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I Ghiacciai Una risorsa da conoscere della Lombardia I Ghiacciai della Lombardia Una risorsa da conoscere

I ghiacciai Della Lombardia

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I Ghiacciai Una risorsa da conosceredella Lombardia

I Ghiacciai della Lombardia Una risorsa da conoscere

I cambiamenti climatici globali e i processi di deglaciazione alpina sono di estrema attualità. Tali fenomeni stanno infatti determinando conseguenze rilevanti in primo luogo sul territorio alpino, sulla sua stabilità idrogeologica, sul paesaggio e sulla fruibilità in sicurezza di aree a notevole vocazione turistica. Ma i ghiacciai alpini rappresentano una risorsa produttiva importantissima per tutta la nostra Regione, sia nel settore idrico, che nel settore energetico, per la produzione idroelettrica.

La necessità di aggiornare con continuità lo stato delle conoscenze in questo campo è quindi di grande importanza, anche al fine di impostare adeguate azioni e politiche di adattamento ai cambiamenti in atto.

Negli ultimi anni Regione Lombardia - Direzione Territorio e Urbanistica ha promosso lo sviluppo delle conoscenze nel campo della ricerca glaciologica applicata al territorio lombardo in collaborazione con diversi soggetti, quali il Comitato Glaciologico Italiano, il Servizio Glaciologico Lombardo, l’Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Scienze della Terra, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Lombardia (ARPA) e l’Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia applicate alle Aree Alpine (IREALP).

Tali Enti e le analisi da essi condotte, hanno contribuito alla costruzione della banca dati “Ghiacciai di Lombardia”, uno dei livelli informativi presenti nell’Infrastruttura per l’Informazione Territoriale Lombarda (IIT) fruibile attraverso il Geoportale di Regione Lombardia (www.cartografia.regione.lombardia.it).

La banca dati “Ghiacciai di Lombardia” contiene oggi i tre catasti regionali relativi agli anni 1991, 1999 e 2003 e, periodicamente ed accuratamente aggiornata, rappresenta un valido strumento per il monitoraggio dell’evoluzione del glacialismo lombardo e un utile supporto ai processi pianificatori a varia scala. Inoltre, grazie alle funzionalità del Geoportale, i dati in essa contenuti sono facilmente raggiungibili ed accessibili da parte delle molteplici categorie di utenti interessati (comunità scientifica, pubblica amministrazione, insegnanti, studenti, escursionisti, alpinisti).

Con le informazioni ad oggi disponibili, coerenti con i dati raccolti a livello internazionale, è possibile elaborare alcune significative analisi sull’evoluzione in atto di questa risorsa, che vengono presentate sinteticamente in questa pubblicazione e che ci possono aiutare a prefigurare gli scenari futuri.

Le analisi dimostrano ormai senza alcun dubbio che, da circa 150 anni, con una sensibile accelerazione del fenomeno negli ultimi 20, è in atto un intenso regresso glaciale su tutta la catena alpina, che sta portando ad una vera e propria “disintegrazione” dei ghiacciai, con la fortissima riduzione o addirittura l’estinzione di quelli di minore dimensioni, con la frammentazione di quelli maggiori e con una rapida trasformazione del paesaggio dell’alta montagna.

L’Assessore regionale al Territorio e Urbanistica

21

Prem

essa

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Gran parte del territorio lombardo (circa il 41%) è montuoso ed ospita alcuni dei massicci più elevati delle Alpi ad est del Gottardo, come il Cevedale (3779 m), l’Adamello (3539 m) e il Bernina, che con i suoi 4049 m rappresenta il tetto di questo settore della catena (seppure per pochi metri in territorio elvetico). Queste montagne, ospitano le più vaste masse glaciali delle Alpi Italiane, poca cosa di fronte alle gigantesche calotte della Groenlandia e soprattutto dell’Antartide, che raccolgono la quasi totalità del ghiaccio terrestre, ma di notevole importanza a livello regionale.

I ghiacciai lombardi sono apparati “montani”, localizzati cioè su una catena montuosa, in valli, conche, circhi, valloni, versanti, canaloni, che ne condizionano morfologia ed evoluzione. Diversi quindi dai ghiacciai di “calotta” delle regioni polari che con i loro giganteschi spessori (anche 4 km) coprono e nascondono completamente le morfologie sottostanti. Diversi anche nella loro evoluzione e nelle caratteristiche fisiche. Mentre i ghiacciai polari sono formati da ghiaccio che è costantemente lontano dalla pressione di fusione e il loro movimento, molto lento, è dovuto quasi esclusivamente alla deformazione interna, i ghiacciai lombardi, come tutti i ghiacciai delle catene montuose al di fuori delle aree polari, sono formati da ghiaccio che d’estate è prossimo al punto di fusione (processo che quindi in alcuni mesi può avvenire comportando la riduzione della loro massa) e il loro movimento, che può arrivare a decine di metri all’anno, è dovuto sostanzialmente allo scivolamento sul letto roccioso e solo in piccola parte alla deformazione interna del ghiaccio ed alla deformazione del letto.

La nascita, l’evoluzione e l’estinzione di un ghiacciaio alpino sono fortemente influenzate dalle temperature estive (che determinano le

perdite di massa) e dalle nevicate invernali (che costituiscono l’alimentazione dei ghiacciai). E’ un sistema delicato che per mantenersi vitale deve avere un equilibrio fra perdite ed accumuli di massa; le prime sono causate soprattutto dalla fusione e sono concentrate nei settori inferiori (bacino ablatore) mentre i secondi sono costituiti da nevicate e valanghe che avvengono nelle aree superiori (bacino collettore). Se il sistema è in equilibrio, il ghiacciaio attraverso il proprio flusso verso valle trasporta massa che ripristina il materiale perso per fusione nei settori inferiori; il suo limite inferiore (chiamato fronte glaciale), quindi, resta stabile. Se la massa persa per fusione è maggiore di quanto accumulato (bilancio di massa negativo), il flusso glaciale non riesce a trasportare a valle sufficiente materiale per pareggiare le perdite e la lunghezza del ghiacciaio, a testimonianza del prevalere delle perdite, si riduce portando ad una retrocessione della fronte che si attesta a quote più elevate. Il ghiacciaio è dunque un sistema naturale fortemente condizionato dall’evoluzione della temperatura e delle precipitazioni; ciò lo rende un indicatore molto attendibile delle variazioni climatiche locali e globali. Lo studio delle variazioni glaciali in atto si colloca oggi fra i maggiori e più attuali temi di ricerca in campo ambientale e il ruolo della criosfera (ghiacciai, ghiaccio marino, permafrost) è considerato ormai unanimemente quello di fornire preziosi e rapidi segnali sulla dinamica del clima.I ghiacciai tuttavia offrono altri tipi di interesse applicativo anche economico; si tratta infatti di una risorsa preziosa a livello idrologico con importanti ricadute per quanto riguarda l’irrigazione e la produzione di energia. I ghiacciai inoltre rappresentano un importante fattore di polarizzazione nell’ambito del turismo alpino, sono sicuramente il simbolo più riconosciuto dell’alta montagna, l’oggetto più ricercato del paesaggio

alpino da parte di turisti, escursionisti ed alpinisti.La loro riduzione areale, in atto da circa 150 anni, ma con una sensibile accelerazione negli ultimi due decenni, è divenuta anche presso il grande pubblico la manifestazione più concreta e più evidente del cosiddetto global change.

I dati raccolti a livello internazionale dimostrano ormai senza alcun dubbio che vi è in atto un intenso regresso glaciale su tutta la catena alpina (e anche sulle altre catene montuose) che sta portando ad una vera e propria “disintegrazione” dei ghiacciai, con la fortissima riduzione o addirittura l’estinzione di quelli di minori dimensioni (con superficie inferiore a 1 km2), con la frammentazione di quelli

maggiori e con una rapida trasformazione del paesaggio dell’alta montagna.Anche i ghiacciai lombardi non sfuggono naturalmente a questa evoluzione e ben si prestano ad esemplificare questo fenomeno. Essi infatti formano un’importante subregione glacializzata che può veramente considerarsi rappresentativa di tutto il glacialismo italiano. Le Alpi Lombarde infatti non solo comprendono i due più vasti ghiacciai italiani (quello dell’Adamello con circa 18 km2 di superficie e quello dei Forni con circa 12 km2), ma raccolgono anche un numero elevato di ghiacciai piccoli e di medie dimensioni con un’ampia casistica di tipologie, esposizioni, morfologie, altitudini e inclinazioni.

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Quanti sono i ghiacciai in Lombardia ?Lo studio del glacialismo lombardo, che all’inizio si configurò come una vera e propria esplorazione, prese avvio fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo con le prime osservazioni e le prime misurazioni alle fronti dei ghiacciai della Valfurva, del Bernina, dell’Adamello. Numerosi studiosi se ne occuparono, prima nell’ambito della Commissione per lo Studio dei Ghiacciai istituita dal Club Alpino Italiano (attiva dal 1895 al 1912) e poi nell’ambito del Comitato Glaciologico Italiano; a questo proposito non si può non ricordare la lunga attività di ricerca di Giuseppe Nangeroni e Ardito Desio che si sviluppò per buona parte del XX secolo. All’opera del Comitato Glaciologico Italiano si unirà poi negli anni ottanta quella intensa e capillare del Servizio Glaciologico Lombardo, integrata, negli ultimi decenni, da numerosi altri enti che hanno sperimentato nuove metodologie per l’analisi dell’evoluzione (Università di Milano – Dipartimento di Scienze della Terra, Politecnico di Milano, Università di Brescia, CNR, ARPA-Lombardia, FLA, CESI).

Distribuzione dei ghiacciai nel territorio lombardo

L’evoluzione del Ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina (gruppo del Cevedale):

a) 1890; b) 1941; c) 1997; d) 2007

Variazioni frontali cumulate del Ghiacciaio dei Forni (alta Valtellina, Lombardia) rilevate tra il 1925 ed

il 2003.

Per determinare le caratteristiche dei ghiacciai lombardi e individuarne la fase evolutiva sono state utilizzate nell’arco di oltre un secolo tecniche di rilievo di vario tipo. Fra le più antiche (a partire dal 1895) vi sono le misure di variazione frontale. Si tratta della variazione della distanza fra un caposaldo esterno al ghiacciaio e il limite del ghiacciaio stesso, misurata ogni anno a fine estate mantenendo costante la direzione o azimut del rilievo. Se la distanza aumenta il ghiacciaio si sta allontanando dal caposaldo di misura (ovvero sta arretrando), se la distanza diminuisce il ghiacciaio si sta avvicinando al caposaldo (ovvero sta avanzando). La successione

di queste misure fornisce oggi curve cumulate anche ultrasecolari (quelle dei Forni o del Ventina ad esempio), dalle quali è possibile ricavare l’entità totale degli arretramenti e degli avanzamenti delle fronti. I dati, che riguardano un campione variabile fra qualche decina e un centinaio di ghiacciai, sono stati pubblicati sulle riviste del Comitato Glaciologico Italiano (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano dal 1914 al 1977, divenuto dal 1978 ad oggi Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria) e a partire dal 1998 anche sulla rivista del Servizio Glaciologico Lombardo, Terra Glacialis.

Nel 1987 sono iniziati anche i bilanci di massa, cioè le misure di variazione di spessore e di volume da un anno idrologico al successivo, sul Ghiacciaio della

Sforzellina e successivamente su un’altra decina di ghiacciai.

I bilanci di massa annui del Ghiacciaio della Sforzellina (alta Valtellina Lombardia)

calcolati tra l’anno idrologico 1986/87 e l’anno idrologico

2006/2007. La linea rappresenta

la quota della Linea di Equilibrio o ELA (Equilibrium Line

Altitude), altitudine alla quale accumulo

ed ablazione si equivalgono ed il

bilancio di massa è pertanto pari a zero.

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Per avere informazioni sul numero dei ghiacciai lombardi e sulla superficie complessiva da essi ricoperta, è necessario realizzare dei catasti o inventari, che identificano i vari apparati glaciali e ne misurano le caratteristiche geometriche (area, lunghezza, quota minima e massima, etc.).

Il primo catasto dei ghiacciai lombardi fu realizzato dal Comitato Glaciologico Italiano nel 1961 a cura di Giuseppe Nangeroni nell’ambito del catasto nazionale con l’utilizzo di cartografia e rilievi di terreno. In quell’occasione vennero individuati 271 ghiacciai (dei quali 186 esistenti e 86 estinti o trasformati in glacionevati, termine quest’ultimo con il quale si indica la fase finale di evoluzione di un ghiacciaio) con una superficie complessiva di circa 117 km2. Nell’ambito della partecipazione italiana al World Glacier Inventory (Catasto Internazionale dei Ghiacciai) fu poi realizzato un nuovo catasto a cura di Claudio Smiraglia e Guido Catasta con l’utilizzo di foto aeree del 1981-1983. In questo vennero individuati 305 apparati (fra ghiacciai in senso stretto e glacionevati) per una superficie di circa

113 km2. Nel 1992 venne pubblicato dal Servizio Glaciologico Lombardo (a cura di Antonio Galluccio e Guido Catasta) un pregevole catasto regionale con l’utilizzo di cartografia, foto da terra e rilievi di terreno del 1991; vi figurano 334 apparati per una superficie di 119,4 km2. Dati più recenti (1998-2001) del Servizio Glaciologico Lombardo indicano una superficie complessiva di 110 km2.I confronti fra i vari catasti non sono agevoli a causa delle diverse metodologie utilizzate. Si constata comunque che dalla metà del XX secolo il glacialismo lombardo avrebbe subito una riduzione areale di circa il 6%. L’incremento nel numero degli apparati fra il 1961 e il 1981, così come l’incremento di superficie del catasto 1992 rispetto a quelli precedenti, può essere attribuito sia ad una maggiore precisione nell’individuazione dei singoli ghiacciai, sia (almeno per il confronto 1961-1981) ad un reale incremento del glacialismo (è la piccola fase di espansione che ha caratterizzato i ghiacciai alpini fra il 1965 e il 1985).

Le variazioni recenti del glacialismo lombardoPer ottenere informazioni più precise sull’evoluzione in corso dei ghiacciai lombardi, nell’ambito di un progetto di ricerca sostenuto dalla Regione Lombardia si è proceduto alla realizzazione di due nuovi inventari che hanno utilizzato elaborazioni di ortofoto e supportate da rilievi di terreno con tecnica GPS differenziale (DGPS) in modalità fast-statica rispetto a basi master locali.I dati geometrici di base (aree-lunghezze-larghezze) sono stati rilevati per il primo nuovo inventario da ortofoto in bianco e nero (AIMA 1997) e a colori (Terra Italy 89-99) e per il secondo nuovo inventario da ortofoto a colori (Terra Italy 2003).

I nuovi dati sono poi stati confrontati con quelli del catasto 1992. Le ortofoto impiegate per la ricerca hanno costituito il livello di riferimento di un Sistema Geografico Informativo (GIS) allestito per delimitare manualmente i limiti glaciali ed archiviare in un database relazionale i caratteri morfometrici rilevati (area, perimetro, lunghezza, larghezza e dislivello altimetrico degli apparati). Le ortofoto utilizzate sono prodotti commerciali restituiti dalla Compagnia Generale Riprese Aeree – CGR- con risoluzione planimetrica di un pixel avente lato di 1 m per le immagini 1999 e 0,5 m per le immagini 2003. L’accuratezza delle immagini garantita dal produttore è pari a ± 2 m per le immagini 1999 e ± 1 m per quelle 2003. L’integrazione tra dati telerilevati (da ortofoto) e dati di terreno (da rilievi DGPS) si è resa necessaria per ottimizzare le informazioni morfometriche relative al 1999;

diversamente le ortofoto 2003 sono risultate di eccezionale qualità e nitidezza grazie anche alle particolari condizioni meteorologiche dominanti l’estate 2003 (quasi totale assenza di neve anche nei settori superiori degli apparati glaciali) e non hanno richiesto verifiche di terreno dei limiti glaciali.

I ghiacciai lombardi sono risultati 340 nel 1999 e 348 nel 2003, con un lieve aumento numerico rispetto al 1991 dovuto a diverse cause fra le quali la frammentazione di ghiacciai preesistenti.

Le variazioni areali

Evoluzione dei ghiacciai lombardi per classe dimensionale

Per effettuare confronti attendibili sono quindi stati utilizzati solo i dati dei ghiacciai presenti contemporaneamente in tutte e tre le serie, che sono risultati 249. Dal confronto sono stati esclusi i ghiacciai presenti nel catasto 1992 ma estinti o non ritrovati nel 1999 e/o nel 2003 (a causa ad esempio della copertura nevosa) e quelli presenti nel catasto del 1999 e/o in quello del 2003, ma non in quello precedente (ad esempio a causa del frazionamento di un ghiacciaio in più parti). Il confronto è apparso in ogni caso significativo se si tiene conto che per quanto riguarda ad esempio il 2003 i 249 ghiacciai utilizzati coprono il 98% dell’intera superficie glaciale individuata sulle ortofoto.

Suddividendo i 249 ghiacciai in 7 classi dimensionali omogenee, è evidente l’aumento del numero di ghiacciai della classe dimensionale inferiore, sottolineando la riduzione dimensionale del glacialismo lombardo (Fig. sotto).

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Utilizzando sempre le tre serie di dati riguardanti lo stesso campione di ghiacciai si osserva che la superficie complessiva che assommava a 117,4 km2 nel 1991 si è ridotta a 104,7 km2 nel 1999 e a 92,4 km2 nel 2003. La contrazione areale per l’intero periodo è stata quindi di 25 km2 (-21%), ma è avvenuta con ritmi diversi; infatti fra il 1991 e il 1999 si è registrata una riduzione di 12,7 km2 (1,6 km2 per anno), mentre dal 1999 al 2003 il glacialismo lombardo si è ridotto di altri 12,3 km2, quasi raddoppiando il tasso di regresso annuale (3,1 km2 per anno).Le variazioni areali, pur interessando i ghiacciai di tutte le dimensioni, sono state particolarmente evidenti e intense per i ghiacciai di minori dimensioni, in particolare per quelli appartenenti alla classe 0,1-0,5 km2 .(Fig. 6) Su una perdita totale di 25 km2 il maggior contributo (-7.2 km2

pari a -29%) alla contrazione, infatti, è stato fornito dai ghiacciai che nel catasto 1992 erano stati classificati nella classe dimensionale sopra indicata e che rappresentavano nel 2003 circa l’11% della superficie glacializzata totale. Se si considerano poi tutti i ghiacciai di superficie inferiore ad 1 km2 (ovvero i 233 ghiacciai che nel 1991 afferivano alle prime tre classi dimensionali), si osserva che questi, pur ricoprendo nel 1991 meno del 30% della superficie glacializzata lombarda, nel periodo 1991-2003 hanno contribuito ad oltre il 50% delle perdite areali regionali. I ghiacciai di dimensioni maggiori, invece, ovvero gli apparati di area superiore ai 5 km2, che nel 1991 rappresentavano oltre il 50% della superficie glaciale regionale, hanno contribuito alla riduzione glaciale lombarda per meno del 20%.

Evoluzione dell’estensione dei ghiacciai per classe

dimensionale

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Si confrontino a questo proposito le variazioni areali presentate nella Tab. 1, che sono state calcolate confrontando le aree dei ghiacciai di ciascuna classe dimensionale con quella degli stessi ghiacciai in periodi successivi (ovvero, allo scopo di calcolare le variazioni di superficie si sono tenute fisse le classi dimensionali del 1991 per evitare errori quali falsi

aumenti areali delle classi inferiori conseguenti all’aumento numerico degli apparati glaciali a queste afferenti). In questo modo le variazioni di superficie calcolate non sono affette dalle conseguenze dello slittamento dei ghiacciai dalle classi maggiori a quelle inferiori.

A titolo di esempio nella Tab. 2 si riportano le variazioni areali di alcuni dei maggiori ghiacciai lombardi partendo dai dati del World Glacier Inventory del 1981.

Attraverso le analisi delle ortofoto si sono valutate anche le variazioni di estensione altitudinale dei ghiacciai lombardi attraverso il confronto delle quote minime (frontali) e massime (limite superiore del bacino glaciale) dei 249 ghiacciai considerati. E’ risultato che la media delle quote minime è aumentata da 2690 m nel 1991 a 2745 m nel 2003, mentre la media delle quote massime è diminuita dai 3043 m nel 1991 ai 2985 m del 2003. Si è quindi messa in evidenza, ad ulteriore dimostrazione dell’intensa fase di regresso dei ghiacciai lombardi, non solo l’innalzamento delle quote frontali, che è il primo sintomo di una rottura dell’equilibrio del sistema glaciale con l’evoluzione climatica, ma anche l’abbassamento dei settori superiori, fenomeno che indica una fase avanzata

di crisi glaciale. Come si è già sottolineato, la fase di degradazione del glacialismo lombardo si sta acuendo, come è evidenziato anche dalla Tab. 3, dove sono indicate le variazioni areali medie annue per tutte la classi dimensionali. Come si può constatare, i ghiacciai di tutte le classi dimensionali mostrano un incremento della riduzione areale media annua dal primo periodo al secondo. L’unica eccezione sembra quella della classe minore che mostra riduzioni uguali, ma in realtà se non si arrotonda ad un solo decimale si passa da una media annua di -0,15 km2 a -0,23 km2.

TABELLA. 1 - Estensione areale e variazioni dei ghiacciai lombardi per classe dimensionale.

TABELLA 2: aree dei maggiori ghiacciai lombardi negli ultimi 20 anni. I valori areali sono espressi in km2.

Ghiacciaio

AdamelloForniScerscen Sup.Fellaria WFellaria EstDosegù

Area (km2) 198118,813,25,35,15,03,4

Area (km2) 199118,112,95,55,05,22,7

Area (km2)199917,412.75.44.85.02.3

Area (km2)200316,712,05,04,74,92,2

TABELLA 3 - Variazioni areali medie annue (valori in km2/anno) negli intervalli di tempo considerato (1991-1999, 1999-2003, 1992-2003).

Classe dimensionale (km2)<0.10.1-0.50.5-11-22-55-10>10totale

1991-1999- 0.2- 0.6- 0.2- 0.2- 0.3- 0.1- 0.2- 1.6

1999-2003- 0.2- 0.7- 0.5- 0.3- 0.6- 0.3- 0.4- 3.1

1991-2003- 0.2- 0.7- 0.3- 0.2- 0.4- 0.2- 0.2- 2.3

INTERVALLO TEMPORALE

I soli dati areali e le loro variazioni non rendono compiutamente l’idea dell’importanza del glacialismo lombardo come risorsa idrica e dell’intensità della degradazione in atto. Si è quindi proceduto ad una valutazione di spessori e volumi nei tre intervalli di tempo, parametri questi molto meno semplici da valutare rispetto a quelli areali. Per il calcolo degli spessori e dei relativi volumi si può procedere con metodi di prospezione indiretta come quella geofisica (sondaggi sismici, elettrici, o radar che si basano sulla diversa velocità di propagazione nel ghiaccio e nella roccia rispettivamente di vibrazioni o impulsi sonori, elettrici, elettromagnetici) su apparati campione, tecniche che sono state utilizzate su alcuni ghiacciai come quelli dei Forni (sulla lingua di confluenza è stato trovato uno spessore massimo, appena a valle della seraccata centrale, di circa 90 m), dell’Adamello, della Sforzellina (spessore medio 30 m), del Dosdè Orientale (spessore medio 40 m, spessore massimo poco più di 60 m). La prospezione geofisica non può, per motivi logistici ed economici, venire applicata a scala regionale, ma può venire utilmente impiegata per calibrare le valutazioni di spessore e volume glaciale ottenute attraverso l’applicazione di metodi analitici che si basano sulle relazioni non lineari esistenti tra alcuni parametri morfometrici glaciali (come il dislivello altimetrico, ovvero la differenza tra la quota minima e la quota massima di un apparato) e la componente parallela al pendio dello sforzo conseguente alla massa glaciale stessa, ovvero lo sforzo di taglio basale (indicato in fisica con la lettera greca τ). Più precisamente gli spessori medi glaciali possono venire stimati sulla base degli sforzi di taglio basale (τ) calcolati in modo non lineare a partire dai dislivelli altimetrici degli apparati seguendo il metodo proposto da alcuni ricercatori svizzeri (Haeberli & Holzle, 1995). Conoscendo τ è quindi possibile stimare lo spessore medio glaciale, τ infatti per un ghiacciaio medio è così definita:

τ = ρ g h sen α

con ρ pari alla densità del ghiaccio (917 kg/m3), g accelerazione di gravità, h spessore della colonna di ghiaccio e sen α seno dell’inclinazione media del letto glaciale.Ottenuto lo spessore medio glaciale questo può venire esteso all’area dell’apparato misurata nei diversi periodi permettendo di stimare i volumi e le loro variazioni.Il confronto fra i dati di spessore medio stimati attraverso il metodo analitico e quelli ricavati dai metodi di terreno indiretti (elettrici, sismici e radar) ha evidenziato un buon accordo ed ha quindi suggerito di estendere l’applicazione del metodo analitico all’intero campione lombardo, almeno per quanto riguarda i ghiacciai di area superiore a 0,1 km2.La variazione media di spessore dei ghiacciai lombardi nel periodo 1991-2003 (calcolata rispetto alla superficie reale ricoperta nel 1991 dai 116 ghiacciai considerati, pari a 112.1 km2) è risultata di circa - 6.84 m pari ad un valore medio annuo di -0.57 m. Nel periodo 1991-1999 la variazione di spessore glaciale medio è stata di -3,4 m (pari a - 0.43 m/anno), mentre tra il 1999 ed il 2003 lo spessore di ghiaccio perso in media dai ghiacciai lombardi (riferito alla copertura areale 1999 dei ghiacciai con area maggiore di 0.1 km2, pari a 100.6 km2), è risultato di circa -3,9 m pari ad un valore medio di - 0.98 m/ anno. Questi dati, che confermano un’accelerazione della contrazione dei ghiacciai lombardi, risultano molto simili ai valori medi annui di variazione dello spessore dei ghiacciai alpini (italiani e non) raccolti nei data base internazionali a cura del World Glacier Monitoring Service di Zurigo (IAHS (ICSI) - UNEP – UNESCO, 1988-2005). Per quanto riguarda i volumi, utilizzando i dati di spessore e di superficie, si è arrivati alla quantificazione di un volume totale di ghiaccio per l’intero campione considerato di 5.15 km3 nel 1991 (corrispondenti ad una riserva idrica di 4.72 km3), di 4.72 km3 nel 1999 (riserva idrica di 4.33 km3)

Le variazioni volumetriche

ClasseDimensionale(km2)

<0.10.1-0.50.5-11-22-55-10>10totale

Area(km2) 1991

5.317.611.711.219.021.631.0117.4

Area (km2)

1999

4.113.110.010.016.920.929.7104.7

Area (km2)

2003

3.210.47.98.714.319.628.392.4

Area(km2)

1991-2003- 2.1- 7.2- 3.8- 2.5- 4.7- 2.0- 2.7- 25.0

Area(km2)

1999-2003- 0.9- 2.7- 2.1- 1.3- 2.6- 1.3- 1.4- 12.3

Area %

1991-2003- 8.3- 28.9- 15.3- 9.8- 18.9- 7.9- 10.8- 100.0

Area%

1999-2003- 7.2- 22.2- 17.3- 10.2- 21.3- 10.3- 11.5- 100.0

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Se, come sottolineato più sopra, i ghiacciai sopravvivono finché persiste il delicato equilibrio fra fusione nivo glaciale ed accumulo nevoso, i dati delle stazioni meteorologiche dovrebbero evidenziare una recente variazione dei fenomeni meteoclimatici che modulano distribuzione ed entità di questi due parametri. Considerando, seppur in modo semplicistico, come forzanti climatiche principali le temperature e le precipitazioni, si

sono elaborati i dati rilevati presso alcune stazioni meteorologiche lombarde, calcolando le anomalie o scarti rispetto ad un periodo di riferimento. Si tratta delle stazioni di Bormio (1225 m) e dei Forni (2180 m), in alta Valtellina (Gruppo dell’Ortles-Cevedale), e di quella di Diga Avio (1860 m), nel Gruppo dell’Adamello, che per distribuzione e altimetria possono venire considerate ben rappresentative delle condizioni meteoclimatiche dell’alta montagna

Ghiacciai e clima

e di 4.26 km3 nel 2003 (riserva idrica di 3.91 km3). Per avere un termine di paragone si può ricordare che l’afflusso meteorico medio annuo sulla Regione viene valutato in circa 27 km3 (dati ARPA Lombardia). Tra il 1991 ed il 1999 il glacialismo lombardo ha dunque subito una riduzione volumetrica di circa 0.379 km3 di ghiaccio, nel periodo successivo (1999 -2003) la quantità di ghiaccio persa è aumentata ed ha raggiunto 0.388 km3, portando la perdita complessiva sull’intero periodo a 0.766 km3 di ghiaccio, pari ad un volume di acqua di circa 0.697 km3. Un simile valore è confrontabile con il volume di acqua contenuto in circa 7 grandi invasi artificiali

presenti sul territorio lombardo per la produzione di energia idroelettrica (ricordiamo a titolo di esempio che il bacino di S. Giacomo in alta Valtellina raggiunge un volume di 64 milioni di m3 d’acqua, mentre quello di Cancano, uno delle più grandi della Lombardia, racchiude oltre 120 milioni di m3 di acqua). La perdita media volumetrica è stata stimata pari a circa - 0.05 km3/anno di ghiaccio nel periodo 1991-1999, è aumentata raggiungendo i - 0.10 km3/anno nell’intervallo 1999-2003 ed in media è risultata pari a - 0.07 km3/anno tra il 1991 ed il 2003.

Il Settore Sistemi Informativi Ambientali di ARPA Lombardia ha sviluppato metodologie operative di monitoraggio dei ghiacciai con l’utilizzo di immagini satellitari stereoscopiche IKONOS. Le principali applicazioni di questo tipo di attività sono la valutazione degli impatti a scala locale del cambiamento climatico sui ghiacciai lombardi, e la stima del contributo della fusione glaciale al ciclo idrologico, con un approccio parallelo e complementare rispetto alle tradizionali metodologie di analisi glaciologica di campo.Le immagini satellitari IKONOS hanno permesso, grazie all’elevata risoluzione geometrica, un’accurata valutazione delle variazioni planimetriche dei corpi glaciali investigati. Inoltre, sfruttando le riprese stereoscopiche, e quindi la possibilità di ricostruire i modelli digitali del terreno, è possibile valutare le variazioni di spessore e stimare le variazioni volumetriche, sia tramite confronto con cartografia storica che con riprese satellitari ripetute.Le aree investigate, con riprese estive effettuate nel 2003, 2004, 2006 e 2007, sono state i principali comprensori glaciali glaciali lombardi, raggiungendo la copertura di circa il 70% dell’estensione dei

ghiacciai regionali. I principali ghiacciai analizzati sono situati in alta Valtellina (in particolare il ghiacciaio dei Forni, il comprensorio del M. Confinale e del M. Sobretta), sul gruppo del Bernina (es., i ghiacciai Scerscen Sup. e Inf., Fellaria Est e Ovest) e sul gruppo dell’Adamello (es. i ghiacciai Adamello-Mandrone, Venerocolo, Pisgana Est e Ovest). Dai casi in cui le analisi sono state ripetute su più annualità, emerge che i trend stimati di perdita di spessore e di conseguenza di volume mostrano una decisa accelerazione negli anni recenti.

La metodologia sviluppata è complementare e integrata con le tecniche tradizionali di campo (misure frontali, bilanci di massa, bilanci energetici) ed i due approcci potranno coesistere in un’ottica di monitoraggio integrato e “multi-scala” dei corpi glaciali.

Per una trattazione più esaustiva dei risultati su tutti i comprensori glaciali investigati, si rimanda all’articolo disponibile nel CD allegato.

Il monitoraggio dei ghiacciai con tecniche ditelerilevamento

lombarda glacializzata. I dati delle stazioni di Bormio e dei Forni (temperatura dell’aria e precipitazioni liquide o equivalenti) sono rilevati a cadenza oraria e registrati nel database generale di ARPA Lombardia; i dati di Avio Diga (temperatura dell’aria, precipitazioni liquide, spessore della neve al suolo) sono rilevati giornalmente e registrati a cura di Enel che gestisce i vicini impianti idroelettrici. Per quanto riguarda le temperature medie annue, se per Bormio si prende in considerazione l’intervallo temporale 1966-2006 si ottiene un valore sull’intero periodo di +7.5 °C. Limitando l’elaborazione al periodo 1992-2003, la temperatura media è pari a +8°C, evidenziando pertanto un aumento di circa 0.5°C rispetto alla temperatura media del quarantennio. Ad Avio Diga il valore termico medio nel periodo 1966-2006 risulta pari a +4.2 °C; se si considera l’intervallo 1992-2003, la media annua risulta di +4.6°C, portando a valutare l’incremento medio in circa 0.4°C.

Se si riduce il periodo di analisi all’intervello 1992-1998 la temperatura media annua a Diga Avio risulta di 4.3°C, suggerendo un incremento di 0.1 °C rispetto al quarantennio di riferimento; se invece si prende in esame il periodo 1999-2003, i dati medi di Avio (+5.0 °C) permettono di quantificare l’aumento di temperatura in circa 0.8°C. Quest’ultimo elevato valore è in accordo con quanto ritrovato da altri autori analizzando le variazioni termiche alpine degli ultimi anni che risultano molto amplificate rispetto alle aree collinari o di pianura. Prendendo in esame la stazione Forni nel periodo 1988-2005, i risultati sono lievemente diversi; non emerge, infatti, un chiaro segnale dai dati annui che sembrano abbastanza stabili e senza alcuna tendenza evidente; sono invece i dati medi estivi (Giugno-Agosto) a fornire le informazioni più interessanti, evidenziando un incremento di 0.2°C nel periodo 1992-2003 rispetto al 1988-2005 ed un aumento di 0.6°C nell’intervallo 1999-2003.

Anomalie termiche annue (in °C) calcolate per le

stazioni di Bormio (1225 m) e di Diga Avio (1860 m) rispetto alla media del periodo 1966-2006. Le due rette rappresentano le interpolanti lineari alle

due serie di dati

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Questa riduzione potrebbe essere attribuita alle variazioni dell’intensità della circolazione atmosferica generale sull’area Nord Atlantica, in particolare alla variabilità interannuale dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO, North Atlantic Oscillation), che secondo alcuni studiosi potrebbe giustificare la maggior parte delle oscillazioni climatiche dell’America Settentrionale e dell’Europa Centrale ed Occidentale. Durante l’ultimo decennio

del XX secolo si sono spesso registrati valori positivi dell’indice barico tra Islanda ed Azzorre, indice che è appunto indicato come Oscillazione Nord Atlantica o NAO. Negli anni nei quali si registra un valore dell’indice NAO elevato, cioè un sensibile scarto barico fra l’anticlone delle Azzorre e il ciclone dell’Islanda, le perturbazioni invernali provenienti dall’Atlantico cariche di umidità tendono solamente a sfiorare le Alpi e a dirigersi più a nord-est;

Un paesaggio che cambia

Le rette interpolanti le anomalie termiche calcolate per Bormio e per Diga Avio rispetto al valore medio del periodo 1966-2006 indicano una comune tendenza all’aumento che avviene a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, nonostante le differenze puntuali che riflettono le diverse condizioni stazionali (quota, esposizione, localizzazione geografica, ecc.). Questo periodo caldo, sincrono con quanto è avvenuto anche a scala emisferica e globale, presenta maggior intensità a Diga Avio dove l’aumento supera gli 0.8°C nel periodo 1999-2003, valore pari a circa tre volte l’intensità delle variazioni termiche globali. Risultati simili sono riportati da diversi autori che hanno analizzato dati termici rilevati presso stazioni alpine e/o montane (Beniston, 2006).Per quanto concerne le precipitazioni, i dati più importanti sono sicuramente quelli delle

precipitazioni solide che costituiscono la principale fonte di alimentazione dei ghiacciai alpini. I dati della stazione di Bormio e dei Forni si riferiscono ai valori in acqua equivalenti e permettono di quantificare un decremento medio dal 1988 ad oggi di circa il 10%. I dati raccolti alla stazione Diga Avio sono invece riferiti agli spessori nivali misurati quotidianamente dal 1966 al 2006. L’analisi delle anomalie annue (calcolate rispetto alla media 1966-2006) dello spessore nivale riportato in equivalenti in acqua (m water equivalent o w.e.) evidenzia un netto decremento (circa 11.4%) nel periodo 1999-2003 rispetto alle media 1966-2006. Se si considera l’intervallo temporale 1999-2006, il decremento è più intenso e pari a 16%.

Anomalie annue (in m w.e.) dello spessore nevoso calcolate per la stazione di Diga Avio (1860 m) rispetto alla media del periodo 1966-2006. La retta rappresenta l’ interpolante lineare

nell’area alpina si verificano quindi precipitazioni di minore intensità rispetto alla media con temperature invernali superiori ai valori medi stagionali. L’influenza sull’accumulo nevoso della variabilità della NAO può essere apprezzata se si confrontano le anomalie dei dati di spessore nivale di Avio Diga

nel periodo 1966-2006 con i valori dell’indice NAO calcolati sempre nell’intervallo 1966-2006 per i mesi dell’anno invernali-primaverili (Gennaio-Marzo); si osserva infatti che a valori positivi dell’indice NAO corrispondono anomalie negative dello spessore nivale e viceversa.

Anomalie annue (in m w.e.) dello spessore nevoso calcolate per la stazione di Diga Avio (1860 m) rispetto alla media del periodo 1966-2006 a confronto con l’indice NAO dei mesi di Gennaio-Marzo

Il confronto dei dati geometrici dei ghiacciai lombardi fra il 1991 e il 2003 indica in sintesi una notevole riduzione areale di circa 25 km2 (da 117.4 km2 nel 1992 a 92.4 km2 nel 2003, -21%). E’ un fenomeno che mostra tuttavia un’accelerazione negli anni più recenti; tra il 1991 ed il 1999 sono infatti andati persi 1.6 km2/anno, mentre negli ultimi 4 anni il glacialismo lombardo si è ridotto di 3,1 km2/ anno (i valori sono calcolati tralasciando i ghiacciai minori di 10 ettari). Il maggior contributo (-7.2 km2, pari a -29%) alla contrazione è stato fornito dai ghiacciai che nel 1991 erano stati classificati nella classe dimensionale 0.1-0.5 km2.

Per quanto riguarda spessori e volumi, la variazione media di spessore stimata per il periodo 1991-2003 è risultata di -6.84 m (-0,57 m/anno), anche in questo caso con un’accelerazione; fra il 1991 e il 1999 la riduzione di spessore glaciale media annua è stata infatti di -0.43 m, salita fra il 1999 ed il 2003 a 0.98 m/ anno. Lo stesso si può dire per le perdite volumetriche totali, risultanti di 0.766 km3 di ghiaccio, pari ad un volume di acqua di circa 0.697 km3 (-0.05 km3/anno tra il 1991 ed il 1999 e -0.10 km3/anno fra il 1999 e il 2003). A fronte di questa intensa riduzione segnata da un’accelerazione negli anni più recenti, si sono misurati incrementi della temperatura media

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annua fra il 1991 e il 2003 compresi fra 0.4°C e 0.5 °C, che fra il 1999 e il 2003 salgono a 0.8°C; contemporaneamente si registra un decremento medio delle precipitazioni di circa il 10% con un decremento dello spessore nivale (circa -11.4%) nel periodo 1999-2003 rispetto alle media 1966-2006. I dati sopra presentati, nella loro freddezza statistica, non danno tuttavia un’idea se non molto indiretta delle rapide e intense trasformazioni del paesaggio glaciale dell’alta montagna lombarda, dove negli anni più recenti a partire dal 2003 ogni estate ha visto la perdita per fusione di spessori medi di ghiaccio superiori ai 2 m. Nel 2006, ad esempio, i bilanci di massa hanno fatto registrare una riduzione di spessore medio di circa 2 m di equivalente in acqua, corrispondente ad un volume complessivo di poco meno di 200 milioni di m3 (è il caso di ricordare che l’afflusso totale estivo 2006 da giugno a settembre nel bacino dell’Adda prelacuale è stato, secondo i dati di ARPA-Lombardia, di circa 920 milioni di m3).Il quadro di intensa deglaciazione assume i suoi connotati più “drammatici” quando si percorrono le zone più elevate delle montagne lombarde e si assiste ad una serie di rapidissime trasformazioni morfologiche. Dove fino a pochi anni fa si estendevano le fronti e le lingue dei ghiacciai, oggi si trovano ammassi di detriti grossolani e fini rimaneggiati in modo “selvaggio” dalle acque di fusione. Le superfici glaciali che ancora negli anni ’80 apparivano anche a fine stagione in gran parte ricoperte di neve residua e quindi con un limite delle nevi piuttosto basso, oggi si presentano quasi totalmente prive di alimentazione, con un limite delle nevi molto elevato o addirittura inesistente, come è avvenuto per tutti i ghiacciai lombardi durante l’estate 2003, con la superficie solcata da torrenti superficiali.

Fra le principali variazioni morfologiche si osservano:-aumenti della copertura detritica superficiale, anche a causa di grandi frane (questo fenomeno riguarda praticamente tutti i ghiacciai lombardi, ad esempio il Porola e il Marovin nelle Orobie, il Gavia, la Sforzellina e lo Zebrù nel Cevedale, il Bompià in Adamello, il Campo Nord nel Livignasco, i Cassandra Ovest e Centrale nel gruppo del Monte Disgrazia, il Venerocolo, sempre in Adamello, che è il maggiore ghiacciaio lombardo tipo debris covered, con la lingua cioè completamente ricoperta di detrito); -formazione presso le fronti di laghi di contatto glaciale, spesso effimeri (solo per citarne alcuni fra i numerosissimi, al Ghiacciaio dei Forni nel gruppo del Cevedale, al Pisgana Ovest sull’Adamello, al Fellaria Ovest e al Fellaria Est sul Bernina, al Ponciagna nel settore Spluga-Lei);

-emersione di “finestre rocciose” in rapido ampliamento che interrompono la continuità delle colate glaciali e ne predispongono la frammentazione in più apparati distinti (ad esempio sul Porola e sullo Scais nelle Orobie, sul Pisgana Ovest, sull’Avio Est e sul Pian di Neve in Adamello, sui Forni, sullo Scalino, sullo Scerscen Inferiore, sul Pizzo Ferrè, sul Sissone, sul Caspoggio);- frammentazione di interi corpi glaciali, che talora generano lingue separate (ad esempio il Fellaria Est sul Bernina e il Sivigia Nord-Est nel settore Codera-Masino);

-estinzione o pre-estinzione di numerosi ghiacciai di piccole dimensioni (ad esempio il Sasso Torto nel settore Dosdè-Piazzi, il Gemelli, il Pizzo del Ferro Ovest e il Passo di Bondo Inferiore nel settore Codera-Masino, il Pizzo Zembrasca nel Livignasco, il Monte Torena nelle Orobie, il Cima del Duca sul Monte Disgrazia).E’ uno scenario che richiama un “collasso” della criosfera piuttosto che una risposta dinamica ai cambiamenti climatici, una situazione che rende

quindi improbabile che l’attuale tendenza possa concludersi o invertirsi in un prossimo futuro.

Effetti della deglaciazione sul settore destro idrografico della lingua del Ghiacciaio dei Forni (alta Valtellina, Lombardia): si osservano il crollo di un settore del ghiacciaio a seguito dell’azione erosiva termica e meccanica operata dal torrente subglaciale, l’emersione di finestre rocciose, fenomeni di flussi detritici presso la morena

laterale che ne rivelano il nucleo centrale in ghiaccio di ghiacciaio anch’esso sottoposto ad intensa fusione.

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E’ interessante a questo punto riportare quanto scritto recentemente dai colleghi svizzeri coordinati da Wilfried Haeberli, noto scienziato esperto nello studio dei ghiacciai alpini: “Dopo un modesto e temporaneo incremento a partire dagli anni ’60, dopo l’inizio degli anni ’80 i bilanci di massa glaciale sono diventati fortemente negativi. Molte lingue glaciali hanno cominciato a rispondere a questo segnale, ma sono ancora ben lontane dall’aver raggiunto una fase di equilibrio. Oggi le lingue dei ghiacciai di medie dimensioni riflettono ancora le condizioni climatiche della fine del secolo scorso. Nello stesso tempo la perdita media di volume dei ghiacciai alpini è cresciuta del 2-3% ogni anno. Per un completo adeguamento alle condizioni climatiche degli anni successivi al 2000, molte lingue e fronti glaciali dovrebbero arretrare ulteriormente per un chilometro o più ed è chiaro che se si ripetesse la situazione dell’estate 2003, molti ghiacciai sparirebbero completamente. La riduzione di spessore è divenuta così veloce che la maggior parte dei ghiacciai ha cominciato a modificare la propria evoluzione, passando da un “regresso attivo” per rimettersi gradualmente in equilibrio con le condizioni climatiche ad un vero e proprio “collasso”. Sono parole che sembrano riecheggiare quanto scritto da Antonio Stoppani nel Bel Paese, edizione 1876: “Il regresso continua; continuano inesorabilmente l’impicciolimento e la scomparsa totale o parziale delle nevi persistenti, delle vedrette e dei ghiacciai. All’occhio di chi li ha visti appunto circa 40 anni fa, quando i ghiacciai erano nella massima piena, è uno spettacolo di desolazione: è lo spettacolo che può presentare un campo dopo la grandine, una città dopo un terremoto, o per trovare una similitudine più a proposito, un corpo, già florido e ben nutrito, poi ridotto pelle e ossa dalla tisi.” Ma Stoppani dipingeva un paesaggio che riguardava la prima grande fase di regresso seguita alla Piccola Età Glaciale, quando i ghiacciai lombardi nei primi decenni del XIX secolo avevano raggiunto la loro massima espansione storica. Espansione che nel 1825 faceva scrivere alla guida di Chamonix Joseph-Marie Couttet: “Quest’anno fortunatamente i ghiacciai non hanno raggiunto i nostri pascoli. Temevamo che avrebbero distrutto le nostre case come accadde 100 anni fa… I ghiacciai avanzano e si ritirano senza che si riesca a capire il perché. Forse fra 200 anni questi ghiacciai saranno completamente spariti dalle nostre montagne: chissà!”.Oggi veniamo da un secolo e mezzo di regresso e le condizioni dei nostri ghiacciai sono ben più misere rispetto a quanto descritto da Stoppani. Che Joseph-Marie Couttet sia stato un buon profeta sta ormai divenendo ben più che un’ipotesi…

Ghiacciaio Fellaria Est (Gruppo Bernina). la foto testimonia la frammentazione della lingua glaciale

avvenuta nell’estate

I “sentieri glaciologici” sono nati verso la fine degli anni ’90 del XX secolo in Lombardia e costituiscono una variante tipologica dei più noti e diffusi “sentieri naturalistici” che guidano all’osservazione diretta e alla conoscenza di vari aspetti del mondo naturale abiologico e biologico. Pur rientrando in un unico quadro generale di turismo “culturale”, i sentieri glaciologici, a differenza di quelli naturalistici, si sviluppano in un ambiente di alta montagna con l’obiettivo di fare partecipe l’escursionista delle varie forme del paesaggio glaciale e periglaciale e di favorire una fruizione turistica di limitato impatto ambientale, anche perché utilizzano in massima parte sentieri o tracce di sentiero preesistenti. Il primo sentiero glaciologico è stato realizzato nel 1992 in alta Valmalenco ad opera del Servizio Glaciologico Lombardo ed è stato denominato “Sentiero Glaciologico Vittorio Sella al Ghiacciaio del Ventina”. Dedicato a Vittorio Sella, il grande fotografo dell’alta montagna che più volte ritrasse il Ghiacciaio del Ventina, è un itinerario che si dirama dal rifugio Gerli-Porro a monte di Chiareggio e che porta a conoscere il paesaggio glaciale della Valle Ventina, dove il ghiacciaio omonimo ha lasciato alcune delle più belle tracce delle sue fasi di regresso e di avanzata osservabili sulle Alpi Lombarde, in particolare le imponenti morene laterali della Piccola Età Glaciale (circa 1550-1850). Osservabili sono anche i vari segnali utilizzati dai glaciologici dall’inizio del ‘900 ad oggi per misurare le variazioni della lingua glaciale.Adatto al normale escursionista, il sentiero percorre la Valle Ventina, raggiunge la fronte del ghiacciaio e scende sul lato opposto in poco meno di 2 ore.

Nel 1995 ad opera del Comitato Glaciologico Italiano è stato realizzato in alta Valfurva il Sentiero Glaciologico del Centenario al Ghiacciaio dei Forni. La denominazione deriva dal fatto che in quell’anno si celebrava un secolo di osservazioni glaciologiche in Italia, iniziate nel 1895 proprio sul Ghiacciaio dei Forni. Fra gli itinerari lombardi è sicuramente il più spettacolare e il più impegnativo e deve essere affrontato nella sua versione integrale da escursionisti esperti, equipaggiati con attrezzatura da ghiacciaio ed eventualmente accompagnati da una guida alpina. L’itinerario, partendo dal rifugio dei Forni, può essere iniziato sul versante destro o su quello sinistro della valle e comporta l’attraversamento del Ghiacciaio dei Forni a circa 2800 m di quota, che deve essere ovviamente evitato nel caso di tempo instabile o di copertura di neve recente. Punto di appoggio lungo il percorso è il Rifugio Branca. L’itinerario in circa 6 ore permette di osservare un ambiente glaciale di enorme fascino e interesse paesaggistico, dalle

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I sentieri glaciologici della Lombardia

morene più antiche di 12.000 anni fa fino alle morfologie effimere che si formano sulla superficie del ghiacciaio. Recentemente sono state segnalate varianti (“Sentiero Glaciologico Basso”) che evitano l’attraversamento del ghiacciaio.

Sempre il Servizio Glaciologico Lombardo ha realizzato successivamente il “Sentiero Glaciologico Luigi Marson al Ghiacciaio di Fellaria”. Si localizza sempre in Valmalenco nel gruppo del Bernina ed è dedicato a Luigi Marson, primo studioso del Ghiacciaio di Fellaria e di numerosi altri ghiacciai delle Alpi Lombarde. L’itinerario, partendo dal rifugio Bignami, è diviso in due varianti, entrambe adatte a normali escursionisti, ed oltre ad interessi strettamente glaciologici suggerisce una lettura del paesaggio anche dal punto di vista geomorfologico e botanico. La prima variante porta ad un punto panoramico che consente l’osservazione generale del Ghiaccio di Fellaria Occidentale e permette di osservare le tracce dell’intenso regresso a partire dalla Piccola Età Glaciale e soprattutto dell’accelerazione di questo regresso negli ultimi vent’anni. La seconda variante porta al pianoro antistante la fronte attuale, passando attraverso le testimonianze morfologiche delle varie fasi antiche e recenti del regresso (ma anche della piccola espansione 1970-1985).

Un quarto Sentiero Glaciologico è stato realizzato sempre in alta Valfurva in Valle Cedech. Partendo dal rifugio dei Forni si percorre la valle dapprima su un versante, poi sull’altro, avendo come base di appoggio il rifugio Pizzini. Adatto a normali escursionisti, l’itinerario porta a contatto con le varie tappe dell’evoluzione della valle dalle ultime pulsazioni dell’ultima era glaciale agli attuali fenomeni di intenso regresso.Un elemento comune di altissimo interesse scientifico e didattico dei sentieri glaciologici è la possibilità di osservare le rapide trasformazioni in atto del paesaggio glaciale, ad esempio la formazione di piccoli laghi davanti ai ghiacciai con iceberg galleggianti, l’apertura di “finestre rocciose” sulle loro superfici, la creazione di caverne di ghiaccio, lo smantellamento di cordoni morenici, la caduta di frane sulla loro superficie, la fusione di lenti di ghiaccio sepolto dal detrito con la formazione di colate di fango e di detrito, la riduzione della loro lunghezza (misurabile in decine di metri all’anno) e l’abbassamento del loro spessore che portano allo scoperto un nuovo paesaggio di rocce e detriti. Sono fenomeni che talora, come nel caso del Sentiero dei Forni, costringono a modificare l’itinerario originale

e in ogni caso suggeriscono una riflessione sul delicato equilibrio sul quale si basa l’ambiente naturale e sulla facilità con cui questo equilibrio può essere modificato anche ad opera delle attività umane.

I libri e gli articoli pubblicati sui ghiacciai lombardi a partire dalla fine del XIX secolo sono naturalmente numerosissimi. Nel CD allegato se riporta una selezione. I rilievi sui ghiacciai lombardi sono pubblicati sul Bollettino del Club Alpino Italiano e sulla Rivista del Club Alpino Italiano fino al 1913, poi sul Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano fino al 1976, successivamente su Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria e a partire dal 1998 anche su Terra Glacialis, dove sono pubblicate anche numerose monografie.

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Suggerimenti biblografici

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CD Rom CD-R

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Coordinamento generale:

Regione Lombardia - Direzione Generale Territorio ed UrbanisticaIng. Mario NovaDr. Roberto Laffi

Contributi scientifici:

Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Scienze della Terra – Comitato Glaciologico Italiano: Dr. Claudio Smiraglia Dr.ssa Guglielmina Diolaiuti

Servizio Glaciologico Lombardo:

Andrea Tamburini

ARPA Lombardia:

Dr. Enrico Zini Dr. Dario Bellingeri

Coordinamento editoriale:

Regione Lombardia - Direzione Generale Territorio ed UrbanisticaDr.ssa Marina CredaliDr.ssa Donata Dal PuppoDr. Andrea PiccinArch. Grazia AldoviniDr.ssa Valentina Bacchi

Realizzazione CD:

Gruppo Lombardia Informatica S.p.A: Dr. Marco PanebiancoDr. Stefano GelmiDr.ssa Carmela Marion

Referenze Fotografiche © :

M. Butti: Prima di CopertinaA. Desio: Figura 2 b)G. Diolaiuti: Figura 8G. Kappenberger: Figura 9S. Paoletti: Figura 12V. Sella: Figura 2 a)R. Scotti: Quarta di copertinaC. Smiraglia: Figura 2 c), d)

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