896, l’anno che Florenzia giunge in America. Sotto, a sinistra, via Sullivan dove

i Profilio vanno ad abitare. Al centro, la Chiesa di Sant’Antonio in via Sullivan sul

finire dell’800 e, a destra, come appare oggi.

Alle mie suore, di fronte alle traversie, alle contrarietà e alle preoccupazioni, ho sempre detto: “Uniformiamoci alla volontà di Dio, il quale tutto sa risolvere per il nostro bene”.

Dio, Padre, non è mai stato per me un essere impersonale. È sempre stato una persona viva e vera. È stato Gesù e Gesù è stato l’unico e grande amore della mia vita. Gesù che mi parla attraverso la Scrittura, Gesù che mi parla nell’Eucaristia. Anche nella ricerca di Gesù Francesco mi è stato maestro. Il Gesù della povertà del Presepio, il Gesù dell’umiltà della Croce, il Gesù dell’annientamento dell’Eucaristia.

I tre simboli del carisma di Florenzia: la povertà del Presepio, l’umiltà della

Croce, l’annientamento dell’Eucarestia.

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Sono tre momenti che rendono Gesù vero, presente. Eppure fra questi tre momenti quello verso cui ho sempre provato un particolare trasporto è l’Eucaristia. Nella Eucaristia Gesù si è annientato per rimanere con gli uomini per sempre. E così non siamo stati più soli. Alle mie suore, che si lamentavano qualche volta della solitudine in cui vivevano a Rosarno, a Castagnolino, in Brasile ho sempre ricordato: “Gesù dimora con voi e, quindi, avete tutto. Amatelo Gesù. Ditegli spesso: Gesù ti amo, resta con noi”. Per questo volevo che il primo pensiero nell’apertura di una casa fosse quello della cappella in cui celebrare la messa, possibilmente tutti i giorni.

L’Eucaristia è stata per me il centro della giornata e alle mie figliole dicevo di dividere la loro giornata in due periodi di raccoglimento: la prima metà in costante ringraziamento per l’eucaristia ricevuta la mattina, e la seconda mezza giornata vissuta nell’attesa della comunione dell’indomani.

L’amore per Gesù è stato il culmine del mio percorso. L’amore per gli uomini e, in particolare, per i più bisognosi non è che

l’estensione di questo amore. Sì, l’amore è stato il movente di ogni aspirazione nella mia vita, di ogni opera intrapresa, l’amore che innalza all’Onnipotente un cantico di gioia, di gratitudine, di riconoscenza nel trambusto di una vita sacrificata, francescanamente vissuta.

Nella foto a sinistra, la Casa natale di Florenzia oggi Casa di preghiere. A destra,

la cappella a fianco alla Casa.

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A sinistra, un incontro nel giardino della Casa di preghiera con i bambini. A

destra, la processione dalla Cappella della Casa all’edicola della Madre dello

Stupore con la statuetta della Madonna.

Nel povero mendicante, nell’ammalato che soffre, nella ragazza madre

abbandonata, nel bambino senza affetti vedevo Gesù. Ho scritto alle mie figliole in Brasile, che tanti problemi hanno avuto nell’ospedale di Jatai: “Oh, come sarebbe bello, se in uno dei tanti ammalati trovaste Gesù in persona. Ma se non lo trovate visibile, lo troverete sempre invisibile. Quando avvicinate un ammalato, andate col pensiero che vedete Gesù”. E a tutte ho sempre ricordato che, quando un povero bussa alla porta, bisogna accoglierlo e aiutarlo, perché in lui c’è l’immagine di Gesù Cristo. Ecco, questo è il testamento che lascio alle mie figliole, un percorso per diventare sante non compiendo azioni straordinarie, ma affrontando i problemi di tutti i giorni lungo quella “piccola via” che ci ha indicato suor Teresa di Gesù Bambino”.

A sinistra la Casa Madre di Lipari. Quando l’Istituto nacque l’1 novembre 1905 le

stanze erano poche e la più bella ed ampia venne dedicata a Cappella. A destra, la

Cappella delle Suore oggi.

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Preghiera

per ottenere grazie ad intercessione della Serva di Dio Madre Florenzia Profilio

Due immagini di Florenzia nel tempo. La prima, giovane suora in America.

La seconda, in età ormai avanzata a Roma, nel 1953 tre anni prima della morte.

Santissima Trinità, ti adoriamo, ti lodiamo e ti ringraziamo per tutti i doni concessi alla tua Serva Madre Florenzia, con i quali l’hai resa modello di vita cristiana e religiosa, per la diffusione del tuo regno e per il servizio dei fratelli. Degnati di concederci, per sua intercessione, la grazia che ardentemente e umilmente domandiamo, e glorifica anche in terra la tua Serva, perché sia di esempio e guida luminosa alle tue figlie e a tutte le anime che aspirano alla perfezione. Gloria al Padre…. O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre Nostra, per la filiale devozione di Madre Florenzia, ottieni da Dio la sua glorificazione in terra concedendoci, per sua intercessione, la grazia che con fede imploriamo. Ave Maria…

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Chi era Madre Florenzia Profilio? Madre Florenzia Profilio, al secolo Giovanna, nasce a Pirrera all'alba del 30 dicembre del 1873 da Giuseppe e Nunziata Marchese. Quella dei Profilio è una onesta e laboriosa famiglia contadina: il padre coltiva la terra e commercia vino. Finché Giuseppe potrà lavorare la famiglia vivrà in una parsimoniosa agiatezza . Giovanna che è la terza di sette fratelli frequenta , la scuola elementare fino alla terza. La bambina cresce serena nella tranquilla calma di Pirrera, distante dai problemi e dalle tensioni di Lipari. Fin da piccola mostra una tendenza al misticismo ed all'introspezione ed ha anche imparato ad ascoltare delle voci che sente dentro di sé, come confida alla sorella. Questa vita entra in crisi nel 1885 con la malattia del padre. Quando il padre muore, dieci anni dopo, oramai tutti i risparmi si sono prosciugati e mamma Nunziata non vede altra prospettiva che emigrare in America, a New York, poggiandosi su un fratello che ha fatto lì una discreta fortuna. L'esperienza americana durerà per Giovanna nove anni e saranno nove anni decisivi. Conosceva la povertà fin da Lipari ma ora scoprirà la miseria e la sofferenza nella durezza del viaggio in nave in terza classe, le umiliazioni della quarantena di Ellis Island, il ritmo vorticoso e dissipatore di una metropoli in crescita, la vita in fabbrica con i problemi legati all'organizzazione del lavoro così lontani dalla vita fino allora vissuta, ma soprattutto, a New York, chiarirà la sua vocazione e deciderà – anche

Sopra a sinistra, una

veduta di Lipari da

Pirrera come era sul

finire dell’800 (Acqua-

rello di Armando Salta-

lamacchia). A destra, il

centro di Lipari all’inizio

del ‘900. A sinistra, una

immagine di Marina

corta all’inizio del ‘900.

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contro la volontà di sua madre – di farsi suora e suora francescana come francescani sono i frati della chiesa di Saint Antony in Sullivan Street e le suore del convento lì vicino che ha preso a frequentare. Giovanna, divenuta nel frattempo - il 22 luglio 1900 – Florenzia con la professione dei voti semplici, forse pensa che lì in quella terra nuova e dai mille problemi si svilupperà la sua esistenza futura. Ma non sarà così. Il vescovo di Lipari vuole che torni in patria perché a Lipari c'è bisogno di lei per occuparsi dei bambini e delle ragazze abbandonate. E Florenzia il 7 febbraio 1905 si imbarca per l'Italia. A Lipari però scopre che il progetto che le è stato prospettato non è di facile realizzazione e capisce che il suo Istituto nascerà soprattutto se a volerlo sarà lei e se la sua famiglia la aiuterà anche col sostegno economico. E così sarà. L'1 novembre nasce il nuovo Istituto con decreto del Vescovo mons. Raiti. La cerimonia sarà solenne e ampiamente partecipata, ma non bisognerà farsi illusioni, questo è solo il primo passo di un lungo e faticoso cammino, pieno di sofferenze perché le vocazioni a Lipari scarseggiano e mons. Ballo, Amministratore Apostolico della diocesi dal 1921 al 1928, le crea difficoltà e problemi. La avrà vinta Florenzia che saprà perseverare con pazienza ed umiltà, sempre ubbidiente ma anche tenace , richiedendo sforzi durissimi al suo organismo che infatti ben presto comincerà a risentirne. Nel giugno del 1922 decide di andare ad Acireale e farà ogni sforzo per aprire lì la casa nel noviziato. Comunque gli anni che vanno dal 1920 al 1924 furono anni terribili perché mons. Ballo blocca le vestizioni e le professioni. Conclusa l'Amministrazione Apostolica di mons. Ballo, che nel 1926 si era estesa anche ad Acireale, l'Istituto prende vita. Si diffonde nei grandi centri della Sicilia: prima Trapani nel 1930, quindi Catania nel 1933, infine a Palermo nel 1930 senza trascurare i centri minori ed anche alcune realtà fuori dalla Sicilia. Ma il pensiero costante di Florenzia è quello di aprire una casa a Roma e di farne la Casa Generalizia. Così il 22 maggio 1945, appena sancita la fine della guerra, parte per Roma sapendo che si trattava di un avventura durissima con le ferrovie interrotte, molte strade impraticabili, la città con problemi giganteschi sul piano sociale a cominciare da quello delle abitazioni che erano introvabili. La “missione romana” di Florenzia ha del miracoloso. Il 22 maggio parte per Roma, accompagnata da due suore, senza sapere nemmeno dove alloggiare, senza una indicazione per l'acquisto di una residenza e tantomeno senza garanzie sull'autorizzazione del Vicariato a consentire l’apertura di una casa, ed il 30 giugno entra nella nuova sede di Monte Mario ancora parzialmente occupata da famiglie sfollate. Il 25 aprile del 1949 l'Istituto, che fino ad allora era stato solo di “diritto diocesano”, col cruccio di Florenzia che ciò rappresentasse un elemento di precarietà, veniva dichiarato, con Decreto della S. Congregazione dei Religiosi, di diritto pontificio. Florenzia però non è paga, Non ha mai smesso di pensare alle missioni e l'occasione arriva nel 1953 quando un cappuccino missionario in Brasile le prospetta l'apertura di una sede a Iataì, nello stato di San Paolo. Ha ormai 80 anni la madre ed è piena di acciacchi e di malanni ma sempre attenta ai problemi dell'Istituto e delle sue suore, che segue una per una anche se ormai si avvicinano al centinaio. Da Jatai dove i

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rapporti con l'Ospedale non sono buoni le suore decidono di spostarsi a Cravinhos sempre nello stato di San Paolo. Questa sarà l'ultima decisione che prenderà Florenzia perchè il 21 febbraio del 1956 morirà a Roma. In America Latina la missione delle nostre suore procederà nel 1975 in Amazzonia fino al 1983 quando l'esperienza verrà conclusa, ed infine nel 1985 in Perù. Oggi Florenzia è in cammino per essere riconosciuta santa. Il processo di beatificazione è iniziato il 25 dicembre del 1985 e da quel momento Florenzia può essere chiamata “Serva di Dio”. Il cammino naturalmente è molto lungo e difficile. Se esso dovesse andare in porto sarebbe la prima santa che Lipari potrebbe avere nell’epoca moderna.

Un altro acquerello di Armando Saltalamacchia che vuole simboleggiare la Pirrera

di fine’800 quando Florenzia, allora ancora Giovanna, era ragazzetta e già sognava

di “svegliare l’aurora” dietro il Monte Rosa.

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I libri su Florenzia

I libro su Madre Florenzia pubblicati sinora sono cinque:

- M. Giacomantonio, Florenzia che ha svegliato l’aurora, Ed. Paoline, 2009

- M. Giacomantonio, Questa è Florenzia, Ed. Paoline, 2013

- M. Giacomantonio, In Brasile nel nome del Signore, 2014

- G.A. Castagna, La roccia e lo spirito, Ed. Paoline, 1967

- P.Agostino Lo Cascio, Un piccolo strumento nelle mani della

Provvidenza, Palermo 1975.

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