Il Corbaccio - Boccaccio

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Boccaccio

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  • Letteratura italiana Einaudi

    Il Corbaccio

    di Giovanni Boccaccio

  • Edizione di riferimento:a cura di P. G. Ricci, Classici Ricciardi/Einaudi,Einaudi, Torino 1977

    Letteratura italiana Einaudi

  • 1Letteratura italiana Einaudi

    Qualunque persona, tacendo, i benefci ricevuti na-sconde senza aver di ci cagione convenevole, secondoil mio giudicio assai manifestamente dimostra s essereingrato e mal conoscente di quelli. Oh cosa iniqua e aDio dispiacevole e gravissima a discreti uomini, il cuimalvagio fuoco il fonte secca della piet! Del quale ac-ci che niuno mi possa meritamente riprendere, intendodi dimostrare nellumile trattato seguente una spezialegrazia, non per mio merito, ma per sola benignit di Co-lei che impetrandola da Colui che vuol quello chellamedesima, nuovamente mi fu conceduta. La qual cosafaccendo, non solamente parte del mio dovere pagher,ma sanza niuno dubbio potr a molti lettori di quella fa-re utilit. E perci, acci che questo ne segua, divota-mente priego Colui del quale e quello di che io debbodire e ogni altro bene procedette e procede, e che di tut-ti, come per effetto si vede, larghissimo donatore, chealla presente opera della sua luce siffattamente illuminiil mio intelletto e la mano scrivente regga, che per mequello si scriva che onore e gloria sia del suo santissimonome, e utilit e consolazione delle anime di coloro liquali per avventura ci leggeranno, e altro no.

    Non ancora molto tempo passato che, ritrovandomiio solo nella mia camera, la quale veramente sola testi-monia delle mie lagrime, de sospiri e de rammarichii, scome assai volte davanti avea fatto, mavvenne che iofortissimamente sopra gli accidenti del carnale amorecominciai a pensare; e, molte cose gi trapassate volgen-do e ogni atto e ogni parola pensando meco medesimo,giudicai che, senza alcuna mia colpa, io fossi fieramentetrattato male da colei la quale io mattamente per miasingulare donna eletta avea e la quale io assai pi che lamia propia vita amava e oltre ad ogni altra onorava e re-veriva. E in ci parendomi oltraggio e ingiuria, sanzaaverla meritata, ricevere, da sdegno sospinto, dopo mol-ti sospiri e rammarichii, amaramente cominciai non a la-

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    grimare solamente, ma a piagnere. E in tanto dafflizio-ne trascorsi, ora della mia bestialit dolendomi, e oradella crudelt trascutata di colei, che, uno dolore soprauno altro col pensiero aggiugnendo, estimai che moltomeno grave dovesse essere la morte che cotal vita; equella con sommo disiderio cominciai a chiamare; e, do-po molto averla chiamata, conoscendo io che essa, piche altra cosa crudele, pi fugge chi pi la disidera, me-co imaginai di costrignerla a trmi del mondo.

    E gi del modo avendo diliberato, mi sopravenne unosudore freddo e una compassion di me stesso, con unapaura mescolata di non passare di malvagia vita a peg-giore, se io questo facessi, che fu di tanta forza che quasidel tutto ruppe e spezz quello proponimento che io da-vanti reputava fortissimo. Per che, ritornatomi alle lagri-me e al primiero rammarichio, tanto in esse multiplicaiche l disiderio della morte, dalla paura di quella caccia-to, ritorn unaltra volta; ma, tolto via come la prima e lelagrime ritornate, a me, in cos fatta battaglia dimorante,credo da celeste lume mandato, sopravenne uno pensie-ro, il quale cos nella afflitta mente meco cominci assaipietosamente a ragionare:

    Deh, stolto, che quello a che il poco conoscimentodella ragione, anzi pi tosto il discacciamento di quella,ti conduce? Or se tu s abbagliato che tu non tavvegghiche, mentre tu estimi altrui in te crudelmente adoperare,tu solo se colui che verso te incrudelisci? Quella donnache tu, sanza guardare come, incatenata la tua libert enelle sue mani rimessa t, s come tu di, di gravi pen-sieri misera e dolorosa cagione, tu se ingannato: tu, nonella, ti se della tua noia cagione. Mostrami dovella ve-nisse ad isforzarti che tu lamassi; mostrami con quali ar-mi, con qual giurisdizione, con qual forza ella tabbiaqui a piagnere e a dolerti menato o ti ci tenga: tu nol mipotrai mostrare, per ci chegli non . Vorrai forse dire:ella, conoscendo chio lamo, dovrebbe amar me; il che

    2Letteratura italiana Einaudi

  • non faccendo, m di questa noia cagione; e con questomi ci mena e con questo mi ci tiene. Questa non ra-gione chabbia alcun valore; forse che non le piaci tu:come vuo tu che alcuno ami quello che non gli piace?Dunque, se tu ti se messo ad amare persona a cui tunon piaci, non , se mal te ne segue, la colpa della perso-na amata: anzi tua, che sapesti male eleggere. Tu, dun-que, se per non essere amato ti duoli, te ne se tu stessocagione: e perch apponi tu ad alcuno quello che tu me-desimo thai fatto e ti fai? E certo, per lo averti tu stessooffeso, meriteresti tu appo giusto giudice ogni grave pe-nitenzia; ma, per ci chella non quella che al tuoconforto bisogna, anzi sarebbe uno aggiugnere di penasopra pena, non ora da andar cercando questa giusti-zia. Ma veggiamo, se tu in te stesso incrudelisci, quel chetu avrai fatto. Ci che luomo fa, o per piacere a s solo,o per piacere ad altrui, o per piacere a s e ad altrui il fa,o per lo suo contrario. Ma veggiamo se quello a che latua cechit ti reca, tuo piacere o dispiacere. Che eglinon sia tuo piacere assai manifestamente appare; per ciche, se ti piacesse, tu non te ne rammaricheresti, n nepiangeresti come tu fai. Resta a vedere se questo tuo di-spiacere piacere o dispiacere daltrui; n daltri orada cercare, se non di quella donna per cui tu a ci ti con-duci, la quale senza dubbio o ella tama o ella tha inodio, o egli non n luno n laltro. Se ella tama, senzaniuno dubbio la tua afflizione l noiosa e dispiacevole:or non sai tu che, per lo fare noia e dispiacere altrui, nonsacquista n si mantiene amore, anzi odio e nimist?Non pare che tu abbi tanto caro lamore di questa don-na quanto tu vuogli mostrare, se tu con tanta animositfai quello che le dispiace e disideri di far peggio. Se ellatha in odio, se tu non se del tutto fuori di te, assai aper-tamente conoscer di niuna cosa poter fare che pi lepiaccia, che lo mpiccarti per la gola il pi tosto che tupuoi. E non vedi tu tutto l giorno le persone che hanno

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    alcuno in odio, per diradicarlo e per levarlo di terra,mettere le lor cose e la propia vita in avventura, contra leleggi umane e divine adoperando? E, tanta di letizia e dipiacer sentono, quanta di tristizia e di miseria sentono incui hanno in odio. Tu, dunque, piagnendo, attristando-ti, rammaricandoti, sommo piacere fai a questa tua nimi-ca. E chi sono quelli, se non i bestiali, che a loro nimicidi piacere si dilettano? Se ella n tama n tha in odio,n di te poco n molto cura, a che sono utili queste lagri-me, questi sospiri, questi dolori cos cocenti? Tanto tper lei prenderli, quanto se per una delle travi della tuacamera li prendessi. Perch dunque taffliggi? Perch lamorte disideri? La quale ella medesima, tua nimica se-condo che tu estimi, non cerc di darti? Egli non mostrache tu abbi ancora sentito quanta di dolcezza nella vitasia, quando cos leggiermente di trti di quella appetisci;n ben considerato quanta pi damaritudine sia neglietterni guai che in quelli del tuo folle amore. Li qualitanti e tali ti vengono, quanti e quali tu stesso te li pro-cacci: ed tti possibile, volendo essere uomo, di cacciar-li; il che degli etterni non ti avverrebbe. Leva adunquevia, anzi discaccia del tutto, questo tuo folle appetito; nvolere ad una ora te privare di quello che tu non acqui-stasti ed etterno supplicio guadagnare, e, a chi mal tivuole, sommamente piacere; sieti cara la vita e quella,quanto puoi il pi, tingegna di prolungare. Chi sa se tuancora, vivendo, potrai veder cosa di costei, di cui tutanto gravato ti tieni, che sommamente ti far lieto?Niuno. Ma certissimo pu essere a tutti che ogni speran-za di vendetta, od altra letizia di cosa che qua rimanga,fugge, nel morire, a ciascuno. Vivi adunque; e come co-stei, contra te malvagiamente operando, singegna didarti dolente vita e cagione di disiderare la morte, costu, vivendo, trista la fa della vita tua.

    Maravigliosa cosa quella della divina consolazionenelle menti de mortali: questo pensiero, s comio arbi-

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  • tro, dal piissimo Padre de lumi mandato, quasi dagli oc-chi della mente ogni oscurit levatami, intanto la vista diquelli aguzz e rend chiara che, a me stesso manifesta-mente scoprendosi il mio errore, non solamente, riguar-dandolo, me ne vergognai, ma, da compunzione debitamosso, ne lagrimai e me medesimo biasimai forte, e dameno chio non arbitrava dessere mi reputai. Ma, ra-sciutte dal volto le misere e le pietose lagrime e confor-tatomi a dovere la solitaria dimoranza lasciare, la qualeper certo offende molto ciascuno il quale della mente men che sano, della mia camera con faccia assai, secon-do la malvagia disposizione trapassata, serena uscii. E,cercando, trovai compagnia assai utile alle mie passioni:colla quale ritrovandomi e in dilettevole parte ricoltici,secondo la nostra antica usanza, primieramente comin-ciammo a ragionare con ordine assai discreto delle volu-bili operazioni della Fortuna, della sciocchezza di coloroi quali quella con tutto il disiderio abbracciavano, e del-la pazzia dessi medesimi, i quali, come in cosa stabile, laloro speranza in essa fermavano. E di quinci alle perpe-tue cose della natura venimmo e al maraviglioso ordinee laudevole di quelle, tanto meno da tutti con ammira-zion riguardate, quanto pi tra noi, senza considerarle,le veggiamo usitate. E da queste passammo alle divine,delle quali appena le particelle estreme si possono dapi sublimi ingegni comprendere, tanto deccellenziatrapassano glintelletti de mortali. E intorno a cos alti ecos eccelsi e cos nobili ragionamenti il rimanente diquel d consumammo; da quali la sopravegnente notteci costrinse a rimanerci per quella volta; e, quasi da divi-no cibo pasciuto, levatomi e ogni mia passata noia aven-do cacciata e quasi dimenticata, consolato alla mia usita-ta camera mi ridussi. E poi che lusato cibo assaisobriamente ebbi preso, non potendo la dolcezza depassati ragionamenti dimenticare, grandissima parte diquella notte, non senza incomparabile piacere, tutti me-

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    co repetendoli, trapassai; e, dopo lungo andare, vincen-do la naturale opportunit il mio piacere, soavementemaddormentai; e con tanta pi forza si mise ne mieisentimenti il sonno, quanto pi gli avea il dolce pensieretrapassato di tempo tolto.

    Per che essendo io in altissimo sonno legato, non pa-rendo alla mia nimica Fortuna che le bastassero le ingiu-rie fattemi nel mio vegghiare, ancora dormendo singe-gn di noiarmi; e davanti alla virt fantastica, la quale ilsonno non lega, diverse forme paratemi, avvenne che ame subitamente parve intrare in uno dilettevole e bellosentiero, tanto agli occhi miei e a ciascuno altro mio sen-so piacevole quanto fosse alcunaltra cosa stata davantida me veduta. Il luogo, dove questo si fosse, non mi pa-rea conoscere; n di conoscerlo mi parea curare, posciache dilettevole il sentia. il vero che, quanto pi avantiper esso andava, tanto pi parea che di piacere mi por-gesse; per che da quello si ferm una speranza la qualemi promettea che, se io al fine del sentiero pervenissi, le-tizia inestimabile e mai simile da me non sentita mi sap-parecchiava. Onde pareva che in me saccendesse unodisio s fervente di pervenire a quello, che non solamen-te i miei piedi si moveano a correre per pervenirvi, mami parea che mi fossero da non usata natura prestate ve-locissime ali; colle quali mentre a me parea pi ratta-mente volare, mi parve il cammino cambiare qualit; e,dove erbe verdi e vari fiori nellentrata merano parutivedere, ora tassi, ortiche e triboli e cardi e simili cose miparea trovare; sanza che, indietro volgendomi, seguir mividi a una nebbia s folta e s oscura quanto niuna se nevedesse gi mai; la quale subitamente intorniatomi, nonsolamente il mio volare impedo, ma quasi dogni spe-ranza del promesso bene allentrare del cammino mi fe-ce cadere.

    E cos quivi immobile e sospeso trovandomi, mi par-ve per lungo spazio dimorare avanti che io, per attorno

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  • guardarmi, potessi conoscere dovio mi fossi. Ma pure,dopo lungo spazio assottigliatasi la nebbia, come che lcielo per la sopravenuta notte oscuro fosse, conobbi medal mio volato essere stato lasciato in una solitudine di-serta, aspra e fiera, piena di salvatiche piante, di pruni edi bronchi, senza sentieri o via alcuna, e intorniata dimontagne asprissime e s alte che colla loro sommit pa-reva toccassero il cielo. N per guardare con gli occhicorporali, n per estimazione della mente, in guisa alcu-na mi pareva potere comprendere n conoscere da qualparte io mi fossi in quella entrato; n ancora, che pi mispaventava, poteva discernere dondio di quindi potessiuscire e in pi dimestichi luoghi tornarmi. E, oltre aquesto, mi parea per tutto, dove che io mi volgessi, sen-tire mugghi, urli e strida di diversi e ferocissimi animali:de quali la qualit del luogo mi dava assai certa testimo-nianza che per tutto ne dovesse essere piena. Laonde edolore e paura parimente mi venner nellanimo. Il dolo-re agli occhi miei recava continue lacrime, e sospiri erammarichii alla bocca; la paura mimpediva di prende-re partito verso quale di quelle montagne io dovessiprendere il cammino per partirmi di quella valle, ciascu-na parte mostrandomi piena di pi forti nimici della miavita: laondio, arrestato nella guisa che mostrata , e daogni consiglio e aiuto abbandonato, quasi niunaltra co-sa che la morte o da fame o da crudel bestia aspettando,fra gli aspri sterpi e le rigide piante piangendo mi pareadimorare, niunaltra cosa faccendo che tacitamente odolermi dellesservi entrato, sanza prevedere dovio per-venire mi dovessi, o chiamare il soccorso di Dio.

    E, mentre che io in cotal guisa e gi quasi da ogni spe-ranza abbandonato, tutto delle mie lagrime molle mistava, ed ecco di verso quella parte dalla quale nella mi-sera valle il sole si levava, venire verso me con lento pas-so uno uomo senza alcuna compagnia; il quale, per quel-lo chio poi pi da presso discernessi, era di statura

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    grande e di pelle e di pelo bruno, bench in parte bian-co divenuto fosse per gli anni, de quali sessanta o forsepi dimostrava davere, asciutto e nerboruto, e di nonmolto piacevole aspetto; e il suo vestimento era lunghis-simo e largo e di colore vermiglio, come che assai pi vi-vo mi paresse, non ostante che tenebroso fosse il luogol dovio era, che quello che qua tingono i nostri mae-stri. Il quale, come detto , con lenti passi appressando-misi, in parte mi porse paura e in parte mi rec speran-za. Paura mi porse per ci chio cominciai a temere nonquello luogo a lui forse per propia possessione assegnatofosse, e, recandosi ad ingiuria di vedervi alcuno altro, lefiere del luogo, s come a lui familiari, a vendicar la suaingiuria sopra me incitasse e a quelle mi facesse dilacera-re; speranza dalcuna salute mi rec in quanto, pi fac-cendosi a me vicino, pieno di mansuetudine mel pareavedere; e pi e pi riguardandolo, estimando daltra vol-ta, non quivi ma in altra parte, aver veduto, diceva me-co: Questi per avventura, s come uomo uso in questacontrada, mi mostrerr dove sia di questo luogo luscita;e ancora, se in lui fia spirito di piet alcuno, infino aquello benignamente mi mener. E, mentre che io incos fatto pensiere dimorava, esso, senza ancora dire al-cuna cosa, tanto mi sera avvicinato che io, ottimamentela sua effige raccolta, chi egli fosse e dove veduto lavessimi ricordai; n daltro colla mia memoria disputava chedel suo nome, imaginando che se io per quello, miseri-cordia e aiuto chiedendogli, il nominassi, quasi una pistretta familiarit per quello dimostrando, con maggioree pi pronta affezione a miei bisogni il dovessi muove-re. Ma, mentre che io quello che cercando andava ritro-var non poteva, esso, me con voce assai soave per lo miopropio nome chiamandomi, disse: Qual malvagia for-tuna, qual malvagio destino tha nel presente disertocondotto? Dove il tuo avvedimento fuggito, dove latua discrezione? Se tu hai sentimento quanto solevi, non

    8Letteratura italiana Einaudi

  • discerni tu che questo luogo di corporal morte e diperdimento danima, che molto peggio? Come ci se tuvenuto, qual tracutanza tha qui guidato?

    Io, costui udendo, e parendomi nel suo sembiante dime pietoso, prima chio potessi alla risposta avere la vo-ce, dirottamente, di me stesso increscendomi, a piagnerecominciai. Ma, poi che alquanto sfogata fu la nuovacompassione per le lagrime, raccolte alquanto le forzedellanimo in uno, con rotta voce e non senza vergogna,rispuosi:

    S come io estimo, il falso piacere delle caduche co-se, il quale pi savio chio non sono gi trasvi moltevolte e forse a non minor pericolo condusse, qui, primache io maccorgessi dovio mandassi, mebbe menato: ldove in amaritudine incomportabile e senza speranza al-cuna, da poi che io mi ci vidi, che sempre stato di not-te, dimorato sono. Ma, poi che la divina grazia, s comeio credo, e non per mio merito, mi tha innanzi parato,io ti priego, se colui se il quale molte volte gi in altraparte veder mi parve, che tu, per quello amore che allacomune patria di e appresso per quello dIddio per loquale ogni cosa si dee, e se in te alcuna umanit, che dime tincresca; e, se sai, minsegni comio di luogo di tan-ta paura pieno partir mi possa: dalla quale gi s vinto misento che appena conosco sio o vivo o morto mi sono.

    Parvemi allora, nel viso guardandolo, che egli alquan-to delle mie parole ridesse con seco stesso; e poi dicesse:

    Veramente mi fa il qui vederti e le tue parole assaimanifesto, se altrimenti nol conoscessi, te del vero senti-mento essere uscito e non conoscere se vivo ti sii o mor-to; il quale se da te non avessi cacciato, ricordandotiquali occhi fossero quelli e di cui, la cui luce, secondo ilvostro parlare, taperse il cammino che qui tha condot-to, e fecetelo parere cos bello, e conoscendo quanto gifossero a me, tu non avresti avuto ardire di pregarmi perla tua salute; ma, veggendomi, ti saresti ingegnato di

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    fuggire per tema di non perderne alquanta che ancorat rimasa. E, se io fossi colui che io gi fui, per certonon aiuto ti presterei ma confusione e danno, s come acolui che ottimamente lhai meritato. Ma, per ci che io,poi che dalla vostra mortale vita sbandito fui, ho la miaira in carit trasmutata, non sar alla tua domanda nega-to il mio aiuto.

    Alle cui parole stando io attento quanto io poteva, co-me io udi: poi che dalla vostra mortale vita fui sbandi-to, e di sbito riconoscendo non costui essere colui ilquale io estimava, ma la sua ombra, cos uno repentefreddo mi corse per lossa e tutti i peli mi si cominciaro-no ad arricciare; e, perduta la voce, mi parve, se io potu-to avessi, volere lui fuggire. Ma, s come sovente avvienea chi sogna, che gli pare ne maggiori bisogni per niunacondizione del mondo potersi muovere, cos a me so-gnante parve che avvenisse; e parvemi che le gambe mifossero del tutto tolte e divenire immobile. E di tantopotere fu questa nuova paura chio non so pensare qualcosa fosse quella che s forte facesse il mio sonno chegliallora non si rompesse; e per questa tema, senza alcunacosa rispondere o dire, stare mi parve. La qual cosa veg-gendo lo spirito, e sorridendo, mi disse:

    Non dubitare: parla sicuramente meco e della miacompagnia prendi fidanza; ch per certo io non sono ve-nuto per nuocerti, ma per trarti di questo luogo, se fedeintera presterai alle mie parole.

    Il che udendo io, e tornandomi nella memoria quelloche negli uomini possano gli spiriti, mi renderono la si-curt dipartita; e, verso lui alzando il viso, il pregai umi-lemente che di trarmene savacciasse, prima che altropericolo ne sopravenisse; ed egli allora disse:

    Io non aspetto, a dover far quello che domandi, chetempo; per ci che tu di sapere che, quantunque len-trare in questo luogo sia apertissimo a chi vuole ed entri-cisi con lascivia e con mattezza, egli non cos agevole il

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  • riuscirne, ma faticoso e conviensi fare e con senno econ fortezza. Le quali avere non si possono senza laiu-to di colui col volere del quale egli era quivi venuto.

    Allora mi parve che io dicessi: Poi che tempo n prestato di ragionare n s sbita

    pu essere la nostra partita, se grave non ti fosse, volen-tieri dalcune cose ti domanderei.

    Al quale esso benignamente rispuose: Sicuramente ci che ti piace domanda, infino a tan-

    to chio verr a te dover domandare dalcune cose, e al-cune dirtene intorno a quelle.

    Io allora con voce assai espedita dissi: Due cose con pari desiderio mi stimolano, ciascuna

    chio prima di lei ti domandi; e perci insieme doman-der damendue: e priegoti che ti piaccia di dirmi cheluogo questo sia e se a te per abitazione stato dato o se,per se stesso, alcuno che centri ne pu mai uscire, e ap-presso mi facci chiaro chi colui sia, col piacere del qualequi venisti ad atarmi.

    Alle quali parole esso rispuose: Questo luogo da vari variamente chiamato; e cia-

    scuno il chiama bene: alcuni il chiamano il laberintodAmore, e altri la valle incantata, e assai il porciledi Venere, e molti la valle de sospiri e della miseria;e, oltre a questi, chi in uno modo e chi in uno altro, co-me meglio a ciascun piace. N a me per abitazione da-to, per ci che da potere pi in cos fatta prigione intra-re la morte mi tolse, alla quale tu corri: il vero che pidura stanza che questa non ho, ma di meno pericolo. Edi sapere che chi per lo suo poco senno ci cade mai, selume celestiale non nel trae, uscir non ne pu; e allora,comio gi ti dissi, con senno e con fortezza.

    Al quale io allora dissi: Deh, se Colui che pu i tuoi pi caldi disii ponga in

    vera pace, avanti che ad altro da te si proceda, soddi-sfammi a una cosa. Tu di che hai per abitazione luogo

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    pi duro che questo, ma meno pericoloso; e io gi, perle tue parole medesime e per la mia ricordanza, conoscoche tu al nostro mondo non vivi: quale luogo adunquepossiedi tu? Se tu in quella prigione etterna nella quale,senza speranza di redenzione, e sentra e si dimora? Ose in parte che, quando che sia, speranza vera ti pro-metta salute? Se tu se nella prigione etterna, senza dub-bio pi dura dimora credo che vi sia che qui non : macome pu ella essere con meno periglio? E, se tu se inparte che ti prometta ancora riposo, come pu ella esse-re pi dura che questa non ?

    Io sono rispuose lo spirito in parte che mi pro-mette sanza fallo salute. E intanto di minore periglioche questo, che quivi peccare non si pu, per che a peg-gio temere si possa di pervenire; il che qui continuamen-te si fa. E tanto molti ci perseverano, faccendo, che essicaggiono in quello carcere cieco nel quale mai il divinolume con grazia o con misericordia si vede, ma con irre-vocabile e severa giustizia continuo, con grave danno dichi, sentendo, il conosce, si vede acceso. Ma sanza dub-bio la mia stanza, comio gi dissi, ha troppa pi di du-rezza che questa: intanto che, se lieta speranza, che certadi migliore vi si porta, non aiutasse e me e gli altri che visono a sostenere pazientemente la gravezza di quella,quasi si pora dire che gli spiriti, li quali sono immortali,vi morrebbono. E, acci che tu parte ne ntenda, sappiche questo mio vestimento, il quale tha, poscia che lvedesti, fatto maravigliare, per ci che per avventuramai simile, quando io era tra voi, nol mi vedesti, e chesolamente vi pare che a coloro che ad alcuno onore sonoelevati pi che ad altri si convenga dusare, non pannomanualmente tessuto, anzi un fuoco dalla divina artecomposto, s fieramente cocente che l vostro comeghiaccio, a rispetto di questo, freddissimo; e mugnemi se con tanta forza ogni umore da dosso che a niuno car-bone, a niuna pietra divenuta calcina mai nelle vostre

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  • fornaci non fu cos dal fuoco vostro munto: per che allamia sete tutti i vostri fiumi insieme adunati e gi per lamia gola volgendosi sarebbono un picciol sorso. E di cidue cose mi son cagione: luna lo nsaziabile ardore ilquale io ebbi de danari, mentre che io vissi; e laltra lasconvenevole pazienzia colla quale io comportai le scel-lerate e disoneste maniere di colei la qual tu vorrestidavere veduta esser digiuno. E questo basti al presentedavere ragionato della durezza del luogo della mia di-mora; alla quale veramente quella noia che qui si sostie-ne, se non intanto che questa dannosa e quella frut-tuosa, non da comparare.

    Ma da soddisfare alla tua seconda domanda, acciche tu a tuoi impauriti spiriti interamente restituischi leforze loro: e per ci sappi che colui, colla cui licenzia ioqui sono venuto, anzi, a dir meglio, per lo cui comanda-mento, quello infinito Bene che di tutte le cose fu crea-tore e per lo quale e al quale tutte le cose vivono; e alquale del vostro bene e del vostro riposo e della vostrasalute molto maggiore sollecitudine che a voi stessi.

    Dico che, comio dallo spirito queste parole udii, co-noscendo il mio pericolo e la benignit del mandatore,io mi sentii nello animo venire una umilt grandissima laquale e laltezza e la potenzia del mio Signore, la sua et-terna stabilit e i suoi continui benefici in me conoscermi fece; e appresso la mia vilt, la mia fragilit e la miaingratitudine; e le infinite offese gi fatte verso Colui cheora nel mio bisogno, come sempre avea fatto, senza ave-re riguardo al mio malvagio operare, mi si mostrava pie-toso e liberale. Dalla qual conoscenza una contrizione sgrande e pentimento mi venne delle non ben fatte cose,che non solamente mi parve che gli occhi di vere lagri-me, e dassai, si bagnassero, ma che il cuore, non altri-menti che faccia la neve al sole, in acqua si risolvesse;per che, s per questo e s ancora perch poverissimo digrazie da rendere a tanti e s alti effetti mi sentiva, per

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    lungo spazio mi tacqui, parendomi bene che lo spirito lacagione conoscesse; ma, poi che cos alquanto stato fui,ricominciai a parlare:

    O bene avventurato spirito, assai bene discerno, lamia medesima coscienza ricercando, quello essere veroche tu ragioni: cio Dio pi cura avere di noi mortali chenoi medesimi non abbiamo; li quali colle nostre malvageopere continuamente ci andiamo sommergendo,dovegli colla sua caritativa piet sempre ne va sollevan-do, e le sue etterne bellezze mostrandoci, a quelle, comebenignissimo padre, ne va chiamando; ma tuttavia, si co-me colui che ancora la divina bont, a guisa che le terre-ne operazioni si fanno, vo misurando, maraviglia miporge, sentendomi io averlo offeso molto, come esso adora aiutarmi si movesse.

    A cui lo spirito disse: Veramente tu parli come uomo che ancora non mo-

    stra conosca il costume della divina bont, e che quella,che perfettissima, estimi cos nelle sue opere esercitarsicome voi, che mortali e mobili e imperfetti ste, fate;nelle menti de quali niuno riposo si truova, insino a tan-to che gran vendetta non si vede dogni piccola offesa ri-cevuta.

    Ma, per ci che la contrizione delle commesse colpe,la quale mi pare conoscere in te venuta, ti dimostra do-cile e attento dovere essere a futuri ammaestramenti, mipiace una sola delle cagioni per la quale la divina bontsi mosse a dovere me mandare ad aiutarti ne tuoi affan-ni. Egli il vero che, per quello chio sentissi nellorache questa commessione di venire qui a te mi fu fattanon da umana voce, ma da angelica, la quale non sidee credere che menta gi mai che tu sempre, qual chestata si sia la tua vita, hai in speziale riverenzia e devo-zione avuta Colei nel cui ventre si racchiuse la nostra sa-lute e che viva fontana di misericordia e madre di gra-zia e di piet; e in lei, s come in termine fisso, avesti

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  • sempre intera speranza. La qual cosa essendo a suoi di-vini occhi manifesta e veggendoti in questa valle, oltre almodo usato, smarrito e impedito, intanto che tu eri a temedesimo uscito di mente, s come essa benignissima faassai sovente nelle bisogne de suoi divoti che, senzapriego aspettare, da se medesima si muove a sovveniredellopportuno aiuto al bisogno, veggendo l pericolo alqual tu eri, senza tua domanda aspettare, per te al Fi-gliuolo domand grazia e impetr la salute tua; alla qua-le per suo messo mi fu comandato che io venissi; e io ilfeci; n prima da te mi partir che in luogo libero espe-dito tar riposto, dove a te piaccia di seguitarmi.

    Al quale io dopo il suo tacere, dissi: Assai bene mhai soddisfatto alle mie domande: e

    nel vero, come che vendetta di Dio un di nuovo rifartibello per pi piacergli, pur di te compassione mi viene edisidero sommamente dalleggiare quella, se mai con al-cuna mia opera io potessi; e daltra parte in me medesi-mo mi rallegro, sentendo che tu, non al ruinare allonferno, ma al salire al glorioso regno sii dopo la tua pe-nitenzia disposto. La benignit e la clemenzia di Colei,la quale per la mia salute tha in questa vicenda manda-to, non m ora nuova: ella in molti altri pericoli gi melha fatta conoscere, quantunque io di tanti benefci in-grato stato sia, poco nelle sue laudi adoperandomi; maio divotamente Lei priego, che pu quello che vuole,che, come dalla perpetua morte pi volte mha tolto, co-s e i miei passi dirizzi alla vita perpetua e quelli sostengae conservi tanto che io, suo fedelissimo servidore essen-do, pervenga.

    Ma per lei ti priego che ancora, a una cosa risponden-domi, mi soddisfacci. In questa valle, la qual tu varia-mente nomini, senza appropiarlene alcuno, abitaceglialcuna persona, se quelli non fosser gi, li quali per av-ventura Amor della sua corte avendoli sbanditi, qui limandasse in esilio, come a me pare essere stato da lui

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    15Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    mandato? o posseggonla pur solamente le bestie le qualiio ho udite tutta la notte dattorno mugghiare ?

    A cui egli sorridendo rispuose: Assai bene conosco che ancora il raggio della vera

    luce non pervenuto al tuo intelletto e che tu quella co-sa, la quale infima miseria, come molti stolti fanno,estimi somma felicit, credendo che nel vostro concupi-scibile e carnale amore sia alcuna parte di bene; e perciapri gli orecchi a quello che io ora ti dir. Questa miseravalle quella corte che tu chiami dAmore; e quellebestie, che tu di che udite hai e odi mugghiare, sono imiseri, de quali tu se uno, dal fallace amore inretiti; leboci de quali, in quanto di cos fatto amore favellino,niuno altro suono hanno negli orecchi de discreti e bendisposti uomini che quello che mostra che pervenga alletue; e per dianzi la chiamai laberinto, perch cos inessa gli uomini, come in quello gi faceano, senza saper-ne mai riuscire, savviluppano. Maravigliomi io di te chene domandi; con ci sia cosa chio sappia che tu, nonuna volta, ma molte gi dimorato ci sii; quantunque for-se non con quella gravezza che ci dimori al presente.

    Io, quasi di mia colpa compunto, riconoscendo la ve-rit tocca da lui, quasi in me ritornato, rispuosi:

    Veramente ci son io altre volte assai stato; ma conpi lieta fortuna, secondo il parere delle corrotte menti;e di quinci, pi per laltrui grazia che per lo mio senno,in diversi modi or mi ricordo dessere uscito; ma smavea e il dolor sostenuto e la paura di me tratto, checos come mai stato non ci fossi, desserci stato mi ricor-dava. E assai bene ora conosco, senza pi aperta dimo-strazione, che faccia gli uomini divenire fiere e che vo-glia dire la salvatichezza del luogo e gli altri nomi da temostratimi della valle, e il non vedere in essa n via nsentiero.

    Omai adunque, disse lo spirito poi che le tene-bre alquanto ti si cominciano a partire dellintelletto e

    16Letteratura italiana Einaudi

  • gi cessa la paura nella quale io ti trovai, infino che l lu-me apparisca che la via da uscirci ti manifesti, dalcunacosa teco mi piace di ragionare; e, se la natura del luogoil patisse, io direi, in servigio di te, che stanco ti veggio,che noi a seder ci ponessimo; ma, perch qui far non sipu, ragioneremo in piede. Io so (e, se io daltra partenol sapessi, s mel fecero poco avanti chiaro le tue paro-le, e ancora il luogo nel quale io tho trovato mel manife-sta) che tu se fieramente nelle branche damore invilup-pato; n m pi celato che questo sia, chi di ci tcagione; e tu il di nel mio ragionare avere compreso, sedi ci ti ricorda che io dianzi dissi di colei la qual tu vor-resti daver veduta essere digiuno. Ma, avanti che io pioltre vada, ti dico che io non voglio che tu di me prendaalcuna vergogna, perchella gi assai pi che l convene-vole mi fosse cara; ma, cos sicuramente e con aperto vi-so di ci con meco ragiona, come se sempre stato fossida lei strano; e, per merito della compassione la quale ioporto a tuoi mali, ti priego che come tu ne suoi lacci in-cappasti mi manifesti.

    Al quale io, cacciato via ogni rossore, rispuosi: Il priego tuo mi strigne a dirti quello chio mai, fuo-

    ri che a un fidato compagno, non dissi e a lei sola per al-cuna mia lettera fe palese; n di ci, dove pure la tua li-beralit non me ne assicurasse, da te mi dovrei, pi cheda un altro, vergognare; n tu turbartene; per ci che,come tu dalla nostra vita ti dipartisti, secondo che lec-clesiastiche leggi ne mostrano, quella chera stata tuadonna non fu pi tua, ma divenne liberamente sua: perche in niuno atto potresti con ragione dire che io mi fos-si ingegnato di dovere alcuna tua cosa occupare.

    Ma, lasciando ora questa disputazione, ch el luogonon ci ha, stare e venendo a quello aprirti che tu doman-di, dico che per la mia disavventura, non sono molti me-si passati, avvenne che io con uno, al quale tu fosti givicino e parente, di cui esprimere il nome or non biso-

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    17Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    gna, in ragionare di varie cose entrai. E, mentre noi cosragionando andavamo, accadde, come talvolta avvieneche luomo duno ragionamento salta in un altro, chenoi, il primo lasciato, in sul ragionare delle valorosedonne venimmo; e, prima avendo molte cose dette delleantiche, quale in magnanimit, quale in castit, quale incorporal fortezza lodando, condiscendemmo alle mo-derne: fra le quali il numero trovandone piccolissimo dacommendare, pure esso, che in questa parte il ragionareprese, alcune ne nomin della nostra citt; e, tra laltre,nomin quella, che gi fu tua, la quale nel vero io ancoranon conosceva. Cos non lavessi io mai conosciuta poi!E di lei, non so da che affezione mosso, cominci a diremirabili cose, affermando che in magnificenzia mai nonera alcuna sua pari stata; e, oltre alla natura delle femine,lei singegnava di mostrare essere uno Alessandro; e al-cune delle sue liberalit raccontando, le quali, per nonconsumare il tempo in novelle, non curo di raccontare.Appresso lei di cotanto e cos buono senno naturale dis-se essere dotata quanto altra donna per avventura cono-sciuta gi mai; e, oltre a ci, eloquentissima, forse nonmeno che stato fosse qualunque ornato e pratico rettori-co, fu ancora; e, oltre a ci, che sommamente mi piac-que, s come a colui cha quelle parole dava intera fede,la disse essere piacevole e graziosa e di tutti quelli costu-mi piena che in gran gentildonna si possano lodare ecommendare. Le quali cose narrando questo cotale,confesso che io meco tacitamente dicea: O felice coluial quale la Fortuna tanto benigna chella duna cosfatta donna gli conceda lamore!.

    E gi quasi meco avendo diliberato di volere tentarese io potessi colui essere, che degno di quello divenissi,del nome di lei colui domandai e della sua gentilezza edel luogo dovella a casa dimorasse, il quale quello non dove tu la lasciasti; ed esso ogni cosa pienamente mi fpalese. Per che poi, da lui dipartitomi, del tutto dispuosi

    18Letteratura italiana Einaudi

  • di volerla vedere; e, se cos perseverasse meco ci che iodi lei estimava, mettere ogni mia sollecitudine in farechella divenisse mia donna, come io suo servidore di-verrei. E, sanza dare alla bisogna alcuno indugio, inquella parte prestamente nandai, dove a quella ora lacredetti potere trovare e vedere; e s mi fu in ci la For-tuna favorevole, la qual mai, se non in cosa che dannosami dovesse riuscire, non mi fu piacevole, che al mio av-viso ottimamente rispuose leffetto. E dirotti maraviglio-sa cosa: che, non avendo io alcuno altro indizio di leiche solamente il color nero del vestimento, guardandotra molte che quivi nerano in quello medesimo abitoche ella, l dove io prima la vidi, come il suo viso corseagli occhi miei, subitamente avvisai lei dovere esserequella che io andava cercando. E per ci chio portaisempre oppinione, e porto, che amore discoperto o siapieno di mille noie o non possa ad alcuno disiderato ef-fetto pervenire, avendo meco disposto del tutto di noncomunicar questo con persona in guisa niuna, se con co-lui non fosse al quale, poscia chio amico divenni, ognimio secreto fu palese, non ardiva addomandar se cifosse, che mi pareva. Ma ancora la Fortuna, che in po-che cose intorno a questo mio desiderio mi dovea giova-re, come nella prima cosa mera stata favorevole, cos mifu in questa seconda: perci che, di dietro a me, sentialcuna donna che colle sue compagne di lei favellava, di-cendo: Deh, guardate come alla cotal donna stanno be-ne le bende bianche e panni neri. La quale alcuna del-le compagne, che per avventura non la conoscea, contanto piacere di me, che alle loro parole tenea gli orec-chi, che dir non potrei, la dimand: Quale dessa diquelle molte che col sono?. A cui la domandata donnarispuose: La terza, che siede in su quella panca, coleidi cui io vi parlo. Dalla quale risposta io compresi meottimamente avere avvisato; e da quella ora in avantilho conosciuta. Io non mentir: come io vidi la sua sta-

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    19Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    tura e poco appresso alquanto al suo andare riguardai eun poco gli atti esteriori ebbi considerati, io presumetti,ma falsamente, non solamente che colui, al quale di leiavea udito parlare, dovesse avere detto il vero, ma chetroppo pi chegli detto non avea ne dovesse essere dibene. E cos, da falsa oppinione vinto, subito mi senti,come se dalludite cose e dalla vista di lei si movesse,corrermi al cuore un fuoco, non altrimenti che faccia super le cose unte la fiamma, e s fieramente riscaldarmiche, chi allora mavesse riguardato nel viso, narebbe ve-duto manifesto segnale; e come che i segni, venuti nel vi-so per lo nuovo fuoco, che, come prima le parti superfi-ciali and leccando, cos poi, nelle intrinsece trapassato,pi vivo divenne, se ne partissono, mai ancora se nondentro, crescer il sentii.

    In questa guisa adunque, che raccontato ho, di colei,che mal per me fu veduta, preso fui, dandomi il suoaspetto pieno di malvagit, non senza artificiale mae-stria, speranza di futura mercede.

    Lo spirito, il quale secondo il mio parere questecose, non senza diletto ascoltate avea, gi me sentendotacere cos cominci a parlare:

    Assai bene mhai dimostrato il come e la cagione deltuo esser di prima allacciato e come tu medesimo ti ve-stisti la catena alla gola, chancor ti strigne. Ma non ti siagrave ancor manifestarmi se mai questo tuo amore le pa-lesasti e come, ch mi parve dianzi udire di s; e il dirmiappresso se da lei avesti alcuna speranza che pi taccen-desse che il tuo medesimo disiderio primieramente aves-se fatto.

    Al quale io rispuosi: Per ci che io manifestamente conosco, se io celar

    tel volessi, io non potrei, s mi pare che tu il vero sentade fatti miei, donde che tu te labbi, niuna cosa te nenasconder. Egli il vero che, avendo io data piena fe-de, come gi dissi, alle parole udite da colui che lei tanto

    20Letteratura italiana Einaudi

  • valorosa mavea mostrata, io presi ardir di scriverle,mosso da cotale intenzione: Se costei da quello checostui mi ragiona, aprendole io onestamente per una let-tera il mio amore, luna delle due cose ragionevolmentemi dee seguire: o ella lar caro, per usarlo in quellochio possa; e a ci mi risponder; o ella lar caro, ma,non volendolo usare, discretamente me dalla mia spe-ranza rimover. Per che luno de due fini aspettando,quantunque luno pi che laltro disiderassi, per unamia lettera, piena di quelle parole che pi onestamenteintorno a cos fatta materia dir si possono, il mio ardentedisiderio le feci sentire. A questa lettera seguit per ri-sposta una sua piccola letteretta, nella quale, quantun-que ella con aperte parole niuna cosa al mio amore ri-spondesse, pure, con parole assai zoticamente compostee che rimate pareano, e non erano rimate, s come quelleche lun pi avevano lunghissimo e laltro corto, mostra-va di disiderar di sapere chi io fossi. E dirotti pi: chellain quella singegn di mostrare davere alcun sentimentoduna oppinione filosofica, quantunque falsa sia, cioche una anima duno uomo in uno altro trapassi: il chealle prediche, non in libro n in scuola, son certo chap-prese. E in quella, me a uno valente uomo assomiglian-do, mostr di volere, lusingando, contentare; afferman-do appresso sommamente piacerle chi senno e prodezzae cortesia avesse in s e con queste antica gentilezza con-giunta. Per la quale lettera, anzi per lo stile del dettatodella lettera, assai leggiermente compresi o colui, che dilei assai cose dette mavea, esser di gran lunga del natu-ral senno di lei e della ornata eloquenzia ingannato, oaverne voluto me ingannare. Ma non pote perci, nonche spegnere, ma pure un poco il concetto fuoco dimi-nuire; e avvisai che ci che scritto mavea niunaltra cosaper ancora volesse, se non darmi ardire a pi avanti scri-vere e speranza di pi particulare risposta che quella; eammaestramento e regola in quelle cose fare che per

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    21Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    quella poteva comprendere che le piacessero. Delle qua-li, come chio

    fornito non mi sentissi, per ci che n senno n pro-dezza n gentilezza cera (alla cortesia, quantunque ilbuono animo ci fosse, non ci avea di che farla), nondi-meno, secondo la mia possibilit, a dovere fare ogni co-sa, per la quale io la sua grazia meritassi, mi dispuosi deltutto. E del piacere preso da me della lettera ricevuta,per unaltra lettera, comio seppi il meglio, la feci certa;n poi senti, n per sua lettera n per ambasciata, quel-lo che io, di ci che scritto lavea, le paresse.

    Allora lo spirito disse: Se pi avanti in questo amore non stato, che ca-

    gione ti induceva il d trapassato, con tante lagrime econ tanto dolore, s ferventemente per questo a disidera-re di morire?

    Al quale io rispuosi: Forse che il tacerlo sarebbe pi onesto; ma, non po-

    tendolti negare, poi ne domandi, tel pur dir. Due coseerano quelle che quasi ad estrema disperazione mavea-no condotto: luna fu il ravvedermi che, l dovio alcunsentimento credeva avere, quasi una bestia senza intel-letto mavvidi chio era; e certo questo non da turbar-sene poco, avendo riguardo che io la maggiore partedella mia vita abbi spesa in dovere qualche cosa sapere,e poi, quando il bisogno viene, trovarmi non sapere nul-la; laltra fu il modo tenuto da lei in far palese ad altruiche io di lei fossi innamorato: e in questo pi volte cru-dele e pessima femina la chiamai.

    Nella prima cosa mi trovai io in pi modi stoltamenteavere operato; e massimamente in credere troppo di leg-geri cos alte cose duna femina, come colui raccontava,senza altro vederne; e appresso per quelle, senza vederen dove n come, ne lacciuoli damore incapestrarmi enelle mani duna femina dare legata la mia libert e sot-toposta la mia ragione; e lanima, che, con questa ac-

    22Letteratura italiana Einaudi

  • compagnata, solea essere donna, senza, essere divenutavilissima serva: delle quali cose n tu n altri dir che dadolersi non sia infin la morte.

    Nella seconda essa ha, secondo che mi pare, in assaicose fallato e assai chiaramente mostrato colui mentirper la gola che s ampiamente delle sue esimie virt, me-co parlando, si distese. Per ci che, secondo che a mepare avere compreso, uno, il quale non perche sia, maperch gli pare essere, i suoi vicini chiamano il secondoAnsalone, da lei amato; al quale essa, per pi farglisicara, ha le mie lettere palesate e con lui insieme, me aguisa duno beccone, ha schernito; senza che colui, dime faccendo una favola, gi con alcuni per lo modo chepi gli piaciuto nha ragionato; senza che esso, come ioson qui, per pi largo spazio avere di favellare, fu coluiche la risposta alla mia lettera, della quale davanti ti dis-si, mi fece fare; e oltre a questo, secondo che i miei me-desimi occhi mhanno fatto vedere, mha ella, sogghi-gnando, a pi altre mostrato, come io avviso dicendo:Vedi tu quello scioccone? Egli mio vago: vedi se iomi posso tenere beata!.

    E certo quanto quelle donne, alle quali ella mha di-mostrato, sieno state e sieno oneste, e io e altri il sappia-mo: perch ella, s come comprendere se ne dee, come ilsuo amante tra gli uomini, cos ella tra le femine di mefavoleggia. Ahi, disonesta cosa e sconvenevole, che uo-mo, lasciamo stare gentile, che non mi tengo, ma semprecon valenti uomini usato e cresciuto, e delle cose delmondo, avvegna che non pienamente, ma assai convene-volmente informato, sia da una femina, a guisa dunomatto, ora col muso, ora col dito allaltre femine dimo-strato! Io diro il vero: questo mindusse a tanta indigna-zione danimo che io fui alcuna volta assai vicino ad usa-re parole che poco onore di lei sarieno state; ma purealcuna scintilletta di ragione, dimostrandomi che moltomaggiore vergogna a me, ci faccendo, acquisterei che a

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    23Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    lei, da tale impresa, non poco ma molto turbato, mi ri-tenne e a quella ira e disordinato appetito, di che tu midomandi, mindusse.

    Lo spirito allora, nella vista mostrando davere assaibene le mie parole raccolte e la intenzione di quelle, se-co non so che dicendo, alquanto, avanti che alcuna cosache io intendessi dicesse, soprastette pensoso; poi, a merivolto, con voce assai mansueta cominci a parlare, di-cendo:

    E come tu tinnamorasti e di cui, e l perch e la ca-gione della tua disperazione assai bene mi credo dalletue parole aver compreso. Ora voglio io che grave non tisia se alquanto in servigio della tua medesima salute, eforse dellaltrui, io teco mi distendo a ragionare, primie-ramente da te incominciando, perch del tuo errore fo-sti tu stesso principio; e da questo verremo a dire di co-lei della quale tu, mal conoscendola, follementetinnamorasti; e ultimamente, se tempo ne fia prestato,alcuna cosa diremo sopra le cagioni che te a tanto cruc-cio recarono che quasi te a te fecero uscir di mente. E,cominciando da quello che promesso abbiamo, dico cheassai cagioni giustamente me e ogni altro possono muo-vere a doverti riprendere; ma, acci che tutte non si va-dano ricercando, per fare il ragionamento minore, duesolamente maggrada toccarne: luna e la tua et, la se-conda sono gli tuoi studi; delle quali ciascuna per s, eamendue insieme, ti dovevano render cauto e guardingodagli amorosi lacciuoli. E primieramente la tua et, laquale se le tempie gi bianche e la canuta barba non miingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo, fuordelle fasce gi sono degli anni quaranta, e gi sonoventicinque cominciatoli a conoscere. E, se la lungaesperienza delle. fatiche damore nella tua giovanezzatanto non tavea gastigato che bastasse, la tiepidezza de-gli anni, gi alla vecchiezza appressatisi, almeno ti doveaaprire gli occhi e farti conoscere l dove questa matta

    24Letteratura italiana Einaudi

  • passione, seguitando, ti dovea far cadere; e, oltre a ci,mostrarti quante e quali fossero le tue forze a rilevarti.La qual cosa se con estimazione ragionevole avessi ri-guardata, conosciuto avresti che dalle femine nelle amo-rose battaglie gli uomini giovani, non quelli che verso lavecchiezza calano, sono richiesti; e avresti veduto le va-ne lusinghe, sommamente dalle femine desiderate, negiovani, non che ne tuoi pari, star male. Come si con-viene o si conf a te, oggimai maturo, il carolare, il can-tare, il giostrare e larmeggiare, cose di niuno peso mas-simamente da loro gradite? Tu medesimo nonsolamente dirai che a te sconvenevoli sieno, ma con ra-gioni inespugnabili biasimerai i giovani che le fanno.Come alla tua et convenevole landare di notte, il con-traffarti, il nasconderti a ciascheduna ora che ad una fe-mina piacer; e non solamente in quella parte che forse,meno disdicevole, da te sarebbe eletta, ma in quella cheessa medesima, forse per gloriarsi davere uno uomomaturo a guisa dun semplice garzone, disonesta e scon-venevole elegger? Come alla tua et convenevole, se ilbisogno il richiedesse, del quale molto sovente son pienigli accidenti damore, di pigliare larme e la tua salute, oforse quella della tua donna, difendere? Certo io credo,senza pi cose andar ricordando, che a tutte parimenterisponderesti che male; e, quando ci non ti paresse, ame e a ciascun altro, il quale con pi discreto occhioguardasse che tu, impedito, per avventura fare nonpuoi, parrebbe pure che cos fosse. Male adunqueomai la tua etade aglinnamoramenti decevole: alla qualenon il seguire le passioni, o lasciarsi a loro sopravegnen-ti vincere, sta bene; ma il vincer quelle; e con opere vir-tuose, che la tua fama ampliassero, e con aperta fronte elieta dare di s ottimo esemplo a pi giovani sappartie-ne.

    Ma alla seconda parte da venire; la quale ne giovaninon che ne vecchi fa amore disdicevole, se io non min-

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    25Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    ganno: cio i tuoi studi. Tu, se io gi bene intesi, mentrevivea, e ora cos essere il vero apertamente conosco, maialcuna manuale arte non imparasti e sempre lesseremercatante avesti in odio; di che pi volte ti se e con al-trui e teco medesimo gloriato, avendo riguardo al tuo in-gegno, poco atto a quelle cose nelle quali assai invec-chiano danni, e di senno ciascuno giorno diventano pigiovani. Della qual cosa il primo argomento che a loropar pi che tutti gli altri sapere, come alquanto sono lo-ro bene disposti i guadagni, secondo gli avvisi fatti, op-pure per avventura, come suole le pi volte avvenire; ldove essi, del tutto ignoranti, niuna cosa pi oltre sannoche quanti passi ha dal fondaco o dalla bottega alla lorcasa; e par loro ogni uomo, che di ci li volesse sganna-re, aver vinto e confuso, quando dicono: Di che mivenga ad ingannare, o dicono: Alluscio mi si pare;quasi in niunaltra cosa stia il sapere, se non o in ingan-nare o in guadagnare.

    Gli studi adunque alla sacra filosofia pertinenti, infi-no dalla tua puerizia, pi assai che il tuo padre nonarebbe voluto, ti piacquero; e massimamente in quellaparte che a poesia appartiene; la quale per avventura tuhai con pi fervore danimo che con altezza dingegnoseguita. Questa, non menoma tra laltre scienzie, ti do-vea parimente mostrare che cosa amore e che cosa lefemine sono, e chi tu medesimo sii e quel che a te sap-partiene. Vedere adunque dovevi amore essere una pas-sione accecatrice dellanimo, disviatrice dello ngegno,ingrossatrice, anzi privatrice della memoria, dissipatricedelle terrene facult, guastatrice delle forze del corpo,nemica della giovanezza e della vecchiezza morte, geni-trice de vizi e abitatrice de vacui petti; cosa senza ragio-ne e senza ordine e senza stabilit alcuna, vizio dellementi non sane e sommergitrice della umana libert. Ohquante e quali cose sono queste da dovere non che i sa-vi, ma gli stolti spaventare! Vien teco medesimo rivol-

    26Letteratura italiana Einaudi

  • gendo lantiche istorie e le cose moderne e guarda diquanti mali, di quanti incendi, di quante morti, di quan-ti disfacimenti, di quante ruine ed esterminazioni questadannevole passione stata cagione. E una gente di voimiseri mortali, tra i quali tu medesimo, avendo il cono-scimento gittato via, il chiamate iddio, e quasi a som-mo aiutatore, ne bisogni sacrificio gli fate delle vostrementi e divotissime orazioni gli porgete! La qual cosaquante volte tu hai gi fatto o fai o farai, tante ti ricordo,se tu da te, uscito forse del diritto sentimento, nol vedi,che a Dio tu e a tuoi studi e a te medesimo fai ingiuria.E, se le dette cose esser vere la tua filosofia non ti mo-strasse, n a memoria ti ritornasse la sperienza la qualedi gran parte di quelle in te medesimo veduta hai, le di-pinture degli antichi tel mostreranno, le quali lui per lemura, giovane, ignudo, con ali e con gli occhi velati e ar-ciere, non sanza grandissima cagione e significazione desuoi effetti, tutto l d vi dimostrano.

    Dovevanti, oltre a questo, li tuoi studi mostrare, emostrarono, se tu lavessi voluto vedere, che cosa le fe-mine sono; delle quali grandissima parte si chiamano efanno chiamare donne, e pochissime se ne truovano.La femina animale imperfetto, passionato da mille pas-sioni spiacevoli e abbominevoli pure a ricordarsene, nonche a ragionarne: il che se gli uomini riguardassono co-me dovessono, non altrimenti andrebbono a loro, ncon altro diletto o appetito, che allaltre naturali e inevi-tabili opportunit vadano; i luoghi delle quali, posto giil superfluo peso, come con istudioso passo fuggono, co-s il loro fuggirebbono, quello avendo fatto per che ladeficiente umana prole si ristora; s come ancora tutti glialtri animali, in ci molto pi che gli uomini savi, fanno.Niuno altro animale meno netto di lei: non il porco,qualora pi nel loto convolto, aggiugne alla bruttezzadi loro; e, se forse alcuno questo negar volesse, riguar-dinsi i parti loro, ricerchinsi i luoghi segreti dove esse,

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

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  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    vergognandosene, nascondono gli orribili strumenti liquali a tr via i loro umori superflui adoperano. Ma la-sciamo stare quel che a questa parte appartiene; la qualeesse ottimamente sappiendo, nel segreto loro hanno perbestia ciascuno uomo che le ama, che le desidera o chele segue; e in s fatta guisa ancora la sanno nascondereche da assai stolti, che solamente le croste di fuori ri-guardano, non conosciuta n creduta; senza che diquelli sono che, bene sappiendola, ardiscono di direchella a lor piace, e che questo e quello farebbono efanno; li quali per certo non sono da essere annoveratitra gli uomini.

    E vegnamo allaltre loro cose o ad alcuna di quelle:per ci cha volere dire tutto non ne basterebbe lanno ilquale tosto per entrare nuovo. Esse, di malizia abbon-danti, la qual mai non suppl, anzi sempre accrebbe di-fetto, considerata la loro bassa e infima condizione, conquella ogni sollecitudine pongono a farsi maggiori. Eprimieramente alla libert degli uomini tendono lac-ciuoli, s, oltre a quello che la natura ha loro di bellezzao dapparenza prestato, con mille unguenti e colori dipi-gnendo; e or con solfo e quando con acque lavorate espessissimamente co raggi del sole i capelli, neri dallacotenna prodotti, simiglianti a fila doro fanno le pi di-venire; e quelli, ora in treccia di dietro alle reni, orasparti su per li omeri, e ora alla testa ravvolti, secondoche pi vaghe parer credono, compongono; e quinci conballi e talor con canti, non sempre ma talor mostrandosi,i cattivelli che attorno vanno, avendo nellesca nascostolamo, prendono senza lasciare. E da questo, questa equellaltra e infinite di costui e di colui e di molti diven-gono mogli; e di troppa maggior quantit amiche. E, pa-rendo loro essere salite un alto grado, quantunque cono-scano s essere nate a esser serve, incontanenteprendono speranza e aguzzano il disiderio alla signoria;e, faccendosi umili obbedienti e blande, le corone, le

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  • cinture, i drappi doro, i vai, i molti vestimenti e gli altriornamenti vari, de quali tutto il d si veggono splenden-ti, dai miseri mariti impetrano; il quale non saccorgetutte quelle essere armi a combattere la sua signoria e avincerla. Le quali, poi che le loro persone e le loro came-re, non altramenti che le reine abbino, veggiono ornate ei miseri mariti allacciati, subitamente dallessere servedivenute compagne, con ogni studio la signoria singe-gnano doccupare. E, volendo singulare esperienzaprendere se donne sono nelle case, in sul far male ardita-mente si mettono, argomentando che, se quello a leisofferto che non sarebbe sofferto alla serva, chiaramentepu conoscere s donna e signoreggiante. E primiera-mente alle fogge nuove, alle leggiadrie non usate, anzilascivie, e alle disdicevoli pompe si danno; e a niuna pa-re essere n bella n ragguardevole, se non tanto quantoella ne modi, nelle smancerie e ne portamenti somiglia-no le publiche meretrici; le quali tanti nuovi abiti n sdisonesti possono nelle citt arrecare, che loro tolti nonsieno da quelle che gli stolti mariti credono esser pudi-che; li quali, avendo male i loro danari spesi, acci chegittati non paiano, queste cose nelle dette maniere la-sciano usare, senza guardare in che segno debba ferirequello strale. Come esse da questo fiere nelle case diven-gano, i miseri il sanno, che l pruovano: esse, s come ra-pide e fameliche lupe, venute ad occupare i patrimoni, ibeni e le ricchezze de mariti, or qua or l discorrendo,in continui romori co servi, colle fanti, co fattori, cofratelli e figliuoli de mariti medesimi stanno, s tenereriguardatrici di quelli, dove esse sole dissipatrici diside-rano dessere; senza che, acci che tnere paiano di co-loro di cui esse hanno poca cura, mai ne lor letti non sidorme, tutta la notte in letigi trapassa e in questioni, di-cendo ciascuna al suo: Ben veggio come tu mami: bensarei cieca se io non maccorgessi che altri t allanimopi chio. Credi tu chi sia abbagliata; e chio non sap-

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

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  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    pia a cui tu vai dietro, a cui tu vuogli bene e con cui tututto l d favelli? Ben lo so bene: io ho migliori spie chetu non credi. Misera me! ch cotanto tempo chio civenni, eppure una volta ancora non mi dicesti, quando aletto mi vengo: Amor mio, ben sia venuta. Ma, allacroce di Dio, io far di quelle a te, che tu fai a me. Orson io cos sparuta? Non son io cos bella come la cota-le? Ma sai che ti dico? Chi due bocche bacia, luna con-vien che gli puta. Fatti in cost: se Dio maiuti, tu nonmi toccherai; va dietro a quelle di che tu se degno, chcerto tu non eri degno davere me; e fai ben ritratto diquel che tu se. Ma a fare, a far sia. Pensa che tu non miricogliesti del fango; e Dio il sa chenti e quali eranoquelli che se larebbono tenuto in grazia davermi presasenza dote; e sarei stata donna e madonna dogni lor co-sa: e a te diedi cotante centinaia di fiorini doro, n maipur duno bicchiere dacqua non ci pote esser donna,senza mille rimbrotti de frateti e de fanti tuoi; baste-rebbe sio fossi la fante loro. E fu ben la mia disavventu-ra chio mai ti vidi: che fiaccar possa la coscia chi primane fece parola. E con queste e con molte simili, e pialtre assai pi cocenti, senza niuna legittima o giusta ca-gione avere, tutta la notte tormentano i cattivelli: dequali infiniti sono che cacciano chi l padre, chi il fi-gliuolo; chi da fratelli si divide; e quale n la madre nle sorelle a casa si vuol vedere e lascia il campo solo allavittrice donna.

    Le quali, poi che espedita la possessione veggono,tutta la sollecitudine alle ruffiane e agli amanti si volge.E sieti manifesto che colei, la quale in questa maladettamoltitudine pi casta e pi onesta ti pare, vorrebbeavanti solo uno occhio avere che esser contenta dunosolo uomo; e, se forse due o tre ne bastassero, saria qual-che cosa; e forse saria tollerabile se questi due o treavanzassero i mariti, o fossero almen loro pari. La lorolussuria focosa e insaziabile; e per questo non patisce

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  • n numero n elezione: il fante, il lavoratore, il mugnaio,e ancora il nero etiopo, ciascuno buono, sol che possa.E sono certo che sarebbono di quelle che ardirebbono anegare questo, se luomo non sapesse gi molte, non es-sendo i mariti presenti o quelli lasciati nel letto dormen-do, esserne ne lupanari publici andate con vestimentimutati; e di quelli ultime essersi dipartite, stanche manon sazie. E che cosa egli chelle non ardiscano per po-tere a questo bestiale loro appetito soddisfare ? Esse simostrano timide e paurose; e, comandandolo il marito,quantunque la cagione fosse onesta, non sarrebbono inniuno luogo alto, ch dicono che vien meno loro il cere-bro; non entrerebbono in mare, ch dicono che lo sto-maco nol patisce; non andrebbono di notte, ch diconoche temono gli spiriti, lanime e le fantasime. Se sentonoun topo andare per la casa o che l vento muova una fi-nestra o che una piccola pietra caggia da alto, tutte si ri-scuotono e fugge loro il sangue e la forza, come se a unmortal pericolo soprastessono. Ma esse prestano fortis-simi animi a quelle cose le quali esse vogliono disonesta-mente adoperare. Quante gi su per le sommit delle ca-se, de palagi o delle torri andate sono, e vanno, da loroamanti chiamate o aspettate? Quante gi presummette-ro, e presummono tutto l giorno, o davanti agli occhide mariti, sotto le ceste o nelle arche gli amanti nascon-dere ? Quante nel letto medesimo co mariti farli tacita-mente intrare? Quante, sole e di notte, e per mezzo gliarmati e ancora per mare e per li cimiteri delle chiese sene truovano continuo dietro andare a chi me lavora? E,che maggior vituperio , veggenti i mariti, ne sono infi-nite che presummono fare i lor piaceri? Oh quanti parti,in quelle o che pi temono o che pi delli loro sconcifalli arrossano, innanzi al tempo periscono! Per questola misera savina, pi che gli altri alberi, si truova semprepelata, quantunque esse a ci abbiano altri argomentiinfiniti. Quanti parti per questo, mal lor grado venuti a

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  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    bene, nelle braccia della fortuna si gittano! Riguardinsigli spedali. Quanti ancora, prima che essi il materno lat-te abbino gustato, se nuccidono! Quanti a boschi,quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli! Tanti ein s fatte maniere ne periscono che, bene ogni cosa con-siderata, il minore peccato in loro lavere lappetitodella lussuria seguto.

    Ed questo esecrabil sesso femineo, oltre ad ogni al-tra comparazione, sospettoso e iracondo. Niuna cosa sipotr con vicino, con parente o con amico trattare, che,se ad esse non palese, che esse subitamente non suspi-chino contro a loro adoperarsi e in loro detrimento trat-tarsi; bench di ci gli uomini non si debbono moltomaravigliare, per ci che naturale cosa di quelle coseche altri sempre opera in altrui, di quelle da altrui sem-pre temere; per questo sogliono i ladroni ben sapere ri-porre le cose loro. Tutti i pensieri delle femmine, tuttolo studio, tutte lopere a niuna altra cosa tirano, se non arubare, a signoreggiare e ad ingannare gli uomini; per-ch leggiermente credono sopra loro dogni cosa, chenon sanno, simili trattati tenersi. Da questo gli strolagi,li negromanti, le femmine maliose, le ndovine sono daloro visitate, chiamate, aute care; e in tutte le loro op-portunit, di niente servendo se non di favole, di quellode mariti cattivelli sono abbondevolmente sovvenute esustentate, anzi arricchite; e, se da queste pienamentesaper non possono la loro intenzione, ferocissime e conparole altiere e velenose, singegnano di certificarsi daloro mariti; a quali, quantunque il ver dicano, radissimevolte credono. Ma, s come animale a ci inchinevole,subitamente in s fervente ira discorrono che le tigre, ileoni, i serpenti hanno pi dumanit, adirati, che nonhanno le femine; le quali, chente che la cagione si sia,per la quale in ira accese si sieno, subitamente a veleni,al fuoco e al ferro corrono. Quivi non amico, non paren-te, non fratello, non padre, non marito, non alcuno de

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  • suoi amanti risparmiato; e pi sarebbe allora caro aciascuna tutto l mondo, il cielo, Iddio e ci ch di so-pra e di sotto universalmente ad unora potere confon-dere, guastare e tornare a nulla che, ad animo riposato,potere cento bagascioni al suo piacere adoperare. Se ltempo nel concedesse landar narrando quanti mali ecome scellerati le loro ire abbino gi faiti, non dubitoche tu non dicessi essere il maggiore miracolo, che mai oveduto o udito fosse, che esse sieno sostenute da Dio.

    E, oltre a ci, questa empia generazione avarissima:e, acci che noi lasciamo stare lo mbolare continuo chea mariti fanno e le ruberie a lor pupilli figliuoli e lestorsioni a quelli amanti che troppo non piacciono, chesono evidentissime e consuete cose, riguardisi a quantavilt si sottomettono per ampliare un poco le dote loro.Niuno vecchio bavoso, a cui colino gli occhi e trieminole mani e l capo, sar, cui elle per marito rifiutino, sola-mente che ricco il sentano; certissime infra poco tempodi rimanere vedove e che costui nel nido non dee lorosoddisfare. N si vergognano le membra, i capelli e l vi-so, con cotanto studio fatti belli, le corone, le ghirlandeleggiadre, i velluti, i drappi ad oro, e tanti ornamenti,tanti vezzi, tante ciance, tanta morbidezza sottomettere,porgere e lasciare trattare alle mani paraletiche, alla boc-ca sdentata e bavosa e fetida, ch molto peggio, di coluicui elle credono potere rubare. Al quale se la gi man-cante natura concede figliuoli, si nha; se non, non puperci morire sanza erede: altri vengono, che fanno ilventre gonfiare; e, se pure invetriato lha la natura fatto,i parti sottoposti gli danno figliuoli, acci che vedova al-le spese del pupillo possa pi lungamente deliziosa lus-suriare. Sole le ndovine, le lisciatrici, le mediche e i fru-gatori, che loro piacciono, le fanno non cortesi, maprodighe: in questi niuno riguardo, niuno risparmio navarizia alcuna in loro si truova gi mai.

    Mobili tutte e senza alcuna stabilita sono: in una ora

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    33Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    vogliono e disvogliono una medesima cosa ben millevolte, salvo se di quelle che a lussuria appartengono nonfosse, per ci che quelle sempre le vogliono. Sono gene-ralmente tutte presuntuose; e a se medesime fanno acredere che ogni cosa loro si convenga, ogni cosa stia lo-ro bene, dogni onore, dogni grandezza sien degne; eche, senza loro, gli uomini niuna cosa vagliano, n viverpossano; e sono ritrose e inobedienti. Niuna cosa pigrave a comportare che una femmina ricca; niuna pispiacevole che a vedere irritrosire una povera. Le coseloro imposte tanto fanno, quanto elle credono per quel-lo o ornamenti o abbracciamenti guadagnare; da questoinnanzi, sempre una redazione in servitudine lessereobedienti si credono; e per questo, se non quanto lorodallanimo viene, niuna cosa imposta farebbono giam-mai. E oltre a ci, che cos in loro dimora come le mac-chie nello ermellino, non favellatrici, anzi seccatrici so-no. I miseri studianti patiscono i freddi e i digiuni e levigilie: e, dopo molti anni, si truovano poche cose avereapparate; queste pure una mattina che tanto chunamessa si dica stieno alla chiesa, sanno come si volge ilfermamento, quante stelle sieno in cielo e come grandi,qual sia il corso del sole e de pianeti, come il tuono, ilbaleno, larco, la grandine e laltre cose nello aere si crei-no, come il mare vada e ritorni, e come la terra producai frutti. Sanno ci che si fa in India e in Ispagna; comesieno fatte le abitazioni degli Etiopi e dove nasca il Nilo;e se l cristallo singenera sotto tramontana di ghiaccio odaltra cosa; con cui dorm la vicina sua; di cui quellal-tra gravida e di che mese dee partorire; e quanti ama-dori ha quellaltra e chi le mand lanello e chi la cintu-ra; e quante uova faccia lanno la gallina, della vicinasua; e quante fusa logori a filare una dodicina di lino; ein brieve ci che fecero mai i Troiani o Greci o Roma-ni, di tutto pienamente tornano informate; e quelle collafante, colla fornaia, colla trecca, o colla lavandaia berlin-

    34Letteratura italiana Einaudi

  • gano senza ristare, se altri non truovano che dia loroorecchie; forte turbandosi, se alcuna loro riprovata nefosse.

    il vero che da questa loro cos sbita sapienza e di-vinamente in loro spirata ne nasce una ottima dottrinanelle figliuole: a tutte insegnano rubare i mariti; come sidebbano ricevere le lettere degli amanti; come ad esserispondere; in che guisa metterlisi in casa; che manieradebbano tenere ad infignersi dessere malate, acci chelibero loro dal marito rimanga il letto; e molti altri mali.Folle chi crede che niuna madre si diletti daver mi-glior figliuola di s o pi pudica. E non nuoce che biso-gna che per una bugia, per uno spergiuro, per una ret,per mille sospiri infinti, per cento milia false lagrime ellevadano ai lor vicini, ch, quando mestier lor fanno leprestino, sallo Iddio (chio per me non seppi mai tantopensare chio sapessi conoscere o discernere) dove ellele si tengano, che s pronte e s preste ad ogni lor volerelabbino come hanno.

    Bene il vero chelle sono arrendevoli a lasciarsi unlor difetto provare, e spezialmente quelli che altri cogliocchi suoi medesimi vede; e non hanno presto il: Nonfu cos; tu menti per la gola; tu hai le traveggole; tu hai lecervella date a rimpedulare; bi meno; tu non sai ove tuti se; se tu in buon senno? tu farnetichi a sant e anfania secco, e cotali altre lor parolette puntate. E, se essediranno davere un asino veduto volare, dopo molti ar-gomenti in contrario converr che si conceda del tutto;se non, le inimicizie mortali, le nsidie e gli odi sarannodi presente in campo. E sono di tanta audacia che, chipunto il lor senno avvilisce, incontanente dicono: LeSibille non furono savie? quasi ciascuna di loro debbaessere lundecima. Mirabile cosa, in tante migliaia dan-ni quante trascorse sono poi che l mondo fu fatto, intratanta moltitudine quanta stata quella del femineo ses-so, essersene diece solennissime e savie trovate; e a cia-

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    35Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    scuna femina pare essere una di quelle, o degna desseretra quelle annoverata. E, tra laltre loro vanit, quandomolto sopra gli uomini si vogliono levare, dicono chetutte le buone cose son femine: le stelle, le pianete, leMuse, le virt, le ricchezze. Alle quali, se non che diso-nesto sarebbe, nullaltro si vorrebbe rispondere, se non:Egli cos vero che tutte son femine, ma non piscia-no. E, oltre a questo, assai sovente molto meno consi-deratamente si gloriano, dicendo che Colei, nel cui ven-tre si racchiuse lunica e general salute di tuttoluniverso, virgine innanzi al parto e che dopo il parto ri-mase virgine, con alquante altre, (non molte per, dellacui virt spezial menzione e solennit fa la Chiesa diDio), furono cos femine come loro; e per questo imagi-nano dovere essere riguardate, argomentando niuna co-sa contro a loro potersi dire della loro vilt, che contro aquelle, che santissima cosa furono, non si dica; e quasivogliono che lo scudo della loro difesa nelle braccia diquelle rimanga: che in niuna cosa le somigliarono, senon in una. Ma questo non da dovere consentire, perci che quella unica sposa dello Spirito Santo fu una co-sa tanto pura, tanto virtuosa, tanto monda e piena digrazia e del tutto s da ogni corporale e spiritual bruttu-ra rimota che, a rispetto dellaltre, quasi non dellele-mentar composizione, ma duna essenzia quinta fu for-mata a dovere essere abitacolo e ostello del figliuolo diDio; il quale, volendo per la nostra salute incarnare, pernon venire ad abitare nel porcile delle femine moderne,ab ecterno se la prepar, s come degna camera a tanto ecotale re. E, se altro da questa vil turba essere stata sepa-rata non la mostrasse, li suoi costumi tutti, dalli lorospartiti, la mosterrebbe; e similmente la sua bellezza laquale non artificiata, non dipinta n colorata fu; ed tanta che fa nel beato regno lieti gli agnoli, riguardando-la, e a beati spiriti (se dir si pu) aggiugne gloria e mara-viglioso diletto. La quale, mentre qua gi fu nelle mem-

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  • bra mortali, mai da alcuno non fu riguardata che il con-trario non operasse di quello che le vane femine, dipi-gnendo, singegnano di fare maggiore; per ci che, dovequesta di costoro il concupiscevole appetito e disonestodesiderio commuove e desta, cos quella della reina delcielo ogni villano pensiere, ogni disonesta volont di co-loro cacciava che la miravano; e duno focoso e caritevo-le ardore di bene e virtuosamente adoperare s maravi-gliosamente li accendeva che, laudando divotamenteColui che creata lavea, a mettere in opera il bene accesodesiderio si disponeano. E di questo in lei non vanaglo-ria, non superbia vena; ma intanto la sua umilt ne cre-scea che, per avventura, ebbe tanta fortezza che la in-commutabile disposizione di Dio avacci a mandare interra il suo figliuolo, del quale ella fu madre. Laltre po-che, che a questa reverendissima e veramente donnasingegnarono con tutta lor forza di somigliare, non so-lamente le mondane pompe non seguitarono, ma le fug-girono con sommo studio; n si dipinsero per pi belleapparere nel cospetto degli uomini strani, ma le bellezzeloro dalla natura prestate disprezzarono, le celestialiaspettando. In luogo dira e di superbia, ebbero man-suetudine e umilt; e la rabbiosa furia della carnale con-cupiscenza colla astinenzia mirabile domarono e vinse-ro, prestando maravigliosa pazienzia alle temporaliavversit e a martri: delle quali cose servata lanima lo-ro immaculata, meritarono di divenire compagne a Co-lei nella etterna gloria, la quale serano ingegnate nellamortal vita di somigliare. E, se onestamente si potesseaccusare la natura, maestra delle cose, io direi che essafieramente avesse in cos fatte donne peccato, sottopo-nendo e nascondendo cos grandi animi, cos virili, coscostanti e forti sotto cos vili membra e sotto cos vilesesso, come il feminile; per che, bene ragguardandochi queste furono e chi quelle sono, che nel numero diquelle si vogliono mescolare e in quello essere annovera-

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    37Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    te e reverite, assai bene si vedr mal confarsi lunacollaltra, anzi essere del tutto luna allaltra contrarie.Tacciasi adunque questa generazione prava e adulteran voglia il suo petto degli altrui meriti adornare; chper certo le simili a quelle, che dette abbiamo, sono pirade che le fenici; delle quali veramente se alcuna esce dischiera, tanto di pi onore degna che alcuno uomo,quanto la sua vittoria e il miracolo maggiore. Ma ionon credo che in fatica donorarne alcuna per li suoi me-riti, a nostri bisavoli non che a noi, bisognasse dentra-re: e prima spero si ritroveranno de cigni neri e de cor-bi bianchi che a nostri successori donorarne alcunaaltra bisogni dentrare in fatica; per ci che lorme diquelle che la reina degli angeli seguitarono, sono rico-perte; e le nostre femine di grado hanno il camminosmarrito, n vorrebbero gi che fosse loro rinsegnato; e,se pure alcuno, predicando, se ne fatica, cos alle sue pa-role gli orecchi chiudono come laspido al suono delloincantatore.

    Ora io non tho detto quanto questa perversa moltitu-dine sia gulosa, ritrosa, ambiziosa, invidiosa, accidiosa, edelira: n quanto ella nel farsi servire sia imperiosa,noiosa, vezzosa, stomacosa e importuna; n altre coseassai le quali, molte pi e pi dispiacevoli che le narrate,se ne potrebbono contare non intendo al presente didirleti, ch troppo sarebbe lunga la istoria. Ma per quel-lo ch detto, di tu assai ben comprendere chenti esseuniversalmente sieno e in quanto cieca prigione caggia,e dolorosa, chi sotto lo mperio loro cade per qual che sisia la cagione. Parmi essere molto certo che, se mai adalcune perverr agli orecchi la verit della loro malizia ede loro difetti da me dimostrati, che esse incontanentenon a riconoscersi, n a vergognarsi dessere da altruiconosciute e ad ogni forza e ngegno di divenire miglio-ri, come dovrebbono, rifuggiranno; ma, come usate so-no, pure al peggio nandranno correndo; e diranno me

    38Letteratura italiana Einaudi

  • queste cose dire, non come veritiero, ma come uomo alquale, per ci che altra spezie piacque, esse dispiacquo-no. Ma volesse Iddio che non altramente che quelloabominevol peccato mi piacque, esse mi fossero piaciutegi mai; per ci che io arei assai tempo acquistato diquello che io dietro ad esse perdei; e nel mondo l,dovio sono, assai minore tormento sofferrei che quellochio sostengo.

    Ma vegniamo ad altro. Dovevanti ancora gli studi tuoidimostrare chi tu medesimo sii, quando il naturale co-noscimento mostrato non te lavesse, e ricordarti e di-chiararti che tu se uomo fatto alla imagine e alla simili-tudine di Dio, animale perfetto, e nato a signoreggiare, enon ad esser signoreggiato. La qual cosa nel nostro pri-mo padre ottimamente dimostr Colui, il quale pocodavanti lavea creato, mettendogli tutti gli altri animalidinanzi e faccendoglieli nomare e alla sua signoria sop-ponendoli; il simigliante appresso faccendo di quellauna e sola femina chera al mondo, la cui gola e la cui di-subbidienza e le cui persuasioni furono di tutte le nostremiserie cagione e origine. Il quale ordine lantichit otti-mamente serv e ancora serva il mondo presente ne pa-pati, neglimperi, ne reami, ne principati, nelle provin-cie, ne popoli e generalmente in tutti i maestrati esacerdozi e nellaltre maggioranze cos divine comeumane, gli uomini solamente, e non le femine, prepo-nendo e loro commettendo il governo degli altri e diquelle. La qual cosa quanto valido e come possente ar-gomento sia a dimostrare quanto la nobilt delluomoecceda quella della femina e dogni altro animale assaileggiermente a chi ha sentimento puote apparere. E nonsolamente da questo si pu o dee pigliare che solamentead alcuni eccellenti uomini questo cos ampio privilegiodi nobilt sia conceduto; anzi sintender essere ancorade pi menomi, per rispetto alle femine e agli altri ani-mali; per che ottimamente si comprender il pi vile e l

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    39Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    pi menomo uomo del mondo, il quale del bene dellontelletto privato non sia, prevalere a quella femina, inquanto femina, che temporalmente tenuta pi che al-cuna delle altre eccellente.

    Nobilissima cosa adunque luomo il quale dal suofattore fu creato poco minore che gli angeli. E, se il mi-nore uomo da tanto, da quanto dovr essere colui lacui virt ha fatto chegli dagli altri ad alcuna eccellenziasia elevato? Da quanto dovr essere colui il quale i sacristudi, la filosofia ha dalla meccanica turba separato? Delnumero della quale tu per tuo ingegno e per tuo studio,aiutandoti la grazia di Dio, la quale a niuno che se nefaccia degno, domandandola, negata, se uscito e tramaggiori divenuto degno di mescolarti. Come non ti co-nosci tu? Come cos tavvilisci? Come thai tu cos pococaro che tu ad una femina iniqua, insensatamente di leicredendo quello che mai non le piacque, ti vada a sotto-mettere? Io non me ne posso in tuo servigio racconsola-re; e, quanto pi vi penso, pi ne divengo turbato. A tesappartiene, e so che tu l conosci, pi dusare i solitariluoghi che le moltitudini, ne templi e negli altri publiciluoghi raccolte, visitare; e quivi studiando, operando,versificando, esercitare lo ngegno e sforzarti di diveniremigliore e dampliare a tuo podere, pi con cose fatteche con parole, la fama tua; che appresso quella, saluteed etterno riposo, il qual ciascuno che dirittamente disi-dera dee volere, il fine della tua lunga sollecitudine.Mentre tu sarai ne boschi e ne remoti luoghi, le Ninfecastalide, alle quali queste malvage femine si voglionoassomigliare, non tabbandoneranno gi mai; la bellezzadelle quali, s come io ho inteso, celestiale; dalle quali,cos belle, tu non se n schifato n schernito, ma loroa grado il potere stare, andare e usare teco. E, come tumedesimo sai, che molto meglio le conosci che io nonfo, elle non ti metteranno in disputare o discutere quan-ta cenere si voglia a cuocere una matassa daccia; o se il

    40Letteratura italiana Einaudi

  • lino viterbese pi sottile che l romagnuolo; n chetroppo abbia il forno la fornaia scaldato e la fante menolasciato il pane levitare; o che da provvedere sia dondevegnano delle granate che la casa si spazzi; non ti diran-no quel chabbia fatto la notte passata monna cotale, emonna altrettale; n quanti paternostri ellabbian dettial predicare; n segli il meglio alla cotale roba mutarele sale o lasciarle stare; non ti domanderanno danari nper liscio, n per bossoli, n per unguenti. Esse con an-gelica voce ti narreranno le cose dal principio del mon-do state insino a questo giorno; e sopra lerbe e sopra ifiori alle dilettevoli ombre teco sedendo, a lato a quelfonte le cui ultime onde non si videro gi mai, ti moster-ranno le cagioni de variamenti de tempi e delle fatichedel sole e di quelle della luna; e qual nascosa virt lepiante nutrichi e insieme faccia li bruti animali amiche-voli; e donde piovano lanime negli uomini; e lessere ladivina bont etterna e infinita; e per quali scale ad essa sisalga e per quali balzi si trarupi alla parte contraria; e te-co, poi che i versi dOmero, di Virgilio e degli altri anti-chi valorosi avranno cantati, i tuoi medesimi, se tu vor-rai, canteranno. La lor bellezza non ti inciter aldisonesto fuoco, anzi il caccer via; e i lor costumi ti fie-no inreprobabile dottrina alle virtuose opere.

    Che dunque, potendo cos fatta compagnia avere,quando tu la vogli, e quanto tu la vogli, vai cercando sot-to i mantelli delle vedove, anzi de diavoli, dove legger-mente potresti trovare cosa che ti putirebbe? Ahi, quan-to giustamente farebbono queste elettissime donne, sedel loro bellissimo coro te, s come non degno, caccias-sono, quante volte tu dietro alle femine lappetito diriz-zi, quante volte, fetido e maculato da esse partendoti, traloro, che purissime sono, ti vai a rimescolare, non vergo-gnandoti della tua bestialit! E certo, se tu non te ne ri-mani, e mi pare vedere che tavverr; e meritamente.Esse hanno bene il loro sdegno, cos come queste altre

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    41Letteratura italiana Einaudi

  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    che donne si chiamano non essendo: e chente e qualevergogna ti sia, dove questo avvenga, tu medesimo epensare e conoscere il puoi.

    Ma, per ci chassai detto aver mi pare intorno a quel-lo che a te apparteneva di considerare, quando folle-mente il collo sotto lo importabile giogo di colei, allaquale una gran salmista pare essere, sottomettesti, acciche tu non creda dallaltre lei diviare, oltre a quello chioti promisi, ci che tu non potevi ben per te medesimovedere, intendo di dimostrarti particularmente chi siacolei e chenti i suoi costumi (di cui tu, follemente dive-nuto servidore, ora ti duoli), e vedrai dove e nelle cuimani il tuo peccato e la troppa, sbita credenza taveanocondotto. La prima notizia di questa femina di cui noiparliamo, la quale molto pi dirittamente drago po-trei chiamare, mi diedono le nozze sue: per ci che, es-sendo io per morte abbandonato da quella che prima ame era venuta, e di cui io molto meno mi potea sconten-tare che di questa, non so se per lo mio peccato o per ce-leste forza che l si facesse, avvenne che, essendo e vole-re e piacere de miei amici e parenti, a costei, mal da meconosciuta, fui ricongiunto. La qual, gi daltro maritoessendo stata moglie e assai bene larte dello ngannareavendo appresa, non partendosi dal loro universal co-stume, in guisa duna mansueta e semplice colomba en-tr nelle case mie; e, acci che io ogni particularit rac-contando non vada, ella non vide prima tempo alleocculte insidie, e forse lungamente serbate, poter disco-prire, chella, di colomba, subitamente divenne serpen-te: di che io mavvidi la mia mansuetudine, troppo ri-messamente usata, essere dogni mio male certissimacagione. Io dir il vero: io tentai alquanto di volere por-re freno a questo indomito animale; ma perduta era ognifatica, gi tanto sera il male radicato, che pi tosto so-stenere che medicare si potea. Per che, avveggendomiche ogni cosa, la quale io intorno a ci facea, non era al-

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  • tro che aggiugnere legne al fuoco o olio gittare sopra lefiamme, piegai le spalle, nella fortuna e in Dio me e lecose mie rimettendo. Costei adunque, con romori e conminacce e con battere alcuna volta la mia famiglia corsala casa mia per sua e in quella fiera tiranna divenuta,quantunque assai leggier dote recata vavesse, come ionon tutto pienamente a sua guisa alcuna cosa fatta o nonfatta avessi, soprabbondante nel parlare e magnifica di-mostrantesi, come se io stato fossi da Capalle ed ella del-la casa di Soave, cos la nobilit e le magnificenzie desuoi mincominci a rimproverare, quasi come se a menon fosse noto chi essi furono gi o sieno pure ora alpresente; benchio sia certissimo che essa niuna cosa nesa altro, se non chessa, come vana, credo che spesso va-da gli scudi, che per le chiese sono appiccati, annoveran-do, e dalla vecchiezza di quelli e dalla quantit argomen-ta s essere nobilissima, poi tanti cavalieri sono suti trasuoi passati e ancora pi. Ma, se per dieci cattivi dellasua schiatta, pi avventurata in crescere in numero duo-mini che in valore o in onore alcuno, fosse stato uno so-lo scudo appiccato e spiccatone uno di quelli per la cuicavalleria appiccati vi furono, a quali ella cos bene econvenientemente stette come al porco la sella, non du-bito punto che, dove degli scudi de cattivi centinaia ap-parirebbono, niuno se ne vedrebbe de cavalieri. Esti-mano i bestiali, tra quali ella maggior bestia che elliofante, che ne vestimenti foderati di vaio e nella spadae negli sproni dorati, le quali cose ogni piccolo artefice,ogni povero lavoratore leggiermente potrebbe avere, eun pezzo di panno e uno scudicciuolo da fare alla sua fi-ne nella chiesa appiccare, consista la cavalleria; la qualeveramente consiste in quelli che oggi cavalieri si chiama-no; e non in altro. Ma quanto essi sieno dal vero lontani,colui il sa che quelle cose che ad essa appartengono eper le quali ella fu creata, alle quali tutte essi sono pinimici che il diavolo delle croci, conosce.

    Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

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  • Giovanni Boccaccio - Il Corbaccio

    Adunque con questa stolta maggioranza e arroganzaincominciando, sperando io sempre, quantunque ioavessi per lo meno male, s come vile, gi larmi poste,che essa alcuna volta riconoscer si dovesse e della presatirannia rimanersi, pervenni a tanto che sanza pro co-nobbi che, dovio pace e tranquillit mi credea avere incasa recata, conoscendo che guerra, e fuoco e mala ven-tura recata vavea, cominciai a disiderare chella ardesse;e ciascuno luogo della nostra citt, qual che si fosse pidi litigi e di quistioni pieno, mincominci a parer piquieto e pi riposato che la mia casa; e, cos, veggendovenire la notte, che al tornarvi mi costrignea, mi contri-stava, come se uno noioso prigioniere e possente e a do-vere ad una prigione rincrescevole e oscura mavesse co-stretto. Costei adunque, donna divenuta del tutto e dime e delle mie cose, non secondo che la ragione arebbe,al mio stato avendo rispetto, voluto, ma come il suo ap-petito disordinato richiedea, prima nel modo del viveree nella quantit il suo ordine puose; e il simigliante fecene suoi vestimenti, non quelli chio le facea, ma quelliche le piacevano faccendosi; ed a qualunque dalcunamia possessione avea il governo, essa convenia che la ra-gione rivedesse e frutti prendesse e distribuisse secondoil piacer suo; e in somma ingiuria recandosi perch iocos tosto, come ella arebbe voluto, dalcuna quantit didanari, chio avea, mia tesoriera e guardiana non la feci,mille volte me essere uomo senza fede, e massimamenteverso di lei, mi rimprover, infino a tanto che a quellopervenne chella volea, s daltra parte di lealt sopraFabrizio e qualunque altro leale uomo stato commen-dando.

    E, a non volere ogni cosa distintamente narrare, incose infinite mi si puose al contrario n mai in tal batta-glia, se non vincitrice, puose gi larmi. E io, misero emale in ci avveduto, credendomi, sofferendo, minuirelangoscia e laffanno, pi tiepido che lusato divenuto,

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  • seguiva il suo volere; la qual tiepidezza il vestimento,che vermiglio mi vedi, come gi dissi, o