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Formalità dell’atto notarile Articolo di Giovanni Casu 21.11.2013 Pubblichiamo un capitolo estratto dal volume Codice della Legge Notarile , edizioni Utet Giuridica 2013 a cura di Giovanni Casu. Norma di riferimento: art. 51, L. 16.2.1913, n. 89 51 [1] L’atto notarile reca la intestazione: REPUBBLICA ITALIANA 1 . [2] L’atto deve contenere: 1° l’indicazione in lettere per disteso dell’anno del mese, del giorno, del Comune e del luogo in cui è ricevuto; 2° il nome, il cognome e l’indicazione della residenza del notaro, e del Collegio notarile presso cui e iscritto; 3° il nome, il cognome, la paternità 2 , il luogo di nascita, il domicilio o la residenza delle parti, dei testimoni e dei fidefacenti 3 . Se le parti od alcune di esse intervengono all’atto per mezzo di rappresentante, le precedenti indicazioni si osserveranno, non solo rispetto ad esse, ma anche rispetto al loro rappresentante. La procura deve rimanere ammessa all’atto medesimo o in originale o in copia, a meno che l’originale o la copia non si trovi negli atti del notaro rogante ovvero sia iscritto nel registro delle imprese 4 ; 4° la dichiarazione della certezza dell’identità personale delle parti o la dichiarazione dell’accertamento fattone per mezzo dei fidefacienti 5 ; 5° l’indicazione, almeno per la prima volta, in lettere per disteso, delle date, delle somme e della quantità delle cose che formano oggetto dell’atto; 6° la designazione precisa delle cose che formano oggetto dell’atto, in modo da non potersi scambiare con altre. Quando l’atto riguarda beni immobili, questi saranno designati, per quanto sia possibile, con l’indicazione della loro natura, del Comune in cui si trovano, dei numeri catastali, delle mappe censuarie, dove esistono, e dei loro confini in modo da accertare la identità degli immobili stessi; 7° l’indicazione dei titoli e delle scritture che s’inseriscono nell’atto; 8° la menzione che dell’atto, delle scritture, dei titoli inserti nel medesimo, fu data dal notaro, o, presente il notaro, da persona di sua fiducia, lettura alle parti, in presenza dei testimoni, se questi siano intervenuti. Il notaro non potrà commettere ad altri la lettura dell’atto che non sia stato scritto da lui salvo ciò che dispone il Codice civile in ordine ai testamenti. La lettura delle scritture e dei titoli inserti può essere omessa per espressa volontà delle parti,

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Formalità dell’atto notarile Articolo di Giovanni Casu 21.11.2013

Pubblichiamo un capitolo estratto dal volume Codice della Legge Notarile, edizioni Utet Giuridica 2013 a cura di Giovanni Casu.

Norma di riferimento: art. 51, L. 16.2.1913, n. 89

51 [1] L’atto notarile reca la intestazione: REPUBBLICA ITALIANA1.

[2] L’atto deve contenere:

1° l’indicazione in lettere per disteso dell’anno del mese, del giorno, del Comune e del luogo in cui è ricevuto;

2° il nome, il cognome e l’indicazione della residenza del notaro, e del Collegio notarile presso cui e iscritto;

3° il nome, il cognome, la paternità2, il luogo di nascita, il domicilio o la residenza delle parti, dei testimoni e dei fidefacenti3.

Se le parti od alcune di esse intervengono all’atto per mezzo di rappresentante, le precedenti indicazioni si osserveranno, non solo rispetto ad esse, ma anche rispetto al loro rappresentante. La procura deve rimanere ammessa all’atto medesimo o in originale o in copia, a meno che l’originale o la copia non si trovi negli atti del notaro rogante ovvero sia iscritto nel registro delle imprese4;

4° la dichiarazione della certezza dell’identità personale delle parti o la dichiarazione dell’accertamento fattone per mezzo dei fidefacienti5;

5° l’indicazione, almeno per la prima volta, in lettere per disteso, delle date, delle somme e della quantità delle cose che formano oggetto dell’atto;

6° la designazione precisa delle cose che formano oggetto dell’atto, in modo da non potersi scambiare con altre.

Quando l’atto riguarda beni immobili, questi saranno designati, per quanto sia possibile, con l’indicazione della loro natura, del Comune in cui si trovano, dei numeri catastali, delle mappe censuarie, dove esistono, e dei loro confini in modo da accertare la identità degli immobili stessi;

7° l’indicazione dei titoli e delle scritture che s’inseriscono nell’atto;

8° la menzione che dell’atto, delle scritture, dei titoli inserti nel medesimo, fu data dal notaro, o, presente il notaro, da persona di sua fiducia, lettura alle parti, in presenza dei testimoni, se questi siano intervenuti.

Il notaro non potrà commettere ad altri la lettura dell’atto che non sia stato scritto da lui salvo ciò che dispone il Codice civile in ordine ai testamenti.

La lettura delle scritture e dei titoli inserti può essere omessa per espressa volontà delle parti,

purché sappiano leggere e scrivere. Di tale volontà si farà menzione nell’atto;

9° la menzione che l’atto è stato scritto dal notaro o da persona di sua fiducia, con l’indicazione dei fogli di cui consta e delle pagine scritte;

10° la sottoscrizione col nome, cognome delle parti, dei fidefacienti, dell’interprete, dei testimoni e del notaro.

I fidefacienti possono allontanarsi dopo la dichiarazione prescritta al n. 4. In tal caso debbono apporre la loro firma subito dopo quella dichiarazione, e il notaro ne deve fare menzione. Se alcune delle parti o alcuno dei fidefacienti non sapesse o non potesse sottoscrivere, deve dichiarare la causa che glielo impedisce e il notaro deve far menzione di questa dichiarazione;

11° per gli atti di ultima volontà, l’indicazione dell’ora in cui la sottoscrizione dell’atto avviene. Tale indicazione sarà pure fatta, quando le parti lo richiedano, o il notaro lo ritenga opportuno, negli altri atti;

12° negli atti contenuti in più fogli, la sottoscrizione in margine di ciascun foglio, anche col solo cognome, delle parti, dell’interprete, dei testimoni e del notaro, eccettuato il foglio contenente le sottoscrizioni finali.

Le sottoscrizioni marginali debbono essere apposte anche su ciascun foglio delle scritture e dei titoli inserti nell’atto, eccetto che si tratti di documenti autentici, pubblici o registrati.

Se le parti intervenute, che sappiano o possano sottoscrivere, eccedono il numero di sei, invece delle sottoscrizioni loro, si potrà apporre in margine di ciascun foglio la sottoscrizione di alcune di esse, delegate dalle parti rappresentanti i diversi interessi.

La firma marginale del notaro nei fogli intermedi non è necessaria, se l’atto è stato scritto tutto di sua mano.

______________

1 Comma da ultimo così modificato dal D.Lgs.C.P.S. 24.1.1947, n. 33.

2 In luogo della paternità, che va in ogni caso omessa, dovranno essere indicati il luogo e la data di nascita: così l. 31.10.1955, n. 1064 e regolamento di attuazione approvato con D.P.R. 2.5.1957, n. 432.

3 L’espressione «e la condizione» esistente nella norma contenuta nel n. 3 dell’articolo è stata soppressa dall’art. 12, 1° co., lett. d), L. 28.11.2005, n. 246, denominata legge di semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.

4 Numero così modificato dal 5° co. ter dell’art. 36, D.L. 18.10.2012, n. 179, nel testo integrato dalla legge di conversione 17.12.2012, n. 221.

5 Numero così sostituito dall’art. 2, L. 10.5.1976, n. 333.

Riferimenti normativi: artt. 17, 26 preleggi; artt. 16, 19, 43, 48, 50. 262, 434, 1325, 1326, 1350, 1352, 1388, 1392, 1708, 1723, 2204, 2206, 2236, 2296, 2314, 2326, 2463, 2515, 2657, 2699, 2699, 2700

c.c.; artt. 26, 27, 28, 47, 48, 49, 50, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 69, 72, 137, 138, 142, L. 16.2.1913, n. 89; artt. 54, 55, 69, R.D. 10.9.1914, n. 1326; t.u. 8.10.1931, n. 1572; t.u. 8.10.1931, n. 1572; l. 17.8.1941, n. 1043; R.D.L. 10.11.1943, senza numero (in G.U. 20.11.1943, n. 271); R.D.L. 27.11.1943, n. 11; D.Lgs.Lgt. 3.7.1944, n 164; D.Lgs.C.P.S. 19.6.1946, n. 1; D.Lgs.C.P.S. 24.1.1947, n. 33; L. 31.10.1955, n. 1064; D.M. 25.2.1956; L. 14.4.1957, n. 251; D.P.R. 5.1.1967, n. 200; L. 4.1.1968, n. 15; L. 10.10.1969, n. 679; D.P.R. 26.10.1972, n. 650; L. 3.2.1975, n. 18; L. 19.5.1975, n. 151; L. 23.7.1980, n. 508; L. 27.6.1991, n. 220; D.M. 6.11.1991; L. 31.5.1995, n. 218; D.Lgs. 19.2.1998, n. 51; D.P.R. 28.12.2000, n. 445; L. 28.11.2005, n. 246.

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Sommario:

1. Repertorio e raccolta. Premessa. 2. (Segue) Numero di repertorio. 3. (Segue) Numero di raccolta. 4. Intestazione e intitolazione. 5. (Segue) Sanzioni. 6. Data e luogo dell’atto. Data. Concetto. 7. (Segue) Funzione. 8. (Segue) Indicazione sull’atto. 9. (Segue) Il giorno della data. 10. (Segue) Luogo del rogito ove va apposta la data. 11. (Segue) Sanzioni. 12. (Segue) Luogo. 13. Parte (indicazione nell’atto). 14. (Segue) Parte rappresentata per procura. Forma della procura. 15. (Segue) Procura generale e procura speciale. 16. (Segue) Revoca della procura. 17. (Segue) Procura redatta all’estero. 18. (Segue) Poteri rappresentativi e obblighi formali del notaio. 19. (Segue) Forma della procura e trascrizione. 20. (Segue) Morte del soggetto rappresentato. 21. (Segue) Procura rilasciata da persona successivamente dichiarata assente. 22. (Segue) Utilizzazione di una subprocura. 23. (Segue) Poteri rappresentativi e accertamenti del notaio. 24. (Segue) Paternità. 25. Interprete (nell’atto notarile). Concetto e funzioni. 26. (Segue) Nomina e requisiti. 27. (Segue) Giuramento. 28. (Segue) Menzione della sostanziale lettura dell’interprete. 29. (Segue) Costituzione in atto. 30. Oggetto dell’atto. Norma. 31. (Segue) Compito del notaio. 32. (Segue) Legge notarile e legge catastale. 33. (Segue) Legge notarile e tipo di frazionamento. 34. (Segue) Prescrizioni identificative contenute in altre leggi. 35. Somme e quantità. Norma e ragioni giustificative.

36. (Segue) Significato dell’espressione «almeno per la prima volta». 37. (Segue) Significato dell’espressione «date, somme, e quantità delle cose che formano oggetto dell’atto». 38. (Segue) Applicazione della norma. 39. (Segue) Sanzioni. 40. Chiusa dell’atto notarile. Concetto. 41. (Segue) Menzione della richiesta. 42. (Segue) Menzione del ricevimento dell’atto. 43. (Segue) Richiesta alle parti se l’atto è conforme alla loro volontà. 44. (Segue) Indicazione dei fogli di cui consta l’atto e delle pagine scritte. 45. (Segue) Ora finale. 46. (Segue) Ora nell’atto per effetto del codice deontologico. 47. Lettura. Lettura dell’atto e menzione della lettura. 48. (Segue) Finalità della lettura. 49. (Segue) Obbligo della lettura. 50. (Segue) Modalità della lettura. 51. (Segue) Lettura affidata ad altro soggetto. 52. (Segue) Lettura degli allegati. 53. Postille. Concetto e funzione della postilla. 54. (Segue) Collegamento tra testo dell’atto e postilla. 55. (Segue) Tipologia della postilla. 56. (Segue) Identificazione della postilla. 57. (Segue) Modalità di formulazione della postilla. 58. (Segue) Luogo dell’atto in cui va apposta la postilla. 59. (Segue) Numero delle postille e delle parole cancellate. 60. (Segue) Scritturazione, lettura e approvazione delle postille. 61. (Segue) Sanzioni. 62. Menzioni. Concetto. 63. (Segue) Formalizzazione della menzione nell’atto notarile. 64. (Segue) Fattispecie, giustificazione ed effetti. 65. (Segue) Parte dell’atto in cui va indicata la menzione. 66. Allegati. Concetto e funzione dell’allegazione. 67. (Segue) Quali documenti possono essere allegati. 68. (Segue) Modalità dell’indicazione nell’atto. 69. (Segue) Norme sulla forma dell’atto applicabili agli allegati. 70. (Segue) Traduzione di allegato redatto in lingua straniera. 71. (Segue) Traduzione della legalizzazione. 72. (Segue) Statuto societario come allegato. 73. (Segue) Allegazione delle procure. 74. (Segue) Allegazione e deposito. 75. (Segue) Sanzioni. 76. Sottoscrizione. Concetto e funzione. 77. (Segue) Tipi e disciplina. 78. (Segue) Sottoscrizioni finali. Modalità. 79. (Segue) Sottoscrizione con caratteri di alfabeto diverso da quello utilizzato in Europa. 80. (Segue) Contestualità. 81. (Segue) Ordine delle firme. 82. (Segue) Qualifica del sottoscrittore. 83. (Segue) Rifiuto di sottoscrivere. 84. (Segue) Dichiarazione di non poter sottoscrivere. 85. (Segue) Sottoscrizione marginale.

86. (Segue) Funzione. 87. (Segue) Soggetti obbligati a sottoscrivere. 88. (Segue) Modalità. 89. (Segue) Concetto di «foglio intermedio». 90. (Segue) Firme finali apposte in più fogli. 91. (Segue) Documento scritto di mano del notaio. 92. (Segue) Firma marginale sugli allegati. 93. (Segue) Delega delle firme marginali.

1. Repertorio e raccolta. Premessa

L’art. 51 l. not., pur così rigoroso nell’individuare le formalità dell’atto notarile in tutte le loro specificità, non prevede in modo netto l’obbligo di indicare nell’atto il numero di repertorio oppure il numero di raccolta.

Anzi, sia la repertoriazione che la raccolta costituiscono operazioni che presuppongono l’atto già stipulato e quindi a stretto rigore dovrebbero essere formalità successive all’atto.

Peraltro la prassi operativa dei notai usa indicare sia il numero di repertorio che il numero di raccolta in ogni singolo atto, probabilmente allo scopo di poter effettuare le successive operazioni, sia di repertoriazione sia di ricerca degli atti, tenendo appunto conto della numerazione che compare nell’atto per ognuno di detti adempimenti.

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2. (Segue) Numero di repertorio

Tuttavia va rilevato che una parte della dottrina afferma che il numero di raccolta va indicato obbligatoriamente nell’atto, perché detto numero deve essere successivamente riportato nella seconda colonna del repertorio (così Di Fabio, Manuale di notariato, Milano, 2007, 166; Santarcangelo, La forma degli atti notarili, Roma, 2006, 109).

Per quanto attiene al repertorio, la legge si preoccupa soltanto di stabilire che in esso il notaio prenda nota giorno per giorno degli atti ricevuti, con l’indicazione di un numero progressivo per ogni atto posto in essere (art. 62 l. not.); ma non stabilisce, lo si ripete, che il numero di repertorio sia riportato nell’atto. Va pertanto affermato che se detto numero non viene riportato sull’atto l’atto resta valido e il notaio non incorre in alcuna violazione di ordine disciplinare.

Il numero del repertorio nulla aggiunge all’atto sul piano degli effetti, ma ha certamente il valore di agevolare le future ispezioni sull’attività del notaio, perché raccorda il repertorio con l’atto, favorendo ricerche ed approfondimenti che partano dal repertorio. E, sotto altro profilo, agevola certamente l’iscrizione degli atti sul repertorio, la quale deve avvenire «giornalmente» e «per ordine di numero», come prescrive l’art. 62 l. not. In definitiva, si può concludere che l’apposizione del numero di repertorio atto per atto sia strumento di buona organizzazione per il notaio e strumento di chiarezza comportamentale per l’autorità ai fini del controllo dell’attività notarile. Da ciò la sua legittimità.

3. (Segue) Numero di raccolta

A differenza del numero di repertorio, il numero di raccolta è previsto come obbligatorio sull’atto, ma soltanto nel momento in cui gli atti siano raccolti in volume, vale a dire in tempo successivo a quello in cui l’atto è posto in essere. Nella prassi, invece, il numero di raccolta viene apposto sull’atto nello stesso istante della sua formazione. Come giustificare questa prassi?

Sembrerebbe di poter rispondere: allo scopo di un’ordinata catalogazione numerica degli atti, al fine di utilizzarla proficuamente nel momento in cui si procederà alla rilegatura degli atti in volume.

Però anche in questo caso va chiarito che la mancata indicazione del numero di raccolta al momento della confezione dell’atto non è sanzionata, essendo sanzionata con la pena della sanzione pecuniaria minima soltanto la circostanza che il notaio, nel momento in cui raccoglie gli atti in volume, non provveda ad indicare su ogni atto un numero progressivo di raccolta (infatti la legge notarile sanziona il notaio che «nella conservazione degli atti contravviene alle disposizioni dell’art. 61 legge notarile»).

4. Intestazione e intitolazione

L’art. 51, 1° co., l. not. prescrive che l’atto notarile rechi l’intestazione «REPUBBLICA ITALIANA».

La legge qualifica espressamente la formula «Repubblica italiana» come «intestazione», e la dottrina più recente accetta tale qualificazione, mentre una dottrina risalente ritiene che questa espressione vada riferita all’indicazione sintetica del contenuto negoziale dell’atto (ad es., «compravendita»; «donazione»; «divisione») che nessuna norma stabilisce, ma che la prassi notarile avvalora.

La concatenazione logica che poteva desumersi dalla precedente legislazione, insomma, imponeva di qualificare come «intestazione» (in quanto da porre in testa all’atto) l’indicazione della natura dell’atto e di qualificare come «intitolazione» la formula sacramentale fissa.

Si comprende agevolmente come la prassi notarile, creatasi sulla base delle precedenti norme, abbia finito per adeguarsi ad essa legge e sedimentarsi in tal senso.

Come si è sopra chiarito, la nuova legge notarile ha mutato dizione: da un lato essa tace sul concetto di intitolazione, nel senso che non prescrive più come obbligatoria l’indicazione all’inizio dell’atto della natura di questo, e da un altro lato ormai la legge qualifica come «intestazione» la formula «Repubblica italiana».

5. (Segue) Sanzioni

L’omissione dell’intestazione «Repubblica italiana» non dà luogo a sanzioni sul piano della validità formale dell’atto, in quanto l’art. 58 l. not., che contiene una rigorosa elencazione dei casi di nullità dell’atto, non menziona detta omissione tra le cause di nullità. A maggior ragione è priva di sanzione in

tal senso anche la mancata indicazione della natura dell’atto, oltre tutto perché questa non è richiesta come indicazione obbligatoria dalla legge notarile.

Si tratta peraltro di accertare se la mancata intitolazione «Repubblica italiana» comporti conseguenze sul piano disciplinare.

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Ciò è tanto più sostenibile alla luce dell’interpretazione che si prospetta, da parte di numerose Coredi, sulla base del nuovo sistema disciplinare notarile introdotto con D.Lgs. 1.8.2006, n. 249, in contrasto con alcuni orientamenti dei conservatori d’archivio, che intenderebbero instaurare procedimento disciplinare nei confronti dei notai per far applicare loro l’avvertimento in caso di violazione di norme di legge che non prevedono specifica sanzione disciplinare.

Si condivide, in proposito, l’opinione di quella dottrina che nega qualsiasi conseguenza sanzionatoria per il caso ipotizzato (v. in tal senso Di Fabio, Manuale, 167).

6. Data e luogo dell’atto. Data. Concetto

Con il termine «data» si indica lo spazio di tempo nel quale il documento notarile viene posto in essere, spazio che usualmente viene tradotto nell’indicazione del giorno, del mese e dell’anno.

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Anche sul piano letterale peraltro la distinzione tra «data» e «luogo» è chiarissima, a dimostrazione del fatto che il legislatore del 1913 non ha voluto confondere i due concetti: è infatti stabilita la nullità dell’atto «se esso manca della data e non contiene l’indicazione del Comune in cui fu ricevuto» (art. 58, n. 5, l. not.); con questa formula è chiara la distinzione legislativa tra data dell’atto e indicazione del luogo di ricevimento.

Qualche autore ritiene che nel termine «data» debba ricomprendersi anche il luogo di redazione del documento notarile [cfr. Di Fabio, Manuale, 167, il quale distingue tra «data vera e propria» – anno, mese e giorno – e data in senso lato, comprensiva anche del comune e del luogo del rogito; Boero, La legge notarile commentata con la dottrina e la giurisprudenza, I, Torino, 1993, 297, il quale ritiene che gli elementi caratterizzanti della data negli atti pubblici siano tre: anno, mese e giorno; comune; luogo di ricevimento; Santarcangelo, 116-117, il quale afferma: «la legge richiede che la data contenga il Comune in cui l’atto è ricevuto: anche questa è un’indicazione formale, strutturalmente attestazione richiesta (…) perché rientrante comunemente nel concetto di data»].

Ma non si comprende su quali basi possa profilarsi una simile confusione, quando lo stesso codice (art. 602, 3° co., c.c., per il quale «la data deve contenere l’indicazione del giorno, mese ed anno»; art. 603, 3° co., c.c., per il quale «il testamento deve indicare il luogo, la data del ricevimento e l’ora della sottoscrizione») e la legislazione speciale [cfr. R.D. 14.12.1933, n. 1669 sulla cambiale, che dispone (art. 1, n. 7): «l’indicazione della data e del luogo dove la cambiale è emessa»; analoga norma è stabilita dall’art. 1, n. 5, R.D. 21.12.1933, n. 1736, sull’assegno] sono chiarissimi nel riferire il concetto di data soltanto allo spazio di tempo entro il quale un determinato avvenimento viene a concretizzarsi.

La dottrina usa distinguere tra data del documento che racchiude un negozio giuridico e data dello stesso negozio: si intuisce la differenza tra i due concetti, tenuto conto della differenza che esiste tra negozio giuridico e documento atto a racchiuderlo. Nel nostro caso, poiché il negozio giuridico viene racchiuso nell’atto notarile, il negozio non ha data autonoma rispetto alla data del documento, ma la riproduce sostanzialmente, nel senso che il negozio si intende temporalmente verificato nella stessa data nella quale il notaio attesta di aver rogato l’atto.

7. (Segue) Funzione

Scopo dell’indicazione obbligatoria della data nell’atto notarile è quello di dare certezza pubblica che quel determinato negozio giuridico è stato posto in essere in quel giorno determinato e ciò è molto importante ai fini della nascita degli effetti negoziali, del sorgere di eventuali responsabilità sia delle parti, sia del notaio, infine allo scopo di identificare la legge applicabile alla fattispecie negoziale posta in essere, nell’ipotesi, ad esempio, di successione di leggi nel tempo (si pensi soprattutto alle implicazioni fiscali dell’atto, in una legislazione, appunto quella tributaria, che muta con particolare frequenza nel tempo).

In definitiva scopo precipuo dell’indicazione della data appare quello di attestare tale evenienza in primo luogo a beneficio delle parti, per tutte le implicazioni che la data comporta in ordine agli effetti del negozio posto in essere, ma altresì a beneficio dei terzi, per la certezza pubblica che scaturisce dall’atto notarile.

8. (Segue) Indicazione sull’atto

La legge notarile stabilisce che la data va indicata «in lettere per disteso dell’anno, del mese, del giorno» (art. 51, n. 1).

L’espressione «in lettere» ha lo scopo di evitare contraffazioni dell’atto, contraffazioni che se la data fosse indicata soltanto in numeri potrebbero verificarsi più agevolmente. Trattasi pertanto di prescrizione intesa a dare sicurezza ad un elemento così essenziale del rogito. Pertanto non sarebbero consentite espressioni numeriche (ad es. 1.10.2009).

L’espressione «anno, mese e giorno» vuole significare che la data va indicata facendo ricorso agli elementi usuali di fissazione del tempo; pertanto non sarebbero consentiti equipollenti, facendo ricorso a ricorrenze festive (Capodanno, Natale, ad esempio) o ad altre espressioni (ad esempio: il primo sabato del febbraio dell’anno 2009). Anche in questo caso la legge notarile si preoccupa di dare certezza alla data; l’equipollente può essere adeguato, ma anche d’incerta conclusione. L’indicazione dell’anno, mese e giorno evita ogni rischio e, di più, consente a qualunque lettore di individuare correttamente la data del rogito.

La mancanza della data determina la nullità dell’atto (art. 58, n. 5, l. not.); l’inosservanza invece del duplice confine tracciato dalla legge (ad esempio, l’indicazione in numeri anziché in lettere; l’indicazione in lettere ma usando parole abbreviate; l’indicazione per equipollenti) determina soltanto la sanzione pecuniaria (ex art. 137, 2° co., l. not.).

9. (Segue) Il giorno della data

Particolari problemi si pongono in ordine alla corretta individuazione del giorno dell’atto, soprattutto nell’ipotesi che l’atto abbia richiesto più di un giorno per la sua formalizzazione. Accade oltre tutto frequentemente che le parti in un giorno indichino al notaio le proprie volontà e gli forniscano tutta la documentazione indispensabile per l’atto, ma si rechino solo successivamente, in altro giorno, dal notaio per la stipula vera e propria, allo scopo di dare al notaio tutto il tempo di studiarsi l’atto e di predisporlo per iscritto: ci si chiede se occorra tener conto del primo o del secondo giorno, oppure di entrambi.

Il problema può risolversi alla luce del duplice ruolo che viene ad assumere la data: se questa è proiettata a stabilire il momento del tempo del negozio, occorre indicare soltanto la data del negozio; se questa vuole documentare l’attività certificativa del notaio (si pensi ad un verbale d’inventario, oppure ad un verbale di assemblea) è indispensabile che siano indicati il giorno iniziale ed il giorno finale del documento, perché la data mira a segnare nel tempo lo sviluppo di un’intera operazione di

constatazione. In altre parole, se occorra segnare lo svolgimento nel tempo della fase creativa della volontà (è il caso delle verbalizzazioni) appare opportuno indicare nel documento tutte le date necessarie; se invece occorra fermare nel tempo l’accordo di volontà che si è creato (è il caso dei contratti e dell’attività negoziale in genere) appare inutile evidenziare la fase creativa e basterà indicare il momento nel quale l’accordo si è saldato, cioè dovrà indicarsi opportunamente la data nella quale cade la sottoscrizione del rogito.

10. (Segue) Luogo del rogito ove va apposta la data

La legge notarile non dice in quale parte dell’atto debba essere indicata la data. I notai per consuetudine la indicano all’inizio dell’atto, probabilmente in ossequio formale alla legge notarile che la menziona per prima nell’elencazione delle formalità previste dall’art. 51 l. not.

Evidentemente, ma soltanto per motivi di agevole lettura dell’atto, si sconsiglia di apporre la data nella parte intermedia dell’atto, poiché ciò potrebbe ingenerare confusione o dar luogo ad incertezza d’individuazione di essa data.

11. (Segue) Sanzioni

L’atto notarile è nullo «se esso manca della data» (art. 58, n. 5, l. not.). Si comprende in questo modo come la data costituisca elemento essenziale dell’atto notarile, tale che la sua mancanza ne inficia la validità come documento pubblico.

Sul piano disciplinare, il notaio che contravviene alla norma sulla data è punito la prima volta con la sanzione pecuniaria (art. 137, 2° co., l. not.), la seconda volta (in caso di recidiva) con la sospensione da uno a sei mesi (art. 138, n. 5, l. not.), la terza volta (in caso di seconda recidiva) con la destituzione (art. 142, 1° co., l. not.).

12. (Segue) Luogo

La legge notarile stabilisce che l’atto deve contenere: «l’indicazione del Comune e del luogo in cui è ricevuto» (art. 51, n. 1, l. not.). Si parla in tal caso di comune e di locus loci, per indicare che non basta l’indicazione del comune, ma che occorre anche l’indicazione del luogo specifico del comune ove effettivamente l’atto è stato ricevuto.

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È sorta in pratica anche questione sulla sorte di un atto allorquando in questo sia indicata una duplice località di rogazione: si supponga un atto che sia iniziato nel comune A e completato nel comune B. Quid iuris?

La vecchia dottrina notarile, nell’identificare gli elementi atti ad individuare la «casa», stabiliva che di essa si dovessero opportunamente indicare: la strada, il numero civico; mentre l’indicazione del piano o del numero dell’appartamento erano ritenuti non essenziali e probabilmente eccessivi (cfr. in tal senso Borsari, in Monitore notariato, 1876, 218; Moscatello, La legislazione notarile italiana, Palermo, 1901, 261). Le soluzioni della dottrina precedente sono sostanzialmente accolte anche dalla dottrina più recente (cfr. Anselmi, Principii di arte notarile, I, Viterbo, 1927, 100).

Sul presupposto che conta soprattutto, nel procedimento dell’atto notarile, la fase che va dalla lettura dell’atto al ricevimento delle firme delle parti ed infine all’apposizione della firma del notaio, e sull’ulteriore presupposto che in questa fase tutte le parti debbono garantire la compresenza innanzi al notaio (tanto che l’atto deve ritenersi nullo ex art. 58, n. 4, allorquando la compresenza delle parti sia mancata nell’arco di tempo che va dal momento della lettura fino al momento del completamento delle

sottoscrizioni), si potrebbe affermare che, purché sia garantita questa compresenza in tutte le fasi che vanno dalla lettura fino alle sottoscrizioni finali di tutti gli attori dell’atto, niente vieti al notaio di spostarsi da un luogo all’altra nella fase di stipula. Ed è evidente che in tal caso egli dovrà o limitarsi a documentare il luogo finale, oppure indicare in atto i vari luoghi nei quali si sia svolta la procedura di rogazione, magari precisando i motivi che l’hanno indotto a spostarsi da un luogo all’altro (ma ciò soltanto per evitare illazioni su un possibile comportamento che abbia risvolti disciplinari).

Va precisato che il locus loci è stato previsto dalla legge notarile soltanto per gli atti pubblici, mentre la stessa prescrizione non vale per le autenticazioni di scritture private, per le quali vale «l’indicazione del luogo» (art. 72 l. not.), espressione intesa come sinonimo di comune nel quale l’autenticazione viene redatta.

La dottrina perviene pacificamente a questa conclusione (v. in tal senso Boero, 297, che ritiene che ciò valga anche per il rilascio di copie, estratti, certificati e per le vidimazioni).

Quanto alle conseguenze sanzionatorie, la legge prescrive che l’atto notarile è nullo «se non contiene l’indicazione del Comune in cui fu ricevuto» (art. 58, n. 5, l. not.). Pertanto se il notaio dimentica di indicare il comune, l’atto è nullo, mentre ciò non accade se il notaio dimentica di indicare il locus loci.

Sul piano disciplinare, invece, i due elementi (comune e locus loci) sono trattati allo stesso modo, forse perché in tal caso il legislatore si preoccupa più del documento che dell’atto e pretende dal notaio il massimo di precisione. Il notaio che contravviene alle disposizioni dell’art. 51, n. 1, l. not. è punito la prima volta con la sanzione pecuniaria (art. 137, 2° co., l. not.), la seconda volta (in caso di recidiva specifica) con la sospensione da uno a sei mesi (art. 138, n. 5, l. not.), la terza volta (in caso di seconda recidiva specifica) con la destituzione (art. 142, 1° co., l. not.).

13. Parte (indicazione nell’atto)

Va premesso che il problema dell’indicazione delle parti nell’atto non investe problemi di nullità dell’atto, ma soltanto problemi di irregolarità dell’atto che possono dar luogo a responsabilità disciplinare del notaio.

La norma che interessa è l’art. 51, n. 3, l. not., il quale dispone che l’atto deve contenere «il nome, il cognome, la paternità, il luogo di nascita, il domicilio o la residenza e la condizione delle parti, dei testimoni e dei fidefacenti» (1° co.). E continua stabilendo che «se le parti od alcune di esse intervengono all’atto per mezzo di rappresentante, le precedenti indicazioni si osserveranno, non solo rispetto ad esse, ma anche rispetto al loro rappresentante. La procura deve rimanere annessa all’atto medesimo o in originale o in copia, a meno che l’originale o la copia non si trovi negli atti del notaro rogante» (2° co.).

La casistica notarile e la giurisprudenza che talvolta l’ha recepita, hanno consentito di risolvere alcuni problemi concreti sorti nella quotidiana attività notarile.

a) Pseudonimo. In linea di massima si sostiene che il notaio debba far comparire il soggetto con l’indicazione dei dati anagrafici, ma non si è escluso che sia consentita l’utilizzazione anche dello pseudonimo, a patto che questo venga aggiunto ai dati anagrafici e non sia sostitutivo di questi, per esigenze di certezza (cfr. Boero, 301; Protettì, Di Zenzo, La legge notarile, 2ª ed., Milano, 1987, 233. I riferimenti giurisprudenziali effettuati dalla dottrina predetta sono C., 6.11.1978, n. 5056, in RN, 1979, 155; C., 8.11.1974, n. 3424, in VN, 1975, 428).

b) Nomi doppi e tripli. I nomi doppi o plurimi risultanti nei registri di stato civile vanno riportati per intero, ad eccezione del caso che tra i singoli nomi e prenomi figuri nel registro un segno d’interpunzione (virgola, punto e virgola, o altro), nella quale ipotesi è sufficiente riprodurre nell’atto i nomi che compaiono fino al segno d’interpunzione.

c) Nome del religioso. Appare indispensabile indicare in atto comunque il nome anagrafico, con la possibilità peraltro di aggiungere a questo il secondo nome del religioso.

d) Cognome aggiunto. L’art. 143 bis c.c., nel testo riformato dalla L. n. 151/1975 sul diritto di famiglia, dispone che «la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze». Il cognome aggiunto in tal caso va indicato nell’atto, essendo esso entrato in modo lineare e a tutti gli effetti nell’ambito del cognome della donna.

e) Soggetti stranieri. Non vi è alcun dubbio che il nome e cognome concernente un soggetto straniero debba essere indicato nell’atto rispettando la grafia originale.

f) Titoli accademici e nobiliari. Quanto ai titoli nobiliari, debbono reputarsi equiparati ai titoli accademici: entrambi non sostituiscono il cognome, ma possono aggiungersi ad esso e pertanto possono essere fatti comparire nell’atto notarile, ma soltanto in funzione aggiuntiva del nome e cognome, non in funzione sostituiva di esso.

g) Data di nascita. L’art. 51, n. 3, l. not., nella sua formulazione originaria, prevedeva, fra gli elementi identificativi della parte «la paternità» e «il luogo di nascita». A seguito della l. 31.10.1955, n. 1064, l’indicazione della paternità non poté più essere inserita negli atti e in sua sostituzione venne disposta l’indicazione del «luogo e data di nascita».

h) Soggetti non persone fisiche. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche il legislatore utilizza varia terminologia ai fini dell’identificazione: si parla di denominazione per gli organismi diversi dalle società (art. 16 c.c.); di denominazione sociale per le società di capitali e per le cooperative (artt. 2326, 2463, 2515 c.c.); di ragione sociale per le società di persone (artt. 2296, 2314 c.c.).

i) Domicilio o residenza. La legge notarile prescrive l’indicazione in atto del «domicilio o residenza» della parte. Sulla base dell’art. 43 c.c., il domicilio corrisponde al luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza corrisponde al luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Parlare di «luogo» significa fare riferimento al comune, senza la necessità di specificare anche la via e il numero civico ove trovasi il fabbricato nel quale siano ubicati domicilio e residenza.

l) Dati identificativi incompleti. Può accadere che i dati necessari ad identificare un determinato soggetto che compare nell’atto notarile risultino incompleti: manca il domicilio, o la residenza; se si tratta di uno straniero sono incerti il luogo o la data di nascita, tanto per fare qualche esempio.

Ci si è chiesti se in tal caso il notaio debba rifiutarsi di ricevere l’atto, oppure se egli sia tenuto a formalizzare il rogito, una volta acquisita la certezza che il soggetto che compare innanzi a lui è il soggetto che deve effettivamente stipulare, anche se carente di alcuni dati identificativi sul piano della legge notarile. Al quesito è stata data risposta nel senso che il notaio anche in questo caso è tenuto ad effettuare la stipula.

m) Dati identificativi errati. Sembra che debba arrivarsi alla conclusione che un conto è ciò che accade effettivamente innanzi al notaio, alla sua presenza, nella fase antecedente l’atto, nella quale

compito del notaio è di individuare esattamente e correttamente il soggetto che gli si presenta innanzi; altro conto è la materiale trasposizione in atto delle indicazioni che debbono servire ad individuare il soggetto contraente. Non può, neppure sul piano logico, attribuirsi lo stesso rilievo punitivo al notaio che manca di adottare tutte le misure atte alla precisa identificazione di un soggetto, ed al notaio che, dopo aver correttamente individuato il soggetto che gli sta davanti, finisca per storpiarne il nome o per attribuirgli nome diverso. Si comprende agevolmente come, nel primo caso, il notaio manchi ad un suo preciso compito di pubblico ufficiale documentatore, nel secondo caso, invece, il notaio commetta un errore che può essere catalogato come errore materiale.

14. (Segue) Parte rappresentata per procura. Forma della procura

L’art. 1392 c.c. dispone che la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.

Bilancia La giurisprudenza della Suprema Corte ormai ha assunto un indirizzo consolidato per il quale la norma dell’art. 1392 vale soltanto nel caso di forma disposta per legge e non nell’ipotesi di forma voluta dalle parti, la c.d. forma convenzionale disciplinata dall’art. 1352 c.c. [cfr. C., 16.10.1968, n. 3325, in GI, 1969, I, 1, 2079, la quale ha ammesso la regolarità della procura orale per un contratto di vendita di cose mobili per il quale le parti avevano convenuto la redazione per iscritto; v. anche C., Sez. I, 29.8.1997, n. 8198, in Not, 1998, 113; C., Sez. III, 19.12.1986, n. 7742, in GC, 1987, I, 2020; C., 16.11.1984, n. 5828, in MGI, 1984; C., 13.2.1978, n. 681, in GC, 1978, I, 885; in dottrina v. Giorgianni, Forma degli atti (dir. privato), in ED, XVIII, Milano, 1968, 988 ss.; Caparrelli, Forma volontaria e forma della procura, in GI, 1975, I, 1, 1155].

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Bilancia È stato peraltro precisato che l’art. 1392 c.c. valga soltanto per gli atti a contenuto negoziale, mentre per gli atti a contenuto non negoziale essa norma non trovi applicazione (C., Sez. lav., 23.3.2002, n. 4175, in AC, 2003, 80, in tema di richieste al datore di lavoro del pagamento di differenze retributive; C., Sez. III, 12.10.1998, n. 10090, in GC, 1999, I, 422, in tema di atto costitutivo in mora proveniente dal procuratore; analogamente v. C., Sez. III, 15.7.1987, n. 6245, in MGI, 1987).

Anche se una dottrina di minoranza si esprime in senso inverso e ritiene che l’art. 1392 c.c. valga anche nell’ipotesi di forma convenzionale ex art. 1352 c.c. (cfr. Salomoni, La rappresentanza volontaria, Padova, 1997, 50), non sembra che quest’ultima opinione sia accettabile, sia per l’argomento desumibile dalla relazione al codice civile (nella Relazione al Re si afferma espressamente che «le forme stabilite convenzionalmente per il contratto da concludere non si sono estese alla procura»), sia per l’argomento che le forme convenzionali sono di difficile accertamento, al contrario delle forme previste dalla legge.

La necessità che la procura sia redatta nella stessa forma prescritta come necessaria, sul piano legale, per l’atto cui essa è destinata, impone un certo rigore, perché è stato chiarito che il requisito della forma può essere soddisfatto soltanto in presenza di un documento contenente la manifestazione della volontà di conferire il potere rappresentativo e non anche con documenti che facciano solo riferimento alla procura altrimenti rilasciata o che di questa presuppongano l’esistenza (C., Sez. II, 30.8.1994, n. 7590, in GI, 1995, I, 1, 1029, con nota di Cavaliere).

Nel caso dell’atto pubblico notarile è giocoforza richiamarsi alla legge notarile, la quale ormai stabilisce la necessità dei testi solo per determinati atti: se mancano i testimoni ove richiesti, il documento è formalmente nullo, nel senso che l’involucro che consente di attribuire ad un negozio giuridico forma di atto pubblico in tal caso non nasce, per cui è come se quel documento avesse valore, a fini formali, di semplice scrittura privata, neppure autenticata.

Ciò basta a far ritenere che il difetto di forma sia presente e sia pertanto violato l’art. 1392 c.c. Ciò comporta che tutte le volte che per l’atto si richiede l’atto pubblico notarile, se si tratta di procura, questa deve rivestire gli stessi caratteri formali dell’atto pubblico finale, ivi compresi quelli concernenti la presenza dei testi ove richiesti.

15. (Segue) Procura generale e procura speciale

La procura può essere generale o speciale: è generale allorquando essa concerne tutti gli affari del proponente, oppure un determinato gruppo di affari determinati (ad es. gli affari di un certo tipo, oppure gli affari di una determinata zona); è speciale se riguarda uno o più affari specificamente indicati.

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a) al 1° co. dispone che il mandato comprende non soltanto gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento;

La differenza tra procura generale e procura speciale rileva soprattutto al fine di valutare la delimitazione dei compiti del procuratore, alla luce soprattutto dell’art. 1708 c.c., dettato per il mandato, norma che si ritiene applicabile anche alla sola procura (Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1985, 283; Mirabelli, Delle obbligazioni e dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., IV, 2, Torino, 1980, 374; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, Padova, 2004, 469; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Torino 2007, 1050). Questa norma:

b) al 2° co. dispone che il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente.

Bilancia Secondo la giurisprudenza, la procura a vendere comporta anche il potere di stipulare il contratto preliminare (C., 23.4.1980, n. 2680, in RN, 1980, 1587), mentre la procura alla stipula del contratto preliminare non comporta anche la procura alla stipula del contratto definitivo, a meno che non sia accompagnata dalla possibilità di incamerare l’intero prezzo e dalla possibilità di trasferire il possesso anticipato del bene (C., 28.11.1981, n. 6353, in MGI, 1981).

È stato anche precisato che chi è stato investito del potere di rappresentare altri nella stipulazione di un contratto non è automaticamente investito anche del potere di riscuotere i crediti derivanti dal contratto (C., Sez. I, 26.5.1987, n. 4711, in Soc, 1987, 916, con nota di Ambrosini).

E si è anche chiarito che non rientra nei poteri concessi in una procura, se ciò non viene specificato espressamente, quello di approvazione per iscritto di una clausola derogativa della competenza giudiziaria territoriale (C., 9.11.1984, n. 5890, in MGI, 1984; C., 9.6.1976, n. 2105, in FI, 1977, I, 469).

In linea di principio si deve escludere dalla procura generale il compimento di atti di straordinaria amministrazione, identificati in questo concetto tutti quegli atti che non tendono alla semplice conservazione del patrimonio del soggetto, ma che si traducono in una modifica dell’integrità del patrimonio.

La giurisprudenza ha ricompreso fra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, con specifico riferimento a quest’articolo, gli atti di disposizione (C., 18.1.1952, n. 142, in GI, 1952, I, 1, 243), la rinuncia ad un diritto anche se controverso (C., 17.3.1953, n. 663, in GC, 1953, I, 849), la transazione (C., Sez. II, 25.8.1989, n. 3755, in GI, 1990, I, 1, 602).

16. (Segue) Revoca della procura

La revoca della procura è ritenuta l’ipotesi principale di cessazione della rappresentanza ed è stata qualificata come negozio unilaterale con il quale il rappresentato fa venir meno il potere rappresentativo.

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Ha posto particolari problemi il tema dell’irrevocabilità della procura c.d. in rem propriam, cioè rilasciata anche nell’interesse del rappresentante o di terzi. Sovviene in proposito l’art. 1723 c.c., in tema di mandato, il quale, al 1° co., dispone che il mandato è revocabile, ma che, se era stata pattuita l’irrevocabilità, il mandante «risponde dei danni, salvo che ricorra una giusta causa»; lo stesso articolo, al 2° co., prevede che «il mandato conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi non si estingue per revoca da parte del mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di revoca».

È discusso se si tratti di negozio unilaterale recettizio, essendo dubbio a chi debba essere notificato il negozio di revoca (Salomoni, 294 ss.). Si ritiene, comunemente, che il negozio di revoca sia a forma libera, anche nell’ipotesi che la procura, essendo diretta alla realizzazione di un negozio che preveda ad substantiam la forma solenne, sia stata redatta per atto pubblico (Salomoni, 296; C., 15.8.1948, n. 1514; Mirabelli, 390; Visintini, Rappresentanza (artt. 1387-1400), in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1993, 305).

La stragrande maggioranza della dottrina (Visintini, 305; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano 2000, 96; Graziani, In tema di procura irrevocabile, in Studi di diritto civile e commerciale, Milano, 1930, 73; Minervini, Contributo alla dottrina della procura irrevocabile, in Ann. dir. comparato, 1949, 27; Cottino, Note sull’irrevocabilità del mandato, in RDCo, 1952, II, 18), sostenuta anche da un certo orientamento ormai datato della Cassazione (C., 2.7.1981, n. 4282, in GCo, 1982, II, 801; C., 5.8.1981, n. 1886, in RGCir, 1982, 84; C., 15.11.1976, n. 4215, in MFI, 1976; C., 30.10.1963, n. 2907, in MFI, 1963), ritiene che l’art. 1723 c.c. sull’irrevocabilità del mandato in rem propriam trovi applicazione anche per la procura, mentre questa conclusione viene negata da una dottrina minoritaria (Nanni, La revoca del mandato, Padova, 1992, 69; v. anche Id., Estinzione del mandato, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1994, 81 ss., in termini problematici e con esposizione storica e comparatistica) e da una più recente giurisprudenza (C., Sez. II, 11.2.1998, n. 1388, in GI, 1999, 24, con nota critica di Forchino; C., Sez. I, 4.12.1996, n. 10819, in MGI, 1996).

Insomma, ancorare ogni soluzione all’astrattezza e all’unilateralità della procura e al silenzio del legislatore sulla disciplina di questo istituto non sembra motivo sufficiente per escludere l’applicabilità dell’art. 1723, 2° co., c.c. anche alla procura.

Analogo discorso va effettuato per la morte del rappresentato. In proposito l’art. 1723, 2° co., c.c. stabilisce, per il mandato, che se questo è conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi, esso non si estingue per la morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante.

Sull’applicabilità di questa norma anche alla procura vi è sufficiente accordo, sia in dottrina (Salomoni, 303), che in giurisprudenza, la quale ha precisato che «avvenuta la morte del mandante, il mandatario in rem propriam conserva la facoltà di agire, non più in nome e per conto del mandante, ma in nome e per conto degli eredi, che a lui sono succeduti nel rapporto, senza che questi debbano conferire un nuovo potere di rappresentanza al mandatario» (C., Sez. III, 24.9.1979, n. 4916).

Si pone a questo punto il problema: se è defunto il soggetto che ha rilasciato la procura, la trascrizione di un negozio traslativo di diritto reale a favore di terzi (o del procuratore) a danno di chi va effettuata? L’unica soluzione possibile è di effettuarla contro il de cuius, oppure, se risulta trascritto l’acquisto mortis causa, contro i suoi eredi.

17. (Segue) Procura redatta all’estero

a) Norme di conflitto. Nel diritto internazionale privato esiste una norma (art. 60, l. 31.5.1995, n. 218), che disciplina la legge regolatrice della procura. Questo articolo dispone: «La rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d’affari sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta o conoscibile dal terzo. In assenza di tali condizioni si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto» (1° co.).

«L’atto di conferimento dei poteri di rappresentanza è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere» (2° co.).

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b) Forma della procura estera. E qui si pone il problema dell’applicabilità o meno alla procura estera della disposizione contenuta nell’art. 1392 c.c., per effetto della quale la procura deve rivestire la stessa forma richiesta dalla legge per l’atto da stipulare da parte del procuratore.

La dottrina internazionalprivatistica ha chiarito che la norma in discorso vale soltanto per la rappresentanza volontaria, non per la rappresentanza legale od organica (Mosconi, Diritto internazionale privato e processuale, Parte speciale, Torino, 1997, 152; Ballarino, Diritto internazionale privato, Padova, 1999, 736), per le quali occorre fare riferimento alla legge che disciplina il rapporto sostanziale (mandato, cui andrebbe applicata la Convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali del 1980; società, cui tornerebbe applicabile l’art. 25, l. n. 218 del 1995).

Non vi è alcun dubbio che, trattandosi di procura proveniente dall’estero, ad essa debbano applicarsi non le norme interne del nostro ordinamento, bensì le norme dell’ordinamento giuridico dello Stato individuato come competente a legiferare in materia sulla base delle nostre norme di diritto internazionale privato, ora contenute nell’art. 60, L. n. 218/1995: pertanto va applicata la legge dello Stato che disciplina l’accordo gestorio della rappresentanza, oppure la legge dello Stato ove la procura è nata.

Sulla base di uno studio (Calò, Profili formali della procura estera per la costituzione di una società, in Studi e materiali, IV, Milano, 1995, 229) i Paesi che recepiscono una norma analoga a quella contenuta nel nostro art. 1392 c.c. sono i seguenti: Algeria, Bulgaria, Egitto, Etiopia, Grecia, ex Jugoslavia, Libano, Polonia, Portogallo e Ungheria.

Pertanto tutto il mondo anglosassone non recepisce una siffatta norma ed altrettanto avviene per i Paesi della Unione Europea, ad eccezione della Grecia, della Bulgaria, della Polonia e del Portogallo.

Primario compito del notaio chiamato a redigere un atto che vede come parte formale un procuratore sulla base di procura proveniente dall’estero è, pertanto, quello di valutare quale sia l’ordinamento giuridico competente a disciplinare la forma della procura: se egli riscontra che questa è formalmente ineccepibile sulla base del riscontrato ordinamento dello Stato ove la procura è stata redatta, il notaio non si deve preoccupare del nostro art. 1392 c.c. e può pertanto utilizzare la procura così redatta (si supponga, per scrittura privata autenticata), anche per ricevere un atto che nel nostro ordinamento richiede la forma pubblica (donazione, contratto di società, convenzioni matrimoniali, per fare alcuni esempi).

18. (Segue) Poteri rappresentativi e obblighi formali del notaio

L’art. 51, n. 3, l. not. dispone che «la procura deve rimanere annessa» all’atto notarile «in originale o in copia, a meno che l’originale o la copia non si trovi negli atti del notaro rogante».

Bilancia Una giurisprudenza datata ha affermato a chiare note che la norma contenuta nell’art. 51, n. 3, l. not. riguarda i soli casi di rappresentanza volontaria, non quelli di rappresentanza legale (cfr. C., 3.3.1943, in GI, 1943, I, 1, 330; A. Torino, 4.3.1949, in Giur. torinese, 1949, 787; C., 19.4.1940, in Settimana della C., 1940, 665, queste ultime due in tema di rappresentanza organica in materia di società di capitali). L’esattezza della conclusione giurisprudenziale è dovuta non soltanto al testo letterale della legge, ma anche agli scopi cui tende questa disposizione.

a) Ragioni giustificative. Scopo della norma è quello di accludere all’atto notarile, come allegato obbligatorio, il documento che attesta l’esistenza, in colui che ha agito in nome e per conto di altra persona, del titolo di legittimazione che l’ha autorizzato a detto comportamento negoziale.

Preoccupazione del legislatore è stata anche quella di garantire la conservazione della procura presso un pubblico depositario come il notaio.

Evidentemente, ora che la norma è cambiata (si prevede infatti che la procura deve essere allegata «in originale o in copia»), occorre dare ad essa significato anche diverso dalla semplice esigenza di custodia del documento. Non resta che aderire all’opinione che, proprio in ragione della strutturazione stessa della procura, che, avendo carattere prettamente negoziale, può avere il più ampio contenuto, si sia voluto fissare per tabulas il confine entro il quale ha legittimamente operato il procuratore.

b) Procura institoria. Poiché la legge stabilisce l’allegazione necessaria con esplicito riferimento alla «procura», si pone il problema se tale obbligo sussista anche per la c.d. «procura institoria», prevista dagli artt. 2204 e 2206 c.c. La dottrina ha peraltro chiarito che erroneamente il codice civile parla in tal caso di «procura», perché se per procura si intende il negozio costitutivo di rappresentanza, e pertanto se la procura ha la sua fonte in un negozio giuridico (tant’è che si parla di rappresentanza volontaria), la procura institoria non ha la sua fonte nel contratto, bensì nella legge; trattasi infatti di rappresentanza legale e non di rappresentanza volontaria.

Allorquando, pertanto, la rappresentanza è legale (è il caso dell’amministratore di società o dell’institore di imprenditore commerciale), il potere rappresentativo non è basato su una procura ed il notaio non è tenuto ad allegare all’atto alcunché: ancorché in concreto il notaio sia tenuto, solo peraltro sul piano professionale, ad accertare se esistano limiti statutari o di altro genere che riducano la portata della rappresentanza legale, ed altresì quale sia il soggetto fisico cui sia stato affidato il compito di esprimere in concreto la rappresentanza legale.

c) Requisiti formali della procura da allegare all’atto. Benché l’atto posto in essere, facendo comparire come parte in senso formale il procuratore, sia un atto pubblico, l’art. 51, n. 3, l. not. non pretende che il notaio utilizzi soltanto procure per atto pubblico, o per scrittura privata autenticata. Se si tratta di copia, essa dovrà essere autentica, perché soltanto la copia autentica dà certezza al notaio di conformità di essa copia al documento originale, ma è ben possibile che sia utilizzata una procura per semplice scrittura privata non autenticata, a patto che il notaio acquisisca, con tutti gli strumenti in suo possesso, certezza che si tratti di documento originale proveniente effettivamente dal soggetto che ne risulta autore.

La legge notarile parla di «originale o copia», lasciando intendere che deve trattarsi o dell’atto di procura esistente nel documento originale o, evidentemente, nella copia autentica di esso.

L’obbligo di allegazione presuppone un documento scritto e pertanto non appare consentito supportare un atto notarile con procura orale, ancorché per l’atto non sia richiesta dalla legge la forma scritta.

Se il documento è rilasciato in copia, questa deve necessariamente consistere in una copia autentica, perché soltanto in tal caso il notaio avrà la massima sicurezza sulla genuinità del documento, tanto se questi sia documento pubblico quanto se consista in semplice scrittura privata.

Allorquando, invece, chi voglia rappresentare una società non sia amministratore o institore, perché sussista la legittimazione a rappresentare la società occorre una procura, che deve provenire da soggetto già dotato di rappresentanza (amministratore, institore, direttore generale).

Va peraltro chiarito che se la delibera consiliare è intesa ad indicare l’amministratore con poteri di rappresentanza, la delibera è pienamente valida, perché si tratterebbe pur sempre di atto interno della società; soltanto se la delibera sia utilizzata per attribuire procura all’esterno della società, cioè a soggetto diverso dagli amministratori, institori, l’inadeguatezza dello strumento utilizzato ha una sua precisa ragion d’essere.

d) Procura per atto consolare. L’art. 19, D.P.R. 5.1.1967, n. 200, recante le disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari, stabilisce le funzioni notarili del console, disponendo testualmente che il capo dell’ufficio consolare esercita nei confronti dei cittadini «le funzioni di notaio, attenendosi alla legislazione nazionale».

La competenza del console a svolgere funzioni notarili è generale, perché l’articolo non la limita a determinati ambiti di attività, né a tipologie particolari di negozi giuridici; sul piano funzionale, le competenze notarili consolari hanno pertanto la specifica ampiezza delle competenze del notaio in Italia.

Nei confronti delle parti rivestenti nazionalità straniera esiste una limitazione: se lo straniero è parte di un atto nel quale compare come parte anche un cittadino italiano, la competenza notarile del console è completa e non abbisogna di ulteriori elementi. Se invece siano parti dell’atto soltanto cittadini stranieri, la competenza notarile del nostro console può essere esercitata se si verifica l’una o l’altra delle seguenti condizioni: i) che la possibilità sia prevista da convenzioni internazionali; ii) oppure che gli atti debbano essere fatti valere in Italia.

Ma certamente l’attività notarile del console ha piena valenza certificativa ai sensi degli artt. 2699 e 2700 c.c.

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19. (Segue) Forma della procura e trascrizione

E la dottrina più attendibile afferma espressamente che il richiamo effettuato alla legislazione nazionale non può intendersi in senso generico, con esclusione della legge notarile, perché quest’ultima dal console andrebbe osservata in modo completo e senza eccezioni di sorta, costringendo talvolta i notai italiani ad invitare il console a ripetere l’atto notarile consolare carente dei requisiti di legge (cfr., su tutta questa tematica, Calò, Caruso, La legalizzazione nell’attività notarile, consolare e forense, Milano, 2001, 16 e 17 ed ivi citazioni giurisprudenziali e di dottrina).

Il problema dell’applicazione dell’art. 2657 c.c. non è un problema di forma dell’atto, bensì un problema di autenticità del titolo per l’ingresso nella pubblicità.

Libro La dottrina ha chiarito che l’art. 2657 c.c. non prevede un requisito di forma che si aggiunge a quello prescritto dall’art. 1350 c.c., bensì costituisce un requisito del documento, come è un requisito del documento l’autenticazione, il cui scopo, cioè, non è quello di assicurare la valida espressione di un negozio, ma quello di consentire ad un negozio già nato di essere utilizzato a fini determinati (così

sostanzialmente Ferri, Trascrizione immobiliare, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1995, 376; Mastrocinque, La trascrizione, Roma, 1963, 446).

L’accertamento sull’autenticità deve essere svolto sull’atto notarile, non sui documenti ad esso allegati, la cui autenticità viene sostanzialmente accertata dal notaio: se quest’ultimo ha stipulato sulla base di una procura realizzata per documento non rivestente forma pubblica o autentica, egli si è fatto garante della genuinità della procura e ciò basta per rendere l’atto rispettoso della legge: attraverso il filtro della valutazione del notaio si ha un’indiretta attestazione di autenticità e ciò basta per garantire il rispetto dell’art. 2657 c.c.

Sotto altro profilo, poi, non può mancarsi di evidenziare che il negozio sottoposto a pubblicità non è la procura, bensì il negozio concluso dal procuratore, che attraverso l’opera del notaio (o per atto pubblico o per scrittura privata autenticata) soddisfa sempre in pieno i requisiti dell’art. 2657 c.c.

Alla luce delle riflessioni che precedono, pertanto, l’operato del conservatore dei registri immobiliari che rifiuta la pubblicità a causa di procura non rispondente ai requisiti dell’art. 2657 c.c. appare privo di giustificazione.

20. (Segue) Morte del soggetto rappresentato

È talvolta accaduto che il notaio sia stato chiamato a stipulare un atto nel quale un soggetto debba comparire come procuratore (procuratore peraltro in rem propriam, cioè nell’interesse proprio o di terzi) di altro soggetto, il quale nel frattempo sia deceduto. Si intuisce il disagio del notaio ad operare su un incarico di rappresentanza che vede l’autore dell’incarico ormai cessato, anche perché al caso di specie, nel silenzio delle norme generali sulla procura, appaiono applicabili le norme sul mandato, che prevedono la morte del mandante come una delle cause di estinzione del mandato.

Peraltro vi è l’eccezione del mandato in rem propriam, e talvolta è accaduto che il notaio, nel momento in cui si accingeva a far comparire in atto il rappresentante, abbia saputo che il rappresentato era nel frattempo deceduto. Per quanto si è detto in precedenza, va precisato che in tal caso il procuratore conserva il potere di rappresentanza e pertanto il notaio non può rifiutare l’atto.

Se dai registri immobiliari emerge la trascrizione dell’acquisto mortis causa, l’atto – che dovrà essere compiuto in nome e per conto degli eredi – verrà trascritto contro questi ultimi nel rispetto della continuità delle trascrizioni.

Se invece alla vicenda successoria non è stata data pubblicità, il negozio verrà stipulato in nome e per conto del mandante-defunto e la trascrizione verrà eseguita contro di esso.

21. (Segue) Procura rilasciata da persona successivamente dichiarata assente

Libro

La procura non deve perciò intendersi neppure temporaneamente caducata. Si viene, dunque, a produrre una particolare situazione per cui da un lato il potere gestorio resta in capo al procuratore pur essendo attribuito ai legittimati in forza del provvedimento di immissione nel possesso temporaneo dei beni il

La dottrina e la giurisprudenza che si sono occupate del problema si sono espresse nel senso che il mandato non si estingue per effetto della dichiarazione di assenza, ma che in tal caso opera il disposto del 4° co. dell’art. 50 c.c., a norma del quale «coloro che per effetto della morte dell’assente si sarebbero liberati da obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati dal loro adempimento, salvo che si tratti di obbligazioni alimentari previste dall’art. 434 c.c.». Di conseguenza, il mandatario che tema di eseguire inutilmente l’incarico può ottenere l’esonero (Nanni, Estinzione del mandato, 21).

potere di amministrarli, potere che, proprio per la sua temporaneità, non comporta l’estinzione della procura, la quale potrebbe estinguersi definitivamente a seguito dell’accertamento del decesso o della dichiarazione di morte presunta del dominus.

I legittimati immessi nel possesso temporaneo dei beni sono, comunque, tenuti ad avvertire prontamente il mandatario, ai sensi dell’art. 1728, 2° co., c.c., norma che può in ogni caso ritenersi applicabile a questo caso. Va pertanto confermata la ultrattività di una procura generale, la interruzione della cui vigenza non è effetto immediato nel caso di assenza della pronuncia giudiziale, ma consegue all’esito positivo di uno specifico procedimento tutorio, seguito dall’espresso atto di revoca unilaterale da parte degli immessi nel possesso temporaneo dei beni (cfr. per tutta questa tematica dell’assente Trapani, Ruotolo, Appunti in tema di effetti della dichiarazione di assenza del dominus sulla procura generale, in Studi e materiali, VI, 1, Milano, 2001, 3).

22. (Segue) Utilizzazione di una subprocura

Un argomento particolarmente delicato è quello attinente alle formalità che deve osservare il notaio allorquando la procura assuma la veste di una subprocura: si pensi all’ipotesi di A che rilascia procura a B, il quale a sua volta rilascia una subprocura a C dello stesso oggetto della precedente. Si tratta di sapere se il notaio che riceve l’atto debba limitarsi ad allegare la seconda procura (da B a C) oppure debba necessariamente allegare anche la prima procura (da A a B).

La risposta più plausibile al quesito è la seguente: se la procura serve allo scopo di documentare l’esistenza del rapporto rappresentativo tra rappresentato e rappresentante, è intuibile affermare che il documento allegato all’atto negoziale debba contenere entrambi i documenti, cioè l’intera sequela di atti idonea ad identificare il soggetto rappresentato (parte in senso sostanziale) e il soggetto rappresentante (parte in senso formale).

23. (Segue) Poteri rappresentativi e accertamenti del notaio

Bilancia L’obbligo notarile di accertare la legittimazione di un soggetto a negoziare un determinato bene (in quanto titolare di un diritto reale sul bene stesso) e la conseguenziale legittimazione di altro soggetto sulla base di apposito mandato rappresentativo debbono essere fatti rientrare nell’art. 47 l. not. e coinvolgono il notaio in una responsabilità sia funzionale che professionale.

Occorre peraltro fare riferimento anche all’art. 54 reg. not., il quale dispone che «i notari non possono rogare contratti, nei quali intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentati giuridicamente obbligarsi».

Va peraltro chiarito che l’art. 54 reg. not. non presuppone obblighi documentali per il notaio, ma si limita ad impegnare quest’ultimo ad accertamenti ontologici che attestino la legittimazione del soggetto ad agire in nome e per conto di altri soggetti.

a) Società. In materia societaria compito primario del notaio è quello di accertare se colui che intende agire negozialmente a nome della società lo faccia a titolo di rappresentante legale, oppure di rappresentante volontario (tramite procura).

Per prima cosa si dovranno valutare le risultanze del registro delle imprese, dalle quali si potranno evidenziare gli amministratori rivestiti di potere di firma. Se si dovesse riscontrare che il soggetto non è amministratore (né institore, né procuratore o commesso), occorre fare indispensabile riferimento alla procura.

E qui si pone un problema già segnalato in precedenza: la procura in ambito societario può essere legittimamente rilasciata soltanto dal soggetto che ha potere rappresentativo, perché essa presuppone attività negoziale che impegna la società all’esterno.

b) Associazioni non riconosciute, comitati, organismi privi di soggettività giuridica. In tali casi, in mancanza di apposita norma del codice civile che stabilisca la disciplina della rappresentanza per le associazioni non riconosciute, e considerato che per esse non può, neppure per analogia, trovare applicazione la norma contenuta nell’art. 19 c.c., che presuppone comunque l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, deve trovare applicazione l’art. 1388 c.c., ritenuto norma di portata generale e come tale applicabile, in mancanza di disposizioni contrarie (come accade per le società), anche alla rappresentanza organica (cfr. C., Sez. II, 7.6.2000, n. 7724, in NGCC, 2001, I, 542 ss., con nota di Boeri, e in GI, 2001, 1858, con nota di Della Casa. Entrambi questi Autori accolgono la soluzione, adottata dalla predetta sentenza, di ritenere applicabile alle associazioni non riconosciute l’art. 1388 c.c., ma contestano l’argomento, sostenuto dalla Cassazione, che nel caso di associazione non riconosciuta non possa parlarsi di rappresentanza organica, ma debba parlarsi di rappresentanza volontaria).

L’applicazione dell’art. 1388 c.c. costringerà il notaio, che riceverà un atto nel quale compaia come parte un soggetto in qualità di rappresentante di un’associazione non riconosciuta, a riscontrare lo statuto dell’associazione, allo scopo di individuare eventuali norme che stabiliscano quali sono gli amministratori con potere rappresentativo e gli eventuali limiti del loro potere di firma.

24. (Segue) Paternità

La legge notarile nel suo testo originario pretendeva anche l’indicazione della paternità. Successivamente, peraltro, la L. 31.10.1955, n. 1064 ha disposto che «l’indicazione della paternità sarà omessa in ogni altro atto, denunzia o documento in cui sia prescritta dalle norme vigenti», stabilendo, in alternativa, l’indicazione del luogo e della data di nascita. Poiché la legge notarile già prevedeva anche quest’ultima indicazione, la norma dell’art. 51, n. 3, va ora letta con esclusivo riferimento all’obbligo di indicare luogo e data di nascita.

Peraltro si è ritenuto, e giustamente, che la paternità possa essere tuttora apposta sull’atto allorquando ve ne sia giustificazione evidente o non superabile.

25. Interprete (nell’atto notarile). Concetto e funzioni

L’interprete è un soggetto che coadiuva il notaio nell’espletamento delle sue funzioni, perché il suo scopo è quello di consentire al notaio, nel rapporto con le parti, di superare situazioni di incomunicabilità.

La legge notarile prevede l’interprete in tre fattispecie distinte: a) allorquando le parti siano stranieri che non conoscono la lingua italiana ed il notaio non conosca a sua volta la lingua straniera delle parti (art. 55 l. not.); b) allorquando la parte sia interamente priva dell’udito e non sappia leggere (art. 56, 2° co., l. not.); c) allorquando la parte sia un muto o un sordomuto, fermo restando che in tal caso se la parte non sappia o non possa leggere e scrivere potrebbe occorrere un secondo interprete se il linguaggio a segni della parte non sia compreso da uno dei testimoni (art. 57 l. not.).

A differenza del testimone, che presenzia in silenzio alle fasi del rogito, senza compiti specifici se non quello di assistere e di apporre la propria sottoscrizione finale, l’interprete partecipa attivamente alla confezione dell’atto: egli colloquia con la parte in difficoltà (straniero o minore), ne percepisce la volontà e la trasmette al notaio per consentirgli la redazione dell’atto; analogamente, al momento della

lettura egli riferisce alla parte in difficoltà il contenuto del testo letto dal notaio e pone la parte nella condizione di esprimere la sua soddisfazione o meno.

L’interprete va qualificato come ausiliare del notaio.

26. (Segue) Nomina e requisiti

La nomina dell’interprete è di competenza delle parti se si tratta di atto nel quale compaiono parti straniere delle quali il notaio non conosca la lingua (ex art. 55 l. not.); di competenza del Presidente del tribunale allorquando si tratti di minorato (ex art. 56, 2° co., l. not.).

La nomina dell’interprete da parte del tribunale è dovuta al fatto che, trattandosi di minorato, la sua difesa viene affidata ad un organo dello Stato, che garantisce una maggiore sicurezza.

In conclusione, sembra di poter affermare che l’interprete possa essere nominato per un singolo atto, ma anche per più atti successivi, ognuno dei quali peraltro andrebbe esattamente indicato nella richiesta di nomina, allo scopo di consentire al magistrato il pieno svolgimento della sua funzione.

Ci si è chiesti se nella scelta dell’interprete il notaio possa interloquire: il notaio, cioè, può opporsi alla scelta effettuata dalle parti o dal Presidente del tribunale?

Bilancia Parte della giurisprudenza e della dottrina rispondono affermativamente, mentre altra parte si esprime per la negativa (nel senso che il notaio ha titolo per opporsi alla nomina dell’interprete v. C., 17.10.1959, n. 2911, in RN, 1959, 885; T. Matera, 5.5.1980, in VN, 1981, 357; in senso contrario v. invece A. Caltanissetta, 29.5.1954, in RN, 1955, 627.

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Non sembra peraltro che la formulazione del problema sia corretta: se la legge prevede da un lato la competenza delle parti, da un altro lato la competenza del giudice e non menziona contemporaneamente alcuna competenza del notaio, non vi è alcun dubbio che la nomina non appartiene al notaio. Peraltro, da una parte l’interprete deve rivestire determinati requisiti (quelli del testimone), da un’altra parte tra interprete e parti non deve esservi contrasto di interesse: se mancano i requisiti, oppure se vi è contrasto di interesse, non vi è alcun dubbio che il notaio possa opporsi all’utilizzazione dell’interprete nominato e pretenderne la sostituzione. Ma affermare ciò non significa che il notaio ha competenza nella nomina dell’interprete, bensì che il notaio deve garantire l’esercizio regolare della funzione.

Analogamente in dottrina v. nel primo senso Santarcangelo, 245; invece Protettì, Di Zenzo, 259 condividono l’opinione contraria manifestata da A. Caltanissetta, senza peraltro particolari approfondimenti).

Tutte le parti debbono contribuire alla scelta dell’interprete (così Boero, 349; Santarcangelo, 246), considerato che la presenza dell’interprete consente, da un lato, a tutte le parti di colloquiare tra di loro e, da un altro lato, di evitare che l’atto nasca con imperfezioni tali da condizionarne in futuro l’applicazione completa. E l’esattezza della risposta la si coglie anche riflettendo che l’interprete è più strumento del notaio che delle parti, assumendo in tal modo anch’egli quel connotato di neutralità e di comportamento super partes che caratterizza l’attività del notaio.

I requisiti dell’interprete sono stabiliti dall’art. 55, 2° co., l. not., che dispone: «l’interprete deve avere i requisiti necessari per essere testimone e non può essere scelto fra i testimoni ed i fidefacenti».

Oltre questi requisiti, l’interprete deve in tutti i casi sapere sottoscrivere (ex art. 55, ult. co. e art. 56, ult. co.) e, nell’ipotesi che l’interprete debba essere nominato allorquando il notaio non conosca la

lingua straniera di una delle parti, essere anche in grado di effettuare la traduzione dell’atto in lingua straniera.

Bilancia Il problema del contrasto d’interesse è di recente pervenuto all’attenzione della Cassazione, la quale si è così espressa: «l’interesse che rende incompatibile l’esercizio della funzione di interprete del sordomuto che sia parte dell’atto rogato (ex artt. 50 e 56 l. not.) non è ogni tipo di interesse (non importa, peraltro, se coincidente o confliggente con quello della parte), ma esclusivamente quello che possa legittimamente configurarsi come “interesse giuridico”, attuale e diretto, in relazione all’oggetto del contratto» (così C., Sez. III, 8.5.2001, n. 6383, in RN, 2002, 416, con nota di Zarrillo, Interprete ed «interesse all’atto». La responsabilità disciplinare del notaio è esclusa dall’incolpevole affidamento nell’operato del giudice. Nel caso di specie, con un unico documento notarile, erano stati posti in essere due atti distinti di cessione di quota di bene in comunione: per la cessione della propria quota un soggetto era intervenuto regolarmente; lo stesso soggetto, poi, aveva presenziato, come interprete nominato dal giudice, per la cessione della quota di un proprio congiunto. Sia il tribunale che la corte d’appello avevano ritenuto violata la norma e pertanto colpevole di contravvenzione il notaio).

Interesse giuridico significa interesse giuridicamente rilevante, con esclusione pertanto di un interesse sentimentale, di affezione, ideale. Interesse attuale significa che deve trattarsi di interesse effettivamente sussistente, non di interesse futuro o potenziale o ipotetico. Interesse diretto va qualificato l’interesse preso in specifica considerazione dal negozio giuridico posto in essere e quindi con esclusione di interessi che non trovino la loro fonte regolamentata nel contratto posto in essere.

27. (Segue) Giuramento

L’art. 55, 2° co., ultima parte, l. not. dispone che l’interprete «deve prestare giuramento davanti al notaio di adempiere fedelmente il suo ufficio, e di ciò sarà fatta menzione in atto». A sua volta l’art. 56, 3° co., prima parte, l. not. dispone che l’interprete «deve prestare giuramento, giusta il primo capoverso dell’art. 55».

Bilancia La giurisprudenza della Cassazione ha dato un preciso significato al giuramento dell’interprete, chiarendo che l’attività di questo «si risolve in un’integrazione di quella propria del notaio, ed il giuramento che gli si impone di prestare è quello che la legge richiede a chi sia designato a ricoprire un pubblico ufficio, anche se temporaneamente» (così C., Sez. III, 20.12.1996, n. 11433, in RN, 1997, 850).

Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1995 (C. Cost., 5.5.1995, n. 149, in GC, 1995, I, 1740; cfr., sul problema, peraltro con riferimento all’atto notorio, Ieva, Atto notorio e illegittimità costituzionale dell’art. 251, secondo comma, cod. proc. civ., in Studi e materiali, V, 1, Milano, 1998, 45), la quale, con riferimento al giuramento previsto dal codice di procedura civile, aveva sottolineato che i valori cui informare la formula di giuramento fossero non i valori religiosi, ma quelli civili, non vi è ormai alcun dubbio che detta formula consiste nel giurare di adempiere fedelmente il compito di interprete.

È sorto invece un problema interpretativo attinente al raccordo tra la norma che prevede l’interprete per il minorato e la norma che lo prevede per la lingua straniera: quest’ultima (art. 55, 2° co., l. not.) dispone che del giuramento «sarà fatta menzione». La norma cioè prevede una duplice disposizione: a) l’interprete deve giurare davanti al notaio di adempiere fedelmente le proprie funzioni; b) della circostanza del giuramento dovrà essere fatta menzione. Pertanto si hanno: giuramento e menzione di esso.

Nel richiamare questa norma, l’art. 56, 3° co., l. not. per i minorati si limita a stabilire che «l’interprete deve prestare giuramento, giusta il primo capoverso dell’art. 55». Si è posto il problema se il richiamo

all’art. 55 contenuto in questa norma valga soltanto per l’obbligo di prestare giuramento, o valga anche per l’obbligo di fare menzione nell’atto della circostanza dell’avvenuto giuramento.

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Bilancia Mentre la giurisprudenza della Cassazione ritiene che anche per l’interprete del minorato non sia sufficiente il giuramento, ma ne occorra anche la menzione in atto (C., Sez. III, 20.12.1996, n. 11433, in RN, 1997, 851, che ritiene esaustiva la norma di richiamo all’art. 55 l. not. contenuta nell’art. 56, stessa legge; cfr. nello stesso senso C., 16.2.1977, n. 692, in RN, 1978, 203).

La dottrina è divisa sul problema (ritengono non necessaria la menzione Boero, 350; Milloni, Atto notarile stipulato da sordomuto analfabeta e mancata menzione del giuramento dell’interprete, in GC, 1978, I, 579. Ritengono necessaria la menzione Santarcangelo, 247; Di Fabio, Manuale, 238; Id., Sordo. Muto e sordomuto, in ED, Milano, 1990, 1301).

Appare difficile accettare l’opinione che la menzione del giuramento debba essere effettuata nell’ipotesi dell’interprete per la lingua straniera e non debba essere effettuata per l’interprete del minorato, quando quest’ultimo assolve una funzione forse più delicata rispetto al precedente, come dimostra la nomina in questo caso di competenza del presidente del tribunale.

28. (Segue) Menzione della sostanziale lettura dell’interprete

L’interprete del sordo ha il compito sostanziale di tradurre a gesti al minorato la lettura che dell’atto fa il notaio. Suo scopo essenziale è pertanto quello di sostituire la lettura del notaio che il sordo non è in grado di ascoltare.

In definitiva, considerato che la presenza dell’interprete si giustifica da sé e che questo soggetto ha un ruolo più complesso di quello racchiudibile nella semplice lettura dell’atto, sembra eccessivo pretendere che la funzione svolta dall’interprete sia minuziosamente menzionata in atto alla stessa stregua della lettura del notaio.

29. (Segue) Costituzione in atto

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30. Oggetto dell’atto. Norma

La legge notarile non prevede che l’interprete sia costituito in atto con tutte le indicazioni previste dall’art. 51, per cui si afferma che sia sufficiente farlo comparire con l’indicazione di nome, cognome, luogo e data di nascita (Boero, 350), ancorché qualche Autore affermi che non sia necessario indicare luogo e data di nascita (Santarcangelo, 247). Non manca peraltro nei formulari lo stesso trattamento riservato alla comparizione delle parti, ancorché sia pacifico che il notaio non debba effettuare gli accertamenti cui è tenuto per l’individuazione delle parti (sempre Boero, 350).

L’art. 51, n. 6, l. not. dispone che l’atto deve contenere «la designazione precisa delle cose che formano oggetto dell’atto, in modo da non potersi scambiare con altre» e prosegue prevedendo norme particolari per l’individuazione dei beni immobili.

Scopo della norma è quello di fornire dei beni oggetto dell’atto un’indicazione ineccepibile sul piano della determinatezza dell’oggetto stesso, sulla base della riflessione che l’oggetto determinato o determinabile è una delle condizioni per la validità del negozio posto in essere (ex artt. 1346 e 1418 c.c.).

Bilancia La Cassazione ha stabilito che «per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l’oggetto sia determinato, ovvero determinabile in base ad elementi contenuti nel relativo atto

scritto (pertanto documentali e non estrinseci all’atto), dovendosi ravvisare il requisito della determinatezza o della determinabilità nella inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente conducenti al fine e idonei a non lasciare margini di dubbio sull’identità del suddetto immobile» (C., Sez. II, 3.2.2000, n. 1165, in GI, 2001, 832; analogamente v. di recente C., Sez. III, 29.5.2007, n. 12506, in MGI, 2007).

O altra sentenza per la quale «la vendita di cose generiche, appartenenti ad un genus limitandum è ammissibile, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico sancito dall’art. 1367 c.c., anche rispetto agli immobili, relativamente al genus limitatum costituito dal complesso di un determinato fondo. Più in particolare, nella compravendita di un terreno che debba essere distaccato da una maggiore estensione, e indicato soltanto quantitativamente nella misura della sua superficie, sussiste il requisito della determinabilità dell’oggetto quando sia accertato che le parti avevano considerato la maggior estensione di proprietà del venditore come genus, essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto, nonché stabilito la misura della estensione da distaccare» (C., Sez. II, 29.3.2006, n. 7279, in Contr., 2006, 1117).

O altra sentenza ancora, per la quale «il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto di un contratto preliminare relativo a bene immobile non postula la necessaria indicazione dei numeri del catasto o delle mappe censuarie e di tre almeno dei suoi confini – che sono indicazioni rilevanti ai fini della trascrizione (artt. 2659, n. 4, e 2826 c.c.) – quando, pur in mancanza delle dette indicazioni, l’oggetto del contratto può essere determinato in base alle altre clausole del contratto medesimo» (in tal senso C., Sez. II, 22.6.1995, n. 7079, in MGI, 1995).

31. (Segue) Compito del notaio

La legge notarile, nella sua genericità, lascia intuire che debbano essere le parti a fornire al notaio ogni informazione che valga ad indicare in modo corretto e incontrovertibile l’oggetto del negozio formalizzato.

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Può peraltro accadere che il notaio sia posto nelle condizioni di dover accertare di persona l’identificazione di cose che cadono sotto la sua diretta percezione [e si pensi in tal caso agli inventari (cfr. Falzone, Alibrandi, Oggetto dell’atto notarile (designazione dell’), in Falzone, Alibrandi, Dizionario enciclopedico del notariato, III, Roma, 1977, 157; Di Fabio, Manuale, 186; Boero, 309; Santarcangelo, 153), oppure ad oggetti per la cui identificazione le parti hanno dato incarico al notaio (Di Fabio, Manuale, 186)]. Va peraltro precisato che, presumibilmente, il notaio può dichiarare di persona il contenuto identificativo di un bene allorquando questo sia un bene mobile, mentre se si tratta di bene immobile, valgono le norme contenute nell’art. 51, n. 6, cpv., l. not., il quale dispone: «quando l’atto riguarda beni immobili, questi saranno designati, per quanto sia possibile, con l’indicazione della loro natura, del Comune in cui si trovano, dei numeri catastali, delle mappe censuarie, dove esistono, e dei loro confini, in modo da accertare l’identità degli immobili stessi».

La dottrina è tutta d’accordo sulla conclusione che il notaio non sia responsabile della possibile erroneità o incompletezza dei dati fornitigli dalle parti (in tal senso Michelozzi, Il notariato secondo la nuova legge italiana, Roma, 1900, 223; Santarcangelo, 153; Boero, 309; Di Fabio, Manuale, 186).

Questa norma ha una duplice valenza: a) da una parte fornisce tutta una serie di dati da prendere in considerazione ai fini dell’identificazione dell’immobile (natura, comune, dati catastali, confini); b) da un’altra parte stabilisce che questi dati vanno valutati “ove sia possibile”.

Bilancia Va comunque chiarito che il dato catastale è soltanto uno degli elementi d’individuazione del bene immobile, e neppure il principale, giacché la giurisprudenza privilegia in proposito la volontà

negoziale delle parti, ed a tal fine l’indicazione dei confini (v. per tutte C., 13.10.1982, n. 5285, in AC, 1983, 262, per la quale «ai fini dell’individuazione dell’immobile oggetto di una compravendita, deve darsi la prevalenza all’indicazione dei confini, che in genere rispecchia l’effettiva volontà delle parti, rispetto a quella dei dati catastali, che sono dati tecnici preordinati all’assolvimento di funzioni tributarie, che spesso sfuggono alla diretta conoscenza dei contraenti e possono essere non aggiornati»; e ancora C., 12.4.1983, n. 2583, in MGI, 1983, per la quale «nei contratti di vendita immobiliare l’indicazione dei dati catastali non può essere ritenuta senz’altro espressione della volontà delle parti circa l’estensione ed i limiti del bene oggetto del negozio, ma anzi, nel caso di mancata coincidenza tra i confini indicati e i dati catastali riportati, deve essere data preminenza ai primi, a nulla rilevando la norma dell’art. 2826 codice civile, poiché essa non conferisce ai numeri del catasto e alle mappe censuarie un’efficacia sostanziale diversa da quella riconosciuta ai dati catastali in altre disposizioni del codice»; e C., 24.2.1984, n. 1310, in MGI, 1984, per cui «l’identificazione del fondo va fatta essenzialmente in base ai confini indicati nell’atto e, nel contrasto fra questi ed i dati catastali, devesi attribuire prevalenza ai primi, in difetto di una diversa volontaria valorizzazione del catasto». E più di recente C., Sez. II, 13.1.2006, n. 501, in Contr., 2006, 924, per la quale «in tema di compravendita immobiliare, qualora le parti abbiano fatto riferimento, ad ulteriore e conclusiva precisazione rispetto alle altre indicazioni, al tipo di frazionamento allegato all’atto di vendita, detto frazionamento, quale elemento testuale della volontà negoziale, costituisce il dato primario per l’esatta identificazione del bene trasferito, in quanto la sua specificità non lascia margini di incertezza nella determinazione dei relativi confini»; analogamente v. C., Sez. II, 24.2.2004, n. 3633, in Not, 2004, 239; C., Sez. II, 12.4.1995, n. 4193, in FI, 1996, I, 1387, con nota di De Lorenzo).

32. (Segue) Legge notarile e legge catastale

Nel nostro ordinamento si è verificato un processo inteso a rendere il notaio responsabile dell’indicazione necessaria dei dati catastali fin dalla fase del rogito; processo scaturente dalle esigenze fiscali di evitare che la contrattazione avente per oggetto beni immobili avvenisse eludendo gli obblighi fiscali, oppure dalle esigenze di considerare il momento dell’atto notarile fulcro di evidenziazione dei redditi assoggettabili a tassazione.

Sopravvenne la L. 10.10.1969, n. 679, scritta per le volture catastali, ma contenente norma di particolare rigore che finiva per interferire anche sull’attività formale del notaio: «i notai (…) non possono redigere atti pubblici od autenticare scritture private (…) se dalle parti non sia loro consegnato il certificato catastale (…)» (art. 4, L. n. 679/1969).

Con la riforma tributaria del 1972/1973, nell’intento semplificatorio che essa perseguiva, venne emanato, per la parte qui considerata, il D.P.R. 26.10.1972, n. 650 sulle imposte ipotecarie e catastali, il quale, modificando il t.u. 8.10.1931, n. 1572, non dispose più la necessaria acquisizione del certificato catastale prima della stipula dell’atto notarile (né che l’atto notarile dovesse indicare gli estremi del certificato stesso), ma soltanto che venissero descritti nell’atto gli estremi catastali desunti da certificati di data non anteriore a tre mesi rispetto alla data dell’atto, fermo restando che il notaio poteva stipulare l’atto anche senza certificato catastale in caso di urgenza (art. 4, 3° co., D.P.R. n. 650/1972). In tal caso la corrispondenza tra dati catastali risultanti dall’atto e dati catastali risultanti dalle note di voltura è stata interamente rinviata al momento dell’instaurazione del procedimento di voltura, prevedendo, in caso di contrasto non semplicemente dovuto ad errori marginali, l’annotazione con riserva da parte dell’ufficio catastale.

In definitiva attualmente esiste l’opportunità che il notaio (essendo egli chiamato alla compilazione delle note di voltura, a corredo della domanda di voltura, e dovendo il certificato catastale essere allegato alla domanda di voltura) si documenti prima dell’atto con apposito certificato di non oltre tre mesi, o quantomeno di certificato sicuro ancorché anteriore, allo scopo di indicare nell’atto gli estremi

catastali e ad evitare che detti estremi siano difformi da quelli che formeranno la base della procedura di voltura. Ma egli non è più obbligato, come accadeva in passato, pena sanzione amministrativa, a stipulare soltanto sulla base del certificato catastale.

33. (Segue) Legge notarile e tipo di frazionamento

Il frazionamento catastale è l’operazione che occorre porre in essere allorquando il trasferimento di diritti comporta il frazionamento di una o più particelle catastali. In tal caso occorre approntare il c.d. «tipo di frazionamento», cioè un documento, redatto da un tecnico, contenente la rappresentazione grafica e l’espressione numerica del modo in cui il frazionamento viene realizzato, in osservanza di particolari regole tecniche proprie della materia catastale. Scopo precipuo del tipo di frazionamento è quello di determinare le misure geometriche indispensabili per definire le nuove consistenze.

34. (Segue) Prescrizioni identificative contenute in altre leggi

Ai fini identificativi dell’oggetto occorre fare riferimento anche a norme estranee alla legge notarile, anch’esse peraltro coinvolte da problemi di forma.

Così è per l’art. 782 c.c. il quale pretende che la donazione di cose mobili debba specificare la cosa e il suo valore, o nel corpo dell’atto notarile, oppure con nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio. Si parla in questo caso di «specificazione estimativa», comprendente i due elementi dell’identificazione di ogni singolo bene e dell’attestazione del relativo valore, il tutto ritenuto elemento formale richiesto ad substantiam a pena di nullità.

Così anche è per gli artt. 769 ss. c.p.c., i quali nella stipula degli inventari richiedono, per i mobili la stima, per gli oggetti d’oro e d’argento la specificazione del peso e del marchio, per le monete l’indicazione della quantità e della specie.

35. Somme e quantità. Norma e ragioni giustificative

L’atto notarile deve contenere «l’indicazione, almeno per la prima volta, in lettere per disteso, delle date, delle somme e della quantità delle cose che formano oggetto dell’atto» (art. 51, n. 5, l. not.).

Scopo della norma è duplice: indicare con esattezza, per evitare che siano interpretati in modo erroneo elementi dell’atto che possano esprimersi sia in numeri che in cifre; impedire, poi, che dette indicazioni si prestino a contraffazioni. Anche in questo caso la portata della norma è duplice, in connessione con la duplice portata dell’atto notarile: dare certezza alla contrattazione dei privati; evitare che l’atto sia manipolato da estranei e che pertanto esso perda la fede privilegiata che è destinato ad esprimere anche a vantaggio dei terzi.

36. (Segue) Significato dell’espressione «almeno per la prima volta»

Libro La dottrina si è interrogata sul significato dell’espressione «almeno per la prima volta», accogliendo una duplice interpretazione: o quella, desumibile dal dato letterale del testo, che l’indicazione in lettere debba essere osservata rigorosamente la prima volta che sull’atto compare la possibile cifra interessata; oppure quella che l’indicazione in lettere possa avvenire anche in via successiva: in tal caso la norma sarebbe soddisfatta anche se una prima volta il numero compaia in cifre, purché nel corpo dell’atto, anche in via successiva, esso numero compaia in lettere (la prima soluzione è accolta dalla dottrina più comune: Di Fabio, Manuale, 184; Santarcangelo, 153; Protettì, Di Zenzo, 236; Anselmi, 113. La seconda soluzione è prospettata da Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, Milano, 1975, 1125, e fatta propria da Boero, 307).

Si ritiene preferibile la prima soluzione.

37. (Segue) Significato dell’espressione «date, somme, e quantità delle cose che formano oggetto dell’atto»

La norma, tenuto conto della sua dizione letterale e della sua ragione giustificativa, non può essere interpretata in senso estensivo, cioè nel senso che l’espressione in discorso sia applicabile a qualunque data, somma o quantità che compaia per la prima volta nel testo dell’atto, ma deve interpretarsi nel senso che essa sia applicabile alle date, alle somme e ai numeri che facciano parte del contenuto del negozio posto in essere.

38. (Segue) Applicazione della norma

Libro

Facendo applicazione degli stessi criteri, la dottrina esclude che la norma torni applicabile nei casi seguenti: dati catastali; numeri di registrazione o di formalità ipotecarie; numeri civici; numeri di articoli di legge; numeri di titoli e polizze; numeri di registrazione o di trascrizione; data dell’atto di provenienza; data di leggi e decreti citati nell’atto; somma pagata per la registrazione (cfr. in tal senso Di Fabio, Manuale, 183; Boero, 307).

La dottrina notarile accoglie la soluzione testé enunciata, evidentemente per evitare che l’atto sia eccessivamente appesantito con prescrizioni formali da interpretarsi estensivamente, e perviene alla conclusione che la norma trovi applicazione nei casi seguenti: data della procura oggetto di un atto di revoca; data dell’atto oggetto di un successivo atto di rettifica; prezzo della compravendita; importo del mutuo; importo di un credito ceduto; superficie di un immobile venduto; cose che formano oggetto di un inventario e la valutazione di esse (cfr. in tal senso Di Fabio, Manuale, 183; Boero, 306).

39. (Segue) Sanzioni

Se la norma viene violata l’atto è valido, ma il notaio incorre nella sanzione pecuniaria stabilita nella misura minima, sanzione solitamente riservata per le infrazioni di minore rilevanza in ordine alle formalità concernenti l’atto notarile (art. 137, 1° co., l. not.).

40. Chiusa dell’atto notarile. Concetto

Con l’espressione «chiusa» usa designarsi il protocollo finale dell’atto, cioè l’ultima parte, prima delle sottoscrizioni. Nella sostanza la chiusa intende identificare la parte obbligatoria dell’atto nella quale occorre indicare (menzionare) l’avvenuta lettura, con tutti i suoi aspetti; l’avvenuta scritturazione, con tutti i suoi aspetti.

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41. (Segue) Menzione della richiesta

Per la verità la prassi notarile usa inserire nella chiusa anche altri elementi, che peraltro non risultano prescritti come obbligatori, quali: a) la menzione della richiesta di ricevimento dell’atto; b) la menzione della redazione dell’atto; c) la menzione dell’interpellanza alle parti se l’atto è conforme alla loro volontà; d) la menzione della sottoscrizione. Nessuna di queste menzioni è prescritta come obbligatoria dalla legge notarile e pertanto la prassi di inserirle in atto è giustificata soltanto dalla consuetudine e non da un obbligo di legge, come la dottrina ha chiarito (cfr. Boero, 312 ss.; Santarcangelo, 158 ss.; Di Fabio, Manuale, 193 ss.).

Il notaio non potrebbe agire senza averne ricevuto incarico dal privato o da soggetto pubblico (giudice o pubblica amministrazione) e pertanto è insito nella prestazione notarile che il notaio sia stato sollecitato da altri nella sua opera.

Ma ciò non significa che il notaio debba necessariamente menzionare la circostanza della richiesta di parte. Se questa attiene alla struttura stessa della prestazione d’opera notarile, appare ultroneo pretenderne la menzione espressa nell’atto, tanto più che questa menzione non è prevista dalla legge notarile.

Si ritiene, pertanto, che la menzione costituisca un consiglio, non un obbligo, tanto più che non riesce a comprendersene l’utilità concreta.

42. (Segue) Menzione del ricevimento dell’atto

L’art. 47 l. not. stabilisce che «Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell'atto». La norma in questo modo sintetizza la funzione del notaio riconoscendolo come dominus dell’atto notarile ed appare più norma di principio, intesa ad individuare l’essenza della funzione notarile, che norma di carattere prescrittivo attinente al documento notarile. La norma, cioè, traccia la funzione notarile ed affida al notaio il compito di autore responsabile del documento posto in essere, senza che da essa possano desumersi norme destinate a tradursi in menzioni da apporre sull’atto.

Con essa norma nella sostanza si fa divieto al notaio di affidare completamente ad altri il compito di redazione dell’atto, cioè il compito di indagare la volontà delle parti e di tradurla in iscritto, convertendola in atto pubblico.

43. (Segue) Richiesta alle parti se l’atto è conforme alla loro volontà

Nella prassi usa inserirsi nell’atto la menzione che le parti, interpellate dal notaio, hanno approvato il contenuto dell’atto.

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Come cioè la legge notarile non prescrive la menzione dell’indagine sulla volontà delle parti prevista dall’art. 47 l. not., analogamente essa non prescrive il momento terminale di questa indagine, che si sostanzia nella perfetta corrispondenza del rogito alla palesata volontà negoziale. La corrispondenza tra i due momenti che rappresentano l’elemento qualificativo dell’attività di libera professione posta in essere, la si ricava anche dallo stesso art. 67 reg. not. che menziona i due momenti uno di seguito all’altro; al notaio compete: a) d’indagare la volontà delle parti; b) di chiedere alle parti se l’atto sia conforme alla loro volontà.

Ci si è chiesti se questa menzione sia obbligatoria e lo si è negato dalla comune dottrina (Bartolini, Manuale del notaio, Bologna, 1957, 103; Gazzilli, Manuale del notaio e per la preparazione agli esami alla carriera del notariato, Roma, 1950, 158; Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, 1975, 1130; Lenzi, Il notaio e l’atto notarile, Pisa, 1950, 123; Santarcangelo, 160; Boero, 313; Moscatello, 267; Morello, Ferrari, Sorgato, L’atto notarile, Milano, 1977, 469). Si condivide l’opinione dottrinale, per i motivi seguenti.

44. (Segue) Indicazione dei fogli di cui consta l’atto e delle pagine scritte

L’art. 51, n. 9, l. not. prescrive che nell’atto va fatta la «indicazione dei fogli di cui consta e delle pagine scritte».

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Foglio significa quattro facciate e vanno indicati tutti i fogli utilizzati per l’atto, ancorché il foglio non sia utilizzato per intero: pertanto l’utilizzazione di un foglio per intero e di un secondo foglio soltanto con due facciate sarà indicato come «due fogli»; la dottrina afferma anche che non va menzionato il foglio se esso contenga esclusivamente le sottoscrizioni finali, ancorché non ne dia formale giustificazione.

La norma viene correntemente così interpretata (in tal senso Di Fabio, Manuale, 196-197; Santarcangelo, 179; Boero, 318; Falzone, Alibrandi, Menzione dei fogli occupati, in Falzone, Alibrandi, Dizionario enciclopedico del notariato, III, Roma, 1977, 39).

Peraltro, se si tiene conto del fatto che l’indicazione del numero dei fogli utilizzati concerne l’intero atto e che questo si concretizza tenendo conto anche delle sottoscrizioni, non sembra che vi sia motivo per evitare di calcolare anche il foglio concernente le sottoscrizioni stesse, tanto più che il notaio, quando nella scritturazione sia giunto all’ultima pagina del foglio, appare costretto a rilevare che le sottoscrizioni andranno apposte utilizzando un ulteriore foglio, che pertanto potrà essere regolarmente conteggiato.

Vanno poi indicate le «pagine scritte». Si discute se debba essere indicata anche la pagina nella quale compaiono le sole sottoscrizioni. Analogamente a quanto affermato per il foglio, vi è sufficiente accordo in dottrina nell’affermare che detta pagina non vada indicata. Si ritiene che valgano per la pagina le stesse riflessioni che potrebbero giustificare un sistema di conteggio esteso anche a detta pagina. Va affermato, con la comune dottrina, che debba essere conteggiata anche la pagina contenente la chiusa.

Usa anche dirsi, dalla comune dottrina, che non debba essere indicata la pagina nella quale compaiano, dopo la lettura e la sottoscrizione, postille. Ma la dottrina più attenta afferma correttamente che le postille sono una parte di contenuto dell’atto, che viene ad essere modificato dalla postilla; e che pertanto non vi è motivo per non includere nel computo la pagina nella quale sono riportate le sole postille, ancorché successivamente alla lettura e alla sottoscrizione.

Infine si afferma correntemente che non sia necessario indicare il numero delle righe che compongono la pagina scritta, anche se questa espressione venga talvolta utilizzata per indicare le righe scritte dell’ultima pagina, specie nell’ipotesi che lo scritto non comprenda l’intera pagina.

45. (Segue) Ora finale

L’art. 51, n. 11, l. not. menziona «l’ora finale», cioè l’ora apposta alla sottoscrizione, vale a dire l’ora che serve ad identificare nel tempo il momento in cui è stata apposta la sottoscrizione.

Detta norma stabilisce due principi: obbligatorietà dell’indicazione dell’ora per gli atti di ultima volontà; non obbligatorietà dell’indicazione per gli atti tra vivi, salva la volontà delle parti o la determinazione del notaio.

La legge non stabilisce le modalità di indicazione dell’ora, per cui si ritiene che siano applicabili le regole del luogo nel quale nasce l’atto. Né si pretendono regole rigide come quelle della data, per cui appare possibile che l’ora sia segnata per esteso in lettere dell’alfabeto, oppure con numeri.

Va precisato che il notaio non può opporsi alla richiesta delle parti, come anche non si pretende che la richiesta provenga da tutte le parti di comune accordo.

Ma neppure le parti possono opporsi all’indicazione dell’ora che nasce da una valutazione di opportunità fatta dal notaio. Ma quando obiettivamente nasce tale opportunità? In altre parole, per quali atti tra vivi l’indicazione dell’ora si profila come opportuna? La dottrina risponde evidenziando che si deve trattare di atti per la redazione dei quali l’indicazione dell’ora ha una determinata finalità ben precisa: si allude agli atti che documentano operazioni effettuate da soggetti appositamente convocati per una determinata data ed ora (assemblee societarie, inventari, vendite all’incanto di beni di persone incapaci, vendite di beni pignorati, operazioni divisionali, aste pubbliche che il notaio sia chiamato a documentare).

46. (Segue) Ora nell’atto per effetto del codice deontologico

Il Consiglio Nazionale del Notariato, nella seduta del 15.12.2006, ha approvato una modifica al codice deontologico, modifica che ha effetto dall’1.1.2007, consistente nell’introduzione di un nuovo articolo (art. 48 bis) così formulato: «Gli atti pubblici e le autenticazioni di scritture private da conservare a raccolta devono contenere l’indicazione dell’ora di sottoscrizione».

Scopo della nuova norma prevista dal codice deontologico è quella di garantire al consiglio notarile un incisivo controllo «con riguardo alla personalità, compiutezza e qualità della prestazione nell’interesse del cittadino, anche in conseguenza degli aumentati adempimenti e formalità normativamente previsti nell’attività del notaio» (così la relazione illustrativa della nuova norma).

Il Consiglio Nazionale del Notariato, con apposita Circ. del 18.1.2007, ha precisato che l’ora da indicare è quella nella quale le parti appongono sull’atto la propria firma, mentre nelle scritture private da autenticare con sottoscrizioni non contestuali, l’ora va apposta per ognuna delle sottoscrizioni apposte alla scrittura.

47. Lettura. Lettura dell’atto e menzione della lettura

La legge notarile distingue nettamente la lettura dell’atto, che costituisce un obbligo del notaio sanzionato con la nullità dell’atto, dalla menzione di aver dato lettura dell’atto, che rappresenta anch’esso un obbligo del notaio, ma la cui violazione viene punita non con la nullità dell’atto, bensì con la sanzione disciplinare pecuniaria, in misura leggermente più grave rispetto alla sanzione pecuniaria stabilita per le minori violazioni formali della legge notarile.

Pur cogliendo la distinzione netta tra obbligo di lettura (a pena di nullità) e obbligo di menzione dell’avvenuta lettura (nessuna nullità, ma soltanto sanzione pecuniaria disciplinare), non vi è alcun dubbio che, se l’art. 51, n. 8, stabilisce che il notaio deve menzionare di aver effettuato la lettura, questa deve essere effettivamente avvenuta. L’apparente incertezza derivante dal mancato collegamento tra l’art. 51, n. 8, e l’art. 58, n. 6, l. not. è stata superata con l’art. 67 reg. not. del 1914, il quale ha disposto che compete al notaio di chiedere alle parti «dopo di aver dato ad esse lettura dell’atto, se sia conforme alla loro volontà».

La norma regolamentare indirettamente evidenzia che scopo primario della lettura è quello di informare le parti sul documento redatto dal notaio, al fine di porle sull’avviso se il negozio formulato dal notaio rispecchi fedelmente il loro intento negoziale e, ad un tempo, quello di garantire il notaio di avere o meno esattamente identificato la volontà negoziale programmata dai soggetti che si sono affidati alle sue cure.

48. (Segue) Finalità della lettura

La legge notarile recita «lettura alle parti» e non ad altri (ivi incluso, fra gli altri, il notaio); pertanto, se scopo della lettura, come si desume agevolmente dall’art. 67 reg. not., è quello di conoscere se la volontà delle parti sia stata in modo preciso recepita nell’atto, la lettura deve ritenersi proiettata interamente al raggiungimento di questo scopo e quindi soltanto a favore delle parti.

Anche se non può negarsi che il risultato di appurare se sia stato rispettato il volere delle parti interessa anche il notaio, che in tal modo avrebbe la possibilità di valutare se la discordanza dell’atto dal volere dei soggetti che hanno inteso negoziare sia dovuto a sua superficialità, oppure ad incertezza espressiva di chi ha descritto al notaio l’intento negoziale di tutti i contraenti.

49. (Segue) Obbligo della lettura

La legge notarile prevede la lettura dell’atto pubblico come obbligo del notaio, non come una sua facoltà. Pertanto né le parti, né il notaio possono rinunciare alla lettura, pena la nullità dell’atto privo di lettura.

Insomma, la lettura è un elemento talmente importante nell’architettura dell’atto notarile, che essa non può mai mancare. Infatti le due colonne portanti dell’atto nella sostanza sono: da una parte la dichiarazione del programma negoziale esternata dalle parti al notaio, generalmente in modo informale; da un’altra parte la traduzione di questo programma in documento redatto interamente dal notaio. La lettura rappresenta una sorta di architrave tra le due colonne, che dà certezza alla simmetria di contenuto che deve esistere tra la dichiarazione delle parti e l’opera del notaio.

50. (Segue) Modalità della lettura

In primo luogo va chiarito che la lettura ha per oggetto l’atto scritto, già formato e pronto per la firma. La lettura non viene effettuata se ci si limita, ad esempio, a leggere una bozza di atto, una sorta di canovaccio che, dopo la lettura, debba essere riscritto di sana pianta.

Bilancia La lettura, poi, va effettuata in modo chiaro; quindi, come la stessa giurisprudenza ha chiarito (cfr. C. pen., 15.11.1971, in RFI, 1972, n. 290, n. 124-125), essa non può essere nebulosa o effettuata in modo poco chiaro (ad esempio con eccessiva velocità o troncando le parole), perché in tal modo la lettura verrebbe meno alla sua funzione di rendere edotte le parti dell’effettivo contenuto dello scritto.

E sembra anche vietata la lettura non integrale, cioè limitata ad una parte dello scritto, anche sa fatta allo scopo di segnalare i punti salienti del documento.

Del resto l’attuale codice deontologico dei notai stabilisce che il notaio deve dare «lettura a voce chiara» (art. 37) ed altresì che il notaio è tenuto a «dare alle parti i chiarimenti richiesti o ritenuti utili a integrazione della lettura dell’atto, per garantire ad esse il riscontro con le decisioni assunte e la consapevolezza del valore giuridicamente rilevante dell’atto, con speciale riguardo ad obblighi e garanzie particolari e a clausole di esonero o limitative di responsabilità, nonché agli adempimenti che possono derivare dall’atto, valendosi per questo ultimo aspetto anche di separata documentazione illustrativa» (art. 42).

51. (Segue) Lettura affidata ad altro soggetto

La lettura, in linea di principio, va effettuata direttamente dal notaio, perché apparirebbe strano che un momento così pregnante dell’atto, nel quale deve accertarsi se il notaio, dominus del documento pubblico, abbia correttamente trasfuso in esso l’intento negoziale delle parti, venisse affidato ad altri.

Malgrado ciò, la legge notarile prevede che il notaio possa affidare a terzi la lettura dell’atto, a patto che si tratti di atto scritto dal notaio. La formula è la seguente: «il notaio non potrà commettere ad altri la lettura dell’atto che non sia stato scritto da lui, salvo ciò che dispone il codice civile in ordine ai testamenti» (art. 51, n. 8, secondo periodo, l. not.).

Nel caso della lettura, la legge pretende che l’atto sia «scritto» dal notaio. Sul significato di questa espressione (che significa «scritto»?) si discute. «Scritto da lui» significa «scritto a mano dal notaio», oppure significa anche «scritto a macchina dal notaio o con utilizzazione di uno strumento elettronico»?

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Il problema potrebbe essere risolto sulla base delle seguenti riflessioni di carattere formale: la legge notarile parla di «scritto», espressione che in origine comprendeva soltanto l’ipotesi di scritturazione a mano. Ora, dopo la L. 14.4.1957, n. 251 e, in modo più incisivo, dopo l’art. 12, L. 4.1.1968, n. 15, e successivamente il D.P.R. 28.12.2000, n. 445, recante norme sulla documentazione amministrativa, gli atti notarili «sono redatti, anche promiscuamente, con qualunque mezzo idoneo, atto a garantirne la conservazione nel tempo», espressione generica che coinvolge qualunque sistema di scritturazione: a stampa, a mano, a macchina. In questo modo l’atto può essere scritto con lo strumento della macchina e pertanto è da ritenersi scritto dal notaio, quando il notaio, con la scrittura a mano o a macchina, abbia provveduto a redigerlo.

In dottrina alcuni Autori propendono per l’obbligo di scritturazione a mano (Falzone, Alibrandi, Lettura dell’atto notarile e degli allegati, in Falzone, Alibrandi, Dizionario enciclopedico del notariato, II, Roma, 1974, 872; Santarcangelo, 164; Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, III, Milano, 1977, 1129; Gallo Orsi, Girino, Notariato e archivi notarili, in NN.D.I., XI, Torino, 1965, 372), mentre altri propendono per la possibilità di scritturazione a macchina (Moscatello, 1971, 70; Di Fabio, Manuale, 193; Boero, 314).

Il problema che si pone adesso è il seguente: la norma del 1913 va letta nel limitato cerchio interpretativo che poteva aversi al momento della sua entrata in vigore, oppure, dopo lo sviluppo della tecnica di scrittura, che ha completamente ribaltato la scrittura a mano sostituendola, come misura più comune, con la scrittura a macchina o con l’utilizzazione di strumentazione elettronica, detta norma va letta diversamente, senza peraltro tradirne lo spirito?

Si propende per questa seconda soluzione, ad evitare che detta norma, letta all’antica, finisca per restare lettera morta o addirittura per essere solitamente disattesa o disapplicata.

Si ritiene, pertanto, che lo scopo della norma sia assolto allorquando il notaio abbia utilizzato strumentazione elettronica e, prima di affidare ad altri la lettura finale, abbia egli personalmente proceduto a controllare il testo preparato.

Certamente la norma sulla scritturazione ad opera del notaio è realizzata quando il notaio abbia scritto tutto l’atto di suo pugno; ma è altrettanto vero che non può qualificarsi come scritturazione ad opera di terzi l’utilizzazione di uno strumento dattilografico oppure l’utilizzazione di uno strumento elettronico: trattasi in entrambi i casi di strumenti ciechi, stupidi, che, se utilizzati direttamente dal notaio, portano alla conclusione che l’atto sia stato scritto dal notaio.

Si comprende come, in tal modo, il legislatore abbia dato più pregnanza al fatto materiale di non avere effettuato la lettura, mentre abbia dato minor rilievo a prescrizioni formali attinenti al modo come la lettura è stata effettuata o menzionata in atto, a patto beninteso che la lettura si sia verificata.

52. (Segue) Lettura degli allegati

L’art. 51, n. 8, ultimo periodo, l. not. dispone che «la lettura delle scritture e dei titoli inserti può essere omessa per espressa volontà delle parti, purché sappiano leggere e scrivere. Di tale volontà si farà menzione nell’atto».

Il motivo per cui l’allegato è trattato, sotto il profilo della lettura, in modo meno rigido rispetto al testo originale, lo si deve al fatto che l’allegato rappresenta uno strumento di sussidio dell’atto originale, caratterizzato per di più da documenti di provenienza esterna.

Si propende per la delegabilità della lettura anche se l’allegato non sia stato scritto dal notaio, anche perché una norma concernente il documento originale non può automaticamente, nel silenzio della legge, essere applicata anche agli allegati.

Può accadere che l’allegato si sostanzi in un documento di non agevole lettura (ad es. planimetria, disegno), nel qual caso si pone il problema se la lettura vada fatta (rispondendosi affermativamente), e come essa vada fatta (rispondendosi che va fatta o illustrandone il contenuto alle parti, oppure consentendo a queste ultime una lettura personale del documento), e comunque con l’ausilio del notaio allo scopo di consentire che del documento esse abbiano adeguata contezza.

53. Postille. Concetto e funzione della postilla

a) Nozione. La postilla è uno strumento tecnico-formale utilizzato dal legislatore per consentire che un atto pubblico, una volta scritto integralmente, possa essere ulteriormente modificato alla luce di ripensamenti delle parti verificatisi nel momento in cui esse hanno già sottoscritto l’atto o si accingono a farlo, cioè nel momento conclusivo di un atto pubblico.

b) Natura. La postilla non è un atto compiuto, ma una clausola di completamento dell’atto notarile ed opera necessariamente quando l’atto notarile cui essa accede non si è ancora completato.

c) Funzione. Le postille ubbidiscono allo scopo di evitare che il testo, già in fase di avanzata scritturazione, possa essere modificato, con cancellature o aggiunte, senza il rispetto delle regole formali che ne hanno governato la scritturazione e, soprattutto, allo scopo di evitare manipolazioni del testo successive alla firma del notaio. Lo scopo viene ottenuto imponendo la seguente triplice regola formale, riassuntiva dell’intera disciplina:

1) le modifiche del testo già scritto non debbono essere fatte in modo da celare la precedente stesura, che deve rimanere chiara al lettore soprattutto se questi intenda ricostruire le vicende che hanno suggerito le modifiche stesse;

2) le modifiche debbono risultare in calce all’atto, in modo chiaro e con un congruo collegamento con il testo dell’atto, allo scopo di evitare interpretazioni incerte;

3) le modifiche debbono essere lette alle parti e da queste approvate, analogamente a tutta la restante parte dell’atto.

54. (Segue) Collegamento tra testo dell’atto e postilla

Si è detto che la postilla serve per variare il testo dell’atto scritto in precedenza. La variazione può riguardare sia aspetti di forma che aspetti di sostanza ed in entrambi i casi può essere richiesta dalle parti oppure dal notaio.

Non va peraltro dimenticato che se scopo della postilla è quello di introdurre modifiche al testo principale, la postilla non può essere letta a sé stante, ma in collegamento con il testo: di qui l’esigenza che essa sia raccordata bene con il testo, allo scopo di indicare chiaramente al lettore in quale parte del testo essa vada inserita e come vada letto il testo postillato.

55. (Segue) Tipologia della postilla

Il 2° co. dell’art. 53 l. not. stabilisce: «occorrendo di togliere, variare o aggiungere qualche parola» e fissa i comportamenti documentali del notaio. In questo modo le postille possono essere così distinte:

a) postille di cancellazione;

b) postille di variazione;

c) postille di aggiunte.

Si può solo discutere se possa parlarsi di postilla di cancellazione, cioè se l’attività di cancellazione pretenda in ogni caso una postilla; ciò sul rilievo formale desumibile dall’art. 53, n. 2, l. not., che usa l’espressione «portare le variazioni od aggiunte in fine dell’atto per postilla», mentre non usa analoga espressione per le cancellazioni. Può insomma nascere il dubbio che, mentre la cancellazione non richieda postilla, questa sia richiesta per le sole variazioni e aggiunte.

Ma siffatta interpretazione sarebbe incongrua, alla luce dell’art. 69 reg. not. del 1914, il quale dispone che «ove occorra di cancellare qualche parola in un atto, il notaro deve con apposita postilla far menzione del numero delle parole cancellate, e trascrivere la prima e l’ultima di esse».

Bilancia L’opinione è stata autorevolmente accettata dalla Cassazione, la quale ha dichiarato che «è arbitrario sostenere che il plurale «postille» debba riferirsi solo alle variazioni e alle aggiunte, non anche alle cancellature»; e che «unico è il criterio adottato dalla legge e non è consentito introdurre distinzioni, a pena di scuoterlo nella sua portata e finalità» (C., 26.10.1960, n. 2905, in RN, 1961, 91; più di recente v. C., Sez. II, 2.7.2004, n. 12128, in RN, 2004, 551 la quale parla di «cancellazioni attuate con le postille»).

56. (Segue) Identificazione della postilla

L’art. 53, n. 3, l. not. stabilisce che occorre far menzione tanto del numero delle parole cancellate, quanto del numero delle postille; poiché peraltro l’art. 69 reg. not. prescrive che sia fatta per postilla menzione del numero delle parole cancellate, sorge il dubbio come vada identificata la postilla, ai fini del suo conteggio; e ciò soprattutto con riferimento alla postilla di cancellazione: è essa unica, qualunque sia il numero delle parole cancellate e in qualunque parte dell’atto le parole cancellate si trovino, oppure esistono tante postille quante siano le parole; o, ancora, occorre raggruppare le parole in modo logico per affermare che una parola sola isolata richieda una postilla, mentre più parole insieme, concatenate l’una con l’altra costituiscano unica postilla di cancellazione?

La legge tace in proposito, limitandosi a prevedere una possibile pluralità di postille (ex art. 53, n. 3). Per risolvere il problema occorre, pertanto, sulla base della funzione della postilla, richiamarsi a considerazioni di ordine logico. Per sostenere se la postilla sia una o plurima, occorre riandare al raccordo di essa con il testo dell’atto: poiché ogni postilla ha un punto dell’atto ove essa è destinata ad operare, è intuibile che ad ogni punto dell’atto distinto dagli altri debba ritenersi rapportabile una postilla; le quali, pertanto, debbono essere ritenute tante quante sono le parti dell’atto destinate alla correzione (cancellatura o altro).

Concretizzando questo criterio si hanno le seguenti conseguenze:

– ogni parola staccata dalle altre che pretenda una correzione richiede contemporaneamente una postilla;

– allorquando le parole siano più, cioè costituiscano una frase compiuta, e pertanto siano scritte in unico contesto documentale, cioè successivamente l’una all’altra, ogni frase (o gruppo di parole consecutive che abbiano un senso logico unitario) va identificata con una postilla;

– ancorché una stessa parola contenuta in più parti dello scritto debba essere cancellata o sostituita più volte, le postille debbono ritenersi tante quante volte la parola debba essere corretta.

Bilancia Va subito detto che dette conclusioni sono state espressamente accolte dalla giurisprudenza e sostanzialmente fatte proprie dalla dottrina (per la giurisprudenza v. C., 26.10.1960, n. 2905, in RN, 1961, 91, la quale ha enunciato l’esigenza che «a più cancellature corrispondano più postille, e più precisamente tante postille quante sono le parole o le frasi cancellate»; con la conseguenza che «qualora vengano cancellate più parole consecutive, s’intende come non occorra una postilla per ogni singola parola, ma sia sufficiente un’unica postilla che ripeta la prima e l’ultima parola della proposizione o frase cancellata»; e infine che «contrasta con la lettera e con la ratio della legge il ritenere sufficiente una sola postilla per più parole o frasi, distinte le une dalle altre e contenute, nel corpo dell’atto, in punti diversi»).

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57. (Segue) Modalità di formulazione della postilla

Per la dottrina, invece, v. Santarcangelo, 226 ss.; mostra di condividere questa conclusione Ripa, Un caso in tema di postille, in RN, 1972, 1303.

Tutte le postille, siano esse di pura cancellazione, siano diverse, si compongono di una triplice operazione:

a) una prima operazione attiene al testo da variare;

b) una seconda operazione attiene alla formulazione di una frase che illustri che tipo di postilla sia stata realizzata (se di cancellazione, oppure di variazione o di aggiunta);

c) una terza operazione attiene infine alle menzioni concernenti le parole cancellate, il numero delle postille e la lettura che si sia dovuta ripetere dopo la lettura dell’atto.

i) Postilla di cancellazione. L’operazione di cancellazione va realizzata circoscrivendo la parola o le frasi da eliminare entro segni che, di solito, nella prassi notarile, si realizzano nel sottolineare entro due linee parallele orizzontali le parole interessate, intercalando la prima e l’ultima parola con linee verticali (i c.d. «cancelli», cioè segni dell’alfabeto che valgano a circoscrivere fisicamente le parti da cancellare). Tuttavia si ritiene che si possa effettuare la cancellazione anche con una sola linea orizzontale sovrapposta alle parole o alle frasi da cancellare, anch’essa intercalata con due linee verticali, e contemporaneamente si afferma che sia possibile racchiudere la parte interessata in un rettangolo che la circoscriva esattamente.

Per lo stesso motivo la legge non dice che le postille debbano essere indicate con un numero o con un segno nel corpo della scrittura originale; ma è prassi che ciò avvenga, allo scopo, plausibile, di consentire un coordinamento agevole tra postilla e testo precedente.

La postilla di cancellazione va scritta, come è d’uso (anche qui nel silenzio della legge, che rende l’uso plausibile) riportando, nel punto ove essa, come si vedrà più avanti, va apposta, il segno indicato nel testo (numero, lettera, asterisco) ed evidenziando che si tratta di postilla di cancellazione.

Così è per la prassi di riprodurre in postilla tutte le parole cancellate, che dà certezza documentale al tutto; così è per il richiamo della parte di testo interessata, anziché con l’utilizzazione di numero o lettera, con l’indicazione della pagina, del capoverso, del rigo interessato dalla cancellatura.

ii) Postilla di aggiunte. La postilla di aggiunte impone che siano chiaramente indicate, nella postilla, le parole che debbono aggiungersi al testo dell’atto. Nella prassi si usa porre queste parole tra virgolette, affinché non vi siano dubbi sulle parole da aggiungere; peraltro si usa altresì anteporre alle parole l’espressione «adde», oppure l’altra «aggiungi», sempre, ripetesi, allo scopo di chiarire il senso della postilla. Va da sé che occorre raccordare le parole aggiunge con il punto del testo ove esse vanno apposte e su ciò ripetesi quanto detto in materia più sopra.

iii) Postilla di variazione. La postilla di variazione è ad un tempo postilla di cancellazione e postilla di aggiunte, perché essa consiste nel cancellare determinate parole del testo e nel sostituirle con altre. È pertanto da ritenersi che per essa valga ad un tempo quanto detto per la postilla di cancellazione e per la postilla di aggiunte.

58. (Segue) Luogo dell’atto in cui va apposta la postilla

La legge notarile si limita a prescrivere che la postilla va inserita «in fine dell’atto». L’espressione è molto ampia e probabilmente intende significare quello che avviene nella realtà: la postilla presuppone l’atto già scritto in precedenza, per cui l’esigenza di apporre all’atto una postilla sorge nella fase finale dell’atto stesso, quasi sempre dopo che il notaio ha iniziato o finito la lettura dell’atto alle parti. Come va interpretata pertanto la norma?

Trattasi insomma di un falso problema, perché l’espressione «in fine dell’atto» non intendeva costituire o meno un collegamento fisico tra contenuto negoziale dell’atto e postilla, ma soltanto evidenziare che la postilla, per le sue finalità, non si sarebbe potuta inserire in atto se non alla fine – o quasi – di tutte le operazioni documentali. Ciò era del resto comprovato anche dalla norma per la quale la postilla poteva essere inserita dopo la sottoscrizione di tutti i comparenti.

59. (Segue) Numero delle postille e delle parole cancellate

L’art. 53, n. 3, l. not. prescrive che occorra menzionare il «numero tanto delle parole cancellate, quanto delle postille». La legge parte dal presupposto che le postille possano essere più d’una (di qui la regola che occorra l’indicazione del numero complessivo delle postille) e parte dall’ulteriore presupposto che le parole cancellate possano essere anch’esse più d’una: di qui la omologa regola che occorra contare ed indicare quante parole (complessivamente) siano state cancellate. Nessuno dubita che la norma vada osservata nel modo seguente: occorre sommare tutte le parole cancellate ed occorre sommare tutte le postille effettuate; entrambe le somme debbono essere rigorosamente riportate per menzione prima delle sottoscrizioni.

Subentra peraltro l’art. 69 reg. not., il quale stabilisce che se debbono essere cancellate parole di un atto «il notaro deve con apposita postilla far menzione del numero delle parole cancellate, e trascrivere la prima e l’ultima di esse». Questa norma rispetto all’art. 53 l. not. prevede una norma nuova: l’obbligo di indicare la prima e l’ultima delle parole cancellate; nessuno pone in dubbio la portata innovativa della norma sotto questo profilo.

Appare peraltro consentito ritenere che l’art. 69 reg. not. nella sostanza non aggiunga una norma nuova a quella stabilita dall’art. 53 l. not., a parte la necessaria indicazione della prima e dell’ultima parola per ogni postilla. Le due norme potrebbero pertanto essere interpretate nel senso che il notaio è libero di scegliere l’una o l’altra delle seguenti soluzioni: a) o l’indicazione del numero totale delle parole cancellate; b) oppure l’indicazione del numero parziale di esse, postilla per postilla. E fermo in entrambi i casi l’obbligo di indicare per ogni postilla la prima e l’ultima parola cancellata.

60. (Segue) Scritturazione, lettura e approvazione delle postille

Libro

Quanto alla lettura delle postille, la legge notarile distingue il caso che le postille siano scritte prima della lettura dell’intero documento dal caso in cui le postille siano scritte dopo la lettura del documento: nel primo caso esse vanno lette unitamente al documento, nel secondo caso esse vanno lette separatamente.

La dottrina appare concorde nell’affermare che il numero delle parole cancellate e delle postille possa essere indicato in cifre, anziché in lettere (v. per la dottrina Boero, 334; Ripa, 1305, nt. 16; Santarcangelo, 229; per la giurisprudenza v. T. Milano, 5.4.1963, in RN, 1965, 939).

La legge notarile (art. 53, n. 3) prescrive altresì che sia fatta menzione, oltre che del numero delle postille e delle parole cancellate, anche della lettura della postilla, se questa sia stata fatta dopo la lettura dell’intero documento. Va in proposito sottolineato che la menzione della lettura della postilla è in sintonia con la menzione della lettura dell’intero atto, sempre sul presupposto che la postilla costituisca una parte del documento formato dal notaio.

La legge notarile disciplina anche la duplice ipotesi che la postilla sia inserita prima della sottoscrizione delle parti, oppure che sia inserita dopo detta sottoscrizione. Anche qui l’esigenza è quella di far sì che le parti sottoscrivano tutte le postille: nel primo caso unitamente alla sottoscrizione del documento; nel secondo caso separatamente, ad evitare che la postilla resti senza sottoscrizione.

61. (Segue) Sanzioni

La violazione dell’art. 53 l. not., che disciplina tutte le modalità redazionali delle postille, è sanzionata con la pena pecuniaria disciplinare meno grave (art. 137, 1° co., l. not.).

Libro

62. Menzioni. Concetto

Tuttavia, ancorché la violazione delle norme sulle postille non sia stata espressamente sanzionata nell’art. 58 l. not. fra le cause di nullità dell’atto notarile, occorre ricordare che «le cancellature, aggiunte e variazioni fatte e non approvate nei modi sopra stabiliti si reputano non avvenute» (art. 53, ult. co., l. not.). Il che significa che la postilla effettuata senza tener conto delle disposizioni di legge è come se non esistesse, con la conseguenza che l’atto riprende il contenuto che esso aveva prima dell’apposizione della postilla. In concreto è come se la postilla irregolare sia stata considerata nulla, ed infatti in tal caso parla di «nullità» una parte della dottrina (Santarcangelo, 232; Lenzi, 88; Girino, Postilla, in NN.D.I., XIII, Torino, 1966, 428).

La menzione notarile non viene definita dal legislatore, il quale si limita a prevederla come obbligatoria in determinate formalità redazionali dell’atto notarile. Da ciò la dottrina che si è occupata dell’argomento ha desunto il concetto di «menzione», qualificata solitamente come attestazione nell’atto, da parte del notaio, di determinati comportamenti, sempre da lui direttamente rilevati, ancorché possano sostanziarsi talvolta in dichiarazioni di parte.

Vi è comunque sufficiente concordia nell’affermare che trattasi di circostanze che attengono strettamente al contenuto formale, documentale dell’atto e non certamente al contenuto negoziale di esso.

63. (Segue) Formalizzazione della menzione nell’atto notarile

Connotato essenziale della menzione è che l’espressione che la racchiude risulti per tabulas dall’atto e non debba dedursi aliunde o per interpretazione ricavata da documentazione diversa dall’atto.

Bilancia È stato rilevato, nella prassi, che la mancata menzione non può essere sostituita dal successivo accertamento che effettivamente, nella realtà, l’accordo esisteva, perché è compito della menzione di essere espressa in atto in modo formale (T. Vicenza, 8.1.1962, in RN, 1962, 438; nello stesso senso v. Girino, Testimoni e fidefacienti nell’atto notarile, in NN.D.I., XIX, Torino, 1973, 282).

Si è chiarito:

a) che la formula «le parti sanno leggere e scrivere e si trovano nelle condizioni dell’art. 48 legge notarile», indicata in atto, non era sufficiente a dimostrare che le parti avessero di comune accordo rinunciato all’assistenza dei testimoni, quando questa rinuncia era necessaria; essa, al limite, significava soltanto che le parti avevano i requisiti di legge per effettuare detta rinuncia, ma non comportava anche la dimostrazione dell’avvenuta rinuncia (T. Firenze, 9.8.1915, in R, 1915, 454);

b) che la menzione di avvenuta lettura del testo dell’atto in presenza dei testimoni non può avere equipollenti, né può essere sostituita dalla dimostrazione che nella realtà la lettura alla presenza dei testi è effettivamente avvenuta; è stato in proposito chiarito che «essendo rimasto accertato che il notaio aveva omesso di fare menzione della lettura dell’atto in presenza dei testimoni, la corte di merito non doveva andare alla ricerca se tale lettura fosse stata fatta, ricorrendo alla teorica degli equipollenti, che non faceva al caso, ma doveva, in osservanza alla legge notarile, applicare la sanzione da questa stabilita» (C., 17.2.1938, in RLF, 1938, 317).

64. (Segue) Fattispecie, giustificazione ed effetti

Le menzioni più rilevanti stabilite dalla legge notarile vanno così individuate:

a) menzione dell’accordo delle parti di rinunciare all’assistenza dei testimoni (art. 48, 1° co., vecchio testo l. not.).

b) Menzione della lettura dell’atto e degli allegati (art. 51, n. 8, l. not.).

c) Menzione dell’espressa volontà delle parti, in grado di leggere e scrivere, che il notaio non dia lettura degli allegati (art. 51, n. 8, 3° co., l. not.).

d) Menzione della scritturazione dell’atto da parte del notaio o di persona di sua fiducia (art. 51, n. 9, l. not.).

e) Menzione che i fidefacienti si sono allontanati appena effettuata l’identificazione delle parti ed hanno apposto la propria firma subito dopo la stessa identificazione (art. 51, n. 10, 2° co., l. not.).

f) Menzione della dichiarazione, della parte che non sa o non può sottoscrivere, della causa che glielo impedisce (art. 51, n. 10, 3° co., l. not.).

g) Menzione del numero delle parole cancellate, del numero delle postille, della lettura delle postille fatte dopo la lettura dell’atto (art. 53, n. 3, l. not.).

h) Menzione della lettura delle aggiunte o variazioni dell’atto avvenute dopo la sottoscrizione delle parti (art. 53, 4° co., l. not.).

i) Menzione che la parte priva dell’udito ha letto l’atto (art. 56, 1° co., l. not.).

65. (Segue) Parte dell’atto in cui va indicata la menzione

Di solito la legge notarile non dispone in quale parte dell’atto vada apposta la menzione, per cui, in linea di principio, si ritiene che essa possa essere apposta in qualunque parte.

Fa eccezione l’art. 48 l. not., il quale stabilisce che «il notaio deve fare espressa menzione della presenza dei testimoni in principio dell’atto».

66. Allegati. Concetto e funzione dell’allegazione

La legge notarile stabilisce che l’atto deve contenere «l’indicazione dei titoli e delle scritture che s’inseriscono nell’atto» (art. 51, n. 7, l. not.). La formulazione della norma è esattamente identica a quella contenuta nell’art. 43, n. 7, l. not. del 1879.

Libro

Errerebbe chi dall’espressione «inserto od allegato», che talvolta trovasi utilizzata in dottrina, desumesse la conclusione che si tratti di termini differenti, atti a significare situazioni diverse. L’unica possibilità di dare rilievo differenziato ai due termini potrebbe aversi soltanto attribuendo all’espressione «inserto» valore di inserimento nel testo dell’atto, ipotesi, ripetesi, priva di contenuto concreto, perché ciò sarebbe pienamente in contrasto con la norma di legge.

In definitiva tra il termine «inserto» e il termine «allegato» non vi è alcuna differenza di sostanza; prova ne sia che la più recente dottrina utilizza ormai il termine «allegato» riferendolo alla fattispecie che il legislatore qualifica con il termine «inserto», che viene solitamente utilizzato in alternativa ad «allegato», mentre in effetti i due termini appaiono fungibili (Falzone, Alibrandi, Allegati all’atto notarile, in Falzone, Alibrandi, Dizionario enciclopedico del notariato, I, Roma, 1973, 80; Boero, 311; Santarcangelo, 155).

In definitiva, si può concludere che funzione dell’allegazione è quella di consentire al notaio di tener conto, nella sua attività di rogito, di documenti predisposti da altri (oppure dallo stesso notaio in altra occasione), allo scopo di chiarire o ampliare il contenuto dell’atto posto in essere, o il significato di determinate espressioni contenute nell’atto.

67. (Segue) Quali documenti possono essere allegati

Libro La legge notarile menziona «i titoli e le scritture» come documenti che possono essere allegati all’atto notarile; sorge pertanto il dubbio se possano allegarsi all’atto documenti che a stretto rigore non possono qualificarsi come «titoli o scritture», quali disegni, planimetrie, fotografie, pellicole, plastici. E la dottrina risponde affermativamente, evidentemente facendo leva più sulla funzione di sostegno dell’atto che viene ad assumere l’allegato, che sulla lettera della legge (v. in tal senso Falzone, Alibrandi, Allegati all’atto notarile, 80; Di Fabio, Manuale, 188; Boero, 311; Consiglio Nazionale del Notariato, Sulla lettura degli allegati tecnici all’atto notarile, in Studi su argomenti di interesse notarile, X, Roma, 1979, 99 ss.).

Si condivide questa soluzione.

68. (Segue) Modalità dell’indicazione nell’atto

Libro

Evidentemente se scopo della norma è quello di evitare che l’allegato sfugga ad un collegamento essenziale con il contenuto dell’atto, occorre concludere che qualsiasi indicazione è valida a patto che essa valga ad individuare in modo preciso il documento allegato e ad evitare che esso sia asportato materialmente o falsificato senza che se ne evidenzi l’illecito.

La legge prescrive che gli allegati debbono essere «indicati» nell’atto. Che significato occorre dare al termine «indicazione»? O, più specificamente, che grado occorre dare all’indicazione del documento allegato? Occorre procedere ad un’indicazione sommaria, come ritiene una parte della dottrina, oppure si pretende che del documento siano riportati tutti gli estremi idonei ad identificarlo con la massima precisione, come ritiene altra parte della dottrina, opinioni dottrinali peraltro effettuate senza particolari approfondimenti (per la prima opinione cfr. Santarcangelo, 155; Boero, 311; per la seconda opinione cfr. Falzone, Alibrandi, Allegati all’atto notarile, 81)?

Si ritiene comunque che sia più che sufficiente una descrizione sintetica del tipo di documento (lettera, tipo di frazionamento, contratto, scrittura autenticata, planimetria, ecc.) ed eventualmente l’indicazione della sua data ove esista; o, ancora, di chi ne sia autore, e salvo in ogni caso che la legge non pretenda particolari indicazioni, come avviene nell’ipotesi di pubblicazione del testamento olografo ai sensi dell’art. 620 c.c.

69. (Segue) Norme sulla forma dell’atto applicabili agli allegati

Gli allegati sono distinti dall’atto, ma ne costituiscono parte integrante: sul quesito quali siano gli adempimenti formali, propri dell’atto, cui essi allegati debbano ritenersi assoggettati, la risposta è articolata.

Vanno fatte delle premesse: l’allegato non è, in linea di principio e salvo qualche eccezione (ad es. nel caso di statuto di società allegato all’atto costitutivo, documento che viene predisposto dallo stesso notaio), un prodotto realizzato dal notaio, ma soltanto da lui utilizzato; l’allegato non è il rogito, ma un documento autonomo la cui funzione è quella di integrare il rogito stesso.

Deve pertanto ritenersi estraneo all’allegato tutto quanto attiene alla scritturazione dell’atto.

Ma l’allegato serve a completare l’atto: pertanto occorre che esso sia leggibile. Di qui la conseguenza che esso va assoggettato alla lettura alle parti alla stessa stregua dell’atto, con questa particolarità: la lettura dell’allegato può essere omessa «per espressa volontà delle parti, purché sappiano leggere e scrivere» e purché di tale volontà sia fatta menzione nell’atto (art. 51, n. 8, ult. co., l. not.).

Il notaio, in mancanza di rinuncia delle parti alla lettura dell’allegato, può demandare ad altri la lettura dell’allegato stesso.

La legge notarile (art. 51, n. 12, 2° co.) dispone invece che gli allegati debbono contenere le sottoscrizioni marginali, ad esclusione dei documenti «autentici, pubblici o registrati».

L’avere taciuto in ordine alle sottoscrizioni finali, l’avere escluso che le sottoscrizioni marginali debbano essere apposte su documenti per se stessi autentici, dimostra che unica preoccupazione del legislatore è stata quella di corredare l’atto di firme marginali allorquando il documento fosse privo di autenticità e pertanto allo scopo di contribuire, con la firma marginale appunto, all’esigenza di dare consistenza agli

allegati allo scopo di evitarne la falsificazione o l’asportazione. Analoga preoccupazione non si rinviene per le firme finali, che sorreggono il documento «rogito» e che non risultano proponibili per un documento semplicemente acquisito all’esterno dell’atto.

Altro elemento che influisce non sulla redazione documentale, ma sulla conservazione del documento allegato è la norma per la quale il notaio deve custodire, oltre agli atti, i relativi allegati (art. 61, 1° co., l. not.), i quali dovranno essere corredati, ai fini della conservazione, dello stesso numero progressivo dell’atto e di una lettera dell’alfabeto atta a contraddistinguerli.

70. (Segue) Traduzione di allegato redatto in lingua straniera

Il caso più frequente è quello di procura proveniente dall’estero.

La procura è un comune allegato e valgono per essa tutte le regole concernenti questi ultimi, ancorché la procura debba rimanere obbligatoriamente annessa all’atto, giusta il disposto dell’art. 51, n. 3, l. not.; in tal caso il termine «annessa» non dice cosa diversa dall’allegazione, ma la conferma nella sostanza, fermo restando che la procura deve essere allegata obbligatoriamente all’atto, e qualificandosi in tal modo la procura tra gli allegati obbligatori (fra i quali vi sono anche i seguenti: statuto societario, elenco e valore dei beni mobili donati, tipo di frazionamento, certificato di destinazione urbanistica e altra documentazione ai sensi della L. n. 47/1985); mentre per gli allegati indifferenziati la legge tace sull’obbligo dell’allegazione, lasciando al notaio il compito di stabilire quali documenti debbano essere allegati e quali no.

Bilancia Sul problema dell’obbligo o meno della traduzione di allegato in lingua straniera sono emerse tre opinioni, che sostanzialmente si possono sintetizzare nei termini seguenti:

a) un’opinione, forse preoccupata dei risvolti disciplinari dell’opinione contraria, distingue nettamente tra atto e allegato, ed applica rigorosamente l’art. 54 l. not. sull’obbligo di scrivere l’atto in lingua italiana soltanto all’atto posto in essere dal notaio, mentre ritiene inapplicabile detta norma agli allegati (così C. Torino, 22.1.1923, in RN, 1963, 162, seguita da A. Torino, 9.1.1961, in RN, 1963, 161);

b) un’altra opinione, più tesa ad individuare lo stretto legame strutturale esistente tra atto notarile ed allegati, e pertanto sul rilievo che l’allegato costituisce parte integrante ed inscindibile dell’atto e tenuto conto dell’affermazione, data per assioma, che «nulla nell’atto notarile deve restare di non facile e diretta comprensione», conclude che la traduzione è obbligatoria anche per gli allegati (v. in tal senso C., 3.8.1962, n. 2322, in RN, 1963, 161);

c) una terza opinione, pur non disconoscendo il fascino dell’opinione sub b), soprattutto per la valutazione unitaria dell’atto e degli allegati, perviene alla conclusione opposta che gli allegati non debbano essere tradotti, basandosi sull’allegato «procura» e svolgendo in proposito la seguente argomentazione: se si accoglie l’opinione che la procura allegata va tradotta, la sua mancata traduzione viola l’art. 54 l. not. e la sanzione applicabile al notaio è la sospensione (ex art. 138, n. 2, l. not.); se la procura invece non viene allegata all’atto, la sanzione applicabile è quella pecuniaria (ex art. 137, 1° co., l. not., collegato con l’art. 51, n. 3, stessa legge); è possibile, sostiene questa opinione, che la mancata allegazione sia trattata con minore gravità della mancata traduzione?

Libro Da ciò la conclusione che una sospensione disciplinare per la mancata traduzione suonerebbe assurda; donde il convincimento che la procura allegata all’atto non deve essere accompagnata da traduzione in italiano, allo scopo di evitare siffatta conseguenza assurda (così Giuliani, Sulla redazione dell’atto notarile in lingua italiana e sulla omessa traduzione di formule legalizzatrici dei documenti allegati, in RN, 1963, 162, il quale sintetizza così la sua posizione: «non dubiterei dell’esattezza di una

regola così formulata (cioè del fatto che se la procura è parte integrale e non distinta dell’atto, la traduzione va richiesta anche per essa) se all’inosservanza dell’art. 51, n. 3, l. not. corrispondesse puntualmente sanzione analoga a quella che colpisce l’inosservanza dell’art. 54»).

Tra le tre posizioni è certamente preferibile quella sub b), manifestata dalla Suprema Corte, cioè l’opinione che il documento allegato all’atto notarile vada tradotto in italiano se redatto in lingua straniera.

71. (Segue) Traduzione della legalizzazione

Accertato che l’atto estero allegato all’atto notarile va tradotto, se redatto in lingua straniera, vi è da chiedersi se debba essere tradotta anche la formula della legalizzazione.

Bilancia Lo afferma la Cassazione, senza peraltro particolari giustificazioni, argomentando sulla base dell’unitarietà del documento proveniente dall’estero: «non vi è ragione logica e giuridica per porre differenza tra l’uno e l’altro elemento della procura, escludendo dall’obbligo della traduzione la parte pure necessaria e intrinseca che concerne la competenza del notaio che ha ricevuto l’atto di conferimento di rappresentanza e la legalizzazione della sua firma» (così C., 3.8.1962, n. 2322, in RN, 1963, 165). E va in proposito ricordato che, secondo una Nota ministeriale (cfr. la Nota del Ministero grazia e giustizia, Direzione generale degli affari civili, prot. 1/36/55 del 29.11.1985), anche l’apostille, che rappresenta una sorta di legalizzazione semplificata, va tradotta in lingua italiana.

Per la verità detta unitarietà nel documento estero tra contenuto e legalizzazione viene meno se si esamina più approfonditamente struttura e funzione della legalizzazione.

Questa si sostanzia nell’attestazione ufficiale della legale qualità del funzionario che ha firmato l’atto, nonché dell’autenticità della stessa firma, e rappresenta un requisito indispensabile e insostituibile perché l’atto estero possa produrre in Italia gli effetti che esso produce all’estero (C., 6.5.1980, n. 2987, in GC, 1980, 1826). In altre parole, la legalizzazione è uno strumento giuridico, estraneo al contenuto dell’atto, il cui scopo è quello di creare un ponte ideale tra due Stati diversi, allo scopo di ottenere che un documento dotato di pubblica fede in uno dei due Stati abbia pubblica fede anche nell’altro Stato, ancorché nessun pubblico ufficiale di questo secondo Stato l’abbia posto in essere. È una sorta di attestazione ex post di una funzione pubblica allo scopo di recepire come proprio un potere certificativo espresso da uno Stato diverso.

Libro

In definitiva, quando si parla di traduzione dell’allegato proveniente dall’estero, se si tiene conto del fatto che scopo di essa traduzione è quello di comprenderne il significato ai fini del suo collegamento con l’atto cui accede, ci si deve preoccupare della traduzione del contenuto, non della traduzione del contenente, perché di contenente si tratta nel caso della formula aggiuntiva consistente nella legalizzazione.

Si comprende pertanto come la dottrina teorizzi che la mancanza di legalizzazione, qualificandosi come difetto formale estraneo all’atto estero, non venga ad incidere sugli effetti dell’atto stesso, che ancorché privo di legalizzazione resta valido ed efficace nello Stato in cui esso è stato creato, ma impedisca soltanto che detti effetti possano essere utilizzati al di fuori dello Stato di creazione del documento (v. in tal senso Valentini, Legalizzazione, in ED, XXII, Milano, 1973, 706).

Il discorso non cambia neppure per l’apostille, la quale, come testé affermato, rappresenta una sorta di legalizzazione semplificata nella procedura e nella formula di attestazione ed unificata in uno schema standard di facile comprensione anche senza traduzione.

72. (Segue) Statuto societario come allegato

Va dato conto di un allegato particolare, lo statuto della società di capitali, che ha destato non pochi problemi operativi, facendo insorgere questioni attinenti alla sua natura ed esatta configurazione giuridica.

L’art. 2328, ult. co., c.c. stabilisce che «lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, si considera parte integrante dell’atto costitutivo e deve essere a questo allegato». L’avere il legislatore codicistico utilizzato il termine «allegato» ha indotto la categoria notarile a ritenere che lo statuto societario rientrasse nella categoria degli allegati prevista dalla legge notarile e su questa base esso statuto non veniva solitamente letto, previa dispensa delle parti, tenuto anche conto del fatto che trattavasi solitamente di documento oltremodo ponderoso.

Bilancia La Cassazione non si è ancora espressa in argomento. La giurisprudenza di merito, allorquando era ancora in essere il procedimento di omologa, si era espressa per la stragrande maggioranza nel senso che occorreva la lettura dello statuto, e che pertanto le parti non potevano rinunciare alla lettura stessa dell’allegato; ciò allo scopo di consentire al notaio di effettuare l’indagine sulla volontà delle parti, di dirigere la personale compilazione dell’atto e infine di effettuare in modo completo il controllo di legittimità delle clausole statutarie. Qualche decisione, peraltro, si era espressa per la legittimità della rinuncia alla lettura (per l’obbligatoria lettura cfr. A. Roma, 11.2.1997, in GI, 1997, 494, con nota di Cavanna; A. Roma, 29.1.1994, in RN, 1994, 889; A. Roma, 28.10.1993, ivi, 1993, 1303; A. Roma, 24.7.1993, ibidem, 697; A. Roma, 20.7.1993, ibidem, 696; T. Roma, 13.4.1993, in GI, 1994, I, 2, 20, con nota di Abriani; T. Tolmezzo, 12.3.1991, in VN, 1992, 1236; T. Udine, 25.8.1990, ibidem, 267; A. Torino, 8.3.1982, in GCo, 1983, II, 288, con nota di Baralis e Boero. Per la possibilità di rinuncia alla lettura, invece, v. T. Milano, 10.12.1997, in VN, 1998, 311; A. Trieste, 29.9.1990, in RN, 1991, 1041; A. Trieste, 11.10.1990, in VN, 1992, 267).

Peraltro la prassi dell’omessa lettura, per tanti anni consentita, era stata di recente (prima che l’omologa giudiziaria lasciasse il posto al controllo di legalità del notaio) posta in discussione da alcuni giudici delle omologhe, soprattutto nell’ipotesi che una delle condizioni prescritte dall’art. 2328 c.c. risultasse non inserita nell’atto costitutivo, ma soltanto nello statuto (v. il Tribunale civile di Roma, Nota 14.5.1992, indirizzata al Consiglio notarile di Roma: «anche lo statuto deve rivestire la forma dell’atto pubblico – ed essere quindi redatto con le modalità di cui all’art. 47 legge notarile – allorché contenga una o più delle indicazioni prescritte dall’art. 2328 cod. civ. non contenute nell’atto costitutivo». La posizione del Tribunale di Roma si rifà nella sostanza ad analoga posizione assunta dal T. Torino, 11.1.1982, in Gazzetta notarile, 1982, 303 ss., con nota critica di Tondo, Atto costitutivo e statuto di società di capitali; da A. Torino, 8.3.1982, cit.; nonché da T. Udine, 25.8.1990, cit., riformato peraltro da A. Trieste, 29.9.1990, cit.).

Vien fatto di chiedersi se abbia senso valutare lo statuto come un comune allegato all’atto notarile, oppure se il concetto di allegazione sia nella norma del codice equivalente al significato di documento che deve stare unito all’atto costitutivo. In altre parole: la circostanza che lo statuto deve contenere le norme di funzionamento della società; la circostanza che esso viene redatto dal notaio nello stesso tempo dell’atto costitutivo; il fatto che lo stesso codice civile sembra insistere sulla compenetrazione che si verifica tra atto costitutivo e statuto; infine il rilievo che se lo statuto ha il compito di racchiudere le norme di funzionamento della società e se la società è per se stessa uno strumento organizzativo di un’impresa collettiva, per cui senza organizzazione la società non può vivere; se tutto ciò è vero viene fatto di chiedersi che senso abbia degradare lo statuto a semplice allegato all’atto notarile o se non sia cosa più giusta ritenerlo, ancorché distinto, come una parte dell’unico documento atto creativo della società. Con le conseguenze di trattarlo come se fosse esso stesso atto

costitutivo: sottoscrizione, lettura obbligatoria e non rinunciabile, scritturazione nel rispetto delle norme stabilite dalla legge notarile, e via dicendo.

Libro

Da ciò la conclusione, sostenuta dalla dottrina notarile, che lo statuto ai fini del comportamento notarile non deve essere riguardato alla stessa stregua dell’atto costitutivo, ma che va mantenuto il significato di esso come «allegato», con tutte le implicazioni del caso, non ultima quella che esso non deve essere obbligatoriamente letto, potendo le parti dispensarne la lettura ai sensi dell’art. 51, n. 8, l. not. (in tal senso Baralis, Boero, 296; Tondo, Atto costitutivo, 303; Omodio, in RN, 1991, 1042; Di Fabio, Tondo, Atto costitutivo e statuto di società, in RN, 1982, 441 ss.; cfr. peraltro, Tondo, Appunti sul ruolo del notaio nella pubblicità del registro delle imprese, in Trasparenza e pubblicità nell’attività d’impresa, relazione al XXXIV Congresso Nazionale del Notariato svoltosi a Genova, 29.9-3.10.1994, Roma, 1994, 259, il quale, sulla base della riscoperta di una precipua funzione del notaio nella fase costitutiva della società, modificando in parte le precedenti conclusioni, perviene al risultato che, fermo restando che lo statuto, ove sia allegato all’atto costitutivo non deve essere letto, in esso non debba comunque essere incluso, senza lettura, quanto deve essere contenuto nell’atto costitutivo a pena di nullità).

La categoria notarile non si è nascosta la plausibilità dei dubbi testé sollevati, ed ha tentato di risolverli ricorrendo all’aspetto della libera professione che caratterizza il notaio: in questa veste, si è detto, egli deve preoccuparsi che le parti siano avvertite sui contenuti dello statuto; che anche lo statuto, come l’atto costitutivo, sia assoggettato al controllo di legalità prescritto dall’art. 28, n. 1, l. not.; che gli elementi essenziali a pena di nullità dell’atto costitutivo possano figurare parte nell’atto costitutivo e parte nello statuto. Ma affermare ciò non equivale, per la dottrina notarile, a riconoscere allo statuto lo stesso valore dell’atto costitutivo: si è infatti detto che lo statuto può mancare del tutto, sostituito in tal caso dalle norme di legge che governano il funzionamento della società (cfr. in tal senso Baralis, Boero, Atto costitutivo, modifiche statutarie di società di capitali e lettura necessaria dell’allegato statuto da parte del notaio, in GCo, 1983, II, 296); oppure che la compenetrazione tra statuto ed atto costitutivo non è tale da impedire che tra i due vi sia, oltre che una differenza sostanziale (lo statuto attiene alle norme sul funzionamento della società, mentre l’atto costitutivo rappresenta il negozio con il quale la società viene fatta nascere; quest’ultimo deve logicamente precedere il primo, perché lo statuto opera non appena la società nasce come persona giuridica), anche una differenza formale, come si desume dall’art. 2332, n. 5, c.c., a norma del quale la società iscritta nel registro delle imprese è nulla se mancano nell’atto costitutivo e nello statuto determinate indicazioni; ciò a comprova del fatto che mentre la mancanza di elementi diversi determina la nullità della società se detta mancanza compare nell’atto costitutivo, altrettanto non accade se ciò avviene nello statuto.

Occorre anche menzionare un recente studio, approvato dalla Commissione scientifica in seno al Consiglio Nazionale del Notariato e fatto proprio da quest’ultimo organo di categoria (Rescio, Sulla natura e sulla forma degli statuti societari, in Studi e materiali, IV, 1, Milano, 2005, 315, riprodotto anche in RS, 2005, 783), il quale ha concluso affermando che:

a) «gli statuti societari, pur potendo teoricamente essere redatti per atto pubblico ovvero essere omessi come documenti separati, confluendo il loro contenuto nell’atto costitutivo, sono di regola – ove considerati quali documenti a sé stanti – scritture private (autenticate, ove allegate ad atti costitutivi pubblici o a verbali notarili)»;

b) «l’ordinamento non esige che gli statuti di società per azioni (e di società cooperative) siano redatti per atto pubblico»;

c) «nella società a responsabilità limitata è perfettamente lecito ricorrere ai documenti statutari separati dagli atti costitutivi»;

d) «la natura e, di riflesso, il trattamento giuridico dello statuto di società a responsabilità limitata non differiscono minimamente rispetto a quelli dello statuto di società per azioni (e di società cooperativa)».

73. (Segue) Allegazione delle procure

Libro

Ma l’opinione di Solimena è rimasta isolata, perché in contrasto con la legge notarile, la quale appare più indirizzata ad imporre sul notaio l’obbligo di appurare la legittimazione del soggetto che opera come rappresentante, che a trasformare la procura in una parte integrante dell’atto vero e proprio: tant’è che la procura non va allegata allorché essa sia già agli atti del notaio rogante (così stabilisce espressamente l’art. 51, n. 3, ultima parte, l. not.).

È stato affermato che la procura, ancorché trattata come allegato, consista in un allegato particolare, nel senso che essa inerisce al contenuto dell’atto stesso e in una certa misura ne costituisce parte; da ciò l’affermazione dell’obbligo di trattare la procura come parte dell’atto e pertanto la conclusione che di essa debba darsi necessariamente lettura (l’opinione è stata prospettata da Solimena, Commento alla legislazione notarile italiana, Milano, 1918, 200, ed accolta da Cappellani, Piccola enciclopedia notarile, Milano, 1959, 74).

In definitiva si ritiene, con la maggioranza della dottrina (cfr. nel senso del testo Santarcangelo, 168; Boero, 315; Falzone, Alibrandi, Lettura dell’atto notarile e degli allegati, 872; Lenzi, 120; Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, 1975, 1130; Baralis, Boero, 290), che la procura debba essere trattata alla stessa stregua di un comune documento allegato e che pertanto possa omettersene la lettura per espressa volontà delle parti che sappiano leggere e scrivere.

74. (Segue) Allegazione e deposito

L’art. 68 reg. not. stabilisce che il deposito presso il notaio di atto redatto all’estero abbisogna della legalizzazione e della traduzione se l’atto è redatto in lingua straniera, ancorché questa sia conosciuta dal notaio. Si è posta questione se la norma possa essere applicata anche all’atto estero che venga allegato a un documento notarile.

Si può legittimamente parlare per gli allegati di documenti sostanzialmente depositati presso il notaio.

Ciò comporta che l’allegazione di documento estero, a parte la traduzione della quale si è più sopra parlato, comporta anche l’obbligo della legalizzazione, necessaria perché il documento estero possa trovare piena applicazione anche in Italia.

75. (Segue) Sanzioni

La legge notarile prescrive la sanzione pecuniaria disciplinare nella misura più lieve allorquando il notaio viola l’art. 51, n. 7, l. not. sull’indicazione in atto dei titoli che si allegano (art. 137, 1° co., l. not.); e l’ammenda disciplinare nella misura più grave per la violazione dell’art. 51, n. 8, l. not. sulla menzione della lettura o sulla omissione della lettura per espressa volontà delle parti (art. 137, 2° co., l. not.); in quest’ultimo caso la recidiva comporta la sospensione da uno a sei mesi (art. 138, n. 5, l. not.), mentre non è previsto aggravamento di pena per l’ipotesi di recidiva nell’ipotesi di mancata indicazione nell’atto degli estremi dell’allegato.

76. Sottoscrizione. Concetto e funzione

L’art. 51, n. 10, l. not. prescrive che l’atto deve contenere «la sottoscrizione col nome, cognome delle parti, dei fidefacienti, dell’interprete, dei testimoni e del notaio».

Per «sottoscrizione» si intende il segno grafico che vale a collegare uno scritto ad una persona determinata, segno grafico che può consistere nel nome e cognome, come richiede la legge notarile, ma anche in una sintesi di nome e cognome, atta comunque ad identificare il soggetto che l’ha apposto.

Sembra invece di poter affermare che la sottoscrizione sia delle parti che degli altri comparenti nell’atto notarile si collochi sullo stesso piano degli altri adempimenti formali, tutti tesi ad attribuire il massimo di autorevolezza, anche sul piano probatorio, al documento redatto dal notaio.

Libro

Va in proposito chiarito che con la predetta conclusione non si vuole contestare l’indispensabilità della sottoscrizione ai fini della validità formale dell’atto notarile, dato anche il tenore dell’art. 58 l. not. che pretende la sottoscrizione pena la nullità dell’atto, ma solo affermare che scopo della sottoscrizione dell’atto notarile non è analogo a quello della sottoscrizione di una scrittura privata, ma analogo a quello di altre formalità proprie della costruzione dell’atto notarile. La soluzione non è solo teorica, ma ha riflessi pratici, che consentono di risolvere problemi particolari, quale quello della sorte dell’atto allorquando le parti abbiano tutte sottoscritto e il notaio rifiuti di sottoscrivere a sua volta, come si vedrà più avanti.

In definitiva occorre concludere, con autorevole dottrina (si è espresso in tal senso Antonini, Atto pubblico e persone di fiducia del cieco impossibilitato a sottoscrivere, in RDC, 1989, II, 654), che per l’atto pubblico «la sottoscrizione della parte non rappresenta un requisito essenziale, trattandosi di atto formato non da questa, ma dal pubblico ufficiale».

77. (Segue) Tipi e disciplina

La legge notarile disciplina distintamente le sottoscrizioni finali e le sottoscrizioni marginali: le prime sono quelle apposte alla fine dell’atto notarile, cioè alla conclusione dello scritto che riassume la volontà negoziale delle parti; le seconde sono quelle che vanno apposte a margine di ciascun foglio allorquando l’atto notarile contenga più fogli ed a margine degli allegati dell’atto notarile. Le prime sono disciplinate dall’art. 51, n. 10. l. not.; le seconde dall’art. 51, n. 12, stessa legge.

I due tipi di sottoscrizione vanno illustrati distintamente.

78. Sottoscrizioni finali. Modalità

Quanto alle modalità necessarie per rispettare il disposto della legge notarile in tema di sottoscrizioni finali si discute se queste debbano avvenire soltanto con l’indicazione del nome e cognome delle parti, degli altri comparenti e del notaio, oppure se esse possano apporsi con indicazioni alternative: sigla, nome abbreviato, nome puntato, un solo nome ancorché il soggetto sia indicato nei registri dello stato civile con più nomi.

Bilancia Per la verità la giurisprudenza è piuttosto rigorosa ed afferma essere necessaria la sottoscrizione completa con nome e cognome, anche se doppi (in tal senso v. C., 25.3.1935, in M, 1936, 26, la quale ricava detta conseguenza dal fatto che se una delle parti viene identificata con un doppio nome, anche la sottoscrizione deve corrispondere a detta identificazione; v. anche C., 26.10.1960, n. 2905, in RN, 1961, 92, che esclude la possibilità di sottoscrivere sia con un solo prenome, sia con

l’indicazione dell’altro prenome con una semplice iniziale o un’abbreviatura. In senso analogo v. A. Milano, 10.1.1958, in VN, 1958, 242; C. pen., 7.10.1983, in GI, 1984, II, 283).

Libro

L’atto notarile è formalismo ed una firma apposta per sintesi o semplificazione non si sposerebbe con i dettami di una legge, articolata sulla base del comportamento medio dei soggetti (è innegabile che la firma solitamente viene apposta con nome e cognome integralmente riportati), ed intesa ad una futura sicura ricostruzione degli avvenimenti svoltisi innanzi al notaio. Si comprende, pertanto, come appaia doverosa una pedissequa applicazione della norma e concludere per la necessità che la sottoscrizione sia apposta per intero, non ricorrendo a semplificazioni, che comporterebbero la nullità formale dell’atto notarile.

E nello stesso senso si esprime la dottrina (v. per tutti Falzone, Alibrandi, Sottoscrizione finale e marginale, in Falzone, Alibrandi, Dizionario enciclopedico del notariato, III, Roma, 1977, 799; Santarcangelo, 188; Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, III, 1133; Morello, Sottoscrizione, in NN.D.I., XVII, Torino, 1970, 1009; Morello, Ferrari, Sorgato, 474; Pacifico, Le invalidità degli atti notarili, Milano 1992,135), anche se non manca un Autore che tenta di minimizzare la portata di un’interpretazione eccessivamente rigorosa, almeno sul piano teorico, pur condividendo egli l’invito ai notai, sul piano operativo, a perseguire la rigorosa interpretazione (l’Autore è il Boero, 320).

79. (Segue) Sottoscrizione con caratteri di alfabeto diverso da quello utilizzato in Europa

È sorto il problema se sia valida la sottoscrizione di atto notarile effettuata utilizzando i caratteri di un alfabeto diverso da quello utilizzato nei paesi europei che non utilizzano l’alfabeto latino (ad es. cinese, aramaico, greco, cirillico, ecc.).

Mancando apposita norma nella legge notarile, occorre accertare se sia possibile utilizzare, almeno per analogia, altre fonti normative che diano indicazioni razionali su come recepire in atto pubblico nomi di persone contrassegnate da lingua che si esprime in caratteri dell’alfabeto diversi da quelli previsti dall’alfabeto c.d. latino.

Soccorre in proposito la L. 23.7.1980, n. 508, la quale, nel dare adesione alla convenzione internazionale relativa all’indicazione dei nomi e dei cognomi nei registri di stato civile, firmata a Berna il 13.9.1973, ha espressamente disposto la seguente norma: «Allorché un atto deve essere iscritto in un registro di stato civile dalle autorità di uno Stato contraente e a tale fine viene presentata una copia o un estratto di un atto di stato civile od un altro documento che riporti i cognomi ed i nomi scritti in caratteri diversi da quelli della lingua in cui l’atto deve essere redatto, tali cognomi e nomi saranno, senza alcuna traduzione, riprodotti per translitterazione nella massima misura possibile». E, aggiunge la norma: «ove esistano norme raccomandate dall’Organizzazione Internazionale di Normalizzazione (ISO) tali norme dovranno essere applicate».

Da questa norma potrebbe trarsi il criterio che allorquando un nome, redatto in caratteri alfabetici diversi dai caratteri latini, debba essere inserito in un documento pubblico (com’è del resto il registro di stato civile), occorra la translitterazione in caratteri latini, allo scopo di rendere leggibile nel documento pubblico il nome del soggetto che vi è iscritto.

La norma appare applicabile all’atto notarile.

Resta un ultimo dubbio: il notaio, di fronte ad un segno grafico inusuale, da lui non decifrabile, quali garanzie ha che il soggetto che ha sottoscritto abbia effettivamente apposto la propria sottoscrizione e non qualcosa d’altro in quel segno grafico?

Si ribadisce, al riguardo, che la sottoscrizione dell’atto notarile da parte dei contraenti non ha la funzione di realizzare una dichiarazione di appropriazione dell’atto da parte del sottoscrittore, perché autore dell’atto è esclusivamente il notaio, il quale con la sua firma completa e conchiude l’atto pubblico.

E si può affermare che soltanto per motivi cautelari, ed allo scopo di non aprire la strada a possibili osservazioni formali in sede di ispettiva, taluni consigliano di fare apporre al soggetto anche la trascrizione in lettere latine del proprio nome e cognome utilizzando le lettere maiuscole. Non si vede, infatti, perché questa eventualità debba essere ritenuta contraria anche all’espressione formale contenuta nell’art. 51, n. 10, l. not., quasi che l’utilizzazione del carattere maiuscolo e non del carattere corsivo rendesse la sottoscrizione non apposta.

In conclusione, si ritiene che una sottoscrizione apposta con caratteri diversi da quelli previsti dall’alfabeto latino, sulla base della dichiarazione notarile che con quel segno il soggetto ha inteso sottoscrivere l’atto, abbia identica funzione di una regolare sottoscrizione.

Come anche appare utilizzabile (nel segno della sua regolarità) il meccanismo della doppia sottoscrizione (in caratteri linguistici diversi dal carattere latino, accompagnata dalla sottoscrizione in stampatello che riproduca quello che il notaio all’inizio dell’atto ha indicato ai fini identificativi della parte).

80. (Segue) Contestualità

Si pone, per le sottoscrizioni, un duplice problema, che potrebbe essere così articolato: è indispensabile, in primo luogo, che le sottoscrizioni avvengano immediatamente dopo la lettura dell’atto, senza soluzione di continuità? È indispensabile, in secondo luogo, che le firme di tutti i partecipanti all’atto (parti e altri soggetti, con esclusione dei fidefacienti, che possono allontanarsi subito dopo l’identificazione delle parti) siano apposte l’una dopo l’altra senza soluzione di continuità temporale ed impedendo che uno dei sottoscrittori possa allontanarsi prima che tutti abbiano sottoscritto? Si parla in tal caso di «contestualità» delle sottoscrizioni.

Libro

Bilancia V. in giurisprudenza C. Roma, 17.1.1936, in M, 1936, 139, la quale afferma la contestualità di tutte le sottoscrizioni, senza peraltro particolari argomentazioni), anche se manca un approfondimento atto a giustificarla.

La dottrina afferma l’esigenza della contestualità (v. in tal senso Di Fabio, Manuale, 152; questo Autore sembra peraltro aver intuito correttamente donde desumere l’esigenza della contestualità, quando afferma che questa può farsi derivare dalla correlazione del ricevimento dell’atto con il momento della sottoscrizione, anche se si limita ad accennare il punto senza svolgerlo ulteriormente. V. anche Santarcangelo, 186; così anche Boero, 320, il quale attribuisce l’affermazione della contestualità ad una «concezione sacrale del formalismo negoziale che non trova rilevanti giustificazioni sostanziali»).

Il discorso si lega in parte all’altro della costruzione dell’atto pubblico come atto impostato prevalentemente sulla contestualità di tutte le operazioni, a partire almeno dalla lettura dell’atto fino alla conclusione di esso con la sottoscrizione del notaio.

Ciò comporta che la contestualità, pur non pretesa dalla legge notarile in termini espressi, vada ricavata come comportamento prudenziale atto a garantire la compiutezza dell’atto senza sorprese distorsive.

81. (Segue) Ordine delle firme

Libro Appare invece informata a puro formalismo, e pertanto priva di giustificazione, l’affermazione che l’ordine delle firme debba essere rigorosamente quello previsto dalla legge notarile: parti,

fidefacienti, interprete, testimoni, notaio (in tal senso, con l’affermazione che l’ordine predetto debba essere tassativo, v. Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, III, 1133). Chi tenta di razionalizzare l’ordine delle firme afferma, più appropriatamente, che il notaio deve sottoscrivere per ultimo, data la sua funzione di autore del documento e dato il criterio che soltanto con la sottoscrizione del notaio il documento pubblico è da ritenersi conchiuso (affermano ciò Boero, 321; Santarcangelo, 188; Di Fabio, Manuale, 203). Su questa conclusione non pare che possano nutrirsi dubbi.

Non pare che possa spingersi il formalismo fino al punto di ritenere che anche l’ordine dell’apposizione delle sottoscrizioni sia rigoroso.

82. (Segue) Qualifica del sottoscrittore

Libro

83. (Segue) Rifiuto di sottoscrivere

La legge non richiede come obbligatoria la qualifica del soggetto che sottoscrive: procuratore, interprete, fidefaciente, testimone; tuttavia nella pratica dette qualifiche sono solitamente apposte, probabilmente per una maggiore leggibilità delle sottoscrizioni con un riferimento diretto alla funzione esercitata nell’atto notarile dal soggetto cui la qualifica appartiene. Trattasi peraltro di adempimento non vietato, ancorché non dovuto, e probabilmente opportuno (ritiene inutile detto adempimento ed addirittura praeter legem la relativa prassi Boero, 321; è anche contrario, perché l’adempimento sarebbe inutile e ripetitivo di quanto già previsto dall’art. 51, nn. 2 e 3, l. not., Solimena, 207).

Può accadere che una delle parti o uno degli intervenuti rifiuti di sottoscrivere l’atto. Come deve comportarsi in tal caso il notaio?

Se una delle parti non sottoscrive, il documento non si completa, ma non perché la sottoscrizione sia l’elemento finale che dà identità al documento, come accadrebbe se la sottoscrizione dovesse essere apposta in una scrittura privata, bensì perché verrebbe meno in tal caso uno degli elementi della complessa procedura dell’atto notarile ritenuti essenziali pena la nullità dell’atto.

Bilancia Una sentenza della Cassazione (C., 18.1.1946, in RN, 1947, 45) ha affermato che allorquando una parte, dopo che il notaio ha predisposto tutto l’atto e dato per assodato, nell’atto stesso, che le parti concordano sul suo contenuto, rifiuti di firmare e si allontani prima del completamento dell’atto stesso, il notaio è obbligato a fare menzione nell’atto del rifiuto della parte di sottoscrivere, allo scopo di offrire alle parti che hanno sottoscritto il massimo di tutela nell’esecuzione del negozio apparentemente posto in essere e non completato.

Libro

La conclusione del discorso è che il notaio, allorquando una delle parti rifiuti di sottoscrivere, deve sospendere, in considerazione della nullità dell’atto che verrebbe posto in essere, la redazione dell’atto e rifiutare di apporre su di esso la propria sottoscrizione.

La pronuncia è stata ritenuta inesatta, sia perché non si può ritenere il notaio obbligato, senza espressa richiesta di parte, ad effettuare un verbale di constatazione; sia, ancor di più, perché la mancata sottoscrizione testimonia che la parte non era consenziente alla conclusione del contratto e spetta al notaio non procedere oltre nella stesura del contratto allorquando tutte le parti interessate non esprimano il proprio consenso alla conclusione del negozio (in tal senso si è espresso Giuliani, nel commentare la sentenza testé citata, in RN, 1947, 45).

84. (Segue) Dichiarazione di non poter sottoscrivere

L’atto notarile va sottoscritto, senza possibilità di deroga, dal notaio, dai testimoni e dall’interprete; esso invece può non essere sottoscritto dalle parti e dai fidefacienti, a patto che questi non sappiano sottoscrivere. L’affermazione si comprende appieno se si considera che i soggetti che debbono sottoscrivere costituiscono l’ossatura necessaria documentale dell’atto pubblico (si potrebbe parlare di «contenitore» indispensabile, senza il quale il documento notarile non nasce), mentre le parti e i fidefacienti (questi ultimi per la loro limitata funzione) costituiscono il «contenuto», che viene filtrato attraverso la funzione del notaio, che ne garantisce la sostanza. Anche per questa strada, pertanto, si comprende la diversa funzione che assumono da una parte la sottoscrizione del notaio (e degli altri pubblici ufficiali che con lui collaborano nella creazione del documento) e, dall’altra parte, la sottoscrizione dei soggetti contraenti.

La legge dispone che «se alcuna delle parti o alcuno dei fidefacienti non sapesse o non potesse sottoscrivere, deve dichiarare la causa che glielo impedisce e il notaro deve far menzione di questa dichiarazione» (art. 51, n. 10, ult. co., l. not.).

Vengono dal legislatore distinte le due ipotesi: il non sapere e il non potere sottoscrivere; la prima comporta che il soggetto, pur idoneo sul piano fisico, non sappia concretamente siglare con segni grafici sulla carta il proprio nome e cognome. Il più delle volte ciò sarà dovuto ad analfabetismo, fermo restando che non in questa, ma nella seconda fattispecie rientrano gli analfabeti che non sanno scrivere ma sanno almeno apporre la propria sottoscrizione sopra un foglio.

La seconda fattispecie invece prescinde dal fatto di non sapere sottoscrivere e si concentra tutta sul non potere concretamente, per incapacità fisica o altri motivi, sottoscrivere.

Può accadere che la parte, pur sapendo sottoscrivere, dichiari falsamente di non essere in grado di farlo, accampando un impedimento inesistente. Che accade in tal caso? L’atto deve ritenersi valido? Occorre che il notaio faccia riscontri sull’attendibilità della dichiarazione di parte?

Si può rispondere nel modo seguente: la validità attiene al documento pubblico redatto dal notaio; per esso si prescrive come regola la sottoscrizione della parte, ma si consente che la parte che non sa o non può sottoscrivere debba dichiarare al notaio la causa impeditiva e la menzione che il notaio fa di tale dichiarazione rappresenta un surrogato della sottoscrizione stessa, attribuendosene identica valenza. Allorquando il notaio fa menzione della dichiarazione di parte, ciò basta per assecondare gli elementi essenziali del documento; altro non occorre, né serve che la parte dica la verità.

Per la verità il legislatore, ancorché con formulazione non troppo felice, ha voluto soltanto dire che chi non può firmare deve dichiararne i motivi, i quali evidentemente coinvolgono sia l’ipotesi di non sapere firmare, sia l’ipotesi di non potere firmare per impedimento fisico.

Bilancia È stato opportunamente precisato che la legge non esige che la dichiarazione della parte e la menzione che il notaio deve farne siano espresse con una formula particolare o in termini tassativi; e si è affermato che si richiede soltanto che la dichiarazione contenga la menzione dettagliata delle circostanze specifiche e contingenti per le quali il fatto allegato si atteggia concretamente in maniera tale, per natura e intensità, da determinare l’impossibilità di sottoscrivere; con la precisazione, da questo punto di vista, che è sufficiente la dichiarazione che l’impossibilità deriva da malattia, senza che sia necessario indicarne il grado d’intensità o le specifiche manifestazioni patologiche (si è espressa in tal senso C., 22.2.1963, n. 430, in GI, 1964, I, 1, 103).

Libro Una parte della dottrina, invece, è dell’avviso che l’indicazione dell’infermità non debba essere vaga, ma che occorra un’indicazione aggiuntiva in grado di individuare l’inabilità a sottoscrivere, quali: perdita della mano, paralisi, paresi, tremore grave, lesione (v. in tal senso Solimena, 208).

Bilancia Mentre altra volta è stato chiarito che l’impedimento a sottoscrivere può essere anche di natura psichica e transeunte (C., 27.7.1950, n. 2101, in FI, 1951, I, 592), o consistere in una difficoltà di grafia derivante dall’estrema debolezza in cui il testatore si trovi o dalla sua età avanzata (C., 3.4.1973, n. 912, in MGI, 1973).

85. (Segue) Sottoscrizione marginale

Va qualificata come «marginale» la sottoscrizione che va apposta «a margine» del foglio, allorquando l’atto è composto di più fogli, o a margine dell’allegato. Il termine «sottoscrizione», preso nel suo significato letterale (che presuppone che la scritturazione del nome e cognome segua immediatamente lo scritto: di qui la parola «sottoscrizione») si attaglia scarsamente a quella marginale, perché l’apposizione di essa sui margini del foglio comporta che essa non sia mai conseguenziale ad un testo scritto.

86. (Segue) Funzione

Tutta la dottrina è concorde nell’affermare che scopo delle firme marginali è quello di evitare la successiva sostituzione dei fogli che compongono l’atto notarile. Si ha quindi una funzione di garanzia, affinché il documento notarile si conservi integro in tutti i suoi componenti, evidentemente in correlazione con la funzione che il documento stesso ha di dare certezza pubblica nei confronti di chiunque, in qualsiasi tempo.

Da ciò la conseguenza che la firma marginale deve essere non una sigla, ma almeno la riproduzione del cognome delle parti, dei testimoni e del notaio; solo in tal modo, infatti, può effettuarsi la comparazione tra le due sottoscrizioni.

87. (Segue) Soggetti obbligati a sottoscrivere

L’art. 51, n. 12, l. not. stabilisce che la sottoscrizione marginale va apposta: dalle parti, dall’interprete, dai testimoni, dal notaio. Non vengono citati i fidefacienti, dal che si desume che i fidefacienti non siano tenuti ad effettuare la sottoscrizione marginale. Quale il motivo di questa esclusione? Probabilmente la considerazione che i fidefacienti possono sottoscrivere l’atto anche prima della chiusura di questo (nell’ipotesi che essi si allontanino appena effettuata l’identificazione delle parti) e pertanto il rilievo che la sottoscrizione dei fidefacienti potrebbe non comparire nell’elenco delle sottoscrizioni finali nei confronti del quale viene effettuata la comparazione ai fini della valutazione dell’originalità del documento. Altro motivo plausibile potrebbe essere il fatto che i fidefacienti non danno un apporto sostanziale all’atto notarile, a differenza dei testimoni e dell’interprete, per cui non vi è motivo di garantire l’intangibilità del documento con la loro sottoscrizione marginale.

88. (Segue) Modalità

La l. notarile n. 4900/1879 pretendeva che le sottoscrizioni marginali venissero apposte con l’indicazione del nome e cognome. La L. n. 89/1913 si accontenta del solo cognome, ma per quanto si è detto più sopra in ordine alla funzione delle firme marginali, occorre, ai fini della comparazione con la sottoscrizione finale, che le firme marginali siano scritte con l’indicazione del cognome per esteso. Pertanto si ritiene che non sia consentita una firma marginale realizzata per semplice sigla, oppure con pseudonimo.

89. (Segue) Concetto di «foglio intermedio»

La legge notarile stabilisce che la sottoscrizione marginale va apposta «negli atti contenenti più fogli». Occorre pertanto stabilire quale sia il concetto di «foglio». Esso concerne la parte distinta di carta, ripiegata in due in modo da formare quattro facciate. Il concetto di foglio, cioè, equivale alla porzione di carta utilizzata per l’atto, consistente in quattro facciate fisicamente legate insieme tra loro in modo da costituire un unico pezzo di carta.

90. (Segue) Firme finali apposte in più fogli

Libro

La conclusione di questa opinione è che il concetto di foglio intermedio varia per ogni sottoscrittore in relazione al foglio in cui questi ha apposto la propria firma finale, allo scopo di ottenere che ogni foglio abbia la sottoscrizione di ognuno e, tenuto conto della funzione della sottoscrizione marginale, la soluzione – ancorché essa pecchi di eccessivo formalismo – appare plausibile ed è stata fatta propria anche dalla dottrina più moderna (v. in tal senso Falzone, Alibrandi, Sottoscrizione finale e marginale, 801; Boero, 328. L’opinione non è invece condivisa da Solimena, 224, sulla base del rilievo che il foglio aggiunto per le sole firme debba ritenersi appendice fisica necessaria del foglio finale, ma non appendice ideale, per cui il foglio finale deve ritenersi soltanto quello dove sono state iniziate le sottoscrizioni finali dei soggetti che vi sono tenuti).

Un illustre commentatore della l. notarile n. 4900/1879 (Michelozzi, 234) si è posto il problema del comportamento che il notaio deve adottare allorquando le firme finali si trovino apposte, per necessità di spazio, parte in un foglio e parte in quello successivo.

91. (Segue) Documento scritto di mano del notaio

L’art. 51, ult. co., l. not. stabilisce che la firma marginale del notaio nei fogli intermedi non è necessaria se l’atto è stato scritto tutto di sua mano.

Libro

Quest’ultima conclusione ha una sua giustificazione: mentre il foglio intermedio è di provenienza del notaio, per cui ha senso logico escludere le firme marginali del notaio se questi ha interamente stilato la scritturazione dell’atto; non altrettanto può dirsi degli allegati, che sono documenti di provenienza altrui, cioè non formalizzati di mano del notaio e per i quali, pertanto, si prospetta in tutta la sua ragion d’essere la necessità delle sottoscrizioni marginali anche da parte del notaio.

Nell’interpretazione della dottrina la norma è stata utilizzata con rigore: da una parte è stato chiarito che essa norma è applicabile soltanto se «tutto» l’atto sia stato redatto a mano dal notaio e non applicabile anche se una parte, o addirittura una sola parola scritta dell’atto, sia di provenienza altrui (così sostanzialmente Solimena, 218; Boero, 327); da un’altra parte che la norma si applica soltanto alla firma marginale per i fogli intermedi, non alla firma marginale per gli allegati, che andrebbe apposta dal notaio in ogni caso (Boero, 327; Santarcangelo, 207; Lenzi, 135).

92. (Segue) Firma marginale sugli allegati

La sottoscrizione marginale, recita l’art. 51, terzult. co., l. not., deve essere apposta anche su ciascun foglio delle scritture e dei titoli inserti nell’atto, «eccetto che si tratti di documenti autentici, pubblici o registrati».

Il significato dell’espressione «autentici, pubblici o registrati» ha costituito oggetto di molte perplessità.

Libro Una dottrina moderna ritiene che l’espressione vada interpretata nel senso che essa comprenda tutti i documenti depositati in un archivio pubblico o rilasciati da una P.A. (v. Boero, 329, che chiama a

proprio sostegno Di Fabio; v. ora Di Fabio, Manuale, 206, nt. 112). Ciò sul presupposto che il documento depositato in un pubblico archivio sia sempre rintracciabile ai fini della comparazione, rendendo pertanto inutile lo strumento di garanzia della firma marginale. Sembra peraltro preferibile ritenere che intento del legislatore sia stato quello di privilegiare i documenti che non siano puramente privati (i quali ultimi più dei primi sono facilmente sostituibili) e che pertanto abbiano in sé il crisma di un’autorità (bollo d’ufficio e sottoscrizione), da chiunque rilasciati purché pubblico ufficiale. La frase potrebbe essere interpretata come espressione riassuntiva, in negativo, di tutto ciò che non possa essere puramente e semplicemente qualificato come scrittura o documento privato.

93. (Segue) Delega delle firme marginali

L’art. 51, n. 12, 3° co., l. not. stabilisce che «se le parti intervenute, che sappiano o possano sottoscrivere, eccedono il numero di sei, invece delle sottoscrizioni loro, si potrà apporre in margine di ciascun foglio la sottoscrizione di alcune di esse, delegate dalle parti rappresentanti i diversi interessi». La norma ha dato luogo a numerosi problemi interpretativi.

Le parti intervenute debbono essere più di sei; è questa una delle condizioni perché possa ricorrersi alla delega delle firme marginali. La legge non dice che le parti vadano conteggiate tenendo conto dei diversi interessi; non dice, cioè, che ognuna delle sette parti debba essere portatrice di interessi diversi da quello delle altre parti. Se la norma venisse interpretata in quest’ultimo senso, si verificherebbe l’assurdo della sua inapplicabilità allorquando l’interesse dell’atto sia uno soltanto (si pensi a dichiarazione unilaterale con numerose parti tutte portatrici di identico interesse).

Libro

(Altalex, 21 novembre 2013. Articolo estratto dal volume

La legge notarile non stabilisce particolari formalità per far risultare nell’atto la delega per le firme marginali; è stato pertanto affermato che la delega può essere anche effettuata in via orale ed addirittura che non è prescritta la menzione di essa sull’atto, ancorché non se ne disconosca l’opportunità (cfr. nel senso della delegabilità per via orale e del non obbligo di menzione nell’atto, C., 24.2.1937, in MFI, 1937; C., 28.1.1937, in R, 1937, 124; nel senso dell’opportunità di apporre la menzione, allo scopo di «giustificare quella che a prima vista potrebbe sembrare inosservanza dell’obbligo di apporre le firme marginali», v. Santarcangelo, 211; quest’ultima opinione è condivisa anche da Boero, 329; ritengono invece necessaria la menzione (non più soltanto opportuna), anche senza indicarne le motivazioni, Falzone, Alibrandi, Delega delle firme marginali, in Falzone, Alibrandi, Dizionario enciclopedico del notariato, II, Roma, 1974, 50).

Codice della Legge Notarile, edizioni Utet Giuridica 2013 a cura di Giovanni Casu)

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