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Il Counselling Situazionale

Capitolo 4

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Armiamoci e Partiamo

Consapevolezza: solo un Primo Passo

Prendere consapevolezza di sé, così come vien detto da molti, non è affatto impresa semplice.

Ognuno di noi vede sino a dove gli consente lo sguardo, ma oltre il nostro sguardo, oltre il

nostro orizzonte, certamente c’è altro.

Rendere consapevole il proprio mondo interiore di emozioni e sentimenti, è un lavoro che dura

tutta la vita, ammesso che lo si possa considerare un lavoro, ammesso che uno abbia

l’intenzione di considerarlo importante, ammesso che uno abbia la possibilità e la capacità di

farlo.

L’incontro è per lo meno particolare. Mi trovo davanti tutti i Parroci della cittadina nella quale vivo per proporre alcuni incontri dedicati alle famiglie e alle persone in generale. Il clima è sereno, non quello meteorologico, s’intende, tale da consentire in breve tempo di esporre, ascoltare, ipotizzare una scaletta di cose di fare per l’organizzazione dell’evento. Verso la fine dell’incontro, poco prima di congedarci, un Parroco si rivolge ad un altro dicendogli: “Allora, per l’Unità Pastorale ci pensi tu ?”. Quest’ultimo risponde: “Cosa significa ci pensi tu ?”. Ne nasce un breve dialogo. -Ma sì, avevo chiesto a Don Lauro e mi ha detto che te ne occupavi tu -Senti, Don Mauro, io e Don Lauro non abbiamo parlato proprio di niente, e poi non si fa così, il martedì ho il Consultorio, il mercoledì il Centro Parrocchiale e il giovedì la Pastorale. Non si fa così. -Ma se ho parlato con Don Lauro e gli ho detto: “Mettetevi d’accordo voi due”, e lui mi ha detto che l’avresti fatto tu A queste ultime parole di Don Vincenzo, Don Mauro diventa scuro in viso, fa silenzio e si mette a sfogliare un libro preso dalla scrivania. E così Don Vincenzo continua. -Eh sì, perché tutti siamo oberati dalle cose, ma l’Unità Pastorale non può essere un’altra cosa da aggiungere, ognuno di noi deve rinunciare a qualcosa, non possiamo avere una cosa per ogni Parrocchia, ad esempio non possiamo avere un Consiglio Pastorale per ogni Parrocchia, altrimenti che Unità Pastorale è ?! Tutto quello che possiamo rendere comune dobbiamo farlo, non possiamo permetterci di fare duplicati di tutto.

Don Mauro sembra non ascoltare quanto viene detto, continua nel suo mutismo di ritorsione, accompagnato dallo sguardo basso che segue distrattamente le pagine del libro che ha aperto. -Perdonate se mi intrometto, ma è una questione di impegno ulteriore o di capacità organizzativa o di contenuto ? Ne segue un breve monologo di Don Vincenzo che rafforza il concetto espresso in precedenza. Ma le sue parole sembrano cadere nel vuoto, un vuoto pieno di quel silenzio pesante che fa nascere negli altri il senso di colpa per quanto successo.

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Sembra di vedere un bambino che fa i capricci, tiene il muso, decide di non parlare più per ripicca, per vendetta. Non c’è tempo per affrontare la questione, tutti hanno dichiarato di avere i minuti contati per altri impegni, e l’ora a disposizione è già finita. Riporto solo l’attenzione sugli impegni presi e sulle prossime scadenze, poi uno a uno se ne vanno tutti salutando. Il primo ad uscire è Don Mauro. Stringe la mano a me, ma non agli altri Parroci, e già nel corridoio pronuncia a bassa voce, tra sé e sé ma con tono abbastanza alto da essere ascoltato da tutti: “Però non si fa così”. Vestito di nero lo è già. Gli manca il becco giallo e il mezzo uovo rotto in testa per aumentare la somiglianza fisica con Calimero, il famoso pulcino della pubblicità televisiva. Tutto il resto del suo comportamento verbale e non verbale è tale e quale al cartone animato: “E’ una ingiustizia però….”. Dall’altra parte Don Vincenzo, causa di quella situazione, termine il suo saluto con la frase: “Devo aver combinato un pasticcio, ma io non volevo, vuol dire che farò penitenza”. La consapevolezza e la padronanza di sé non sembrano far parte del patrimonio di competenze

di vita di Don Mauro, che certamente ha vissuto sentimenti negativi per quanto successo con

Don Vincenzo, ma che non sembra aver reso consapevoli, né utilizzato in modo costruttivo nella

relazione con gli altri Parroci.

L’approccio denominato “Analisi Transazionale” avrebbe messo chiaramente in luce la dinamica

definendola parte del “triangolo drammatico”, dove una “vittima” sollecita in abbondanza il

senso di colpa negli altri, attivando in modo quasi automatico altri due possibili ruoli “salvatore”

e/o “persecutore”.

L’atteggiamento vittimistico, che sollecita negli altri il senso di colpa, è certamente distante anni

luce da uno degli aspetti che compongono e determinano la assertività. Perché la

consapevolezza di sé è solo il primo passo del processo di cambiamento.

Ma prima di addentare la preda, andiamo per gradi.

Don Vincenzo e Don Mauro sembrano nel pieno del modello denominato “Reattivo”, il modello

che osserva i nostri comportamenti come risposte immediate agli stimoli che riceviamo, e per

immediate, intendo senza mediazione di pensiero.

Ecco una differenza rilevante che aiuta a capire l’identità di emozioni e sentimenti.

Possiamo intendere le emozioni come la reazione “immediata” del nostro essere agli stimoli che

riceviamo.

Possiamo intendere i sentimenti come la reazione “mediata” del nostro essere agli stimoli che

riceviamo.

Don Mauro riceve uno stimolo inaspettato: un ruolo ed un impegno che non sente di poter

onorare per vari motivi. Qual è la sua risposta a questo stimolo ? Il silenzio, il mutismo, lo

sguardo basso sul libro, la frase: “Però non si fa così”.

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Forse si sente tradito, usato, fregato, intortato, ma nulla di quanto fa o dice cerca di rendere

consapevoli o espliciti uno o più dei sentimenti che ha provato.

La sua è una risposta immediata, non mediata, priva di scopo, intenzione, modo. Forse ha

imparato ad agire così da bambino, e fa la stessa cosa da prete anziano. Forse da bambino

questo modo di agire gli era utile, lo portava a raggiungere il suo scopo altrettanto

inconsapevole, e quindi ha fissato la dinamica relazionale.

E così anche in questo caso lui se ne va, e lascia gli altri in braghe di tela a farsi carico di qualcosa

che si è scrollato di dosso.

La risposta “immediata” agli stimoli che riceviamo non lascia alcuno spazio tra input e output,

proprio come succede quando un neurologo batte col martelletto di gomma su di un preciso

punto del nostro ginocchio, e se tutto di noi funziona in modo sufficiente, immediatamente la

gamba parte verso l’alto. Tra lo stimolo e la risposta non ci sta nulla in mezzo, la risposta è

immediata. Questo il modello definito “reattivo”.

Le emozioni e il conseguente “Modello Reattivo”, sono la parte animale di tutti noi. Non c’è da

sentirsene colpevoli. Nel nostro patrimonio genetico sono memorizzate tutte le esperienze del

genere umano, sin dai tempi nei quali il Modello Reattivo era l’unica possibilità per salvare la

pelle.

Aggredire o fuggire, queste le nostre due prime tipologie di risposte esistenziali.

Oggi la nostra vita non è quasi più in pericolo, ma in molti casi ci comportiamo ancora come se lo

fosse, reagendo in modo immediato e istintivo a quanto accade attorno a noi.

La strada che stiamo percorrendo, il sentiero segnato con trattini rossi sulla nostra mappa del

tesoro, è un percorso di consapevolezza, per prima cosa di come ognuno di noi funziona, con lo

scopo di rendere questo funzionamento più solido possibile in funzione di una professione al

servizio di altri.

Più aumenta la nostra solidità personale, più aumenta l’efficacia del nostro modo di gestire una

relazione d’aiuto. Più siamo sani e salubri nella gestione della nostra vita, e più salute e salubrità

possiamo portare nelle nostre relazioni.

Sento, Penso, Faccio le nostre parole chiave, il nostro scopo di consapevolezza sino all’ultimo

incontro.

Consapevolezza di sentimenti ed emozioni, del motivo per cui li proviamo, delle occasioni in cui

li proviamo, delle indicazioni che ci danno del nostro essere , delle nostre esigenze, dei nostri

bisogni, delle nostre eventuali aspettative.

Consapevolezza del nostro mondo di valori e costrutti, del nostro modo di osservare, filtrare,

concepire il mondo che ci circonda e le persone che lo vivono, del modo nel quale si

costruiscono e si sono costruiti nella nostra vita, della somiglianza o della diversità che

esprimiamo quotidianamente da chi ci sta accanto.

Consapevolezza delle nostre scelte, dei nostri comportamenti e azioni, di quanto facciamo di

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ordinario e di straordinario per noi stessi, per i nostri cari, per il contesto sociale nel quale

viviamo.

Salute è avere la percezione dei nostri sensi, la percezione della gola secca, del bisogno di

dissetarsi.

Salute è avere la percezione della sete e cercare una fonte o un qualsiasi luogo per dissetarsi.

Salute è essere consapevoli della propria sete, salute è cercare il modo per dissetarsi, ma salute

è anche avere sete e bere durante l’intervallo scolastico, cioè rimandare o posticipare la

soddisfazione di un bisogno al momento e al luogo opportuno.

I bambini hanno una consapevolezza limitata e ricevono comprensione quando da piccolissimi

non riescono a reggere la frustrazione. Gli adulti debbono questo termine (adulti) alla possibilità

di avere e utilizzare questa consapevolezza per uscire dalla dimensione puramente narcisistica

ed egocentrica del “mondo attorno a me”.

Salute è fare i conti con le nostre scelte quotidiane, forse banali ma sempre presenti, con le

nostre scelte speciali o particolari, che impegnano la nostra mente e la nostra anima più della

norma, salute è fare i conti in modo consapevole con le nostre scelte di vita, quelle definite

esistenziali che coinvolgono la sfera degli affetti, la dimensione lavorativa e valoriale, il mondo

variegato della spiritualità.

Salute è avere sete e chiedere un bicchiere d’acqua a chi ce lo può dare.

Salute è avere sete, chiedere un bicchiere d’acqua e fare i conti con un possibile “NO”, col

rifiuto, con la frustrazione.

Don Mauro non ha molta salute relazionale, diventa muto, fa il muso, butta là frasi ricattatorie,

fa sentire in colpa, e poi se ne va con quel mezzo guscio d’uovo che dondola avanti e indietro ad

ogni passo: “E’ una ingiustizia però… Qui fanno tutti così perché io sono piccolo e nero…”. Ed

ottiene quello che vuole senza esporsi.

Spesso l’assertività come atteggiamento e comportamento, viene contrapposta ad altri due

definiti aggressività e passività.

L’aggressività non vuole fare i conti con un possibile NO, con un possibile rifiuto, cerca di

prendersi quanto ritiene di volere, o quanto ritiene di suo diritto, con la violenza più o meno

accesa. Spesso questo accade veramente, a scapito di chi circonda queste persone.

La passività non vuole fare i conti con un possibile NO, con un possibile rifiuto, cerca di

prendersi quanto ritiene di volere o quanto ritiene di suo diritto con la violenza subdola, non

manifesta, ricattatoria, che mira al profondo dei sentimenti. Raramente questo accade, a

beneficio di chi circonda queste persone.

In entrambi i casi, nella relazione non c’è armonia ma tensione, non c’è pace ma attrito, non c’è

benessere per quel prezioso elemento individuato nel NOI.

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Assertività: ora vi spiego cos’è

Guardando i vari dizionari, del termine “assertività” ne viene data una definizione molto legata

alla capacità di una persona di comunicare pensieri e sentimenti in modo chiaro e diretto, senza

prevaricare gli altri, affermando la propria personalità e identità, senza scadere in modalità

comportamentali aggressive o passive.

In altri casi la definizione viene allargata ad aspetti più intimi e interiori, ma sempre in contrasto

e contrapposizione alle due modalità già citate. Ecco una di queste spiegazioni maggiormente

articolate:

Il termine assertività deriva dal latino “asserere” che significa affermare. In psicologia il vocabolo è stato ripreso dall’inglese “assertivness” e tradotto in vari modi: efficacia personale, efficienza. In particolare assume il significato di una qualità di chi è in grado di far valere le proprie opinioni ed i propri diritti, pur rispettando quelli altrui. Assertività diventa un comportamento sociale che consente di raggiungere gli obiettivi prefissati senza creare situazioni di conflittualità. Tale modalità è caratterizzata da un atteggiamento positivo verso sé stessi e verso gli altri e consente, per la sua proprietà di inibire l’ansia, e di ottenere così un migliore adattamento nelle situazioni sociali. Da qui deriva una migliore capacità di comunicare in modo efficace e di essere coerenti ed equilibrati. Diventa uno stile di gestione dei rapporti sociali. Generalmente le persone con cui ci confrontiamo, noi inclusi, adottano uno stile relazionale che si pone lungo un continuum che va da un atteggiamento passivo a quello aggressivo. Visivamente l’assertività sta nel mezzo tra questi due stili.

Le persone passive generalmente non riescono ad esprimere le proprie opinioni ed i propri stati d’animo, ma tendono a seguire le decisioni prese dagli altri, per tale ragione il più delle volte si sentono depresse o frustrate perché non riescono a raggiungere i propri obiettivi e di conseguenza elaborano un’idea di sé come poco efficaci o non in grado di comunicare agli altri ciò che realmente vorrebbero. Le persone passive il più delle volte si esprimono con voce tremolante e con un volume piuttosto basso, con un eloquio pieno di pause, fuggendo al contatto oculare ed attuando delle posture che indicano disagio all’interlocutore. Lo stile passivo viene descritto da Aaron Beck come di una persona che minimizza i propri bisogni, usa poche volte il pronome “io” quando parla, fornisce frequenti giustificazioni o scuse, fino ad arrivare a frequenti frasi di autocommiserazione.

La persona aggressiva, a differenza di quella passiva, prende decisioni, sceglie; spesso però impone le proprie decisioni a chi le sta accanto. Per la smania di far valere i suoi diritti, calpesta quelli degli altri, senza cercare di mediare tra gli obiettivi personali e le esigenze delle persone che la circondano. L’aggressivo generalmente ha una scarsa considerazione degli altri, spesso è belligerante e sulla difensiva, risultando molte volte imprevedibilmente ostile ed irato. L’aggressivo parla con una voce molto ferma, con un tono freddo; non ha esitazioni ed il suo eloquio è ricco di parole colpevolizzanti. Si avvicina troppo al suo interlocutore invadendone lo spazio. Lo stile aggressivo secondo Beck è caratterizzato da un uso eccessivo del pronome “io”, da opinioni che vengono riportate come fatti certi, da un’elargizione continua di consigli e nello stesso tempo dall’uso del senso di colpa per manipolare le atre persone.

Molti si saranno riconosciuti nell’uno o nell’altro. Ognuno di noi è nel mezzo tra questi due estremi, ed ognuno di noi in alcune situazioni si comporta con caratteristiche ora passive ora aggressive. Alcuni invece, ne conoscerete, sono proprio persone passive o aggressive nella maggior parte delle situazioni sociali, ottenendo così il più delle volte difficoltà sociali. Il passivo si chiude in sè stesso, l’aggressivo

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invece non si mette in discussione, non ha dubbi, ma si circonderà solo di persone che sopportano o hanno bisogno del suo stile relazionale.

Lo stile assertivo il più delle volte non è spontaneo ma è frutto di apprendimento e di maturazione e richiede esercizio e fatica. La struttura dell’assertivo si basa su di una buona immagine di sé e un’appropriata fiducia in sé stessi, sul far valere i propri diritti e rispettare quelli altrui, esprimendosi in modo chiaro e decidendo autonomamente. La struttura dell’assertività è un insieme complesso di abilità, generalmente se ne evidenziano cinque come fondamentali: l’autonomia emotiva, ovvero l’abilita di riconoscere le proprie emozioni, la libertà espressiva, cioè la padronanza delle proprie reazioni, il rispetto di sé e degli altri, la stima di sé e degli altri e l’auto affermazione, ossia la consapevolezza di poter decidere della propria vita. L’assertivo è quindi in grado di distinguere opinioni e fatti, di non colpevolizzare ma di costruire, di fare domande volte a capire i sentimenti e i pensieri dell’altro. Sembrano cose scontate, ovvie, in realtà è uno stile che si acquisisce con grande fatica e con molto esercizio, ma risulta essere estremamente efficace per ridurre ansia e problemi sociali, perché permette una comunicazione efficace, chiara e sincera. Uno stile di comportamento assertivo facilmente costringerà le altre persone a rispettarvi ed a comportarsi coerentemente al vostro stile, rinforzando così la vostra autoconsapevolezza, autostima e la vostra capacità di rispettarvi e comprendervi.

Lo stile assertivo si basa sul diritto di essere trattati con rispetto, di essere sé stessi e di essere liberi di credere nei propri valori. Ciascuno di noi ha uno spazio personale che gli altri debbono rispettare, ma quando ne usciamo per muoverci in pubblico, allora dobbiamo rispettare i diritti degli altri. Un altro importante elemento dello stile assertivo è il senso della responsabilità delle proprie azioni, da intendersi come affermazione e difesa dei nostri diritti accettando le conseguenze delle nostre azioni. Il comportamento assertivo si riconosce da alcune espressioni corporali particolarmente aperte, cordiali e coerenti nei vari livelli della comunicazione. Presupposto fondamentale dell’assertività è il saper ascoltare ovvero prestare attenzione non solo al contenuto razionale ma anche a quello emotivo della comunicazione, riassumere e dare feed-back e chiedere chiarimenti. La riduzione dell’ansia e l’emergere delle convinzioni positive conseguenti al comportamento assertivo permettono lo sviluppo e la crescita della fiducia in sé stessi.

E’ bene usare parole che esprimono fiducia in sé stessi e negli altri. A questo scopo è opportuno descrivere il comportamento altrui in maniera non censoria, vale a dire senza imporsi ed evitando giudizi ed ordini categorici. È importante anche evitare di ferire la sensibilità altrui con espressione o giudizio offensivo.

La componente cognitiva comprende tutti i pensieri che condizionano il nostro comportamento. Esistono persone talmente esigenti nei propri confronti da negarsi una possibilità di essere assertivi o che rinunciano a farsi valere per mancanza di fiducia in se stessi sconfinando in atteggiamenti rinunciatari. Sarebbe invece utile l’atteggiamento opposto: credere nella propria capacità di affermarsi e di immaginarsi nell’atto di riuscire.

La componente emotiva comprende il livello di emotività e il tono e il volume della voce. È importante trasmettere il proprio messaggio al livello emotivo più adatto alla situazione, perché il tono di voce ha un ruolo decisivo nell’opera di persuasione.

La componente non verbale è estremamente importante. Gran parte della comunicazione avviene infatti non verbalmente, e la comunicazione non verbale ha un forte impatto sull’interlocutore.

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Un’analisi dei vari comportamenti non verbali può essere basata sul contatto visivo, sulle espressioni del volto, sul silenzio, sul tono, volume e inflessione della voce, sui gesti e sul linguaggio del corpo.

In altri ancora, e faccio qui riferimento in particolare agli inflazionati coach o life coach che

invadono le riviste e i blog soprattutto al femminile, la assertività è una questione di semplice

addestramento e citazione di slogan a sé e agli altri.

COSA PENSI DI TE? – Assertività e autostima sono profondamente collegate. Non possiamo pensare di instaurare un rapporto diverso con gli altri senza averlo nei confronti di noi stessi. Guarda con coraggio paure e insicurezze: ogni persona le ha, sono la prima cosa da accettare e vedere, in te stesso e negli altri. GLI ERRORI – I bambini si preoccupano più di fare esperienza che di calcolare gli errori. Dovremmo prendere esempio da questo atteggiamento. Gli errori parlano della nostra storia, sono una lezione da cui trarre insegnamento e imparare: accetta con orgoglio i tuoi sbagli. RIDIMENSIONA – Potrà anche essere il grande capo ma commette errori, sogna, piange, ride e si emoziona proprio come te. Tratta con rispetto gli altri, a prescindere dalla posizione sociale. Vedere la persona, al di là del ruolo, aiuta a ridimensionare l'eccesso di ansia e i timori che spesso si nutrono nei confronti dell'autorità. ASCOLTA – La voce del tuo istinto conosce i tuoi bisogni, non ignorarla. Conoscere le proprie risorse, i limiti e le necessità della nostra vita quotidiana è essenziale per rispondere in maniera adeguata alle richieste degli altri. ASPETTA – Soprattutto all'inizio non è facile imparare a dire no. Per avvicinarti a questo obiettivo inizia temporeggiando! Ti basta una semplice frase come “Dammi un attimo e sono da te” per prendere tempo. RALLENTA – Hai mai notato che le richieste al volo, magari mentre stai già andando via dal lavoro, sono quelle ti prendono in contropiede e a cui è più difficile dire "no"? Presta attenzione a queste situazioni perché spesso vengono utilizzate da alcune persone, in modo più o meno consapevole, per incastrare e sollecitare risposte. Meglio fuggire… NO! NO! NO! – Esercitati davanti allo specchio, con gli amici, il partner: all'inizio dire "no" è davvero difficile, ma ben presto diventerà una vera e propria filosofia. Fin troppo spesso diciamo “si” non tanto per convinzione, quanto per convenzione. CHE COSA NASCONDIAMO – Accettiamo compromessi faticosi per non deludere gli altri, per essere legittimati o per paura delle conseguenze, soprattutto sul lavoro. Quali sono le persone o le situazioni a cui non riesci a dire no? Inizia a chiedertelo, saperlo ti chiarirà molte cose. ADDIO TIMIDEZZA – Chi è stato un bambino timido sa quanto può essere difficile esprimersi, emergere dal gruppo, parlare in pubblico. Eppure è possibile: accade quando sei così stanco e deluso da decidere di uscire dalla tua comfort zone. LE CRITICHE – Sei capace di ammettere i tuoi sbagli? La saggezza degli uomini grandi si vede dalla capacità di esporre se stessi con autenticità, senza finzione, sia quel che sia. Osserva te stesso come dall'esterno, accetta le critiche e rendile una lezione da cui imparare. Tieni alto lo sguardo e il morale: nutri la tua autostima. IL CORAGGIO DI ESSERE – Vittima e tiranno costituiscono un gioco di ruoli impossibile senza uno dei due poli. Smetti di fare la vittima, abbandona il ruolo del tiranno. Sii semplicemente te stesso. La vera rivoluzione è far cadere le proprie maschere senza temere il giudizio degli altri, imparando a esprimere ciò che si sente nel profondo di sé.

Semplice no ? Basta ridimensionare chi è più grande di noi, basta non far caso alle scelte

sbagliate, basta aspettare prima di rispondere, basta mettersi davanti allo specchio e ripetere

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come un mantra “NO, NO, NO, NO, NO”, per un tempo sufficiente ad impararlo a memoria, ma

non così lungo da richiedere l’intervento del 118, con tappa il Dipartimento di Salute Mentale.

E invece non è affatto così semplice. La vita non è una questione di blog o articoli semplicistici di

questa o quella rivista femminile.

Assertività è conoscenza del proprio mondo interiore. La difficoltà nel porre limiti agli altri non

la si scaccia solo con un banale addestramento allo specchio. Perché per dire No quando è il

momento e quando serve, c’è un passaggio precedente e molte volte esistenziale: sentire il

diritto di rispondere ad una richiesta con una negazione. Questo per ognuno di noi può avere un

impatto molto differente.

Assertività è padronanza del proprio mondo interiore. La difficoltà nel comprendere le proprie

esigenze, nel metterne a fuoco la eventuale legittimità o disfunzione, prima di sbandierare ai

quattro venti qualsiasi istanza venga dalle nostre viscere, non è richiudibile in un banale test o in

un risicato articoletto.

Assertività è utilizzo equilibrato del proprio mondo interiore. La difficoltà nelle scelte che

incontriamo quotidianamente o in momenti particolari della nostra vita la dice lunga su quanto

non sia affatto né semplice né semplicistico far i conti con se stessi e con gli altri.

Tutti i sentimenti che proviamo nel nostro animo sono legittimi.

Non tutti i sentimenti che proviamo sono funzionali e sinonimo di buona salute.

La rabbia di un padre per le briciole che il figlio lascia sul divano nel fare merenda è legittima.

La rabbia di un padre per le briciole che il figlio lascia sul divano nel fare merenda, può

ricondurre a diagnosi di fobia e ossessività degne di una scarsa salute mentale.

Assertività è conoscenza e padronanza di questo binomio, per non addossare e caricare su altre

persone cose che appartengono alle nostre disfunzioni. Conoscenza e padronanza che sono

frutto di un lungo lavoro interiore.

La comunicazione assertiva è solo l’ultima piccola parte di quanto sta e avviene dentro la nostra

pelle.

Prima di dire un NO, dobbiamo sentirci in diritto di poterlo fare.

Se la nostra attitudine personale maturata in esperienze di vita più o meno spiacevoli fosse: “Io

non ho diritto”, quel NO riusciremmo a dirlo solo a noi stessi e davanti allo specchio.

Il diritto di avere i propri valori, le proprie credenze, le proprie opinioni ed emozioni;

Il diritto di non giustificare o spiegare le proprie azioni agli altri;

Il diritto di dire agli altri come si desidera essere trattati;

Il diritto di esprimere se stessi e dire no, non lo so, non capisco, non mi interessa;

Il diritto di chiedere informazioni o chiedere aiuto senza sentirsi per questo colpevole;

Il diritto di prendere il tempo necessario per formulare le proprie idee;

Il diritti di sbagliare;

Il diritto di essere trattati con rispetto;

Prima di affermare in modo aperto e manifesto una propria caratteristiche degna di nota,

dobbiamo sentire profondamente il nostro valore.

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Se la nostra attitudine personale maturata in esperienze di vita più o meno spiacevoli fosse: “Io

non valgo”, la affermazione di sé potrebbe arrivare, e non è certo, solo sulle persone ancor più

deboli di noi.

E via di questo passo potremmo snocciolare altre possibili attitudini personali che fanno da

zavorra alla nostra possibilità e capacità di affermare noi stessi, le nostre idee, i nostri pensieri, i

nostri sentimenti: “Io non sono degno, Io non ho bisogno, Io non esisto, Io non merito, Prima gli

altri”, ecc. ecc.

La assertività è l’emblema del “Modello Proattivo”, messo in contrapposizione a quello

“Reattivo” già descritto.

Reattività e Proattività

Se la reattività è sintetizzabile in una vicinanza più o meno accentuata tra stimolo e risposta, la

pro attività è suddivisibile in alcune parole e attività da porre tra gli stimoli che noi riceviamo e

le nostre risposte. Ecco che arriva le “mediazione”, la nostra risposta è mediata, cioè nel mezzo

ci mettiamo qualcosa.

Questo qualcosa è rappresentato da parole e attività, cinque per la precisione, non

obbligatoriamente da mettere in campo per qualsiasi situazione di vita, ma in ogni caso una

possibilità a portata di mano di chi la conosce.

• Tempo

• Consapevolezza

• Cambiamento

• Scopo

• Metodo

Il diritto di prendersi il tempo necessario a formulare le proprie risposte, sta alla base del

significato della prima parola.

-Papà, ma perché al mondo ci sono le persone cattive che fanno del male ? -Caro Marco, perché mi fai domande così difficili a quest’ora di sera, che sono stanco, e i pochi neuroni rimasti sono impegnati in altre faccende ? Che succede ad un papà che non risponde subito e bene al proprio figlio ? Ne va della sua

dignità, onorabilità e bravura ? Teme di perdere la stima del figlio e quindi si fa prendere

dall’ansia di non lasciare troppo spazio tra la domanda e la risposta ?

Un piccolo e banale esempio di vita quotidiana che ci mette alla prova. Provate voi a dare una

risposta seria, intelligente e abbastanza comprensibile per quel bambino di otto anni, in poco

tempo.

Tempo

Molti hanno sentito o ricevuto la frase: “Conta fino a dieci prima di rispondere!”. E in altrettanti

abbiamo pensato: “Facile da dire quando si è fuori dalle situazioni”. Certamente si, un compito

non semplice quando l’energia emozionale è elevata al punto da togliere energia al nostro

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pensiero. Il primo sforzo è quello di conoscere questa possibilità e riconoscersene il diritto: “Ho

diritto e ho la possibilità di non rispondere subito a quanto mi accade. Ho diritto e possibilità di

mettere uno spazio e un tempo tra quanto accade, tra lo stimolo che ricevo, e la risposta che

posso e voglio dare.

Ma il tempo in sé non serve a nulla se è tempo inutile, come se bastasse farsi una doccia per non

provare più certe emozioni.

Farsi una doccia è certamente uno strumento valido per darsi il tempo di staccare, ma quel

tempo va riempito con quanto richiama la seconda voce in elenco: Consapevolezza.

Consapevolezza

Il tempo che abbiamo a disposizione o vogliamo avere a disposizione prima di dare le nostre

risposte, è l’occasione di attivare il contatto e l’ascolto di sé, quel processo di introspezione che

porta dapprima in contatto con i nostri sentimenti, le nostre emozioni, e in seguito con la nostra

capacità, possibilità e intenzione di riorganizzare e organizzare una risposta il più soddisfacente

possibile, lasciandosi in ogni caso la porta aperta al: “Diritto di sbagliare”, nonostante il tempo

della riflessione.

Non siamo e non saremo mai robot o computer di ultima generazione. Anche perché l’ultima

generazione, nel campo dei computer, diventa subito la penultima.

La consapevolezza è un punto di arrivo che passa tra due ali di interrogativi che rivolgiamo al

nostro cuore e alla nostra mente. Da dove arriva la mia rabbia ? Cosa è stato toccato ? Sto

osservando qualche elemento di vulnerabilità ?

Cambiamento

La consapevolezza è già un cambiamento, un primo ma in ogni caso significativo cambiamento,

anche solo a partire da quanto avviene ai neuroni del nostro cervello che si attivano e subiscono

modificazioni anche solo ricevendo una nuova e semplice informazione come la strada per

raggiungere un indirizzo sconosciuto.

Il cambiamento può coinvolgere il nostro stato d’animo, le nostre emozioni che virano, si

modificano e trasformano, a volte accoppiano alla rabbia immediata la solidità della

determinazione, alla ferita profonda la sensibilità della compassione.

Il cambiamento può coinvolgere i nostri pensieri, il nostro modo di osservare, riflettere, filtrare

quanto accade nella nostra vita, il significato che attribuiamo ad un evento, ad una relazione, ad

una sconfitta o ad un imprevisto.

Il cambiamento è l’arma più potente che abbiamo a nostra disposizione per superare

frustrazione ed impotenza.

Il cambiamento può coinvolgere le nostre intenzioni future, riorganizzate alla luce delle

considerazioni nate dagli altri tipi di cambiamento.

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Solo a questo punto può aprirsi la porta al nostro agire, ma non prima di averlo indirizzato in

modo non casuale.

Scopo

La componente principale del modello reattivo è la assenza di fini e scopi: ci comportiamo

esclusivamente in base ad una reazione particolare del nostro corpo, senza mediazioni di

pensiero, senza intenzione.

Percorriamo un tratto di strada con la nostra autovettura, un’altra autovettura ci taglia la

strada, e mentre facciamo una brusca manovra per scansare il muso della macchina diciamo

“Che cazzo fai stronzo !!”.

Uno stimolo e una risposta, immediata.

Il modello proattivo propone tra le varie fasi da inserire tra lo stimolo e la risposta, la possibilità

di orientare le nostre azioni verso uno scopo ben preciso, pensato, organizzato, reso cosciente e

consapevole.

Per offendere una persona non ci vuole molto pensiero, basta scegliere a caso una delle tante

parolacce o espressioni verbali che si adattano allo scopo e pronunciarle. Differente è amare

una persona e volerle dare alcune informazioni negative su un aspetto osservato. Differente è

avere una relazione di amicizia cui teniamo e subire un torto, in modo consapevole oppure no.

Differente è cercare di educare un figlio, fargli presente alcune scelte che riteniamo scorrette o

dannose, e conoscere quanto l’autostima degli adolescenti sia vulnerabile, soggetta ad alti e

bassi da paura.

Determinare uno scopo, nelle situazioni importanti al punto da scegliere di farlo, è il penultimo

passo dei passaggi che compongono il modello proattivo.

Metodo

Ci sono persone che stimiamo per quanto riescono a fare o a non fare in alcuni frangenti.

Possiamo stimare una cuoca quando cucina, un muratore mentre erige un uro a secco, un orafo

mentre cesella con cura e precisione un monile d’oro. Più la competenza delle persone è elevata,

più il compito, l’impresa, la creazione apparentemente sembra facile. Tutte le domande sono

facili quando si conosce la risposta.

Il metodo, etimologicamente “una via per la méta”, aiuta molte volte nella vita, aumenta

l’efficacia, ottimizza le risorse, facilita il raggiungimento di uno scopo.

Molti hanno studiato ed elaborato metodi più o meno complicati per rendere più semplici le

relazioni.

Si tratta di utilizzare le parole, le nostre parole, per portare a compimento il lungo viaggio fatto

attraverso questi passaggi previsti dal modello proattivo. La riuscita non è assicurata, ma la

probabilità aumenta, e ancor prima fa sentire più solidi e meno soggetti a qualsiasi refolo di

vento.

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Concludendo assertivamente

Assertività è un complesso di fattori interni che ci permettono di definire “Come siamo” e “Dove

siamo”, per prima cosa a noi stessi.

Non sempre è obbligatorio mostrarlo e condividerlo con gli altri.

Assertività è un complesso di fattori interni ed esterni che ci permettono di scegliere quando,

come e se far sapere agli altri “Come siamo” e “Dove siamo”.

Assertività è fare tutto questo avendo ben chiara la direzione che vogliamo intraprendere e far

intraprendere alle nostre relazioni, accogliendone le conseguenze senza ritorsioni, ripicche,

vendete o ricatti se gli altri non vi corrispondono.

Diceva Socrate più o meno in questo modo: “Tutti sono capaci di arrabbiarsi, ma arrabbiarsi nel

momento giusto, con la persona giusta e nella giusta misura, è un’arte”.

Assertività e saper scegliere il momento e il modo opportuno.

Assertività è legittimare se stessi di fronte a sé e di fronte agli altri.

Assertività è un modo di essere.

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Schede di Lavoro

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Scheda 020: Amicizia e Costrutti

Scopo: Confrontarsi con i propri e gli altrui costrutti, cioè modi di concepire e attribuire significato

ad aspetti della vita e di sé.

Istruzioni: Seguendo le istruzioni del formatore, fate un elenco di voci che per voi fanno parte del

vostro modo di concepire l’amicizia.

Amicizia è: ………

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Differenze e Considerazioni

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Appunti e Note

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Anna e Lucrezia: Costrutti e Valori

Anna e Lucrezia sono cresciute insieme, stesso percorso scolastico, dalle Elementari alle Superiori. L’una per l’altra sono amiche del cuore, così si definiscono. La scelta Universitaria le divide, l’una a far Medicina in una città e l’altra Psicologia in un’altra a distanza di 300 chilometri. Ogni tanto si ritrovano nella città di residenza, e rinsaldano un legame mai sopito. A questo punto del racconto il “Ma…” è d’obbligo, ce lo si aspetta, altrimenti è una narrazione come tante altre. Un giorno di giugno, al solito bar, l’aria non è come le solite, Lucrezia sembra più distante, un po’ sulle sue. -Cos’hai oggi… -Niente -Figurati, hai una cera -Ho detto che non ho niente -Ecco, vedi, se ti arrabbi c’è qualcosa -Ma ti ho detto di no -Se non ti fidi più di me, puoi anche dirmelo. Cos’è successo? -Ma niente di particolare -Dai non fare la scema, guarda che ti faccio il solletico come a scuola -Non ho voglia di scherzare -E allora ?! -Se proprio vuoi saperlo mi hai delusa, credevo fossimo amiche -Ma sei fuori? Cos’è sta faccenda ? -Beh, non è che adesso ti metti a fare finta di niente -Ma no, sul serio, non ne so niente, cos’ho fatto ? -Ti cerco sempre io, ecco cosa hai fatto -Ma se spettegoliamo quasi tutti i giorni su FB, cosa dici ?! -Sì, certo, robe superficiali, ma che ti telefona per chiedere come stai sono sempre io.. -Beh sempre -Sì, sempre, quante volte mi hai chiamato dall’ultima volta che ci siamo viste due mesi fa ? -Che ne so, le hai contate ? -Una, forse due, e io invece tutte le settimane almeno una volta, sono sempre io che ti cerco -Ma uno telefona quando lo sente, non è mica una questione di programmare le chiamate come la sveglia La discussione prosegue animata per qualche minuto. Poi le due pagano la consumazione e si avviano alle rispettive case. Ma qualcosa di differente nel loro rapporto è successo. Le parole scambiate non aiutano a sanare la discrepanza. Anna e Lucrezia hanno la stessa attribuzione di valore: l’amicizia. Per entrambe l’amicizia è

importante, solo che hanno due modi differenti di intenderla su questo fronte.

Per Anna l’amicizia è sentirsi al cellulare ogni tanto, quando uno lo sente, nella libertà reciproca.

Per Lucrezia l’amicizia è sentirsi al cellulare e cercarsi in modo reciproco, alla pari in quantità e

frequenza di chiamate..

Entrambe attribuiscono valore all’amicizia,

Ognuna delle due concepisce l’amicizia in modo differente su questo aspetto.

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Stessi “Valori”, differenti “Costrutti”.

Per entrambe l’amicizia è importante, ma ognuna delle due ha un modo di intenderla ed agirla

molto differente, per lo meno su questo fronte. La differenza di “Costrutti” e il conseguente

comportamento sono fonte di un conflitto.

I valori sono una attribuzione di importanza che facciamo a quanto incontriamo.

I costrutti sono il nostro modo di organizzare e dare significato alle esperienze di vita.

Considerazioni e Apprendimenti ............................................................................................................................................................................................................................

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Scheda 021: Costrutti V/C

Scopo: Praticare la capacità di descrivere un aspetto che fa parte di voi in modo Vago e poi

Concreto

Istruzioni: Leggete questo elenco di affermazioni, se qualcuna vi riguarda, riportatela nella pagina

successiva e cercate di renderla maggiormente concreta e dettagliata di esempi, altrimenti

prendete una o due frasi che vi descrivano, e scrivetele prima in modo vago e poi concreto.

Descrizioni vaghe di sè

1. Non mi fido delle persone.

2. Sono una persona che si deprime facilmente.

3. Non posso contare sugli altri.

4. In famiglia mi sento diverso/a.

5. Sono spesso triste e malinconico/a.

6. Io sono una persona chiusa.

7. Mi sento meno efficiente di quello che vorrei.

8. Credo che la natura sia una fonte di energia.

9. Non mi sento comoda negli incontri con altra gente.

10. Ultimamente provo delle brutte sensazioni con il partner.

11. Non credo sia possibile la giustizia. 12. Per me è pesante stare con gli altri.

13. Mi indispone se c'è la fila e qualcuno passa avanti.

14. Nelle faccende di casa mi perdo per niente.

15. Sono pigro. 16. Non telefono mai a nessuno.

17. Non sono capace di costruirmi una casa.

18. Se qualcuno mi si avvicina, io me ne vado.

19. A volte mi isolo da tutti.

20. Quando leggo non riesco a concentrarmi.

21. Quando sono a casa non sento più nessuno.

22. Sono insofferente quando debbo collaborare con gli altri. 23. Quando sto male mangio.

24. Non mantengo mai quello che mi riprometto.

25. Parlo molto poco con gli altri.

26. In macchina sbaglio sempre strada.

27. La speranza è cosa per ricchi 28. Ho la abilità di complicare le cose

29. Nelle relazioni affettive non devo avere aspettative 30. Non sono capace di organizzarmi.

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Scheda 021: Costrutti V/C

Descrizioni Concrete

A.........................................................................................................................................................................

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B.........................................................................................................................................................................

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C ........................................................................................................................................................................

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Scheda 022: Il tuo “Tesoro”

Scopo: Applicare il modello delle tre possibili arre di Potere Personale, ad un proprio sogno,

desiderio, obiettivo.

Istruzioni: Scrivete nella prima parte una breve descrizione del vostro desiderio, sogno, obiettivo,

aspetto della vita che vorreste cambiare, traguardo da raggiungere. Poi con un lavoro di

gruppo e per ogni persone, cercate di produrre tutte le idee possibili da inserire nelle tre

aree.

Il mio “Tesoro è:

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Area di Libertà

Area di Influenza

Area di Trascendenza

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Appunti e Note

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Scheda 023: Osservazione e Feedback

Scopo: Utilizzare la Scheda per aumentare la propria competenza nel dare un feedback descrittivo

e non giudicante come forma di supporto e allargamento della percezione personale.

Istruzioni: Durante il dialogo o il video, osservate e prendete nota di alcune frasi o momenti

particolari e descriveteli nel dettaglio. Inoltre aggiungete nel caso sia utile l’impatto che

quelle parole hanno avuto, sempre riferendovi a ciò che avete osservato, ed

eventualmente aggiungete una domanda che vi aiuti a chiarire la dinamica.

Esempio

Parole - Frasi Impatto Domande / Ipotesi

Quando lei hai detto:”Ora mi

tocca”, tu hai aggiunto:

“Questo è un momento di

scelta e passaggio nella tua

vita”

Lei è rimasta in silenzio per

un paio di minuti, e poi ha

aggiunto: “Non sempre le

nostre scelte dipendono da

noi”

Per quale motivo hai detto

quelle parole ?

Osservazioni

Parole - Frasi Impatto Domande / Ipotesi

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Appunti e Note

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Scheda 026: Sfaccettature

Scopo: Riflettere sul nostro modo di comunicare e di attribuire significato a quanto diciamo.

Istruzioni: Completate le tre frasi e gli spazi vuoti dei vari titoli, seguendo le istruzioni che verranno

date dal Formatore

…………………….. essere (più o meno) ........................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................

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quando............................................................................................................................................................................................................

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Sentimenti e Motivi .................................................................................................................................................................................

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…………………….. essere (più o meno) ........................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................

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quando............................................................................................................................................................................................................

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Sentimenti e Motivi .................................................................................................................................................................................

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…………………….. essere (più o meno) ........................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................

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quando............................................................................................................................................................................................................

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Sentimenti e Motivi .................................................................................................................................................................................

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Differenze e Considerazioni ............................................................................................................................................................................................................................

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Appunti e Note

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Scheda 028: Un esempio di acquisto

Scopo: Approcciare la tematica delle scelte e degli acquisti che potremmo fare per orientarle

positivamente.

Istruzioni: Leggete il brano presente nelle tre facciate seguenti, quindi seguite le istruzioni del

Formatore.

Brano tratto dal libro “Quando manca l’applauso” -Hai capito qualcosa da queste prime parole? -Devo fare una autostima di quanto ho capito? -Sei più furbo di quanto vuoi far credere -Sulla furbizia avrò l’istogramma con la riga lunga -Qualche domanda? -Sì, una. Sta faccenda dell’istogramma vale per tutti? Nel senso che tutti noi abbiamo le stesse voci? -Un po’ di pazienza e ci arrivo pian piano -Ci provo, anche se l’istogramma della pazienza non è così elevato come quello della furbizia Parlo di oggetti di stima, perché è come osservare qualcosa di sé, un aspetto di sé particolare. La pazienza appena nominata, è un atteggiamento che molte persone misurano, con esiti altalenanti. La furbizia anche, ma già questo termine mostra ampie sacche di ambiguità. Sta di fatto che queste due parole riguardano una categoria particolare di misura, il terzo oggetto di misura: i nostri atteggiamenti, i nostri valori, la dimensione interiore. Ma non è l’unica categoria. 3.3 Valori, Virtù Anche il terzo oggetto di stima l’abbiamo già incontrato parlando di pazienza e furbizia. Siamo nel mondo dell’interiorità, a confronto con le nostre virtù, i nostri atteggiamenti, i nostri valori espressi nella vita quotidiana attraverso le nostre scelte. L’altruismo lo si misura nelle rinunce fatte per altro o per altri, nel tempo dedicato a cause comuni, nella condivisione di quanto possediamo senza aspettative di reciprocità. La tenacia la si misura nella capacità di reggere la fatica o la frustrazione, nel ritentare una seconda e una terza volta dopo l’ennesimo insuccesso, nel mantenere la rotta nonostante le insidie. L’incremento di questa terza voce avviene più con le esperienze che con le parole. La solidarietà la si conosce solo attraverso gesti ed azioni. La pazienza anche. Io ho imparato la pazienza da mio padre, per quei pochi anni che l’ho conosciuto, soprattutto per quel rito che ogni tanto attuava nella pratica di un hobby: la raccolta di francobolli. Raccoglieva da amici, colleghi e parenti, ritagli di lettere e cartoline, poi armato di tazzina d’acqua e carta assorbente cercava con pazienza di staccare i francobolli, selezionarli confrontandoli con il catalogo Bolaffi, per poi inserirli nel raccoglitore a fascette trasparenti con una pinzetta appuntita. Il tutto nella calma e nel silenzio, con lo sguardo attento del sottoscritto e quel poco di aiuto nell’asciugare i francobolli e sfogliare le pagine del catalogo. La pazienza l’ho imparata vivendola con lui. Su questo terzo fattore non è semplice la misurazione, ed è ancora più difficile il miglioramento, perché fa parte del nostro percorso di crescita umana, e per molte persone, soprattutto adulte,

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è correlato al cambiamento. Un cambiamento che per ogni parte nuova ne deve lasciare una vecchia. E senza nostalgia per funzionare.

-Posso parlare anche se non interrogato? -Sì, ma non ho ancora finito il ragionamento -Lo immagino, ma le ultime frasi non mi sono chiare -Cosa in particolare? -La faccenda del cambiamento, della strada vecchia per la nuova che sa quel che lascia e non ciò che trova -Non potevi aspettare che finissi il ragionamento? Anzi, facciamo così, ti faccio una domanda visto che hai interrotto. “Secondo te, per quale motivo non hai atteso la fine del discorso che ho iniziato?” -Perché se non capisco, non riesco a seguire il resto -Certo. Ma visto che l’avrei detto poco dopo, cosa ti ha impedito di aspettare? -Empatia nei confronti dei lettori? Interesse per quanto leggo? Magnanimità d’animo nell’aiutarti a scrivere bene questo libro? -No. Non è qualcosa che hai, ma qualcosa che ti manca. La pazienza -Bella scoperta, te l’ho detto prima io -E sai cosa ci vuole per acquisire maggiore pazienza? -Mumble mumble non ci arrivo. Dai spara -Non posso farlo io al tuo posto, al più ti posso fare altri esempi su cui riflettere. Ad esempio, se tu volessi metterti a dieta… -Una coscienza a dieta si trasforma in Consigliere Regionale -Se tu volessi metterti a dieta, dovresti acquisire una virtù, la costanza. Perchè senza costanza la dieta è un fallimento certo. Ma per acquisire costanza, qualcosa in cambio devi dare, non è gratis l’acquisto di una virtù. Ad esempio nel caso della dieta, acquisire costanza significa pagare con libertà e spontaneità. Se hai costanza nel seguire la dieta, perdi la libertà di fare ciò che vuoi e quando vuoi. Hai capito la faccenda del cambiamento che qualcosa guadagna e qualcosa perde? -Per la dieta mi sembra di sì, ma per la pazienza? Perché la cosa mi interesserebbe -Pensaci un po’, concediti il tempo di non voler subito le risposte, mentre io proseguo -Gioia mia, se riuscissi a darmi il tempo di aspettare, avrei già comprato la pazienza. Ti sembra? Va beh, mi metto in standby per un pò 1.6.3 Sviluppare tenacia Per la tenacia nel perseguire un obiettivo, il livello di difficoltà aumenta, è già stato detto nel primo capitolo, si tratta di capire quale prezzo va pagato per l’acquisto di questa virtù agognata. Tra l’altro l’acquisto di tenacia è direttamente collegato alla quarta domanda: d) “Come faccio ad aiutare mio figlio a superare i momenti di crisi e fatica nel perseguire uno scopo come imparare uno strumento, costruire un modellino, dipingere un mobiletto di legno per la sua stanza?”, perché la tenacia la si acquista quando si superano positivamente i momenti di crisi, fatica, noia, stanchezza, demotivazione. Vediamo se il giochino funziona con un esempio tratto dalla vita di Sandro, il quasi atleta col sogno nel cassetto che vorrebbe avere “le phisique du role” composto da tartaruga addominale, bicipiti e tricipiti alla Popeye, fasce muscolari a tutto campo, dall’estremità degli alluci sino alla punta dei capelli, torace alla Tarzan da far risuonare nell’intero condominio. Sandro ha uno scopo, e per raggiungerlo decide di iscriversi ad una palestra, uno di quei centri fitness fioriti in particolare negli ultimi vent’anni, come espressione del bisogno di piacersi esteticamente oltreché sentirsi in forma. Il primo impatto è decisamente positivo e la motivazione a mille,

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incoraggiato dal sorriso della receptionist e dalle parole dell’Istruttore che lo introduce all’utilizzo dei vari attrezzi e gli promette fedeltà alla Fido-Bau nel suo cammino. Sandro frequenta regolarmente il centro per quasi due mesi, tre volte la settimana, e qualche risultato inizia ad arrivare: il suo fisico è più tonico e la massa muscolare si sta lentamente modificando, compatibilmente con la sua struttura fisica. Ci sarebbero anche i presupposti del cambiamento desiderato che inizia a delinearsi, ma un bel giorno succede che Sandro avverte un differente stato d’animo verso l’impresa, fa capolino un po’ di noia per la ripetitività degli esercizi, con la scusa di altri impegni inizia a saltare prima un appuntamento, poi due, e la sua presenza diventa a corrente alternata per due settimane. L’istruttore appositamente istruito se ne accorge, e una sera lo invita in ufficio per due chiacchiere, presentandogli l’andamento delle presenze nei due mesi precedenti posto a confronto con le ultime due settimane. Gli offre la disponibilità nel cercare di capire cosa sta succedendo. Sandro in quel breve colloquio riesce a focalizzare la differenza, le ragioni al suo cambiamento di motivazione, ma allo stesso tempo si sente un po’ infastidito dall’insistenza dell’Istruttore, che lo incita al “non mollare” presentandogli esempi, illustrando i vantaggi del proseguire e dandogli spiegazioni. E’ come se si sentisse “costretto” a dover ritrovare a tutti i costi la sua motivazione iniziale, e in questo gli sembra di perdere libertà di scelta nel decidere per altre cose quando ne ha voglia, oppure cambiare opinione o scopo. Alla noia per la ripetitività degli esercizi e per il contesto monotono, si aggiunge una lieve irritazione data dal sentirsi costretto a mantenere il suo scopo, per ragioni più vicine alla sopravvivenza del centro fitness che al suo benessere personale, anche se non riesce a distinguere bene il confine tra le due cose. Sandro prosegue a corrente alternata ancora per un breve periodo, poi interrompe definitivamente il suo abbonamento presso il centro fitness, ripromettendosi di riprenderlo più avanti, quando avrà meno impedimenti. Per mantenere nel tempo la frequentazione di un Centro Fitness, un po’ di tenacia ci vuole, così come per imparare uno strumento musicale. Se c’è questa tenacia, la persona prosegue, superando inconvenienti e momenti di demotivazione, se non c’è lascia, molla, rinuncia. Per Sandro sembra che acquisire tenacia significhi perdere in libertà personale, una libertà di scelta nel fare altre cose quando capitano, nel non sentirsi costretto a mantenere gli impegni presi con sé all’inizio del percorso, nel perdere la sua possibilità di scelta nel rivedere scopi e obiettivi, anche a costo di cambiamenti. Questo potrebbe essere per Sandro il prezzo da pagare per acquistare la tenacia, in quel magico negozio che dispensa virtù a pagamento: Sandro acquista maggiore tenacia per lo scopo che si è prefisso, ma perde altrettanta libertà, con tutto quello che la libertà di scelta gli consentirebbe di fare, e per questo dovrebbe accettare i relativi sentimenti negativi. Questa la prima possibilità, ma come già detto, la tenacia la si acquista anche intervenendo e sostenendo il momento di crisi, proprio quello che l’Istruttore del Centro Fitness cerca di fare nel colloquio, senza però riuscirvi efficacemente, grazie al fatto di essere in un conflitto di interessi evidente nel promuovere tale attività, cosa che Sandro percepisce in modo chiaro.

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Appunti e Note

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Scheda 029: La bottega delle meraviglie

Scopo: Fare pratica di acquisti nel negozio denominato “La bottega delle meraviglie”.

Istruzioni: Decidete e scrivete la qualità o la virtù che vorreste acquistare. In seguito completate gli

altri spazi rispondendo alle indicazioni che vengono date.

Virtù o Qualità da acquistare

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Descrizione concreta del quanto, dove, con chi, come

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Descrizione del prezzo da pagare

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Appunti e Note

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Scheda 030 – Sguardi di cuore e mente

Scopo: Prendere consapevolezza dei propri costrutti e dei sentimenti ad essi collegati

Istruzioni: Seguite le istruzioni date dal Formatore.

Parola chiave …………………………………

Sentimenti e Motivi.............................................................................................................................................................

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Esperienze ..............................................................................................................................................................................

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Parola chiave …………………………………

Sentimenti e Motivi.............................................................................................................................................................

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Costrutto ................................................................................................................................................................................

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Esperienze ..............................................................................................................................................................................

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Parola chiave …………………………………

Sentimenti e Motivi.............................................................................................................................................................

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Costrutto ................................................................................................................................................................................

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Appunti e Note

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