7
Il Viaggio di istruzione in Grecia istituito dalla cat- tedra di Storia dell’arte moderna della facoltà di Scienze della Formazione e coordinato dai professo- ri Damianaki e Romano risulta essere una manife- stazione culturale che offre agli studenti la possibilità di interagire in prima perso- na con uno dei luoghi sto- ricamente e artisticamente più affascinanti del bacino mediterraneo: la Grecia. In particolare la conferen- za internazionale- attività centrale dell’intera mani- festazione culturale- che si terrà a Kalamata (Gr) il 22 maggio dal titolo “Roca vecchia del Salento: un importante scalo maritti- mo dell’Italia meridionale nell’età del Bronzo” rap- presenta per un’ingente quantità di studenti e stu- diosi un momento formati- vo in cui sarà possibile consegnare un nuovo vol- to a tutta la tradizione del- la cultura Salentina. La manifestazione, infatti, oltre a contribuire alla condivisione di un'espe- rienza profondamente culturale si presenterà come un'importante op- portunità/chance di con- fronto e di interazione con la cultura greca, cultura a cui indissolubilmente sia- mo legati da antichi li- gnaggi. All’interno del viaggio studio saranno effettuate escursioni e momenti di confronto culturale. Lo spettacolo “Griko, Pizzica e Salento” rappresenta uno di questi momenti. Andrea Fiorucci Volume III, NumeroIII Grecia e Salento Culture legate da antichi lignaggi. E DITA Con "Griko, Pizzica e Salento" si realizza un originale documento- spettacolo interamente calato nella storia della tradizione popolare salen- tina, di cui si sceglie di raccontare, attraverso la varietà dei dialetti che la caratterizzano, non soltan- to gli aspetti più folklori- stici, ma soprattutto la complessa trama psicolo- gica dei lavoratori nei campi, votati a trascorrevi l'intera vita senza possibi- lità alcuna di riscatto so- ciale. In tale cornice s'inserisce il ritmo battente della pizzi- ca, che libera le energie frustrate e represse delle "fimmine" intente alla rac- colta del tabacco, traducen- dosi ora in canto corale, che denuncia il sacrificio e la fatica, alleggerendo, al contempo, la giornata lavo- rativa, ora in schizofrenica danza tarantata, che non sfoga l'effetto del morso di un ragno venefico, ma il dramma interiore di una donna negata nella sua stessa femminilità da una consuetudine sociale che la vuole instancabile "signora dei campi" e compagna fedele ad un uomo che, spesso, è costretta a sposa- re senza amore. Superandosi nella sua funzione terapeutica, la pizzica diventa tra l'altro mezzo di rinascita, che fa da sfondo alle relazioni "proibite" che si consuma- no tra padroni e contadine, protagonisti di amori "pizzicati" che stravolgo- no i sensi e rompono ogni equilibrio, ma risanano le ferite di solitudini interiori finalmente cancellate. Andrea Fiorucci Scripta manent Griko, Pizzica e Salento Uno spettacolo di teatro-danza Speciale numero: Reportage Grecia A cura di ANDREA FIORUCCI

III Numero Scripta Manent

Embed Size (px)

DESCRIPTION

periodico di attualità e cultura

Citation preview

Page 1: III Numero Scripta Manent

Il Viaggio di istruzione in Grecia istituito dalla cat-tedra di Storia dell’arte moderna della facoltà di

Scienze della Formazione e coordinato dai professo-ri Damianaki e Romano risulta essere una manife-s t a z i o n e culturale che offre agli studenti la possibilità di interagire in prima perso-

na con uno dei luoghi sto-ricamente e artisticamente

più affascinanti del bacino mediterraneo: la Grecia. In particolare la conferen-za internazionale- attività centrale dell’intera mani-festazione culturale- che si terrà a Kalamata (Gr) il 22 maggio dal titolo “Roca vecchia del Salento: un importante scalo maritti-mo dell’Italia meridionale nell’età del Bronzo” rap-presenta per un’ingente quantità di studenti e stu-diosi un momento formati-vo in cui sarà possibile consegnare un nuovo vol-to a tutta la tradizione del-la cultura Salentina. La manifestazione, infatti, oltre a contribuire alla

condivisione di un'espe-rienza profondamente culturale si presenterà come un'importante op-portunità/chance di con-fronto e di interazione con la cultura greca, cultura a cui indissolubilmente sia-mo legati da antichi li-gnaggi. All’interno del viaggio studio saranno effettuate escursioni e momenti di confronto culturale. Lo spettacolo “Griko, Pizzica e Salento” rappresenta uno di questi momenti.

Andrea Fiorucci

Volume III, NumeroIII

Grecia e Salento Culture legate da antichi lignaggi.

E D I T A

Con "Griko, Pizzica e Salento" si realizza un originale documento-spettacolo interamente calato nella storia della tradizione popolare salen-tina, di cui si sceglie di raccontare, attraverso la varietà dei dialetti che la caratterizzano, non soltan-to gli aspetti più folklori-stici, ma soprattutto la complessa trama psicolo-gica dei lavoratori nei campi, votati a trascorrevi l'intera vita senza possibi-lità alcuna di riscatto so-ciale. In tale cornice s'inserisce

il ritmo battente della pizzi-ca, che libera le energie frustrate e represse delle "fimmine" intente alla rac-colta del tabacco, traducen-dosi ora in canto corale, che denuncia il sacrificio e la fatica, alleggerendo, al contempo, la giornata lavo-rativa, ora in schizofrenica danza tarantata, che non sfoga l'effetto del morso di un ragno venefico, ma il dramma interiore di una donna negata nella sua stessa femminilità da una consuetudine sociale che la vuole instancabile "signora dei campi" e compagna fedele ad un uomo che,

spesso, è costretta a sposa-re senza amore. Superandosi nella sua funzione terapeutica, la pizzica diventa tra l'altro mezzo di rinascita, che fa da sfondo alle relazioni "proibite" che si consuma-no tra padroni e contadine, protagonisti di amori "pizzicati" che stravolgo-no i sensi e rompono ogni equilibrio, ma risanano le ferite di solitudini interiori finalmente cancellate.

Andrea Fiorucci

Scripta manent

Griko, Pizzica e Salento Uno spettacolo di teatro-danza

Speciale numero:

Reportage Grecia

A cura di ANDREA FIORUCCI

Page 2: III Numero Scripta Manent

Viaggiare uguale a socializ-zare. Non è una semplice rima baciata, né parte di uno slogan pubblicitario, è ciò che è successo a un gruppo di studenti dell'università del Salento. Dei ragazzi scono-sciuti presi e catapultati in una situazione nuova, in un paese magico che ha contri-buito a far nascere tra loro

qualcosa di speciale. Le sedi universitarie sono dei luoghi di raccolta, un aggrovigliarsi continuo di anime immerse nei loro pen-sieri, che spesso non si vedo-no, a volte si respingono o addirittura si ignorano, ciò non avviene quando una comunità di circa trenta per-sone condivide: gli stessi posti, gli stessi orari, le stes-se passioni. Sembra così lontana ormai quella prima sera, quando sui volti degli studenti si leggeva, oltre alla stanchezza, un po' di paura e tanto imbarazzo, espressioni che erano inesistenti già dal secondo giorno, quando era già tutto un crescendo. La voglia di stare insieme, di condividere, di conoscersi era sempre più forte. Tutti erano impegnati a dire qual-

cosa di loro e a carpire il più possibile degli altri. La figura che automatica-mente si veniva a creare quando si era insieme, era il cerchio, emblema di ugua-glianza, dove ognuno poteva guardare tutti gli altri negli occhi, dove ognuno con quello sguardo trasmetteva la gioia di quel momento. Una nuova affettività stava nascendo. Per gli studenti non è stata una semplice vacanza, né un normalissimo viaggio cultu-rale che li ha immersi nella storia, è stata soprattutto una bellissima occasione di co-noscere nuova gente e creare nuovi rapporti che anche dopo il rientro, continuano a coltivare e a far crescere

Andrea Fiorucci

moderna, Università del Salento. Quest’anno sono stati oltre cinquanta, tra do-centi e studenti, a recarsi in Grecia per partecipare alla conferenza internazionale che intendeva richiamare su basi storiche ed archeologi-che l’antico legame del Sa-lento con la terra ellenica. Roca Vecchia fu uno dei più importanti scali marittimi dell’Italia meridionale nel-l’Età del Bronzo. I materiali di tipo minoico e miceneo, riportati alla luce nel corso degli scavi condotti nell’ulti-mo decennio dagli archeolo-gi Cosimo Pagliara e Riccar-do Guglielmino, hanno get-tato nuova luce sulle relazio-

A Kalamata, nel Peloponneso (Grecia) il 22 maggio c’è stata la Conferenza Interna-zionale dedicata agli scavi di Roca Vecchia. L’importante simposio scientifico italo-greco nasce su iniziativa della cattedra di storia dell’arte

ni economiche e culturali che i Minoici ed i Micenei intrattennero con le popola-zioni locali. Un sito archeo-logico di fondamentale im-portanza. Rocavecchia, sulla costa adriatica della Puglia, è stata città più volte distrut-ta e ricostruita, in grado di restituire interessanti reperti risalenti all’età del Bronzo medio e del Bronzo finale(XV-XI secolo a.C.). Gli archeologi dell’Univer-sità del Salento hanno illustrato i risultati più recenti delle ricerche su Rocavecchia, nei pressi di Melendugno, nel cuore del Salento: un sito particolare per l’incanto dei luoghi che si incontrano con

P a g i n a 2

Viaggiare uguale a socializzare Gli studenti riflettono sui rapporti interpersonali nati dall’esperienza

“Roca vecchia del Salento: un importante scalo marittimo dell’Italia meridionale

S c r i p t a m a n e n t

Conferenza

Internazionale

dedicata agli

scavi di Roca

Vecchia.

L’Università del Salento organizza a Kalamata (Gr) una conferenza Internazionale

Page 3: III Numero Scripta Manent

V o l u m e I I I , N u m e r o I I I

il fascino della storia. Dal 1984 sono iniziati scavi archeologici di notevole importanza, che hanno evi-denziato dei resti di una grande città con un impo-nente sistema di fortificazio-ne, costituito da mura spes-se. “Dalle scoperte – ha af-fermato Guglielmino - si ritiene che intorno al XV sec. a.C. la città sia stata assediata e incendiata. An-che le successive mura, rico-struite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incen-dio. La città fu più volte distrutta e più volte ricostrui-ta anche se si ignora chi fos-sero i popoli fondatori. Il sito fu comunque frequenta-to per tutta l’età del ferro, mentre decisamente più nu-merose sono le tracce relati-ve all’età messapica (IV-III secolo a.C.): una cinta mura-ria che tuttavia non fu com-pletata, un monumento fune-rario, diverse tombe e alcune fornaci”. Il sito, ha spiegato Pagliara, fu successivamente abban-donato. “Non sono state rin-venute tracce del periodo romano, mentre fu frequen-tato nell’alto medioevo da anacoreti, provenienti perlo-più dall’Impero Romano d’Oriente, che col tempo

costituirono una comunità, abitando in una serie di grot-te scavate nel calcare”. Dagli scavi sono emersi e-sempi di modelli minoici ed egei, come ad esempio 200 vasi di diversa grandezza, ricostruibili quasi per intero, numerosi oggetti di uso co-mune, come pugnali, oggetti di avorio, strumenti per la lavorazione della porpora, attingitoi usati per i banchet-ti, giare di argilla, coperchi, pezzi semilavorati di avorio. Fra i reperti anche parti di ossa con carne di animali, sacrificati prima di edificare le capanne, impronte di ele-menti vegetali, come foglie di alloro e corde usate per legare le ossa animali, sette scheletri di due individui adulti e cinque individui di età minore, ancora sottoposti ad analisi, che si presume potessero comporre una fa-miglia. «È emersa – ha concluso Guglielmino - una tipologia diversa delle abitazioni: si è notata infatti una gerarchia degli edifici a seconda dei destinatari, che venivano sovrappopolati anche da genti lontane nei periodi di guerra e di pericolo. Si pre-sume che Rocavecchia sia stato un importante centro di

estrazione e lavorazione della porpora, anche grazie alla grande quantità di acqua potabile che garantiva la vita nella città, proveniente da un fiume sotterraneo e da nu-merosi pozzi”. Nonostante le difficoltà am-bientali affrontate nel corso degli anni, la ricostruzione della storia di Rocavecchia si pensa determinante per delineare la fisionomia dell’-aria periferia del mondo miceneo.

Andrea Fiorucci

del mare e nella distaccata leggerez-za del cielo di confine. Il buio, la notte e l’emozione am-mantavano d’ignoto quel viaggio, poi, d’improvviso, il materno seno della terra del mito, da lontano, ci appare: la Grecia. Ogni angolo, anche il più ordinario, ci sussurrava, a mezz’aria, come canto di sirene, striduli suoni e me-lodiose canzoni: la Grecia. Corinto, stretto corridoio d’acqua

Il cobalto della distesa enorme, ormai, avvolgeva quel che sembra-va un tenero fuscello: la nave, da poppa, ci consegnava i resti della costa italica, sempre più estranea. Il sogno era appena cominciato; il cuore, tumultuoso, scandiva il rit-mo lento della traversata; il sogno era appena cominciato: la Grecia. Il mito, la leggenda e la fantasia di un viaggio fantastico cominciavano a stemperarsi nell’acquerello blu

tra dure pareti di roccia intaglia-ta; Micene, “ricca d’oro”, stretta fra due cime elevate e scoscese, nel seno d’Argo nutrice di caval-li, cornice della città fortificata, cinta dai grandi blocchi di pietra attraverso la Porta dei Leoni, acropoli granitica, aspra ma dal fascino evidente della storia dei secoli; la tomba di Agamennone, “tesoro di Atreo”, fuori l’acropo-li, imponente ed impressionante costruzione, opera realizzata dall’architettura micenea, ci dan-no il senso immanente della sto-ria e… del mito. Mistrà, a poca distanza da Spar-ta, silente città in rovina della

P a g i n a 3

“Il sogno

era appena

cominciato:

la Grecia”

Grecia... tra storia, mito e leggenda

Page 4: III Numero Scripta Manent

da piana bagnata dal fiume Neda e da qui, verso sud a Petalidi, luogo dove sorgeva l’antica Korone, sim-bolo e fascino di un tempo scandito dal ritmo graduale della vita. Coroni, all’estremità più meridiona-le del golfo messenico, costruita su una roccia con la sua fortezza, oggi in rovina, ci convince che il tempo, a volte, scorre in modo più lento, in certi posti: piccole case remote e colorate, strette viuzze inerpicate tra mare e cielo, l’azzurro intenso dell’-acqua, olio immobile delle nostre

terra laconica ci accoglie tra le chiese bizantine, i palazzi, le mura, le case dei signori e la fortezza sulla cima; tutto rimasto quasi immune dalle in-giurie del tempo; in religioso silenzio, rispettosi del posto e della sua storia, attraverso i luoghi di culto, dipanati tra i vicoli della storia ci inerpichiamo tra i ruderi informi, ultimi testimoni di un passato glorioso. I pittoreschi villaggi, le mistiche cap-pelle ci accompagnano verso il capo-luogo della Messenia: Kalamata, nel seno del golfo Messenico, nella fecon-

origini, ci immergono nella fede di una benedizione ortodossa, sotto la benevola ala protettrice di una Sa-cra Icona miracolosa della Vergine. Verso nord, Pylos con il palazzo di Nestore, che partecipò alla guerra di Troia, con le bellezze, appena abbozzate, ma ben visibili: la sala del trono, la vasca da bagno della regina, grandi ambienti di una ci-viltà solenne. A poca distanza, il museo Antonopoulos di Pylos, composto da due grandi sale con le testimonianze, attraverso i reper-ti ritrovati, delle genti insediate nelle zone circostanti. Pyrgos Diroù: le grotte che nasco-no da un mondo sotterraneo, fiabe-sco, fatto di stalattiti e stalagmiti che quasi si toccano e che ci divo-rano nel loro ventre suggestivo, sconvolgendoci per la loro naturale bellezza, attraverso il liquido am-niotico della storia. La terra del mito e della leggenda ci ha stregato con i suoi tesori, le sue bellezze, le sue crude asperità togliendoci il fiato e aprendoci i cuori… Arrive-derci terra di sogni, fortezza ine-spugnata della ragione.

Andrea Fiorucci

La parte occidentale del Peloponne-so e la regione che da Patrasso si estende fino al Santuario di Olimpia, è disseminata di rovine di città anti-che, chiese bizantine e castelli me-dievali di grande importanza archeo-logica. Sulla punta della vallata do-ve scorrono i fiumi Alfeo e Cladeo, ai piedi della verdeggiante collina di Cronion, si sviluppò uno dei più importanti santuari del mondo anti-co, Olimpia. Qui il vigore fisico e lo spirito furono adorati come mai al-trove, culla della filosofia Mens sana in corpore sano, la quintessen-za dello spirito olimpico. Olimpia vuol dire Sacro Altis

(Bosco) dove si realizzò, in un su-perbo divenire, l'opera eccelsa del Santuario di cui oggi non restano che rovine, e oggetti conservati al Museo Archeologico della città. Edifici monumentali absidati, con fondazioni di pietra, vengono in-nalzati accanto a sepolcri sin dal 2300/2100 a.C. e, nel tempo, orga-nizzati in un complesso cultuale sempre più esteso. Intorno all'VIII secolo a.C. il santuario era circon-dato da un muro che separava gli edifici sacri da quelli profani. Il Tempio di Zeus aveva una posizio-ne di rilievo e al suo interno si tro-vava la statua crisoelefantina di

Olimpia: tra mille bellezze

Page 5: III Numero Scripta Manent

Zeus seduto sul trono, opera di Fi-dia. Una delle metope meglio conservate del tempio di Zeus raffigura Atlante che offre i pomi delle Esperidi men-tre Eracle, mitico fondatore dei Gio-chi Olimpici, sostiene la volta cele-ste con l'aiuto di Atena. Il Tempio di Era (600 a.C.) rappresenta uno dei più antichi esempi di architettura templare monumentale della Grecia. Oltre a questi, Il Metroon (tempio della Dea Madre), il Pritaneion degli Elei e il Filippeion – splendido edi-ficio circolare in marmo dedicato alla vittoria di Cheronea (338 a.C.) di Filippo di Macedonia. Ai piedi della collina di Cronion c'erano i Tesori, piccoli edifici che costituivano le offerte votive della città, il celebre Stadio, il più grande dell'epoca, la Palestra (III se. a.C.) con il Ginnasio costruito più tardi nel II sec. a.C., e ancora il Laborato-rio di Fidia, trasformato in basilica paleocristiana del V secolo e il The-okoleon, casa dei sacerdoti e ammi-nistratori del Santuario, il Bouleute-rion, la Casa e l'Arco di Nerone e il Leonidaion il più grande edificio di

Olimpia che serviva come alloggio per i visitatori. Il Museo Ar-cheologico di Olimpia cu-stodisce i re-perti rinvenuti nel corso degli scavi. Tra i c a p o l a v o r i , due frontoni del Tempio di Zeus, tra i più splendidi e-sempi dell'antica arte scultorea gre-ca, con le metope che raffigurano le Dodici Fatiche di Ercole. Altri re-perti di grande valore, la statua della Nike di Peonio (421 a.C.), il gruppo fittile di Zeus con Ganimede, la splendida statua di Ermes, con Dio-niso bambino, opera originale di Prassitele, esposta in una sala parti-colare del museo.

Andrea Fiorucci

Il Salento, a picco nel Mediterraneo, è stata da sempre meta abituale di genti marinare, avventuriere e fug-giasche che, oltre a transitarvi, spes-so vi si insediavano stabilmente, introducendo gli usi ed i costumi delle loro terre.

Il nome Salento sfugge ad ogni e-saustiva spiegazione etimologica e rimane per molti versi avvolto in un alone di mistero, un po’, come del resto, le stesse vicende del suo origi-

nario popolamento. Stando a quanto riferisce lo storico greco Strabone (63 a. C. - 24 d. C.), il Salento, che nell’antichità fu anche chiamato Iapygia e Messapia dal nome di antichi suoi abitatori provenienti dalle coste illiriche, derivò il nome dai Salentini, coloni cretesi che si stabilirono nel territorio. Questa ipotesi, in tempi meno remoti, fu supportata da alcune precisazioni sostenute da altri storiografi: le de-

nominazioni Salento e Salentini sarebbero, secondo costoro, derivati da Salenzia, la città di origine dei suddetti coloni cretesi (Salenti), oppure dal nome del loro leggenda-rio capitano, Salento per alcuni, Sale per altri. Lo storico romano Varrone sostiene che i Salentini furono il risultato di una mescolanza di tre gruppi etnici: Cretesi, capeggiati dal principe Idomeneo di Liczio, Illirici e Locresi, che si stabilirono sul terri-torio del Salento dopo aver stretto alleanza “in salo”, ossia in mare, da dove provenivano. I termini Salento e Salentini, quindi, evocherebbero il mare con il fascino dei suoi sugge-stivi misteri e le ataviche migrazioni da sempre caratterizzanti questo ponte naturale nel Mediterraneo, crocevia di popoli, la cui originale posizione geografica sembra aver da sempre sostenuto una vocazione quasi naturale a vivere il rapporto tra culture diverse in termini di sin-tesi di civiltà, relativizzando e rimo-

Messapi, Sallentini e Cretesi (com)presenze minoichee messapiche nel Salento

Page 6: III Numero Scripta Manent

vendo le ragioni dello scontro, no-nostante le vicende sanguinose di cui questa terra è stata frequente-mente cruento teatro.

E’ il Mediterraneo, infatti, a essere la via regia attraverso cui i primi greci (i cretesi) stabilirono i primi contatti con le popolazioni autocto-ne del Salento. Tale scambio più che essere di natura culturale aveva una matrice espansionistica legata al dominio del commercio navale e dell’intero Mediterraneo.

I Cretesi furono i primi, tra i popoli del Mediterraneo, a commerciare con gli indigeni salentini, stringendo con essi rapporti culturali e sociali. Successivamente, anche i Micenei giunsero nel Salento, così come racconta Dionigi di Alicarnasso, e fondarono Hiria, che secondo i più sarebbe Oria (Brindisi) e secondo altri si sarebbe trattato di una cittadina nei pressi di Patù (Lecce). L’etnogenesi dei Sa-lentini come popolo distinto dai Japigi-Messapi è un percorso stori-co-mitico ricco di informazioni, di punti di vista convergenti e diver-genti, di antichi studiosi che con i loro scritti ci aprono distinti varchi da cui sembra possibile osser-vare una diversa veri-tà storica. La tradizio-ne storica-mitica ci consegna l’etno-genesi salentina come un’arena culturale in cui remoti lignaggi si ergono a fondamento di civiltà distinte in cerca di una propria identità.

In tal senso le presenze greche nel Salento possono essere in tre pre-senze distinte: Minoica (Civiltà cre-

tese sub-minoica dalla quale sarebbero nati i messapi), Idomeneica (Civiltà cretese Idomeneica dalla quale sareb-bero nati i sallentini) e Micenea.

Per quanto concerne la presenza mi-noica già Erodoto ricorda i salentini come una popolazione compatta etni-camente e culturalmente; in un passo della sua opera, i Messapi sono defini-ti discendenti dei Cretesi, che si spin-sero sulle coste del Salento, si mesco-

larono alle popolazioni già presenti, fondando così le prime città e portando usi e costumi che distinsero i Salentini dal-le altre popo-lazioni. Lo storico greco

antico collocava l’arrivo dei cretesi in area Japigia in un’età sub-minoica pre-achea: i cretesi giunti in quell’area erano partiti alla volta della Sicilia per vendicare la morte di Minosse. Non riuscendo a espugnare la città siciliana (Camico) ripresero il mare e in preda

ad una tempesta arrivarono nella Japigia dove si trasformarono in

messapi. Secondo lo stesso Erodoto, furono

i Cretesi, di ritorno dalla sfortunata campagna in

terra siceliota, a fondare alcuni

siti protourbani del versante occi-

dentale messapico, tra i quali Hyria (Oria), Hyretum (contrada

Vereto).

Per Strabone invece nell’etnogenesi dei salentini vi è una componente anti-minoica: gli japigi vengono identificati

con Dedalo antico avversario di Minosse. Iapyx, infatti, figlio di Dedalo sarebbe stato il capo del gruppo dei cretesi che avrebbe dato il nome alla Japigia.

Per quanto concerne la seconda tra-dizione cretese nel Salento la storia dei tempi vuole che Idomenéo, so-vrano greco, scacciato dai suoi stessi sudditi dopo la guerra di Troia, sa-rebbe approdato, dall'isola di Creta, sulle rive della penisola salentina, e, dopo aver combattuto vittoriosa-mente contro la popolazione del luogo, avrebbe sposato una figlia di Malennio, uno dei re salentini fon-datore della città di Lecce, e in se-guito avrebbe fondato altre città. Sembra innegabile a questo punto registrare in Puglia due ondate cre-tesi una legata direttamente al mito di Minosse la seconda legata al mito di Idomeneo. Queste ondate sembra-no non essere direttamente consecu-tive e cronologicamente distanti ma appartengono a una visione storica-mitica ancora aperta. Al di là di u-n’innegabile presenza storica di elementi egei-micenei del II sec. a.c. supportati da reperti archeologici rinvenuti nel Salento, le derivazioni culturali cretesi non presentano an-cora una definizione univoca. In tal senso lo studioso partenopeo Eduar-do Federico cerca di mettere in rela-zione la tradizione Japigia-messapica che si definisce discen-dente della civiltà cretese minoica (appunto per questo sub-minoica) con la tradizione dell’isola di Cre-ta.Gli ambienti cretesi, persino quel-li più conservatori, sembravano co-noscere le tradizioni relative alla morte di Minosse in Sicilia e tutti gli eventi succedutisi. Per quanto con-cerne il re Idomeno, invece, non si hanno prove evidenti della cono-scenza da parte degli ambienti crete-si circa il suo viaggio che tocca di-versi punti decisivi come l’Illiria, Locri e, infine, il Salento. Il valore che poi viene dato al re Idomeneo, a differenza del re Minosse, cambia in virtù della tradizioni della città. E-

Page 7: III Numero Scripta Manent

roicizzato a Cnosso ed esiliato a Litto e Gortina.

In considerazione di queste due tra-dizioni sembra si delinei per il Sa-lento una situazione paradossale che vedrebbe scontrarsi a livello mitico Cretesi contro Cretesi, entrambi rivendicanti la loro discendenza da Minosse: da una parte i discendenti dei compagni di Minosse approdati nel Salento all’epoca dell’inse-guimento di Dedalo, dall’altra i Cre-tesi misti con elementi illirici e lo-cresi, al seguito del re Idomeneo. Quello che appare peculiare della vicenda in Japigia è proprio il fatto che la tradizione locale che vede un’opposizione tra “Cretesi di Mi-nosse” con “Cretesi di Idomeneo”

non ha nessun riscontro nel quadro mitico-culturale di Cre-ta.

In altri termini questo territorio era intensamente abitato già molto prima della colonizza-zione greca e la popolazione indigena. I Messapi dimostra-rono di avere una loro indivi-dualità culturale anche se in stretto rapporto con la civiltà greca.

Nei secoli IX - VIII -VII a.c. la Messapia, in particolare, assor-bì elementi etnici e culturali nuovi, che provenivano non solo dalle terre illiriche che si estendevano sull'altra sponda del mare adriatico, fino al pro-montorio acrocerauno, ma an-

che da insediamenti del versante greco-epirota.

Altri autori parlano di approdi mice-nei in varie parti della costa salenti-na ed altri ancora di successive on-date migratorie provenienti preva-lentemente da Creta, da Rodi e da altre isole egee che mutarono al-quanto le caratteristiche culturali dei precedenti invasori.

La tripartizione della stessa penisola salentina in tre distinte etnie territo-riali (i Messapi a nord-ovest, delimi-tati a sud dall'antica fiumara dell'Ar-neo; i Calabri disposti lungo l'estre-ma fascia della costa adriatica e i Sallentini lungo quella jonica) é indice del fatto che molteplici furo-no le sovrapposizioni di razze e tri-bù durante i secoli precedenti. E' certo, comunque, che in un'epoca più prettamente storica, nel V sec. a.C., i vari gruppi etnici, pur diversi fra loro, si erano ormai amalgamati e presentavano un’identità culturale piuttosto unitaria. I villaggi, in bre-ve tempo, erano cresciuti, divenendo sempre più popolati e ricchi.

In considerazione di quanto detto crediamo che la tradizione, cosi

come raccontata da Varrone, che voleva i Sallentini discendenti del re cretese Idomeneo si sia formata, a cura degli ambienti salentini proprio in concomitanza con i processi che vedono questa tribù assumere deci-samente un ruolo autonomo e auto-revole nei confronti delle genti messapiche. La vicenda mitica dell’-etnogenesi dei Salentini, tutta incen-trata sulla figura e i viaggi del re cretese Idomeneo, rivela perciò inte-ressanti aspetti politici e ideologici legati alla tribù japigia. L’etnogene-si dei Salentini si viene a porre, così, come un abile e complesso tentativo di propaganda a livello mitico il quale, se da un lato doveva servire a rivendicare un passato illustre nel segno della grecità (quale passato poteva esse più illustre di quello minoico-cretese?), dall’altro doveva trovare i termini per distaccarsi completamente da una cultura mes-sapica che non solo era etnicamente legata ai Salentini (erano entrambe popolazioni Japigie) ma che pur rivendicava origini cretesi, addirittu-ra minoiche.

Secondo un’antica leggenda, ripor-tata da Erodoto e confermata da Tucidite, furono proprio Cretesi e Micenei, stanziatisi nella Puglia meridionale, a dare vita ai Messapi Japigi. Messapi significa “popolo tra i due mari”. Altre fonti, invece, fan-no risalire i Messapi ad una mesco-lanza tra Cretesi ed Illiri, un popolo, quest’ultimo, proveniente dal Nord dell’Albania.

Il dibattito scientifico appare ancora aperto lasciando un silenzio nella storia. Il “vuoto” storico, la sospen-sione dal giudizio oggettivo viene però riempito dall’enfasi del mito e dal colore della tradizione locale.

Andrea Fiorucci

Grazie per averci accompagnato in questo viaggio nella storia…