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Il Gusto... della Vita

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Tradizione & Cultura della Buona Tavola - Rivista ufficiale dell'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo

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Adolfo Leoni

...Editoriale del

Lo sapete: della cultura dell'ospitalità abbiamo fat-to la nostra bandiera.Allora, ogni germoglio che vediamo spuntare ci piace raccontarvelo. Perché è un buon segno.Iniziamo le nostre storie. È sabato 17 gennaio. Il sin-daco di Fermo Saturnino Di Ruscio ha invitato il regi-sta Pupi Avati e suo fratel-lo Antonio. Pernotteranno presso il B&B di charme di

Palazzo Romani Adami, gestito con gran maestria da Cecilia Romani Adami. Prima dell'incontro pubblico al teatro dell'Aquila, gli Avati, il sindaco e il sottoscritto vengono invitati a cena dalla famiglia Romani Adami. Prima di prendere posto a tavola, i padroni di casa introducono gli invitati nella grande cucina dove la cuoca sta girando il risotto. Poi ci si siede in una stanza molto raccolta, illuminata solo da candele. Il servizio è impeccabile e i cibi prelibati. Mentre si sorseggia un rosso locale, Pupi Avati ci guarda e dice: “A questo punto non so più se mi trovo all'interno di una scena da film o nella realtà”. È l'omaggio migliore. Omaggio all'ospitalità e al buon gusto.Qualche giorno dopo, colpito anch'io dall'accoglien-za torno a Palazzo Romani Adami. La “contessina” Cecilia mi guida in un tour attraverso i 2500 metri qua-

drati dell'edificio. Ma prima, mi porta in strada, per-ché deve raccontarmi la storia della sua casa intrec-ciandola con quella di Fermo e del territorio fermano. Altrimenti mancherebbero fascino e magia. Un impa-sto unico. Superba Cecilia!Passano altri giorni e l'ing. Emanuele Frontoni invita nei locali della Compagnia delle Opere Marche Sud a Porto San Giorgio, alcuni operatori turistici, gestori di B&B, ristoratori e proprietari di campeggi. Obietti-vo: presentare il social network Trip Advisor. Di cosa si tratta? È il nuovo modo di fare vacanze e di scegliere i luoghi. Non più guide ma un click su internet – Trip Advisor appunto – per conoscere da chi ha già spe-rimentato come si stia in quell'albergo, come si man-gi in quel ristorante, come si viva in quel campeggio. Giudizi, insomma, emessi dai turisti stessi. Turisti che possono così decretare il successo di un locale o la sua discesa agli inferi. Qual è la filosofia, qual è il si-gnificato? Che non si può più barare: o l'accoglienza c'è oppure pollice verso, o il cibo è buono oppure si cambia mestiere, o la camera è confortevole oppure è meglio farci una croce sopra. E arriviamo a Tipicità. La tre giorni divenuta il Festival dei prodotti tipici delle Marche è pronta per la nuova edizione. Diciassettesima, esattamente. E ogni anno un contributo alla scoperta di novità enogastronomi-che locali e internazionali. Un modo per confrontarsi. Ma anche occasione per sviluppare una proposta di ospitalità nuova. Giusto il titolo: eppur si muove.

Eppur si muove

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1... L'editoriale

3... Un Santo tra i fornelli

4... Pasta e non solo pasta

6... Cristofaro Messisbugo

9... Sia che mangiate, sia che beviate. La bellezza, il cibo e la fede

11... I servizi veterinari pubblici nel controllo della trichinella nella filiera alimentare

13... Terra dei sensi, terra del gusto, terra dell'anima

14... Falerio dei Colli Ascolani, una DOC d’aMare

16... Maccheroncini in Salsa di Brodetto Sanbenedettese

17... Capriolo in salmì

18... Campagna sempre più amica con la Coldiretti

23... Il Turismo non è la risposta alla crisi economica, ma rappresenta una risorsa da utilizzare al meglio

24... Tipicità edizione 17ª

27... Surgelazione? Perché no! E ve lo spiego

28... A Moresco si può adottare una mucca! E non la chiameremo Carolina...

29... L'impresa: coltivare il tartufo nero pregiato in montagna. Amandola riparte da qui.

30... Gli Inuit, un grande popolo. E il loro mangiare

31... Quel fumante caffellatte

...Sommario

Direttore ResponsabileAdolfo Leoni

Redazione giornalisticaMedi@comunicazioni

Tel. 0734 623636 / [email protected]

Progetto graficoSara Ricci

Redazione graficaStudium DesignTel. 0733 866909

[email protected]

FotografoAngelo Cecchetti

In redazioneMedi@Comunicazioni:

Stella AlfieriFabio ScatastaSimone Troiani

Hanno collaboratoEmanuele BaniAdriano Berdini

Manfredo FortunatiGianluca Frinchillucci

Stefano IsidoriSimonetta Paradisi

Alessandro PazzagliaMatteo PerticariMauro Sanguigni

Luciano Scafà

Edito daAss. "Il Gusto... della vita"sede legale Montegiorgio (AP)

via Cestoni, 39sede operativa Morrovalle (MC)via Carducci, 12 - tel. 0733 866909

P.Iva e C.F. 01979520440

[email protected]

StampaGrafiche Ciocca - Mc

La rivista è stampata su cartanaturale ed ecologica

n. 5 marzo 2009inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di

Fermo il 21/10/2008

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di Alessandro Pazzaglia

...Professione cuoco

Sei stanco? Hai avuto problemi in cucina? Il for-nitore non ti ha soddisfatto? Il cliente ha avuto di che dire? Affidati - affidiamoci - a san Fran-

cesco Caracciolo, il nostro scudo in cielo.

Il 26 marzo 1996 la Conferenza Episcopale Italiana e la Sede Apostolica hanno proclamato san Francesco Caracciolo patrono presso Dio dei cuochi italiani. Per-ché questa scelta? Per l’amore sconfinato che il Santo

Un Santotra i fornelli

portava per la Mensa eucaristica. E questa motivazio-ne mi collega alle parole che Papa Paolo VI pronun-ciò a noi cuochi nell’ormai lontano 1973.

In occasione di un incontro in Vaticano con le berret-te bianche il Pontefice disse:“La mensa è stata scelta da Gesù per farsi lui stesso cibo delle nostre anime. Il Signore poteva avere la possibilità di istituire qualche altro punto d’incontro; ha scelto la tavola, ha scelto la mensa per farsi lui stesso cibo delle nostre anime: il che glorifica la vo-stra arte, e vi fa pensare come nella profanità stessa del servizio che prestate, potete elevarvi alla spiri-tualità di cui può essere facilmente tramite l’arte vo-stra, con la carica, l’amore, l’accoglienza dell’ospite, il trattare bene, l’essere infine bravi a dare la gioia del cibo terrestre, perché si svegli la fame del cibo celeste”.

Nelle frasi del Papa c’è tutta la nostra filosofia: la ta-vola, come perno del ritrovarsi; il cibo come espressio-ne della bontà; l’ospitalità come momento di incontro con l’altro.Dovremmo rileggerle ogni giorno quelle parole di Paolo VI, meglio sarebbe all’inizio di ogni giorno: ci predisporrebbero ad affrontare con animo diverso la giornata.Intanto, san Francesco pensaci tu.

Stavolta mi piace parlare del nostro Santo.Sì, perché anche i cuochi hanno il loro protettore.E che protettore.

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...Associazione Cuochi Fermo

Allora, iniziamo: Adriano gestisce da tem-po il Ristorante “Gli Sforza” di Monterub-biano, a pochi passi dalla piazza principale. É un locale dove si mangia divinamente. Possiamo testimoniarlo in prima persona.

La nostra berretta bianca ha 38 anni. Compiuti gli studi pres-

so l'Istituto Alberghiero di San Benedetto del Tronto, ha fatto

esperienza in alcuni ristoranti specie della costa. Molto si è im-

pegnato nell'Associazione Cuochi presieduta da Sandro Pazza-

glia. E da Pazzaglia ha ricevuto anche più di uno sprone. A far

che? A cucinare con passione, certamente, ma anche ad osare.

Adriano Berdini, i maccheroncinidi Campofilone e un nuovo mododi gustare la pasta

P a s t a e n o n s o l o p a s t a

COCOTTINA DI MACCHERONCINI CON CANDITI E CIOCCOLATO BIANCO IN SALSA ALLA MENTA

Penso sia così per tutti gli chef: trovare un momento per dialogare con loro non è facile. Ogni giorno sono mille le cose da fare. Però un attimo per discutere con Adriano Berdini alla fine l'abbiamo trovato.

Per esempio, più volte abbiamo sentito il presidente ripetere

che i maccheroncini di Campofilone non sono solo prodotti

adatti per pantagruelici e saporosi primi piatti. I maccheron-

cini di Campofilone, in un menù, possono servire anche ad al-

tro. Non solo pasta, dunque. Beh, Adriano gli ha dato ascolto

e i risultati sono stati più che incoraggianti.

SEMIFREDDO DI MACCHERONCINI AL CACAO SU LETTO DI JULIEN-NE DI MENTOLINA CON SALSA AL LIMONE E PETALI DI FIORI

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...Associazione Cuochi Fermo

TORTINO DI PAPPARDELLE CON RICOTTA, CASTAGNE E CIOCCOLATO

BIS DI PASTA CON SALSA AL CIOCCOLATO

MENTOLINE CON CREMA DI CACAO E CIOCCOLATO ALLA CANNELLA

STRUDEL DI PAPPARDELLE CON RICOTTA E PISTACCHI IN SALSA AI FRUTTI DI BOSCO

Ha provato con successo a preparare, ad esempio, delle “co-

cottine” (uno sformatino di maccheroncini) ripiene di ciocco-

lato bianco, oppure, sempre cocottine, ma con cioccolato al

peperoncino e cannella. Da leccarsi i baffi, anche chi non li

ha. L'esperimento è andato oltre, con una pasta fritta (sem-

pre maccheroncini) riempita di crema particolare. Ma non solo

dolci, perché Adriano usa i “Campofiloni” anche per il pesce:

intreccio di chitarrine e trancio di pesce spada, o anche, spi-

gola su letto di broccoletti accompagnata da maccheroncini al

farro come contorno.

Questo per dire: cari amici, i MACCHE-RONCINI DI CAMPOFILONE sono una risorsa variegata, da proporre in modi diversi. Certo, il piatto va servito ad un cliente in cerca di novità. Per farlo entra-re nella mentalità di tutti occorrerà, dice Adriano, una bella azione promozionale. Ma non solo per gli utenti. Anche per i produttori.

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di Luciano Scafà

...L'archivio in cucina

Cristofaro MessisbugoIl più antico trattato di gastronomia cortigiana f inora conosciuto è il Liber de coquina dell’anonimo Trecentesco della Corte Angioina, il più aperto all’evoluzione dei costumi culinari dei popoli europei. Clima che segnò l’evoluzione del cerimoniale della tavola partendo proprio dalla corte napoletana divenuta aragonese e adottata da dalle corti italiane minori fra il XV e il XVI secolo.

La tavola ancora come momento centrale del la diplomazia e come simbolo del po-

tere e del la r icchezza.

I l rapporto pr incipe-cortigia-no ha i l suo vangelo nel l’ope-ra di Baldassar Castigl ione che "osci l la fra un’ideal ità intel lettual ist ica che par tra-scendere le forme del la re-altà contemporanea per sol levarsi a una contempla-zione razionale, e una nor-ma di condotta pratica che ubbidisce al le contingenze del l’epoca e del l’ambiente"

(Salvatore Battagl ia)

Le contingenze del l’epoca e del l’ambiente esigono, al di sotto del l ' impalcatura ideo-logica rappresentata dal cor-t igiano, dei manual i per gl i off it ial i addetti ai serviz i che consentano lo svolgimento del la complessa macchina del la cortigiania. Si sente i l bisogno di una scuola prati -ca sotto la guida di un corti -giano di grande esper ienza, cultura e gusto che prepar i una nuova classe di profes-sionist i adatta al la bisogna.

I l pr imo manuale che dà am-pio spazio al cer imoniale del-la casa e del la tavola pr inci -pesche è i l L ibro di Cucina, scr itto nei pr imi anni del XVI secolo da Roberto di Nola, cuoco al la corte napoleta-na di Ferdinando d’Aragona. I l cuoco di una corte come quel la napoletana o di altre europee, non è un semplice preparatore di vivande, ma l’addetto a un serviz io dal quale dipendono la vita e buona parte dei successi del pr incipe.

È propr io nel la pr ima metà del '400 con l’organizzazione del la cucina che comincia-no a del inearsi ruol i e pro-fessional ità dei var i uff icial i del la casa e del la tavola : i l cuoco, i l dispensiere, i l t r in-ciante. Quest’ult imo appare per la pr ima volta in un testo di cucina e con un rango di r i l ievo, segno che i l compito pr ima aff idato a un comune servitore r ichiede ora com-petenza e sti le diversi.

Nel 1520 viene stampato a Fer rara Refugio de povero Genti lbuono composto da Francisco Col le in gran parte imperniato sul tr inciante.

I l Col le è infatti indotto a spiegare l’or igine del nome stesso. "Poiché sapendo el convenibi le nome / de la nominata cosa lo essere di quel la/megl io assai compre-hende el racionale / e agen-te intel lecto serà uti le e ne-cessar ia cosa / che volendo par lare del cor tegiano ta-gl iare / che io dica el nome del quale s i dice nel Gal l ico idioma / Tr inciante / e nel lo Hispanico anchora"

I l Col le trascura di r i levare che Giovenale trattava i l t r in-ciante come un salt imbanco, un prestigiatore del coltel lo che incantava gl i ar r icchiti con la sua conoscenza del le sfumature tra i l tagl io di una lepre e quel lo di una gal l ina. I l t r inciante cinquecentesco è persona di grande com-postezza ed eleganza sul la quale nessuno si sognerebbe di i ronizzare.

Ed è sempre a Ferrara alla Corte degli Estensi che Cristo-faro Messisbugo “Messi det-to Sbugo”, come si legge in scritti di sua mano, non fu un semplice cuoco: era un genti-luomo, creato Conte Palatino da Carlo V nel 1533 e impa-rentato con nobil i ed i l lustr i famiglie ferraresi. Egli r icopri-va la carica di Scalco Duca-le presso gli Estensi, una sorta di amministratore generale di tutto quanto r iguardava l'ap-provvigionamento e i l mante-nimento della corte signori le. Allo scalco spettava l'organiz-zazione dei banchetti, occa-sioni privi legiate di epifania del potere del Signore. I l suo trattato infatti solo in parte è un r icettario: molte pagine sono dedicate alla descrizio-ne minuziosa degli eventi da lui curati per la corte estense.

Archivio Luciano Scafà

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...L'archivio in cucina

Nelle descr iz ioni di danze e intrattenimenti compaiono spesso, ad al l ietare i commen-sal i, i buf foni bergamaschi, quegl i zanni che hanno percorso in lungo e in largo l ' Ital ia e che si può ipotiz zare abbiano svolto un ruolo di mediator i di cultura gastronomica.A Fer rara nel 1549, un anno dopo la sua scom-parsa, venne pubbl icato i l suo l ibro “Ban-chetti, composiz ioni di vivande et apparec-chio generale”, più volte r istampato f ino ai pr imi decenni del ‘600.

La mater ia i l lustrata nel trattato è suddivisa in tre parti fondamental i: un discorso intro-duttivo “Memoriale per fare un apparecchio generale”; un catalogo di 10 cene, tre desi -nar i e un festino, descr itt i in tutte le loro fasi con relative l iste di bevande; una raccolta di 315 r icette.

Questo genti luomo di cor te, oltre che del gusto, s’interessava del la vista e del l’udito, intercalando i banchetti con piacevol i inter-

val l i di danza o proponendo comme-die e musiche, propone sopratutto piatti a quel tempo considerati d’alta cucina. Cr istoforo r ielabora e inventa r icette, f issa e raff ina quel le popola-r i, adattando ai prodotti local i quel -le forestiere ed esotiche Messisbugo, r icco di grazia ed eleganza, per fezio-nò anche i l tagl io dei cibi, servendosi di venticinque coltel l i e forchette di var io genere, r iuscendo a spezzare gl i ar rosti senza toccar l i con le mani.

Seppe trasformare la “tr inciatura” in un’ar te, e i suoi numerosi al l ievi di -vennero fra i Maestr i di cerimonia più ambiti del le corti europee.

I l Messisbugo non è un cuoco e nem-meno un semplice scalco o lo è sta-to provvisor iamente. Egl i sovr intende a tutta la macchina cortigiana che mette continuamente a punto e in armonia con le verdure e i l tempera-mento di Alfonso e di Ercole I I, forse anche in rapporto al la situazione di cassa che egl i conosceva forse più di ogni altro. Diventa i l maggiore regi -sta ital iano e forse europeo del ban-chetto-spettacolo, nel quale sono presenti tutte le forme d’ar te cono-sciute, e nel l’ambito del quale si fa pol it ica anche tramite l’al legor ia e la disposiz ione dei posti.

I l suo l ibro fu un vero e propr io trat-tato di costume e una miniera di notiz ie sul cibo, con preparazioni a volte elaborate e spettacolar i, che ben degnamente f iguravano nei banchetti di cor te. L’autore, dopo la premessa che non spenderà «tempo a descr ivere minestre d’or tami, o le-gumi, e insignare di fr igere una Ten-

cha, o cuocere un Luzzo su la gratel la, o si -mi l i cose che da qualunque vi le feminuccia si sapr iano fare», scegl iendo « le più notabi l i vivande, et più importanti» non signif ica che minestre, legumi, t inche e lucci non facciano parte del la mensa del s ignore. Lo dimostrano i piatti compresi nel le var ie portate dei ban-chetti e l’elenco del le der rate al l’iniz io del l ibro.

Non è la mater ia pr ima a fare nobi le un cibo, ma l’ar te del cuoco. I " f igati pieni ", le pol -pette di vitel lo (con sentore d’agl io) valgono i "Capponi in Fracassea Francese". In questo senso Cr istofaro Messisbugo può essere con-siderato non soltanto i l fondatore del la cu-cina r inascimentale, ma di quel la moderna ital iana, che, travolta dal la r ivoluzione ga-stronomica francese del XVI I -XVI I I secolo, oggi r iaff iora, non certo come r iproduzione pura e semplice di piatti stor icamente datati, ma come indi r iz zo, come "scuola".

(G. Maontovano)

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In un antico inventario dei beni di Casa Raccamadoro si legge: "Pistrino ad olio e magazzino a 2 piani e vani 5. Censito scudi 150, situato a Fermo in contrada

Castello segnato con i numeri 418 e 419, con macina e torchio in buono stato". Risalendo ripidamente via Migliorati sino allo stretto vicolo Volcacio, lungo i sampietrini secolari che portano al varco d’ingresso illuminato da una lanterna in ferro battuto, entriamo nella sala dell’odierna osteria ristorante “Il Frantoio”. Lo stupore sta tutto nell’imbatter-si in un ambiente che rievoca altre epoche. Le grotte soffusamente illuminate manten-gono un clima naturale. Alla suggestione dei tempi passati si aggiunge la cordialità e un tocco di intimità. Nella zona bar trovia-mo sulla destra l'antica stalla, dove erano custodite le bestie adibite alla molitura. Le olive, ammassate al primo piano, attra-verso varie aperture ancora esistenti nelle volte reali, passavano alla macina, girata ininterrottamente dagli animali. Le olive frantumate erano sistemate in appositi conci sotto il torchio e due uomini gira-vano contemporaneamente le grandi viti. Arianna ed Adriano sono i custodi della caratteristica locanda, vero gioiello artistico incastonato nello scrigno del borgo antico di Piazzetta. La nuova gestione ha conser-vato le ricette di una cucina tipicamente marchigiana, con paste fatte in casa, carni rigorosamente marchigiane cotte alla brace e specialità genuine. Una fornita carta dei vini consente la più ampia scelta. Al tavolo, ogni cliente può godere dell’amichevole ospitalità dedita al turista. Un ambiente familiare avvolge la passione e la professio-nalità dei due ristoratori. Nella loro nuova gestione, cortesia e cura del dettaglio ben si amalgamano al gusto dei sapori. Che sia un menù turistico o una cena raffina-ta, ben assortito e genuino si presenta il menù proposto da Ruggero. Affiancato ai fornelli dall'aiutocuoco Massimo, l’estroso e giovanissimo cuoco già vanta una ragguar-devole esperienza ai fornelli della migliore ristorazione locale. Sempre aggiornato e con un listino prezzi davvero interessante, il

menù è sempre consultabile on line sul sito web www.ilfrantoiolosteria.com. Sfoglia-molo insieme… Il tagliere degli antipasti è imbandito da salumi e formaggi nostrani, come ciauscoli e pecorini, senza dimenti-care la fragranza delle bruschette all’olio d’oliva extravergine del Piantone e i tipici frascarelli. Bensì piatto povero, “lu frasca-rellu” rappresenta a pieno titolo il vanto culinario de Il Frantoio. Arianna conserva gelosamente la ricetta a lei tramandata. Gli ingredienti sono quelli semplici di una volta: acqua, farina e uova, con l’aggiunta di condimenti a base di cipolla e sughi al ragù. Più fantasiosi ma altrettanto gustosi sono i primi piatti che spaziano dagli gnocchetti radicchio e gorgonzola ai tortellini alla Rossini e gli spaghetti al limone con semi di papavero. L’esaltazione giunge con le secon-de portate. La regina della tavola è la carne. Sapientemente speziata e cotta alla brace secondo un antico ricettacolo del ‘600, essa è la pietanza prediletta nella nobile casata dei Raccamadoro. Il degustatore ne può riscoprire i sapori fin qui quasi dimenticati. Come l’agrodolce del lombo alle prugne o più intenso dell’agnello alla brace profuma-to da un intingolo al ginepro e rosmarino. Piatti unici come la cacciagione preceden-temente speziata per una notte intera con foglie di ginepro e alloro, il tutto imbevuto dal vino. Altre carni indorate dall’ardente fuoco del camino riversano sui banchetti. Carni ricercate come le tagliate di maiale o il cinghiale, il capriolo e la lepre, quest’ul-tima cotta anche in padella così come le scaloppine di tacchino al burro e salvia, ru-cola e grana o ai funghi. Non da meno sono i contorni. Semplici come le insalate miste intrise dalla corposità di un filo d’olio cru-do – sempre eccellente la varietà Piantone di Falerone -, oppure più elaborati come le verdure cotte di stagione o grigliate, patate arrosto e fritte della nonna, mix fritto con olive e creme. I più golosi saranno i ben serviti da una vasto assortimento di dolci locali e non, tutti rigorosamente di produ-zione propria, a concludere deliziosamente una cena indimenticabile. Sempre aperta

Osteria Il Frantoio di FermoA tavola la cultura dell’ospitalità

Il Frantoio l’Osteria. Cucina Tipica Marchigiana. via Lucio Volcacio, 4 – 63023 FERMO Tel. 0734 217116 www.ilfrantoiolosteria.com

la sera, anche a pranzo solo il sabato e la do-menica, l’osteria Il Frantoio è l’ideale anche per sostanziose merende a base di salumi, formaggi e focacce ripiene, magari accom-pagnate da marmellate caserecce al man-darino o al pomodoro. Qui la festa trova sempre la sua ambientazione con un giusto tocco di originalità. Come nella romanti-ca cena a lume di candela proposta a San Valentino, contrassegnata da un viaggio in crociera in premio alla coppia più fortu-nata, nuove sorprese verranno svelate per la Festa della Donna, il prossimo 8 marzo. Sorprese che non potranno mancare dentro l’uovo per il classico Pranzo di Pasqua, il 12 aprile. Periodicamente inoltre l’ampia sala da 80 posti a sedere ospita degustazioni “slow food” di vini e olii.Su prenotazione, lo staff organizza banchet-ti per feste di laurea, cerimonie, convegni e cene di lavoro. Menù davvero speciali sono poi quelli fissi del giorno: il mercoledì è dedicato alla trippa alla romana, il giovedì alla paella e il venerdì allo stoccafisso con le patate. É possibile concordare menù a richiesta per almeno quattro persone, ordinando piatti raffinati, come tagliatelle e riso al tartufo fresco e la lepre al salmì, o più rustici come la polenta sulla spianato-ra. La carte dei vini è assortita dei migliori bianchi e rossi doc della Regione. Tra le etichette più ricercate, in cantina spiccano il Nero d’Avola e il Morellino di Scansano. Cultura del gusto ma anche dell’ospitalità dunque all’osteria Il Frantoio che prose-gue nelle visite guidate presso le aziende agricole e vinicole produttrici. In attesa di conoscere gli appuntamenti ideati dal neo comitato di “Vivi Piazzetta”, gli itinerari turistici del gusto sono le ultime trovate che Arianna e Adriano sin da ora riservano ai propri ospiti. Tra una visita alla Natività del Rubens e alle Cisterne romane e la tavola imbandita de Il Frantoio, cosa c’è di meglio allora di un’escursione enogastronomica alla scoperta dei casolari attorno alla rigo-gliosa campagna fermana?

A cura di Fabio Scatasta

Nel cuore medievale di Fermo, a poca distanza dalle chiese di San Pietro e San Zenone, sorge "Il Frantoio". Adibito a cantina alle origini, venne tra-sformato, agli inizi del '500, in molino ad olio.

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...Scripta manent

Un vescovo, un

club, il buon

mangiare.

Due elementi possono

pure “impastarsi”. Ma

il terzo: cioè il vescovo,

che c’entra? C’entra,

eccome se c’entra. Spe-

cie se il monsignore è

don Luigi Negri, pastore

di San Marino e del Mon-

tefeltro, cervello fino, intellettuale di spessore, scritto-

re, docente universitario.

Allora, rimettiamo i tasselli al loro posto. Il vescovo l’ab-

biamo presentato. Passiamo al resto. Il club è il Club di

Papillon, quello creato dal giornalista e scrittore Pao-

lo Massobrio, che, tra i primi associati, vanta proprio

mons. Negri. Il mangiare è la conseguenza del Club.

Per meglio dire, il buon mangiare e il buon bere sono

l’oggetto del Papillon. Lo sapete perché ne abbiamo

già scritto altre volte.

Ed ecco il filo rosso che lega il tutto. Lo scorso anno

Massobrio ha lanciato l’iniziativa della “tavola che

non dimentica il mondo”. I soci di tutta Italia hanno

organizzato a febbraio pranzi o cene il cui importo

non è andato ai ristoratori (pubblici o privati) ma è

stato inviato alle monache trappiste di Vitorchiano

per aiutarle a costruire un monastero nei pressi di

Praga. Tra i club, il “Marche Sud” di Pio Mattioli si è

distinto molto. Come sempre.

Quest’anno l’idea è stata riproposta il 16 febbraio

scorso. Gli aiuti sono andati al monastero di Car-

pegna, nella diocesi di San Marino e Montefeltro,

Sia che mangiate, sia che beviate.La bellezza, il cibo e la fede

quella, appunto, di mons. Negri. Le monache fanno

parte dell' Istituto dell'Adorazione Perpetua del SS.

Sacramento.

Ma come mai gli aiuti proprio ai monasteri? Paolo

Massobrio lo chiarisce subito. “Dal punto di vista cultu-

rale siamo debitori verso l’esperienza monastica, che

ci ha suggerito quell’attenzione al posto a tavola...”.

Non basta. “Da quella civiltà che ha ridisegnato l’agri-

coltura europea e anche il gusto – precisa il giornalista

– è rimasto ancora oggi un punto di riferimento che ha

nel richiamo dell’ascolto un valore universale…”.

Ed ecco mons. Negri che entra nel merito. “Il gusto è

fattore eminente della bellezza… La cultura è la co-

scienza critica e sistematica dell’esistenza umana; ed

esistenza umana è anche quando uno mangia, esi-

stenza umana è anche quando uno piange o ride, o

pensa”.

Contestando l’uomo ridotto a compartimenti stagni,

il vescovo di San Marino ricorda una massima di San

Tommaso D’Aquino: “Idem est hic homo, qui edit, bibit

et quaerit deum”, cioè “lo stesso uomo è quest’uomo

che mangia, beve, vive, veste panni e pensa a Dio”.

L’uomo integrale insomma, l’uomo che non censura

nulla, che vive ogni aspetto. Allora, una tavola ben

apparecchiata o un piatto ben cucinato hanno a

che fare con la bellezza nella sua unità.

C’è una parola che mons. Negri ripete spesso: edu-

cazione. “Le buone maniere – spiega – non si impara-

no in astratto, a cucinare non si impara in astratto…

l’educazione di tutta la vita è legata al fare”. Al “fare

per capire”, come diceva il suo maestro don Luigi

Giussani. Perché a tavola uniamo tutto. E guardiamo

in alto. Ringraziando. O tornando a ringraziare.

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Nel cuore delle Marche ai piedi dei Monti azzurri, nel Comune di Amandola, ha sede VALLEGAIA di CARNEBIO srl, azienda leader nell’allevamento, sezionamento e commercializzazione di vitelloni "BIO" e "IGP"

(identificazione geografica protetta, marchigiani chianini e romagnoli), prodotti di eccellenza nel settore della carne nazionale. Questo tipo di allevamento, attento all’alimentazione ed al benessere degli animali, nel periodo di stabulazione, ci permette di assicurare carne certificata di altissima qualità a mense, ristoranti e consumatori finali.La forte determinazione del presidente MARIANO DE ANGELIS

insieme al contributo del suo organico, composto prevalentemente da giovani, ha portato quest’azienda ad affermarsi nel settore delle mense scolastiche, fornendo 100.000 pasti la settimana distribuiti in tutta Italia.In seguito, acquistando sempre più consensi, VALLEGAIA di CARNEBIO si è rivolta anche alla ristorazione e alle macellerie attente alla qualità e alle razze dell’appennino centrale. Nel 2006 abbiamo aperto uno spaccio aziendale con vendita al minuto dove commercializziamo carne di scottona Marchigiana allevata nelle nostre stalle di San Ginesio di Macerata.

SPACCIO AZIENDALE Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736/848719CARNEBIO srl Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736.848719 Fax 0736.847399 e-mail: [email protected]

Portiamo le nostre ANTICHE RAZZEnelle migliori mense, ristoranti e macellerie.

CARNEBIO srl

La nostra fattoria allevaSCOTTONE MARCHIGIANEcon metodi TRADIZIONALI

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La trichinellosi è una malat-tia a caratte-re zoonosico sostenuta da un nematode parassita (Foto 1) del genere Trichinella che può infestare una grande va-rietà di mam-miferi (uomo

compreso) e di volatili. Ne esistono infatti svariate specie ognuna con ospiti preferenziali e con diverse aree di distribuzione.Le specie che si possono ritrovare sul nostro territorio sono la Trichinel-la Spiralis e la Trichinella Britovi. In particolare le autorità competenti e gli operatori del settore alimen-tare hanno l’obbligo di effettuare prelievi di campioni dalle carcas-se di suini domestici nei mattatoi, da suini macellati per uso dome-stico e da cinghiali cacciati al fine di individuare, grazie all’ausilio del laboratorio autorizzato, la presen-za di eventuali Trichine. L’infestazione può avvenire attra-verso l’ingestione di carni infette contenenti cisti (larve incistate) di Trichinella. Le larve si riattiva-no dopo l’esposizione agli acidi gastrici e si sviluppano a livello dell’intestino tenue dove divengo-no adulti. Dopo l’accoppiamento i maschi muoiono mentre le fem-mine iniziano e deporre larve che attraverso la via linfo-ematica rag-giungono i muscoli scheletrici nei quali penetrano e si accrescono assumendo una tipica posizione a spirale. Le larve sono in questo stato infestanti e possono rimane-re così per anni. Il ciclo ricomincia

I SERVIZI VETERINARI PUBBLICI NEL CONTROLLO DELLA TRICHINELLA NELLA FILIERA ALIMENTARE

di Manfredo Fortunati

ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALEDELL’UMBRIA E DELLE MARCHE Sezione di FermoC.da San Martino, 6 - 63023 Fermo (AP)Tel. 0734-621489 - Fax 0734-623449 - www.izsum.it

Istituto Zooprofilattico Sperimentaledell'Umbria e delle Marche

Il regolamento comunitario (CE) n. 2075/2005 del 5 dicembre 2005, definisce: “Norme speci-fiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla presenza di Trichine nelle carni”.

quando le larve sono ingerite da un altro ospite.Le modalità di sopravvivenza della Trichinella si basano su un ciclo sil-vestre e un ciclo urbano.Nel ciclo silvestre sono interessati vari animali selvatici che si infestano cibandosi di animali o di carogne a loro volta infestate che permettono il ripetersi del ciclo. In quello urbano sono interessati gli animali domesti-ci che si infestano con rifiuti o caro-gne contenenti larve.L’uomo può infettarsi consumando carni crude o poco cotte di ani-mali infestati come suini, cinghiali e cavallo. Il rischio è dovuto princi-palmente ad animali che vengono allevati allo stato brado dove è più facile la possibilità di contagio con animali selvatici che funzionano da serbatoi della malattia.Sulla base del regolamento sopra-menzionato e nell’ambito dei con-trolli ufficiali effettuati dai Servizi Veterinari ed inviati al Nostro labo-ratorio, nel corso dell’anno 2008 sono stati effettuati complessiva-mente 16658 esami nei confronti della Trichinella con il metodo del-la digestione automatica. Di questi 15130 sono riferiti ai suini domestici e 1528 ai cinghiali cacciati. Nes-suna positività è stata riscontrata nei suini domestici, mentre 2 casi (0,13%) sono stati accertati in cin-ghiali. Il primo si rilevava da un cinghiale selvatico catturato e re-golarmente macellato, provenien-te dal Parco dei Monti della Laga, mentre il secondo era rappresen-tato da un cinghiale cacciato nel territorio del Comune di Acqua-santa Terme (AP) e sottoposto a visita sanitaria presso i servizi vete-rinari di competenza. In particola-re considerando che l’infestazione

da trichinella nell’uomo, necessita di un numero minimo di larve pari a 100 per grammo di carne fresca, gli animali risultati positivi eviden-ziavano in 5 grammi di muscolo 831 e 45 larve rispettivamente per il cinghiale catturato sui Monti della Laga e quello cacciato ad Acqua-santa Terme.Negli ultimi anni non si sono verifica-ti casi di Trichinellosi umana dovuta a consumo di carni provenienti da animali allevati in impianti indu-striali. Mentre sono stati accertati casi dovuti a cinghiali cacciati allo stato brado e da carni di cavallo di provenienza estera.La prevenzione e il controllo nei confronti della Trichinella vengono effettuati a più livelli nella filiera:1) In allevamento evitando il con-tatto con gli animali selvatici;2) Lotta ai roditori; 3) Controllo sie-rologico degli animali introdotti in azienda; 4) Al mattatoio dove sono obbligatori i controlli sulle carcasse degli animali sensibili; 5) Controllo della documentazione per le carni provenienti dall’estero; 6) La cottu-ra delle carni prima del consumo.È importate sottolineare che tutti gli animali testati pervenuti al no-stro laboratorio da allevamenti industriali o rurali sono risultati ne-gativi, mentre è stata riscontrata positività in alcuni animali selvatici (lupo e cinghiali).A conclusione di questa breve re-lazione si precisa che la normativa comunitaria e vigente nel nostro territorio, regolamenta il sistema di controllo ufficiale e l’attività di laboratorio, garantendo al consu-matore un prodotto finale sicuro sia sulla filiera degli animali domestici allevati industrialmente, che quelli selvatici catturati e/o cacciati.

Foto 1Trichinella Britovi iden-tificata nel nostro labo-ratorio nei casi sopra descritti (microscopio ottico; 100 X)

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Sarà che nel-la metropoli sono abitua-

ta agli odori dei gas di scarico delle au-tovetture, alla vista nei cortili interni dei grandi condomini, ai tramezzini tutti del-

lo stesso sapore, al rumore assordante del traffico cittadino, condito di sirene di am-bulanze e polizia, alla superficie così arti-ficiale dei corrimano delle scale mobili.Sarà…ma la Marca Fermana è per me sempre più la “Terra dei Sensi”.Luogo incantato ed incantevole dove i co-lori, i sapori, gli odori, i rumori, le calde strette di mano e le carezze svegliano i sen-si. Qualcosa in più di una semplice perce-zione sensoriale di questi luoghi, oggetti-vamente molto belli.In questa terra, fatta di panorami sconfi-nati, di tradizioni culinarie, di gente sana, i sensi vengono sollecitati fino a far vibra-re il sentimento, il piacere del vivere.Il mio scrigno dei sensi è Smerillo, il piccolo borgo medioevale fuori dal tempo e dallo spazio, dove i canali sensoriali non sono inquinati dal vivere quotidiano e si immergono nella vera percezione che conduce alla rivelazione del mondo, degli altri, di sé.

Terra dei sensi,Terra del gusto,Terra dell' Anima

Mi affascina camminare nei silenziosi vicoli del borgo ed essere ag-gredita dall’odore del fumo dei camini che esce da ogni tetto, distri-buendo informazioni su vicende ed affetti che si consumano dentro ciascuna casa. Ed all’ora di pranzo, che meraviglia! Il profumo del pane caldo, della carne cotta sulla brace, parla non solo di cibi cucinati, ma di un calore familiare, di valori fondanti.Dai ruderi dell’antica Rocca, il punto più alto del paese, si apre una vista a 360 gradi che corre dai Monti Azzurri al blu intenso del mare, passando attraverso le colline colorate, guarnite di paesi arroccati su ciascun colle. Il silenzio che proviene da questo pano-rama produce suoni e melodie, dentro le quali corrono le voci della natura e dell’uomo; un silenzio del dire che parla molto di più di tante parole consumate ed abusate.Solo in questa terra, mi è stato possibile riscoprire sapori perduti, ancorati ai ricordi sensoriali di alcune pietanze preparate da mia nonna, anch’essa della Marca Fermana. Mi viene in mente il sugo con i maghetti, fatto bollire per ore, per poi essere sposato con i mac-cheroncini sottilissimi, tagliati a mano.La genuinità della gente di questo territorio ha permesso la conservazione di tradizioni cu-linarie, altrove spazzate dalla foga del nuovo e dalla voglia di affrancamento da un passato da rinnegare o quantomeno da superare. Ne nasco-no sapori e sensazioni che vanno ben oltre il sem-plice piacere di una buona tavola. È il prodigio di questa terra che, nello stimolare in modo così raffi-nato tutti i sensi, apre a percezioni extrasensoriali, che conducono verso un sentire dell’anima.

Una Terra dei Sensi che diventa, in questa dire-zione, Terra dell’Anima.

Simonetta Paradisi

13 della vita

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Sommelier Prof.Stefano Isidori

Falerio dei Colli Ascolani,una DOC d’aMareIl titolo non poteva essere più esatto, perché questa nostra DOC è forse la più bi-strattata dell’intera regione. Eppure il riconoscimento è più che decennale, infatti, con DPR del 1975, il Falerio dei Colli Ascolani ottenne l’ufficialità di vino con ottime caratteristiche.

Non da meno la sua storia, più che millenaria, già scritta nel nome tipi-

camente romano, che deriva dall’antica città di “Faleria Augusta”, oggi

Falerone.

Se ne trova menzione nella legge “Giulia” del 92 a.C.: Faleria Augusta,

fiorente cittadina conosciuta per le produzioni agrarie e soprattutto per

le ottime uve, che sorgeva tra le opulente città di Asculum e Firmum.

Ed è proprio il Falerio, insieme ai resti dell’anfiteatro e del tempio roma-

no, che si possono ammirare nella moderna Falerone, che rimangono la

testimonianza diretta della fama che, fin dai tempi della Roma Imperia-

le, avevano avuto i vini del Piceno.

Informazioni sull’agricoltura marchigiana si hanno dall’illustre medico e

filosofo Andrea Bacci, che la descrisse in maniera dettagliata nel V libro

de “La storia naturale della vite” del ‘500, aggiornando gli scritti di Ca-

tone e Plinio il Vecchio.

Il Bacci parla dei sistemi d’allevamento adottati e descrive le viti “ma-

ritate” ad altri alberi, in particolare l’acero. Parla delle uve Trebulane e

Malvasie, di Muscatelle bianche e nere.

Descrive i vini dell’agro ascolano: ‘‘… assai più potenti… l’aria del mare la

quale ha la capacità di regolare e perfezionare la sostanza del vino…’’.

La zona di produzione si estende in tutta la vecchia provincia di Asco-

li Piceno. Negli ultimi 15 anni, grazie all’inserimento nell’uvaggio di

due uve ritenute autoctone (Passerina e Pecorino), ma anche gra-

zie all’intervento di una nuova generazione di vignaioli (figli che

hanno preso le redini dell’azienda da genitori troppo ancorati alla

tradizione), puntando di più all’ottenimento di prodotti di qualità

a scapito della quantità, il Falerio dei Colli Ascolani sta vivendo

una nuova giovinezza.

Il vecchio disciplinare del 1975 è stato sostituito con decreti nel

’94 e nel ‘97, fino all’attuale modifica del 2003. È stato rivisto

l’uvaggio, dove il Trebbiano toscano, utilizzabile dal 20 al 50%,

ha lasciato spazio alla Passerina 10-30% e al Pecorino 10-30% e

è previsto l’utilizzo massimo del 10% di altre uve.

...Vino & Territorio

Il Gusto... 14

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...Vino & Territorio

Onorato Savini, figlio del fonda-tore dell’azienda Santa Libe-rata di Fermo, Domenico, mi

riceve nell’accogliente punto vendita, insieme ai figli che ora dirigono tutto: il lavoro, dalla vigna alla cantina, fino alla vendita.Ancor prima di poter iniziare l’intervi-sta, mi offre la possibilità di assaggiare la produzione. Tra i calici di Passerina, Pecorino, Trebbiano in purezza e alcu-ne selezioni di Falerio (con uvaggi di vigna), inizio a formulare le domande.Domanda: “Carissimo Onorato, la sua azienda tra aneddoti, storie e leggen-de legate al Falerio”Risposta: “Leggende!… Storie!… Aspetta un attimo!… Perché la real-tà è ben diversa da quello che si può pensare”. Si allontana e dopo pochi minuti ri-entra portando con se, il Messaggero pubblicato il 7 novembre del 1969, al-cune targhe premio e una bottiglia di vino il cui contenuto era di un colore particolarmente ossidato.R: “Ecco, guarda un po’ qua! Questa non è leggenda, questa è stata realtà! Il primo meritato riconoscimento, mio padre, lo ha ottenuto nel lontano 1969,

al 6° Concorso Interna-zionale del Vino di Buda-pest, vincendo la meda-glia di bronzo con questa bottiglia di vino “Bianco Faleria”, e la medaglia d’argento con il “Piceno rosso”. Eh sì i nomi erano questi, perché ancora non erano stati ricono-sciuti come vini a denomi-nazione di origine, che è arrivata in seguito e forse con il nome sbagliato. Ma

bando alle polemiche, questa è stata la realtà, che mio padre e successiva-mente io ed i miei figli abbiamo porta-to avanti”.D: “Perché “Bianco Faleria”?R: “La risposta non te la do io, la puoi leggere tra le righe dell’articolo de “Il Messaggero” e a risponderti sarà mio padre, perché è stato lui a decidere il nome.”Sbircio l’articolo e leggo: “Lo chia-miamo “Bianco” ma è giallo, come i capelli di un Cherubino. È amabile, originale di collina, tipico della gene-rosa terra Picena. …. “Faleria”? É pre-sto detto: si tratta di un vino classico che ha la ricchezza dei “faleronesi”, i quali all’alba della loro storia (VI sec. a.C.) sono apparsi come abili agricol-tori, amanti della loro terra e del pro-gresso”.D: “Questa vecchia bottiglia è stupen-da, ma la vostra produzione è vendu-ta perlopiù sfusa, come mai?”R: “Sai com’è, le scelte che si operano sono sempre orientate al mercato, e in quel periodo il consumatore utiliz-zava molto più vino nella sua alimen-tazione, e difficilmente acquistava bottiglie che contenevano poco vino,

erano più abituati a comprare dame. Allora la scelta di mio padre, e di molti viticoltori, fu di abbandonare la botti-glia da 750 ml e dedicarsi alla vendi-ta dello sfuso. Negli ultimi 15/20 anni, abbiamo ripreso l’imbottigliamento e con il lavoro dei miei figlioli, stiamo cercando di migliorare la qualità dei nostri prodotti per avvicinarci alle esi-genze dei clienti, che richiedono sem-pre più vini genuini e di qualità, così come fanno oramai la maggior parte dei produttori.”.D: “Quali sono le differenze maggiori tra il “Bianco Faleria” e il Falerio attua-le?”R: “Innanzitutto l’uvaggio, alla base del “Bianco Faleria” c’era la Mal-vasia, usata per un buon 50%, poi si utilizzava il “Pagadebito” e un po’ di Trebbiano. Si ricavava un vino molto profumato, leggermente abboccato e di grande struttura. I vini attuali sono costruiti molto bene, gli uvaggi sono dosati in maniera ottima, l’utilizzo del-le moderne tecnologie, il freddo in primis, tendono a renderlo gradevole sia al naso sia al palato e purtroppo a standardizzare le caratteristiche or-ganolettiche.”D: “Ma per lei, quale Falerio si può considerare migliore, quello degli anni ’60 o quello attuale?”R: “Questa è una domanda dove è meglio soprassedere e rispondere con diplomazia: i vini sono differenti e si avvicinano, adesso come allora, alle esigenze del consumatore, e negli anni anche le mie sono variate e ap-prezzo il moderno Falerio come prima apprezzavo il Bianco Faleria.

E vi voglio salutare augurandovi un buon Falerio a tutti”.

L’INTERVISTA ad Onorato Savini

ABBINAMENTOVino da bere fresco (11-12°C), ottimo ape-ritivo accompagnato dalle olive “Tene-ra Ascoli” all’ascolana. Assaggiatelo sui tradizionali piatti di pesce: le soglioline dell’Adriatico arrostite, le “vusbane” fritte, i mitili di Pedaso anche crudi, i crostacei al vapore, con la seppia o i piccoli polpi bolliti, la “squilla mantis” (pannocchia) con profu-mo di alloro come usavano i marinai. I Fa-lerio più importanti di corpo e profumati si abbinano splendidamente sui “Frascarelli” (sorta di polenta preparata con farina di grano tenero e acqua), su preparazioni di pesci più complesse come la coda di rospo in “potacchio”, sullo stoccafisso in “porchet-ta” e su tutti gli animali di bassa corte pre-parati secondo tradizione, come il “coniglio in porchetta” o il “pollo ‘ncip e ‘nciap”. Da proporre anche con formaggi cremosi e freschi o con caciotte e pecorini dei Monti Sibillini non molto stagionati.

NEL BICCHIERERimane difficile poter metter insieme la de-scrizione di tutti i caratteri organolettici che si potrebbero scoprire in un bicchiere di Falerio giacché le tipologie sono molteplici, sia per i differenti uvaggi utilizzati, sia per la differente tecnologia applicata in cantina, sia per i va-riegati terroir dove è possibile ottenere questo vino. In genere il vino si presenta di un brillante giallo paglierino più o meno intenso, con sfuma-ture tendenzialmente verdi. Al naso, di solito non molto intenso e complesso, ha note fini floreali e di frutta bianca, fino ad arrivare, in alcuni casi, dove la cura estrema in vigna e in cantina è no-tevole, a note olfattive intense e complesse di frutta matura anche tropicale e sentori mielosi e caldi. Al gusto si avvertono sensazioni fresche di acidità propria, supportate dall’alcol di solito sostenuto. Nelle versioni “più importanti”, l’equi-librio gustativo è notevole, seguito da una persi-stenza duratura e piacevole, così come il finale piacevolmente ammandorlato.

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Chef Emanuele Bani

...la disfida dei fornelli

Maccheronciniin Salsa di Brodetto Sanbenedettese

Emanuele Bani nato a Brescia nel 1951.All'IPSSAR di San Benedetto del Tronto dal 1973. Socio della F.I.C. dal 1974, ho avuto il piacere di ricoprire, per l'Associazione Cuochi della Provincia di Ascoli, gli incarichi di: se-gretario, tesoriere, presidente e per alcuni anni sono stato consi-gliere Nazionale. L'attività primaria è comunque riservata alla scuola.

Ingredienti- Olio Extra Vergine di Oliva gr 70- Peperoncino q.b.- Aglio gr 20- Aceto Bianco gr 50- Seppie gr 50- Sgombri gr 50- Scorfano gr 50- Gallinella gr 50- Sugarello gr 50- Gattuccio gr 50- Vongole fresche gr 200- Pomodori verdi gr 300- Peperoni gr 60- Maccheroncini gr 350

ProcedimentoRosolare, senza far biondire, l’aglio con l’olio; bagnare con poco aceto e lasciar evaporare completamente; aggiungere una dadolata fine di seppia e cuocere per 8/10 minuti. Se necessario bagnare con fumetto. A cottura ultimata, unire la pol-pa dei pesci sfilettati e battuta a coltello; stufare il tutto per 3/5 minuti, unire i pomodori verdi spellati e tritati e una modesta quantità di peperoni, sempre spellati e saltati in padel-la con poco olio extra vergine d’oliva. Portare ad ebollizione, regolare di sale ed aromatizzare con peperoncino.Utilizzare la salsa ottenuta per condire i maccheroncini e guarni-re con vongole fresche saltate in padella.

IngredientiOlio Extra Verg. D’olivaPeperoncinoAglioAceto BiancoSeppieSgombriScorfanoGallinnellaSugarelloGattuccioVongole freschePomodori VerdiPeperoniMaccheronciniTotaleTotale per persona

Quantità in g.70q.b205050505050505020030060350

Kcal629  

837,63685418552411445113

12812504626

Kcal per157  

29,49211021131036133

320624,4156,1

KJ2634  

3415715135617235621817260421355

5362104842621

Proteine g.0  

0,207

8,59,58,59,29,520,43,60,545,5122,430,6

Lipidi g.69,9  

0,10

0,85,60,25,61,50,25,20,60,28,498,324,57

Glucidi dis. g.0,0  

1,70

0,40,30,30,30,50,34,48,42,5

272,7291,872,95

Alcool0,0  

0,05,360,00,00,00,00,00,00,00,00,00,05,41,35

Fibra g.0,0  

0,60,00,00,00,00,00,00,003

1,111,215,93,97

Colesterolo0,0  

0,00,032

47,533,547,532,533,50,00,00

320546,5136,62

Calcolo calorico

Contributo calorico

Proteine 24,7%Lipidi 43,4%Glucidi dis- alcool 31,9%

Il Gusto... 16

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Chef Mauro Sanguigni

...la disfida dei fornelli

Caprioloin salmìIngredienti per 4 persone- 1kg di capriolo- 1 cipolla bionda- 2 pomodori rossi- olio extravergine di oliva- aromi- peperoncino- ½ l di vino bianco- ½ l di vino rosso- alloro- sale e pepe

Marinatura(lasciar marinare per 12 ore)- ½ l di vino bianco- ½ l di vino rosso- aromi

ProcedimentoSoffriggere una cipolla con olio extravergine di oliva, scolare il ca-priolo dalla marinatura e aggiun-gerlo al soffritto. Lasciar rosolare per qualche minuto e aggiungere il vino della marinatura, sale, pepe e peperoncino. Aggiungere il po-modoro e un trito di alloro e lasciar stufare per circa 2 ore.

Mauro Sanguigni è chef-proprietario del Ristorante "Al Picchio Verde", storico locale (1981) di Monsampietro Morico immerso nelle bellissime colline del Fermano.La sua cucina, molto personale, nel tempo si è saputa rinnovare, nei sa-pori e nel gusto, sempre con prodotti di qualità. La calda ospitalità, il verde che da fuori sembra invadere l'interno, danno la sensazione di essere in un angolo di paradiso.

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di Simone Troiani

Campagna semprepiù Amica con la Coldiretti.

I farmers market, i l pro-getto Campagna Ami-ca, i menu a ki lometr i

zero, le fattor ie didattiche. Questi alcuni dei progetti in bal lo. È solo un assaggio di quel-lo che è i l vasto mondo targato Coldi retti Ascol i

Fermo, presieduta dal giovane enotecnico Paolo Mazzoni e di retta da Anacleto Mala-ra. Propr io con i l presidente vogl iamo vedere cos'è Coldi retti e come agisce sul ter r itor io del le due province. Per chi non la conosce, Coldi retti è un'organizzazione agr icola for te-mente radicata nel Piceno-Fermano, costitu-ita da 7 uff ici di zona e 67 sezioni per ifer iche. Con i l suo braccio Giovani Impresa associa i ragazzi del mondo rurale dai 14 ai 28 anni, mentre Coldi retti Donne Impresa supporta le imprenditr ici agr icole. Per forni re assistenza agl i agr itur ismo Coldi retti ha creato invece Ter ranostra Ascol i Fermo.

Per quanto r iguarda i progetti, Paolo Mazzoni accende i r if lettor i sui Mercatini di Campa-gna, o Farmers Market, pensati per la ven-dita di retta da parte del le imprese agr icole al cittadino e promossi propr io da Coldi retti. L'obiettivo è offr i re al la gente prodotti f re-schi, coltivati sul ter r itor io, di stagione, sicur i e al giusto prezzo, creando un'opportunità di reddito per gl i agr icoltor i. I l pr imo è stato real iz zato a Fermo ed è aperto tutti i giorni dal lunedì al sabato. Obiettivo pr imar io: ac-corciare la f i l iera e proporre nuovi model l i di consumo che valor iz zano i l ter r itor io e r ispet-tano l 'ambiente, secondo la f i losof ia del ki-lometri zero.

Oltre 7.000 associati, 6.500 t itolari di impresa, la mag-gior parte dei quali iscritt i alla Camera di Commercio. Questi sono solo alcuni numeri.

I progetti del giovane presidente Mazzoni

Il Gusto... 18

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Non solo mercatini, spie-ga Mazzoni, perchè Col-di retti, insieme al la Fon-dazione, ha messo su un elenco di produttor i che fanno vendita di retta ai

consumator i, consentendo anche qui di ac-corciare la f i l iera. Le aziende marchigiane che fanno vendita di retta dei prodotti agr i -col i sono aumentate del 45 per cento nel gi ro di un anno, raggiungendo quota 1.900.Coldi retti inoltre guarda con estrema atten-zione ai giovanissimi. Così sempre grazie a Campagna Amica è entrata nel le scuole con un progetto di educazione al imentare che coinvolge mediamente ci rca 2.000 alunni. Progetto che prevede laboratori del gusto, vis ite nel le aziende agr icole e nel le fat torie didatt iche, lezioni sui cicl i dei var i prodotti con dimostrazioni pratiche che coinvolgono i bambini.Sempre ai piccol i s i sono r ivolte e continue-ranno a r ivolgersi anche nel 2009 le fat torie social i. Con queste Coldi retti vuole mettere in r isalto i l ruolo del l 'agr icoltura nel la cura e nel la prevenzione del le var ie forme di disa-gio sociale. Avviate in col laborazione con i l Csv, hanno visto come pr imo atto concreto un corso di ippoterapia. I nuovi progetti sa-ranno indi r iz zati agl i anziani, agl i affetti da

cel iachia e ai disabi l i f is ici.

Page 22: Il Gusto... della Vita

...Distilleria Varnelli

Paolo Massobrio è uno scrittore e giorna-lista attento alle eccellenze. Presidente

nazionale del Club di Papillon così racconta i prodotti Varnelli nell'edizio-ne 2009 de Il Golosario: “Lu Cazolà, è l'espressione dialettale marchigia-na con cui si identifica il calzolaio,

ma nella zona dove la provincia di Ascoli Piceno incontra quella di Macerata, secondo una ricerca di Miguel Catalini di Falerone, que-

sta parola indica il modo di bere di prodotti locali: il liquore al caffè e il Varnelli, il tipico li-quore aromatizzato all'anice. Proprio questa miscela oggi

si trova già confezionata in bottiglia con il nome di Adesso, un liquore pia-

Dicono di loro.Sempre un gran bene

cevolmente dolce, dall'ottima armonia tra anice e caffè e dal profumo in cui si avvertono le calde note del caramello, delle mandorle, delle nocciole e del cacao. La storia di questa bevanda ha inizio negli anni del primo dopoguerra, quando il caffè disponibile era di pessima qualità, e per render-lo più gradevole, era abitudine correggerlo con il Varnelli. E si diceva che si seguiva il modo di procedere dei calzolai, ovvero si metteva il Var-nelli come “lu cazolà ce mette 'na pezza". Questa bevanda si diffuse nella zona e raggiunse l'apice negli anni '65 - '75, quando tutti i baristi prepa-ravano lu cazolà. In seguito invece ebbe una ri-duzione di consumo, ma oggi i giovani stanno riscoprendo questo cocktail che l'azienda Varnelli ha deciso di mettere in commercio già pronto da gustare: ottimo da dessert sia liscio che guarnito con la panna, ma è ingrediente prezioso per cor-reggere il caffè e per fare l'estivo caffè shakerato. Da provare anche sul gelato!

Altri imperdibili prodotti Varnelli sono l'Anice Secco Speciale, il Dark Passion (cremoso liquore al cioccolato), l'Amaro Tonico Digestivo (con erbe, radici e miele dei Monti Sibillini), L'Amaro Sibilla e il Caffè Moka con caffè espresso".

Ed ora la parola ad un' altra importante associazione del buon gusto, Slow Food che,

con Antonio Attorre, così ha scritto.

Sono due le scuole di pensiero che puntualmente si scontrano a ogni fine pasto marchigia-

no: la prima, il Varnelli lo vuole come correzione nel caffè, la seconda lo preferisce a parte,

per apprezzarne pienamente il gusto. Su un punto però sono tutti d'accordo: questa con-

suetudine ha un unico nome: Varnelli.

Anima e corpo dell'azienda, di cui è titolare assieme alle sorelle Donatella e Orietta e

alla madre Elda, Simonetta Varnelli è una perfetta interprete dello stile imprenditoria-

le marchigiano: sobrio ma deciso, familiare ma efficiente.

La fortuna del suo prodotto - simbolo deriva dall'aver saputo coniugare tradizione popola-

re e raffinatezza, interpretando modernamente questo liquore d'anice che può vantare una

storia millenaria, tra le più evocative nell'area mediterranea”.

Il Gusto... 20

Page 23: Il Gusto... della Vita

...Distilleria Varnelli

Nello scorso numero abbiamo iniziato la storia della “Fabbrica Varnelli”, parlando di Girola-mo, il capostipite, eppoi di Antonio ed ancora

di un altro Girolamo. E siamo all'oggi. La Distilleria Var-nelli è una solida Società per azioni con quattro donne sul ponte di comando: la presidente del Consiglio di am-ministrazione Elda Luchini Varnelli, farmacista e moglie dell'ultimo Girolamo, eppoi le figlie: Gigliola Simonetta, pubbliche relazioni, cura del marchio, sezione erboriste-ria e ricerca, comunicazione, Mari Donatella, responsa-bile della produzione, e Orietta Maria, responsabile del controllo di gestione, commercio estero e relazioni pub-bliche e istituzionali. “L'azienda, – si legge nella presen-tazione di un bellissimo volume della Gribaudo dedicato al “Varnelli anice da gustare” - che utilizza tuttora pro-dotti naturali, come erbe, radici, frutta, caffè e il miele dei Monti Sibillini, trasformati secondo i processi della tradizione Varnelli, attualmente gli uffici e lo stabilmen-to si sono trasferiti dalla sede storica di Pieveboviglia-na nel nuovo stabilimento di Muccia dove la tradizione della famiglia si coniuga e si integra con la modernità della struttura e si è dotata di nuove potenzialità produt-tive che le permetteranno di proseguire nella crescita e nell'espansione dei prodotti e del marchio”.

I Varnelli di oggi:tradizione e modernità

Giuseppe Rossi gestisce in piazza del Popolo a Fermo sotto le logge quattrocentesche, uno dei locali più originali della città: l'Enoteca Bar a Vino. “Il Varnelli? È la chiusura con il botto, è il souvenir che offria-mo ai tanti turisti”.

Ci spostiamo a Montecosaro Scalo, Ristorante Due Cigni. La signora Rosaria Morganti non si scompone, il Varnelli è la colonna dei suoi piatti: lo usa indiferentemente nella marinatura del pesce azzurro scottato alla griglia così come nella biscue di crostacei, senza dimen-ticare il gelato salato di carote con spuma di Varnelli e scaglie di cioc-colato.

A Porto San Giorgio Aurelio Damiani di “Damiani e Rossi” conosce bene i prodotti Varnelli. Che ne fa? Il petto di faraona alla crema di Varnelli e il coniglio farcito profumato al Varnelli. Tanto per comin-ciare...

Ci spostiamo a Macerata, strada verso Cingoli, ristorante Villa Cor-tese. Cortese sul serio la signora Ines Laubbichler, gentile consorte di Robert Ortolani. I prodotti Varnelli sono di casa. Il cioccolatino al tartufo ha una ganascia al Varnelli, così come lo zabaione cotto ha la spuma d'arancia e di anice secco della stessa casa di Muccia.

Se ne servono gli chef dell'osteria Beati Paoli di Corridonia e dell'oste-ria dei Fiori di Macerata, dei piccoli ristoranti ai piedi dei Sibillini e di quelli più grandi lungo la costa adriatica.

Il Varnelli entra nei piatti dell'Associazione Cuochi della provincia di Fermo e in quelli dei Cuochi di Marca del nord regione, e non solo. Sarebbe lunghissimo farne l'elenco.

Abbiamo anche sentito alcuni giovani cantanti di band marchigiane. Ci hanno detto che prima di affrontare un concerto un sorso di Var-nelli lo usano sempre per scaldare la voce. La stessa cosa ci è stata raccontata da alcuni cantori di Corali locali e di gruppi teatrali dilettanti e non.Vogliamo chiudere col botto? Allora, sappiate che Luciano Pavarotti era solito, dopo mangiato, sdraiarsi in poltrona, accendere un sigaro e sorseggiare il Varnelli. C'è un testimone oculare. È un altro cantante, Zucchero Fornaciari.Insomma, tutti usano i prodotti Varnelli. E ne dicono... un gran bene.

...Dicono di loro. Sempre un gran beneMa che ne pensano gli operatori di cucina, i nostri grandi chef? Glielo abbiamo chiesto.

w w w . v a r n e l l i . i t

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...Turismo

Di tutto ciò che la Terra di Marca è capace di esprimere... ma non di impastare. Ecco la nostra

pecca: restare murati nei centri ci-vici. Un problema che non riguar-da i residenti, che anzi si spostano, o i turisti, che gradirebbero cono-scere e vedere, ma gli operatori turistici e le istituzioni, e soprattutto, ci sia consentito dirlo, la mentalità. Il turista che arriva dal nord Italia o proprio dal nord Europa sceglie sovente il campeggio o l'albergo-pensione a mare. Bene! Gode della spiaggia e del sole. Bene, di nuovo. Ma godrebbe ancora di più visitando la Pinacoteca stupenda di Montefortino, il santuario del-la Madonna dell'Ambro, l'eremo di San Leonardo. Sarebbe ancora più attratto e conquistato se qual-cuno gli raccontasse dei Cavalie-ri del Graal che ascendevano il monte Sibilla o dei Ghibellini che abitavano la montagna di Aman-dola, o dei Clareni che si muove-vano tra Smerillo e Montefalcone, o, ancora, di Rinaldo e della sua rocca a Monteverde, che la leg-genda vuole sprofondata per ope-ra del demonio avido di ricchezze. Raccontiamo al turista dei pitto-ri fratelli Carlo e Vittore Crivelli, delle loro fughe dal Veneto, dei committenti ecclesiastici. Caliamo quelle storie nei nostri centri: Mas-sa Fermana, Falerone, Torre di Pal-me. Condiamo i racconti e le visite con la frutta fresca della Valdaso. Anzi, a proposito di frutta fresca, ci domandiamo da sempre per-ché i nostri chalet a mare non pro-pongano d'estate proprio la frutta

Il TURISMO non èla risposta alla crisi economica, ma rappresenta una risorsada utilizzare al meglio

della Valdaso e della Valtenna. Tornando ai siti storici, come non mettere in relazione il teatro roma-no di Piane di Falerone al tempio e al museo storico di Monte Rinal-do? Non basta l'estate del TAU (Te-atri Antichi Uniti), ci vuole dell'altro. A Montegiorgio troviamo la Cap-pella Farfense con un ciclo pittorico della Vera Croce di livello interna-zionale. Quanti lo sanno? E quanti sanno che lo sviluppo rurale prima, industriale dopo, è dovuto proprio ai Benedettini-Farfensi stanziati-si a Santa Vittoria in Matenano? Domenica 18 gennaio il regista Pupi Avati è rimasto incantato di-nanzi alla Casula di Thomas Be-cket conservata al museo dioce-sano di Fermo. La Casula richiama il Martire di Canterbury ma an-che il vescovo Lupo, fermano, suo compagno di studi a Bologna. Fermo-Canterbury-Bologna, dun-que, quante cose su cui punta-re. Così come Fermo-Kilkenny, cioè Italia-Irlanda, legate da un nunzio apostolico al tempo delle guerre tra protestanti e cattolici. Ed ancora, la saga dei saporiti “princisgrassi”, come si dovreb-be dire, e non vincisgrassi, come erroneamente si sostiene, e l'olio Piantone di Falerone e il Rosso Pi-ceno superiore, e la Passerina, e li Caciù di Montegiorgio con tanto di De.Co, così come Lu serpe di Falerone. Prendiamoli per la gola, prendiamoli per la vista. Ma pren-diamoli, questi turisti. Che sciocco dire, come disse una super laure-ata: la cultura è una cosa il turi-smo un'altra. Cretineria: la cultura è un modo di vivere, di creare fatti

e di porsi, che affascina e attrae. Tutto questo per dire che il nostro turismo potrebbe contare su am-bienti naturali sicuramente gra-devoli, su arte, storia e leggende altrettanto gradevoli, su cibi squi-siti, su scarpe, cappelli, terracotta incredibili. Ma chi crea l'impasto? Chi ci fa lavorare insieme? Chi co-struisce progetti comuni? Abbiamo un enorme ritardo nella proposta turistica anche perché stiamo mo-rendo di specializzazione: da una parte l'arte, da un'altra la storia, da una terza le manifatture, eppoi le leggende, eppoi la gastronomia, eppoi, eppoi... Settorializziamo, dividiamo, separiamo, purtroppo. Invece è l'opposto: unire, creare trame, tessere ragnatele. Altrimenti non funziona. Quando ascolto cer-te guide turistiche spiegare cantile-nanti un oggetto o un luogo, senza raccontarne la storia, senza legarlo ad un avvenimento e ad un fatto, ad un personaggio, mi deprimo. Quando ascolto l'operatore turisti-co, che vorrebbe rinserrare i suoi ospiti nel quadrato di mare dinanzi al suo campeggio o albergo-pen-sione, mi deprimo ancora di più. Abbiamo t re secol i da recupe-rare. Nel '70 0 in Toscana s i com-piva i l Grand Tour, noi dovrem-mo propor lo oggi, con 30 0 anni d i r i tardo. Basta, a l lora, res i s ten-ze, basta, a l lora, settor ia l i z za-z ioni. Aria nuova, signori amministratori. Dobbiamo ragionare comples-sivamente, invece: come un ter-ritorio omogeneo nelle diversità. Come una provincia, insomma. È la sfida che ci attende. Ne saremo capaci?

Il motto evangelico: non sappia la mano destra quel che ha fatto la sinistra, stavolta non funziona.Sappia invece Montefortino quel che fa Pedaso, e sappia Massa Fermana quel che accade a Monte Rinaldo.Non stiamo parlando di cronaca, quella è nota. Ma di turismo, quindi di eventi, di rievocazioni, di proposte che affascinino, che richiamino, che attraggano.

di Adolfo Leoni

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...L' evento

Il 7 marzo, in località Girola di Fermo, nel grande spazio che da anni ospita l’evento, viene tagliato il nastro della diciassettesima edizione. Per tre giorni i riflettori saranno puntati su Fermo e sul Fermano. Tipicità ha fatto centro. È entrata nella coscienza del territorio e, soprattutto, dei produttori. Di anno in anno è cresciuta come vetrina dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici di questa ter-ra di Marca ma anche dell’intera regione Marche.

Di anno in anno, sono anche cresciute le partecipazioni dei Comuni. Fermo iniziò 17 anni fa. A quel tempo Saturni-no Di Ruscio era dirigente comunale ma già aveva intravi-sto la bontà dell’operazione. Poi da sindaco, ha dato man forte al festival, credendoci e scommettendoci. Insieme a Fermo oggi ci sono anche i municipi di Montegiorgio, Mon-te Urano, Porto San Giorgio, Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare, San Benedetto del Tronto e Servigliano.

Tipicità può inoltre contare sulle Camere di Commercio di Ascoli Piceno e Fermo, sulla Provincia di Ascoli Piceno e sulla regione Marche. Non è poco.

Tipicità, edizione 17ª.Un evento giovane ma già maturo

I l 7, 8 e il 9 di marzo gli stand del festival saranno presi d’assalto da migliaia di visitatori. Molti anche i giornalisti e i media interessati a cogliere lo spirito

e l’oggetto della manifestazione.Spiega il patron Angelo Serri: “Con la sua esclusiva formula multi target, Tipicità si configura come sce-nografica vetrina delle eccellenze made in Marche ma, soprattutto, come grande contenitore di eventi: degustazioni guidate di piatti e prodotti tipici, banchi d’assaggio di vini ed olio extravergine d’oliva, dimo-strazioni dal vivo realizzate da professionisti del set-tore, incontri con la cucina di altri territori e, infine, un intenso programma congressuale”.Ecco, allora, dispiegarsi Tipicità come manifestazione che si indirizza al curioso, al goloso, al professionista e al gourmet. “Appuntamento gustoso – approfondisce Alberto Mo-nachesi, l’altro motore dell’evento - con le tipicità dei monti, del mare e delle verdi colline rotolanti, come la stampa anglosassone ha definito l’ondulata campa-

Signore e signori, ecco a voi: Tipicità, il Festival dei prodotti tipici delle Marche.

gna marchigiana, pittoresca ed esclusiva, adagiata tra la dorsale appenninica e le spiagge adriatiche: vini, olio extravergine d’oliva, salumi, formaggi, legu-mi e cereali, dolci tradizionali, frutta e ortaggi, pesce, pasta, miele, conserve artigianali e distillati”.La rassegna è allestita all’interno di un padiglione espositivo di 6000 mq, articolato in tre grandi settori tematici: Tipicità Marche Expo, destinato all’incontro professionale tra domanda e offerta; Mercatino di Tipicità, itinerario per il consumatore finale, lungo il quale si possono degustare ed acquistare specialità di nicchia direttamente dai produttori di olive asco-lane, formaggio di fossa, ciauscolo, maccheroncini di Campofilone, lonza di fico, vino cotto, tartufi, vino, olio e salame di Fabriano; Tipicità Marche Tur: salone del turismo enogastronomico marchigiano, percorso espositivo legato ai territori di produzione delle più significative eccellenze marchigiane che, nell’occa-sione, presentano proposte turistiche espressamente concepite.

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• Tipicità in blu. Spazio dedicato ai sapori del mare,

s’impone all’attenzione del pubblico quale autentico

“evento nell’evento” animato da tutti i protagonisti

della filiera ittica: pescatori, mercati ittici e cuochi.

• Verdicchio & Co. Incontri enologici europei: i più

autorevoli rappresentanti della produzione enologica

marchigiana incontrano i vini di altri territori del vec-

chio continente.

• La fucina della tradizione. Scenografica area ad an-

fiteatro con cucina attrezzata "a vista pubblico" che,

nei tre giorni della manifestazione, accoglie l’esibizio-

ne di rinomati chefs.

• Nel piatto degli altri. Tradizionale incontro con

l’enogastronomia di territori italiani e stranieri che, in

questa edizione, prevede la presenza dell’Astigiano e

della Contea di Dubrovnik (Croazia).

Gli eventi

• Le Marche in cantina. Selezione di vini marchigiani,

curata da A.I.S. - Associazione Italiana Sommeliers,

ospitata in una grande enoteca allestita nel cuore del

padiglione espositivo.

• Le Marche dell’olio. Esposizione delle diverse varie-

tà di olio extravergine d’oliva provenienti dai cultivars

della regione.

• Teatro dei sapori. Spazio destinato a presentazioni-

spettacolo di piatti, prodotti, iniziative.

• Stoccafisso senza frontiere. Appetitoso evento dedi-

cato ad una “tipicità” dei mari artici divenuta prota-

gonista di gustosi piatti appartenenti alla tradizione di

alcune tra le più significative cucine regionali del Bel-

paese. In passerella cuochi e ricette liguri, calabresi,

siciliane, campane e marchigiane.

Il programma di TIPICITÀ-Festival dei prodotti tipici delle Marche offre una serie di invitanti degustazioni, abbinamenti cibo-vino ed appetitosi eventi.

...L' evento

Il Gusto... 24

Page 27: Il Gusto... della Vita

Saturnino Di Ruscio, sindaco di Fermo, è laureato in Agro-nomia.

La passione per la terra e i suoi pro-dotti viene quindi da lontano.Quando 17 anni fa, Angelo Serri fece la proposta per una Tipicità al Comune di Fermo, l’allora dirigen-te diede subito il suo “sì” convinto alla manifestazione. Il tempo gli ha dato ragione. Biso-gnava puntare sulla riscoperta e il lancio dei prodotti agroalimentari locali.A distanza di quasi un ventennio se ne vedono i risultati e da qualche anno il citare la bontà dei prodotti

La terra, i suoi frutti:un valore da difendere

locali è divenuto un fatto collettivo e condiviso.“I nostri vini – spiega il sindaco di Fermo – nulla hanno da invidiare ai vini toscani o piemontesi. Il no-stro olio ha un profilo molto alto, il nostro ciabuscolo è imbattibile, la nostra carne fa gola agli altri”.Però tutta questa grazia di Dio doveva essere messa in “rete” e i produttori dovevano alzare la te-sta. Come aiutarli? “Ecco, allora, Tipicità, un luogo di incontro, di di-battito, di conoscenza”, aggiunge Di Ruscio.Infine, un ultimo passaggio: l’agro-alimentare, l’enograstronomia ser-vono anche ad altro. “Al turismo, sicuramente”, dice il primo cittadi-no, “Sono un richiamo e un ricor-do. Sono un’attrazione. E sono un modo per allacciare rapporti con altre zone d’Italia e d’Europa”. Tipicità come ambasciatrice del Fermano. Sicuramente.

...L' evento

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Surgelazione? Perché no!E ve lo spiego “Grano, uova e fantasia”, iniziavamo così, due numeri fa, il servizio sull'azienda“Da Sergio” di Perticari Leonardo & C.

Avevamo approfondito

l'aspetto della pasta fre-

sca. Sul resto della pro-

duzione eravamo passati a volo

radente.

Stavolta invece Matteo Perticari

ci racconta degli altri prodotti

dell'azienda di cui fa parte.

Allora, accanto alla pasta fresca,

che ha reso noto il marchio “Da

Sergio”, i nostri amici producono

olive, cremini fritti, gnocchi fatti a

mano ed altri gustosi bocconcini.

E come procedono? Surgelando-

ne una buona scorta.

Matteo insiste sulla bontà e sull'

economicità della surgelazione,

pensando alla sua impresa ma

anche a quelle degli altri.

Surgelazione, dunque, un tratta-

mento di conservazione naturale

dove il prodotto raggiunge la

temperatura ottimale di meno 18

in pochissimo tempo.

“Il trattamento di surgelazione –

spiega – garantisce, se eseguito

regolarmente, una qualità inalte-

rata del prodotto dall'inizio sino

alla consumazione finale”.

C'è un aspetto da tenere in con-

siderazione. A parità iniziale, il

prodotto fresco dopo 24 ore perde

qualità rispetto al surgelato che

mantiene invece le sue caratteristiche.

È chiaro che sul mercato il prodot-

to surgelato di qualità deve starci

con le stesse caratteristiche iniziali

del prodotto fresco. Anzi. Matteo

consiglia a tutti di utilizzare i pro-

dotti surgelati, sia in

casa, sia in ristorante, “perché

questo vuol dire meno sprechi, più

qualità e, perché no?, più rispar-

mio”. Di questi tempi, avere qual-

che euro in più in saccoccia non

è proprio male...

Ecco, spiegato, sinteticamente, il

perché “Da Sergio” ci si è mossi sul

binario della surgelazione, senza

nulla togliere alla tradizione di cu-

cina: Rafforzandola, addirittura.

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Page 30: Il Gusto... della Vita

...L' iniziativa

La notizia ha fatto il giro del Fermano e oltre, in pochissimi giorni. Ormai tutti, grandi e piccini, vogliono adottare una mucca!

All'Azienda Agricola Rossi di Moresco, il signor Pietro e soci contengono a fatica le richiesta dei tantissimi bambini di visitare le stalle e scegliere la preferita nella mandria composta da ben 50 mucche da latte. La proposta dei Rossi è semplice: raggiungendo la famosa fattoria di Moresco, con una quota di circa 300 euro si può scegliere una mucca, darle un nome, ricevere l'attestato di adozione e il gioco è fatto. Nel-la quota, tolte alcune spese, è compresa una cifra con cui, nel corso dei 12 mesi dell'adozione, le fami-glie possono ricevere latticini, mozzarelle, ricotta e quant'altro, tutti prodotti con il latte della nostra muc-ca preferita. Ma dov'è il trucco? È ovvio, e il signor Pietro non ce lo nasconde, “Adotta una mucca” è un'operazione che porterà alla fattoria Rossi molti nuovi clienti, ma allo stes-so tempo sarà utile a compiere un passo importante. “Adotta una mucca” porterà nelle case dei più picco-li una cultura alimentare nuova e corretta, che nella maggior parte dei casi è relegata ai ricordi dei non-ni e in un passato culinario e alimentare che sembra non appartenerci più. I bambini, alla fattoria Rossi, possono visitare le stalle (oltre alle vacche da latte, Pietro e soci gestiscono an-che 80 capi tra vitelli e vitelloni e 100 maiali) e vedere

come si fa la mungitura, cosa mangiano le mucche, cosa bisogna fare per accudirle, da dove viene quel-lo che la mamma mette a tavola e che troppo spes-so sembra solo un prodotto da supermercato. Inoltre, grazie all'ausilio di una webcam, visitando il sito www.aziendaagricolarossi.it, i piccoli potranno controllare sempre cosa fa la loro mucca, ad esempio se ha par-torito, come sta il vitellino, se è maschio o femmina e soddisfare ogni curiosità sulla vita degli animali da stalla. E allora tutti a Moresco ma ... per favore, non chiamia-mola Carolina!

A Moresco si può...adottare una mucca!!E non la chiameremo Carolina...

di Stella Alfieri

LA STORIA DELL' AZIENDA AGRICOLA ROSSI È INIZIATA NEL 1914: NONNO ERNESTO ACQUI-STÒ UN PODERE A MORESCO, PORTANDO AVANTI UN PICCOLO ALLEVAMENTO CON 5 MAIALI E 10 VACCHE DA CARNE. CON SUO FIGLIO, PIPPO, SI LANCIA IL VERO E PROPRIO ALLEVAMENTO INTENSIVO, CON 250 VITELLO-NI. 15 ANNI FA, LA SVOLTA: PIETRO PRENDE LE REDINI DELLA FATTORIA E CON LUI NASCONO ANCHE IL CASEIFICIO E IL SALUMIFICIO. POI È ARRIVATO ANCHE IL DISTRIBUTORE DI LATTE CRUDO, LE VISITE GUIDATE CON LE SCUOLE E “ADOTTA UNA MUCCA”. E DOMANI, COSA CI SARÀ ANCORA?

Foto Matteo Lupi

Foto Matteo Lupi

Il Gusto... 28

Page 31: Il Gusto... della Vita

È il dato da cui parte Alberto Mandozzi, pre-

sidente dell' Associazione Tartufai dei Monti

Sibillini (che conta circa 150 soci, di cui 50

sono tartuficoltori della zona), ente promotore di un

progetto davvero importante.

L̀ intenzione è chiara: far diventare il vivaio regionale

“Alto Tenna” di Amandola un centro studi permanen-

te, un punto di raccordo, in una parola, “il cuore” del

mondo del tartufo nostrano.

Come spiega Mandozzi, mentre per il tartufo bianco

si parla di recupero delle tartufaie naturali, per il pre-

giato nero, invece, si pensa alla coltivazione. Al mo-

mento, le coltivazioni ad opera dei privati sono anco-

ra poche rispetto alle potenzialità che implementare

una coltura del genere potrebbe sviluppare. Vale a

dire: più tartufi si coltivano, più aumenta il valore dei

terreni montani, più cresce l`attenzione verso la parte

alta della Provincia.

Questo significa solo una cosa: aumento del turismo e

valorizzazione del territorio.

Nel vivaio di Amandola, di proprietà dell'Assam (Agen-

zia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche), già

alcune migliaia di piantine sono state messe a dimora

per iniziare la coltivazione del nero pregiato. E' notizia

di questi giorni che le ghiande hanno dato i loro frutti,

cioè hanno germinato, facendo spuntare le piantine

desiderate. In termini tecnici si tratta di “vivaismo au-

toctono”. Attraverso le ghiande si fanno nascere delle

piantine che, in una seconda fase, verranno micoriz-

zate, vale a dire inoculate con il micelio del tartufo.

L'impresa:coltivare il tartufo neropregiato in montagna. AMANDOLA riparte da qui.

di Stella Alfieri

Una volta messe a dimora in un terreno adeguato,

nell' arco di 4-6 anni, potranno già dare i primi risulta-

ti, permettendo entro 8 anni di raggiungere la piena

produzione di tartufo.

Per ora, quindi, come testimonia Alberto Mandozzi,

sta procedendo tutto secondo i piani.

In bocca al lupo, Amandola!

Il territorio dei Monti Sibillini, in particolare quello che comprende Amandola, Montefortino e Montefalcone, possiede le specie più pregiate di tartufo, cioè quelli bianchi e quelli neri.

Montefortino Foto Giorgio Tassi

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Page 32: Il Gusto... della Vita

...Cucina dal mondo

Gli Inuit, un grande popolo.E il loro mangiareA Fermo operano l'Istituto e il Museo Polare “Silvio Zavatti”.A dirigerli da alcuni anni è stato chiamato Gianluca Frinchillucci,antropologo, ricercatore, esploratore. Celebri alcune sue spedizioni nel nord del mondo, tutte compiute nel nome di Silvio Zavatti, anch'egli, nel Novecento, grande esploratore. A Frinchillucci abbiamo chiesto di rac-contarci il rapporto con il cibo di quelli che un tempo definivamoEschimesi. Eccolo...

di Gianluca Frinchillucci, direttore Musei Scientifici di Fermo, antropologo.

Gli Inuit, popolo di cacciatori artici diffuso

dall’Alaska, al Canada e alla Groenlandia,

il cui nome nella lingua originale significa

“gli uomini”, erano conosciuti un tempo come Eschi-

mesi, nome attribuito gli da una popolazione di india-

ni del nord America (gli Algonchini). Questo termine,

che significa “mangiatori di carne cruda”, la diceva

lunga sul loro tipo di alimentazione nel passato, ma è

considerato oggi dispregiativo.

La dieta tradizionale degli Inuit, infatti, specie in Gro-

enlandia, dove non era possibile trovare erbivori quali

i caribù per cibarsi (diffusi invece in Canada e Ala-

ska), consisteva principalmente nella carne di foca,

di pesce, di balena e di altri mammiferi marini quali

il tricheco e il narvalo, o terrestri come l’orso e le vol-

pi artiche, che veniva mangiata senza essere cotta,

dopo essere stata essiccata in estate per poter essere

meglio conservata e consumata durante tutto il lungo

inverno artico.

La foca, in particolare, rappresentava oltre che una

delle principali fonti di cibo, anche una preziosa fonte

di materiali indispensabili per la vita di tutti i giorni. Gli

avanzi della sua carne, che non venivano mangiati

dagli uomini, servivano a sfamare i cani, fondamen-

Il Gusto... 30

Page 33: Il Gusto... della Vita

...Cucina dal mondotali per trainare le slitte, principale mezzo di trasporto;

forniva la pelle per confezionare vestiti, per costruire

le barche e le tende in cui si abitava in estate e il suo

grasso era l’unica fonte di combustibile per la luce e

il riscaldamento disponibile, in assenza quasi totale di

legna.

Nel distretto di Ammassalik, nella Groenlandia orien-

tale, oggi come allora, la fonte principale di cibo per

gli Inuit rimane la carne di foca, che costituisce circa

il 70% della loro dieta e di cui utilizzano anche oggi,

tutte le parti del corpo per i diversi scopi indicati.

Nell’alimentazione tradizionale ci si ciba ancora dei

mammiferi marini e non cacciati dagli uomini.

Ne è un esempio il narvalo, il cui consumo è ampia-

mente diffuso. Nel cibarsene gli Inuit preferiscono la

pelle alla carne, perché considerata maggiormente

ricca di vitamine.

Il narvalo viene cacciato inoltre per via del suo cor-

no d’avorio, da cui gli artigiani Inuit ricavano amuleti

chiamati Tupilaq utilizzati contro gli spiriti maligni, o

oggetti artistici da vendere al turismo internazionale.

Altri tra i mammiferi cacciati sono gli squali, le balene,

in quantità minima, i trichechi e gli orsi polari, che però

sono diventati sempre più rari e difficili da trovare.

I pesci vengono catturati con reti gettate in mare

dopo aver spaccato il ghiaccio che ricopre il mare

artico durante tutto l’inverno e, una volta presi, ven-

gono messi ad essiccare davanti alle case, costruite

oggi con travi di legno.

Il mare fornisce loro anche molluschi di cui cibarsi,

quali ad esempio le cozze, mentre le alghe vengono

mangiate come contorno.

Anche gli uccelli sono considerati un cibo da non di-

sprezzare.

Oggi giorno tuttavia, molti Inuit svolgono lavoro sa-

lariato e comprano cibo industriale che arriva loro

su navi che raggiungono i villaggi più isolati circa

una volta a settimana.

Nonostante questa parziale modernizzazione nei co-

stumi alimentari degli Inuit, essi sono tutt’oggi molto

legati ai tabù, individuali o collettivi, riferiti al cibo,

che osservano ancora per non offendere gli spiriti

degli animali uccisi.

Quando cacciano uno squalo, ad esempio, essi pra-

ticano un foro sulla testa dell’animale ucciso per far

uscire l’anima. Poi lasciano l’animale qualche mese

sulla spiaggia e lo consumano quando la carne va

in putrefazione.

Ammassalik Foto G.F. 2003

Nency di Jamal Foto G.F. 2005

31 della vita

Page 34: Il Gusto... della Vita

...Il racconto

S e chiudo gl i occhi, mi sembra ancora di r i -vedere quel la tazza bianca, e di gustar-

ne addi r it tura i l contenuto: quel caffel latte, quel pr imo caffel latte del la mia ult ima età bambina. E mi sembra di gustar lo come al lora. Anzi, ne avver to f ino in fondo tut-to i l sapore intenso. La tazza bianca di f ine por-cel lana mi veniva lasciata sempre l ì , su quel piccolo tavolo di legno antico, nel locale di passaggio adia-cente al la sacrest ia. Tazza, piatt ino, cucchiaino d'ar-gento, piccolo tovagl iolo candido e r icamato con f io -rel l in i rosa. Era i l cor redo del la mia colaz ione. I l caffel latte spandeva i l suo odore dapper tutto; r iem-piva la piccola chiesa e, pian piano, raggiungeva l 'al -tare sempre sul f in i re del la celebrazione. Un odore st imolante e gradevole. Come buoniss imo e f ragrante era i l biscotto mar rone, al lungato, con le uvette nel l’impasto. Non vedevo l 'ora di terminare i l serviz io di chier ichetto per sedermi a tavola.Da dove ar r ivasse i l vassoio, ancora oggi non l 'ho ca-pito.Le suore infatt i agivano in incognito, usando una del le t re por te che immetteva dal monastero al la sacrest ia. Mai una volta che le abbia sorprese mentre trasborda-vano la colaz ione.La puntual ità era ineccepibi le. Al lo scoccare del le sette e quarantacinque i l mio angolo pr ivato r i sultava già imbandito.Terminato l ' impegno, tolto i l mio sempl ice camice bian-co e aiutato i l sacerdote a togl iere i suoi paramenti, mi sedevo dinanzi al la mia quotidiana “r icompensa" cui dedicavo l 'energia di cui può essere capace solo un bambino che alzatosi presto, non aveva ancora fatto colaz ione.Ero s icuro che, mentre inzuppavo i l biscotto nel caf-fel latte, le suor ine mi stessero guardando e, maga-r i, stessero anche r idendo dei baffoni che mi s i stam-pigl iavano olt re la bocca. Baffoni di caffé, che, poi, caffé non era. Si t rattava infatt i di or zo, buoniss imo senz'alt ro, ma sempre or zo. D'alt ronde, i l buon padre Vito, cappuccino del con-vento f rancescano s ituato nei press i del cimitero, mi r icordava ogni volta che le suore non potevano som-minist rare caffé puro ad un bambino di 9-10 anni. E ra la mia età.Mi piaceva “servi r messa”, soprattutto quel la del le set-te. La chiesa e i l convento del le Clar isse, a due passi dal la mia abitaz ione, erano col locati nel centro del paese eppure un poco isolati dal resto del le case. Se-condo alcuni, quel l 'enorme costruz ione secol i pr ima era stata una rocca dei Domini Contadini, forse ad-di r it tura la dimora di uno dei Brunfor te. Poco distante dal la doppia scal inata che por tava al luogo sacro, s i stagl iava un enorme pino centenar io i cui rami pos-senti copr ivano gran par te del la st rada.Quel mio serviz io mattutino un poco di sacr if icio però lo r ichiedeva. Soprattutto d' inverno, quando i l buio non era scomparso del tutto, e i l f reddo pungente, che sapeva di neve e di gelo, penetrava anche i l più pe-sante dei cappott i. Sarebbe stato megl io r imanere a letto, a goders i i l caldo del le grandi stufe di ter racotta rossa.Poco male, però. I l s i lenz io del le cose, le poche per-sone in st rada, quel senso di pace e di let iz ia che s i cogl ieva appena varcato i l convento, i l gesto sacro del la messa celebrata da quel f rate dal la pronuncia-ta tonsura, eppoi, la r icompensa che mister iosamente appar iva ogni giorno sul la tavola, mi r ipagavano am-piamente del le piccole r inunce.F inito di mangiare, me ne andavo giù a precipiz io, ver-so la scuola elementare. L’edif icio sorgeva poco più sotto. Nei mesi da dicembre a febbraio spesso la neve am-mantava l ' intero paese ed io usavo la car tel la dei l ibr i a mò di s l it ta.

Ar r ivavo davanti al l 'uscio pr i -ma di quals iasi alt ro, anche dei bidel l i . Dovevo attende-re ancora una decina di mi -nuti perché la por ta del l ' i st i -tuto venisse aper ta. Intanto, la mia immaginazione ga-loppava. Quel le suor ine mi incur iosivano. Chissà cosa stavano facendo propr io in quel l’i stante? Forse, erano intente a f i lare - in estate, quando le f inestre venivano spalancate mi giungeva i l

r itmo dei loro telai, tutun tutun -, oppure preparava-no le ost ie, o infornavano i biscott i, o erano intente nuovamente a pregare. Già: a pregare. Avevano de-dicato una vita al la Chiesa, un’intera esistenza a Dio. Incredibi le! “Che gusto ci t rovavano?”, mi chiedevo. Ogni tanto mi tornava in mente un racconto ascoltato da mia madre. Molt i anni pr ima la nonna aveva rega-lato al le Clar isse un enorme tavolo, da ben ventidue post i. Chissà perché, ma l ' immagine di una al legra br igata di monache bur lone sedute al nostro grande tavolo, mi faceva sempre sor r idere.Intorno al la chiesa e al convento c'erano del le alte s iepi: i l luogo pr ivi legiato dei miei giochi. Aspettavo con ansia i mesi di f ine ottobre e novembre, quando la nebbia avvolgeva uomini e case. La nebbia è ac-cogl iente e protettr ice. Al lora, sul l ' imbruni re, armato di un pugnale di gomma, mi aggi ravo in quel lo spa-z io, con i l coltel lo ser rato tra i denti, come avevo vi -sto fare dai pel lerossa in un f i lm, spiando i passanti e nascondendomi al la loro vista. Poi, al l ' improvviso, i l suono del la campana mi distogl ieva da quei giochi di guer ra innocente.Era l 'ora del vespro, per le suore o, addi r it tura, di com-pieta, l 'u lt ima preghiera pr ima del sonno. Loro sa-rebbero andate a dormi re; io dovevo ancora cena-re eppoi avrei visto “Canzoniss ima”. Due concezioni del tempo e del la vita iniz iavano ad affrontars i. Da un lato, c'era i l r itmo cicl ico del le cose: giorno, notte, pacatezza e s i lenz io, r i f less ione e preghiera, vita co-munitar ia in condivis ione; dal l 'alt ro, un' in iz iale spinta al la corsa, al la velocità, al l ' immagine televis iva, al la f inz ione, al rumore. A dieci anni avver t ivo qualcosa senza troppa chiarezza. Poi, la vita ci viene addosso, rapidiss ima. La musica, gl i amor i, la pol it ica, i l lavoro. Smis i la “cotta” di chie-r ichetto, mi al lontanai da quel la chiesina e dal la Chie-sa. Sicuro di poter far da me, solo da me.Passarono così olt re vent 'anni. Sino a quando la pa-rabola del l 'es istenza non tornò a pendere verso quel convento. Sconf it te e vit tor ie s’erano eguagl iate.I giorni e gl i anni f i lavano veloci, t roppo veloci. So-prattutto, senza più un senso. I grandi perché del l’agi -re s i erano aff ievol it i . Ed i l cuore fer ito cercava una r isposta. Capita, al lora, di r ipercor rere strade già spe-r imentate.Tornai nel la mia chiesina. Le Clar isse c'erano ancora. Non tutte, pur troppo. Cantavano ancora. E ancora in-dicavano una via. I l buon padre Vito non l 'ho più r iv isto. Quel gior-no sul l 'altare c'era un sacerdote anziano, del luogo. Chier ichett i? Nessuno. Al mio ar r ivo la messa era già iniz iata da un pezzo. Sedett i sotto l ' immagine di don Bosco. Guardai i l santo come lo guardavo da picco-lo, mi parve con gl i stess i occhi di al lora. S'era ormai al la conclusione quando un profumo mi sorprese. Un profumo lontano, mai più avver t ito: i l caffel latte del la mia fanciul lezza. La mente fu un turbinio di r icordi e sensazioni. Sembrava che cronos, per una volta non fosse i l divoratore e avesse inver t ito la marcia: i l luogo era identico, le melodie quel le consuete, i gest i quel l i di sempre. Cors i in sacrest ia. Nel locale adiacente, sul piccolo tavolo antico - sempre quel lo - s ituato nel lo stesso posto di al lora, fumante su un vassoio bianco ar r icchito da un candido tovagl iolo r icamato di rosa, c'era una tazza di porcel la bianca. I l caffel latte, con accanto un biscotto mar rone, al lungato, impastato di uvette, mi aspettava. Come al tempo del le nebbie.

A . L e .

Quel Fumante Caffellatte

Il Gusto... 32

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