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A cura del DS - F.Q. pag. 1 Manfredonia, agosto 2019 Il coraggio di ripensare e cambiare la scuola … si può e si deve … La Scuola dovrebbe essere migliore della società nella quale insiste, perché: dovrebbe orientare il senso della prospettiva, il suo presente, generato e radicato nel passato, racchiude il futuro, contiene la potenzialità del domani, è promozione di persone e talenti, riconoscendo che ciascuno è potenzialmente un diamante, un insieme di talenti da ex-ducere, da scolpire con competenza, affetto e cura. La Scuola, una Scuola che tiene ai giovani di cui ha cura, non li misura per premiarli o scartarli, semmai li valuta per promuovererne la capacità critica dell’autovalutazione, per favorire la costruzione di quelle capacità di assunzione di responsabilità indispensabili alla crescita consapevole/sostenibile e all’acquisizione di quella cittadinanza attiva che si profila come dettato di umanità, di civiltà, di legalità, di reciprocità e di sussidiarietà. A volte, di fronte a voti e giudizi si sente dire docenti che ne confermano la validità in quanto (i voti) sono la foto reale di quello studente al termine di un percorso. La domanda sorge spontanea: esiste una fotografia reale? Un voto e un giudizio hanno il senso del reale, visto che i ragazzi cambiano, sono in movimento? Infatti, bambini e preadolescenti sono in divenire, maturano tutti con tempi e modalità differenti l’uno dall’altro; lo stesso profilo cognitivo si esprime attraverso stili diversi e che l’intelligenza non è misurabile e non si identifica neanche solo quella logico-matematica o linguistica (intelligenze multiple, comprensione multipla); ciascuno è anche l’esito più o meno fortunato dell’ambiente più o meno attrezzato culturalmente ed economicamente in cui sta crescendo. Certamente, la valutazione non può essere considerata un adempimento formale, ma come espressione del diritto ad essere valutati che la scuola deve garantire agli alunni e che implica il diritto di essere conosciuti e riconosciuti e ad acquisire anche gli strumenti per conoscersi e riconoscersi. Perciò, possiamo parlare di valutazione educativa, formativa, orientativa, promozionale, quando consente di descrivere il percorso, di collocarsi al suo interno, di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità; quando non classifica, ma promuove conoscenza e autoconoscenza: ciascuno cresce solo se sognato, accettato, sostenuto, conosciuto e riconosciuto, se ha un posto nel cuore e nella mente dell’insegnante. Infatti, l’attenzione e la voglia di imparare di un bambino va conquistata, non imposta con la paura di un brutto voto ( maestro Alberto Manzi). I voti possono essere una trappola, perché i bambini non sono numeri; i voti non possono essere interpretati come un potere di cui si dispone per quantificare o sancire un bambino; sono strumenti da maneggiare con cura. MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA Istituto Comprensivo “San Giovanni Bosco” 71043 M A N F R E D O N I A – F G Via Cavolecchia, 4 – CF: 92055050717 – CM: FGIC872002 Tel.: 0884585923 Fax: 0884516827 Sito web: www.icsangiovannibosco.edu.it E-mail: [email protected] - [email protected]

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A cura del DS - F.Q. pag. 1

Manfredonia, agosto 2019

Il coraggio di ripensare e cambiare la scuola … si può e si deve …

La Scuola dovrebbe essere migliore della società nella quale insiste, perché:

dovrebbe orientare il senso della prospettiva,

il suo presente, generato e radicato nel passato, racchiude il futuro,

contiene la potenzialità del domani,

è promozione di persone e talenti, riconoscendo che ciascuno è potenzialmente un diamante, un

insieme di talenti da ex-ducere, da scolpire con competenza, affetto e cura.

La Scuola, una Scuola che tiene ai giovani di cui ha cura, non li misura per premiarli o scartarli, semmai li

valuta per promuovererne la capacità critica dell’autovalutazione, per favorire la costruzione di quelle

capacità di assunzione di responsabilità indispensabili alla crescita consapevole/sostenibile e all’acquisizione

di quella cittadinanza attiva che si profila come dettato di umanità, di civiltà, di legalità, di reciprocità e di

sussidiarietà.

A volte, di fronte a voti e giudizi si sente dire docenti che ne confermano la validità in quanto (i voti) sono la

foto reale di quello studente al termine di un percorso.

La domanda sorge spontanea: esiste una fotografia reale? Un voto e un giudizio hanno il senso del reale,

visto che i ragazzi cambiano, sono in movimento?

Infatti, bambini e preadolescenti sono in divenire, maturano tutti con tempi e modalità differenti l’uno

dall’altro; lo stesso profilo cognitivo si esprime attraverso stili diversi e che l’intelligenza non è misurabile e

non si identifica neanche solo quella logico-matematica o linguistica (intelligenze multiple, comprensione

multipla); ciascuno è anche l’esito più o meno fortunato dell’ambiente più o meno attrezzato culturalmente

ed economicamente in cui sta crescendo.

Certamente, la valutazione non può essere considerata un adempimento formale, ma come espressione del

diritto ad essere valutati che la scuola deve garantire agli alunni e che implica il diritto di essere conosciuti e

riconosciuti e ad acquisire anche gli strumenti per conoscersi e riconoscersi. Perciò, possiamo parlare di

valutazione educativa, formativa, orientativa, promozionale, quando consente di descrivere il percorso, di

collocarsi al suo interno, di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità; quando non classifica, ma

promuove conoscenza e autoconoscenza: ciascuno cresce solo se sognato, accettato, sostenuto, conosciuto

e riconosciuto, se ha un posto nel cuore e nella mente dell’insegnante. Infatti, l’attenzione e la voglia di

imparare di un bambino va conquistata, non imposta con la paura di un brutto voto (maestro Alberto Manzi).

I voti possono essere una trappola, perché i bambini non sono numeri; i voti non possono essere interpretati

come un potere di cui si dispone per quantificare o sancire un bambino; sono strumenti da maneggiare con

cura.

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E

DELLA RICERCA

Istituto Comprens ivo “San Giovanni Bosco” 71043 M A N F R E D O N I A – F G

Via Cavolecchia, 4 – CF: 92055050717 – CM: FGIC872002

Tel.: 0884585923 Fax: 0884516827 Sito web: www.icsangiovannibosco.edu.it

E-mail: [email protected] - [email protected]

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In questa direzione occorre ripensare la Scuola e la didattica, rimettendo in discussione la lezione

frontale/trasmissiva e proponendo modalità alternative di conduzione della classe, per non limitarsi ad

accertare il possesso di conoscenze, ma certificare l’acquisizione di competenze, garantendo il successo

formativo di ognuno (lo sviluppo del massimo potenziale).

Una didattica finalizzata alle competenze di fatto chiede alla scuola di costruire ambienti di apprendimento

per l’apprendimento, volti a favorire lo sviluppo, cioè percorsi in cui gli alunni siano persone attive e

protagoniste nella costruzione del proprio sapere, individuando il mandato della scuola nello sviluppo di

quelle modalità comportamentali che consentono di rispondere in modo consapevole ed efficace agli stimoli

del contesto sociale.

Non si può continuare a parlare di inclusione e a privilegiare una visione di una scuola fatta per un alunno

medio. La linea del traguardo non può essere raggiunta da tutti nello stesso momento. Il traguardo va

adattato a ciascuno, perché tutti possono e devono arrivare.

L’assunto di base è che la sfida della scuola non sia più relativa al fare e al sapere, ma riguardi il saper essere

in situazione, il saper agire in modo strategico, creativo, autonomo, flessibile, coordinato, per una testa ben

fatta.

Siamo tutti in cerca di credibilità: famiglia, scuola, società, in quanto Comunità Educante …..

Stiamo attraversando una fase storica di diffusa vulnerabilità, di fragilità che si sprigiona nell’erosione

educativa diffusa in tutti i settori di vita e fra tutte le categorie sociali.

Prendono sempre più piede la cultura e la pratica dell’esclusione, della selezione e della negazione,

dell’aggressione verbale e di fatto. Siamo fragili, insicuri, disorientati, indifesi.

In uno scenario umano, povero di Umanità, costituito dalla precarietà delle relazioni tra le persone e

caratterizzato dalle situazioni di disagio e di malessere interiore, si perdono di vista il valore delle pratiche

del discorso pedagogico, andragogico e dell’agire educativo, nonché della responsabilità educativa che sfocia

spesso in culpa in educando.

Gli adulti sembrano aver abdicato delegando, evitando e fuggendo dal ruolo educativo e dalla responsabilità

nei confronti delle nuove generazioni. Gli adulti non sanno più essere punto di riferimento perché hanno

abdicato colpevolmente al proprio compito rinunciando ad accompagnare i giovani nell’avventura della loro

crescita valoriale (grave culpa in educando e in vigilando).

Vige il primato del permissivismo e si assiste alla regolare tolleranza verso comportamenti e atteggiamenti

arroganti e condannabili (bullismo sociale, non solo scalastica).

L’ideologia dell’indulgenza racchiude la cultura dell’abdicazione educativa, favorendo l’invalidazione del

ruolo educativo degli adulti (genitori e insegnanti), tanto che hanno perso molto in autorevolezza e

credibilità, distruggendo un patrimonio educativo delle passate generazioni.

Mentre i ragazzi diventano grandi senza il sostegno educativo degli adulti, magari aggrappandosi a stampelle

che generano dipendenza e non concreta opportunità di crescita, gli adulti si domandano se esiste ancora la

possibilità le nuove generazioni. La risposta è affermativa: si può, si deve.

L’educazione chiama a un impegno comune tutti gli adulti di buona volontà che sentono ancora la

responsabilità del ruolo formativo e intendono promuovere lo sviluppo dell’umanità delle nuove generazioni

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con l’esempio e l’insegnamento, grazie ad una nuova alleanza educativa, autentica, perché per educare c’è

bisogno di tutto il villaggio. È questa l’educazione.

Bisogna riscoprire la vocazione e la responsabilità educativa, sapendo che la realizzazione dell’atto educativo

si realizza in uno spazio relazionale asimmetrico, perché l’educatore occupa una posizione di dominanza

(rispettosa) rispetto all’educando e ciò richiede un’assunzione di responsabilità per definire spazi e limiti

della relazione educativa.

Per rendere disponibile il proprio patrimonio umano, emotivo e cognitivo ai giovani è necessario riscoprire

una vocazione educativa ricca di passione e affettività, di coraggio, disponibilità, pazienza, reciprocità, senso

dell’altro, per misurarsi sul piano della credibilità, la cui mancanza svuota l’efficacia dell’opera educativa.

Gli adulti non riescono ad essere più credibili agli occhi dei piccoli, dei giovani che li percepiscono inadeguati

e insicuri.

Sono state individuate tre radici della credibilità:

1. Cognitiva: conoscenza e competenza in un settore

2. Etico-valutativa: valori, modi di essere e di agire (dimensione umana), guida per l’azione educativa

3. Affettivo-emotiva: dimensione affettiva, fondamento per una relazione positiva basata sulla

reciprocità.

Nella relazione è fondamentale lo sviluppo del potenziale relazionale che si sviluppa in famiglia e nelle aule

scolastiche e che rappresenta una risorsa per promuovere rispetto e stima reciproca.

Per accordare credibilità all’adulto (docente, genitore) i ragazzi dovrebbero riconoscere in lui una persona

affidabile, un modello, un esempio da emulare.

Per accordare fiducia all’adulto docente o genitore i ragazzi devono accertare la presenza di tre condizioni

attinenti alle tre radici della credibilità:

Il docente è una persona affascinante e competente?

Il comportamento è coerente con ciò che dice?

Si prende cura dei suoi alunni/figli? Un insegnante, un genitore deve occuparsi dei suoi alunni/figli,

deve interessarsi a loro, essere disponibile all’ascolto per instaurare una relazione emotiva in grado

di sprigionare un fertile confronto orientato alla crescita consapevole e al miglioramento.

L’adulto deve essere convinto che educando l’altro educa se stesso.

Presupposti per un cambiamento reale

La scuola deve promuovere competenze, andando oltre la didattica trasmissiva basata sulle conoscenze, sulla

riproduzione, sviluppando uno scenario che pone la centralità della persona nel processo formativo e nella

costruzione della conoscenza, prevedendo la mobilitazione di conoscenze, abilità, risorse personali e di

contesto per risolvere problemi e gestire situazioni in modo autonomo e responsabile, convinti, però, che

senza contenuti non vi può essere nessun apprendimento, in quanto non possono esserci competenze senza

conoscenze e abilità.

Ma, se l’approccio per competenze è solo un linguaggio alla moda, modificherà solamente i testi (non la testa)

e sarà rapidamente dimenticato. Se, invece, coltiva l’ambizione di trasformare e ripensare la scuola e la

didattica, sarà una rivoluzione copernicana capace di chiarire il senso e la finalità della scuola, la direzione

da percorrere, il cammino, cioè dove stiamo andando.

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Il cammino riguarda il ripensare i tre momenti dell’azione didattica. L’idea di::

insegnamento: insegnamento muro, diretto, trasmissivo o insegnamento ponte, indiretto,

laboratoriale ….

apprendimento: meccanico, passivo, riproduttivo (mente piena) o significativo, attivo, costruttivo,

collaborativo (CSSC) per una mente ben fatta

valutazione: tradizionale, dell’apprendimento, selettiva o per l’apprendimento, formativa, autentica

…. i tre vertici di un triangolo che racchiude il concetto di competenza.

Nelle nuove indicazioni nazionali lo sviluppo delle competenze è delineato quale orizzonte verso cui

indirizzare il nostro viaggio, la stella polare del percorso didattico e momento di crescita formativa,

indirizzando l’insegnamento verso la prospettiva della didattica laboratoriale, in cui il docente cessa di

svolgere una funzione meramente trasmissiva e acquista, quale modalità operativa e abito pedagogico, le

impostazioni tipiche della ricercazione, coniugando i necessari input teorici con aspetti esperienziali.

Si prefigura un docente in grado di supportare gli alunni a sviluppare competenze per la vita in un’ottica di

educazione permanente e che faccia suo quanto affermato da Morin: una testa ben fatta è una testa atta a

organizzare le conoscenze per evitare la loro sterile accumulazione.

Questa modalità introduce una notevole carica innovativa nell’azione educativa e si pone come ispiratrice di

percorsi attenti alla persone in vista della formazione di soggetti in grado di affrontare la complessità della

vita.

Il processo di insegnamento-apprendimento farà riferimento a una serie di elementi caratterizzanti la

didattica per competenze:

sicuro possesso dei saperi disciplinari

padronanza delle metodologie

coinvolgimento della dimensione affettiva e relazionale

acquisizione di capacità metacognitive

… e tutte quelle dimensioni che Dewey chiama apprendimenti collaterali o aspetti impliciti del

processo di apprendimento.

Migliorare il clima di scuola e di classe per creare un ambiente per l’apprendimento

Collocare la nozione di empatia e di affettività al centro della relazione pedagogica

Prestare attenzione agli alfabeti disciplinari, ma anche a quelli emotivi

Motivare e valorizzare sempre le risorse di ognuno attraverso una costante azione di scaffolding

emotiva e cognitiva

Personalizzazione educativa

Strumenti compensativi e misure dispensative

Superare l’idea sbagliata che si possa insegnare senza difficoltà, per cui l’alunno fragile e in difficoltà

è la normalità, per cui la fragilità interroga sempre l’educazione

Ripensare e strutturare la scuola dal punto di vista degli alunni, anzi dal punto di vista dei somari, dei

bisognosi (Pennac)

Curare la formazione

Utilizzare in modo adeguato le TIC nella didattica.

Ricordiamo che le competenze non sono predefinite, rigide, ma ora si parla di traguardi per lo sviluppo delle

competenze, qualcosa che è in costruzione, in divenire processuale.

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Occorre ripensare al scuola affinchè non si verifichi ciò che ha scritto Pennac:

<<ogni sera della mia infanzia tornavo a casa perseguitato dalla scuola. I miei voti dicevano la riprovazione

dei miei maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo>>.

Ragioni per una didattica per competenze (Petracca)

Un nuovo bisogno di formazione: puntare sul potenziale conoscitivo, vista l’insufficienza del bagaglio

conoscitivo (i saperi invecchiano velocemente) … capacità di conoscere.

Un nuovo bisogno cognitivo: nuove modalità di conoscenza, TIC

Nuovo bisogno didattico: attribuire senso alle conoscenze per cui l’apprendimento diventa attivo,

costruttivo e non riproduttivo.

Le competenze hanno sede nel potenziale conoscitivo, non nel bagaglio cognitivo, perché il bagaglio ha il

senso del limite; il potenziale ha il senso di andare oltre, implica il cosa, ma anche il come, il perché, le

procedure per costruire la conoscenza, comprende tutto l’iceberg della conoscenza, l’idea dello sviluppo, la

capacità di organizzare le conoscenze, di ricercare altre, cioè la capacità di conoscere, ma anche le procedure

per costruire conoscenze.

Bisogna ripensare una scuola diversa dall’attuale che abbia al centro gli studenti e il loro

benessere, con lo studente come fine.

La differenza come chiave del successo formativo:

• gli studenti non sono tutti uguali, per cui la scuola non deve dare tutto a tutti, cioè un insegnamento

uguale per allievi disuguali, ma a ciascuno secondo i suoi bisogni

• non si curano le eccellenze

• non si recuperano i più deboli

• a scuola si insegna senza conoscere i ragazzi, mentre bisogna muoversi verso di loro.

Una scuola per il successo formativo di tutti e di ciascuno:

• questo comporta che la scuola differenzi gli obiettivi per adeguarli ai limiti e ai punti di forza di

ciascuno

• ma, è anche necessario che la scuola rilevi i potenziali, al riparo dai condizionamenti familiari e

sociali.

Ripensare la scuola con lo studente come fine vuol dire:

a) mirare al successo formativo di tutti e di ciascuno (inteso come la realizzazione del loro massimo potenziale

individuale e non come il raggiungimento di astratti livelli uguali per tutti). Il mandato è triplice: l’educazione

della persona, del cittadino e la preparazione alla vita attiva

b) curare anche il benessere dei giovani, non distruggere mai la loro autostima (specie dei più deboli).

LE NUOVE MISSIONI PER IL XXI SECOLO

1. educare la persona e non solo istruirla

2. educare a vivere con gli altri nella prospettiva di una cittadinanza globale

3. operare per il successo formativo di tutti e di ciascuno nella vita attiva.

• curare il benessere e l’autostima dello studente

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• ridurre drasticamente i livelli di abbandono e la dispersione scolastica.

Educare la persona e non solo istruirla: conoscenze e competenze hanno bisogno di essere orientate da

valori, una scuola neutrale è un malinteso; il nostro bagaglio emozionale deriva dal paleolitico: in fatto di

istinti, pulsioni ed emozioni siamo rimasti vecchi (insicurezza, paura, intolleranza per il diverso, istinti gregari,

conformismo, aggressività...).

Per Edgar Morin, la finalità educativa principale deve essere l’insegnamento della condizione umana e la

consapevolezza di comuni destini. I giovani hanno bisogno di motivazioni, di risposte alla domanda di valori

e di senso così forte in quegli anni.

Educare a vivere con gli altri in una prospettiva di cittadinanza globale

L’educazione civica e alla cittadinanza attiva è necessaria per imparare a vivere con gli altri nel rispetto

reciproco e all’interno di un insieme di regole condivise (vanno studiati e discussi i valori della prima parte

della nostra Costituzione e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Onu).

Operare per il successo formativo di tutti e di ciascuno nella vita attiva

Gli studenti non sono tutti uguali: i percorsi e i curricoli della secondaria sono troppo liceali e simili tra loro,

portano a non curare le eccellenze e soprattutto a molti abbandoni dei più deboli. Lo spreco è duplice. Una

scuola con lo “studente come fine” deve, invece, adottare come parametro una maggiore “personalizzazione

dell’offerta” per garantire il successo formativo di tutti e di ciascuno, facendo i conti con l’utenza “così come

è e non come si vorrebbe che fosse”.

La scuola per tutti

non deve limitarsi a istruire, ma deve preparare lo studente nella sua interezza, educandolo a vivere

con gli altri, ai diritti e ai doveri, alla libertà e al rispetto delle regole

deve puntare sulla personalizzazione

deve avere al centro gli studenti: il loro benessere e il loro successo formativo, cioè lo sviluppo di

tutto il loro potenziale nel contesto

deve essere aperta la territorio e capace di essere luogo di riferimento per la comunità locale.

La Scuola dovrebbe assicurare alla società civile cittadini preparati:

come soggetti attivi, dotati di conoscenze e competenze;

come cittadini di una comunità globale (cittadinanza globale);

come persone informate, dotate di sensibilità e di strumenti per orientarsi nella vita autonoma.

La scuola, quindi, deve:

garantire il successo formativo, riducendo gli abbandoni precoci

formare l’uomo

formare il cittadino.

Infatti, negli ultimi anni le condotte antisociali sono aumentate, perché sembrano saltati tutti parametri delle

norme del rispetto e della convivenza civile, per cui i ragazzi avrebbero bisogno di essere circondati, a casa e

a scuola, da modelli educanti positivi. Ciò dovrebbe far riflettere famiglia e scuola, visto che hanno un ruolo

determinante nel promuovere competenze sociali e di cittadinanza.

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A cura del DS - F.Q. pag. 7

Compito della famiglia è di educare alle norme primarie della convivenza e al rispetto delle persone; compito

della scuola, in collaborazione con la famiglia e le altre agenzie educative presenti nella comunità, è dare

significato alle norme, costruire la consapevolezza della loro necessità per la corretta convivenza, e insegnare

ad applicarle nella vita quotidiana.

La scuola dovrebbe essere il luogo dove si concretizza il giusto equilibrio tra i diritti dei singoli e quelli della

collettività.

Pertanto, emerge che le missioni della scuola di successo scolastico e formativo, di formale l’uomo e il

cittadino siano state oggetto di scarsa attenzione, visto gli abbandoni precoci, le condotte antisociali,

l’aumento di episodi di bullismo.

Tutto ciò perché non è riuscito il passaggio dalla scuola di pochi alla scuola di tutti, eccetto che nella scuola

Primaria.

Cosa fare?

Occorre il coraggio di ripensare la scuola che si proponga di offrire risposte all’utenza come è e non come

vorrebbe che fosse. La scuola va ripensata guardando a chi la frequenta e alla società civile a cui deve render

conto e non, soprattutto, a chi ci lavora. Cioè, i docenti devono essere intesi come risorsa e non come fine.

Infatti, il fine della scuola è costituito dagli alunni e dal loro successo formativo. La missione trasversale della

scuola deve essere la cura del benessere dei ragazzi, premessa per il successo formativo di ciascun ragazzo,

cioè come massima realizzazione delle potenzialità personali.

Secondo il sociologo Edgard Morin la finalità educativa principale deve essere l’insegnamento della

condizione umana, per diventare cittadini del mondo capaci di capire che abbiamo interessi comuni da

perseguire: la pace, il rispetto dell’ambiente, la crescita del capitale umano e sociale, la cura per l’intelligenza

emotiva.

Pertanto, risulta evidente come sia imprescindibile offrire ai giovani una combinazione di istruzione-

educazione.

Insomma, una scuola per tutti pretende un ripensamento radicale capace di focalizzare tre temi

fondamentali:

una scuola per tutti non può limitarsi a istruire, ma deve educare (istruendo) a vivere con gli altri:

educare ai diritti e ai doveri, al rispetto delle regole, allo spirito critico, alle buone regole di

comportamento per praticare una cittadinanza attiva e responsabile.

Ridurre o eliminare gli attuali livelli di abbandono e di dispersione scolastica, perché ogni studente

che la scuola perde è una sconfitta della scuola e della società. I forti troveranno sempre la propria

strada: sono i deboli che hanno bisogno di interventi adeguati contro la loro emarginazione attuale.

La scuola deve portare ciascuno al massimo sviluppo delle sue potenzialità individuali nel contesto

da to (successo formativo).

Realizzare una scuola che abbia al centro il benessere e il successo formativo degli studenti avendo

come fine gli studenti, senza distruggere mai la loro autostima; una scuola considerata come luogo

autorevole, non autoritario, vista come istituzione amica, coinvolgente e motivante.

In buona sostanza:

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A cura del DS - F.Q. pag. 8

Una scuola di istruzione e di educazione, che si realizza non solo attraverso lezioni, ma anche tramite attività

differenziate che si sviluppano durante tutta la giornata. Una scuola pensata in funzione dei ritmi psicofisici

dei bambini e dei ragazzi, dei loro bisogni cognitivi ed emotivi, dei loro interessi, con momenti di studio

assistito, alternati ad altri momenti di protagonismo creativo (teatro, musica, arte, volontariato, dibattiti).

Una scuola che, attraverso un’intensa interazione fra adulti educatori e allievi, faciliti il saper comunicare, il

saper collaborare e l’alfabetizzazione emotiva (controllare i propri impulsi, saper ascoltare, mettersi al posto

dell’altro …).

Una scuola in cui tutti stanno bene, avendo una visione di sistema.

Per realizzare tutto ciò è fondamentale il ruolo del Dirigente Scolastico, costruttore di ponti e di comunità,

nelle sue funzioni di direzione, coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane.

Un ruolo che non dovrà svolgere da solo, ma con altri componenti della comunità scolastica (il CDD, il CDI) in

un grande patto di corresponsabilità per una grande alleanza educativa e puntando alla valorizzazione

dell’autonomia scolastica: utilizzare il tempo scuola in modo diverso e flessibile; creare le condizioni per lo

sviluppo e l’utilizzo delle tecnologie digitali, alternare le lezioni con attività coinvolgenti (tempo disteso e

spazi flessibili perché ognuno si senta preso in carico e a proprio agio per realizzare il proprio successo

formativo).

In sintesi: equilibrio nella distribuzione fra attività e lezioni; prevalenza al mattino dei compiti che richiedono

più concentrazione; alternanza tra impegno teorico e impegno fisico; flessibilità nella scelta delle cose da

fare; ogni tanto, una sorpresa che tenga viva l’attenzione.

La sfida è quella di riuscire a creare le condizioni in cui ognuno trovi il suo posto, le opportunità per il suo

benessere, premessa perché il successo formativo di tutti e di ciascuno non rimanga una formula vuota.

Infatti, il successo formativo ed educativo per tutti, di cui il DS è primo responsabile, non dipende solo dalle

metodologie o dai curricoli o dall’uso del tempo scuola, ma anche dalla capacità del DS di saper tenere aperto

il canale della comunicazione e della reciproca fiducia tra l’istituzione e i suoi destinatari.

Concludendo, le nuove missioni che la scuola deve proporsi si possono così riassumere:

1. Educare la persona e non solo istruirla (formare l’uomo);

2. Educare a vivere con gli altri nella prospettiva di una cittadinanza globale (formare il cittadino);

3. Operare per il successo formativo-educativo di tutti nella vita attiva.

La funzione del DS non si deve esplicare solo all’interno del contesto scolastico, ma anche all’esterno, con

tutti i soggetti della Comunità educante: famiglie, istituzioni locali, associazioni, altre agenzie educative.

Visto che la scuola non è più la detentrice esclusiva della formazione, il DS deve essere capace di relazionarsi

con il territorio, tessendo un costante confronto e dialogo costruttivi, per creare un buon clima relazionale

in tutti i contesti, attivando e coordinando i processi, essendo il responsabile della gestione pedagogica,

didattica e organizzativa della sua scuola, in collaborazione con gli altri componenti della comunità scolastica.

Tutto è finalizzato ad assicurare il diritto di apprendimento degli alunni, la libertà di scelta educativa delle

famiglie, la libertà di insegnamento dei docenti, ma anche formazione di qualità e collaborazioni culturali,

professionali, sociali ed economiche con il territorio, perché la collaborazione con il mondo esterno è centrale

per ripensare e rinnovare la scuola.

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A cura del DS - F.Q. pag. 9

La responsabilità educativa della scuola

La base del processo educativo è costituita dalla tutela dell’alterità, premessa per costruire una relazione di

crescita e di autoregolazione personale.

Infatti, ogni relazione educativa non può svincolarsi dal doveroso riconoscimento dell’unicità irripetibile

dell’altro, che in quanto persona, risulta depositario di una propria identità da svelare durante la relazione

educativa.

La conoscenza dell’altro diventa il presupposto fondamentale per instaurare qualsiasi relazione. Questo tipo

di approccio relazionale richiama alla responsabilità delle azioni da parte delle persone coinvolte nel

rapporto educativo.

L’implicazione dell’educatore, in una relazione asimmetrica come quella educativa, è fondamentale in quanto

il maestro assume su di sé la responsabilità di guidare l’educando verso la progressiva maturazione della sua

personalità. Ciò significa che l’insegnante intende prendersi cura di tutti i suoi alunni ed è disposto ad

accompagnarli nel percorso di crescita con saggezza e maestria, tenendo presente un progetto educativo

elaborato consapevolmente. In quanto progettista dell’azione educativa, il docente diventa responsabile del

processo educativo dei suoi alunni ai quali va riconosciuta la dignità di esseri umani in divenire.

Pertanto, le azioni didattico-educative si collocano in una dimensione di adultità per l’attenzione qualificata

verso un fare pedagogico fruttifero.

Il riferimento al docente responsabile e a un adulto esperto mobilita il concetto di onestà e ciò vuol dire

accettare la responsabilità di educare (dimensione etica), perché il legame con l’altro si può consolidare

esclusivamente alla presenza di responsabilità.

Nell’educazione l’atto di responsabilità guida l’educatore per renderlo capace di predisporsi con umiltà e con

diligenza alla frequentazione dell’educando, per scoprire ogni aspetto della sua personalità, generando un IO

libero e capace di autonomia per il proprio e altrui benessere, grazie all’esperienza formativa ed educativa

vissuta.

In sintesi, il valore educativo della scuola si misura se al centro del discorso pedagogico ritorna l’attenzione

alla persona e al suo progetto di crescita globale: cognitiva, emotiva, sociale.

La scuola deve essere luogo di incontro, di dialogo intorno alla persona per esercitare un servizio educativo

istruendo la persona e garantire l’uguaglianza delle opportunità educative e di crescita integrale della

persona.

La responsabilità pedagogica della scuola è questione di scelte che si fanno in funzione del divenire degli

studenti. Si tratta di un agire educativo che coinvolge il destino dei bambini e dei ragazzi implicati nel processo

educativo.

Ad ogni alunno deve essere garantito il successo educativo integrale, capace di coinvolgere le conoscenze,

gli atteggiamenti umani riferibili alla dimensione cognitiva, affettiva, emotiva, estetica del soggetto.

Per educare alla legalità, alla cittadinanza attiva, sostenibile e responsabile, la scuola dovrà ripensare le

proprie scelte educative, didattiche e metodologiche, individuando strade praticabili in linea con i bisogni

degli alunni.

L’educazione deve guardare lontano e aprirsi alla visione di un futuro sostenibile, in cui ciascuno possa

sentirsi a casa ed essere riconosciuto in quanto persona autentica e capace di migliorarsi crescendo.

Page 10: Il coraggio di ripensare e cambiare la scuola … si può e ... · A cura del DS - F.Q. pag. 2 In questa direzione occorre ripensare la Scuola e la didattica, rimettendo in discussione

A cura del DS - F.Q. pag. 10

Allora, il dovere principale di un DS diventa quello di esortare il CDD a operare le idonee scelte pedagogiche.

Il Collegio delinea le proprie scelte saldandole nel PTOF che segna decisamente l’impegno pedagogico

assunto dalla Comunità educante, in quanto atto di responsabilità condiviso in maniera consapevole, a cui

tutte le persone della scuola sono vincolate per realizzare efficacemente il servizio di istruzione e di

educazione proposto agli alunni.

Concludendo, l’esperienza formativa ed educativa della scuola dovrebbe essere caratterizzata da:

Intenzionalità perché orientata allo sviluppo e alla crescita delle nuove generazioni secondo precise

direttive;

Imprevedibilità in quanto la ricchezza del percorso educativo è data dalla dinamicità processuale,

con zone di incertezze e imprevedibilità (costruire certezze provvisorie successive, Romei), intese

come opportunità di crescita e non di ostacoli;

Relazionalità perché la scuola è luogo di reciprocità, incontro dove si impara insieme agli altri,

contesto di relazione educativa attraverso scaffolding cognitivo, emotivo, affettivo. Questo rapporto

di reciprocità reclama la consapevolezza e la disponibilità ad educare se stessi mentre si cerca di

educare gli altri (educare è educarsi);

Disponibilità: essere disponibili ad educare vuol dire riscoprire la passione educativa per compiere

gesti gratuiti per il bene degli alunni. Se non riusciamo ad essere disponibili all’incontro con gli altri,

allora la nostra fragilità emergerà e la nostra povertà interiore bloccherà le nostre energie, con

chiusura e sfiducia;

Responsabilità: emerge quando i docenti si prendono cura di tutto ciò che affiora da cuore a

sostegno di un autentico processo in divenire e di crescita verso l’umanità.

Premessa indispensabile: una nuova alleanza educativa scuola-famiglia che nel rispetto dei ruoli, sia capace

di incontro e di dialogo costruttivo con al centro la cura educativa dei bambini e dei ragazzi.