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GLI STUDENTI FANNO SCUOLA! PROGETTO DI COMUNICAZIONE SOCIALE

Gli studenti fanno scuola!

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Campagna di comunicazione sulla multicultura

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glistudenti

fanno scuola!

progetto dicomunicazione sociale

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Azioni di sistema per l’associazionismo familiare

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introduzioneLa storia non ci pone di fronte a compiti insormontabili, solo ci chiede di utilizzare al meglio lo strumento della memoria e dell’intelligenza. Se così non fosse, ne faremmo il regno dell’irrazionalità. La situazione attuale del mondo, spaccato in due sotto il profilo delle opportunità e della distribuzione delle risorse e così piccolo invece sotto il profilo geografico, per effetto della nuova accessibilità ai mezzi di trasporto e della globalizzazione, ha determinato e continuerà a deter-minare flussi di popolazione migrante in cerca di nuove opportunità di esistenza. Questi processi migratori, storicamente ineluttabili, chiamano tutti ad un nuovo compito: quello del confronto tra culture differenti. L’ Europa si trova dunque ad incontrare il mondo e si confronta con una alterità culturale e religiosa, che lungi dall’essere ragione di scontro, diventa invece quo-tidiana fonte di ricchezza e occasione di scambio. E’ un processo di cui si deve prendere atto e di cui tutti – con buona pace di chi vorrebbe sottrarsi - siamo parte attiva. Indispensabile diventa allora un atteggiamento di apertura, di disponibilità verso l’altro, perché solo così si possono conseguire obiettivi straordinari, quali il reci-proco arricchimento. In questa prospettiva l’immigrazione, pur con il suo fardello di asperità, diventa allora una inesauribile occasione di stimoli, di risorse, di cre-atività. Tutto sta nel riuscire a fare rete e costruire obiettivi condivisi. Accogliere l’altro non significa rinunciare alla propria cultura, tagliare le proprie radici, che invece sono le basi su cui instaurare un dialogo più profondo. Chi so-stiene questo lo fa strumentalmente, diffondendo una antistorica paura dell’altro da sé, che non fa altro che impoverire, fomentare l’odio, distruggere i presupposti per una crescita collettiva. Il superamento di queste posizioni monolitiche e di chiusura dipende soprattutto dall’atteggiamento e dalle politiche delle comunità ospitanti e delle sue autorità politiche e religiose, benché un ruolo non secondario lo abbiano anche gli stessi immigrati e, in particolare, i figli degli immigrati, le seconde e terze generazioni, spesso, nati e cresciuti in Europa, simboli inconsa-pevoli di quel pluralismo culturale tanto agognato. Si richiede quindi una recipro-cità, così che le diverse identità culturali confluiscano in un terreno che, seppure unitario in quanto a regole di convivenza, sia caratterizzato da quel dinamismo naturalmente generato dal confronto e dalla valorizzazione.

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2455i migranti AfrICAnI nella provincia di Lecce

1932i migranti ASIATICI nella provincia di Lecce

3895i migranti dei PAESI EuroPEI ExTrA uE nella provincia di Lecce

517i migranti AMErICAnI nella provincia di Lecce

1101i migranti dell’unione Europea nella provincia di Lecce

PrESEnzE MIgrAnTInELLA ProvInCIA dI LECCE

TAB.1 - fonte: ISTAT

InCIdEnzA MIgrAnTI SuL ToTALE rESIdEnTIPErCEnTuALE dI MIgrAnTI rISPETTo ALLA PoPoLAzIonE rESIdEnTE

LECCE 4,3 % gALLIPoLI 0,5 % nArdò 0,5 % MAgLIE 0,5 % CASArAno 1,0 % TrICASE 0,5 %

TAB.2

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I MIgrAnTI ISCrITTIAI CEnTrI PEr L’IMPIEgodELLA ProvInCIA dI LECCE Su un ToTALE dI 1759

TAB.3

34,2% i giovani da 16 a 29 anni iscritti

49% i migranti uomini iscritti

51% i migranti donne iscritte

16,2% i migranti iscritti con un titolo di studio

ChE TIPo dI LAvoroSvoLgono I MIgrAnTIIn ProvInCIA dI LECCE

TAB.4

L’89,7% degli occupati svolge attività di commercio all’ingrosso o al dettaglio

L’87,3% degli occupati ha una ditta individuale

89,7% 87,3%

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il mondo cambia

con i gesti semplici

dei bambini e dei disarmati

don tonino bello

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Sono hASSAn, ho 35 AnnI E vEngodAL SEnEgAL. Sono In ITALIA dA CInQuE AnnI, ho un LAvoro, unA CASA E unAfAMIgLIA. LA MIA CoMPAgnA è ITALIAnAE L’Anno SCorSo è nATA LA noSTrAPICCoLA noAh, unA BELLISSIMA BAMBInA:hA gLI oCChI vErdI CoME SuA MAdrEE LA PELLE SCurA CoME IL Suo PAPà.

ciao a tutti...ma come si diventa clandestini?Seguitemi nel mio lungo e pericoloso viaggio, come se foste accanto a me, e lo capirete. non ci sarà certo di che annoiarsi, ma tranquilli… non c’è alcun rischio che la nostra barca affondi nelle acque del Mediterraneo! Comodi allora, inizia la storia. La mia è la storia di migliaia di uomini e donne che, come me, questo viaggio lo hanno fatto accompagnati da un sogno e dalla paura.

avevo poco più di 20 anniquando in Senegal, finiti gli studi, per la prima volta ho capito che sarei dovuto “emigrare”. non trovavo lavoro, ma la mia numerosa famiglia contava su di me. nessuno in Senegal si può permettere il lusso di farsi mantenere, per di più un uomo che non lavora non vale nulla. dove-vo in qualche modo ricompensare i miei dei tanti sacrifici fatti per farmi studiare. Tanti fratelli senegalesi avevano provato prima di me la strada dell’emigrazione: in ogni famiglia almeno una persona è partita per l’Italia. volevo anch’io essere un modou-modou (così li chiamiamo) una specie di eroe nazionale, che torna al Paese con macchine nuove, costruisce ville, sposa le più belle ragazze del quartiere. In Italia avrei trovato amici, conoscenti e cugini, sembrava quindi l’unica strada possibile.

tra di noi funziona cosìquando un senegalese si muove da casa ha con sé una lunga lista di fratelli, conoscenti, amici. Tutti gli offriranno ospitalità finché non troverà una sistemazione. ho allora cercato di informar-mi su quali fossero le vie per entrare regolarmente nel vostro Paese. nessuna possibilità per il visto turistico, e anche entrare per motivi di lavoro, così come avrei voluto, è quasi impossibile. nessuna chance per il lavoro autonomo, e anche per il lavoro dipendente è un bel problema, visto che è necessario avere un contratto di lavoro prima ancora di partire. Chi potrebbe mai chiamarmi se nessun datore di lavoro conosce il mio nome, i miei titoli di studio? niente da fare. E nulla di fatto anche per il permesso di soggiorno per motivi di studio, visto che il titolo in mio possesso non è riconosciuto dalle autorità italiane. Avevo davanti a me due scelte: ab-bandonare ogni intenzione di partire, oppure prendere la strada lunga e tortuosa dell’ingresso irregolare in l’Italia. un viaggio pericoloso dal quale non sapevo se sarei tornato. Pochi abiti in uno zaino, in tasca i soldi che la mia famiglia era riuscita a racimolare vendendo tutto ciò che aveva e via: obiettivo Italia.Mi aspettavano mesi terribili: prima attraversare a piedi il deserto orientati solo dalle stelle, sperando di sopravvivere al caldo e alla sete, poi un primo barcone verso le Canarie e infine l’ultimo attraversamento del Mediterraneo verso le coste di Lampedusa: in 40 su una barca

SIAMo unA fAMIgLIA norMALE, fELICE. ABBIAMo un SoLo ProBLEMA: PEr LA LEggE Io Sono un CLAndESTIno. CoSA vuoL dIrE forSE Lo SAPETE gIà, AnChE PErChé QuESTo TErMInE AdESSo CoMPA-rE PErfIno In unA LEggE PEr LA QuALE “LA CLAndESTInITà” è un rEATo PErSE-guITo PEnALMEnTE, dIffICILE InvECE ChE SAPPIATE CoSA SIgnIfICA vIvErE ognI gIorno dA CLAndESTInI, AvEndo PAurA dI ESSErE CACCIATI vIA, PAurA dI ognI dIvISA.

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traballante. due giorni di viaggio, ben presto senza cibo né acqua. Ad “ac-coglierci”, la Polizia: ho passato più di sessanta giorni chiuso nel centro di identificazione di Lampedusa, prima di essere trasferito in Puglia, in un altro Cpt. un inferno. Scaduti i termini, e non riuscendo a risalire alle mie genera-lità, sono stato rilasciato con un foglio di via; mi sono così ritrovato sul suolo italiano. Libero, ma solo di andarmene. “Clandestino” e non, come avrei voluto, cittadino. In Puglia ho ritrovato alcuni amici e ho trovato un lavoro. nei campi, dalle sei del mattino alle sette della sera per pochi spiccioli.

poi nella mia vita è arrivata sofiaed è stato amore a prima vista. Lei abitava a Lecce, studentessa univer-sitaria vicina alla laurea ma già con un lavoro in tasca. ora conviviamo da qualche anno e speriamo di sposarci, anche perché è nata la piccola noah. Sono un uomo felice, padre di una bellissima bimba e marito di una splen-dida donna; per l’Italia però sono un fuorilegge, un “clandestino”. rischio di essere cacciato via, allontanato dalla mia famiglia come il peggiore dei criminali. Eppure non ho fatto male a nessuno, non ho rubato nulla né ho mai voluto infrangere la legge. ho solo inseguito la vita e il mio errore è di non aver potuto costruire nulla nel mio Paese.

la mia unica colpa è di essere poveroCerto, che strane leggi avete in Italia. Mi sono reso conto, anche chiedendo in giro, che è praticamente impossibile entrare in Italia regolarmente. Sono solo un clandestino per voi, ma basta questo per conoscermi? Attenti a parlare di invasione quando in Italia c’è bisogno dei migranti per svolgere quei lavori che gli italiani non fanno più. Attenti a dire che gli stranieri ruba-no o stuprano le donne italiane: la violenza non ha colore, né provenienza geografica. Attenti a gridare allo scandalo di fronte all’ennesimo barcone: tra quella gente che sfida il mare ci sono persone che scappano da guerre, dalla fame, che qui cercano riparo e una speranza di vita.A voi, amici miei seduti sui banchi di una scuola, che avete ancora la fortuna di frequentare un luogo dove si produce cultura e cittadinanza, a voi che iniziate a praticare la vita, almeno voi, imparate a conoscere l’altro, prima di chiudergli le porte.

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chi è hassan

hassan è un nome di fantasia, ma la sua storia è la storia di tanti migranti. viene dal Senegal, ma

sarebbe potuto arrivare da qualunque altro paese povero e la sua storia non sarebbe cambiata. non è stato particolar-

mente sfortunato: non ha avuto altre possibilità. La legislazione italiana in materia di immigrazione è durissima. è estremamente

difficile per un cittadino di uno Stato non appartenente all’unione Europea entrare legalmente nel nostro Paese. Ad essere ancora più espliciti, qualcuno dice che è “la stessa legge italiana a generare i clandestini”. Secondo l’immaginario collettivo, i buoni sono quelli che hanno i documenti e lavorano, i cattivi sono i “clandestini”, ossia quelli che arriverebbero con gli sbarchi, per poi inserirsi in sacche

di criminalità. Questo è falso. è vero però che per chi è senza documenti è impossibile trovare un lavoro regolare. è bene

sapere invece che gran parte degli immigrati sono ar-rivati qui in modo regolare e sono poi diventati

clandestini perché hanno perso il lavoro.

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è il mondo lo spazio

in cui giochiamo

la nostra identità

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don tonino bello

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il decreto flussiL’unico modo per essere regolari è quello di entrare in Italia usufruendo del decreto flussi, che è il provvedimento con il quale il governo stabilisce ogni anno quanti stranieri possono entrare in Italia per lavoro. un provvedimento che riguarda cittadini stranieri che si trovano ancora nei loro paesi di origine e che intendono spostarsi. non possono fare domanda, invece, i migran-ti che si trovano già sul nostro territorio senza permesso di soggiorno. è qui che nasce il primo problema: la legge italiana non permette ad uno straniero “clandestino” di ottenere i documenti di soggiorno, nemmeno se dimostra di avere un lavoro e di non aver commesso reati. Per coloro che intendono entrare, la procedura consiste in una sorta di as-sunzione a distanza. Il datore di lavoro compila la domanda, chiedendo alla Prefettura di poter assumere uno straniero ancora residente all’estero. Qui c’è il secondo problema: quale impresa che abbia bisogno di assumere un nuovo lavoratore, invece di pensare ai numerosi disoccupati presenti sul territorio, farebbe domanda alla Prefettura per assumere una persona mai vista, che abita lontano migliaia di chilometri? oppure, per quale motivo una famiglia salentina, per assumere una collaboratrice domestica, dovrebbe rivolgersi ad una persona sconosciuta che abita in Kenia? Quel che succede nella realtà è molto diverso da cosa dovrebbe succedere: gran parte dei beneficiari del decreto flussi sono migranti irregolari che già sono in Italia e che, non avendo altro modo per regolarizzarsi, usano l’escamotage dei flussi. Così, fingono di essere ancora nei rispettivi paesi di provenienza, fanno fare domanda per il decreto flussi al datore di lavoro, ottengono l’autorizzazione a entrare in Italia e tornano al paese di origine per chiedere il visto di ingresso all’Ambasciata italiana. Qui, all’Ambasciata, fingono di essere sempre rimasti nel loro paese, ed esibiscono l’”invito” del datore di lavoro, assieme all’autorizzazione della Prefettura: questo dà loro diritto al visto di ingresso, ottenuto il quale possono finalmente arrivare in Italia da regolari. Insomma, una beffa che ha come effetto solo un enorme esborso di denaro.

le “quote” degli immigratiAvete mai visto in tv le code di immigrati alle poste? Sono loro stessi che portano i documenti firmati dal loro datore di lavoro (documenti che inve-ce il datore di lavoro dovrebbe spedire nel loro Paese d’origine). Secondo quanto prevede la legge, le code alle poste per la regolarizzazione non do-vrebbero vedersi e, se lo Stato fosse coerente, dovrebbe insospettirsi per

tutti quei migranti e prendere le dovute contromisure. non lo fa perché i primi a ribellarsi sarebbero proprio gli imprenditori e le stesse famiglie che, ogni anno, lamentano un numero insufficiente di ingressi previsti ri-spetto al fabbisogno. Questo sistema si chiama a ‘Quote”: ogni anno, cioè, il governo stabilisce quanti stranieri può accogliere il mercato del lavoro. I datori di lavoro che fanno domanda ottengono - se ne hanno i requisiti - il permesso ad assumere i lavoratori prescelti, ma una volta esaurita la quota, le richieste “in esubero” vengono tutte rigettate. Tutta la procedura funzio-na, quindi, come una specie di “gara a tempo”: chi arriva prima prende il permesso di soggiorno, per gli altri…nulla. Questa gara è particolarmente drammatica: per dare un’idea della sua entità, si pensi che in genere i posti disponibili si esauriscono nel giro di dieci minuti - un quarto d’ora al mas-simo, e che le domande presentate sono decine di volte superiori rispetto ai posti disponibili.

irregolari o clandestini Clandestino è chi, per varie ragioni, non è in regola con le norme nazionali sui permessi di soggiorno, per quanto viva alla luce del sole, lavori e conduca un’esistenza “normale”. Sono quindi definite “clandestine” le persone che non sono riuscite a rinno-vare o ottenere il permesso di soggiorno (magari perché escluse da quote d’ingresso troppo basse), altre che sono entrate in Italia con un visto turistico poi scaduto, altre ancora - ed è il caso meno frequente - che hanno evitato sia il visto turistico sia le procedure previste per ottenere nei paesi d’origine il visto d’ingresso in Italia.Sono spesso considerati “clandestini” anche i profughi intenzionati a richie-dere asilo o in attesa di una risposta alla loro richiesta, oppure, ancora, gli sfollati in fuga da guerre o disastri naturali. In realtà, se solo lo si volesse, sarebbe possibile identificare ogni situazione con il termine più appropriato ed evitare sempre di usare una definizione altamente negativa come “clan-destino”.Sarebbe più corretto - sia culturalmente sia giuridicamente - parlare infatti di immigrati irregolari. Assimilare tutti i migranti presenti irregolarmente sul territorio sotto lo stigma (cioè il marchio negativo) della parola “clandestini” è in verità solo una forzatura finalizzata ad orientare il pensiero dell’opinione pubblica, abituata così ad associare clandestinità con illegalità e violenza.Se è vero che gli immigrati arrivano in Italia con i gommoni o in altre manie-re, è pur vero che la maggior parte degli immigrati irregolari arrivano in Italia attraversando regolarmente le frontiere, e mostrando alla Polizia passaporti

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il nostro compito storico

è di saper stare

insieme a tavola.

non basta mangiare:

pace vuol dire mangiare

con gli altridon tonino bello

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muniti di regolari visti. I dati del Ministero dell’Interno, alla voce “immigrazio-ne clandestina”, parlano chiaro: il 70% degli immigrati irregolari presenti in Italia è costituito da stranieri che arrivano regolarmente, spesso muniti di vi-sto per turismo, e poi si trattengono oltre la durata consentita dallo stesso vi-sto (“overstayers”). Questo avviene perché il soggiorno per turismo non solo non consente di lavorare, ma preclude anche la possibilità - alla scadenza del visto - di rimanere in Italia per motivi di lavoro. Così succede che i citta-dini stranieri entrano in Italia per un soggiorno turistico di tre mesi, trovano un lavoro, vorrebbero restare per guadagnarsi onestamente da vivere, ma non lo possono fare perché la legge non lo consente; rimangono, quindi, sul territorio nazionale, lavorano in nero e si trasformano così in “clandestini”. un’altra possibile strada verso la clandestinizzazione è data dalla perdita del lavoro: poiché per rinnovare il permesso di soggiorno è indispensabile avere un lavoro regolare, l’immigrato che non riesce a trovarne un altro in un breve periodo (entro sei mesi), non può rinnovare il permesso di soggiorno e diventa così irregolare. Stando ai dati ufficiali, su dieci immigrati senza permesso di soggiorno, ben sette sono arrivati qui in modo regolare. Tutti gli esperti in materia di immigrazione concordano nel dire che dalla Sicilia entra solo il 10% degli immigrati irregolari presenti sul nostro territorio: dal Canale di Sicilia arrivano invece soprattutto casi umanitari, di donne, uomini e bambini che scappano da guerre, miseria e fame.Sarebbero allora questi, donne e uomini arrivati qui solo per lavorare e incap-pati nelle maglie di una legge ‘trappola’, i “clandestini”? è hassan, o chi come lui, il pericoloso criminale che la tv ci ci insegna a temere? Ce lo dice anche hassan nella sua lettera: la violenza non ha colore, proprio come la povertà.

diritto d’asiloLa Costituzione Italiana all’art.10 comma 3 sancisce che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà demo-cratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

convenzione di ginevraSono quattro i requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato:1. La fuga dal proprio paese. Il rifugiato, per essere riconosciuto tale, deve essere materialmente uscito dal proprio Paese.2. Il fondato timore di persecuzione. non occorre soltanto che il timore di persecuzione sia reale, ma anche che sia rivolto in modo diretto alla persona

che chiede asilo. Lo status di rifugiato è in molti casi negato proprio sulla base delle generalizzazioni delle cause che hanno indotto alla fuga e alla ricerca di protezione. Infatti, ad essere vittime di una guerra o di una diffusa violazione dei diritti umani sono spesso intere popolazioni e non singoli individui.3. Motivi specifici di persecuzione. La persecuzione, temuta o subita, deve essere operata in ragione di uno dei motivi indicati dallo stesso art.1 della Convenzione.Attualmente a livello internazionale è in corso un dibattito sul-la possibilità di rivedere e ampliare le cause di persecuzione (si veda quanto affermato nelle linee guida predisposte dalla Commissione nazionale).4. L’impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese d’origine. Il richiedente asilo deve trovarsi nella condizione di non potere, né volere rivolgersi alle autorità del suo Paese. Questo perchè il cosiddetto agente di persecuzione ( chi perseguita), può essere direttamente il governo del Paese, oppure un altro soggetto da questi tollerato e non contrastato.La Convenzione di ginevra contiene anche norme che mirano a garantire l’effettiva tutela del rifugiato sul territorio dello Stato a cui chiede protezione.

legge bossi-finiLa legge che attualmente regola i fenomeni migratori è la n.189 del 2002, la cd Legge “Bossi-fini”, secondo la quale “i cittadini stranieri possono en-trare sul nostro territorio per turismo, studio, ricongiungimento familiare e lavoro”. La stessa legge puntualizza che gli stranieri che vengono in Italia per visite, affari, turismo e studio per periodi non superiori ai tre mesi, non devono chiedere il permesso di soggiorno. Quanto al lavoro, un cittadino straniero che intende entrare nel nostro Paese in maniera regolare deve avere un contratto di lavoro.

la clandestinità è reato legge n.94 del 15.07.09Chi entra o soggiorna in maniera illegale in Italia commette il reato di im-migrazione clandestina e rischia un’ammenda da 5mila a 10mila euro. I clandestini sono sottoposti a processo davanti al giudice di pace con espul-sione per direttissima.gli immigrati dovranno pagare un contributo di soggiorno, il cui importo va da un minimo di 80 ad un massimo di 200 euro. Si pagherà per il rinnovo del permesso di soggiorno, ma non se questo è per asilo e per la richiesta di asilo, per la protezione sussidiaria e per motivi umanitari.La permanenza nei Cie (centri di identificazione ed espulsione), degli immi-grati clandestini, è prolungata dagli attuali 60 giorni a 6 mesi.

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cambierete il mondo

e non lo lascerete

cambiare agli altridon tonino bello

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ho letto da qualche parte

che gli uomini hanno

un’ala soltanto:

possono volare solo

rimanendo abbracciatidon tonino bello

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vIAggIo ALL’InTErno dELLA CoMunITà KEnIAnA PrESEnTE nEL SALEnTo, TrA MuSICA,dAnzA E CATErIng MuLTIETnICo.unA TrA LE CoMunITà dI MIgrAnTI PIùATTIvE nEL SALEnTo è SEnz’ALTroQuELLA KEnIAnA; non LA PIù nuMEroSA,MA CErTAMEnTE QuELLA PIù PrESEnTEnEI dIvErSI ConTESTI SoCIALI.

Keniansalentoi luoghiSono diversi i luoghi in cui puoi incontrare cittadini keniani, specie a Lecce. La mediateca provinciale, è uno di questi: un’opportunità per comunicare con i propri cari rimasti in Africa, ma anche un luogo dove seguire un corso di informatica. nella mediateca incontriamo Boris e Christopher, di 31 e 19 anni, entrambi giunti in Italia via mare, ma in circostanze diverse: Cristopher ha l’ambizione di diventare un artista di successo; Boris, invece, vuole diventare un calciatore affermato e, per ora, ha trovato posto nella formazione dei “Lupi Salento 13”. Christopher parla della sua passione e delle difficoltà a trovare un lavoro dignitoso in Italia: “la maggior parte di noi lavora come cameriere o badante, ma non sono lavori stabili e, molte volte, hanno una paga che non vale la fatica. In Kenia l’età media pensionabile è di 50 anni, in Italia si va in pensione a 65: quando riescono a trovare un lavoro i giovani?”. Christopher è uno degli artisti keniani riuniti nel gruppo “KenianSalento”: una compagnia che porta in giro uno spettacolo di danze e musiche africane, accompagnati da strumenti musicali tipici: “avevamo intenzione di creare qualcosa che potesse essere nostro e vostro, allo stesso tempo. I nostri spettacoli hanno bisogno di un luogo molto spazioso e alto, sì da agevolare gli acrobati, la vera attrazione”. In questo contesto nasce “Mijikenda”, un gruppo composto da sei artisti, tra musicisti e ballerini; bonghi e tamburi di diversa grandezza sono gli strumenti utilizzati negli spettacoli che durano più di un’ora, accompagnati da danze tradizionali keniane, il tutto rigoro-samente in abiti tipici. “ogni danza – ci spiega Patrick – ha un costume e un significato diverso. Anche i tamburi: ognuno ha un suo nome e un suo suono. è un progetto che presentiamo nelle scuole, nei festival internazionali e nelle piazze”. La musica e la danza sono note caratteristiche che riecheggiano ogni domenica e, specie durante le festività, nelle funzioni religiose che si celebrano presso i Padri Comboniani a Cavallino. Qui si realizza il pieno incontro tra gli usi e i costumi di due popoli diversi, e la messa diventa un insieme di voci, di suoni e di forme di preghiera, in un clima di calore che solo la gente d’Africa sa creare. due gruppi organizzano le varie fasi della funzione, con una ragazza keniana che insegna agli italiani presenti i canti, e i tempi esatti da mantenere, canti accompagnati da un preciso battito delle mani, e che sia anche veloce, segno di vitalità. ultima iniziativa intrapresa, in ordine di tempo, dalla comunità keniana è la costituzione di una società cooperativa: “Melting food”, un progetto di catering multietnico. Il progetto, vincitore del bando regionale “Principi attivi”, si propone di offrire un servizio per pranzi, cene, colazioni di lavoro, con pietanze tipiche di differenti etnie accompa-gnate da musica/danze etniche; corsi nei quali apprendere, con l’apporto di donne migranti, i segreti della cucina multietnica. E poi c’è il servizio “La cuoca a casa”, che consiste nel fornire le risorse umane necessarie per preparare il pranzo o la cena o il buffet, direttamente presso il domicilio dei privati: famiglie che ne faranno richiesta per particolari eventi o presso altre associazioni, cooperative, ristoranti. Proprio un bell’esempio di “convivialità delle differenze”.

unA CoMunITà ChE fIno A QuALChE TEM-Po fA TrovAvA LA SuA fIgurA PIù rAP-PrESEnTATIvA In WErE MugABE MELITuS, IL PArLAMEnTArE KEnIAno, SPoSATo Con unA CITTAdInA SALEnTInA, BArBArAMEn-TE uCCISo duE AnnI fA A nAIroBI.

dI michele frascaro

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sapete qual è l’opposto

del verbo amarsi?

aggiungete una r: armarsi.

quando ci si arma,

inesorabilmente ci si odia

don tonino bello

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il frutto dello sfruttamentoun pezzo d’africa all’ombra degli ulivida più di vent’anni in queste zone il dialetto si mischia all’arabo, il cous-cous ai pezzetti al sugo. hanno imparato a conviverci con questi lavoratori stagionali gli abitanti del luogo, consa-pevoli che oramai più nessuno, tra i tanti disoccupati, è disposto a spaccarsi la schiena sotto il sole per pochi euro. Se non fosse per loro le angurie rimarrebbero lì, a marcire. un pezzo d’Africa all’ombra degli ulivi e a pochi passi dal capoluogo. Per ristorante una cucina improvvisata, come abitazione una tenda mal messa, la propria macchina o qualche deposito attrezzi, un tubo dell’acqua per lavarsi. ogni giorno a sperare che il caposquadra chiami per la-vorare. non hanno altro i lavoratori immigrati. Per loro nessuna soluzione istituzionale, nessun servizio. A ricordarsi della loro esistenza - e con molto ritardo - solo il mondo cattolico, che in passato aveva messo a disposizione delle strutture di accoglienza. Ed anche il ruolo della stampa locale non ha aiutato, raccontando per anni il fenomeno solo in termini conflittuali. una presenza descritta di frequente come negativa, invasiva, violenta. un “problema”, di volta in volta identificato in termini di “competitività sul mercato del lavoro” o di “ordine pubblico”. è invece già il 1996 quando per la prima volta nel bilancio del Comune di nardò si apre uno specifico capitolo di spesa per l’immigrazione, finalizzato soprattutto all’organizzazione del Centro di accoglienza per i lavoratori stagionali, poi chiuso. un fenomeno quindi vecchio, che però non ha mai trovato una soluzione che non fosse esclusivamente repressiva. Cacciati anni addietro dalla struttura della nuova Pretura, adattata dai migranti ad improvvisato hotel, adesso vivono alla giornata e in condizioni precarie nel costante timore di controlli. Eppure basterebbe poco per far uscire dal torbido questo pezzo di mondo produttivo: luoghi per l’accoglienza, un ufficio per il reclutamento diretto, servizi. detto in altri termini, un po’ di civiltà da parte di quelle istituzioni che, pur consapevoli che grazie ai lavoratori stranieri il territorio ha registrato un incremento sul piano produttivo, hanno tentato per decenni di ignorarne l’esistenza.Prima venivano dalla Tunisia, dal Marocco, adesso soprattutto dal Sudan, anche se i capisquadra sono ancora maghrebini. Sono per lo più rifugiati per motivi politici o umanitari, alcuni ancora in attesa dei documenti di soggiorno. Per la legge, sono degli invisibili. non potrebbero neanche lavorare. dovrebbero solo attendere per mesi e mesi senza alcuna forma di sostentamento. venti o al massimo trenta euro il loro guadagno quotidiano. Lavorano a cottimo: più lavorano più guadagnano. vengono dunque pagati a peso, pochi centesimi al quintale. L’assunzione, se così si può chiamare, avviene in maniera del tutto irregolare: i proprietari dei campi si rivolgono ad un intermediario che a sua volta si rivolge ad un caposquadra, che è in grado di organizzare una squadra di lavoratori. ogni passaggio ha un suo costo. una forma di caporalato cui ogni lavoratore è costretto a sottostare. Lo raccontano sottovoce i protagonisti di questa ennesima storia di sfruttamento. Se qualcuno si ribella è fuori e non lavora più. né quell’anno né mai. E qui non c’è sindacato che tenga: i diritti nei campi non trovano cittadinanza.

Sono rAChId, LofTI, AMEd, hASSAn LE nuovE BrACCIA dELL’AgrICoLTurA SALEnTInA. rACCoLgono AngurIE, PEr unA MAnCIATA dI Euro, dALL’ALBA fIno AL TrAMonTo, In QuELLo ChE un TEMPovEnIvA ChIAMATo IL TrIAngoLo d’oro dELLE AngurIE, TrA nArdò, gALATInAE CoPErTIno.

dI michele frascaro

gli studenti fanno scuola! 17

hAnno IL CoLorE dELLA TErrAI BrACCIAnTI dELLE CAMPAgnE.è dIffICILE vEdErnE gLI oCChI,Sono LE Loro SChIEnE PIEgATEA rACConTArnE LA STorIA. unA STorIA dI fATICA, SudorE E SfruTTAMEnTo.un TEMPo I Loro noMI EvoCAvAno fESTE PAESAnE, AdESSo InvECE rIPorTAnoIMMAgInI dI LuoghI LonTAnI.

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e verranno i tempi

in cui non ci saranno più

né spade e né lance,

né tornado e né aviogetti,

né missili e né missili-antimissili

don tonino bello

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cimitero mare nostrumLa costa maltese va e viene. Allora c’è sempre qualcuno che grida all’Italia. Ma l’equipaggio non interrompe la stanca routine. nemmeno si voltano per vedere quella striscia di terra, la ignorano con ostentazione, come se la odiassero. Il fatto è che loro sanno: bisogna aspettare. Se tutto andrà bene lo sbarco sarà fatto nei giorni del natale cristiano.(…) dieci giorni con oltre 450 uomini sempre più nervosi e debilitati, con le scorte che scarseggiano, con lo stesso equipaggio che comincia a dare segni di insofferenza. dal 12 dicembre il menu giornaliero è costituito da un mezzo chapati, un mestolo di mais o di fior di riso che i migranti mischiano con acqua calda per fare una specie di zuppa. Anche l’acqua comincia a scarseggiare. d’altra parte, se anche solo un decimo dei passeggeri salisse in coperta, la Yiohan sarebbe immediatamente individuata come “carretta del marè”. (…) I passeggeri cominciano a uscire uno dopo l’altro sul ponte e circondare la cabina di comando.(…) halal (il capitano, ndr) questa volta ha paura. (…)dice di capire la loro esasperazione(…). Ma purtroppo sono nati dei problemi tra i boss. non si mettono d’accordo sui soldi (…) La settimana passerà in fretta e poi val la pena di attendere ancora qualche giorno: il disagio sarà compensato dalle maggiori condizioni di sicurezza dello sbarco. Tra una settimana è natale, la più grande festa dell’occidente. Tutti vanno in vacanza a natale, anche i poliziotti e le guardie costiere. La sorveglianza diminuisce di molto.(…) due luci tremolanti, una verde una rossa, illuminano la cabina e il ponte dove si intravedono delle sagome umane. è l’una del mattino del 26 dicembre 1996. I pochi migranti che si trovano in coperta notano subito che la Yiohan questa volta non fugge, non fa nulla per evitare quel bar-cone di legno. gli va incontro. è arrivato il traghetto per l’Italia. rimbomba un grido di gioia.(…)Quel vecchio legno di sedici metri è un formicaio umano galleggiante(…) La stiva ed il ponte sono pieni ma i migranti continuano a trasbordare(…) è un attimo: dopo essersi impennata su un’onda la prua di legno della f-174 colpisce la fiancata della Yiohan(…) Il vecchio fasciame messo insieme cinquantadue anni prima dalla marina inglese, sente su di sé tutta la forza del mare. La linea di galleggiamento è un palmo al di sotto della base del parapetto e quando un’onda più forte invade il ponte l’acqua penetra sino al ventre della barca. Sale lentamente ma senza sosta(…) decine di migranti vengono sbalzati in mare. nella stiva l’acqua comin-cia ad entrare a cascata(…) Adesso della f-174 rimane solo una macchia di schiuma sulla superficie del Canale di Sicilia. I cadaveri interi avevano cominciato a finire nelle reti ai primi del gennaio del 1997, quando i pescherecci di Portopalo erano tornati in mare dopo una lunga pausa determinata in parte dalle feste di natale e Capodanno e in parte dal cattivo tempo. Era andata avanti anche dopo che sui giornali erano apparsi i primi racconti dei superstiti arrestati in grecia. E mentre le ricerche continuavano senza alcun esito e nasceva il giallo del naufragio fantasma, le reti dei pescherecci di Portopalo avevano continuato a raccogliere corpi per tutto il mese. A febbraio i cadaveri, mangiati dal mare e dai pesci, straziati dai divergenti, venivano ripescati a pezzi. La sera, nel bar del paese, i pescatori si raccontavano storie dell’orrore. (Tratto da “I fantasmi di Portopalo”, di giovanni Maria Bellu).

LA TrAgEdIA dEL nATALE 1996 è SoLo unA dELLE TAnTE ACCAduTE SILEnzIoSAMEnTE nEL MEdITErrAnEo. InghIoTTITI dALLE ondE o BruCIATI dAL dESErTo. SoffoCATI nEI TIr o CongELATI nELLE PAnCE dEgLI AErEI. CI Sono TAnTI ModI dI MorIrE PEr I CLAndESTInI ChE vogLIono EnTrArE nELLA “forTEzzA EuroPA”. dIffICILE fArE un CALCoLo dEL nuMEro dI vITTIME.

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LA noTIzIA dEL rITrovAMEnTodEL rELITTo f-174 APPArvESu ‘LA rEPuBBLICA’ dEL 15 gIugno 2001.In fondo AL MArE TuTT’orA gIACCIono CIrCA 300 PErSonE. IL ProCESSonon hA MAI IndIvIduATo I rESPonSABILI.

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stare con gli ultimi significa

lasciarsi coinvolgere

dalla loro vita. prendere la polvere

sollevata dai loro passi. guardare

le cose dalla loro partedon tonino bello

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non numeri ma storiedecine di migliaia di migranti e rifugiati politici hanno perso la vita tentando di raggiungere clandestinamente l’unione Europea negli ultimi vent’anni. vittime soprattutto dei naufragi nel Mediterraneo e dei viaggi nel deserto del Sahara. Secondo i dati elaborati dall’osservatorio fortress Europe e basati sulle notizie documentate dalla stampa internazionale, le vittime sulle rotte dell’immigrazione verso l’ue sarebbero almeno 12.572. Si tratta di dati approssimati per difetto, il dato infatti potrebbe essere molto maggiore.nel Mar Mediterraneo e nell’oceano Atlantico verso le Canarie - stima fortress Europe - sono annegate 8.830 persone. Metà delle salme (4.648) non sono mai state recuperate. Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Sene-gal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo stretto di gibilterra, sono morte almeno 4.189 persone di cui 2.099 risultano disperse. nell’Egeo invece, tra la Turchia e la grecia, hanno perso la vita 896 migranti, tra i quali si contano 461 dispersi. Infine, nel Mare Adriatico, tra l’Albania, il Montenegro e l’Italia, negli anni passati sono morte 603 persone, delle quali 220 sono disperse. Il mare non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e mercantili, dove spesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container, ad esempio tra la grecia e l’Italia. Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 151 le morti accertate per soffocamento o annegamento dall’osservatorio. nel Sahara poi le vittime censite sono almeno 1.594 dal 1996. Tra i morti si contano anche le vit-time delle deportazioni collettive praticate dai governi di Tripoli, Algeri e rabat, abituati da anni ad abbandonare a se stessi gruppi di centinaia di persone in zone frontaliere in pieno desertonel 2006 human rights Watch e Afvic hanno accusato Tripoli di arresti arbitrari e torture nei centri di detenzione per stranieri, tre dei quali sarebbero stati finanziati dall’Italia. viaggiando nascosti nei tir hanno perso la vita in seguito ad incidenti stradali, per soffocamen-to o schiacciati dal peso delle merci 299 persone. In grecia, al confine nord-orientale con la Turchia, nella provincia di Evros, esistono ancora i campi minati. Qui, tentando di attraversare a piedi il confine, sono rimaste uccise 88 persone.nel Canale di Sicilia sono morte almeno 4.183 persone, lungo le rotte che vanno dalla Libia (da zuwarah, Tripoli e Misratah), dalla Tunisia (da Sousse, Chebba e Mahdia) e dall’Egitto (in particolare la zona di Alessandria) verso le isole di Lampedusa, Pantelleria, Malta e la costa sud orientale della Sicilia, ma anche dall’Egitto e dalla Turchia alla Calabria. Più della metà (3.059) sono disperse. Altri 138 giovani sono annegati navigando dall’Algeria (Annaba) alla Sardegna.Le leggi europee, preoccupate di frenare ‘l’onda’ (così come viene definita dai media), sono molto restrittive, malgrado tutto la disperazione non si arresta né con le leggi né con le armi. E migliaia di persone continuano inesorabilmente a morire tra i flutti, vittime della bramosia di denaro dei trafficanti e dell’indifferenza dei governi. I pescatori italiani, sanzionati quando hanno dato soccorso ai barconi in difficoltà, hanno impa-rato a girare la testa. E hanno fatto l’abitudine a tirar su pesci e cadaveri.

MIgLIAIA dI PErSonE ConTInuAnoInESorABILMEnTE A MorIrE TrA I fLuTTI, vITTIME dELLA BrAMoSIA dI dEnAro dEI TrAffICAnTI E dELL’IndIffErEnzA dEIgovErnI. In QuESTA PAgInA ALCunI nuMErI ChE rACConTAno STorIE dI vITE PErduTE

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razza“di che razza sei? razza umana!” rispose così Albert Einstein quando, durante la guerra, gli fu chiesto a quale razza appartenesse. Le razze infatti tra gli umani non esistono. gli uomini e le donne di questa terra provengono tutte e tutti da un solo ceppo genetico proveniente dall’Africa, il che ci rende molto simili su piano biologico. Le differenze sono esclusivamente somatiche e derivano dal naturale processo di adattamento all’ambiente. da non usare se riferito a persone.

etniaSpesso utilizzata al posto della parola razza, è purtroppo portatrice degli stessi contenuti. Si parla di conflitti etnici, di etnia cinese, di cucina etnica, ecc.. In realtà è ancora un modo per distinguere un noi da un Loro. Molto meglio comunità di appartenenza.

clandestinoPossiamo sicuramente considerarla la parola più razzista del momento. è oramai sinonimo di criminalità, di illegalità, di presunte invasioni. Sta proprio a voi, giovani generazioni, diffidare di questo termine ed insegnare ad utilizzarne di più appropriati, come irregolari.

extracomunitarioChiamereste un cittadino usa extracomunitario? no di certo! Eppure lo è a tutti gli effetti, per-ché non appartenente all’uE. Eppure questo termine, utilizzato sempre e solo con accezione negativa, viene riservato solo ai migranti provenienti da zone povere del mondo. Per capirne l’uso strumentale, si pensi al fatto che invece lo si adotta anche nei confronti dei rumeni e dei polacchi, che invece fanno parte dell’uE. da evitare.

stranieroIn questa terra nessuno è straniero. Siamo tutti e tutte ospiti di passaggio, ed il posto dove arriviamo è del tutto casuale. In natura non esistono confini, che sono invece delle immaginarie

“ChI PArLA MALE, PEnSA MALE!” AffErMAvA In un CELEBrE fILM nAnnI MorETTI. Ed è ProPrIo dA QuESTo ChE vogLIAMo PArTIrE: dAL PrInCIPIo ChE IL LInguAggIo ChE ognI gIorno SCEgLIAMo dI uSArE non SoLo è IL noSTro BIgLIETTo dA vISITA, MA AnChE L’ESPrESSIonE dEL noSTro PEnSIEro.LE PAroLE hAnno un PESo E LA STrAordI-nArIA CAPACITà dI CondIzIonArE IL noSTro Mondo Ed IL noSTro PEnSIEro. PEr QuESTo vI ProPonIAMo QuESTo PICCoLISSIModIzIonArIo AnTIrAzzISTA, PEr non InCor-rErE nELL’ErrorE dI uTILIzzArE - MAgArI SEnzA ESSErnE ConSAPEvoLI - PAroLE PorTATrICI dI un LInguAggIo ChE dISCrIMI-nA, ALLonTAnA, ghETTIzzA.

parole chiave

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linee tracciate sulle cartine geografiche. Come affermare dunque quel che è nostro e cosa non lo è? è più straniero un africano nel Salento o un salentino a Milano? Cittadini migranti, non stranieri.

integrazioneviene utilizzato da tempo, in maniera del tutto bonaria. Quel che sfugge, però, è che, significa portare al proprio interno; implica dunque un annullamento della cultura dell’altro. da evitare. Molto meglio utilizzare la parola interazione, cioè agire insieme, in una condizione di parità e di reciproco arricchimento.

tolleranza“è necessario essere tolleranti con gli immigrati”. Ma tollerare è sinonimo di sopportare. Si tol-lera chi non riteniamo alla pari, chi è subalterno, e non chi, invece, merita rispetto e solidarietà.

badanteè uno degli equivoci più comuni: chiamare badanti chi si occupa dei nostri cari, spesso anziani. Ma badare è un termine più adatto agli animali che alle persone, perché significa sostanzial-mente vigilare. è dunque limitativo e doppiamente offensivo, sia per chi è addetto alla cura delle persone, sia per chi viene amorevolmente curato.

solidarietànon è certamente solo una parola, ma un vero e proprio principio esistenziale. non solo è capa-ce di sostituire l’odioso termine tolleranza, ma anche di gettare le basi per rapporti virtuosi con l’altro, sia esso il vicino di banco o il migrante proveniente dall’altra parte del mondo.

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AzIonI dI SISTEMA PEr L’ASSoCIAzIonISMo fAMILIArE

Comitato territoriale leCCe

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