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MADAMA LOUISE OBIETTIVO STUDENTE DALL’11 NOVEMBRE LA VALUTAZIONE DEI PROFESSORI AVVIENE ONLINE. ECCO PERCHÉ IL NUOVO QUESTIONARIO (ANONIMO) È COSÌ IMPORTANTE HDEMIA «AUTORITRATTO» Nasce lo spazio libero sul web che valorizza il tuo pensiero HDEMIA ROBERTO COSTANTINI Dirigente del nostro ateneo, romanziere di grande successo VIP GUIDO GENTILI Le declinazioni del coraggio per l’editorialista del «Sole» L’OPINIONE NOVEMBRE - DICEMBRE 2013 IL GIORNALE DEI LUISSINI

IL GIORNALE DEI LUISSINI MADAMA · 2017-07-25 · Ho avuto modo più volte, in questi due mesi, di parlare pub-blicamente del nostro giornale. Presentandolo come uno degli strumenti

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MADAMALOUISE

OBIETTIVO STUDENTEDALL’11 NOVEMBRE LA VALUTAZIONE DEI PROFESSORI AVVIENE ONLINE.ECCO PERCHÉ IL NUOVO QUESTIONARIO (ANONIMO) È COSÌ IMPORTANTE

HDEMIA

«AUTORITRATTO»

Nasce lo spazio libero sul webche valorizza il tuo pensiero

HDEMIA

ROBERTO COSTANTINI

Dirigente del nostro ateneo,romanziere di grande successo

VIP

GUIDO GENTILI

Le declinazioni del coraggio per l’editorialista del «Sole»

L’OPINIONE

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013IL GIORNALE DEI LUISSINI

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MADAMA LOUISE

SOMMARIO

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

EDITORIALE 3

HDEMIA 4

L’OPINIONE 15

L’OPINIONE 20

VIP 8

OMNIA attualità 11

OMNIA storia 12

OMNIA economia 13

ATLANTE 16

CINQUE CERCHI 18

UNA PAGINA PER DUE 10

DIRETTORELUCA BELLARDINI

CAPOREDATTORIVIRGILIO CORGIOLU

ANTONELLO RACANO

SEGRETERIA DI REDAZIONEELEONORA CIELO

RESPONSABILE GIURISPRUDENZAROBERTO ZAMBIASI

RESPONSABILE IMPRESA E MANAGEMENT

SAMMY BUETI

RESPONSABILE ECONOMIA E FINANZAMATTEO CANGIANO

RESPONSABILE SCIENZE POLITICHE ART DIRECTOR

FRANCESCO LUCIANÒ

GRAFICA E IMPAGINAZIONEROBERTO RIGHETTI

RESPONSABILE STAMPA E DIFFUSIONEMARCO SILVESTRI

RESPONSABILE INTERNETGIOVANNI ALVARO

EVENTI E PUBBLICHE RELAZIONIPAOLO IERVOLINO

HANNO COLLABORATO Francesca Pedace, Giulia De Vendictis, Lorenzo Petrone, Andrea D’Addazio, Giorgio Cappiello, Rocco Ruggiero,

dott. Guido Gentili, Davide Ferrarini, Totò Scaletta, Riccardo Setth, dott. Luigi Serra

[email protected]/madamalouise

@madamalouise

«MADAMA LOUISE»Magazine gratuito a distribuzione interna,

è un progetto degli studenti della LUISS Guido Carli finanziato dalla Co.Di.S.U.

Stampato da Pioda Imaging s.r.l. – RomaViale Ippocrate, 154 – tel. 06 4470 1500

Viale Romania, 25 – tel. 06 8088 276

«All Around Luiss» ha nuo-vi amici: è recente il gemel-laggio con l’«Association européenne de la Fld», at-tiva a Lilla in quella che è la prima law school privata di Francia. Oltre a eventi stu-denteschi, il gruppo orga-nizza conferenze formative – su argomenti giuridici e politico-economici – all’in-segna del motto: «Ascoltare i leader di oggi, diventare quelli di domani».

ULTIMISSIMA

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EDITORIALEa cura diLUCA [email protected]

UN FUOCO DA TENERE ACCESO

IL DIRETTORE

Non sono trascorsi neppure due mesi da lunedì 23 settembre, quando abbiamo rilanciato Madama Louise in occasione della Giornata della matricola. È merito vostro, però, se possiamo già cantar vittoria (gridando quasi al miracolo, visti i mezzi limitati di cui disponiamo). È merito delle decine di persone che in quell’afosa giornata si sono interessate al nostro giorna-le, avvicinandosi allo stand e parlando coi redattori; dei tanti che ci seguono su Internet; di coloro che a vario titolo – e per motivi diversi – ci hanno espresso congratulazioni e apprez-zamenti: non solo aderenti a «All Around», né soltanto nostri amici. Perché la promessa del primo numero («Non rappre-senteremo mai una cerchia ristretta») è stata mantenuta: al nostro fianco – ora – non abbiamo solo coloro con cui abbia-mo iniziato quest’avventura, ma tanti altri ragazzi che scrivo-no con passione. Tante matricole – meritevoli e volenterose – che non vedono l’ora di farsi strada in un ambiente sano e produttivo, capace di arricchire tutti, in cui la competizione è il valore aggiunto. Intendevamo diffondere l’entusiasmo con-tro l’apatia, la volontà contro il distacco, la qualità contro l’ap-prossimazione: ci siamo riusciti, e credo sia evidente a tutti. Ho avuto modo più volte, in questi due mesi, di parlare pub-blicamente del nostro giornale. Presentandolo come uno degli strumenti più utili al servizio dei luissini che hanno voglia di fare, come la dimostrazione tangibile di quanto di buono il nostro ateneo riesca a produrre, come uno dei risultati mi-gliori del nostro desiderio – e della nostra capacità – di capire il mondo. Ho sempre pensato che sia un mezzo per tenere alto il nome della nostra università: dando spazio alle voci auto-revoli che in Luiss ricoprono incarichi accademici o dirigen-ziali, ma soprattutto portando all’attenzione degli studenti (in particolare dei primi anni) i notevoli successi e le folgoranti carriere dei loro colleghi “maggiori”. Donne e uomini cui tutti

dovremmo ispirarci: autentiche stelle polari per il nostro cam-mino. «Contaminatevi di voglia, di sogni, di opportunità»: è con queste parole – pronunciate dal dg Lo Storto al tavolo delle or-ganizzazioni studentesche, lo scorso 30 ottobre in viale Pola – che potremmo riassumere lo spirito della nostra redazione. E badate bene: non è semplicemente un auspicio; non è il motto cui vorremmo ispirarci. È un invito che in queste settimane abbiamo già fatto nostro; è l’orizzonte ideale che anima le no-stre attività quotidiane. Sempre il Direttore Generale – inter-venendo alla presentazione della nostra testata, il 17 ottobre in viale Romania – ci ha raccomandato di avere come riferi-menti «bellezza» e «passione». La bellezza è nel fare gruppo e rimanere uniti, nello svolgere un’attività apprezzata da tutti, nel confezionare un prodotto gradito a molti. E la passione non è solo ciò che ci spinge ad agire, ma quello che vorremmo trasmettere con le nostre azioni: sperando di contagiare tutti perché l’inerzia – in uno straordinario coacervo di occasioni come il nostro ateneo – è forse più di un difetto o un errore. È una colpa.Finora, quindi, un bilancio estremamente positivo. Ma non potremmo mai dormire sugli allori: le sfide che ci attendo-no non sono meno importanti né più semplici di quelle già vinte. Mediocrità, qualunquismo e appiattimento – ovunque e in ogni contesto, ma soprattutto in questa Italia – sono sem-pre dietro l’angolo. Se arrivati a quell’angolo sapremo svoltare nella giusta direzione, se riusciremo a mantenere questa no-stra identità che ci fa essere orgogliosi di ciò che siamo, allora avremo vinto. Ravvivare il fuoco originario per non farlo mai spegnere, tenendolo sempre acceso: questa, ormai, è la nostra missione. E potete giurare che vi adempiremo sino in fondo.

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VALUTARE, PREMIARE, AIUTARE.ALL’INSEGNA DELLA QUALITÀ

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ARRIVA DALL’«UFFICIO STUDI, STATISTICHE E AFFARI GENERALI»IL NUOVO QUESTIONARIO ONLINE CON CUI GIUDICHEREMO I PROF. SEMPLICE, VELOCE, MODERNO. E RIGOROSAMENTE ANONIMO.

È ormai noto che la nostra università si differenzia dalle al-tre per la qualità – nettamente superiore alla media – dei servizi offerti agli studenti: convenzioni, sportelli d’ascolto, organizzazione… Tutti oggetto di una serie di indagini con-dotte dal nostro ateneo. Ogni anno, in aula, i tutor ci hanno somministrato un questionario che ora viene sostituito da un sistema online: quel foglio nascondeva dietro di sé il la-voro dell’intero «Ufficio studi, statistiche e affari generali», di cui è responsabile il dottor Alessandro Lubicz. Fino all’anno scorso, infatti, il sistema di valutazione della didattica consi-steva in un due moduli cartacei somministrati ogni semestre a coloro che erano presenti al momento della rilevazione. Le domande si conformavano al modello del Miur (per ren-dere la rilevazione il più omogenea possibile sul territorio nazionale); nei contenuti non si limitavano a valutare solo la didattica, ma consideravano anche aspetti “collaterali” come aule, apparecchiature, ecc.Nella nostra università, col vecchio sistema cartaceo, l’an-no scorso sono stati raccolti 7.483 questionari riferibili al 42,69% degli iscritti. Da quest’anno, invece, compilare il questionario va di pari passo con la prenotazione degli esa-mi: si può riempire il modulo di valutazione della didatti-ca do-po i due terzi delle lezioni, cioè a partire dall’11 no-vembre; e solo dopo averlo inviato ci si può prenotare agli appelli. «Adottare il nuovo sistema online comporta un’analisi più veloce, un più veritiero campione di rispon-denti e un risparmio notevole in termini economici e am-bientali. 30mila euro di minori spese», dichiara Lubicz. Altre innovazioni riguardano l’assetto stesso del questionario:

LA SQUADRAInsieme a Lubicz, dell’Ufficio fanno parte Laura Cola-franceschi (valutazione della didattica), Cristiana Ca-robolante (servizi d’ascolto), Brunella Bonito (suppor-to al nucleo di valutazione) e Rosa Fasano, nonché gli psicologi Elena Roveglia e Dario Fusco Femiano.

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HDEMIANOVEMBRE - DICEMBRE 2013

MADAMA LOUISE

a cura diFRANCESCA PEDACE

il vecchio documento cartaceo constava di 37 domande; quel-lo nuovo – elaborato sulla base del modello Anvur – si com-pone di 11 quesiti per i frequentanti e di 6 per chi è stato poco a lezione. È probabile che dall’anno prossimo si aggiungano rilevazioni su altri aspetti della didattica; al posto del vecchio questionario verde si potranno invece segnalare – da un elen-co a scelta multipla – alcuni suggerimenti. La compilazione del questionario è obbligatoria, inserire i suggerimenti no. Badate bene, cari colleghi, che – sebbene per compilarlo si acceda al sito Luiss con le proprie credenziali – il questiona-rio è assolutamente anonimo: dopo averlo riempito, infatti, i dati inseriti e le generalità dello studente entrano a far parte di due banche-dati del tutto separate; ed è impossibile risalire all’autore. Sulla base dei risultati il management Luiss pren-de provvedimenti in merito al rinnovo dei contratti o a come allocare le risorse umane: per esempio, se un prof ha avuto molti giudizi negativi si eviterà di affidargli nuovamente quel corso, perché magari “rende” meglio in al-tre materie o con studenti di età differente.Ma l’«Ufficio studi, statistiche e affari generali» non è solo que-sto. Promuove anche diversi progetti fra cui «Luiss ti ascolta»: nato nel 2008, è un servizio di consulto psicologico per perio-di depressivi, crisi d’ansia, attacchi di panico, blocchi da esa-me, ecc. Il servizio si avvale di due psicoterapeuti: ad alcuni incontri preliminari (da uno a tre, ciascuno di 50 minuti) può

seguire un ciclo di 3-8 sedute; e nei casi più gravi si ricorre a specialisti esterni. Poi c’è «No panic», di recente creazione, che conta sugli stessi professionisti di «Luiss ti ascolta» ma è anco-ra in via sperimentale. Si tratta di uno sportello attivo solo nel periodo degli esami, di cui però è in corso un ripensamento: perché è giusto aiutare chi rimane indietro, ma la vocazione del nostro ateneo rimane quella di valorizzare il merito e le eccellenze. Insomma, l’obiettivo è che tutti si laureino in tem-po e con un buon voto. A tale scopo l’ufficio del dottor Lu-bicz intervista periodicamente i fuoricorso: le generalità degli intervistati rimangono ovviamente anonime. Da citare anche «Decido consapevole», un servizio di consulenza per i ragazzi delle superiori che non hanno le idee chiare sull’università: si cerca di fare in modo che la scelta sia ragionata, e non neces-sariamente rivolta alla nostra università. Il motivo è chiaro: uno studente non motivato rischia di andare fuoricorso; e per quanto incassare la retta giovi all’ateneo, il danno d’immagine risulta più grave. L’«Ufficio studi, statistiche e affari generali» copre tre grandi aree di attività. La prima riguarda l’operato degli organi col-legiali (Consiglio d’amministrazione, Comitato esecutivo, Se-nato accademico. La seconda compete all’«Ufficio di supporto al nucleo di valutazione» e si occupa di elaborare dossier a partire da indagini riguardanti – per esempio – didattica, ser-vizi agli studenti, prove d’ammissione e situazione occupazio-nale dei laureati Luiss. Su quest’ultimo punto, in particolare, i responsi sono finora molto positivi: il 78% degli oltre 4mila intervistati è occupato a 1 anno dalla laurea. Infine c’è il «Pre-sidio di qualità», al cui vertice è il Rettore: annovera tra i suoi componenti esterni il professor Luigi Biggeri e il dottor Alber-to Meomartini; e definisce le linee guida del sistema interno di assicurazione della qualità dei servizi.Il perché di tutto questa cura è chiaro: al centro dell’università è sempre lo studente. In Luiss, poi, a maggior ragione.

SERVIZI EFFICIENTIUna volta definite dal «Presidio», le linee-guida di as-sicurazione della qualità dei servizi vengono approvate dal Senato accademico e comunicate ai Cdd. I coor-dinatori dei corsi di laurea (ascoltando pure i «Comi-tati di indirizzo») predispongono – per ogni singolo corso – la «Scheda unica annuale» e il «Rapporto di riesame». Questi documenti, condivisi coi Direttori di dipartimento e da essi sottoposti ai rispettivi Consigli, vengono trasmessi al Senato accademico e al Comita-to esecutivo. Infine raggiungono il Miur e l’Anvur, il «Nucleo di valutazione» e le commissioni paritetiche docenti-studenti.

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QUEI RAGAZZI ALLA SCOPERTADI UN SETTORE AFFASCINANTE

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INCONTRI CON GRANDI MANAGER E CONSIGLI PER I COLLEGHI:NATO A MAGGIO, IL «LUISS FINANCE CLUB» È GIÀ UNA REALTÀ.QUANDO STUDIO E PASSIONE FANNO RIMA CON L’IMPEGNO.Diffondere la cultura finanziaria, formare e aiutare nel place-ment i giovani luissini assistendoli nella definizione del per-corso da intraprendere per una carriera nel mondo della fi-nanza e dell’investment banking, del private equity, del venture capital e della corporate finance: sono questi gli obiettivi del Luiss Finance Club (Lfc). Si tratta di un’associazione di studenti della nostra universi-tà, fondata a maggio dall’attuale presidente Patrizio Finicelli (Giulio Alibrandi è il vice). Un sodalizio che già vanta un suo fiore all’occhiello: il programma di «Meeting & Speaking Events», svolto in collaborazione col dipartimento di Econo-mia e Finanza della Luiss. Anna Chiara Di Cerbo e Letizia Ciarcià, responsabili mar-keting dell’associazione, ci spiegano che si tratta di una serie di incontri periodici – generalmente quindicinali, e spesso in lingua inglese – con manager, analysts, responsabili delle risorse umane (prevalentemente di banche d’investimento) – durante cui i protagonisti raccontano le loro esperienze e il loro lavoro. Soffermandosi su indicazioni e consigli molto utili per noi studenti; spiegando cosa vorrebbero leggere nei nostri curri-cula e quali competenze tecniche e linguistiche richiedono le aziende. Tutte informazioni utili per quell’esperienza difficile ed emozionante che è l’anticamera della vita lavorativa: il col-loquio di lavoro. In una seconda parte dell’incontro, invece, gli studenti hanno l’occasione di porre domande al relatore.Tra gli eventi già svolti ricordiamo quelli col senior consultant di Deloitte, Alessandro Cassinis, e il managing director di Ubs, Ferruccio Enrico Ferri. Da segnalare anche il doppio incontro

con Carlo Pirzio Biroli, global co-head private equity & private markets della Deutsche Bank, e Matteo Arpe, presidente e Ceo del fondo di private equity Sator (28 ottobre). Un elenco cui si è aggiunta – lo scorso 11 novembre – la presentazione delle attività di investment banking e dell’in-vestment banking analyst di Citigroup (già protagonista di una videoconferenza di grande successo, cui si è potuto assiste-re comodamente da casa), tenute rispettivamente da Andrea Nappi e Marcello Antoniozzi. Tra gli altri eventi del sodalizio, una particolare utilità riveste una forma di consulenza – cu-rata da Antonio Di Corcia – per gli studenti interessati a un percorso di studi di tipo finanziario. Dispensando consigli ai ragazzi più giovani, gli esponenti del Lfc forniscono informa-zioni sul corso di laurea magistrale in Economia e finanza, aiutando i colleghi a scegliere oculatamente il proprio percor-so di studi e fornendo indicazioni su insegnamenti, esami e libri di testo.Interessante è anche il progetto del laboratorio di analisi fi-nanziaria – grazie al quale si ricevono particolari skills, utilis-sime in una futura carriera – curato da Filippo Pellegrino e al momento ancora in fase di programmazione. L’obiettivo è fornire capacità avanzate nell’uso di determinati software – come Excel, Matlab, Bloomberg, Datastream, Sta-ta – la cui conoscenza costituisce un’abilità tecnica alquanto richiesta. Insomma, per chi è interessato a un percorso nel mondo della finanza, partecipare agli eventi del Lfc potrebbe essere un buon inizio. Anche perché, come recita lo slogan dell’associazione, «il suc-cesso non viene a cercarti. Devi inseguirlo».

HDEMIAa cura diGIULIA DE [email protected]

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HDEMIA

QUANDO LE OPINIONI CONTANO:UN «AUTORITRATTO» DELLE IDEEL’INIZIATIVA DELL’ATENEO, A CURA DELL’UFFICIO STAMPA,SBARCA SU «GOOGLE+»: COSÌ È NATA UNA GRANDE COMMUNITYIN CUI OGNUNO PUÒ DIRE LA SUA, CONTRIBUENDO AL DIBATTITO.

ognuno è libero di aprire un dibattito; nell’assenza di limiti di spazio nella scrittura e, infine, nel funzionamento dei di-battiti stessi. Infatti, oltre alle discussioni che potremmo de-finire «ordinarie» – quelle quotidiane tra i frequentatori della pagina – la Luiss, “proprietaria” della community, promuove periodicamente un dibattito speciale: alla presentazione di un tema di grande rilievo segue il confronto tra le varie voci; e il tutto viene riproposto in un’infografica che riassume l’anda-mento del dibattito attraverso gli interventi più interessanti, mostrando le opinioni espresse e le principali posizioni as-sunte. Arricchisce l’attività dei partecipanti l’hangout, una videoconferenza cui prendono parte – al termine di dibattiti selezionati – gli utenti che hanno fornito le opinioni più si-gnificative, oltre a docenti e ospiti esterni. Il primo di questi hangout – avvenuto il 5 novembre – ha visto un confronto in diretta con Gianni Pittella, candidato alle primarie Pd. Chiunque sia interessato ai temi trattati troverà senz’altro in «Autoritratto» un’esperienza coinvolgente: un ottimo mezzo per informarsi, confrontando le proprie opinioni con interes-santi punti di vista. Perché, appunto, la community vuole «ri-trarre», rappresentare l’opinione degli utenti. Senza nessuna preclusione.

Come si può non essere interessati al dibattito socio-politico e alla condivisione di notizie, idee e opinioni? E come si può non esserlo in tempi come questi, densi di fatti d’attualità e caratterizzati da scontri che – oltre alla naturale contrapposi-zione ideologica – sorgono spontanei sulle scelte dei leader? Per rispondere a quest’esigenza fondamentale, la Luiss lancia sul Web una community dedicata alla discussione politica e all’interazione tra gli utenti, prefiggendosi l’obiettivo di innal-zare il livello del dibattito online e di creare uno spazio in cui il confronto possa essere innanzitutto costruttivo. E proprio a tale scopo è nato «Autoritratto – Lo specchio dell’opinione politica», una pagina che già dopo una rapida visualizzazione non lascia dubbi sul perfetto conseguimento dei suoi propositi. A dimostrare l’importanza di questo mezzo di comunicazione – e a distinguerlo da tutti i suoi simili – sono la varietà di temi trattati, la libera espressione e la serietà degli utenti. Unite a una partecipazione molto attiva, agevola-ta dai mezzi forniti dalla stessa community e dalla presenza di importanti opinionisti e politologi (tra cui personalità come Roberto D’Alimonte, Giovanni Orsina, Michele Sorice e mol-ti altri: non solo docenti Luiss, ma anche esponenti politici e opinion-makers). Le principali differenze tra «Autoritratto» e i suoi più noti omologhi risiedono nell’organizzazione “orizzontale” (diver-samente da quella “gerarchica” dei social e dei blog), poiché

UNO SPAZIO LIBERO«Autoritratto – Lo specchio dell’opinione politica» è nato per iniziativa dell’ufficio stampa Luiss. Una pagina su «Google+» raccoglie i contributi di utenti comuni, professori del nostro ateneo e illustri opinionisti: spes-so vengono proposti nuovi argomenti di discussione, ma ognuno è libero di avviare un nuovo dibattito. Gli autori dei contributi migliori possono avere l’occasione di confrontarsi in videoconferenza (hangout) con gran-di personalità della politica, dell’informazione, dell’u-niversità: la prima volta – il 5 novembre – è intervenuto Gianni Pittella, candidato alle primarie del Pd.

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

a cura diLORENZO PETRONE

MADAMA LOUISE

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ROBERTO COSTANTINI, UNA VITATRA ROMANZO E UNIVERSITÀ

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CLASSE ’52, LAUREA IN INGEGNERIA E MASTER A STANFORD,OGGI È TRA I DIRIGENTI DEL NOSTRO ATENEO. NONCHÉUN GRANDE GIALLISTA CHE SFORNA BESTSELLER. Non capita tutti i giorni di incontrare una persona affermata in campi diversissimi come il management di un ateneo e la scrittura di romanzi gialli. Ma l’ingegnere Roberto Costantini è entrambe le cose: dirigente responsabile dell’«Ufficio orien-tamento, brand awareness e incubatore d’impresa» della Luiss, ha sfondato anche nel difficile mondo della letteratura. Tu sei il male, la sua opera prima, ha vinto il Premio Scerbanenco nel 2011: oggi è un successo planetario, tradotto in tutti i Paesi eu-ropei e prossimamente negli Usa. Anche Alle radici del male – secondo volume della trilogia sul commissario Balistreri – sta ottenendo un vasto apprezzamento: dal pubblico, ma soprat-tutto dalla critica. Insomma, la carne al fuoco è davvero tanta. Ingegner Costantini, da dove cominciamo? «Partirei dall’università. Perché finalmente, per la prima volta dopo tanti anni, c’è una piccola inversione di tendenza nelle iscrizioni. Sono contento per i giovani italiani: è un segnale positivo. Ora gli atenei non deludano i ragazzi, perché forse sta tornando la speranza che la formazione accademica con-duca a uno sbocco lavorativo. Purtroppo, però, le università “ottime” non sono distribuite in modo uniforme sul territorio italiano; e i giovani del Sud devono affrontare un doppio sa-crificio: studiare e spostarsi».Tra queste università “ottime” c’è sicuramente la Luiss. Che – confrontandosi coi migliori atenei pubblici, sovvenzio-nati dallo Stato anziché dagli studenti e dalle loro famiglie – riesce comunque a prevalere: in termini di prestigio, ap-petibilità, risultati. Ingegnere, che cosa offriamo più degli altri?«Be’, i ragazzi hanno la ragionevole certezza che frequentando

la Luiss troveranno lavoro. Un dato sintetizza il nostro fare meglio degli altri: qui a 1 anno dalla laurea la percentuale di occupati è del 78%, quando la media nazionale – per le facoltà di Economia, Giurisprudenza e Scienze politiche – è ferma al 60. Inoltre arricchiamo il curriculum degli studenti grazie a un formidabile centro linguistico e alla possibilità molto concreta – di gran lunga superiore che altrove – di andare in Erasmus; e offriamo una serie di corsi dedicati alla comuni-cazione, al lavoro di gruppo, al sapere negoziare e parlare in pubblico. Nei colloqui di lavoro queste capacità contano enor-memente: forse più della preparazione. E la Luiss ha un corpo docenti fatto in parte di professori, in parte di professionisti che sono al fianco ragazzi nella ricerca del lavoro».C’è un altro dato inoppugnabile: da noi i fuoricorso sono una rarità. E la laurea triennale arriva in 3 anni, a fronte di una media nazionale di 4,6. Perché?

LA NOSTRA FORZA«UN OTTIMO CENTRO LINGUISTICO,

GRANDI CHANCES PER L’ERASMUS;CORSI IN CUI GLI STUDENTI IMPARANOA COMUNICARE, LAVORARE IN GRUPPO,

NEGOZIARE E PARLARE IN PUBBLICO»

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VIP

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«Perché innanzitutto c’è una selezione all’ingresso molto forte. Poi perché mettiamo lo studente nella condizione di non per-dere tempo in cose diverse dallo studio: non ci sono problemi per iscriversi agli esami; non vengono spostate le lezioni né tantomeno gli appelli; le aule sono dimensionate corretta-mente; ogni 8 studenti c’è un tutor. Siccome i genitori versano la retta, noi dobbiamo fare in modo che i loro figli consegua-no la laurea nei tempi previsti; ma se non studiano è meglio che lascino, anziché andare fuoricorso e continuare a pagare. Finendo in tempo, i laureati Luiss arrivano nel mercato del lavoro prima degli altri. E con un curriculum decisamente più completo». Eppure offriamo grandi opportunità anche “a monte” e “a valle” della formazione universitaria: la summer school e

l’incubatore d’impresa, per esempio… «La summer school, per gli studenti del terzo e quarto anno delle superiori, è l’unica vera scuola di orientamento in Italia. Infatti non è rivolta necessariamente alla Luiss: in collabora-zione con altre università, si insegnano anche materie scien-tifiche – come ingegneria e informatica – e addirittura medi-cina. Perché vogliamo che gli studenti abbiano la più ampia possibilità di scelta: capendo ciò che fa veramente per loro, non ciò che vogliono i genitori o altri. L’incubatore d’impresa, invece, è per chi sta uscendo dall’università: insieme a «LVen-ture» – società quotata in Borsa – facciamo in modo che gli studenti Luiss si integrino con quelli delle facoltà tecnologiche di altri atenei, creando insieme idee d’impresa. Selezioniamo queste start up cui affianchiamo tutor, esperti legali e ammi-nistrativi, manager: così gli studenti che vogliono fare impresa hanno subito un loro canale. Poi le idee migliori andranno finanziate: se i ragazzi sono bravi, «LVenture» investe su di loro. Questo interamente con fondi privati, senza neanche un euro pubblico». Ingegnere, passiamo alla sua attività letteraria. Per una vol-ta lettori e critici concordano: i suoi sono grandi romanzi. «E il loro successo internazionale testimonia una particolare attenzione per l’Italia, di cui si parla diffusamente in tutta la mia “trilogia del male”. Gli stranieri sono molto curiosi dei meccanismi di un Paese in cui vengono spesso in vacanza, ma che attualmente riempie le pagine dei loro giornali soprattutto per eventi negativi». Che cosa unisce la trilogia, oltre al protagonista?«Ogni libro è un giallo concluso in sé, ma c’è una storia tra-sversale: il delitto della madre di Balistreri. La morte della si-gnora Italia – in Libia nel 1969 – è un po’ l’inizio della morte dell’Italia come nazione. E in ogni romanzo si mescolano tre diversi piani temporali: gli anni Sessanta, gli anni Ottanta, i giorni nostri». Sul terzo atto della saga di Balistreri può anticiparci qual-cosa?«Vi offro uno scoop: ha appena deciso con l’editore che il prossimo libro – la cui uscita è prevista prima dell’estate 2014 – s’intitolerà Quel che resta del male».

MONDO LUISS«LA SUMMER SCHOOL AIUTA I LICEALI

A SCEGLIERE QUEL CHE PIACE LOROANZICHÉ AI GENITORI O AD ALTRI.E LE MIGLIORI START UP DI ENLABS

RICEVONO I CAPITALI PER LANCIARSI»

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

MADAMA LOUISE

a cura diLUCA [email protected]

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Conosciamoti meglio: personaggio ispiratore; libro, film e canzone preferiti. «Il mio riferimento è Giovanni Falcone. Come libro scelgo 1984 di Orwell, come film Limitless e per la musica tutti gli 883». Il mondo del lavoro è perennemente in fiĕri. Come potreb-be essere quando noi vi entreremo?«Ormai ci sono ben poche certezze. L’unica speranza è affac-ciarsi al mondo del lavoro con una marcia in più rispetto a tutti gli altri, non adattandosi a professioni fatte per scaldare una sedia ma trovando posti che si addicano alle proprie po-tenzialità e che diano ogni giorno lo stimolo di fare sempre meglio».Che cosa pensi della «fuga dei cervelli» all’estero, un feno-meno ormai piuttosto diffuso? «Finché la situazione italiana rimarrà questa, la “fuga” sarà giustificata. Un giovane con grandi speranze e tanta voglia di fare non deve essere legato alle proprie radici; deve essere, invece, sempre alla ricerca di nuove esperienze da cogliere al volo – anche all’estero – per fare il grande passo». Molti studenti dicono che la Luiss è un ateneo diverso da tutti gli altri. Perché? «Chiunque entri nel mondo Luiss ne esce soddisfatto! È un ateneo diverso perché in continuo movimento; è pieno di op-portunità e stimoli per studiare, grazie a professori ottimi e tantissime attività extradidattiche che ci formano come uo-mini del domani. Qui lo studente non è un numero, ma una persona; ha la possibilità di relazionarsi con i docenti, la di-rigenza e chiunque possa aiutarlo in questo percorso difficile ma estremamente affascinante. Perché l’aspetto umano viene prima di tutto».

Conosciamoti meglio: personaggio ispiratore; libro, film e canzone preferiti. «Il personaggio è Giovanni Paolo II: perché ha lottato, da uomo e da papa, come trascinatore di popoli e difensore dei più deboli. Il libro è Don Chisciotte della Mancia; il film è Il Padrino – Parte II, anche se non amo il cinema. I miei bra-ni preferiti sono La collina dei ciliegi di Battisti e La canzone dell’amore perduto di De André».Il mondo del lavoro è perennemente in fiĕri. Come potreb-be essere quando noi vi entreremo?«Mi reputo un inguaribile ottimista e sono sicuro che nono-stante la crisi avremo una grande opportunità: renderci prota-gonisti del cambiamento».Che cosa pensi della «fuga dei cervelli» all’estero, un feno-meno ormai piuttosto diffuso? «È caratteristico del nostro tempo: siamo noi ad andare fuori in cerca di un futuro migliore per valorizzare le nostre menti. La storia ci dice che un domani questo cambierà, e io vi credo fermamente. Apprezzo tutti coloro che hanno il coraggio di lasciare la tanto amata Italia; ma anche chi ha la forza di rima-nere qui a lottare tutti i giorni contro le caste, la disorganizza-zione e i tanti problemi».Molti studenti dicono che la Luiss è un ateneo diverso da tutti gli altri. Perché? «La nostra università è un modello di organizzazione ed effi-cienza, in cui lo studente è posto al centro della vita universi-taria e ne è protagonista. La Luiss va vissuta appieno perché consente di fare molte esperienze, trasformando ragazzi acer-bi – ma con tanta voglia di fare – in uomini e professionisti pronti a dare il loro contributo per la società».

UNA PAGINA PER DUE

MARIO SORRENTINIEMANUELE ALOIA20 ANNI, NAPOLETANO,

RAPPRESENTA GLI STUDENTI DELLA TRIENNALE DI ECONOMIA.

MATERANO, CLASSE 1992, A MAGGIO HA SFIORATOL’ELEZIONE IN CDD.

a cura diANDREA D’[email protected]

MADAMA LOUISE

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

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OMNIA attualità

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA,DISINFORMAZIONE REGOLARE «PUNIBILE CHI SOCCORRE I BARCONI», MA È TUTTA UNA BUFALA.CHE, IGNORANDO COMPLETAMENTE IL DETTATO DELLE LEGGI, DIPINGE L’ITALIA COME UN PAESE XENOFOBO. QUANDO INVECE…

a cura diGIOVANNI [email protected]

La disinformazione è forse l’arma più pericolosa non solo per qualsiasi tipo di governo, ma per l’intero sistema democratico. Spaccando i Paesi, accresce l’ostilità nei confronti delle isti-tuzioni: specie In Italia, in cui a fare disinformazione spesso sono gli stessi organi istituzionali. In queste settimane, dopo la tragedia di Lampedusa (che lo scorso 3 ottobre è costata la vita a centinaia di persone), il fe-stival della disinformazione è ripartito alla grande con l’obiet-tivo di far fuori la famigerata legge Bossi-Fini, additata come elemento responsabile delle stragi nel Mediterraneo.Le accuse più comuni – diffuse da alcune agenzie di stampa, riprese da molti giornali e trasmissioni tv – sono quelle secon-do cui tale legge vieterebbe il soccorso in mare: è stato scritto che il Parlamento europeo ha implicitamente bacchettato l’I-talia proprio per la Bossi-Fini, che infliggerebbe sanzioni a chi presta assistenza in mare. Quando invece nelle decisioni di Strasburgo non c’è alcun ri-ferimento alle disposizioni del 2002, né tantomeno all’Italia.In realtà, la legge 189 del 30 luglio 2002 – firmata dagli allora vicepremier e ministro delle Riforme – è un’integrazione della Turco-Napolitano (1998) che ha introdotto modifiche al «Te-sto unico delle disposizioni circa la disciplina dell’immigra-zione e norme sulla condizione dello straniero». L’articolo sotto accusa è il dodicesimo, che recita testualmen-te: «Chiunque in violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare l’ingresso nel ter-ritorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procu-rare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito

con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona». Se tale disposizione – riferita agli scafisti, veri e propri mer-canti di schiavi – inizialmente può essere fraintesa, a scioglie-re ogni dubbio è il secondo comma del medesimo articolo. Che recita: «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del Codice penale, non costituiscono reato le attività di soc-corso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato». Riguardo al soccorso nelle acque territoriali italiane, dun-que, non esiste alcun divieto di soccorso; per quanto attiene le acque non territoriali, invece, la risposta è da ricercare nei trattati e nelle convenzioni internazionali come Sar e Solas, ratificate dal governo italiano e votate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). Come sono lontani e diversi i tempi del film L’ultima minaccia, in cui il giornalista idealista Hutchinson – coperto dal rumore delle rotative – diceva al mafioso che voleva condizionare la sua libertà: «È la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente, niente!». Una frase – entrata nell’immaginario collettivo – che simboleggia la forza immensa delle idee positive, propulsive e libere. Forse – per il degrado politico e morale che attraversa il no-stro Paese, per il livello infimo raggiunto dalla lotta politica, per la vergogna della disinformazione da cui pochi media sono rimasti immuni – la frase andrebbe corretta così: «La ve-rità, bellezza, prima o poi salta fuori. E le tue menzogne sono come castelli costruiti sulla sabbia».

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OMNIA storia

IL MEDIO ORIENTE «MALEDETTO»E QUEL CONFLITTO DISSENNATONONOSTANTE GLI SFORZI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE, FRA ISRAELIANI E PALESTINESI LA PACE RESTA UNA CHIMERA. E IN DECENNI DI SANGUE SONO PROLIFERATI GLI ESTREMISMI. Quarant’anni fa la Guerra del Kippur – evento tragico e in-concludente (come ogni guerra) – non riusciva a decidere le sorti del Medio Oriente, tanto lontano eppure così vicino alla nostra Europa. 20mila morti e 30mila feriti il bilancio dello scontro tra le forze israeliane e quelle siro-egiziane; poi le occupazioni ter-ritoriali, il Sinai e il Golan; il terrore dell’Occidente nel vede-re il canale di Suez bombardato a giorni alterni da entrambe le parti. Alla fine l’intervento dell’Onu, un “cessate il fuoco” intimato e accettato solo a conflitto concluso; e un territorio restituito solo dopo le garanzie internazionali sulla tutela degli interessi israeliani. E questa è storia. La «questione palestinese» nasce da una congiunzione di cause: la fine della Seconda guerra mondiale, con l’orrore del mondo dinanzi ai lager nazisti; la sottomissione dei popoli islamici che avevano trovato casa in Palestina (scappando a rotazione da bizantini, turchi, crociati e ancora turchi); la vo-lontà inglese di creare una national home per tutti gli ebrei che in Palestina già vivevano e per quelli che volevano tornarci. La decisione della neonata Onu sembrò andar bene a tutti (ec-cettuati gli unici che, forse, era il caso di interpellare): nacque Israele, chiudendo il cerchio della diaspora che i Romani ave-vano originato (a saperlo!) quasi duemila anni prima. All’inizio la convivenza non fu difficile: arabi ed ebrei riusci-rono a spartirsi il territorio, in pace (e in barba alla divisione pensata dal Consiglio di sicurezza), col patrocinio – da “buon padre di famiglia” – del Regno Unito. Il quale alla fine, tut-tavia, per non perdere né il denaro israeliano né il petrolio arabo si comportò quasi da avvocato divorzista… lavorando

per entrambi i clienti. Avvennero i primi scontri, la creazione delle forze di sicurezza israeliane, i primi attentati. E, come in ogni divorzio, ci fu l’intervento delle famiglie: la Giordania, l’Egitto e la Siria iniziarono ad armare l’Olp, mentre gli Usa e la Nato contribuivano a creare uno dei più potenti eserciti del mondo. Nel ’48, allo scadere del mandato britannico, scoppiò la prima guerra arabo-israeliana, seguita da una seconda e da una serie infinita di scaramucce, attentati, vendette: un perpetuo clima d’odio fra due popoli in realtà così simili. Si sa, in situazioni come queste gli estremismi nascono da sé: da una parte gli arabi e i loro gruppi terroristici, votati alla «guerra santa» per una terra in cui hanno vissuto; dall’altra il popolo ebraico, convinto di difendere quel che Dio e l’Occi-dente gli hanno concesso. Il nostro vuole essere un momento per riflettere sulla posi-zione del mondo e delle Nazioni Unite verso quei bambini palestinesi costretti a vivere nei campi nomadi; e verso quelli israeliani che a scuola imparano a leggere, a scrivere e a ripa-rarsi da un attacco missilistico. Recita l’articolo 1 dello statuto Onu che il primo fine dell’or-ganizzazione è «mantenere la pace e la sicurezza internazio-nale»: eppure ci sono voluti quasi sessant’anni prima che la Palestina entrasse nel Palazzo di Vetro, benché senza diritto di voto. Ma quanto dovremo aspettare, ancora, prima che gli interes-si particolari che ruotano attorno a quella parte del mondo vengano superati nell’ottica di una pacifica convivenza fra i due popoli?

a cura diGIORGIO [email protected]

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OMNIA economia

PRIVATIZZARE CON LA TESTAPER NON PERDERE LE RADICIDISMISSIONE DEGLI ASSET PUBBLICI E APERTURA AL MERCATO:ECCO LA GRANDE SFIDA CHE IL NOSTRO PAESE DEVE VINCERE.AFFIDANDOSI AGLI INVESTITORI GIUSTI (E MAGARI ITALIANI).La necessità di risanare il bilancio pubblico, ultimamente, sta spingendo il Parlamento a scommettere sulla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato, pensata come il mezzo per procurare risorse alla finanza pubblica. Una scommessa che vorrebbe coniugare il bisogno di cassa col godimento e la tutela degli asset pubblici. Enrico Letta ha spesso paventato un’iniziativa del governo per favorire le privatizzazioni: riferendosi soprattutto a Poste, Eni, Enel e Finmeccanica. La tesi pro privatizzazioni è ovviamente incon-testabile: in breve, vendendo quote del patrimonio pubblico sarà possibile ridurre il grosso di un debito sovrano che forse supera il 130% del Pil. Non solo: privatizzare vorrebbe dire anche ridurre l’enorme fetta dello Stato “imprenditore”, non-ché favorire l’efficienza di certi settori – caratterizzati da una massiccia dose di clientelismo – incrementandone la concor-renza. Ma una simile ricetta – vendere il “tesoro di famiglia” del nostro Paese – è ciò che occorre in questo momento? Biso-gna ricordare il fallimento delle privatizzazioni imposte dalla Troika in Grecia, Irlanda e Portogallo, naufragate per assenza di compratori e per i miseri incassi che avrebbero generato. Lo scorso 19 settembre è stato dato via libera a un piano che ha l’obiettivo di attrarre investimenti esteri per sostenere la ripre-sa e rilanciare la competitività. Uno dei maggiori motivi per i quali è importante privatizza-re è certamente la concorrenza: che quando ci sono soggetti pubblici dominanti non funziona certo nel migliore dei modi. Qualsiasi Paese consideriamo, la cospicua presenza di impre-se pubbliche è un ostacolo al raggiungimento dell’efficienza e contribuisce alla frantumazione dell’economia. Questo perché

– mentre nel privato ogni asset ha un prezzo di riserva oltre il quale è conveniente vendere – nel pubblico vendere una par-tecipazione è decisione politica, non economica. E questo, è ovvio, contrasta col funzionamento del mercato. I mercati, quindi, sarebbero pronti per comprare: è questa l’at-tuale opinione di Palazzo Chigi, che entro il 2014 – grazie alla legge di stabilità – lancerà un vasto piano di privatizzazioni. Fincantieri e Terna sono le prossime: 40 e 4,9%, rispettiva-mente, le quote che verranno messe sul mercato; restano inve-ce fuori Enel ed Eni, a causa della particolare situazione in cui versano le Ferrovie della Calabria. Proprio l’Enel, nel ‘62, era nata da un processo uguale e con-trario rispetto a quello che oggi auspicano in molti: il governo Fanfani IV – il primo ad essere etichettato come «centrosini-stra» – venne incontro alle richieste del Psi, nazionalizzando un settore precedentemente affidato ai privati. Invece oggi, negli interventi per far “dimagrire” lo Stato, sarà importante non perdere le proprie radici: comparti strategici come l’energia non devono rischiare il passaggio in mani stra-niere, e a tal fine basterebbe restringere il diritto di proprietà. Quindi, ricapitolando: privatizzazioni subito per rimettere in moto la macchina dello Stato; cercando però, se possibile, di non allontanare troppo da casa gli asset strategici per il nostro Paese. Oggi lo Stato italiano ha grande bisogno di capitale; e per lenire tale bisogno è meglio avere «tutto e subito» (il get-tito delle privatizzazioni) che dividendi annuali (anche se dal punto di vista attuariale l’operazione è equivalente). Se ben fatte, le privatizzazioni possono rivelarsi alquanto van-taggiose: e allora, con responsabilità, ben vengano.

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

MADAMA LOUISE

a cura diROCCO [email protected]

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OMNIA economia

COASE, IL GENIO CONCRETOFIDUCIOSO NEGLI INDIVIDUIIL 3 SETTEMBRE SE N’È ANDATO IL 102ENNE PREMIO NOBEL,AUTOREVOLE STUDIOSO DEI MECCANISMI DELLO SCAMBIO.CHE SU IMPRESA ED ESTERNALITÀ CI LASCIA IDEE IMMORTALI. Benché sconosciuto al grande pubblico, il pensiero di Ronald Coase (1910-2013) ha certamente cambiato quello di econo-misti, giuristi e policy maker. Inizialmente poco propenso alle questioni matematiche, laureato in Business alla «London School of Economics», fin da giovane Coase – a differenza dei suoi colleghi, più interessati a faccende teoriche e soprattutto al funzionamento dei mercati – studiava l’integrazione verti-cale delle imprese: un fenomeno in crescita. In The nature of the firm (1937) si chiedeva perché in un’eco-nomia di libero mercato un lavoratore accetti volontariamente la direzione di un imprenditore, anziché vendere il proprio prodotto o servizio direttamente ai consumatori. L’intuizione fu quella di capire che al loro interno le imprese sopprimono i meccanismi di mercato sostituendoli con un principio di au-torità, e diventando – di fatto – piccole economie centralizzate all’interno di un sistema libero. Coase proponeva una soluzione analizzando i costi dell’agire sul mercato: affermando che, quando il costo delle transazio-ni avesse raggiunto un certo livello, sarebbe stato conveniente sostituire il meccanismo di mercato con un’organizzazione centralizzata chiamata «impresa», la quale avrebbe operato applicando principii gerarchici. I confini di un’impresa, quin-di, sono determinati dal trade-off tra i costi di centralizzare le decisioni e quelli di operare sul mercato.Il capolavoro di Coase, l’articolo The problem of social cost, è datato 1960. Sconfessando l’analisi pigouviana del benessere – secondo cui l’inquinamento è un «fallimento del mercato» che alloca le risorse in maniera non ottimale – Coase affermava che il problema è l’assenza di un mercato dell’inquinamento.

Osservando, quindi, che in mancanza di costi di transazione il modo più efficiente per risolvere la questione è quello di de-finire apposite norme; e che poi, delegando la risoluzione del problema alla libera contrattazione delle parti, un’allocazione efficiente sarà comunque raggiunta (pure in presenza di ester-nalità negative come l’inquinamento). Una teoria in grado di cambiare radicalmente l’approccio a una certa questione microeconomica, non c’è dubbio. Ma Coase fu innovatore anche in campo giuridico, e dal suo ap-proccio metodologico discenderà una nuova branca di studi: l’«analisi economica del diritto». Affascinato dai risultati del suo maestro, George Stigler – al-tro, ennesimo Nobel per l’economia proveniente dall’univer-sità di Chicago – formalizzò matematicamente il tutto, pur ponendo l’accento sull’efficienza del mercato anziché sui costi di transazione: per Coase la legge doveva dirimere le contro-versie non stabilendo chi avesse ragione e chi torto, ma in base alla massimizzazione dell’efficienza economica.Nonostante la portata innovativa delle sue teorie, Coase ebbe il Nobel solo nel ’91: ben 54 anni dopo The nature of the firm. Un evento – la premiazione – certamente emblematico, ma anche “prevedibile” per un grande economista come lui: libe-rale e amico del mercato, ma non così ideologicamente con-trario all’intervento pubblico in caso di necessità. Un pensatore che è riuscito a trasformare profondamente la scienza economica, pur restando sempre moderato e non pre-standosi mai ad essere simbolo di alcuno schieramento. Uno studioso che – possiamo affermarlo con certezza – è ormai nell’olimpo dei grandi economisti.

a cura diDAVIDE [email protected]

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L’OPINIONE

LE DECLINAZIONI DEL CORAGGIOSul significato di una politica economica coraggiosa, e più in generale sul concetto di coraggio, è in corso da settimane uno strano dibattito. Commentando in un editoriale del Sole 24 Ore la Legge di stabilità triennale varata il 15 ottobre dal Governo Letta, ho scritto che è stata poco coraggiosa, in par-ticolare riferendomi alla manovra per ridurre il carico fiscale su lavoro e impresa (il famoso “cuneo”). Il titolo dell’articolo, conseguentemente, riportava due parole: «poco coraggio».Dal giorno dopo si sono formati tre schieramenti. I sostenitori del coraggio per il coraggio, cioè il partito trasversale degli oltranzisti senza paura, gente che (a parole) privatizza e ta-glia la spesa pubblica per decine di miliardi allo stesso modo in cui sorseggia un caffè al bar. I mediatori-saggi (in testa ai quali spicca per l’autorevolezza supportata da una forte dose di buon senso il Presidente della Repubblica Giorgio Napoli-tano, che ha parlato del “coraggio responsabile”). Infine i di-fensori (d’ufficio, sul serio) della Legge di stabilità così come è stata ideata e confezionata. Ovviamente, tra questi ultimi non può che esserci il premier Enrico Letta, che la “sua” legge la difende. E il ministro dell’E-conomia Fabrizio Saccomanni, una vita professionale spesa alla Banca d’Italia, al quale non manca la battuta. «Ci vuole coraggio a fare il ministro dell’Economia, in Italia», ha det-to. Per poi precisare, alcuni giorni dopo: «Sapevo che sarebbe stato faticoso, ma anche affascinante. La mia era una battuta in risposta alle critiche sulla Legge di stabilità, accusata di non essere abbastanza coraggiosa. Ritengo che dovevamo fare una Legge di stabilità prudente ma innovativa e credo che ci siamo riusciti».Poco, tanto o nulla che sia, il coraggio, insomma, dilaga. Quello di Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze che punta a conquistare la leadership del Pd e poi il timone del Governo, viene declinato di fronte ai dirigenti del partito all’insegna di un wojtyliano «non abbiate paura», come da to-nante messaggio con cui Papa Giovanni Paolo II si presentò

al mondo nella sua prima liturgia domenicale, nel 1978. Ed anche il patron di Eataly, Oscar Farinetti, ha appena spedito in libreria il suo volume – Storie di coraggio, Mondadori – in cui spiega che l’Italia «ha bisogno di coraggio, e di galantuomini, capaci di dare il buon esempio».Ma «coraggio» è una parola impegnativa. Usarla troppo si-gnifica in ogni caso inflazionarla, facendole perdere peso. Al contrario, va rivalutata come bene prezioso. Leggiamo il di-zionario Treccani alla voce «coraggio», parola che deriva dal latino cor, cuore: «Forza d’animo nel sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali, nell’affrontare con deci-sione un pericolo, nel dire o fare cosa che comporti rischio o sacrificio». In particolare, poi, leggiamo a proposito del «co-raggio civile»: quello «di cui si dà prova nell’affrontare pericoli o anche l’impopolarità per il bene pubblico o per amore del giusto e del vero», dunque «avere il coraggio civile di assu-mersi le proprie responsabilità, di riconoscere i propri errori».In cosa può consistere, allora, l’essere coraggiosi in politica e nel mestiere del governo del Paese? Innanzi tutto dire la verità fino in fondo, spiegare cosa si ritiene giusto fare sfidando se necessario l’impopolarità per il bene pubblico, riconoscere gli errori, decidere e assumersi le proprie responsabilità.Ben al di là del confronto sulla Legge di stabilità, pure impor-tantissimo, il recupero di questo coraggio civile è decisivo per provare ad uscire dalle sabbie mobili di questa crisi. E bisogna avere il coraggio, per l’appunto, di non scaricare le responsa-bilità solo sui guasti della politica e di svolgere, ciascuno nel proprio mestiere, il lavoro al meglio. Vale dunque anche per i politici ma non solo: è l’intera classe dirigente del Paese (an-che i giornalisti, sia chiaro, hanno colpe che meriterebbero una seria autocritica) che deve scuotersi, mettersi in discus-sione, ripartire con obiettivi nuovi. E non pensate voi, cari studenti, di essere “in attesa” su un altro pianeta. Tenete gli occhi aperti sulla realtà, guardatevi attorno, impegnatevi, tirate fuori il coraggio che vi compete.

a cura del dott.GUIDO GENTILIeditorialista de «Il Sole 24 Ore»

MADAMA LOUISE

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

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ATLANTE

MINIERA D’OPPORTUNITÀ O GIACIMENTO DI TENSIONI?

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L’«UNIONE EURASIATICA» PAREVA SOLO UN’IDEA VISIONARIADEL «SULTANO» NAZARBAEV, MA PUTIN L’HA RILANCIATA.E ORA, DOPO GLI ACCORDI DOGANALI DEL 2011, CHE SUCCEDE? Il 9 novembre 1989, una tranquilla giornata d’autunno, i berli-nesi dell’Est varcavano in massa il Muro che divideva l’Oriente comunista dall’Occidente liberale. Crollava un intero sistema politico e ideologico, incapace di reggere ai cambiamenti sto-rici. La dissoluzione dell’Urss e la nascita di una galassia di Stati indipendenti – avvenimento di portata epocale – spezza-vano un assetto territoriale risalente all’epoca degli zar. La situazione era estremamente complessa e piena d’incogni-te: la Russia di Gorbačëv stava precipitando in una spirale di incertezza politica, proseguita con Eltsin; le repubbliche balti-che, occupate dall’Armata rossa nella Seconda guerra mondia-le, cercavano di avvicinarsi all’Europa. Il Caucaso appariva una regione fortemente instabile, mentre tutte le repubbliche so-vietiche dell’Asia centrale rappresentavano un cosmo a parte. Era naturale, in quel contesto, che si creasse un’organizzazio-ne politica – chiamata «Comunità degli Stati indipendenti» – in grado di garantire un pacifico processo di formazione dei nuovi Paesi, nonché un reciproco sostegno. In una situazione ancora molto fluida, nel 1994 fu il presidente kazako Nazar-baev – uno dei personaggi politici allora più forti nel mondo post-sovietico – a proporre, dinanzi ai più influenti intellet-tuali russi, la creazione di una «unione eurasiatica» che por-tasse a un nuovo sistema di governo dell’area ex Urss.A partire dal 2007 il nuovo leader russo Vladimir Putin ha ripreso in considerazione il progetto di Nazarbaev, stipulan-do un accordo commerciale con Bielorussia e Kazakistan per creare l’Unione doganale eurasiatica. Operativa dal 2011, essa rappresenta il concreto tentativo di creare uno spazio eco-

nomico comune ai tre Paesi, sul modello di quello europeo. Proprio questo spazio economico comune dovrebbe rappre-sentare – nel progetto di Putin – il trampolino di lancio per un’effettiva Unione eurasiatica: che, secondo i trattati, dovreb-be essere attiva già nel 2015. È difficile capire che cosa stia veramente accadendo al di là de-gli Urali. Secondo molti osservatori, specialmente americani, il pericolo è che si ricrei un organismo politico dipendente da Mosca: un doppione dell’impero prima zarista e poi sovietico. Da un altro punto di vista, potremmo pensare che si stia rea-lizzando un processo simile a quello di unificazione europea; un percorso che, partendo dall’economia, dovrà giungere a un’integrazione anche politica. Le tappe saranno inevitabil-mente forzate, e bisognerà imparare dagli errori commessi nel Vecchio continente. In ogni caso, la nuova realtà eurasiatica rappresenta un mo-dello politicamente nuovo sullo scacchiere geopolitico. Di certo, però, c’è che nei prossimi anni il confronto tra le due unioni – europea ed eurasiatica – potrebbe aprire prospettive finora impensate, originando quella che lo stesso Putin ha de-finito «una sinfonia di economie da Lisbona a Vladivostok». È certo che accordi di libero scambio apporterebbero vantaggi reciproci molto evidenti: in un mondo globalizzato, dominato ormai da mercati emergenti come quello cinese, l’unione tra Stati fa sicuramente la forza. Per questo, l’Unione eurasiati-ca rappresenta una straordinaria occasione che noi europei – spesso troppo piegati sui problemi interni – non riusciamo ancora a cogliere.

a cura diROBERTO [email protected]

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ATLANTE

QUANDO OLTRE ALLA REGALITÀMANCA IL SENSO DEL RIDICOLO

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DALLA NORVEGIA ALLA SPAGNA, PASSANDO PER IL BENELUX,TANTI MONARCHI EUROPEI SONO ORMAI AVVIATI AL DECLINO.E SE PRIMA LE LORO GESTA ERANO DI ESEMPIO PER TUTTI, OGGI…

Parlare di monarchie e di famiglie reali significa ormai nu-trirsi di pettegolezzi da rivista per parrucchieri. Il motivo è molto semplice: re e regine ormai fanno notizia solo quan-do vengono coinvolti in un qualche scandalo che fa colare a picco la loro popolarità. Una famiglia reale ormai incline allo scandalo è quella spagnola: negli ultimi anni Juan Carlos è stato protagonista di varie disavventure. Al di là dei numerosi e conclamati tradimenti ai danni della regina Sofia (l’unica veramente apprezzata fra gli inquilini della Zarzuela), il Bor-bone è balzato agli onori della cronaca per alcune foto che lo ritraevano impegnato in un safari in Botswana (che peraltro gli è costato una frattura all’anca), in compagnia di un’amante di origine teutonica; tutto ciò – sottolineano gli spagnoli – mentre «il Paese era in crisi». Ma questa è solo l’ultima disavventura in ordine di tempo. L’anno scorso – per esempio – il genero di Juan Carlos, Iñaki Urdangarin, è stato coinvolto in una storiaccia di finanzia-menti pubblici: il marito di Cristina – tramite l’organizzazione no-profit da lui stesso presieduta, il «Noos Institute» – avrebbe infatti firmato accordi con diverse amministrazioni pubbliche nelle Baleari, per introiti di circa 3,2 milioni di euro. Ciò è val-so a Urdangarin l’accusa di frode fiscale, corruzione, appro-

priazione indebita, truffa e riciclaggio di denaro: insomma, un bouquet di reati da truffatore professionista. Il risultato di tutti questi scandali è un crollo vertiginoso nel gradimento presso i sudditi: il 53% degli spagnoli non approva l’operato dei Borboni (fonte: El País). Lo stesso non si può certo dire delle altre monarchie europee, il cui indice di gradimento si mantiene alto nonostante i citta-dini chiedano a gran voce una modernizzazione. In Svezia – per esempio – il 70% dei cittadini supporta i reali ma vorrebbe che il re Carlo XVI Gustavo abdicasse in favore della figlia Victoria. Danimarca e Gran Bretagna non fanno poi tanto te-sto: Margherita ed Elisabetta sono le regnanti più apprezzate in Europa. Un discorso a parte meritano Belgio e Norvegia. Nella patria dei fumetti e delle patatine la popolarità dei reali è in continua discesa, e alle elezioni del 2010 i partiti antimo-narchici hanno ottenuto il 44% nelle Fiandre. Il Paese dei fior-di, invece, vanta la monarchia più stravagante d’Europa. Il re Harald V ha infatti attraversato vari guai familiari: prima suo figlio ha sposato una donna già madre di un bambino avuto da un presunto spacciatore di droga; poi la figlia maggiore ha candidamente dichiarato di «poter parlare con gli angeli». E, parafrasando Alexander Pope, è proprio «dove neppure gli angeli osano spingersi» che certe monarchie – sfidando l’impo-polarità e il senso del ridicolo – sono arrivate negli ultimi anni.

PROBLEMI DI CORTENon ci sono solo le gaffes di Juan Carlos, i guai con la legge del suo parentado o le frasi deliranti dei rampolli svedesi. E neanche le disavventure coniugali del princi-pe Carlo fanno più notizia. Recentemente – per esem-pio – la morte di Lady D è tornata a minare l’immagine della Corona inglese, col diffondersi delle teorie secon-do cui l’incidente dell’Alma sarebbe stato frutto di un complotto ordito da settori dei Windsor e delle forze speciali. Così oggi, nonostante tradizioni gloriose e millenarie, alcune dinastie europee hanno perso il loro fascino. E i sudditi, ormai, non perdonano più.

MADAMA LOUISE

a cura diFRANCESCO LUCIANÒ[email protected]

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

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CINQUE CERCHI

TORNARE AI GRANDI VALORI,IL SOGNO DI UN CAMPIONE

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DAMIANO TOMMASI, PRESIDENTE DI ASSOCALCIATORI,È QUASI UN «ALIENO» DEL PALLONE. IL BUON PADRE DI FAMIGLIA CHE VUOLE «RIDARE UMANITÀ A UN AMBIENTE FATTO DI RUOLI».

Mi è capitato di incontrare un uomo che non poteva appar-tenere a un mondo più lontano dal mio: si tratta di Damiano Tommasi, ex giocatore e attuale presidente dell’«Associazio-ne italiana calciatori». Brevi cenni biografici: terzo di cinque figli, nasce a Negrar – piccolo paese in provincia di Verona – nella primavera del ‘74. Inizia l’attività agonistica nel 1985; otto anni dopo esordisce in B col Verona per poi passare alla Roma, di cui vestirà la maglia per dieci intensissime stagioni. È il ‘96: l’anno delle Olimpiadi di Atlanta e della convocazione in Nazionale. Nel frattempo, da obiettore di coscienza, svolge il servizio civile: vuole servire la patria, dice, «ma non col fuci-le in mano». Nel 2004 un grave infortunio lo costringe ad ab-bandonare momentaneamente i campi; ma la passione è tale che nel 2005 firma per una stagione in giallorosso a 1500 euro al mese, il minimo contrattuale. Seguono due anni in Spagna, e nel 2009 diventa il primo italiano a militare nel campionato cinese. Tommasi non è il calciatore – playboy e col macchinone – dell’immaginario collettivo: in un mondo poco trasparente e abbastanza violento come il nostro soccer, ha compiuto scel-te coraggiose affidando un ruolo primario alla famiglia. Sogna un calcio pulito, Damiano; uno sport in cui a prevalere sia la condivisione, che vada oltre il colore della maglia e ricono-sca il merito agli avversari. Un calcio che non monopolizzi gli spazi televisivi, e in cui la sconfitta venga accettata senza inu-tili polemiche; un calcio nel quale i genitori aiutino i figli non solo ad affrontare la carriera, ma soprattutto a crescere. Sogna «una sterzata decisa per ridare una dimensione umana a un ambiente fatto di ruoli»; insomma, un calcio che si riappro-pri della parte più nobile dello sport. Rimarrà solo un sogno?

a cura diTOTÒ [email protected]

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CINQUE CERCHI

BELLO, RICCO E DI SUCCESSO.ECCO LO SPORT SENZA CRISI

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NELLA «NATIONAL FOOTBALL LEAGUE» GIRANO CIFRE ABNORMIE LE SOCIETÀ GODONO DI OTTIMA SALUTE. COSÌ IN AMERICAIL BENESSERE DEI CLUB HA SPOSATO LA PASSIONE DEI TIFOSI.

Ogni anno, nel nostro Paese, le squadre dei più importanti sport professionistici sono alla continua ricerca di maggiori introiti per far fronte alla crisi economica: oltreoceano, inve-ce, gli incassi non sembrano aver subito la benché minima flessione. Nella classifica stilata da Forbes, le squadre della «National football league» (Nfl) primeggiano nella classifica delle società più ricche al mondo: nei primi 50 posti figurano tutte le 32 franchigie del campionato americano. In media, due terzi del fatturato delle nostre società calcistiche deriva dalla vendita dei diritti televisivi, ma anche in questo dato ci hanno superato: la Nfl ha firmato un contratto del va-lore di 3 miliardi di dollari con Cbs, Nbc e Fox. Il business del football americano non si ferma qui: la titolazione dello stadio aumenta enormemente i ricavi delle franchigie. Emblematico è il caso degli Houston Texans, che riceveranno dalla Reliant

Energy 310 milioni di dollari in 31 anni; lo stesso hanno fatto gli Indianapolis Colts, vendendo la denominazione dello sta-dio alla compagnia petrolifera Lucas Oil per 120 milioni di dollari per oltre 20 anni. Nella nostra Serie A, invece, solo la Juventus ha un suo stadio di proprietà; ma è ancora in cerca di un main sponsor cui vendere i diritti. Tutto questo in un campionato composto solamente da 17 gare di regular season, al termine del quale i vincitori delle rispettive division, più due wild card (le squadre coi risultati migliori tra le non vincitrici delle division), si sfidano nei play-off a eliminazione diretta per arrivare al grande spettacolo del Super Bowl: il cui prezzo dei biglietti lo scorso anno si aggi-rava tra gli 850 e i 1250 dollari, facendo comunque registrare il sold out. L’evento – trasmesso dalla Cbs – ha avuto picchi di ascolto superiori ai 111 milioni di spettatori, e la rete ha venduto 30 secondi di spazio pubblicitario commerciale alla cifra di 3,8 milioni di dollari: si pensi che per lanciare il suo Macintosh, nel 1984, Apple sborsò “appena” 300mila dollari. Molti sono i critici della politica economica attuata dalla Nfl; molti coloro che preferiscono guardare al tifo e alle emozio-ni anziché alle montagne di soldi spesi – e incassati! – dalle squadre di football americano. Eppure, nonostante tutto, an-che per loro vale il ritornello: «Ogni maledetta domenica…».

PAPERONI DELL’NFLRicchi non sono solo i ricavi, ma anche gli stipendi dei quarterback Nfl: soprattutto di quelli che vengono so-prannominati «Mr. 100 milioni di dollari». Al primo posto Aaron Rodgers (Green Bay), con 22 milioni di dollari all’anno per sei anni. Medaglia d’argento per Joe Flacco (Baltimore), campione in carica, con 20,1 mi-lioni all’anno (anche nel suo caso per sei anni). Bronzo per Drew Brees (New Orleans), vincitore di un Super Bowl nel 2009, che ha firmato un contratto da 20 mi-lioni di dollari. Medaglia di legno per Peyton Manning (Denver), con “solo” 19,2 milioni all’anno.

MADAMA LOUISE

a cura diRICCARDO [email protected]

NOVEMBRE - DICEMBRE 2013

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L’OPINIONE

LA NOSTRA SFIDA PIÙ GRANDE Cari lettori di Madame Louise, questo era il testo del mio intervento alla Giornata delle Matricole. Un modo di darvi il benvenuto, certo, ma anche di far riflettere tutti noi – do-centi, studenti, dirigenti – sulle responsabilità che dobbia-mo affrontare, sulle sfide che ci attendono, sui traguardi che ci poniamo. Mi fa piacere riproporvelo, augurando a tutti voi buon studio e una magnifica “learning experience” in LUISS.

«The global challenges that we face today are proof that we need a world of problem solvers. We need a world of people who are productive, resilient, creative, and versatile enough with techno-logy and culture to find solutions to the many challenges we face. Education helps to build that world».Ho trovato questa frase (di Mahmoud Mohieldin, managing director del World Bank Group) in un suo intervento signifi-cativamente intitolato The Education Solution, e me ne sono innamorato – sostanzialmente – per la sua universalità, per il suo calarsi perfettamente nella realtà odierna delle nazioni, che siano industrializzate o post agricole, già evolute o ancora emergenti, in crisi o in pieno sviluppo. La parola magica, prima di «Education», è «creatività», ma è subito incalzata da altri termini qualitativi, da «produttività» a «resilienza», da «versatilità» al concetto di saper padroneggia-re le nuove «tecnologie», passando per le immancabili «sfide» e indugiando significativamente sulla «cultura». Questo, signori, è la terminologia dell’Università, o almeno lo dovrebbe essere. Questo è quello che vorremmo voler ve-der crescere nelle Università italiane: un laboratorio di idee mai più paludato ed autoreferenziale, una palestra eccitante e sfidante di apprendimento, una costruzione paziente, com-pleta di giovani personalità in grado di riconoscere, accettare, vincere le sfide della contemporaneità. Di veri problem solver. E l’Italia è dannatamente in ritardo su questi fronti. Abbiamo un livello di istruzione terziaria assolutamente inadeguato, agli ultimi posti (Ocse) per la quota di laureati nelle principali fasce d’età. Siamo irrealisticamente distanti dall’obiettivo fis-

sato dalla Commissione Europea per il 2020 (40% di laureati nella popolazione di età 30-34 anni: se va bene, raggiungere-mo al massimo il 26 o 27%, agli ultimi posti in Europa). Ha una laurea solo il 21% dei middle-young italiani (25-34 anni), a fronte del 34,1% dei coetanei europei… (E dire che motivi di carattere pratico, vantaggi evidenti dovrebbero determina-re un trend contrario: i laureati nell’arco della loro vita lavo-rativa presentano un tasso di occupazione di oltre 12 punti percentuali maggiore rispetto ai soli diplomati, e soprattutto nel lungo periodo la loro retribuzione media è molto più ele-vata – addirittura del 50% nella fascia tra i 25 e i 64 anni). Dobbiamo tutti insieme lavorare per «elevare la soglia edu-cazionale del Paese» (AlmaLaurea, 2013), aumentando sia il numero dei diplomati che dei laureati, agendo meglio nell’o-rientamento delle scelte di formazione, migliorando la qualità dell’esistente, potenziando a tutti i livelli le esperienze di scuo-la/lavoro. Dobbiamo lottare contro le inefficienze e gli sprechi dell’intero sistema-education (e sotto questo profilo la LUISS, in utile e autonoma anche finanziariamente da Confindustria, può rappresentare un modello) ma ammettendo che il siste-ma universitario e della ricerca nel suo complesso in Italia è drammaticamente sottofinanziato rispetto agli altri Paesi, così da indurci a cercare di influenzare il legislatore affinché questo approccio miope cambi. Dobbiamo agire per rafforzare l’indispensabile formazione professionalizzante, negli istituti superiori così come con le lauree triennali, senza però rinunciare a promuovere un più ampio accesso all’istruzione universitaria “generalista”: per-ché (A. Schleicher, Ocse) «oggi i sistemi di istruzione de-vono preparare per lavori che non sono stati ancora creati, per tecnologie non ancora inventate, per problemi che anco-ra non sappiamo che nasceranno». Per concludere (ancora Mahmoud Mohieldin) che «(…) the real challenge is not just to enroll children in school (or students in University, nda), but to help them to acquire the skills necessary for employment, en-trepreneurship, family life, and citizenship». Semplice, no?

a cura del dott.LUIGI SERRAVice Presidente Esecutivo della LUISS Guido Carli