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le Alpi Orobiche Settembre 2018 NoTIzIArIo DeLLA SezIoNe e SoTToSezIoNI CAI DI BergAmo Una casa per la montagna Anno XXII n. 105 / Settembre 2018 / Trimestrale / “Poste Italiane Spa - Spediz. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46), Art. 1, Comma 2, DCB Bergamo” Il DAV VIsItA Il CAI DI BergAmo PIzzo DI sCotes refugIos AnDInos Agosto D’AustrIA Anno XXII n. 105 / Settembre 2018 / Trimestrale / “Poste Italiane Spa - Spediz. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46), Art. 1, Comma 2, DCB Bergamo” CAI SETTEMBRE 2018_cai giugno 06/11/18 11:49 Pagina 1

Il DAV VIsItA Il CAI DI DI sCotes refugIos Agosto D’AustrIA · Forse è questa la vertigine che mi prende. Come sempre la Storia è fatta da storie. Noi vediamo i grandi titoli

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Settembre

2018 NoTIzIArIo DeLLA SezIoNe e SoTToSezIoNI CAI DI BergAmo Una casa per la montagna

Anno XXII n. 105 / Settembre 2018 / Trimestrale / “Poste Italiane Spa - Spediz. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46),Art. 1, Comma 2, DCB Bergamo”

Il DAV VIsItA

Il CAI DI

BergAmo

PIzzo

DI sCotes

refugIos

AnDInos

Agosto

D’AustrIA

Anno XXII n. 105 / Settembre 2018 / Trimestrale / “Poste Italiane Spa - Spediz. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46),Art. 1, Comma 2, DCB Bergamo”

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a dida a dida

La stagione estiva in montagna sta terminando, come i rifugialpini preparano la chiusura di porte e griglie, per attendere unanuova stagione invernale.Nascono spontanei ricordi di attività vissute e esperienze ascol-

tate tra i sentieri e rifugi delle Orobie, a conferma di una stagione positi-va e ricca di soddisfazioni per tutti i frequentatori appassionati, trekkerse turisti, italiani e stranieri, grazie anche al lodevole e competente lavo-ro dei gestori dei nostri ‘nidi d’aquile’ del CAI Bergamasco.L’Alta Via delle Orobie nella sua versione integrale e trasversale le vallibergamasche, da occidente a oriente da Cassiglio alla Presolana eArdesio ma anche lungo il sentiero naturalistico ‘Curò’, ha rappresenta-to un asse portante per organizzare percorsi e realizzare itinerari adatti aciascuno.Nel salire in alto e ritornare a valle ognuno ha attraversato il territorio ela natura, riscoperto luoghi e cultura, condiviso avventure e vissuto emo-zioni autentiche.Sul ‘Sentiero degli angeli’ delle Orobie alcune presenze particolari sonostate registrate come il console generale dei Paesi Bassi a Milano, JohanVerboom, che ha percorso con la famiglia alcune tappe, i giornalisti dellarivista del Deutscher Alpenverein (il DAV club alpino tedesco) GeorgHohenester (caporedattore) e Joachim Chwascza (fotografo), la consolegenerale della Bolivia a Milano, Eva Chuquimia, salita al Rifugio AlpeCorte con un gruppo di amici boliviani residenti a Bergamo.A conclusione del loro ‘anello di scoperta’ delle nostre montagne, trasentieri e gastronomia tipica, un solo parere ricordo: ‘Fantastico’.Ma ciò che rappresenta un particolare resoconto per la nostra missioneCAI di questa passata stagione è la presenza diffusa e crescente di tantigiovani e ragazzi sulle Orobie.Li abbiamo notati e osservati questi ragazzi e giovani pieni di gioia eenergie, con zaini leggeri e scarpe veloci, abiti caratterizzati da colorivivaci che aiutano a rendere allegra la loro vista e presenza, all’apparen-za sembrano tutti uguali ma ciascuno esprime l’unicità della personalità.Ecco sono loro il vero bilancio culturale e investimento generazionaleper un futuro in montagna e anche per donne e uomini nella nostrasocietà .La felicità e la voglia di vivere di questi giovani, ci fa capire come l’al-pinismo e il salire verso una meta, in ogni loro manifestazione e innova-zione, è un cammino di educazione e formazione, una scuola di vita sem-pre aperta a tutti.Oggi e con lo sguardo più avanti, con il bilancio pieno di meraviglie delleOrobie e di fiducia nelle nuove generazioni, vogliamo dire “bravi e com-

plimenti” ai ragazzi, giovani e le persone che come tutti noi, credononella Montagna e nell’Amicizia e vera.

Paolo Valoti

Editoriale

Notiziario del Club Alpino ItalianoSezione e Sottosezioni di Bergamo

SeTTemBre 2018Anno XXII - n° 105

editoreSezione di Bergamo “Antonio Locatelli”del Club Alpino Italiano (Associazione di Volontariato) Via Pizzo della Presolana 15, 24125 BergamoTel. 035-4175475 Fax 035-4175480

Direttore responsabileNevio Oberti

Direttore editorialePaolo Valoti

Comitato di redazioneNevio Oberti, Luca Merisio, Glauco Del BiancoSegretaria: Clelia Marchetti

Hanno collaboratoAntonio Rota, Maurizio Agazzi, Matteo Bertolotti, Vincenzo Cervi,Nadia Rossi, Emiliano Perani, Elena Ferri, Claudio Malanchini,Giancelso Agazzi, Santo Giancotti,Reteradiomontana, Danilo Donadoni,Davide Castelli

Consulenza grafica e fotografiaLuca Merisio

Progetto grafico e impaginazioneLucia Signorelli

Direzione e redazioneVia Pizzo della Presolana 15, 24125 BergamoTel. 035.4175475, Fax 35.4175480Gli uffici sono aperti, lunedì, martedì, mercoledì e venerdìdalle 14,00 alle 18,30; giovedì dalle 14,00 alle 20,30;sabato dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 14,00 alle 18,00e-mail: [email protected]

StampaLitostampa Istituto Grafico s.r.l.Via Corti 51, 24126 BergamoTel. 035.327911, Fax 035.327934

TrimestralePer arretrati e abbonamento annualerivolgersi in Segreteria.Articoli, disegni e fotografie, vengono restituiti solo se richiesti al momento della consegna. La redazione si riserva di pubblicare gli articoli pervenuti, nei tempi e con le modalità che riterrà opportune. La pubblicazione degli articoli implical’accettazione, da parte dell’autore, di eventuali tagli o modifiche ai testi.

Dato alla stampa: 5 Novembre 2018

registrazione Tribunale di Bergamo N. 1 del 22 Gennaio 1998

Soci benemeriti della sezione

Le ALpi OrObiche Emozioni in cammino

dei giovani e ragazzi

sulle Orobie

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In copertina:Ferrata Ottorino Marangoni sul

Monte Albano (Foto Luca Armanni)

4-8 vita sociale

BerlendisCAI-DAV

9 eventi

Curnis si racconta

10-15 alpinismo

Pizzo di ScotesVallarsaCiamim piò

16-20 alpinismo giovanile

Aquilotti in Città AltaNuovo Direttore

21-23 montagne dal mondo

Refugios Amdinos

24 tam

25-34 escursionismo

Il Serio e il CalmoAgosto!

35 speciale sicurezza

ReteRadioMontana

36-37 commissione cultura

Linea Cadorna

38 biblio piccoli

39-40 biblioteca

41-42 commissione medica

43 montagna

in pellicola

Holy Mountain

in questO numerO

di Nevio Oberti

Di pochi giorni fa (da oggi chescrivo) l’anniversario della fon-dazione del Club AlpinoItaliano: 23 ottobre 1863. Ora

quindi, 2018, festeggiamo l’invidiabile etàdi ben 155 anni di sodalizio. Mi viene lavertigine al pensiero di cosa è passato sottoi ponti in 155 anni: cambiamenti, rivolu-zioni, guerre, tragedie, scoperte, invenzio-ni, persone: soprattutto tante persone. Unmondo che prima non c’era, ora c’è. Forse è questa la vertigine che mi prende. Come sempre la Storia è fatta da storie.Noi vediamo i grandi titoli e che si strilla-no ovunque in base alle convenienze o allemode che siano e, spesso, dimentichiamo ilsilenzioso appassionato lavoro di chi questititoli li regge, li ha resi possibili. E’giocoforza pensare all’immagine dell’iceberg:tutte le persone sulle cui spalle si reggo-no155 anni di CAI: i soci!L’augurio è dunque fortemente diretto atutti i soci che reggono, condividono e por-tano avanti un ideale nato più di un secoloe mezzo fa: con semplicità, silenziosolavoro, passione, gratuità.Grazie a tutti!

155anni di storia

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Le Alpi orobiche - settembre 2018

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di Davide Castelli

Possiamo solo immaginare, leggen-do il breve resoconto delle saliteeffettuate durante i giorni di per-manenza a Courmayeur, cosa

significasse, in quel 1946, ad appena unanno dalla fine della guerra, andare permonti: «Dopo molti preparativi e nonpochi sacrifici finanziari, dopo una lungagiornata piena di trambusti di cui e reol’improvvisato mezzo di locomozione (unasmatico motocarro Benelli), possiamoraggiungere la tanto agognata Courmayeurappiedati, e per di piu rinfrescati da unatemporalesca doccia di mezzo agosto».1

Autore di queste righe è Bruno Berlendis,classe 1926, allora ventenne. Le primenotizie sull’Annuario CAI Bergamo risal-gono all’anno precedente, quando il 3 giu-gno sale la Punta Giulia in Grigna conTaramelli, Poloni, Prandi, Tavecchi,Colombo e, a ottobre, lo Spigolo Sud dellaPresolana in una gita sociale del CAI com-posta da tre cordate (Prandi, Stella;Berlendis, Mandelli; Poloni, Monti).L’anno seguente le uscite si susseguononumerose: oltre alle molte scalate docu-mentate in Grigna e sulle vette orobiche,spiccano, oltre alla salita al MonteCevedale, quelle compiute nel massicciodel Monte Bianco (la cresta estdell’Aguille Noire de Peutérey e la vettapassando dal Rifugio Torino e dal RifugioGonella).Qualche anno dopo, nel 1949, il MonteBianco è teatro di una seconda spedizione,quando una comitiva di cinque bergama-schi, tra cui Berlendis e l’amico LeonePellicioli, raggiungono la vetta più altadelle Alpi per la via dell’Innominata, ricor-rendo pure a qualche tecnica che oggi puòapparire bizzarra ma che allora dovevaessere del tutto consueta: «Sfruttando unacengia, raggiungo il ristrettissimo ballatoiosul quale, con estrema prudenza di movi-menti, mi raggiunge Pio. Dopo essermi esi-bito nelle più strane acrobatiche contorsio-ni, mi riesce di issarmi sulle spalle del mio

Bruno Berlendis(1926-2018)

valentissimo Giulio ed introducendo lemani nella fessura riesco, annaspando congli scarponi sulla liscia parete e con grandedispendio di energia, ad alzarmi di alcunimetri e superare questo duro passaggio».2

Durante la salita Pellicioli rimane pureferito alla testa da un sasso, ma la feritaviene subito disinfettata e l’alpinista rin-francato con un po’ di alcool, così chepossa proseguire!Quelli a cavallo fra i Quaranta e iCinquanta sono anni di intensa attività,durante i quali Berlendis compie il suoapprendistato alpinistico, costruendosi unnotevole bagaglio di esperienze, cimentan-dosi su alcune delle vie più importantidelle Alpi occidentali e affermandosi cosìcome una delle personalità più significati-ve dell’alpinismo bergamasco. Oltre allesalite di minore o maggiore rilievo, testi-monianza di un’attività assidua e di pri-m’ordine, l’impegno di Berlendis si mani-festa anche in alcune importanti iniziativeall’interno della sezione. Dal 1950 è pro-motore e membro, insieme ad altri, del«Gruppo camosci», sorto «con lo scopo diraccogliere e di tenere uniti quegli elemen-ti che si sono distinti per alcune notevoliimprese effettuate dentro e fuori la cerchiadelle Orobie durante un ciclo di diversestagioni caratterizzate da intensa attività».3

Nel 1954 è nominato Portatore e, alla finedello stesso anno, ottiene (insieme a LeonePellicioli) la promozione a guida alpinacon una procedura del tutto eccezionale in

considerazione del valore assoluto dell’at-tività alpinistica svolta, accreditandosi cosìcome uno dei capifila riconosciuti dell’al-pinismo bergamasco. L’attività alpinisticasi accompagna in questi anni al cresceredell’attività didattica: importante, da que-sto punto di vista, il ruolo svolto all’inter-no della «Scuola di roccia» della sezione,divenuta poi «Scuola di alpinismo», chesarà intitolata a Leone Pellicioli. Berlendisvi fa parte fin dalla sua costituzione a par-tire dal 1956, ricopre il ruolo di Direttoredel corso roccia negli anni 1957-59 e lacarica di Direttore della Scuola nel biennio1962-63. Organizza poi la Squadra di soc-corso alpino, che andrà articolandosi neglianni e di cui sarà direttore dal 1954 al1964. Dal 1956 è fautore, insieme ad altri,dello sviluppo nella sezione anche dell’at-tività scialpinistica, come testimonial’Annuario 1956. Le mete segnalate sonodi tutto rispetto: il Pizzo Bernina, laPresanella, il Gran Paradiso e il MonteBianco. Dal 1967, infine, entra a far partedel CAAI. Il 1958 è un anno funestato dalla morte delcompagno e amico Leone Pellicioli, colpi-to da un fulmine dopo la conquista del PizRoseg alla quale partecipava anche lo stes-so Berlendis. E fu proprio l’amico e com-pagno che si adoperò con altri nell’opera-zione di recupero del corpo4 e che ancora,poco dopo, si fece promotore con un grup-po di soci dell’iniziativa che portò nel 1962all’installazione del bivacco «LeonePellicioli» nel massiccio dell’Ortles.5

Alla fine del decennio, grazie soprattutto afigure come quella di Berlendis, l’alpini-smo bergamasco ha ormai raggiunto lapiena maturità e spazia da un capo all’altro

1 Bruno Berlendis, Bergamaschi al MonteBianco, Annuario CAI Bergamo 1946, p. 20.2 Bruno Berlendis, Monte bianco per la viadell’Innominata, Annuario CAI Bergamo 1949,p. 21.3 Annuario CAI Bergamo 1950, p. 14.4 Antonio Longoni, Il recupero di LeonePellicioli in vetta al Roseg, Annuario CAIBergamo 1958, pp. 28-315 Giambattista Cortinovis, Nel cuore dell’Ortlesil bivacco Leone Pellicioli, Annuario CAIBergamo 1959, pp. 9-13 e Andrea Facchetti,Installato sulla Cima delle Vedrette il bivaccoLeone Pellicioli, Annuario CAI Bergamo 1962,pp. 10-15.

VITA SOCIALE

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della catena alpina. È in questi anni chematura l’aspirazione, in virtù dei risultatifino allora raggiunti, di volgersi a piùambiziosi obiettivi al di fuori delle Alpi.L’idea di una spedizione al di là dei confi-ni europei nasce durante un colloquio tenu-tosi nel novembre 1957 in casa Legler fraBerlendis e il famoso alpinista austriacoToni Egger. Il progetto, elaborato dallostesso Berlendis, con annessi piani logisti-ci e preventivi di massima, viene presenta-to al Consiglio della Sezione all’inizio del1959 e poi approvato dall’Assemblea deiSoci. Si tratta di un’impresa onerosa daogni punto di vista, per la realizzazionedella quale viene creata un’apposita com-missione e lanciata una pubblica sottoscri-zione. La scelta dell’obiettivo cade sulPucahjirca Centrale, uno degli ultimi dueseimila inviolati nella Cordillera Blanca, inPerù. Sette saranno i membri della squadra(il capo spedizione Berlendis, Nino Poloni,Santino Calegari, Rino Farina, OddoneRosseti, Franco Rho e il medico FrancoChierego), coadiuvati da due portatorilocali (Emilio Angeles e MartinFernandez); il materiale alpinistico conste-rà di 106 casse per un totale di 2800 kg, peril trasporto del quale al campo base saran-no necessarie una cinquantina di bestie dasoma; più di due i mesi trascorsi in Perù.Le vicissitudini della spedizione sononote6: a poche decine di metri dalla vetta,per difficoltà oggettive insormontabili, laconquista dell’obiettivo principale sfuma,mentre vengono salite quattro cime ancorainviolate della zona, denominate NevadoBergamo, Nevado Giovanni XXIII,Nevado Antonio Locatelli, Nevado LeonePellicioli. Condivisibile rimane, però, ilgiudizio dato, qualche anno più tardi, daAurelio Locati: «Ora a distanza di tempo,si può serenamente affermare che non èstato un insuccesso: restano i risultati rag-giunti dalla spedizione in altri settori, gliinteressanti rilievi medici raccolti dal dott.Chierego e le annotazioni storiche e folklo-ristiche raccolte da Franco Rho con l’acutospirito di osservazione del giornalista.Resta soprattutto l’impresa in se stessa, colsuo coraggio e i suoi imprevisti; un’espe-rienza nuova e preziosa, una “prima” anchequesta che, come le “prime” alpinistiche,apre nuove prospettive all’alpinismo ber-gamasco. Ed è appunto sulla base di unnuovo studio di Berlendis e delle esperien-

ze della sua prima spedizione che tre annidopo il CAI Bergamo decide di riprenderela via del Perù».7 Inizialmente Berlendis faparte della rosa di dieci alpinisti fra i qualiil capo spedizione Annibale Bonicelli devescegliere i partecipanti all’impresa, ma nonviene selezionato. L’impresa al Pucahjircasarà ritentata vent’anni più tardi in una spe-dizione (anche questa non coronata da suc-cesso) guidata da Mario Curnis. L’annosuccessivo sarà ancora la volta di BrunoBerlendis, di nuovo a capo della spedizio-ne «Valle di Scalve 1981» con il medesimoobiettivo: ma l’impresa verrà interrottadopo la tragica morte di tre dei cinquecomponenti della cordata (Nani Tagliaferri,Italo Maj e Livio Piantoni), travolta da unacornice di neve poco sotto la vetta. La con-quista avverrà solo l’anno successivo, adopera di Marino Giacometti e Gian BattistaScanabessi; ma sono ormai anni in cui lespedizioni extraeuropee non sono piùeventi fuori dall’ordinario: solo l’Annuariodel 1981 ne registra tre, fra cui quella alNanga Parbat, primo ottomila conquistatoda alpinisti bergamaschi. Ancora una volta,allora, emerge il ruolo precipuo diBerlendis nella storia dell’alpinismo berga-masco: quello di apripista e di “guida” diuna generazione di alpinisti più giovani manon meno valenti.Siamo ormai agli inizi degli anni ’60: ilbagaglio di esperienze accumulate daBerlendis e la sopraggiunta maturità sonoforieri di considerazioni più generali chetravalicano la singola impresa. La descri-zione dell’ascesa alla cresta ovest delSalbitschyn è preceduta da alcune conside-razioni meditative (condotte con stile cari-co di pathos) sulle imprese trascorse, cherivelano che siamo in presenza di un alpi-nista dall’animo sensibile che non solo puòormai vantare un notevole curriculum, maper il quale l’alpinismo è attività carica disignificato, per così dire, esistenziale:«Quante volte su quelle crode assistemmogelidi all’apparire della livida luce diurna,che faticava a filtrare attraverso la foschia,sovrastata dal muggito cupo e lamentosodel tuono! Quante volte, fradici e paonazziin quelle brume mattinate, volgemmo losguardo fra quell’intercalarsi di monti evalli bianche, fredde ed immobili sino allalontana evanescenza della pianura!Scorribande indimenticabili che ci riporta-rono nell’atmosfera dei nostri predecessori

che, più di noi, gareggiarono forti e risolu-ti in questa seducente e meravigliosa natu-ra. E sempre, dopo l’asprezza delle durelotte, gustavamo, nella profonda quietedelle valli, un senso di vita ritrovata. Ilricordo della violenza del vento e degli ele-menti scatenati che ci avevano ricacciati avalle, con le gole aride e col peso dellasconfitta, affiorava ora con impeto furente.Meritavamo grazia per il diritto della vitto-ria, che sentivamo aleggiare armoniosa aldi là delle torri, dove il dorsale granitico siadagia e finisce, vicino alla nuvole. Evaghiamo così nei sogni vissuti, salendopazienti verso l’alto sotto l’incombenteprofilo della nostra chimera, irta di campa-nili acuminati, dai vividi colori dorati, chedi solito la natura riserva agli ultimi trattiche precedono le vette. Una cavalcata gra-nitica di torri, dalle murate a perpendicolo,che forma nel suo rincorrersi un gigantescomerletto e che orla il fianco sinuoso di que-sta montagna. La nostra Montagna. Lamontagna perfetta».8

VITA SOCIALE

6 Oltre al lungo resoconto pubblicatonell’Annuario CAI Bergamo 1960, si può leg-gere la sintesi nel volume Cento anni di alpini-smo bergamasco (Cai Bergamo, 1973) diAurelio Locati alle pp. 145-153.7 Aurelio Locati, Cento anni di alpinismo ber-gamasco, Cai Bergamo, 1973, p 153.8 Bruno Berlendis, Salbitschyn Cresta ovest.Prima salita italiana, Annuario CAI Bergamo1962, p. 60.

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Dal 17 al 20 luglio 2018 un gior-nalista e un fotografo delDeutscher Alpenverein (DAV)sono stati ospiti del CAI

Bergamo. Il contatto é avvenuto tramite laprovincia di Bergamo, in collaborazionecon “Visit Bergamo”.Si é trattato di un’interessante iniziativache, certamente, ha dato lustro alla nostraSezione.Il DAV rappresenta il più grande club alpin-istico a livello mondiale, con sede aMonaco di Baviera e con 730.000 soci,fondato nel 1869, la ottava associazionesportiva tedesca in ordine di importanza.L’associazione é nata con finalità accade-miche e culturali e con l’intento di farconoscere le Alpi, costruendo anche alcunirifugi.Georg Hoehnester é un giornalista diMonaco, caporedattore di “Panorama”, la

rivista del DAV, mentre JoachimChwaszcza é un fotografo, appassionato dimontagna e di viaggi in zone montagnosedel mondo, che risiede nei dintorni diMonaco. Due persone gradevoli che hannovoluto conoscere le Orobie. Così alcuniconsiglieri sezionali si sono presi l’incaricodi accompagnare i due tedeschi in alcunidei nostri rifugi. La prima tappa é stato ilRifugio dei Laghi Gemelli in Alta ValleBrembana. Giunti a Carona, io e AmedeoLocatelli li abbiamo accompagnati lungo ilsentiero che sale da Carona. Lo abbiamofatto il pomeriggio del 17 luglio. I due ospi-ti si sono dimostrati subito affabili e capacidi parlare un poco di italiano, subito inter-essati al nostro territorio montano, ponen-doci molte domande. Joachim é stato moltoattratto dai nostri fiori di montagna e ne hafotografato molti. Dopo la diga del LagoMarcio, abbiamo incontrato una malga e a

tal proposito i due hanno voluto sapere lacondizione dell’allevamento del bestiamesul nostro territorio montano. La giornata sié mantenuta insolitamente limpida fino asera, senza temporali. Giunti al rifugio, idue hanno voluto conoscere il custode.Fatta una piccola merenda si sono intrat-tenuti con lui, in particolare Joachim hafotografato alcuni piatti tipici che il bravocuoco propone agli ospiti. Poi, Amedeo liha accompagnati fino alla diga del LagoColombo, sotto la Cima del Becco. Poi,verso sera i tre hanno fatto rientro a Caronae, poi, a Branzi, ospiti dell’Albergo Corona.La mattina del 18 luglio i due sono ripartitiin auto per raggiungere Valbondione doveerano ad aspettarli Gepi Mutti e AngeloPanza per accompagnarli al Rifugio Coca.Hanno percorso il ripido sentiero sotto uncaldo sole, raggiungendo il rifugio versomezzogiorno. Sono, poi, saliti fino al

VITA SOCIALE

Giornalisti tedeschi del DAVsul sentiero delle Orobie

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Le Alpi orobiche - settembre 2018

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Laghetto di Coca per ammirare il paesaggiocircostante, in particolare il Pizzo Coca e ilRedorta. Dopo il pranzo, sono ripartiti allavolta del Rifugio Curò. Il tragitto é statoapprezzato e anche il tempo ha retto, evi-tando la pioggia. Dall’alto i due tedeschihanno potuto ammirare la straordinariaconca del Barbellino. Nei pressi della diga

hanno osservato alcuni stambecchi attac-cati con i loro zoccoli allepareti della diga. Dopo la cena,hanno trascorso la notte pressoil Rifugio Curò. Gepi li ha las-ciati al rifugio, scendendo aValbondione. Il giorno seguenteDario Nisoli ha accompagnato idue tedeschi attraverso la ValCerviera fino al Passo diBondione, facendo apprezzare lebellezze del “sentiero naturalisticoAntonio Curò”. Scesi in Val di

Gleno, attraverso il Passo di Belviso, i trehanno raggiunto il Rifugio Tagliaferri. Quihanno gustato le specialità culinarie chesono state preparate con arte da Cesco. Idue hanno molto apprezzato l’ottimo cibo eanche le buone grappe offerte loro dalrifugista scalvino. Lungo il percorso hannovisto fiori e animali, tra i quali marmotte,alcuni stambecchi e qualche camoscio.Joachim ha paragonato la Val di Gleno adalcune regioni del Ladakh in India. A causadelle peggiorate condizioni atmosferiche, éstato cambiato il programma dei due ospiti.La mattina del 20 luglio, infatti, i duetedeschi sono scesi a Schilpario. La sera disabato 21 luglio i due bavaresi hanno fattovisita al Palamonti e, poi, vi si sono fermatiper la cena in compagnia del presidenteValoti e di alcuni accompagnatori. Il girosul sentiero delle Orobie é stato un’impor-tante occasione per scambiare idee, con-frontarsi e per far apprezzare ai due ospiti lenostre incantevoli montagne. L’esperienzadi questi giorni verrà riportata su“Panorama”, la rivista del DAV, e servirà afar conoscere il sentiero delle Orobie anche

in Germania. Georg e Joachim si sonodimostrati molto soddisfatti, dando

l’impressione di aver moltoapprezzato le Orobie, non

escludendo l’ipotesi diritornare sulle montagnedella bergamasca. La matti-na di domenica 22 luglio i

due sono partiti per Monaco.

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Cà Berizzi, venerdì 15 giugno 2018

Un evento interessante quelloorganizzato venerdì 15 giugno2018 dal Centro Studi ValleImagna in collaborazione con il

CAI Bergamo a Cà Berizzi nel comune diCorna Imagna. Protagonista Mario Curnis,alpinista bergamasco, che è stato intervista-to dal reporter Giorgio Fornoni.Quest’ultimo ha voluto conversare conl’alpinista, seguendo le fasi salienti del suopercorso esistenziale. Una vita molto inten-sa, sia dal punto di vista lavorativo che alpi-nistico. Mario Curnis è nato a Nembro inuna numerosa famiglia di operai.Un’origine semplice che, però, gli ha pro-curato molte soddisfazioni. Mario ha sotto-lineato l’importanza che il lavoro ha avutonella sua vita. Ha fatto il muratore conmolta passione riuscendo, negli anni, acreare un’ impresa edile. Con grande impe-gno é riuscito a condividere l’attaccamentoper il lavoro e l’amore per la montagna. Lamontagna che per lui é stata quasi un’aman-te, come ha voluto dichiarare in una letteraaperta a tutti. A volte un’amica dura, che haportato via, negli anni, molti dei suoi amici.Coerenza, onestà e schiettezza unite a unavolontà di ferro, le doti caratteriali diMario. Ha raccontato che la sua passioneper l’alpinismo che é nata in giovane età,grazie alla conoscenza di Leone Pellicioli,alpinista nembrese degli anni ‘50, scompar-so sul Rosec. La carriera alpinistica diCurnis ha avuto inizio nel 1959. Il suo cur-riculum è cresciuto negli anni, con salitesulle Grigne, sulle Orobie, in Himalaya,nelle Ande, in particolare in Patagonia(Scudo del Paine, Cerro Mayo e Torri delPaine). Nel corso di una salita alla pareteNord del Lyskamm Mario ha rischiato,insieme al compagno di cordata, di esseretravolto dalla caduta di alcuni seracchi, chehanno investito altre cordate, causando unmorto e alcuni feriti. Nel 1975 ha partecipa-to alla spedizione al Lhotse con ReinholdMessner; nel 1980 a quella invernale alMakalu, con Renato e Goretta Casarottooltre ad altri alpinisti svizzeri. In quellaoccasione ha rischiato di non tornare acausa delle incredibili, abbondanti nevicate.Ha ricordato la spedizione all’Alpamayo equella al Pukajrka, in Peru, nel corso dellaquale, da capo-spedizione, é andato incon-tro a molti rischi, a causa dell’insidiosità

della parete. Con Simone Moro ha salito trail 1999 e il 2000 i settemila dello “snowleopard”, nel Tien Shan in Asia Centrale.Da giovane Curnis ha avuto modo di cono-scere e, quindi, di frequentare ed arrampi-care con famosi alpinisti come WalterBonatti, Riccardo Cassin, ReinholdMessner, Renato Casarotto. È amico diSimone Moro e Denis Urubko. È stato pre-sidente del CAI di Nembro, cercando diinfondere la passione per la montagna nellospirito dei giovani. Curnis ha partecipatonel 1973 alla Spedizione Militare Italianaall’Everest, condotta da Guido Monzino.Un’esperienza che ha definito negativa, chelo ha segnato profondamente, a causa deidissapori con i vertici della spedizione.Mario allora giovane e forte alpinistaavrebbe voluto e potuto salire sulla vettadell’Everest, il suo fisico glielo avrebbepermesso, ma gli fu negata l’opportunità direalizzare quel sogno. Un sogno accarezza-to fino a quando, a 66 anni, riuscì finalmen-te a raggiungere con Simone Moro la meta.Ha voluto far presente che l’Everest di oggiè ben diverso da quello del 1973. Alloranon c’era nessuno, ora file di alpinisti asse-diano la via normale della montagna dalversante nepalese. Mario ha risposto alledomande di Fornoni in modo risoluto e sin-cero. Ha voluto manifestare la sua grandefede nella montagna. Ha ringraziato lamoglie Rosanna Giudici che negli anni loha sempre aspettato con un sorriso al ritor-no da ogni spedizione a differenza di quan-to sono solite fare altre mogli tradite per via

delle lusinghe della montagna. E, a propo-sito di sua moglie, ha ricordato quando,partito per una spedizione quando lei eraincinta, era rientrato a figlio ormai nato dadue mesi. È stato bello ascoltare il raccontodi una vita. Una vita che ha presentato alcu-ni aspetti tinti talvolta di amarezza. Allesoglie della vecchiaia il fallimento della suaimpresa e una malattia hanno posto Mariodi fronte a grosse difficoltà. Un momentomolto duro, ma che lui é riuscito ad affron-tare e risolvere dopo un periodo non faciletrascorso da solo sulle Creste di Bares inVal Seriana con un gregge di un centinaiodi capre. Un momento di riflessione, diforte introspezione, che ha, tuttavia, ridato aMario serenità. Ha saputo affrontareun’enor me difficoltà scoprendo che nonsono i soldi a rendere felice un uomo, ma lascelta di vita. Il vivere nella sua baita di SanVito con la moglie gli ha ridato la voglia divivere. Mario ha manifestato l’amore per lasua compagna, il piacere di voler vivere conlei, che lo ha seguito per una vita, che gli hasempre preparato lo zaino prima della par-tenza per ogni spedizione, che ha condivisole sue difficili scelte e anche i momenti piùfaticosi. Un piacere che cresce anche neglianni della vecchiaia. Un messaggio moltoforte che ha voluto trasmettere ai presenti aCà Berizzi e non solo.Ha sottolineato che gli alpinisti devono sce-gliere compagne in grado di comprenderela loro passione, disposte ad aspettarli acasa senza tensioni, altrimenti, meglio nonsposarsi. Mario ha pure manifestato il suodissenso con l’utilizzo indiscriminato deitelefonini da parte dei giovani. Un invito alimitarne l’uso, privilegiando la comunica-zione tradizionale. Nel corso della seratasono stati proiettai alcuni filmati per riper-correre i momenti importanti della vita alpi-nistica di Curnis. Dopo due salite invernalicon i figli, Mario ha concluso che la monta-gna non faceva per loro. Ma l’approccio erastato, forse, un po’ troppo duro per loro.Ora Mario sta riordinando i suoi lunghidiari, ripercorrendo le innumerevoli impre-se alpinistiche, la sua testimonianza di vita,davvero importante. Li ha scritti con gran-de precisione durante i momenti di calma,magari di brutto tempo, ai campi base intenda, quando si trovava lontano da casa,nei luoghi più sperduti del mondo.Mario ha 82 anni e si diverte facendo ilfieno sulla sua montagna.

EVENTI

Un passo più in là, Mario

Curnissi racconta

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Le Alpi orobiche - settembre 2018

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ALPINISMO

di Maurizio Agazzi

Incipit, sarò sincero.Quando alle 12 abbiamo aperto laporta del Bivacco Corti un po’ mi sonoemozionato. Mai e poi mai avrei pen-

sato che la stagione 2017 potesse riservarmicosì tante sorprese e, senza troppo esagera-re, così tanti sogni realizzati.Ne sono quasi certo ma quel primo novem-bre del 2017 il Pizzo di Scotes, silenzioso esuperbo, sembrava aspettare soltanto noiprima di vestirsi con l’elegante mantellodell’inverno.Insomma, nell’istante in cui abbiamo apertola porta del Bivacco Corti ho provato la stes-sa sensazione di un bambino alla vista del-l’ambito regalo la mattina del giorno diNatale emozionandomi e librando una lacri-

ma che silenziosamente s’è fatta strada sullostanco e freddo viso. L’ultimo desiderio lun-gamente rincorso era divenuto realtà!Uno degli itinerari più interessanti e menoconosciuti delle Alpi Orobie è sicuramentela Cresta Sud-Est del Pizzo di Scotes: “è la

più bella via del Pizzo di Scotes; interessan-

te, con qualche passaggio non facile, neces-

sita sempre di cura e attenzione” … scrisse-ro i fratelli A. e P. Corti nell’ormai lontano26 settembre 1916.Da parte mia quel crinale rappresentava unapiccola ambizione in quanto avevo già asce-so lo Scotes da un po’ tutti i versanti: da uncanalino posto ad est, dalla faccia sud edalla pala nord. Però la Cresta Sud-Est mimancava e quella storica relazione proprionon riuscivo a togliermela dalla testa.“Dalla Bocchetta di Caronno*, la strettissi-

ma e maggior depressione fra la Cima di

Caronno e il Pizzo di Scotes, si traversano

i primi tre modesti denti della cresta,

affilati e di roccia fogliacea, e si

arriva così alla sommità della prima gran-

de torre, che domina il Passaggio di

Caronno, e che facile nella sua parte più

alta è di placche favorevolmente imbricate

verso la base: si scende con cura nella brec-

cia, quindi si rimonta su buone placche la

parte inferiore della seconda e maggiore

torre, per arrivare a un muro di roccia,

quasi verticale, limitato sulla sua sinistra

(est) da una spaccatura che si prolunga in

basso sul versante di Arigna e s’inizia in

alto con una specie di imbuto colmo di

detriti. Su brevi appigli si vince il muro di

roccia, salendo da sinistra a destra in modo

da entrare nell’imbuto, badando ai frantumi

instabili che ne occupano il fondo, quindi di

sale direttamente alla sommità della torre

(Torre di Scotes, nda).Si scende tenendosi un poco sul versante di

Arigna e, superando i piccoli rilievi della

cresta l’un dopo l’altro per roccia scistosa

ma discretamente buona restando bassi lad-

dove il crinale si fa troppo affilato ed espo-

sto, si arriva a un paio di gobbe un po’ più

evidenti che sono presso la vetta”.

In sostanza, la percorrenza è consigliataall’alpinista avvezzo a questa tipologia dipercorsi avventurosi ed esplorativi (comequasi tutti gli itinerari raccontati in questa

pizzo Di sCotesCresta Sud-Est (integrale)

La salita alla Torre di Scotesrichiede molta cura ed attenzioneper via della roccia embricata e fogliacea

Nel dedalo roccioso delle grandi torri di Scotes. L’ultima chiamata del 2017;

nell’aria s’è librato un leggero profumo di magia

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settembre 2018 - Le Alpi orobiche

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pubblicazione). Per l’avvicinamento daValbondione bisogna percorrere il Sentiero301 e giunti al Rifugio Coca si seguono isegnavia, a tratti sbiaditi, che salgono e suc-cessivamente costeggiano sulla destra ilLaghetto di Coca. Il sentiero, poco visibile ericonoscibile, porta nei pressi di un massocon lapide cementata, poi devia decisoall’inizio del ghiaione discendente dal Passodi Coca. Raggiunto il valico si scende allasottostante Vedretta del Lupo, ramponiquasi sempre obbligatori, puntando a vistaal Bivacco Corti che però non bisogna toc-care giacché il canalino inizia pochi minutiprima di raggiungere il comodo punto diappoggio. Contrariamente alla relazione ori-ginale conviene raggiungere la cresta salen-do dal canalino del Passaggio di Caronno enon da quello della Bocchetta di Caronno.Alle spalle del bivacco, sul margine sinistro(nord-ovest) della Vedretta del Lupo, sfocia-no tre canaloni paralleli: quello meridionalescende dalla Bocchetta di Caronno, quellomediano dal Passaggio di Caronno e quellosettentrionale dalla depressione fra le due

contraddistinta da una vista strepitosa sulPizzo di Scotes e sulla Cresta Corti allaPunta di Scais (2900 metri circa, purtroppoquel giorno l’altimetro faceva le bizze e nonsiamo riusciti ad avere una rilevazione pre-cisa). Scendere quindi direttamente e concura (III) seguendo la via più logica fino alsuccessivo intaglio alla base di un’altra tor-retta piuttosto friabile.Dall’intaglio traversare a sinistra, sud, peruna cengia molto stretta ed esposta e rag-giungere il filo della torretta per poi seguir-lo fin nei pressi della vetta.Da quest’ultima il crinale diviene moltoaereo ma ben camminabile e arrampicabilecon passi di II grado a volte molto esposti;dove il crinale diviene troppo affilato, pre-stando attenzione alla roccia spesso foglia-cea, conviene appoggiare sulle cengettelaterali. Si scala infine anche la torretta fina-le giungendo così su “la più elevata e la più

bella vetta del contrafforte di Rodes dalle

forme di piramide tronca”.Il colpo d’occhio sulle Alpi Orobie è spicca-tamente istruttivo!Dopo essersi abbassati per qualche metro indirezione nord-est la discesa conviene com-pierla dalla pala nord fino ad intercettare ilsegnavia della GVO che, seguito verso est,rientra al Bivacco Corti.Per evitare una serie di salti lisci e compli-cati conviene scendere dalla pala obliquan-do da destra a sinistra, faccia a valle.La grande (ri)scoperta continua…

ALPINISMO

“Da parte mia

quel crinale rappresentava

una piccola ambizione.

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grandi torri basali della Cresta Sud-Est delPizzo di Scotes. Conviene salire quindi ilcanalino mediano, meno angusto e un po’meno erto degli altri due, che con percorsofaticoso, molto dipende dalle condizioni delsuo fondo, e caratterizzato da sfasciumi erocce instabili, culmina al Passaggio diCaronno (qualche passo di II, ramponiobbligatori -anche in questo caso- ad iniziostagione).In qualche tratto ci si può tenere, non age-volmente, alle rocce della sua destra; all’im-bocco una grande “M” dipinta moltissimianni fa su di un masso vi farà comprendereche siete sulla retta via. Dal Passaggio diCaronno bisogna rimontare la prima torrecercando il percorso più logico appoggiandoall’inizio sul versante sud (Caronno) conpassi di II. Dalla cima scendere verso l’inta-glio attraverso una paretina povera di appi-gli, III, alla base della grande torre della cre-sta altresì denominata Torre di Scotes.Stando alla sinistra di un evidente caminoattaccare la torre per rocce rotte, embricatema abbastanza gradinante formate da rocciaprettamente fogliacea, pertanto delicata,fino ad un terrazzino per poi appoggiare leg-germente sulla sinistra e salire un murettopovero di appigli ma di roccia compatta finoad immettersi nell’imbuto colmo di detritimenzionato dai fratelli Corti nella descrizio-ne originale (III… forse qualcosa di più,sosta su friend). Per sfasciumi infine si toccala panoramica vetta della Torre di Scotes

Novembre 2017; il Pizzo di Scotes s’è lasciato abbracciare dalla cresta più bella!

Da un mio vecchio scattol’elegante profilo della

Cresta Sud- Est del Pizzodi Scotes impreziosito

dall’omonima torre

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ALPINISMO

di Matteo Bertolotti

La “Parete dei Sospiri” è una fas-cia rocciosa, caratterizzata da unpronunciato tetto triangolare, sit-uata sotto all’abitato di Foppiano

nel comune di Vallarsa (TN). La via “Ilbacio della Morte” è stata aperta daMatthias Stefani e Matteo Bertolotti il 27luglio e l’1 e 5 agosto 2018 con largo usodi cliff e protezioni veloci; la progressioneè principalmente in arrampicata artificialemoderna.Il breve sviluppo della via nondeve trarre in inganno: la difficoltà nelposizionamento di alcune protezioni fa siche occorrano diverse ore per la sua ripe-tizione. Tutte le soste sono attrezzate con 2o più fix da 10 mm; lungo i tiri si trovanofix da 8 e 10 mm. Prestare molta attenzioneal secondo tiro dove si è obbligati ad unalunga sequenza su cliff; un’eventuale cadu-ta potrebbe avere conseguenze importanti.Il nome della via deriva da un avvenimen-to accaduto ai primi salitori durante l’aper-tura.materiale da portare: Normale dotazionealpinistica. Utilizzare mezze corde da 60 mper un’eventuale calata da S3. Per ognicomponente della cordata prevedere 2staffe e fifì.Fondamentale portare: 20 rinvii; 1 cordinoin kevlar aperto; 7 cliff (principalmente perBat Hole: Reglette Petzl, Taloon BD, CmvStubai, ecc...); 1 friend misura 2 (CamalotBD); 1 friend misura 1 (Camalot BD); 1friend misura 0.75 (Camalot BD); 1 friendmisura 0.5 (Camalot BD); 2 friend misura0.4 (Camalot BD); 2 friend misura 0.3(Camalot BD); 1 friend misura 2(Microfriend BD); Potrebbero tornare utili:alcuni nut medi, friend/cliff ausiliari,qualche chiodo universale.Avvicinamento: Da Rovereto (TN)imboccare la strada provinciale 89 che salelungo la sinistra orografica della Vallarsaseguendo le indicazioni per Matassone.Dopo aver superato l’abitato di Albaredo epoco prima di raggiungere la piccolafrazione di Foppiano, sulla destra si trovauno spiazzo; subito dopo, sulla sinistra, sistacca una stradina asfaltata (poco visibile)contornata da un guardrail arrugginito cheperde repentinamente quota e che conduce,dopo un centinaio di metri, a un impiantodi depurazione completamente recintato.Sulla destra, nel prato, è possibile lasciare

VAllArsAparete dei sospirivia “il bacio della morte”

Stefani in apertura sulla prima parte della terza lunghezza

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l’auto. Imboccare la strada a sinistra chescende (qui l’asfalto lascia il posto alcemento) e che dopo aver superato alcunecoltivazioni (e un pollaio) diviene sterrata.Continuare ignorando le varie diramazionie raggiungere un’ampia radura (prato bencurato). Attraversarlo e portarsi all’estrem-ità destra dov’è presente un masso con unbollo giallo. Pochi metri più a destra unatraccia tra gli alberi permette di perderevelocemente quota e raggiungere alcunefacili rocce. Dopo pochi minuti la parete èben visibile; continuare ad abbassarsi esuperare un breve tratto attrezzato con unacorda fissa. Al suo termine, traversareverso destra (viso a valle) lungo una facilecengia e raggiungere una caratteristicagrotta. Abbassarsi ancora per qualchemetro lungo il canale terroso e traversareverso destra (viso a valle) sino alla cengiabasale. L’attacco è posto sotto la verticaledel grande tetto (visibile il primo fix apochi metri di altezza).Descrizione dei tiri: L1: salire le facilirocce e continuare lungo la placca compat-ta sino a raggiungere la sosta (3 fix), postasulla sinistra. 15 m, III, A3, 3 fix. L2:lunghezza chiave della via. Salire la placcanerastra mediante una lunga sequenza sucliff; superare uno strapiombino e contin-uare per placca, ora più appoggiata, sinoalla sosta (4 fix), posta leggermente sulladestra. 22 m, A4, A3, 5 fix. L3: altralunghezza impegnativa. Alzarsi sin sotto altetto e, sfruttando la fessura, iniziare a tra-versare verso destra sino al suo termine.Più facilmente si raggiunge la sosta (4fix+catena+anello+libro di via). 28 m, A3,A2, A1, 10 fix. L4: salire in obliquo versodestra lungo la placca e superare un trattoverticale. Portarsi poi a sinistra in direzionedella sosta (3 fix). 18 m, A3, A1, A3, 4 fix,clessidra da attrezzare. L5: dalla sostasalire verso destra e superare uno strapiom-bino. Continuare per rocce più semplicisino a uscire su dei terrazzamenti. Quiattrezzare la sosta (albero). 17 m, A1, I.Discesa: Dal termine della via alzarsirimontando il muretto a secco e piegareverso destra raggiungendo così l’ampiaradura. Da qui tornare alla macchina per-correndo a ritroso il sentiero d’avvicina-mento.

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Con fatica, facendo perno sulfondo schiena, ruoto le gambeverso il bordo del letto, punto igomiti sul materasso e stringo i

denti. Con i muscoli ancora indolenziti,mentre le ginocchia scricchiolano, mimetto in piedi, persino le radici dei capelliormai caduti, fanno male … ma chi me l’hafatto fare. Meglio sarebbe rimanere sdraia-to e continuare a dormire, rinco mi trascinoin cucina e faccio colazione o almeno cosìpenso. Esco da casa e sotto il sole, nelcaldo della bassa mentre a piedi vado allavoro, sogno la fresca brezza di ieri, làsopra in cresta, scivolare sulla pelle … machi me lo fa fare.Andiamo in Presolana, vedrai è un beltrekking! Bene non ci sono mai stato e poi,ho già fatto alcune ferrate, nessun proble-ma.Fino al passo del Visolo 0k, poi … la fac-cenda è cambiata, su e giù per le croci, mecompreso, la gamba con la ferramenta che,sulla paretina, si incastra un paio di volte,fino all’ultima … dove la fatica e l’affannosono stati acquietati dal silenzio e ho respi-rato con gli occhi. Più tardi, scendendo dalla Grotta deiPagani alla baita Cassinelli, mi avetemostrato le pareti sulle quali salite con gliallievi e sotto quelle pareti ho caricato lozaino con alcune riflessioni da portare acasa “le creste della Presolana sono solo unbel trekking” e “la ferrata non è arrampi-care” e se a queste, aggiungo gli incorag-giamenti di Clara, mia moglie, che al mioritorno, dopo di quella che pensavo fosseun’impresa “Se sei tornato, ce l’hai fatta epoi vai sempre a correre” ho fatto filotto.Acqua finita, gola secca e labbra incollateeccoci alla Baita Cassinelli per condividereuna weizen ed un pane a salame conVincenzo e Roberto; che bel campà.Tornando a casa mi ronzano ancora nellatesta i consigli ricevuti “non abbiamo fret-ta”, “tranquillo, è un sentiero per pension-

ati”, “stai attaccato alla roccia, lei ti vuolebene, è tua amica”.La frettolosa ricerca della sola soddis-fazione nell’arrivare, rischiava di farmidimenticare che il piacere e la felicità, incompagnia della fatica, è nel vivere ogniattimo della salita, così come lo è per mecorrere e nuotare o nello scrivere un pen-siero a un amico, nel fare l’amore … unassaggio di eternità.Grazie miei Capitani, come già per le pas-sate proposte, oggi mi resta il ricordo dellatanto splendida, quanto faticosa, giornatapassata insieme sulle creste della Pre -solana.Per fortuna che anche questa volta hoseguito i consigli dei medici che mi hannoseguito dopo l’incidente, non “arrampi-care”. Comunque, Vincenzo e Roberto, laprossima volta che vi vengono queste idee,ricordatevi che ho ancora una famiglia damantenere e come Vincenzo scriveva“Sono troppo vecchio per queste cose”.

Grazie per la pazienza, senza di voi non ce l’avrei fatta,

Marco

Una bella giornata in presolana, in altre parole

“Ciamim piò”

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ALPINISMO GIOVANILE

di Massimo Adovasio

Maglietta bianca conl’Aquilotto CAI stampato su diessa, pantaloncini corti, scarpeda ginnastica e tanta voglia di

correre, di cercare il tesoro nascosto per poiconquistare il castello di Bergamo (San Vigilio).È domenica 24 giugno 2018, ore 8.30. Una trenti-na di Aquilotti di Bergamo sono seduti sul pratoverde della Fara, di fronte alla ex chiesa di SanAgostino in Città Alta, con lo sguardo rivolto agliAccompagnatori di Alpinismo Giovanile che gli stan-no comunicando qualcosa. Ma che cosa? Le coordinateper poter scoprire i tesori di Città Alta e poi poter con-quistare il Castello di Bergamo. Gli Aquilotti, grazieall’uscita del Cornello dei Tasso, qualche nozione di ori-entamento l’hanno appresa: ma l’avventura si fa ancora piùentusiasmante, poiché per trovare gli indizi, bisogna ancherisolvere indovinelli e decifrare mappe. Cinque gruppi diAquilotti con percorsi diversi, sono pronti alla partenza.Ritrovo finale alle 11.30 in piazza Vecchia, il cuore diBergamo Alta.Secondo voi quale poteva essere la modalità di partenza degliAquilotti dalla Fara per l’avventura in Città Alta? Ovviamente lacorsa. E non poteva accadere nient’altro di diverso, altrimenti loro,gli Aquilotti del CAI di Bergamo, non avrebbero potuto vivere den-tro di loro la fantastica conquista del castello di Bergamo!Ma cosa centra questa attività di Città Alta, con l’AlpinismoGiovanile? La Commissione Alpinismo Giovanile del CAI di Bergamoche studia e programma le varie attività, ha inserito da due anni, a metàCorso AG, un importante momento di gioco e di svago per gli Aquilotti.Lo scopo è quello di favorire tramite il gioco ed un contatto ravvicinatotra i coetanei, una maggiore conoscenza, comunicazione e senso di grup-po tra Aquilotti ed Accompagnatori di Alpinismo Giovanile. Si è scelto ilnome di “Palagames”, poiché le prime due edizioni di questa iniziativa sisono svolte all’interno della palestra del Palamonti. Con la terza edizione,quella odierna in Città Alta, si è deciso di uscire dal Palamonti mantenendo ilnome “Palagames III”. E gli Aquilotti? Trovati gli indizi in Città Alta, si sono lanciati alla conquista delCastello di Bergamo… Conquista effettuata nei tempi previsti con molto entusi-asmo e soddisfazione…

Gli Aquilotti di Bergamo conquistano Città Alta ed il suo Castello

servizio fotografico a cura di massimo Adovasio

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di Massimo Adovasio

Enzo carrara ANAG, è il nuovoDirettore della scuola berga -masca di Alpinismo Giovanile“Alpi Orobiche” del CAI di

Bergamo, che ha la sede al Palamonti.Profondo conoscitore della tematicadell’Alpinismo Giovanile, Enzo offre ilproprio contributo nell’AG del CAI diGazzaniga e collabora con la Commissionee con la Scuola Regionale Lombarda diAlpinismo Giovanile del CAI.Nell’augurargli un buon lavoro, gli abbi-amo posto alcune domande.

● La scuola bergamasca di AlpinismoGiovanile è un importante riferimentodel cAi di bergamo per chi vuole farconoscere la montagna ai più giovani.cosa è questa scuola e come opera?La Scuola AG Alpi Orobie, a differenza dialtre Scuole del CAI che si occupano diistruire allievi che desiderano imparare irudimenti della specialità di competenzaquali alpinismo, scialpinismo, ecc., non sirivolge ai ragazzi, ma ha come specificocompito il formare ed aggiornare gliAccompagnatori, e nello specifico dellaScuola Bergamasca, gli AccompagnatoriSezionali di AG (ASAG), qualifica prope-deutica all’accesso ai successivi titoli diAccompagnatore Regionale (primo livello)

e Nazionale (secondo livello).

La formazione e l’organizzazione di attiv-ità per i ragazzi è invece demandata alleCommissioni di Alpinismo Giovanile pre-senti nelle Sezioni e Sottosezioni presentiin nella bergamasca.La Scuola AG Alpi Orobie opera tramite ititolati e qualificati dell’AlpinismoGiovanile che sono chiamati, a secondadelle proprie abilità o competenze lavora-tive e professionali, a dare il loro apportonell’organizzazione di corsi e aggiorna-menti su argomenti legati al ProgettoEducativo CAI, tramite il rispetto di rego-lamenti stabiliti dalla CommissioneCentrale di AG. All’occorrenza, in questeattività, vengono coinvolti professionistianche esterni al CAI. La Scuola AlpiOrobie è nata per rispondere alle esigenzeformative del Coordinamento Bergamascodi Alpinismo Giovanile, organismo che sioccupa di tenere collegate le varie realtà diAG, supportando quelle già operative e sti-

enzo CArrArAnuovo direttore della scuola AG “Alpi orobie”

Prove di tecnica alpinistica

Arrampicare

Enzo Carrara (a sinistra) spiega tecnica alpinistica

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molando la nascita di Commissioni di AGnelle situazioni dove l’AG non esiste.

● tu enzo sei stato uno dei fondatoridella scuola bergamasca AG AlpiOrobie. Gli obiettivi che ti sei posto perla crescita della scuola si stanno con-cretizzando?La Scuola ha già all’attivo tre corsi ASAG(Accompagnatore Sezionale di Alpinismo

Giovanile) oltre che numerosi aggiorna-menti sui più disparati argomentiriguardanti l’AG, con numeri di corsistisempre cresciuti nel tempo: quindi ritengosia riuscita fino ad ora a concretizzare l’ob-biettivo principale di crescere nuoviAccompagnatori.

● La scuola bergamasca AG Alpi Oro -bie è abilitata per formare Accompa -gnatori sezionali di Alpinismo Giova -nile. come è andata con il 3° corso for-mazione AsAG appena concluso?Il terzo corso di formazione per ASAG, hacoinvolto 42 aspiranti Accompagnatori,distribuiti per varie fasce di età. La novitàrispetto ai precedenti corsi, è stato ilnumero rilevante di giovani che hannodeciso, dopo aver assaporato l’AG comeutenti, di mettersi al servizio nei confrontidei loro amici più giovani. Questo dimostrache l’AG è una realtà in divenire, attenta atrasmette anche ai più giovani i valori divolontariato, interesse verso gli altri e pas-sione per la montagna alla base del proget-to del CAI.I corsi ASAG sono sempre estremamenteemozionanti, sia per gli allievi che per idocenti, perché solo attraverso l’empatia, ifare insieme e il mettersi a fianco non comeesperti, ma come compagni che hanno giàpercorso alcune tappe della formazione, si

riesce a ottenere il meglio dal gruppo, por-tandolo a una coesione che poi diventafucina di nuove iniziative da proporre airagazzi.

● in veste di nuovo Direttore, come pensidi condurre la scuola ed hai particolariidee o progetti per il suo futuro?Per il futuro penso sia importante estendereil numero di persone impegnate nellaScuola, sfruttando, oltre alle passioni per-sonali, anche le proprie competenze pro-fessionali, oltre che naturalmentecementare la collaborazione delle personegià coinvolte, studiando iniziative cheaiutino la coesione del gruppo. In modoparticolare mi piacerebbe creare e poi

esportare anche a livello regionale, ungruppo che si occupi permanentementedella formazione organizzandone la pro-grammazione delle attività per un piùampio lasso di tempo, in modo da curare inprofondità ogni aspetto dell’AG, sia essotecnico, culturale e soprattutto educativo.Per raggiungere questo obiettivo penso siaimportante coinvolgere in questo gruppopersone che si occupino di didattica, for-mazione e educazione di ragazzi a livelloprofessionale e che colgano la montagnacome ambito educativo facilitante e privi-legiato.

ALPINISMO GIOVANILE

La foto

degli Aquilotti di bergamo

simpatica

“... mi assomiglia?...”Uscita del 17 giugno 2018 - Monte Sasna (2229m)

(foto di Antonio Rota)

a cura di Massimo Adovasio

Fotografie di Massimo Adovasio edEmilio Amodeo

Giocando

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Foto di Antonio rota

Il volo primaveriledegli Aquilotti di

Bergamo

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21Due settimAne Di VOLOntAriA-tO AL riFuGiO ishincA – reGiOne DeLL’AncAsh - perÙ

Un’esperienza di Nadia Rossi (testi)

e Emiliano Perani (foto)

iL ViAGGiO

Un insolito viaggio di coppiaattraverso l’America Latina. 198giorni, 5 stati, più di 15.000 km,tutto con mezzi pubblici, zaino

in spalla. Un viaggio di scoperta e di condi-visione, fatto non solo di turismo ma anchedi volontariato e incontro con associazioni erealtà locali. Da Buenos Aires alla Terra delFuoco, e poi verso nord, risalendo il Cile, laBolivia, il Perù e l’Ecuador. Dalle capitali aipaesini più sperduti, dalle vette della cordi-gliera andina alle dune del deserto; dallaforesta amazzonica all’Oceano Pacifico.Questo il viaggio che ci ha portato, nel mesedi giugno 2018, a raggiungere la regionedell’Ancash, in Perù, e a fare un’esperienzadi volontariato in uno dei rifugi gestitidall’Operazione Mato Grosso, il rifugioIshinca (4350 m), nel cuore del parco nazio-nale Huascaran, la vetta più alta del Perù.

i rifugi dell’Operazione mato Grossosulla cordillera blancaTra 20 e 10 anni fa, nel cuore dellaCordillera Blanca, migliaia di volontari delMato Grosso e di giovani oratoriani hannocostruito, trasportando materiali a spalla efermandosi settimane a lavorare, quattrorifugi d’alta quota sul modello dei rifugieuropei: il Rifugio Huascaran, il RifugioPerù, l’Ishinca e il Contrahierba. I primi tresono ormai in piena attività e ogni anno, damaggio a settembre, sono visitati da miglia-ia di turisti da tutto il mondo e utilizzaticome base per escursioni e scalate di mediae alta difficoltà. Tutti sono gestiti interamen-te da volontari e questo permette che tutto ilricavato dei rifugi vada a sostenere le attivi-tà di carità promosse dall’associazione. Ivolontari sono in parte persone, italiane operuviane, che vivono permanentemente inzona e che si dedicano ad un rifugio per l’in-tera stagione e in parte viaggiatori come noiche vengono a conoscenza di questo proget-to e decidono di fermarsi qualche settimanaa dare una mano. Inoltre ogni settimana arri-vano rinforzi anche dalle parrocchie dellazona, che a turno mandano due o tre ragaz-zi ad aiutare e allo stesso tempo a conosce-

re un po’ questa realtà di montagna, così chequesti posti non vengano vissuti solo daituristi ma anche, piano piano, dalla gentelocale. Gente che è coinvolta poi lavorativa-mente anche nel trasporto di materiali eviveri con muli e cavalli, ma anche in quali-tà di guide, grazie alla “scuola di guide DonBosco sulle Ande”, che ha formato tanti gio-vani locali come guide alpine.

La nostra esperienzaPrima della partenza, dall’Italia, ci mettia-mo in contatto con padre Alessio, parrocodella parrocchia di Shilla nonché gestore deiRefugios Andinos, per informarci sulla pos-sibilità di trascorrere un periodo di lavorovolontario in uno dei rifugi. Lui ci rispondesubito che è molto contento della nostradisponibilità e che c’è sempre bisogno diuna mano! Concordiamo all’incirca il perio-do di arrivo e di permanenza e, mesi dopo,finalmente ci incontriamo.Scopriamo così di essere stati assegnati alRifugio Ishinca, 4350 m. Questo rifugio,situato nella parte finale della QuebradaIshinca, è la base ideale per molte escursio-ni di acclimatamento e anche per tentarealcuni impegnativi 6000. Partendo dal rifu-

MONTAGNE DAL MONDO

La magia dei Refugios Andinos:

alla scoperta dei rifugi del Mato Grosso sulle Ande

Cresta finale dell'Ishinca (foto di Emiliano Perani)

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MONTAGNE DAL MONDO

gio si possono infatti raggiungere in giorna-ta la vetta Ishinca (5530 m), con possibilitàdi pernottare al Bivacco “Longoni”, sempredi proprietà dell’OMG e a quota 5000 m, lavetta dell’Urus (5495 m), o la più tranquillalaguna di Milluacocha. Decisamente piùtecniche e impegnative sono invece leascensioni al Ranrapalca (6162 m) e alTocclaraju (6032 m). Il rifugio ha una capa-cità di 60 posti letto e offre un servizio dimezza pensione più cucina e caffetteriasempre attiva. Offre anche un servizio didoccia calda e da qualche anno è autonomoin corrente grazie alla centralina idroelettri-ca costruita, sempre dai volontari, pochecentinaia di metri più in alto. Fuori dal rifu-gio si può anche campeggiare liberamentecon la propria tenda, avendo sempre la pos-sibilità di entrare a fare una partita a carte oa bere qualcosa di caldo!Noi saliamo al Rifugio Ishinca venerdì 8giugno. La salita è stata lunga e piuttostofaticosa, non per via del sentiero ma a causadello zaino super pesante! Arriviamo final-mente e ad accoglierci c’è Angel, giovanestudente di gastronomia e responsabile delrifugio per questa stagione, Luigina, altravolontaria vicentina a cui noi daremo ilcambio, e altri tre aiutanti. Il clima è allegroe il rifugio non troppo affollato, e così riu-sciamo facilmente ad ambientarci e a pren-dere le misure. Nei giorni successivi lagente aumenta e il lavoro si fa intenso, spes-so incessante: piatti da lavare da mattina asera, stanza da pulire, pasti da cucinare,clienti da accogliere e con cui chiacchierare,cercando di spiegare loro cosa sono i “refu-gios andinos” e qual è la filosofia di questirifugi. I momenti di stress creano qualchepiccola incomprensione o pasticcio, come intutte le cucine che si rispettino, ma poi tuttosi risolve in una risata, una mangiata o ungioco di società. In mezzo all’intensa routi-ne quotidiana riusciamo però anche a pren-derci alcune mezze giornate per fare qual-che escursione. Raggiungiamo così la vettadell’Ishinca (5530 m) poi quella dell’Urus(5420m) e infine la laguna Milluacocha.

L’incidenteDurante le nostre due settimane e mezzo dipermanenza non sono mancati poi alcuniimprevisti, il più serio dei quali ha coinvol-to un ragazzo belga nel tentativo di ascesa alRanrapalca. Poco sopra il bivacco Longoni,in un tratto di sentiero un po’ accidentato, il

giovane si è aggrappato ad una roccia che siè staccata facendolo cadere e cadendoglisulla gamba, rompendogliela. Per fortunanulla di troppo grave, ma le operazioni disoccorso sono state alquanto lente e rocam-bolesche, e questo ci ha fatto riflettere sullecondizioni di isolamento piuttosto impor-tanti in cui il rifugio si trova e, purtroppo,sulle molte problematiche e controversielegate al sistema di soccorso alpino peruvia-no. Le cose sono andate all’incirca così:l’incidente è avvenuto verso le 13. Verso le15 l’amico dell’accidentato arriva al rifugioad avvisare e chiedere aiuto. Mezz’ora dopol’amico e altri quattro turisti alti e spallatiche fortunatamente si trovavano nel rifugiopartono con barella sulle spalle con l’inten-zione di riportare il ferito al rifugio. Nel frat-tempo chiamiamo la polizia della città diHuaraz (a circa 30 km di distanza dall’im-

bocco del sentiero di salita), che si attiva persalire al rifugio, a piedi più un cavallo. Ilsoccorso in elicottero non esiste... o meglio,non è formalizzato e a quanto abbiamo capi-to interviene solo in base alla quantità deisoldi che gli si offre e alla volontà del pilo-ta. Al rifugio restiamo in attesa, ma allenove di sera ancora nessuna traccia, né delgruppo di turisti soccorritori né della poli-zia. Entrambi i gruppi arrivano al rifugioverso le 23... ma senza il ferito! Il gruppo diimprovvisati soccorritori non era riuscito atrasportarlo fino in basso perché il sentieroera brutto, il ferito pesante e in più erasopraggiunto il buio. Così avevano deciso diforzare la porta del bivacco Longoni e dilasciarlo a dormire lì. Dopo un veloce pastocaldo, la polizia parte alla volta del bivacco,dove arriverà intorno all’una di notte e dacui ripartirà, ferito in spalla, allo spuntare

Salita al rifugio Ishinca di un portatore con muli (foto di Emiliano Perani)

Salita alla vetta dell'Ishinca (foto di Emiliano Perani)

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del sole, per arrivare al rifugio verso le 8.Dopo una buona colazione il ferito vienecaricato a cavallo (che, per fortuna, riesce amontare) e portato a valle, dove sarà arriva-to in clinica presumibilmente circa 24 oredopo l’incidente. Da lì non abbiamo saputopiù niente, ma certo è che, nella sfortuna, èstata una fortuna che:a) il ferito non fosse in pericolo di vitab) la comunicazione radio del rifugio abbiafunzionato (qualche giorno dopo si è rotta esiamo rimasti per un certo tempo senza possi-bilità di comunicare col mondo se non assol-dando qualche sherpa come messaggero)c) tra il luogo dell’incidente e il rifugio cifosse il bivacco, altrimenti il ferito avrebbeprobabilmente dovuto trascorrere parte dellanotte all’apertod) che al momento dell’arrivo dell’amico alrifugio ci fossero questi quattro turisti in

buona forma e di bella stazza che subito sisono resi disponibili... altrimenti noi, bassi emingherlini, come avremmo fatto?e) che il rifugio avesse a disposizione unabarella.Questo episodio ci ha fatto riflettere suquanto purtroppo spesso in questa zona sigestisca il turismo montano investendo piùsulle entrate economiche che gli escursioni-sti portano - all’agenzia privata piuttostoche al parco nazionale, pagandone la quotad’ingresso - che non sul servizio di soccor-so. Anche in questo senso i rifugi del MatoGrosso offrono un servizio di comunicazio-ne radio e di prima assistenza che altrimen-ti non ci sarebbe.Che dire, imprevisti a parte, l’esperienza dilavoro al rifugio è stata davvero magica, e ciha permesso di vivere la montagna non soloda escursionisti ma anche “dall’altra parte

del banco”, nonché di sostenere un progettolodevole che può stare in piedi solo grazieall’aiuto di tantissime persone che ognianno dedicano del tempo alla montagna inmodo un po’ diverso dal solito… e forsemeno egoistico. Come dice il motto dei rifu-gi, stampato anche sulle tovagliette dapasto: “Subir a lo alto para ayudar a los que

abajo están” (salire in alto per aiutare chi stain basso). Prima di lasciare il mondo deirifugi, non ci lasciamo scappare anche unatoccata e fuga al Rifugio Huascaran (4675m), seguendo padre Alessio nella sua mis-sione di aggiustare il collegamento radio.Anche il Huascaran è un rifugio architetto-nicamente sorprendente ed efficace. Lavorameno degli altri un po’ perché è sfruttabileesclusivamente da chi vuole lanciarsi nel-l’ascensione della omonima vetta, la più altadel Perù (6768 m), che certo non è cosa datutti, e un po’ perché spesso scarseggiano ivolontari che garantiscano l’apertura delrifugio. Chissà che alcuni di voi lettori nonci facciano un pensierino per l’estate prossi-ma… noi ce lo stiamo facendo! Per infor-mazioni e contatti, questo è il sito da consul-tare: http://refugiosandinos.com/es/home/per chi volesse saperne di più, questa e lemolte altre avventure del nostro viaggiosono riportate nel nostro blog! www.emilianoperani.com/travel/sud-america/

MONTAGNE DAL MONDO

Vista del Huascaran dalla partenza delsentiero per salire al rifugio Ishinca

(foto di Emiliano Perani)

Il rifugio Huascaran(foto di Emiliano Perani)

Nadia (terza da destra) e Emiliano (primo dasinistra) con il gruppo di rifugisti e volontari

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TAM

di Danilo Donadoni

Nell’ambito dell’aggiornamento annuale degli opera-tori CAI TAM, si è svolto il secondo dei 5 moduli,organizzato questa volta all’Ostello Curò. Per duegiorni i nostri operatori e i nuovi aspiranti al titolo si

sono confrontati e hanno assistito con molto interesse alle rela-zioni del Dr. Marco Caccianiga docente di Botanica all’univer-sità degli studi di Milano, dipartimento di Bioscienze e del Dr.Mauro Gobbi, ricercatore del MUSE: Museo delle Scienze diTrento, Sezione di Zoologia degli invertebrati e Idrobiologia.In particolare il Dr. Marco Caccianiga ha parlato delle pianteendemiche delle Prealpi Orobiche e dell’andamento altitudina-le di altre specie botaniche, compreso il loro spostamento inbase alle variazioni climatiche attuali.Lo studio sulle Orobie è tutt’ora in corso e anche gli studenti deldipartimento di botanica stanno monitorando costantemente latemperatura dei suoli con strumenti molto sofisticati e lasciati inloco per l’immagazzinamento e l’elaborazione dei dati, siadegli ambienti periglaciali che glaciali.In particolare lo studio è focalizzato sul ritiro dei ghiacciai oro-bici come ad esempio il ghiacciaio del Trobio. Infatti il secon-do giorno di aggiornamento si è svolta l’escursione al fronte del

ghiacciaio appena menzionato, ormai ridot-to ad un glacionevato.

Il Dr. Mauro Gobbi ci ha mostrato in esclu-siva un nuovo insetto endemico dellePrealpi Orobiche, un vero gioiello in ento-mologia e ancora in via di studio che ha ilsuo habitat al fronte del ghiacciaio e losegue nel suo ritiro. L’insetto si chiamaOreonebria soror tresignore, scoperta per laprima volta nel 2014 sul Pizzo dei TreSignori.Ricordiamo che questo modulo di aggiorna-mento si è potuto svolgere anche grazie allacollaborazione con il Parco delle OrobieBergamasche il quale sta finanziando laricerca dei due professori. Il prossimomodulo sarà nel Parco dell’Adamello atema “Ammodernamento dei rifugi alpini:gestione delle acque e fitodepurazione”, l’1e il 2 settembre.

lA TAM reGionAle con gli studiosi del Muse di Trentoe dell’Università degli Studi di Milano

Ghiacciaio del Trobio, gruppo dei partecipanti (foto Danilo Donadoni)

1. Ranunculus Glacialis2. Androsace Alpina

3. Oreonebria Soror Tresignore

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il “serio” e il “calmo”.Grigna: un mondo a parte

di Nevio Oberti

• the cALL (©by b. Anderson)<<Ciao Calmo! Cosa dici, hai voglia diandare al Brioschi? Sul Grignone?>> Fatto sta che quando ti arriva dal Serio - iltuo socio di sentieri - una offerta simile, cosìimmediata e quasi perentoria, quasi non las-ciasse adito a risposte diverse da uno squil-lante <<Si!>>, cosa vuoi rispondere? <<Si.Certo!>>. E il tuo cervello inizia a correre eti vedi zaino in spalla camminare su quelmonte spettacolare che sembra messo lì pro-prio per stupire, come quando il gioielliereespone il pezzo unico, lo stravolgente monileche fa appiccicare le facce al vetro della vet-rina. Come i bambini che spiaccicano il nasodavanti a… alle play-station. L’aria fresca, ilprofumo dei faggi che lasciano il posto agliabeti che si trasformano in cembri accompa-gnandosi a larici; gli orizzonti variabili inquell’intrico di sentieri, valli, vallette, pendii,creste con sotto il lago che accarezza ifianchi larghi del monte; i fiati che esconodalla terra attraverso le caverne; i buchi e ledoline che sembra di essere nel Carso. Hopensato a Leonardo che ha posto questimonti alle spalle della sua Vergine delleRocce e mi pareva di sentire la voce diLucia, navigante sulle acque a salutarli. Già vedevo rincorrersi in cielo le nubi senzanessun ostacolo tra noi e loro se non l’ariapungente del mattino. Il rumore dei passi sulsentiero. Il fiato che si fa più pesante adaccompagnare i muscoli che sentono ilgioioso lavorio della fatica di salire. Insomma: un attimo e, trasportato dall’eteretelefonico, già ero là. Su per i ripidi e ruvidifianchi della montagna in vista del Brioschi,anzi, già dentro, seduto al tavolo in compag-nia di una fresca e bionda e schiumosa birrasaldamente e gelosamente stretta nella manoin attesa del meritato e desiderato pranzo.A posteriori mi torna alla mente una storiel-la che avevo letto sul libro di lettura delleelementari (si nota qui tutta l’ampiezza deltempo passato. Già, a quei tempi c’eranodue libri: il Sussidiario e il Libro di Lettura)che si intitolava “Castelli in aria”, dove unaimmagine raffigurava una ragazza che cam-minava con una sporta colma di uova, diret-ta al mercato per venderle. E nel cammino isuoi pensieri correvano già a cosa avrebbepoi acquistato con la vendita delle uova, epoi rivendendo quello ancora di più e poiancora e così via fino a che, persa nei pen-

sieri, finiva per inciampare e cadere, trasfor-mando quelle uova gravide di progetti inuna grande frittata. Vero che la mia figurapoco ha a che spartire con l’esile ed aggrazi-ata donzella dell’immagine che illustrava lastoriella, ma al pari suo già camminavo sulcrinale con la testa fra le nuvole…Ma calma Calmo! Un passo alla volta.Un salto indietro, visto che questo spazioancora vuoto che è il foglio bianco permetteanche il viaggio nel tempo e lo strumentoche con parecchia imperizia sto maldestra-mente usando – il racconto – può attraver-sare le dimensioni e mi fa sentire un po’come H.G. Wells (per inciso: nessuno glielodica, già mi pento di averlo scritto). La telefonata mi ha raggiunto mentre ero inpieno abbandono vacanziero. Dimentico deimonti e delle fatiche dei terreni inclinati, mistavo godendo al pieno un traviante all-inclusive nella tanto orizzontale quantobella terra di Cipro: sveglia quando ti sveg-li, colazione abbondante, pranzo ancor dipiù, spuntini vari al seguito. Il tutto a con-cludersi poi la sera con cene stroncanti;sconfitte per KO tecnico dopo estenuantiround di antipasti, primi, secondi, piattimisti senza alcun ordine cardinale, per l’or-rore di ogni masterchef. Il tutto ovviamente,dall’alba – meglio, dalla sveglia – al tra-

monto, intervallato da happy hour e defati-camento su sdraio. Insomma, quella vocedall’oltre cortina di Bengodi, mi aveva rag-giunto proprio al culmine di una estenuantee improba lotta il cui scontato esito nonpoteva altrimenti essere che il mio soc-combere. E senza nemmeno la scusa dell’in-fingardo tendine. Malandrini furono i troppo perpendicolariraggi di sole, oppure le ammalianti vivande,fatto sta che:<< Ciao Calmo! Cosa dici, hai voglia diandare al Brioschi? Sul Grignone?>> <<Ciao Serio, bella idea. Certo che si, quan-do?>><<Domenica!>>

<<Osti... io adesso sono in vacanza, a Cipro.Torno sabato... non so>> << Possiamo fare un altro giorno sepreferisci>> <<No dai, va bene. Così mi metto subito asmaltire e a recuperare questi quindicigiorni di visioni orizzontali e calde>>. Questi rapidi scambi di conversazione, allo-ra non me ne rendevo pienamente conto,erano i primi mattoncini del Calvario che mistavo preparando, stazione dopo stazione,incastrati con inconsapevole perizia daMaestro del Lego. Ma, non pago di quantogià con ghigno sinistro mi si stava avvici-

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ESCURSIONISMO

nando, provai a metterci anche del mioquando il Serio mi piazzò la sfidanteprospettiva:

<<Cosa dici Calmo, possiamo salire daCainallo e sono più o meno 1200 metri didislivello, facciamo la Piancaformia e arriv-iamo in cima. Però ‘scolta, se ti sembra trop-po possiamo anche fare qualcosa d’altro, dipiù tranquillo>>

<<Ma si, ma si, va benissimo figurati.Quanti sono? 1000, 1200 metri? Si, si.Aggiudicato dai!>><<Va bene. Ci sentiamo sabato quando tornicosì ci mettiamo d’accordo>>.Chiusa la comunicazione per un attimo èrimasta quella eco di silenzio che resta fra iltermine di una conversazione e il ripristinodella presenza al mondo circostante e, inquel nanosecondo di distacco, ecco che hosentito come un soffio dietro alla testa, pro-prio alla base del collo, come se uno schiaf-fone mi avesse mancato per un nonnulla. Ancora qualche giorno di incosciente pace etranquillità da perfetto vacanziero in ciabat-te, costume e scottature e poi……. [Ma, giunto a questo punto, mi permetto uno

stacco con cambio di scena e vado un attimo

a carrellare in campo stretto sul Serio]

• iL seriO (©by Val roseg)Personaggio dalla secca figura, alto - soloun poco meno di me e un bel po’ più gio-vane – espressione attenta e sguardo acuto,un sentore di austero che aleggia sospesoattorno al suo porsi. Quando si muove suimonti, lui che da un paese fra i monti viene,incarna la fisica dei fluidi: movimentocostante e continuo. Al primo impatto tisenti come se avessi commesso un chissàquale delitto, al cospetto dell’intransigentecommissario con atteggiamento sospettosoe indagatore. Tono di voce con timbro pressoché bari-tonale e impostazione di petto in quasi per-fetto stile Vittoriano - presente il maggior-domo di Batman? -, per poi scoprire, seannusa che sei non-ostile, che il suo volto ècapace con repentina metamorfosi dispalancarsi in un sorriso che prende gliocchi, di ridere affabilmente e virare versouna allegria che era lì pronta, solo in attesadel momento propizio. Riesce, se non loconosci bene, a metterti quasi in soggezioneper la sua precisione e attenzione nelle cose,la sua memoria puntuale che a volte ti fasentire inetto. Ammetto che in varie occa-sioni mi fa da agenda, il che non è male, lo

confesso. A volte tende magari a mettersi inseconda fila ma - è più forte di lui - quandoserve, con un rapido scatto, è lì pronto afarsi sentire. Insomma: il radar è sempreacceso e operativo. [Bene, ora carrellata all’indietro e riprendi-

amo dalla sospensione]

• si, ViAGGiAre…. (©by L. battisti)Da poco passata l’alba estiva eccoci: io e ilSerio!Protetti dal parabrezza in viaggio verso lameta non tanto lontana ma – pensavo men-tre sul sedile passeggero mi godevo lo scor-rere della strada – parecchio alta.Negli occhi e soprattutto nelle gambe - e perestensione, simpatia o empatia, nei muscolitutti – ammicca ancora, sornione, lo zavor-rante peso della morfologia cipriota contutte le multiformi appendici gastro-nomiche. Fortuna che alla guida c’è uno Serio! Già lasveglia mattutina con l’apertura degli occhisu un mondo ancora sconvolto dal jet-lag –si lo so, da Cipro non c’è praticamente fuso,da Cipro, ma io si: decisamente – mi ha get-tato improvvisamente in una caotica mis-chia dove la mia assoluta speranza è che

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quanto prima l’arbitro fischi per potermiriprendere e riorientare. Comunque ormai ci siamo e come disse unnoto personaggio televisivo: dada tracta est!È a questo punto, ora che l’arbitro non stafischiando, che di quel <<Si, certo!>>improvvidamente buttato lì comincia pianoa palesarsi il significato: le pericolose insi-die celate dietro quella piccola sillaba, sti-pate e pronte ad esplodere. In assenza dellaagognata sospensione arbitrale, mi rassegnopensando che per il momento sono comoda-mente seduto sul sedile passeggero aguardar fuori dal finestrino e il viaggio dur-erà ancora un poco. Mi accomodo a goder-mi questa calma prima della tempesta con-sapevole che i segni ci sono tutti anche secerco di guardare vicino per non vederecosa prepara l’orizzonte. Il Serio guida conpiglio sicuro e baldanzoso, già pronto perl’ascesa e, si capisce dallo sguardo lanciatoalla fine dell’asfalto, già pregustando la con-quista dei panorami, della cima, soprattutto– mi pare di intuire – del rifugio.Ho un sobbalzo. No, non è una buca: ilSerio, pur essendo di parecchie anagrafiposteriori alla mia, sicuramente conosce ilritornello e sa evitare le buche più dure.L’improvviso scossone è dovuto al fatto chesi è improvvisamente materializzato allamia coscienza - ancora poco brillante, maquesto è un eufemismo - che alla fine dellamalandrina telefonata, così senza batterciglio, ho inconsapevolmente firmatol’assenso al supplizio, in un impeto di inco-sciente sicumera. 1200 metri!“Ma, santo cielo, 1200 metri sono più di un

chilometro dritto dritto su verso il cielo”.

Già mi vedo prostrato in ricerca di grazia alcospetto dell’insuperabile pendio, sommainfinita di piccoli centimetri, tanto minutinella loro individualità, quanto temibili unitia lineari schiere. Faccio lo struzzo: per ora sono in macchinae non sto faticando - se non per tenere gliocchi aperti - e fin qui ce la posso fare. Fortunatamente in mio soccorso ecco unflash che mi infonde coraggio: come verga-to a chiare lettere nello statuto che regola-menta le nostre uscite montane, il tragitto inauto di avvicinamento prevede, inderogabil-mente, la sosta caffè-colazione. Il pensieromi solleva gli angoli della bocca e, a scansodi equivoci o dimenticanze faccio dubitoappello ai doveri della buona fratellanzaescursionistica:

<<Serio, dove ci fermiamo per il caffè?>><<Tra un po’ ci siamo, cosa dici, pensavo difermarci a quel bar sulla destra dopo la gal-leria>>. Ottimo! Pur già sapendolo, non è male incerte condizioni avere una ulteriore confer-ma.

• WutherinG heiGhts (©by e. brontë)Ed eccoci. La strada ora inizia a prendereun’inclinazione che decisamente punta insu. Abbiamo varcato il passaggio. D’orainnanzi, lo so, per scrutare l’orizzontedinanzi ai miei occhi dovrò necessariamentealzare lo sguardo. La strada si fa stretta, siincurva che sembra non sappia bene in chedirezione andare. Mi fido. Il Serio è allaguida e sa il fatto suo e la strada è una stra-da e quindi sicuramente sa dove andare: inqualche luogo, in un chissà dove, di sicuroconduce. Ultimi metri sobbalzanti soprasassi e buche ed ecco che il Serio gira la chi-ave e spegne il motore. Cala un attimo disilenzio, palpabile. “Eccomi. Sono qui. Ieri ero a Cipro oggi

sono sulla Grigna. Sincero sincero: spero di

farcela senza problemi. Mi accorgo che

dopo 15 giorni di “piatto e piatti” non sono

proprio al massimo della forma

smagliante.”

<<Arrivati!>> schiocca il Serio. <<È da quache si parte?>> chiedo guardandomi in giroe realizzando che domanda più idiota non lapotevo fare visto che la strada si è volatiliz-zata e davanti a noi non ci sono che alberi esalite. <<Come si chiama sto posto che non me loricordo?>> <<Cainallo!>><<E a quanto siamo?>><<Più o meno a 1200, 1250>><<Ah bene, e il Brioschi è più o meno a2400, giusto?>><<2409!>><<2409…>>Mi piace la chirurgica precisione del Serio.Mi compensa. Non gli sfugge nulla. È atten-to, preciso, meticoloso, affidabile. Non perniente è Serio! Non lascia adito a dubbi enemmeno scampo alcuno. Purtroppo! Chefare? Ora sono qui, dopo tutto è solo unacamminata, una passeggiata in un ambientestupendo e nuovo. Togliamo gli zaini dallamacchina, infiliamo gli scarponi. Ciguardiamo un attimo attorno e via. Si parte.

Primo pensiero: ma cosa cavolo metto sem-pre nello zaino che pesa una cifra?Secondo pensiero: ma cosa cavolo mettosempre nello zaino che pesa una cifra?Sono monotono, ma già il tirarlo sulle spallenon mi fa presagire nulla di buono: senzadover lanciare gli auspici già prevedo ilfuturo. Sarà una faticaccia. Ma sarà bello, ne sono sicuro!Comunque eccoci che si parte. <<Di qua?>><<Si, di lì>>. La macchina si allontana allenostre spalle, pochi passi ed entriamo dentroun bosco con il sentiero che subito inizia aportarci in alto.Mi rendo conto che ora, veramente, stiamovarcando la soglia. Guardo il Serio, è comeme. Quando chiediamo accesso a questiambienti, quando la montagna ci accoglie,assumiamo subito un atteggiamento di river-ente riconoscenza. Non ce lo diciamo ma soche entrambi siamo nella stessa condizione.Camminiamo lungo un sentiero protetto dalverde abbraccio del bosco, fresco, invitante.Mi lascio prendere la mano dall’entusiasmoper il bello che mi accoglie e parto con unpasso bersagliero. Su su su, un piede dopol’altro mi metto davanti al Serio e facciol’andatura dimentico delle mie giornatecipriote. Ma non c’è reciprocità, loro non sidimenticano di me e poco dopo, sopraffattodal fiato che subito si fa corto – propriocome le gambe delle bugie – mi vedocostretto ad assumere un’andatura più similealla mia condizione. Oltre gli squarci fra glialberi si intravvede un cielo che non è pro-prio il simbolo della limpidezza: un po’ vela-to, grigio. Lontano anche qualche nuvoloneche non pare portatore di buoni propositi. Per ora sono ancora ben concentrato su dime, sulla tensione che le mia sopravvivenzasi protragga almeno sino al rifugio, per ilritorno punto sul recupero della, spero,lunga e rigenerante pausa pasto, comunqueci penserò poi; ora ho altri pensieri piùurgenti che mi impegnano e non mi fannonotare cosa sta sopra le cime degli alberi. Prima sosta: eccoci al 89° Brigata Garibaldi– Poletti, piacevole e delicato luogo doveriprender un po’ fiato. Ci guardiamo intornoe il Serio propone una piccola deviazioneprima di recuperare il sentiero di salita:<<Se andiamo di lì possiamo andare avedere l’Arco di Prada, cosa dici? Vabene?>>E cosa vuoi che dica? <<Certo, si si andi-amo>>

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Eccolo il diavoletto sulla spalla che mi sus-surra sibilante che non posso essere dameno al Serio. Deviazione che sicuramente vale la pena, ciportiamo un po’ più in là rispetto alladirezione che dovremmo seguire e raggiun-giamo l’Arco di Prada. Pausa – ci voleva –per le fotografie di rito. Il paesaggio èindubbiamente meraviglioso: questo Arco,porta aperta su due fuori, ingresso e uscita simischiano, non hanno un loro senso se nonil Passaggio con gli spazi che schiude. Da quando ho scoperto le Grigne me nesono innamorato e ogni volta che mi capitadi andarci mi accorgo che l’impressione èdecisamente quella di entrare in un luogoassolutamente unico, un Mondo a Parte, coni suoi scorci, mai uguali ovunque si volga losguardo: curve che ti aprono paesaggi nuovidietro ogni spigolo; ombre che giocano conle prospettive; colori che fanno i giochi diprestigio. Le Grigne non sono montagne:sono una formula magica, un sortilegio.Sono il binario 93/4. Mi pare, ad ogni vol-gere di sguardo, di cogliere nei tagli di luce,negli impasti di colore, nelle prospettive, unpezzo d’arte, l’anima di un quadro: Turner,Piero della Francesca, Van Gogh, Giotto,Mirò, Ligabue…… È uno spettacolo e, cavoli, siamo sul palco.

Forse è proprio per questo innamoramentoche senza pensarci bene mi sono buttato intale impresa: dopo tutto non si dice chel’amore è cieco? Ma la fatica si fa sentirebenissimo e in ogni caso io a lei non sonoaffatto sordo. Torniamo sui nostri passi lungo il sentieroche ora in leggera discesa mi si è fattoamico, e ad un tratto il Serio si blocca ecomincia a guardarsi: sembra proprio laguida indiane che nei vecchi western con-trolla il terreno per trovare la giusta traccia.Sento nascere in me un embrione di preoc-cupazione. Mi fermo muto dietro di lui ecerco di capire cosa gli passa per la testa: <<Aspetta>> mi dice <<avevo visto che quia un certo punto c’era la possibilità di saliretagliando e riprendere il sentiero più in alto,ma non vedo i segni>>Ecco!Avanti e indietro lungo il tratto di sentieroalla ricerca della smarrita via. Approfittandodel momento di sospensione, subito inizio lamia ricerca verso il basso, speranzoso di nonricavarne alcun esito e quindi tornare ariprendere il canonico cammino evitando

scorciatoie, ben sapendo che queste, proprioper loro essenza, nella migliore delle ipotesisono ripide, sconnesse e cattivissime. <<Qui non trovo nulla, non vedo i segni enemmeno tracce>> e già mi sento un pocosollevato da questa scoperta frutto di unamolto sommaria ricerca. Fugace si rivela questo momento, infrantocome cristallo dal mitico elefante nell’atti-mo in cui, dalla parte alta del sentiero, migiunge il limpido e inequivocabile grido delSerio <<Trovato. È qua, vieni.>>. Giro itacchi rassegnato, lo raggiungo e cominci-amo ad inerpicarci su per l’infima scorcia-toia. Dopo poco vediamo il sentiero, làsopra, che se ne va tranquillo e quasipianeggiante rispetto a questa ingrata salita.Mi consola la voce del Serio quando lasento giungere a me, spezzettata dal fiatone<<La miseria… se è in piedi sta… scorcia-toia… taglia le gambe>>Mi alzo di una spanna e impegno tutta lavolontà affinché la mia voce se ne esca nondico senza troppe pause da fiatone, maalmeno in modo tale che il mio fiato sia suf-ficiente a farla uscire in modo udibile<<Altro che in piedi… però dai… almeno ci… porta su… in fretta… Eccolo lì il sen-tiero…. Pausa. Bevo un attimo>> - perinciso, verità di cronaca e per non affaticaretroppo i posteri nelle ricostruzioni degliavvenimenti storici, questa pausa non è laseconda: altre e per i più nobili motivi ce nesono state dalla ormai lontana prima -.Meno male che tutti i manuali e le guideconsigliano di fermarsi spesso per bere emantenere la giusta idratazione….Comunque sia, ripreso quel tanto di fiatoche basta a proseguire, eccoci che affronti-amo la Piancaformia: bella, diritta, che salegradatamente e senza cedimenti – la crestasenza cedimenti, mica io -.Il silenzio ci avvolge, non c’è nessuno oltrenoi due a salire questo sentiero, rotto solodal rumore degli scarponi che calcano il ter-reno. Ogni tanto ci scambiamo qualcheparola, ci guardiamo attorno anche sepurtroppo il panorama ormai è coperto dauna lattiginosa nuvolosità che in alcunipunti assume un colore un po’ cupo. Il silen-zio, il sottile fruscio del vento, i nostri passi,il… <<Te Calmo, hai sentito?>> fa il Serioimprovvisamente scheggiando l’incanto chemi stava portando avanti.<<Cosa?>><<Non hai sentito, mi sembrava un tuono>>

<<Si, ho sentito, ma secondo me è unaereo>><<Dici? A me sembrava proprio un tuono.Speriamo non arrivi un temporale proprioora che siamo sulla cresta. Non sarebbe sim-patico!>><<Be’ si, effettivamente non sarebbe sim-patico. Però sembrano proprio tuoni. Cisono anche quelle nuvole là in fondo adestra che non ispirano un granché bene>>E qui mi rendo conto che con questa ultimamia uscita ho dato campo libero al Serio chesubito prende la palla al balzo e mi infila incontropiede:<<Secondo me ci conviene accelerare unpo’ il passo e uscire il prima possibile dallacresta, che se arriva il temporale non lovoglio prendere proprio qui>>Così dicendo se ne parte con passo deciso e,soprattutto, rapido lungo la salita. Lo seguo,non ho altra scelta, rimpiangendo l’aereoche non è passato a darmi manforte: solo neifilm che vedevo da piccolo all’oratorioarrivava sempre il Settimo Cavalleggeri almomento giusto a togliere tutti d’impaccio. La cresta ce la facciamo quasi di corsa, lecime tempestose per questa volta nonl’avranno vinta.

• the FOG (©by J. carpenter)I tuoni sono passati, probabilmente se li èportati con sé l’aereo, ma hanno comunquelasciato a farci ovattata compagnia uno stra-to di nubi innocue ma insistenti. La cresta èalle spalle, la corsa giunta al termine. Allafine il temporale si è esaurito da sé stesso el’accelerazione che mi ha mandato i consu-mi alle stelle mi sa che è stata inutile ma, permantenere una parvenza di seria e altezzosanecessità al repentino consumo energetico,mi immagino che la cresta sia ora in baliadegli sferzanti ceffoni di raffiche di Eolo,secchiate di grandine, Gioviane saette, ilprofilo della Piancaformia sconquassatodalle martellate del Mitico Thor: strapazza-ta e martoriata, esposta alle furiose intem-perie che abbiamo saggiamente e coscien-ziosamente fuggito. Siamo stati bravi a nonfarci trovare là esposti a tutto ciò (la nota èautoreferenziale – si - ma necessaria comepuntello giustificatore).Ora possiamo camminare con passo più tur-istico, il Serio davanti ed io che lo seguo aruota: entrambi un po’ persi e presi dallospettacolo del paesaggio che, complicequesta grigia nuvolosità che le sta provando

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tutte per mutarsi in nebbia, assume semprepiù caratteristiche lunari. Ci circonda un ter-ritorio carsico: rocce pallide, rada, timida,nana erba e soffici muschi. Sento che ormai non manca molto a rag-giungere il sicuro porto, l’Itaca in mezzo aquesto mare pallido, distesa di cangianti chi-azze che sembra protendersi ovunque all’in-finito mischiandosi nel gioco dei veli dellanebbia che fluttua come una sottile tendaalla leggera brezza.Non sarà ormai tanto lontano il Brioschi.Questo è il refrain che mi si ripete nella testaormai da qualche minuto, con un rumore ditreno in partenza che rulla sulla rotaia,incalzante, in crescendo, come il Bolero diRavel.E infatti io sto rullando dietro al Serio. Senon arriva presto la stazione rischio ilderagliamento. Fortuna che la montagna èamica e consolatrice e corre in soccorso pre-sentandosi in questa sua affascinante e intri-gante veste: aurea di mistero e promessa dibellezza che i lembi delle nubi basse, sco-standosi di tanto in tanto, mostrano conseducente maestria. Sarà per l’effetto diquesto paesaggio che nasconde la sua pre-senza facendola presagire, immaginare,desiderare, che mi si presenta per analogial’immagine della siepe “che da tanta partedell’ultimo orizzonte il guardo esclude”;sarà! Comunque il risultato è che mi sembradi camminare come sospeso, leggero e cul-lato da tanta diamantina bellezza.

• tAVernA pArADisO (©by s. stallone)Nella nebbia continuiamo a salire.Mi accorgo che il Serio guadagna metricome se ai piedi calzasse i favolosi stivalidalle sette leghe, mentre i miei di piedi sono

l’antitesi delle alate caviglie di Mercurio.Un ripido scivolo di roccia, con una provvi-denziale catena posta sulla roccia di lato allaquale la mia mano si artiglia dando sosteg-no alla gambe in questa salita penitenziale.Mi fermo posando a terra lo zaino per osse-quiare i preziosi consigli riguardo l’impor-tanza di bere spesso – soprattutto sostaremascherando che sia per svuotamento ener-getico – quando da sopra mi giunge la vocedel Serio <<Guarda che siamo arrivati>>. Il sorso che sto bevendo mi scivola scintil-lante a allegro come un ruscelletto pri-maverile nella gola. Siamo arrivati. Guardoin su e vedo che il Serio è fermo, lo raggiun-go e poco oltre ecco il Brioschi. Il sollievodel raggiungimento del Rifugio cancellaimprovvisamente la fatica: il giorno primaero a Cipro e oggi qui. 2400 metri di disliv-ello. Sparisce in un istante anche la voce delSerio che annuncia la meta raggiunta e den-tro la quale – innegabile – avevo scorto lasua perfetta consapevolezza della mia con-dizione di consumato attore di bettola dasottoscala intento a mascherare l’istinto disopravvivenza che continuamente mi insin-uava il dubbio sul “macchitelohafattofare!”Ma siamo qui. Ci guardiamo attorno, gli sguardi che cer-cano di penetrare la nebbia cha dalle pendi-ci sale ad avvolgere la cima e il rifugio.L’aria si è fatta fresca e frizzante. <<Che sfiga sta nebbia>>. Nonostante ciò siamo entrambi contenti e ciguardiamo attorno grati dello spettacolo,visto o intuito che sia. Il rifugio è lì. Noi

siamo arrivati. Saliamo ancora qualchemetro per raggiungere la croce posta sullavetta della Grigna: l’immancabile foto dellaconquista. Che poi, diciamolo, non ho ancora capitochi sia il conquistatore e chi il conquistato.

• OGni cOsA È iLLumintAtA (© J. s. Foer)Quando arrivo in cima alla montagna, qual-siasi sia la natura del monte, per sentieri per-corsi o immaginati, mi prende una leggerez-za da aria sottile che penetra ogni pensiero,cancellandoli, prendendone il posto. Comeper sortilegio si spezzano gli ormeggi las-ciando che ogni cosa galleggi portata dallacorrente del tempo, dalle onde dello spazio.I riferimenti perdono valore per assumereuna dimensione che è insieme un fuori e undentro arrotolati su sé stessi: nuova dimen-sione entro la quale, ogni volta con sorpresae meraviglia, mi trovo a sostare. Qui, sul culmine del cammino, sapendo cheprima o poi dovrò ridiscendere, per un atti-mo, come in uno squarcio, ogni cosa è illu-minata. Il legame con il luogo, sia esso con-quistato o concesso, si materializza e rendevisibile l’intreccio vitale che tutto unisce:inevitabile gioco dei ruoli dove i personag-gi, recitando a soggetto, cercano un autore. Sono morto e sono vivo in un continuomutamento che ogni volta si ripete pur maisimile a sé stesso, trasformazioni che las-ciano intravvedere oltre la cortina qualcosache è sempre in fondo al sentiero: inaccogliente attesa del diradarsi della nebbia,

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del volgere del mio sguardo. E per un lam-peggiante attimo lo colgo ed è il profumo diItaca trasportato dai venti dell’orizzonte. Èallora che la mia temporanea forma divivente in questo mondo si lascia assumeredalla terra che calca e che la sostiene, dalcielo che la contiene ed esalta.Un sussurro dell’universo, il suo respiro,che come un battito di ciglia, fulmineo siapre e si chiude. L’alito dell’origine, unico enon replicabile, che da il “La”, l’incipitdello spartito che nostro compito ineludibileè leggere, interpretare, suonare. Si apronosinfonie, dissonanze, stonature, assoli e con-certi……In questo scorrere di pensieri che pensierinon sono - forse in realtà sono segnali cheio, divenuto per un momento antenna, rice-vo - , scorre inesorabile il tempo e il rintoc-co del pendolo mi dice che è ora di tornare. Ecco lo sapevo! Sulle cose si spegne la lucema rimane quella musichetta che ti ritrovi ditanto in tanto a fischiare senza capire beneda dove arriva, dove l’hai ascoltata e cosasia.

<<Serio, cosa dici, ci tiriamo insieme ecominciamo a scendere?>><<Va bene Calmo. Così possiamo tornarecon tranquillità e fare un giro diverso per ladiscesa>>

• LentO ritOrnO A cAsA (©by p. handke)Di conquista in conquista ora bisogna par-tire alla conquista del ritorno. È difficileabbandonare questo luogo. Sembra che tuttala fatica della salita sia di colpo svanita, nonve ne è più traccia alcuna. La nebbia gioca a risalire il pendio, arriva adavvolgerci per poi ritrarsi e lasciar compar-ire qualche scorcio del mondo che sta sottoe attorno. Scendiamo, il Serio ed io, reimmergendocinel pallido grigio. Sopra, velato dalle sottilinubi, si intuisce il sole mentre alle spalle lavetta si allontana, si cela dietro il velo ver-gando una pennellata d’ombra sul nostrocammino. Andata e ritorno, salita e discesa sono sola-mente due nomi che diamo al viaggio, che lanostra specie non ha ancora del tutto abban-donato la sicurezza del cerchio per la bellez-za della linea. Il ritorno si avvia lento, lon-tano dalla conclusione così da aver ancoraspazio per accogliere tutto ciò che questagiornata ancora ha da meravigliare. Con ilSerio proseguiamo inoltrandoci in un sen-

tiero che, a noi nuovo, si presenta generosoe il cammino assume in sé uno ad uno tutti itasselli della giornata. È allora che tutto siriunisce e si lega in una tessitura abile emagistrale che nella trama porta il cennodell’arte che la genera. Come un rimando, inun gioco che di segno in segno in qualchemodo, in un qualche dove, conduce. Con questi inconsapevoli pensieri che sisollevano dalle suole degli scarponi, vado eattraverso l’aria e la terra, Cipro, la telefona-ta, il jet-lag, le buche più dure; Itaca, la sali-ta, il rifugio. Mi accompagnano - con ilSerio - le nubi, le voluttuose danze dellanebbia, la scorciatoia, il tuono, l’arbitro chenon ha fischiato. Il sudario di tutti gli attimiche fin qui mi hanno condotto mi avvolge,come ogni volta, come in ogni andare. Il nostro andare attraversa il giorno einsieme la montagna, la nebbia ci abban-dona, noi ci abbassiamo. Il Serio ha inmente la cartina, non sbaglia un passo. Unasosta a metà per una birra rinfrescante alBogani. Tra di noi non sono mai troppe leparole, forse per l’inconsapevole timore chei suoni, se non essenziali, possano distur-bare la musica, oppure perché, come inquesto momento, stiamo avidamentescolandoci la meritatissima birra fresca.È ora di tornare, scendiamo l’ultimo tratto equesto lento ritorno ci posa alla fine dellamontagna. Che se ne sta lì, come sempre,sicura e salda al suo posto. E noi a cercare ilnostro.

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rapidi cenni di una settimana Austriaca con l’escursionismo

di Nevio Oberti

La montagna è un essere saggio.Sa attendere nelle strade deltempo come un grande monaco inmeditazione e accoglie aprendo le

valli, i passi, i crinali, le creste, le selle, perfarci passare a volte inconsapevoli di quan-to stiamo facendo, di dove stiamo entrando.E sempre riserva sorprese, che a volte nonsono quelle che noi ci attendiamo, che avolte fatichiamo a capire, oppure sono tal-mente altro dalle nostre aspettative che nonpossiamo o vogliamo… ma essa sa ciò chenoi non comprendiamo. E sono alchimieche si sviluppano e mutano e lasciano senzafiato e fanno sbarrare lo sguardo: e quandotorni dalla montagna, magari te ne accorgi,altre volte – la maggior parte – no, ma nonsei più quello che è entrato in quella valle edè salito su quella vetta e ti accorgi che lepersone che incontri, quelle che sono con te,lungo il percorso cambiano e ti cambiano. Una settimana passata in Austria, a Matreiin Osttirol, nel cuore dei monti, nel cuoredell’estate, e la magia sin dal primo giornoopera i suoi prodigi. Un gruppo di 30 per-sone, la maggior parte fra di noi sconosciu-ti, presi in questo sortilegio potente si sonoritrovate quasi come vecchi amici già allasera della prima giornata. Gli incroci deglisguardi e delle parole, i gesti, gli scambi distorie, la sorpresa della nascita di nuoveamicizie. Il Grande Saggio sa come operareben oltre le nostre intenzioni e prepara sem-pre il terreno sul quale poi le vicende diintrecciano e ci avvolgono conducendociverso vette i cui sentieri non sono da noi

tracciati. Sin da subito ti fa comprenderechi conduce il gioco e, se non lo fai tu, cipensa lui a prepararti ad ogni suo capriccio.E sono giornate che ti svegli la mattina edalla finestra entra lo stupore di un paesag-gio tutto da scoprire e quando la sera tiaddormenti ti girano negli occhi le immag-ini e le sensazioni della giornata, la trepi-dazione per la mattina che verrà. E sonogiornate di boschi e mulattiere che sfumanoin sentieri, poi in pascoli alti e rocce chequando ci sali in cima aprono il sipario sullevette lontane abbracciate dai ghiacciai: ilGrossglockner, il Grossvenediger. La filadei 30 che camminano con passi diversi pergiungere poi tutti al rifugio e guardarsiorgogliosi negli occhi in cui si riflettono ipaesaggi osservati. Certo, i luoghi aiutano e la loro bellezzasicuramente unisce chi la osserva, chi licammina fianco a fianco. Inoltre che la loca-tion che ci ospitava offriva al ritorno dalle

belle fatiche una fantastica piscina nellaquale rilassarsi e recuperare le energie trarisate e scherzi peggio che bambini. Ma infondo questo è il bello: riuscire a mantenerela meraviglia di fronte allo spettacolo che cicirconda e dentro il quale ci muoviamo. E alla fine rimane sempre più la certezzache quando affronti un sentiero, ovunquepensi esso conduca, alla fine ti porta dovevuole lui e non sai mai le sorprese che tiattendono; e quando torni non sei più lastessa persona che era partita. Le aspetta-tive te le ha frantumate come un ghiaione eciò che hai incontrato è stato sicuramenteinatteso. Un grazie a tutti i partecipanti che hannocontribuito alla riuscita della “Classica”dell’Escursionismo e al Grande Organiz -zatore Roberto Guerci con il prezioso sup-porto di Luisa Gotti e Cristina Persiani.E al Grande Saggio che ci ha condotti per isuoi sentieri d’agosto.

AGOSTO!

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AGOSTO: monti, tracce, persone, intrecci

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di Santo Giancotti

Domenica 16 settembre e domenica 7 ottobre 2018, due splendide escursioni promosse dalla commissioneescursionismo e scuola di escursionismo “Giulio Ottolini”

• Domenica 16 settembre: Ferrata rocca clarì e ponte tibetano (clavière - Val susa).Coordinatori Responsabili: Giovanni sartorio, tiziano Viscardi,roberto Guerci, Valter tadè, coadiuvati dai collaboratoridella scuola.I partecipanti all’escursione sono stati molto numerosi (pullman da57 posti esaurito), e si sono divisi fra coloro che hanno affrontatola Ferrata e coloro che hanno attraversato il fascinoso e lungo pontetibetano sopra e lungo la profonda gola della Piccola Dora. Devosottolineare con mia notevole sorpresa (io ormai appartengo allaschiera dei Soci Seniores) che fra gli “arrampicatori” era presenteun folto gruppo di giovani, che hanno affrontato con invidiabileabilità il difficile tracciato della Ferrata, giovani che in questi annihanno frequentato i corsi della Scuola Ottolini, perciò, positivissi-mo segnale della qualità evidente dell’opera dei nostri competentiIstruttori.Difficoltà Ferrata: eeA – D+;Difficoltà ponte tibetano: eeA – F.La Via Ferrata (550 m di dislivello) risale le pareti verticali del ver-sante nord della Rocca Clarì, strapiombanti sulla Piccola Dora,nelle Gorge di San Gervasio di Clavière, in alta Valle di Susa, al

confine con la Francia. Si tratta di una via non adatta a neofiti,poiché molto scoscesa, molto esposta, che richiede abilità di buonequilibrio, di padronanza nell’utilizzo di braccia e gambe, senzaprovare senso di vertigine. Il percorso è molto ben attrezzato,garanzia di concreta condizione di sicurezza. Il ripido e spettaco-lare “Fungo Magico”, il “Grande Piastro”, ripide strisce di rocciacon scale, lo spigolo di “Lama”, la “Scala Bionica”, i traversi aereimozzafiato e la vista superlativa sulla meravigliosa valle sot-tostante ci hanno fortemente entusiasmato, rendendo memorabilequesta splendida esperienza. Nel pomeriggio, tutti i partecipanti si sono raggruppati alla BaitaGimont (2088 m), storico rifugio ubicato ai piedi dei “Monti dellaLuna”, nel comprensorio della “Via Lattea” e del Monginevro,facendo poi rientro a Clavière con interessante visita al localeMuseo che conserva interessanti testimonianze e reperti storici.

Domenica 7 ottobre: Via Ferrata “Ottorino marangoni” sul monte Albano (mori – trento) ed escursione sul monte stivo.Coordinatori Responsabili: Giovanni sartorio, tiziano Viscardi,marco Generali, roberto Guerci, coadiuvati daicollaboratori della scuola.Difficoltà Ferrata: eeA – tD (molto difficile).Si tratta di una via considerata tra le più difficili dell’arco alpino,già citata da Messner in una sua pubblicazione. È stata realizzatanel 1976, ma recentemente rinnovata e modernamente riattrezzata.Anche in questa occasione il gruppo dei partecipanti si è rivelatopiuttosto numeroso ed entusiasta. Si tratta di una bella parete verticale (350 m di dislivello), che sierge sopra l’abitato di Mori, vicino al Santuario antico (1556) dellaMadonna Annunziata, con il campanile sormontato da un’originalecuspide metallica e da un grande orologio rivolto verso l’abitato.La parete presenta molti passaggi aerei a strapiombo, facilitati tal-volta da staffe inserite nei punti opportuni. Placche verticali conappoggi su roccia che richiedono notevole accortezza, suggestivicamini, cambre metalliche che fuoriescono significativamentedalla parete, costringendo ad esporsi maggiormente lontano dallaroccia, rendono piuttosto eccitante il percorso, che tutti hanno por-tato a termine senza incidenti e con grande soddisfazione. Sopra unpianoro della sommità del Monte Albano, ci siamo concessi la mer-itata pausa pranzo in plein-air, festeggiando pure con una buonabottiglia di vino il compleanno odierno del buon Marco Generali.Il Gruppo Escursionistico diretto al Monte Stivo (m 2054), chedivide la Valle del Sarca dalla Val Lagarina, ha potuto ammirare losplendido contesto naturale ambientale di questa zona, raggiungen-do il grazioso Rifugio Marchetti, per poi giungere sulla vetta, dacui uno sguardo magnifico abbraccia la Valle dell’Adige conRovereto e dintorni, e la splendida superficie del Benaco con Rivadel Garda e paesi limitrofi.

con queste escursioni possiamo archiviare due nuove appaganti esperienze del programma 2018.

Due splendideesCUrsioni

Ferrata “OttorinoMarangoni” sul Monte Albano (Mori - Trento)(foto Luca Armanni)

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Oltre le tracce della storia: sei percorsi guidati da una APP nei luoghi della Prima Guerra Mondiale

G.C. Agazzi

La mattina di sabato 25 agosto2018 siamo partiti in dieci per ilpasso del Gavia. A Bergamoaveva appena smesso di piovere.

Lungo la strada molte pozze d’acqua, ma leprevisioni non erano male. Arrivati alRifugio Arnaldo Berni, poco dopo il passodel Gavia, abbiamo lasciato le auto sulbordo della strada. Nel secolo scorso ilGavia era detto passo “della Testa delMorto”, un nome sinistro dovuto alleimprovvise bufere che sorprendevano iviandanti, seppellendoli sotto cumuli dipietre assassine. Proprio in una di questelugubri piramidi venne ricavata, a monitoperenne dei camminatori imprudenti, unanicchia – esistente fino agli inizi del 900 -entro cui vennero collocati due teschi. La meta della giornata è il bivaccoBattaglione Skyatori Monte Ortler, a 3141metri di quota. Superato il vecchio rifugioGavia dove, ai tempi della Guerra Bianca,si trovava il comando delle truppe italiane,seguendo una strada militare siamo giuntisotto le morene del ghiacciaio del Dosegù,girando, poi, a destra, per salire lungo il val-lone che conduce verso il passo dellaSforzellina.Il tempo era piuttosto clemente, tanto è chea tratti si affacciava anche un sole tiepido.Lungo l’itinerario, Stefano Morosini, stori-co e per l’occasione guida del nostro grup-po, si è collegato con il suo cellulare all’App “Near”, creata per offrire una panoram-ica 2.0 di sei percorsi della Guerra Bianca,situati nel Parco Nazionale dello Stelvio.Per meglio valorizzare questi luoghi dove fucombattuta la Guerra Bianca la RegioneLombardia ha affidato all’Ente Pubblicoper il Servizio all’Agricoltura e alle Foreste(ERSAF), che si avvale della collabo-razione scientifica del Museo della GuerraBianca di Temù, un progetto di promozionedel patrimonio lombardo relativo al conflit-to armato del ‘15—‘18 .Da qui l’idea di utilizzare la tecnologia peraccompagnare i visitatori senza portaresquilibrio all’ambiente e ai paesaggi. LaApp, alla cui creazione ha contribuito ancheMorosini, permette di percorrere sentieri

tematici accompagnati dalle voci dell’attoree scrittore Giuseppe Cederna, che descrivedal punto di vista storico e ambientale i variluoghi, e dell’attore Matteo Chioatto, cheracconta vicende e testimonianze di un peri-odo storico che tanto sangue di giovani ital-iani ha visto versato.Nel corso dell’escursione abbiamo copertoun dislivello di 750 metri, camminando percirca 5 ore. L’itinerario previsto si snodavalungo il sentiero 525. Abbiamo incontrato numerose opere mili-tari, compresi alloggi per ufficiali e soldati,postazioni per l’artiglieria, trincee e linee difilo spinato.Nelle prime ore del pomeriggio il bruttotempo non ci ha permesso di raggiungereil Pizzo di Val Umbrina, situato sopra ilbivacco Battaglione Skyatori Monte Ortler.In questi luoghi combatté, come ufficialedegli alpini del battaglione Mondovì, unmio prozio, Guido Ferrari. Mentre salivolungo il sentiero pensavo a lui, a lui gio-vane con gli ideali intatti e il coraggio diservire la sua patria, costasse quel checostasse. Attorno a noi le cime del PizzoTresero, del Dosegù, la Punta Pedranzini eil San Matteo con la sua calotta glaciale,dove, il 3 settembre del 1918, morì ilCapitano degli Alpini Arnaldo Berni, sem-bravano proteggerci, maestose e quiete. Aldi là di esse, il monte Mantello, la cimaVillacorna, il Pizzo e la Cima di ValUmbrina.Durante la discesa è iniziato a piovere, maper fortuna siamo riusciti a ripararci nelrifugio Arnaldo Berni. Passati i temporali,alcuni dei quali violenti, ha fatto la suacomparsa la neve, che ha imbiancato lecime oltre i 2500 metri.La mattina della domenica tutto era coper-to di neve attorno al passo dello Stelvio: erail 26 agosto 2018, ma sembrava quasiinverno su quelle montagne che per oltretre anni, tra il 1915 e il 1918, erano stateteatro di aspri combattimenti a più di trem-ila metri. La temperatura era improvvisa-mente scesa al di sotto dello zero nonos-tante la mattina fosse limpida, ma natural-mente il nostro piccolo gruppo, tutti socidel CAI di Bergamo, non aveva alcunaintenzione di non continuare la sua visitasui luoghi della Guerra Bianca. Lasciate leauto poco sotto il giogo dello Stelvio, abbi-amo seguito il sentiero che porta verso ilvillaggio militare dei Filon dei Mot.

ESCURSIONISMO

CronACAdi unaescursione

“La meta della giornata

è il Bivacco Battaglione

Skyatori Monte Ortler,

a 3414 metri di quota

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ESCURSIONISMO

L’itinerario parte dal tornante n.° 8 dellaSS 38 dello Stelvio e raggiunge la meta,percorrendo il versante orografico sinistrodella Valle del Braulio. Siamo passati dallaghetto Alto e, poi, dalle Rese Basse diScorluzzo. Sopra di noi le cime delloScorluzzo e dello Scorluzzino a più di 3000metri, imbiancate dalla neve appena cadutae battute da un vento gelido. Più sotto,verso Ovest, il confine svizzero di PizUmbrail e la punta di Rims più aOccidente. Il sentiero che parte dalla stradadello Stelvio sembrava una riga nera inmezzo alla neve. Durante la Guerra Biancala zona alta della valle del Braulio era terradi nessuno. A Est, sul valico dello Stelvio,si intravedevano le postazioni austro-ungariche, le finestre scavate per far postoalle canne dei cannoni. Più sopra la vettadello Scorluzzo, dominante il fronte ital-iano, nel corso della guerra presidiata dauna ventina di soldati austro-ungarici, chevivevano in una caverna scavata nella roc-cia, poco sotto la cima. Sul crinale a Ovestdello Stelvio la Dreisprakenspitze, oggicima Garibaldi, bombardata dalleartiglierie italiane nel corso della GuerraBianca. Dopo una ventina di minuti di cam-mino abbiamo incontrato alcune postazioniitaliane con caverne scavate nella roccia,riparo per i cannoni. Più sopra abbiamopercorso una strada militare carrozzabile,molto ben conservata, proveniente dallaterza cantoniera, che raggiungeva una seriedi postazioni scavate in galleria, dotate difinestre per i cannoni. Un’opera davveroincredibile, edificata nell’inverno del 1916in condizioni estreme. I muri della strutturaerano in parte di cemento armato.Raggiunto un colletto, siamo scesi in unaconca, dove abbiamo incontrato i ruderi diuna caserma e, più sotto, il basamento diuna teleferica. Di fianco, mucchi di sassiche servivano da contrappeso per far salirei carichi fino alle postazioni italiane che sitrovavano più in alto. Sopra di noi, a Est lavetta dello Scorluzzo, dalla quale i soldatiaustro-ungarici battevano in continuazionele posizioni italiane. Sul versante settentri-onale della montagna erano dislocatealcune postazioni austro-ungariche diartiglieria Abbiamo attraversato il pianodello Scorluzzo e la Malga dell’Alpe. Qui,proprio sotto lo Scorluzzo, venne uccisoSimone Giudici, padre di un amico di miopadre, che riposa nell’ossario del piano del

Braulio con altri soldati. Proseguendolungo il sentiero abbiamo incontrato illaghetto dello Scorluzzo. Attraversata unapiacevole conca, abbiamo intrapreso lasalita finale al Filon dei Mot. Il sentiero sisnoda lungo i ripidi fianchi di un pendiosassoso coperto di neve. Finalmente abbi-amo raggiunto il villaggio militare chedomina la valle dei Vitelli. Quest’ultimo sitrova sopra la valle del Braulio in un puntodi straordinaria bellezza che l’orrore cheevoca non riesce a offuscare. E’ ancoramolto bene conservato, grazie all’opera diripristino di alcuni volontari. Qualcuno loha paragonato al villaggio incaico diMachu Picchu, in Perù. I muri del villaggiomilitare sono stati costruiti a secco conmirabile precisione. All’orizzonte il passod’Ables, le pendici del Cristallo, le cime ele creste del Reit. Dal Filon dei Mot parte lalunga cresta che arriva fino all’ultimapostazione italiana situata ai piedi delloScorluzzo. Era un presidio difficile da man-tenere, che è costato molte vittime. Furono264 i giovani, tra ufficiali e soldati, chepersero la vita nella zona dello Stelvio. Cisorvola un gipeto che si abbassa e, poi,sparisce veleggiando giù nella valle deiVitelli. Guardando questi luoghi mi vienein mente Umberto Balestreri, ufficiale degliAlpini e alpinista di fama. Ricordo una suarelazione riguardante un’ incursione not-turna in pattuglia verso le linee austro-ungariche il 28 aprile del 1916. Nel fondovalle scorgiamo la strada che sale al passodello Stelvio. Venne costruita nel 1825 dal-l’ingegnere Carlo Donegani, per mettere incomunicazione il Lombardo-Veneto con ilTirolo, permettendo di portare con rapiditàle truppe austriache nell’Alta Lombardia. Aquei tempi il passo era tenuto aperto anched’inverno, per permettere alle slitte trainateda cavalli di transitare. Numerose levalanghe che, nel corso degli inverni diguerra, travolsero, ferirono o uccisero unamoltitudine di soldati sia italiani sia aus-tro-ungarici. Sul versante di Trafoi, proprioper evitare le valanghe, vennero costruitiripari in legno, poi scomparsi. Dall’alto sivedeva la quarta cantoniera, un tempogestita da Giuseppe Tuana, detto Franguel,una guida valtellinese che aveva combat-tuto in questi luoghi. Nato a Groasio in AltaValtellina il 23 dicembre 1878, dopo averprestato servizio di leva al battaglioneTirano del 5° Reggimento Alpini, nel 1902

trovò lavorocome custode della TerzaCantoniera dello Stelvi. Fu uno dei protag-onisti sul fronte Ortler-Cevedale, accanto altenente Guido Bertarelli, con cui ebbe unlegame di amicizia e una collaborazioneche durarono per tutta la vita. Dopo laGuerra Bianca, i due continuarono a veder-si con l’intento di ricostruire alcuni rifugidistrutti o devastati dall’evento bellico.Tuana fu comandante del reparto specialeGuide Ardite della Val Zebrù. Si raccontache, all’inizio della Guerra Bianca, duranteuna perlustrazione sullo Scorluzzo con unapattuglia di militari italiani si sia imbattutoin un gendarme austro-ungarico checonosceva. Non gli volle sparare perché eraun amico. Il fatto venne riferito ai comandiitaliani e, per questo, la guida vennetrasferita altrove. Dal mio punto di osser-vazione scorgevo anche la dogana svizzerae la strada che scende in Val Monastero. Aitempi della Guerra Bianca gli svizzericostruirono una trincea che sale lungo ilconfine italo-svizzero. Si riportano tantifatti successi nel corso della Guerra Bianca.Si dice, per esempio, che all’inizio vi fos-sero a presidiare il confine svizzero gen-darmi di lingua tedesca, che, pare, collabo-rassero con gli austro-ungarici. A seguitodelle proteste degli italiani, vennero man-dati gendarmi ticinesi di lingua italiana. Sinarra anche che vi fosse un piccolo com-mercio tra italiani ed elvetici, che, a lorovolta, vendevano agli austro-ungarici. Gliaustriaci sistemarono i loro baraccamenti aridosso del confine svizzero, che cosìri-masero al sicuro da ogni nostra offesa. Fucostruita la cosiddetta “trincea svizzera”,che dalla Dreisprachenspitze scendevasulla Valle del Braulio. Con il passare deltempo, specialmente con l’avvicinarsi del-l’inverno, la vicinanza con territorio neu-trale suggerì a qualche soldato di disertaree proprio a metà dicembre del 1915 duefuggiaschi vennero raggiunti poco lontanodal confine e riportati alla QuartaCantoniera dello Stelvio e subito fucilati.La guerra incominciava a mostrare il suovolto brutale. Poi, due autocarri diCarabinieri salirono verso lo Stelvio con ilcompito di impedire fughe di militari versola Svizzera. Chissà in quanti lo sanno.Nelle prime ore del pomeriggio abbiamorecuperato l’auto. Nel frattempo all’oriz-zonte, verso Est era comparsa la vettaglaciale dell’Ortler.

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rete radio montana nasce dal-l’idea di Simone Lucarini dimettere in contatto persone chevivono la montagna, attraverso

l’uso di radio ricetrasmittenti di libero usoe poco costo. Lo scopo non è quello di“socializzare”, ma di avere uno strumentodi comunicazione in più per ragioni disicurezza. Certo, nell’era degli smartphonee delle app, uno strumento “vecchio” dioltre ottant’anni può far sorridere o, quan-to meno, essere considerato inutile. Inrealtà, l’uso della radio in montagna ha lafunzione di sostituire il telefono e le appproprio quando manca segnale telefonicoe/o il traffico dati. Nasce così la proposta diriunire sotto un’unica frequenza radio alivello Nazionale - 446.09375 mhz conapplicazione del tono subaudio(CTCSS) 114.8 hz, in banda PMR-446(UHF), denominato cAnALe 8-16 (canale 8 + codice CTCSS 16), disponi-bile a tutti e non riservata ai radioamatori oalle Forze dell’ordine - gli appassionati dimontagna: niente saluti o racconti sul pran-zo, via radio gli utenti del progetto seg-

nalano la propria posizione, le condizionimeteo e l’agibilità del sentiero o delle vieferrate/arrampicata. E, soprattutto, restanoin ascolto nel caso in cui qualcuno avessebisogno di aiuto, non è un’alternativa agliorgani preposti al soccorso, ma un plus perla prevenzione degli incidenti. La partecipazione al progetto è gratuita edimplica l’accettazione di alcune preciseregole sui contenuti e sulle modalità dicomunicazione, nonché sulle procedure incaso di pericolo. Per esempio, se via radiosi ascolta una richiesta d’aiuto, bisogneràallertare i soccorritori con il proprio tele-fono se funzionante o via radio, ripetendola richiesta ricevuta.

Gli utenti di rete radio montana hanno adisposizione una piattaforma web, rerA-mOnet, sulla quale registrare preventiva-mente le proprie attività, specificando ilpercorso in montagna prescelto, così daessere più facilmente individuabili in casodi necessità.La copertura del progetto aumenta grazieal coinvolgimento dei rifugi che hannodeciso di aderire a Rete Radio Montana ealla conoscenza del territorio da parte deiGestori. www.reteradiomontana.itwww.facebook.com/reteradiomontana

Montagna in sicurezza conrete rADio MontAnA

gli apparati radio PMR446 (PersonalMobile Radio, 446 MHZ), sono rice-trasmittenti di libero uso in moltipaesi dell’Unione Europea . In Italia ilproprietario di un PMR-446 è tenutoa comunicare con raccomandata alMinistero dello Sviluppo Economicoil possesso dell’apparecchio ed ètenuto al pagamento di un canoneannuo di 12 euro, indipendente-mente dal numero di apparati utiliz-zati. Un dispositivo PMR-446 è por-tatile e non supera i 500 mW ERP dipotenza. È semplice da utilizzare,non presuppone conoscenze tec-niche o radioamatoriali: lavora sullefrequenze da 446.0 a 446.1 MHz,suddivise in 8 canali normalmentegià preimpostati sulle radio in com-mercio e con la possibilità diimpostare dei subtoni per escluderealtri segnali radio esterni al loro grup-po: da qui il canale 8-16 della rete

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montana. (8 èil canale - 16indica il subot-no).

Data la bassa potenza di trasmissione, la distanza massima di collegamento alivello stradale tra PMR-446 è di circa 5 km. Salendo in montagna è possibileeffettuare collegamenti con utenti posti anche a centinaia di km di distanza, conbuona qualità di segnale e in assenza di ostacoli. La rete radio montana ha fun-zionalità “punto-punto”, cioè non necessita di ponti radio e permette il collega-mento diretto con tutti gli utenti sintonizzati sul CANALe 8-16: maggiore è il

numero degli escursionisti attivi, più cresce la copertura delle comunicazioni

radio.

Partecipare al Progetto è al quanto semplice e gratuito, basta essere degli appas-sionati di montagna o attivi nelle attività outdoor. Se deciderete di partecipare alProgetto vi verrà assegnato un Identificativo radio (ID), strettamente personale,con il quale potrete identificarvi nelle comunicazioni radio che transitano sulCANALe 8-16 di rrm. Ogni ID è formato da una sigla che indica la Regione diappartenenza, seguita da un numero progressivo. Vi verrà assegnata anche unapassword per l’accesso alla piattaforma rerAmoNeT, sulla quale indicare l’at-tività programmata e il percorso scelto, così da rendere più agevole la ricerca incaso di necessità.

un progetto-realtà che mira ad incrementare la sicurezza

in montagna per mezzo delle comunicazioni radio

SICUREZZA

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Le trincee dimenticate - adotta un pezzo di storia Un progetto per la loro conoscenza, salvaguardia e valorizzazione

Claudio Malanchini (Commissione

Culturale-Gruppo Amici Linea Cadorna

Tratto orobico)

Sul precedente numero delle AlpiOrobiche abbiamo dato spazio alprogetto del CAI Bergamasco(Unione Bergamasca Sezioni e

Sottosezioni CAI, CAI Bergamo, CAI AltaVal Brembana Sezione di PiazzaBrembana, Sottosezioni di Ardesio-Alta

Val Seriana e Val di Scalve e di altreIstituzioni (Centro Storico Culturale diValle Brembana “F, Riceputi” – MuseoEtnografico di Schilpario) Le trinceeDimenticAte - ADOttA unpeZZO Di stOriA Alla scoperta dellaLinea cadorna sulle Orobie: un progettoper la loro conoscenza, salvaguardia evalorizzazione

Uno degli obiettivi del progetto consistenella conoscenza e nel ricordo degli eventiche un secolo fa interessarono anche le nos-tre Orobie, fortunatamente senza fatti belli-ci; a tal proposito abbiamo proposto dueescursioni con meta la alta Val Brembana e

la Val di Scalve per raggiungere alcuniambiti dove sono ancora ben presenti opererisalenti a quel lontano periodo. Ecco lameta delle escursioni:Domenica 17 giugno al passo delVerrobbio (alta Val brembana), a cura delCAI Bergamo - Commissione TAM (TutelaAmbiente Montano) - Commissione Cultu -rale in collaborazione con CAI Alta ValBrembana-Sezione di Piazza Brembana econ il Centro Storico Culturale ValleBrembana F. Riceputi”. 27 i partecipantialla escursione, inclusi il Presidente DavideMilesi, il Vicepresidente Dino Rossi eDavide Bazzi della locale Commissionesentieri. Tempo splendido, scomparsa quasitotalmente la neve che ancora due setti-mane prima ingombrava in parte la mulat-tiera. Partiti da Ca’ San Marco il gruppo haraggiunto lentamente il passo, percorrendola mulattiera militare; al passo scambi sim-bolici di saluti e strette di mano tra CAIBergamo e CAI Piazza Brembana, espo-sizione dei rispettivi gagliardetti, un pen-siero a quei tempi ed a quanti li hanno vis-suti ed un flash sulla Grande Guerra e sulla

Con il CAI alla scopertadella Linea Cadornae delle tracce dellaGrande Guerra sulle orobie

Mulattiere Grande Guerra in Val di ScalveIt. Naturalistico A.Curo-Passo del Gatto(foto Paolo Maj)

COMMISSIONE CULTURA

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linea Cadorna, con particolare riferimentoal tratto orobico ed alle opere ben visibili alPasso del Verrobbio (resti di una casermet-ta, trinceramenti, alcune gallerie e la carat-teristica cannoniera ricavata in una pareterocciosa dove vennero aperte due finestrerivolte sulla sottostante Val Gerola. E lungoil percorso tanti altri momenti inclusenumerose osservazioni di natura botanica,grazie alla presenza di Danilo Donadoni,vero esperto in materia.Domenica 22 luglio al passo delVenerocolo (Val di scalve)A cura di CAI Bergamo CommissioneCulturale e TAM (Tutela AmbienteMontano), condivisa con CAI Brignano,Lovere, Trescore Valcavallina e Val diScalve, in collaborazione con il MuseoEtnografico di Schilpario ed il Gruppo

Sportivo Marinelli di Albino.La Val di Scalve, al contrario dell’alta ValBrembana, non venne interessata dallarealizzazione di trincee e postazioni mavenne predisposta una rete di mulattiereche dal fondovalle conducevano in quota(dal Vò al Passo del Venano), complemen-tari a quella in quota dal Passo del Vivionea quello di Belviso (ora ItinerarioNaturalistico “A. Curò” riaperto a cura delCAI, oltre a teleferiche; e poi la ben notastrada del Vivione che collega la Val diScalve (Schilpario) con la Val Camonica(Forno d’Allione); tali opere non ricade-vano propriamente tra quelle costituenti laLinea Cadorna; esse rientravano nel settorecamuno, dove la Guerra, meglio nota come“Guerra Bianca” (Adamello), vennedavvero combattuta.

Tre gli itinerari proposti con partenze dalVo’, da Ronco di Schilpario e dal Passo delVivione, tutti con meta finale il Passo delVenerocolo, dove avrebbero dovuto incon-trarsi i gruppi partecipanti alla iniziativa.Ma al tempo meteo non si comanda e laprudenza in montagna, soprattutto alle altequote, non è mai eccesiva. Quindi a dispet-to della complessa organizzazione e dellacondivisione allargata, l’iniziativa hadovuto essere annullata il giorno prima,causa previsioni meteo decisamenteavverse per la domenica 22 luglio.Un grazie sentito comunque a quanti ave-vano aderito e si erano impegnati, a comin-ciare dal coordinatore Paolo Maj, scalvinoed al Direttore del Museo Etnografico diSchilpario Maurilio Grassi che avevanodedicato tempo con passione alla organiz-zazione della giornata. Non mancherà dicerto occasione di riproporre l’iniziativa.Paolo Maj però non è riuscito a starsenechiuso in casa e, salito a Schilpario, si èspinto con il nipote, a titolo personale, sinoal Passo del Gatto. Si riportano le paroledel comunicato stringato tipico del carat-tere montanaro ed essenziale di Paolo,inviato domenica sera allo scrivente: “ciao Claudio, Vivione, ItinerarioNaturalistico A. Curò, Passo del Gatto,alle 11.30 cielo blu, ore 12.30 nubidense, ore 13.30 tuoni e saette”L’iniziativa era stata ripresa con un bell’ar-ticolo da ARABERARA del 20 luglio daltitolo “Tre percorsi con il CAI di Bergamosulle tracce della GRANDE GUERRA”.Il progetto ovviamente non si limita alledue escursioni ma vuole avere una sua con-tinuità nel tempo; una continuità che nonpuò prescindere dalla collaborazione diquanti, soci e non, desiderassero davvero“ADOttAre un peZZO Di stOriA”delle nostre Orobie., collaborando così allaconoscenza, salvaguardia e valorizzazionedelle trAcce della GrAnDe Guer-rA sulle nostre montagne. Aiutaci per-tanto a favorire la conoscenza e lo studiodi queste opere che ci sono rimaste dachi ha combattuto per noi, aiutaci a sal-vaguardarle e valorizzarle. trovi tutte le informazioni sul sito www.caibergamo.it nella sezione “Amici LineaCadorna”

GrAZie per iL preZiOsO AiutOche pOtrAi e VOrrAi DArci.

COMMISSIONE CULTURA

Passo Verrobbio (foto Davide Bazzi)

Cannoniere al Passo Verrobbio (foto Claudio Malanchini)

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la BIBLIOTECA dei PICCOLI

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di Elena Ferri

mamma, educatrice,

amante della montagna

Questo numero sarà interamente dedicato al lupo, re dei boschi, delle montagne e del-l’immaginazione di tutti i bambini. Lupo baldo è un cucciolo di lupo molto coraggio-so. Quando sente un ululato lui non ha lui non ha paura!! Ma quando sente belare lapecora o abbaiare il cane, trema come una foglia e corre a nascondersi. Sarà davvero

coraggioso, Lupo Baldo? Certo. A voi scoprire il tenero messaggio di questo piccolo libro per pic-colissimi (età di lettura: da 2 anni). L’agile edizione tascabile, il testo stampato in corsivo, il prez-zo di copertina estremamente contenuto sono gli elementi che caratterizzano la collana e chehanno contribuito al loro straordinario successo. Sto parlando dei libri pubblicati dalle EdizioniEL dedicate ai classici. E allora come non portare alla vostra attenzione “Zanna bianca” ispira-to al celebre romanzo di Jack London e raccontata in modo delizioso da Stefano Bordiglioni. Ilprotagonista del romanzo è l’unico di quattro cuccioli che riesce a sopravvivere in una grotta delloYukon, sopra un torrente, lontano da ovunque. Dentro la tana inaccessibile, il piccolo lupo vieneal mondo generato da colei che viene semplicemente presentata come ‘la lupa’. Solo in seguitoscopriamo che ‘la lupa’ è Kiche, figlia di un lupo e di un cane, una femmina agguerrita e astuta,già di proprietà del capotribù Castoro Grigio. Zanna Bianca nasce nel Wild e nasce lupo con den-tro il codice genetico del cane: quest’altro archetipo alla fine prevarrà dopo una lunga storia for-mativa fatta di durezza e amore, rinuncia e crudeltà. Anche “il padre di Zanna Bianca è un arche-tipo, ma il vecchio lupo grigio Occhio Solo, sopravvissuto a mille battaglie e alla furia della natu-ra selvaggia, diventa il simbolo della vita che sopravvive a sè stessa, del Wild che scorre dallegenerazioni che lo hanno preceduto a quelle future” (cit. Davide Sapienza). Una splendida occa-sione per avvicinare anche i più piccoli a questo capolavoro della letteratura (età di lettura: da 6anni)Se il bosco potesse parlare, racconterebbe di due ragazzi che amavano respirare il profumo dellaresina. Se le montagne e i sassi avessero voce, direbbero che lassù, dove le cime graffiano il cielo,a volte il respiro si ferma. Come quello di Giacomo, bloccato dalla terra che all’improvviso frana;come quello del suo più caro amico, che preferisce non ricordare il proprio nome, perché da quan-do la montagna si è sgretolata niente ha più senso. E parlerebbero anche del respiro di Chiara,amica preziosa che ama i boschi solo in cartolina. Non bastano le parole di genitori, professori oamici per riempire un vuoto che sembra incolmabile: Giacomo se n’è andato e ha portato via ilsole. Vivere ancora sembra impossibile, se non passando attraverso ciò che è accaduto. Passandodi nuovo attraverso il bosco. Quello della scrittrice milanese Laura Bonalumi è un libro dedicatoai ragazzi tra gli 11 e 13 anni ed è un libro “per chi odia gli adulti che hanno sempre ragione, perchi non ha paura di mettersi alla prova, per chi ama l’avventura e vuole andare lontano”. La let-tura corre via liscia, carica di emozioni così dettagliate che sembra di viverle davvero: è un libroche tocca il cuore Voce di Lupo. “Ho odiato questo posto perché mi ha mostrato la fragilità dellavita e mi ha tolto l’amicizia, così, all’improvviso. Ma adesso sono qui e quello che mi circondanon mi fa più paura, anche se non riesco a trattenere le lacrime. Piango perché […] la bellezzadella montagna, il canto dell’acqua che corre tra i sassi laggiù, lo sguardo di Jack mi dicono cheil mondo è un posto meraviglioso dove la vita non finisce mai”. Cambio completamente registronel parlarvi dell’ultimo libro che ho deciso di presentare. Fa parte di una collana edita da ElleEdizioni chiamata Un libro da scoprire. Si tratta di una serie di volumetti dedicati ai più svariatiargomenti, tra cui anche il lupo, costruita in modo che il contenuto possa essere letteralmente sco-perto pagina dopo pagina: lucidi, pagine buie…ogni volta che si sfoglia una sorpresa ci attende!Non sono da meno i contenuti tecnico-scientifici che aiutano i piccoli lettori – ma non solo- aconoscere sempre più il mondo che ci circonda!! Voglio concludere questo numero con una pro-posta nuova. Pensate che bello sarebbe se, dopo aver tanto letto con i vostri ragazzi di lupi, delloro habitat, di come vivono proponeste loro di vivere una vera avventura alla ricerca di questisplendidi animali. A tal proposito allora vi segnalo il Trekking del Lupo, un percorso ad anello chepercorre sulle orme del lupo due parchi naturali: quello delle Alpi Marittime (Piemonte) e quellodel Mercantour (Francia). Per maggiori informazioni vi rimando al sito www.planetmountain.com.

Non mi resta che augurarvi buona lettura a tutti

da Elena Ferri, mamma, educatrice, amante della montagna.

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BIBLIOTECA

Mont Blanc freeride. Ediz. italiana, inglese e francese,Domenico Giusti, Giorgio Passino,

Idea Montagna

Il Monte Bianco è da sempre la mecca ita-liana del freeride ed è ogni anno la meta dimigliaia di sciatori che fanno base aCourmayeur e Chamonix per poternegodere a pieno i panorami e misurarsi conle esperienze e le sfide che questa monta-gna sa regalare. La guida si propone d’es-sere un valido ausilio per chi si approcciaal freeride intorno al Monte Bianco. Ilvolume descrive 48 itinerari, con diversigradi di difficoltà, nelle vallate diCourmayeur e Chamonix. In alcuni casi gliitinerari sono serviti da impianti di risalita,in altri è previsto l’uso delle pelli di foca.Per la prima volta in un libro, gli itinerarisono descritti e fotografati anche con pro-spettiva POV (Point of View) dello sciato-re, con l’obiettivo di portare il lettore “nel-l’itinerario” e spiegargli, per quanto possi-bile, l’ambiente e le difficoltà della discesache dovrà affrontare.

Sport climbing in Arco. Ediz. inglese, tedesca e italiana,

Vertical-life

Seconda edizione di Best of Arco. MatteoPavana, arrampicatore e fotografo si occu-pa di aggiornare ed ampliare la guida conben 51 aree nuove, di cui undici inedite.Ricordiamo le nuovissime vie “Bus deVela” e “Volta di No”. Le 122 falesie sonosuddivise in cinque aree: Arco, Valle delSarca, Valli Giudicarie, Trento, Rovereto,corredate di foto, mappe e info tecniche.

Guida alla via degli dei. Da Bologna a Firenze e ritorno,

Simone Frignani, Terre di Mezzo

A piedi o in bici da piazza Maggiore a piaz-za della Signoria: sei giorni lungo i basola-ti romani della Flaminia Militare, immersinei boschi secolari di faggi e castagni, sfio-rando cime dedicate ad antiche divinità,come il Monte Adone e il Monte Venere.Tra le principali attrattive dell’Appennino,la Via degli Dei è la meta perfetta per gliamanti del trekking e della mountain bike.Una guida completa, con il tracciatodescritto in entrambe le direzioni, le mappedettagliate, le altimetrie, i dislivelli e leindicazioni su dove dormire (anche intenda).Inoltre, gli approfondimenti storici e artisti-ci e le località più significative da visitare.

Bouldern in Südtirol. Bouldering nel Sudtirolo.

Ediz. italiana e tedesca,

Vertical-life

l’AVS e Vertical Life presentano 22 areeboulder, tra cui alcune mai menzionateprima d’ora. Tra vigneti o di fronte almagnifico paesaggio delle Dolomiti: IlBouldering in Alto Adige si prospetta varioed interessante come il territorio. La guida,contenente foto su foto a colori, descrizio-ni dettagliate ed immagini spettacolari, for-nisce informazioni chiare in italiano e tede-sco. Tutti i contenuti sono anche disponibi-li nell’App Vertical-Life Climbing.

Il sogno delle mappe. Piccole annotazioni sui viaggi di carta,

Paolo Ciampi, Ediciclo

“Le mappe sono un modo di organizzare lasorpresa”, scriveva Bruce Chatwin. Cisono i mappamondi su cui ancora oggi ibambini sognano e ci sono i sogni che lemappe dei sentieri alimentano in ogni cam-minatore, non importa di quale età. Ci sonogli antichi atlanti di un mondo che attende-va di essere scoperto e ci sono le carte cheancora oggi accompagnano il viaggiatore,nell’epoca dei Gps e di Google Earth.Malgrado le tecnologie digitali e una geo-grafia di cui si vorrebbe fare a meno conti-nuano a sedurre, emozionare, narrare. Lemappe sono la nostra isola del tesoro, e inesse è ancora possibile ritrovare noi stessie i nostri viaggi.

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Il Granito della Val Genova. Boulder e arrampicata sportiva nel cuoredel parco dell’Adamello-Brenta,

Silvestro Franchini Thomas Morandi,

Alpine Studio

Dal paese di Carisolo, verso ovest, ha ini-zio un piccolo mondo fantastico. Una pic-cola strada carreggiata si addentra in unambiente alpino incontaminato e di rarabellezza. Una vallata quella della ValGenova che si estende dal paese diCarisolo fino alla Piana di Malga Bedole,su una strada che nella seconda partediventa privata e con traffico regolamenta-to. In questo percorso si incontrano nume-rose valli secondarie, dei selvaggi bastionid’accesso alle montagne più alte del grup-po dell’Adamello e Presanella. Tra di essela Val Siniciaga, la Val di Lares, la Val diFolgorida, la Val Cercen, Val Gabbiolo, ValRocchette e la Val Nardis. Per gli amantidei boulder, la valle è disseminata ovunquedi blocchi di granito, per tutti i gusti. E laloro scoperta e valorizzazione è soloall’inizio.

Simboli della montagna,

Franco Brevini, Il Mulino

Questo è un viaggio attraverso l’immagi-nario della montagna. Per la prima volta ilmondo delle vette viene raccontato attra-verso i suoi simboli. Sono le rappresenta-zioni, le icone, le figure, gli emblemi concui nel corso dei secoli la montagna èvenuta rivelando le sue infinite sfaccettatu-re. Si parte dagli animali: l’aquila, lo stam-becco e il camoscio, il cervo, espressionidella wilderness. Si prosegue con ilCervino, che esalta la vetta come altezza,slancio, perfezione. E poi lo chalet svizze-ro, l’Edelweiss, Heidi, fino a giungereall’attrezzo-simbolo della piccozza, emble-ma di sfida e di ardimento. Dalla letteratu-ra alla pubblicità, dagli stemmi dei clubalpini ai canti di montagna, dalla storia allecronache, uno sguardo esemplare sullaciviltà del verticale.

Appennino atto d’amore. La montagna a cui tutti apparteniamo,

Paolo Piacentini, Terre di Mezzo

“Se qualcuno, in questo momento storico,mi dovesse chiedere a quale partito o areapolitica appartengo, gli risponderei cheappartengo all’Appennino.” Una fuga temporanea per uscire dalla rou-tine stanca e inconsapevole e attingereall’energia vitale del cammino. Oltre ilvelo che offusca i propri desideri, allaricerca del senso profondo dell’esistere:l’amicizia, l’amore per la montagna, i suoipaesaggi, la sua gente, i luoghi che si spo-polano e i giovani che ritornano. Un’avvincente traversata lungo la spinadorsale dell’Italia, da nord a sud, nellosplendore delle terre alte.

Orario invernale (dal 10 settembre)lunedì - mercoledì - venerdì: 21-22.30

martedì - giovedì: 15.30 - 18.30sabato: 15.30 – 18.30

Festivi1 novembre, 8 dicembre,

24-25-26 dicembre

chiusura di nataledal 29 dicembre al 5 gennaio

Per informazioni scrivete a [email protected]

BIBLIOTECA

Ultimi ArriVi

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41di Giancelso Agazzi

Il 29 luglio 2018 in 19 rifugi del ClubAlpino Italiano é stata organizzatauna campagna di sensibilizzazionesull’ipertensione arteriosa e sugli

effetti cardiovascolari dell’ascesa a quotemoderate – alte, promossa dalla SocietàItaliana dell’Ipertensione Arteriosa, dalClub Alpino Italiano (CommissioneMedica) e dalla Società Italiana dellaMedicina di Montagna e sostenuta organiz-zativamente dall’Istituto AuxologicoItaliano di Milano e dall’Università diMilano-Bicocca. Sono stati scelti rifugi sit-uati a quote superiori ai 2000 metri.L’ipertensione arteriosa, detta “il killersilenzioso” per la sua asintomaticità, èancora oggi il principale fattore di rischioper malattie cardiovascolari in tutto ilmondo, e colpisce circa il 40% della popo-lazione adulta occidentale. Per prevenire ilverificarsi di eventi cardiaci e cerebralispesso fatali o invalidanti, occorre quindiprestare maggiore attenzione al comporta-mento della pressione arteriosa in diversecondizioni della nostra vita quotidiana.Studi recenti dell’Istituto Auxologico

Italiano e dell’Università di Milano-Bicocca hanno chiaramente dimostratocome la pressione arteriosa salga in modosignificativo durante esposizione ad altaquota (sopra i 2500 metri), iniziando amodificarsi anche in caso di salita ad altitu-dini moderate (attorno ai 1800-2000metri). Questo si verifica in soggetti nor-mali e anche in pazienti già affetti daipertensione arteriosa, sollevando così ilproblema di come mantenere la pressionecontrollata anche quando si salga in quota,per garantire un approccio alla montagnasicuro e privo di rischi per l’apparato car-diovascolare.Dato che, soprattutto in estate, il numero dipersone, con o senza problemi cardiovasco-lari, che salgono in montagna è molto alto,SIIA, CAI e SIMeM hanno deciso di orga-nizzare una campagna di informazione suquesti temi. La campagna di sensibiliz-zazione e di prevenzione “La PressioneArteriosa In Montagna”, “Blood pressure atmoderate and high altitude” ha come scopopromuovere in chi si avvicina alla montagnala consapevolezza sulle reazioni dell’appa-rato cardiovascolare a quote moderate e alte.L’iniziativa dura ormai da tre anni.

Oltre a questo obbiettivo di divulgazionescientifica tra gli escursionisti e gli alpin-isti, la campagna ha anche l’obiettivo dieffettuare una semplice, ma importanteraccolta di dati per ricerca scientifica sulcomportamento della pressione arteriosa inmontagna e sul profilo individuale di ris-chio cardiovascolare tra gli escursionisti. Aquesto scopo sono state istituite postazioniin 19 rifugi di montagna che hanno decisodi partecipare all’iniziativa, sulle Alpi inItalia e sugli Appennini, dove gli escur-sionisti hanno potuto ricevere infor-mazioni sul rapporto tra pressione arteriosae montagna, misurare la propria pressionearteriosa, frequenza cardiaca e saturazionedi ossigeno nel sangue, e compilare unbreve questionario non solo contribuendoalla ricerca scientifica (in modo anonimo),ma anche verificando in modo semplice erapido la propria condizione di rischio car-diovascolare e la proprio reazione allaesposizione a quote moderate o alte.“Questa iniziativa, nata grazie allo sforzocongiunto della Società Italiana control’Ipertensione Arteriosa (SIIA), dellaSocietà Italiana di Medicina di Montagna(SIMeM) e della Commissione MedicaCentrale del Club Alpino Italiano, e speri-mentata con successo in alcuni rifugi alpi-ni e appenninici già nel 2016. rispecchiapienamente la principale missione delleorganizzazioni promotrici: aumentare laconsapevolezza di tutti sui rischi legatiall’ipertensione e promuovere la sicurezzain montagna” sottolineano il ProfessorGianfranco Parati, Presidente della SIIA, ilDr. Luigi Festi, Presidente dellaCommissione Medica Centrale del CAI, eil Dr.ssa Lorenza Pratali, Presidente diSIMeM.

Domenica 29 luglio, domenica 12 agosto(Rifugio Casati), domenica 19 agosto edomenica 2 settembre (Rifugio Sette Selle,Lagorai), giornate di sensibilizzazione supressione arteriosa e montagna.L’evento è stato organizzato congiunta-mente dalla Società Italianadell’Ipertensio ne Arteriosa (SIIA), dallaCommissione Medica del Club AlpinoItaliano in collaborazione con la SocietàItaliana di Medicina di Montagna(SIMeM).Sensibilizzare i frequentatori della mon-tagna rispetto all’effetto dell’ipossia (man-

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Giornata ipertensionenei Rifugi CAI 2018

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SOTTOSEZIONI

SALITA IN CONTEMPORANEA DELLE CIME OROBICHECAI GRUPPO VALCALEPIO

In occasione del 40° anniversario di fonda-zione, 1978-2018, il nostro gruppo ha deci-so di organizzare una salita in contempora-nea di 40 cime delle Orobie. Abbiamo quin-di coinvolto una settantina di nostri soci chenella domenica 9 settembre sono saliti sullepiù importanti cime della nostra catenamontuosa, dal Pizzo Coca al Monte Misma,dalla Presolana al Bronzone, dal Resegoneal Pizzo Camino solo per fare alcuni nomi. Verranno poi raccolte tutte le foto divetta e riunite in un poster che, esposto nella nostra sede, ricorderà questa bellagiornata di montagna.

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COMMISSIONE MEDICA

canza di ossigeno) in alta quota su eventu-ali patologie cardiovascolari, in particolareper quanto riguarda l’ipertensione arte-riosa. È questo l’obiettivo dell’iniziativaorganizzata da Club Alpino Italiano, dallaSocietà Italiana dell’Ipertensione Arteriosae dalla Società Italiana di Medicina diMontagna (SIMeM) nella giornata didomenica 29 luglio e domenica 12 agosto,19 agosto e 2 settembre in 19 rifugi, doveper l’occasione escursionisti e alpinistihanno avuto modo di misurare la pressionearteriosa dalle ore 9 alle ore 17. Per ognisingola misurazione è stato compilato unquestionario ed è stata misurata la per-centuale di ossigeno nel sangue, in modonon invasivo, per valutare eventuali stati diiniziale ipossia.L’iniziativa si basa sui risultati recenti dellaricerca sugli effetti cardiovascolari dellaesposizione acuta all’alta quota, in granparte basati su una serie di studi effettuatinell’ambito dei progetti HIGHCAREsull’Everest, sulle Ande e sulle Alpidall’Istituto Auxologico Italiano di Milanoe dall’Università Milano-Bicocca. Questistudi hanno dimostrato che l’esposizioneacuta alla ipossia (ridotta disponibilità diossigeno) che caratterizza l’alta quota puòfar salire la pressione arteriosa in modosignificativo, sia in chi solitamente ha unapressione normale, sia nei oggetti che giàsoffrono di ipertensione arteriosa, con dif-ferenze legate ad alcune caratteristicheindividuali tra cui l’età. Conoscere il com-portamento della pressione in quota puòpertanto consentire a chi ama la montagnadi effettuare ascensioni con maggioresicurezza, mettendo in atto semplici misureprotettive adeguate in collaborazione con ilproprio medico e/o presso ambulatori spe-cializzati coordinati da SIIA e CAI.La prestigiosa collaborazione tra laCommissione Medica del CAI, la SocietàItaliana di Medicina di Montagna, laSocietà Italiana dell’Ipertensione Arteriosaha offerto la possibilità di organizzare unevento a valore sia educativo sia scientifi-co, di sicura utilità per alpinisti ed escur-sionisti. All’iniziativa ha partecipato anchela Commissione Medica del CAI Bergamo.

I rifugi nelle Alpi e sugli Appennini coin-volti sono stati:Domenica 29 luglioRifugio Città di Mantova (Località

Garstelet, Gressoney-La-Trinité - AO)Rifugio Teodulo (Località Breuil Cervinia,Valtournenche - AO) Sezione CAI diTorino Rifugio Torino (LocalitàCourmayeur - AO) Sezione CAI di TorinoSaletta Comunale PILA 2000 (LocalitàPila Gressan – AO) Rifugio Città diChivasso (Località Colle del Nivolet,Ceresole Reale – TO) Rifugio Bolzano alMonte Pez (Località Fiè allo Scilar - BZ)Sezione CAI di Bolzano Rifugio FranzKostner al Vallon (Località Vallon,Corvara - BZ) Sezione CAI di BolzanoRifugio Segantini (Località Malga Vallinad’Amola, Val Rendena, Giustino - TN)Rifugio Vioz Mantova (Località Peio – Valdi Sole – TN) Rifugio Berti (LocalitàVallon Popera, Comelico Superiore,Casamazzagno – BL) Rifugio Gherardi(Località Pizzino,Val Taleggio - BG)Sezione CAI di Bergamo Rifugio Albani(Località Colere, Valle di Scalve - BG)Sezione CAI di Bergamo RifugioFranchetti (Località Prati di Tivo,Pietracamela, Gran Sasso - TE) Sezione

CAI di Roma Rifugio Duca Degli Abruzzi(Località Campo Imperatore, Gran Sasso -AQ) Sezione CAI di Roma RifugioMassimo Rinaldi (Località Micigliano,Monte Terminilletto – (RI) Sezione CAI diRieti

Domenica 12 agosto Rifugio Casati(Località Passo Cevedale, Valfurva - SO)Domenica 19 agosto e domenica 2 settem-bre il Rifugio Sette Selle nel Lagorai (TN)

L’iniziativa ha riscosso molto successo,con una bella giornata di sole e con moltisoggetti che si sono resi disponibili neirifugi per misurare la pressione arteriosa.La sera di sabato 28 luglio il Prof.Gianfranco Parati ha tenuto una conferen-za presso il Rifugio Albani in Val di Scalve(BG), ai piedi del massiccio dellaPresolana, per parlare di ipertensione emontagna. All’evento hanno partecipatomolti alpinisti ed escursionisti presenti alrifugio che, alla fine dell’evento, hannofatto molte domande.

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di Giancelso Agazzi

Sono stato al cinema delle Alpi diTemù in occasione di “Alps”, il 3°Festival del Cinema di Montagnadelle Alpi, per assistere alla

proiezione del secondo lungometraggio diReinhold Messner intitolato “HolyMountain”(la montagna sacra).- “Ho usatoil cinema per la seconda volta come story-teller della montagna”- ha commentatoReinhold Messner nel corso della 66a edi-zione del Trento Film Festival” dopo aver-lo fatto con musei e libri, e ho voluto nar-rare con le immagini una delle montagnepiù maestose, l’Ama Dablam in Nepal, perrivivere un memorabile salvataggio (1979)da parte del mio team di una spedizioneneozelandese in grave pericolo”. Il film éambientato in Nepal e racconta alcuni fattiaccaduti in passato sull’Ama Dablan,detto, per la sua forma, il Cervinodell’Himalaya (6814 m), una montagnasimbolo. Per la popolazione locale si trattadi una montagna sacra, protetta dagli dei-spiega il grande alpinista sud-tirolese. Ilfilm racconta il salvataggio di PeterHillary, figlio di Edmund Hillary, il primosalitore dell’Everest, lungo la parete suddella montagna. Il film inizia con leimmagini del passaggio degli Sherpa dal-l’est del Tibet alla Valle del Khumbu, attra-verso il Nangapa La, un passo alto, portan-do con ventimila yak. Entrarono in unaregione che non era mai stata violata dal-l’uomo. Solo verso fine Ottocentoarrivarono gli occidentali. Gli Sherpa cos-tituiscono un popolo vero e proprio, fattonon solo di guide e portatori al serviziodelle spedizioni internazionali. Due alpin-isti inglesi nel 1959 salirono fino a circaduecento metri dalla vetta della montagnae, poi, scomparvero in mezzo alla nebbiasenza più essere ritrovati. Secondo unaleggenda gli dei della vetta della montagnal’avrebbero fatta tremare, facendo precip-itare i due alpinisti. Nel 1961 venne orga-nizzata una spedizione scientifica da

Hillary padre. In realtà lui si trovava inAmerica per fare una serie di conferenze.Alcuni alpinisti della spedizione deciserodi salire la montagna senza averne l’autor-izzazione. Accadde un incidente diplomati-co e Edmund Hillary appena atterrato aKathmandu venne fermato dalla polizianepalese e costretto a pagare una multa.Nel 1979 il figlio Peter Hillary riuscì adavere il permesso per salire la montagnasacra lungo la Mingbo Wall. Furono quat-tro gli alpinisti a tentare la scalata, ma,durante la salita alcuni blocchi di ghiaccio

di grosse dimensioni precipitarono sullacordata, ferendone tre, che rimasero attac-cati a uno sperone di roccia e che tentaronodi scendere molto lentamente. ReihnoldMessner e Oswald Olz, medico e alpinistasvizzero, compagno di scalata di Messner,che si trovavano al campo base, andaronoincontro agli alpinisti in difficoltà, nonos-tante le condizioni estreme della salita: lacaduta di grossi sassi e il pericolo del crol-lo di seracchi dall’alto. Il soccorso riuscìincredibilmente senza conseguenze. Sidisse che l’incidente fosse stato la vendettadella montagna nei confronti di EdmundHillary che si era ribellata contro la salitaclandestina del figlio. Nel film ci sono ledue visioni dei fatti accaduti sulla mon-tagna: quella della popolazione locale equella degli alpinisti occidentali. Messnerdescrive con estrema veridicità come sisono svolti i fatti, senza esprimere deigiudizi. Nel film compare la figura diOswald Olz, medico e alpinista svizzero,già protagonista del precedente film diMessner “Still alive”, ambientato sulmonte Kenya. È piacevole il suo resoconto,sotto forma di intervista, di quei tragicifatti. Una dimostrazione di grande solidari-età tra alpinisti. Simon Messner, figlio diReinhold, impersona nel film la figura delpadre, indossando gli indumenti originali,gli stessi del genitore, forniti dallaFondazione Fila Museum di Biella. Pergirare il film Messner ha voluto ricorrere aalpinisti veri ed esperti, e non ad attori pro-fessionisti. Le immagini sono molto belle,un intreccio di filmati d’archivio e di reper-torio e di riprese più recenti nello straordi-nario ambiente himalayano. Il concetto dimontagna sacra é ben diverso a secondadelle tradizioni e della cultura locali. Gliabitanti del luogo la considerano inviola-bile, gli alpinisti occidentali, invece, l’han-no voluta salire e ne hanno portato graviconseguenze. In bilico tra la fiction e ildocumentario, il lungometraggio é senz’al-tro godibile e non solo dagli appassionatidi montagna.

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Holy MoUntAin

“Una dimostrazione

di grande solidarietà

tra alpinisti

MONTAGNA IN PELLICOLA

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