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Il maestro utopico. Scritti in onore di Pietro Maria Toesca

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Un articolato percorso di riflessione attraverso i temi cruciali del pensiero filosofico di ogni tempo, teso a rendere omaggio e a riportare alla luce una figura di straordinario rigore teoretico e umano come quella di Pietro Maria Toesca. Gli autori qui riuniti – colleghi, amici, discepoli – in un fitto e articolato dialogo-confronto sui temi cari a Toesca e sul suo stesso pensiero, hanno contribuito a rimettere in moto il senso, mai venuto meno, della meditazione del grande Maestro Utopico, che non si accontentò mai di considerare la filosofia come esercizio d'astrazione, ma piuttosto come pratica di vita capace di dare un senso alla comunità degli uomini.

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MFS MONTEFALCONE STUDIUM

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In copertinaGiovanni Bellini, Crocifisso, 1475-1480 (particolare)

olio su tavola, 57x45, Collezione Palazzo Corsini, Firenze

Progetto grafico e copertinaStudio Bosio, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-636-3

© 2009 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italia

telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047www.diabasis.it [email protected]

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Il maestro utopicoScritti in onore e in memoria di Pietro Maria Toesca

A cura di Romano Romani

D I A B A S I S

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Il maestro utopicoScritti in onore e in memoria di Pietro Maria Toesca

A cura di Romano Romani

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Prefazione

NELLA POLIS

Speranza e utopia, Angela Ales Bello

Il tempo della città, Alessandro Bosi

Dalla città all’Europa, dalla periferia al centro, Francesca Brezzi

Scienza, tecnica e meditazione, Pietro De Vitiis

Il pudore nell’evento tra narrazione ed ermeneutica,Lorenzo Barani

L’utopia pedagogica. Diversità di genere e educazionenella Repubblica, Margarete Durst

Chi usa chi?, Franco Insalaco

Il realismo utopico di Pietro Maria Toesca, Lido Chiusano

Pietro Maria Toesca e i sociologi della città, Ferruccio Andolfi

NEL CAMMINO

La filosofia e l’umorismo: un’utopia costruttivadi Harald Høffding, Alberto Siclari

Arte e moda nella riflessione critica di Adorno,Giuseppe Di Giacomo

Qewrhtikav libro sesto, frammento, Romano Romani

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Linguaggio e verità nella svolta linguistica del Novecento, Giorgio Derossi

Il tribunale degli amici, Giuseppe Ferraro

Sull’ermeneutica religiosa di Simone Weil, Giancarlo Gaeta

NELLA PRESENZA

Uno scambio di lettere e un ricordo di liceo, Adriano Sofri

Un dialogo, Anna Marina Storoni Piazza

Il maestro utopico, Pietro Maria Toesca

Pietro Maria Toesca: breve cenno biografico

Gli autori di questo volume

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Prefazione

Nonostante l’accento che si è soliti porre sulla diversa concezione del bene inAristotele e Platone sulla scorta di un confronto tra Repubblica ed Ethica ni-comachea, ritengo l’Ethica a Nicomaco l’opera di Aristotele più armoniosa-mente platonica. Non perché ricalchi la cosiddetta dottrina etica e politica diPlatone, ma in quanto è il prodotto di un dialogo critico con l’opera platonicanel suo complesso.Ebbene, quando penso a Pietro Maria Toesca, penso anche all’Ethica nicoma-chea: per più ragioni. Toesca, come Aristotele – e Platone – faceva derivare lapolitica – il far politica – dalla teoresi e non subordinava la teoresi alla poli-tica. Egli inoltre, come teorizza Aristotele nell’Ethica a Nicomaco, concepival’arte e la scienza del governo, come l’arte e la scienza di rendere felici gli uo-mini. E la felicità più grande che un essere umano può raggiungere, sta nel-l’elevare la propria esistenza fino al livello della teoresi. Sono felici gli uominiche pensano e agiscono nella divina luce del pensiero.L’Altrove, l’Utopia di Pietro Maria Toesca era ed è questa luce. In questa luceè cresciuta e si è consumata la sua esistenza.

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aijei; paptaivnousa pro;" aujga;" hjelivoio

... che sempre guarda rapita lo splendore del sole.

Parmenide, DK. b 15

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NELLA POLIS

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1. Come onda di mareNegli anni di Parma, Pietro Maria Toesca non ci parlava di città, l’argo -

mento che avrebbe messo al centro dei suoi studi dopo essersi trasferito aSan Gimignano. Altri erano i suoi temi in quel periodo.

Dovessi sceglierne tre senza esitare, come si fa a volte per gioco, direi:uomo, utopia e filosofia. Direi uomo come La filosofia dell’homo faber (1967);utopia come Aporie della filosofia contemporanea (1970); filosofia come Pa-scal, l’uomo ritrovato o della ricerca (1971) e lo direi in modo arbitrario percome ricordo Toesca alle sue lezioni che spesso prolungava, ben oltre l’ora-rio stabilito, in appassionati dibattiti o nei seminari con i suoi assistenti e col-leghi delle facoltà scientifiche, ai quali invitava noi studenti, sulla questionedell’epistemologia in un periodo dominato dal problema delle due culture;per come lo ricordo quando decise, nel clima di generale fervore per la pic-cola editoria, di fondare a Parma i Nuovi Quaderni e di lasciare lo StudiumParmense, l’editrice universitaria che aveva ideato e diretto dalla fine deglianni Sessanta e infine, naturalmente, per come lo ricordo attraverso i suoilibri, che in questi anni, sbirciandomi dai diversi scaffali nei quali li ho divolta in volta collocati, hanno continuato a parlarmi dentro.

Non ricordo invece il tema della città in quegli anni, ma era come se Toe-sca non ci avesse parlato d’altro, come se fosse questo il centro gravitazionaledel suo discorso dal quale emergeva l’urgenza del presente, lo stilema stessodella città che percepiamo e viviamo come il crogiolo di genti e costumi in cuisono raccolti e mescolati insieme memorie e sensazioni del passato con ansiee speranze del futuro. L’homo faber abitava questo fecondo laboratorio nelquale l’umanità si mette ogni giorno alla prova della propria storia, di quellatrascorsa e di quella da venire, nel vertiginoso spazio senza estensione che è ilpresente. Era questo ossimoro la dimensione di una filosofia costruita sulleaporie della contemporaneità perché Toesca non era solito sistemare il passatonel suo tempo con rigore filologico e non contemplava il futuro facendolo

Il tempo della cittàAlessandro Bosi

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ruotare intorno a una qualche previsione uscita dal calcolo dei possibili esitiche il domani ci riserva: la sua utopia è stata, così ho creduto d’intenderla, illuogo di un presente al quale non ci possiamo sottrarre mentre la concretezzastessa delle cose che sperimentiamo vivendo è quella di un passato e di un fu-turo che di continuo premono sulle pareti delle nostre giornate facendole vi-brare. Non ho mai pensato che fosse altrove l’utopia di Toesca dal qui e ora,dal luogo puntiforme, per questo appunto senza estensione, di un indifferi-bile presente nel quale vivere tutto quanto il tempo della nostra storia, quellaindividuale e quella dei nostri cari ma anche di quanti ci sono odiosi, dell’u-manità tutta insomma. E questo tempo dell’utopia, questo tempo del non luogoè, tout court, il senso della vicenda umana che si deposita nella città come nelsuo alveo naturale dove il presente subisce e reagisce di continuo agli impulsicontrastanti del passato e del futuro. Sicché il presente, esso perfino, non è af-fatto il trascorre del mondo a fronte di un passato che, immobile, archivia edi un futuro che, ugualmente stabile, mantiene inalterata la distanza da noi al-lontanandosi, come linea d’orizzonte, a misura che lo incalziamo. Il presentenon è il moto dei giorni che si succedono gli uni agli altri tra giganti di pie-tra, lo zampettare frenetico di piccoli uomini nella quotidianità che alimen-tano un disegno teleologico al quale sono estranei. Né il presente, come moltisembrano credere, è il vento delle cose nel quale disporsi compiacenti o dacontrastare riottosi. È piuttosto onda di mare, impulso di movimento. È lostare in bilico del sasso scagliato nel cielo e finalmente in sosta sul crinale chedivide il tempo della salita da quello della discesa, della libellula che dissi-mula col fremito delle ali quanto sia tetragona sul fiorire delle ninfee, del ci-clista in surplace sulla sommità della curva nel velodromo mentre attende chela sagoma del rivale gli sfili davanti per sfruttarne la scia e azzannarlo sul tra-guardo. Il presente è un esercito che segna il passo e contiene a stento l’ener-gia della storia e del mondo. Questo tempo inesteso e vibrante, questoirriducibile avamposto della storia che di continuo si espone sull’abisso delnulla è, in ogni istante, solo con sé stesso, isola della storia. Il presente è in-fluenzato bensì dal passato e dal futuro, per i quali vibra, di continuo li subi-sce e reagisce alla loro presenza; ma non vive per misurarli e calcolarli, comevorrebbe lo spirito scapigliato dell’illuminismo e la prudente dottrina del po-sitivismo, così da assumerne l’eredità e lasciarne una migliore. Vive per séstesso il presente, e la sua etica della responsabilità è quello stesso qui e orache ne costituisce la natura. Il presente non si mette in gioco, in ogni mo-

Alessandro Bosi

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La città costituisce uno dei temi costanti della riflessione di Pietro Toesca.Se si scorrono gli indici della rivista che ha a lungo diretto – «Eupolis» – balzaagli occhi l’insistenza di questo suo interesse, a cui il Manuale per fondare unacittà (1994) ha dato solo una forma più sistematica. Se nell’ultima fase della suavita egli ha intrecciato un dialogo fecondo anche con urbanisti ed ecologisti, lefonti costanti e remote delle sue posizioni sono piuttosto di altro genere: da unlato l’esperienza diretta dell’abitare e del trasmigrare da una città all’altra e poile grandi costruzioni utopiche, dalla Repubblica di Platone alla Città di Dio diSant’Agostino. La città costituisce ai suoi occhi il luogo in cui abitare appa-gando i propri fondamentali bisogni di realizzazione e di vita comunitaria.

Per intendere a pieno il significato del contributo teorico che Toesca haofferto su questo terreno – e convalidato con gesti e scelte impegnative per lavita sua e dei suoi familiari – mi richiamerò a certe riflessioni classiche sullacittà e la metropoli, che risalgono all’epoca della fondazione della sociologia,tra Otto e Novecento, cioè al periodo in cui gli spiriti più riflessivi comincia-rono a lamentare la perdita della capacità delle città di rappresentare le esi-genze comunitarie dei propri abitanti o, sull’altro versante, a tessere le lodi,pur venate da dubbi, delle virtù liberatrici delle grandi metropoli. Credo chepur risalendo a un’epoca molto anteriore a quella in cui si è svolta la vita diToesca questi testi classici – penso in particolare a Comunità e società di Fer-dinand Toennies (1887) e a La metropoli e la vita dello spirito di Georg Sim-mel (1903) – offrano l’esempio di atteggiamenti paradigmatici verso l’avventodella città moderna e argomenti che possiamo ritrovare, ripresi o contestati,nelle teorie del personaggio che commemoriamo. Naturalmente sarà benetener conto del diverso intendimento dei due sociologi, che pur lasciandotrapelare proprie preferenze usano un approccio descrittivo, e di un filosofoche intende proporre un progetto politico di «fondazione» della città. Degliaccostamenti sono responsabile io, in quanto, per quanto mi risulta, Toescanon si è misurato direttamente con quelle prospettive sociologiche.

Pietro Maria Toesca e i sociologi della cittàLa città circolare, la comunità di Toennies e la metropoli di Simmel

Ferruccio Andolfi

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1. Nel ricostruire il passaggio che si è compiuto nell’epoca moderna dalla«comunità» (Gemeinschaft) alla «società» (Gesellschaft) Ferdinand Toennies,uno dei padri fondatori della sociologia, indica l’origine di queste due formeassociative in particolari modi di porsi delle volontà degli individui che inte-ragiscono. La forma più antica è opera della volontà che Toennies definisce«essenziale» (Wesenwille), un «equivalente psicologico del corpo umano», inopposizione alla «volontà arbitraria» (Kurwille), che domina la più recente«società»1.

Diverso è nei due casi il rapporto tra volontà e pensiero: nella comunitàè la volontà a contenere in sé il pensiero, mentre nella società la volontà è con-tenuta nel pensiero che la orienta verso fini. La volontà essenziale è fondatasul passato, quella arbitraria si comprende invece a partire dal futuro (129 s.).In quest’ultima il pensiero dello scopo domina tutti gli altri pensieri, e in rap-porto allo scopo fissato l’io acquista un’esistenza durevole. Lo scopo supremoè identificato con la «felicità», intesa come «un oggetto esterno del quale ci sipuò impadronire usando le proprie forze». L’aspirazione alla potenza e al de-naro appaiono collegati al perseguimento di questo fine (155-159).

Dal punto di vista della volontà essenziale il pensiero egoistico e calcola-tore, in cui culmina il principio di individuazione, si presenta come assoluta-mente ostile e cattivo, benché, a dire il vero, l’uomo astratto e artificiale siapiuttosto indifferente verso il bene e il male degli altri e conosca soltanto al-leati e avversari nei confronti dei fini da lui perseguiti (161 s.). Nel rapportocon la natura il singolo soggetto (della volontà arbitraria) assume un atteggia-mento di dominio cercando di ottenere da essa più di quanto ha dato: ma sitrova di fronte soggetti simili che competono con lui nell’intento di avvantag-giarsi del suo danno. È qui adombrata la figura dello scambio e della concor-renza quale si dà nella società capitalistica. A questa figura competitiva delloscambio viene opposta quella forma più fondamentale che si attua originaria-mente nella vita comunitaria tra le membra di un tutto organico: «Il loroscambio non è che una conseguenza e una manifestazione delle loro funzioni,e quindi del loro modo di esistere come modificazioni organiche, cioè comeespressioni della naturale unità e comunanza» (175).

Se i concetti «normali» di volontà essenziale e arbitraria si escludono, em-piricamente, nel carattere delle singole persone, può riconoscersi una combi-nazione dei due elementi: dove prevalgono le forme della volontà essenzialeil temperamento appare «fluente, morbido e caldo», mentre quando esso è

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NEL CAMMINO

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La filosofia e l’umorismo: un’utopia costruttiva di Harald HøffdingAlberto Siclari

Per lo storico della filosofia e filosofo militante Harald Høffding, che gliha dedicato uno scritto specifico e spesso è tornato sull’argomento anche inaltri lavori, nella sua forma compiuta l’umorismo non è un atteggiamento oc-casionale, e tanto meno una semplice battuta di spirito, ma una visione dellavita (livsanskuelse), una disposizione esistenziale. È dunque come un occhioche vede piuttosto che ciò che esso vede, un modo di guardare e di rapportarsialla vita e non una sua immagine, sebbene il volto con cui questa si presentaabbia un peso tutt’altro che trascurabile nella sua formazione1. Le disposizioniesistenziali sorgono, in effetti, dalla combinazione di elementi eterogenei – co-noscenze, giudizi, sentimenti, emozioni – che interagiscono sotto lo stimolodi fattori, anche temperamentali, contingenti e personali. Sono quindi diversee mutevoli non soltanto nei diversi individui, ma nei diversi momenti dell’esi-stenza di uno stesso individuo2. Nonostante ciò, è possibile rintracciare in essedelle costanti, relative all’indirizzo del pensiero, ai sentimenti e alle tendenzedominanti, che permettono di caratterizzare con sufficiente precisione alcuneloro forme fondamentali. Høffding, che ha affrontato ex professo il problemain uno dei suoi ultimi lavori di ampio respiro, Teoria della conoscenza e conce-zione della vita, ha incluso fra queste anche la disposizione umoristica, nellaquale ha indicato il proprio «sentimento globale della vita»3.

1. Caratteri della disposizione umoristicaIspirandosi a Solger, dell’umorismo Høffding tratta già nella sua Psicolo-

gia, data alle stampe nel 1882, definendolo «una visione della vita che vedebene quanto di limitato, di doloroso, d’insignificante e di disarmonico vi ènel mondo, e lo pone in netto contrasto con quanto vi è di grande e ricco disignificato, ma che ha superato ogni amarezza grazie alla sua profonda sim-patia per tutto ciò che vive e alla sua ferma fede nelle potenze che regnanonella natura e nella storia». In sostanza, all’epoca Høffding vede nell’umori-smo una manifestazione di apprezzamento e fiducia nella vita e, assieme, di

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consapevole accettazione della sua finitudine costitutiva e delle irriducibilicontraddizioni che le appartengono. Le sue considerazioni si concludono, in-fatti, con queste parole: «La visione umoristica della vita si è conciliata con l’e-sperienza che anche ciò che è grande ed elevato ha i suoi limiti, i suoi latifiniti, e il suo sorridere di ciò che è dappoco e finito non dimentica che essopuò essere forma di un contenuto prezioso»4.

Questo si legge nella Psicologia. L’espressione sintetica più matura e com-piuta della propria con cezione dell’umorismo è stata però fornita da Høffdingquasi trent’anni dopo, ne Il pensiero umano (e appunto per questo verrà ri -presa alla lettera nel successivo Grande umorismo). Essa viene proposta, conlo scopo evidente di met tere in luce la superiore criticità e com prensività del-l’umorismo, subito dopo le considerazioni sulla ten denza di un’altra fonda-mentale disposizione esistenziale, quella reli gio sa, a non ricono scere, perpurificata che essa sia, il valore soltanto poe tico dei propri simboli. È unacontrapposizione, va precisato, soltanto relativa, perché in entrambe questevisioni gioca un ruolo vitale la fede nel permanere del mondo dei valori, maè una contrapposizione.

«Vi è, al con trario […], scrive Høffding, un punto di vista dal quale, inmezzo alla mescolanza di tragico e di comico, di vittorie e di sconfitte che lavita presenta, si conquista un sentimento fondamentale (grundstemning) cheha, assieme, un ca rattere di gravità (alvor) – a causa di quanto di grande si èvissuto e del dolore che questo sovente è costato – e d’ironia nei confronti ditutti gli sforzi fatti per esprimere con imma gini ciò che, nella sua pienezza econ i suoi contra sti, infrange tutte le forme in cui si cerca di fis sarlo. La con-cezione della vita o il senti mento della vita che così sorge ha la salda convin-zione che vi è, nell’esistenza, per ciò che riguarda i valori come per tutti glial tri aspetti o elementi, una grande unità, e può perciò contemplare le vicendedella vita facendosene beffe, perché esse sono impotenti nei confronti di que-sta con vinzione, e così ugualmente gli sforzi di dire l’indicibile. Questo farsibeffe ha tuttavia il carattere della melanconia (vemod), perché di continuo sisente quanto è contraddittorio che la grandezza sia tanto spesso associata allameschinità, e che non si riesca a trovare la parola conclusiva (et afsluttendeord) sull’essenza della vita e le sue contraddizioni. Dietro l’ironia e la melan-conia vi è una grande rassegnazione, talvolta più prammatica, talvolta piùcontemplativa, tal volta amara, talvolta animosa»5.

Tale concezione della vita, ricorda ancora Høffding, è appunto quella che

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La filosofia e l’umorismo: un’utopia costruttiva di Harald Høffding 201

Kierkegaard chiama umorismo e indica come lo stadio esi stenziale più elevatonell’ordine puramente umano, inferiore soltanto alla re ligiosità, in partico-lare alla religiosità cristiana. Se però, continua, il criterio di indivi duazionedel rango dei diversi stadi dell’esistenza si basa «sulla pie nezza delle espe-rienze della vita, specialmente sulle esperienze dei contrasti della vita che unasu conce zione è in grado di abbracciare, nulla impedisce che questa conce -zione della vita sia la più elevata». Essa suppone, più di quanto non avvenganella visione religiosa, «la probità in tellettuale (den intellektuelle redelighed),il rispetto per la ricerca obiettiva disinteressata e per la conoscenza dellarealtà, coltivate secondo le proprie personali capacità».

E qui Høffding prende decisamente le distanze da Kierkegaard, e dopoaver deplorato il suo sostanziale disinteresse nei confronti della comprensioneobiettiva della realtà con clude: «Appunto per questo il contenuto di tale con-cezione della vita è più diversificato, i suoi problemi sono più reali e deter -minati in un modo più preciso, ed essa s’appoggia più saldamentesull’esperienza. Essa abbraccia elementi che Kierke gaard, deliberatamente epassionalmente, non ha voluto vedere. Non colloca le esperienze del chiostroal di sopra delle esperienze che possono essere fatte nel cuore della vita degliuomini, e tuttavia comprende il ri spetto per il movimento monastico del Me-dioevo che Kierkegaard esigeva. Presenta ovviamente in coloro che l’hannoadottata molti gradi e molte sfumature. Suppone la rifles sione e la critica,mentre suppone anche un’esperienza vissuta e una profonda simpatia»6.

In sostanza, nel grande umorismo Høffding ha creduto di veder re alizzataquella sintesi fra l’esigenza religiosa e il rispetto dei valori umano-mondani, an-zitutto la tensione all’obiettività, che agli inizi della sua attività di studioso gli eraparsa impossibile, portandolo, come leggiamo nelle sue Memorie, sull’orlo delladisperazione. Una sintesi che si può rag giungere, s’intende, sol tanto attraversouna serie di dolorose rinunce e l’abbandono di ogni forma di dogmatismo, teo-lo gico, scientifico o del senso comune7. Essa riposa infatti sull’accettazione dellacaducità di ogni forma, necessariamente finita, in cui la realtà e i suoi valori sipropongono all’uomo, e sulla ri conosciuta incomple tezza di ogni conoscenza (epresumibilmente, come Høffding osserva in più occasioni, della realtà stessa).Pro prio su quell’elemento, quindi, che assieme al riconosci men to delle insupe-rabili contraddizioni dell’esistenza sta all’origine della to nalità melanconica sem-pre presente nell’umori smo.

Va peraltro sottolineato che tale incompletezza era ritenuta da Høffding

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anche altamente positiva, in quanto gli sembrava garantisse la tensione vitaledell’esistere8. Il suo scritto del 1925 già menzionato, Teoria della conoscenza econcezione della vita, si conclude, significativamente, con queste parole: «Laricchezza della natura e della vita certamente procurerà che ci siano semprenuovo lavoro da compiere per il pen siero, nuove lotte da sostenere, nuoviinni alla vita da cantare»9. L’ambivalenza dell’incompletezza della conoscenzaè d’altronde del tutto coerente con la disposizione umoristica, che richiede ap-punto la capacità di riconoscere e accettare assieme, con onestà e coraggio, ilvalore e il limite di ogni aspetto della realtà.

2. La filosofia e l’umorismo in HøffdingAnche alla luce di queste considerazioni si comprende facilmente come

Høffding abbia riconosciuto alla filosofia una funzione fondamentale per la vitasua e dell’uomo in genere. Funzione che ha delineato sinteticamente, nell’auto-biografia intellettuale edita nel 1923, in questi termini: «Che cosa è stata la filo-sofia per me? Dopo i dubbi e le incertezze che mi hanno tormentato nei mieianni di gioventù, mi è divenuto chiaro dove stanno i grandi compiti per il pen-siero e per l’azione, e come si deve lavorare per la loro soluzione (sia essa possi-bile o meno). Nel lavoro intellettuale ho trovato così il miglior aiuto contro latristezza e la melanconia. Come Spinoza, ho sperimentato che difficoltà e affli-zioni si dissolvevano non appena potevo sprofondarmi nella riflessione (modopossem penitus deliberare). Ma la filosofia non è stata per me soltanto un rime-dio personale. Ho anche acquistato rispetto per il mondo del pensiero, in quantoesso ci rivela e ci addita i grandi compiti della nostra ricerca anche in mezzo al-l’inquietudine dei tempi e al contrasto delle passioni. Io credo più all’ideale chealle idee. Se poi non possiamo mai uscire da un’incessante ricerca, la spiega-zione sta forse nel fatto che l’esistenza stessa è incompleta. Questo è in ogni casovero per l’esistenza che si manifesta nella vita e nel pensiero dell’uomo»10.

Andando oltre tali affermazioni, possiamo chiederci sino a che punto la fi-losofia si sia in lui effettivamente e felicemente incontrata con le esperienzedella vita, dissolvendone «difficoltà e afflizioni», e quanto abbia contribuito acaratterizzare la sua disposizione umoristica. Nella ricordata autobiografia in-tellettuale Høffding rinvia a due suoi scritti, al saggio Prefazione e postilla allamia filosofia della religione e al già citato Il grande umorismo, dove ha cercatodi chiarire la sua posizione rispetto al problema religioso, ossia al problemadel senso ultimo dell’esistenza, come filosofo e come uomo, precisando che il fi-

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NELLA PRESENZA

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Sono ospitato in queste pagine, grazie alla sollecitudine del curatore, soloper ragioni d’affetto. Non ho alcun titolo per intervenire sull’eredità teoricae civile di Pietro M. Toesca. Non l’ho conosciuto abbastanza lui vivo, e nonho ancora riparato poi. Sulla sua eredità umana sì: faccio affidamento su unricordo di scuola.

Lo ebbi come insegnante di filosofia al romano liceo classico Virgilio, peri primi due anni. Dunque da quando ero quindicenne. Ho ricostruito quantianni aveva lui, e mi ha fatto impressione: trenta. Oggi, di un trentenne si di-rebbe che è un ragazzo. Allora, quel nuovo professore, pieno di capelli e barba− più da musicista ottocentesco che da capellone ante litteram − e un po’ zop-picante (qualcuno troverà una somiglianza fisica fra lui e Goffredo Fofi) sem-brava agli adolescenti che eravamo un uomo assai maturo. Fu un incontroimportante. Era l’iniziazione alla filosofia, così come al greco – le due materietendevano, nella nostra immaginazione entusiasta, a coincidere. Di Toescaavevo già sentito parlare da mio fratello Gianni, che era allora normalista eimpegnato nella Fuci, l’organizzazione universitaria degli studenti cattolici, ein quell’ambito aveva conosciuto e simpatizzato con quel teologo originale.Così, nella modesta biblioteca di casa mia erano entrati tempestivamente, condedica, due volumi di Toesca, smilzi ma densi molto, le Riflessioni sul male esulla storia, che era del 1956, e Teoresi per l’uomo, che uscì nel 1958, nel miosecondo anno liceale. (Un collega, di malignità settecentista, coniò la sua bravabattuta sul titolo Teoresi per l’uomo: “e cosmesi per la donna”). Il secondo hauna prefazione di Carlo Mazzantini. Oggi, leggo con straordinario interesse ilricordo, qui ristampato, che Toesca, a sua volta discepolo, scrisse del suo mae-stro, un po’ modellandolo a propria somiglianza. E permettendomi di misu-rare uno dei passaggi essenziali che Toesca compì, fra gli anni in cui fui suoallievo, e, dopo il 1960, la rivelazione di un marxismo anch’esso modellato asomiglianza di Socrate e Cristo, di Marco Aurelio e di Cartesio e Pascal.

Come sanno gli ex allievi del classico, che continuo a ritenere fortunati (va

Un ricordo di liceo e uno scambio di lettere Adriano Sofri

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da sé che in un’altra vita provvederei diversamente al mio incivilimento scien-tifico) l’incontro con la filosofia, con la materia, se non con la cosa, ha nelcorso scolastico un valore speciale. È un vero passaggio. Sia pure per l’alchi-mia di certi programmi pedagogici e burocratici, è il riconoscimento che sietegrandi e responsabili abbastanza per avere a che fare con il modo di pensaree di prendere il mondo. La prima lezione di filosofia è l’equivalente civile delservizio militare, e il suo principale concorrente. Non fingerò di ricordare ilcontenuto della prima lezione di Toesca. Ne ricordo il tono, affabile, collo-quiale, frequente di domande e, diciamo pure, maieutico, così da confermarcinell’impressione che la filosofia e il suo rappresentante significassero un’in-vestitura sulla nostra intelligenza e sulla nostra responsabilità. E ne ricordo l’e-vocazione, non cronologica, di termini come l’essere e il divenire, e di pensieriloro riferiti, l’acqua in cui non ci si bagna due volte e il sole che è nuovo ognigiorno e la tartaruga e Achille. Mi ricordo essenzialmente di un certo inter-detto, perché quei pensieri stuzzicavano l’ingegno, e però avevano anche un’a-ria di gioco infantile, mentre ci si aspettava qualcosa che andassedrammaticamente al punto, cioè alle questioni di vita e di morte. Il mio rap-porto con Toesca, che si fece da subito molto amichevole, fu attraversato daquesto sentimento contrastante: di gusto per il gioco intellettuale, e di so-spetto di futilità. Lui si guadagnava tuttavia il prestigio di chi sa estrarre anchedalle acutezze e dai paradossi dell’intelligenza la drammaticità delle questionidi vita e di morte. La «riflessione concreta che un tempo si chiamava filoso-fia» era già allora il suo punto.

Ho interpellato una mia compagna di scuola di allora, Maria Pellegrini,che è diventata una provetta latinista (e molte altre cose più importanti), allacui magistrale memoria ricorro ogni volta che la mia vacilla. Lei è capace dichiudere gli occhi e recitare come eravamo sistemati nei banchi. Maria ri-corda la fiducia che Toesca dava ai ragazzi, a fondo perduto. Che faceva moltopiù affidamento sulla conversazione che sulle interrogazioni ufficiali. Che glibastavano la partecipazione e l’interesse degli alunni. E che, naturalmente,qualcuno ne approfittava per non studiare. Ma è uno scotto che si può pagare.Qualche volta, dice Maria, non ci capacitavamo dell’insistenza di Toesca sucerti argomenti, che a lui sembravano fondamentali: «Per esempio sul Con-cilio di Trento parlò per mesi». Aveva le sue ragioni. Risale ad allora la nostrainformazione sulla questione proposta nel 1946 da Hubert Jedin, Riformacattolica o Controriforma?, la cui edizione italiana uscì appunto nel 1957.

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Pietro Maria Toesca: breve cenno biografico

Pietro Maria Toesca è nato a Torino il 26 gennaio 1927 da Enrico, un ricercatoredi chimica del Politecnico, e Desi (Margherita) Zanna, figlia di un medico. Dopo avertrascorso infanzia e gran parte della fanciullezza a Sauze d’Oulx, un paesino a 1509metri sul livello del mare, in alta val di Susa, a Torino frequenta le scuole medie, il liceoclassico e l’università. Finisce presumibilmente il liceo classico nel 1946 e si laureanel 1950 in Lettere moderne, con una tesi in storia sul Risorgimento italiano. Durantegli anni universitari segue contemporaneamente i corsi di Lettere e quelli di Filoso-fia, divenendo allievo di Carlo Mazzantini. Il progetto di prendere la laurea in filoso-fia non viene portato a termine, ma gli studi filosofici sono il suo destino intellettuale.

Appena laureato, ottiene due borse di studio, una a Parigi (non ricorda la moglieGiovanna, che è la fonte di questa notizia, presso quale istituto di ricerca), l’altra a Na-poli, presso l’Istituto Croce di Studi Storici.

Inizia il suo insegnamento di Filosofia e Storia nel 1956/57, a Roma, nel liceoVirgilio.

Il 19 maggio 1957 sposa Giovanna Tresalti, studentessa (poco dopo laureata) difilosofia, che gli resterà sempre fedelmente e coraggiosamente accanto.

Nel 1956 viene pubblicato da Philosophia, editrice in Firenze, il suo primo libro:Riflessioni sul male e sulla storia. Sempre a Firenze, dalla stessa casa editrice, vienepubblicato nel 1958 il volume Teoresi per l’uomo.

Nel 1958 consegue anche la libera docenza in Filosofia della storia alla Sapienzadi Roma, e ivi inizia il suo libero insegnamento.

Il 30 marzo del 1960 nasce la primogenita Maria; il 16 giugno dell’anno succes-sivo Alexandra.

Nel 1965 Toesca ottiene un incarico per la cattedra di Filosofia teoretica nellaFacoltà di Magistero dell’Università di Parma. E a Parma, insieme a lui, si trasferi-scono alcuni dei suoi allievi dell’università di Roma: Ferruccio Andolfi (ora docentedi Filosofia della storia nell’Università di Parma), Giuseppe Di Giacomo (ora docentedi Estetica nell’Università “La Sapienza” di Roma), Pietro De Vitis (ora docente di Fi-losofia morale nell’Università Roma Due “Tor Vergata”), Alberto Siclari (ora docentedi Storia della teologia nell’Università di Parma).

Lo spostarsi di Pietro Maria Toesca da Roma a Parma, “il trasferirsi dei Toesca”,rappresentò la dislocazione di un centro di incontri, affetti, dibattiti, speranze, pro-

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getti. Si poneva il problema di mantenere vicino ciò che diveniva lontano o, meglio,di ampliare talmente l’area d’influenza di quel fuoco dell’interesse, delle amicizie,delle attività, da rendere irrilevante il suo passare da una città all’altra.

Così molti, davvero molti, percepivano la partenza di Toesca da Roma. Per tuttequeste persone egli era ed è restato a lungo, la filosofia.

Dal 1965, dunque, il Magistero di Parma cominciò a essere lo spazio di questapersonalità filosofica e umana. Nello stesso anno, presso l’editrice Studium di Roma,esce Verità e Rivoluzione, che Toesca dedica alle figlie Maria e Alexandra.

Il 3 agosto del 1966 nasce Francesco.I «Quaderni dello Studio Parmense» sono stati per Toesca un’occasione impor-

tante di ulteriore espansione dell’attività intellettuale. In questi anni nasce e cresce l’a-micizia con Ferruccio Masini, germanista e poeta, pittore, filosofo, studioso etraduttore di Nietzsche.

Nel 1967 viene pubblicato, nei «Quaderni dello Studio Parmense», Filosofia del-l’homo faber.

Il 22 aprile del 1969 nasce l’ultimogenita, Chantal.L’anno successivo, vede la luce della stampa, presso la stessa casa editrice, le Apo-

rie della filosofia contemporanea: il volume miscellaneo raccoglie, oltre a uno scritto diToesca che ne è il curatore, contributi di Angela Ales Bello, Pietro De Vitis, FerruccioMasini, Alessandra Olivetti Greppi, Alberto Siclari.

Com’era inevitabile, gli eventi del 1968 hanno visto Pietro Maria Toesca al cen-tro delle profonde contraddizioni che esplosero nelle istituzioni accademiche di tuttoil mondo occidentale. Egli non era uomo che potesse nascondersi dietro il disturbatoquieto vivere della sua università; era alla ricerca della verità: l’inquietudine della so-cietà che lo circondava non poteva non inquietarlo. E la dialettica della sua inquieta,faconda e feconda ricerca non poteva non trasmettersi alla società circostante.

Nel 1971 Toesca fonda la Cooperativa editoriale Nuovi Quaderni e la rivista «Iltamburo di latta». Tra gli entusiasti primi ideatori e collaboratori della rivista, Ferruc-cio Masini. Nello stesso anno, la Cooperativa pubblica un altro volume di Toesca: Pa-scal, l’uomo ritrovato o della ricerca.

Negli ultimi anni Settanta, forse nel 1978, la famiglia Toesca acquista un bellissimocasale in pessime condizioni vicino a San Gimignano, in Val D’Elsa, località Pancole.

I Toesca si mettono tutti al lavoro per restaurarlo con le proprie mani e, possibil-mente, quelle di amici volenterosi e disposti a sperimentare la durezza e la bellezza dellavoro manuale, il suo rapporto con la speculazione e la poesia, il suo appartenere al farein senso creativo, al poiein. È l’inizio di una rottura definitiva con l’istituzione universi-taria, l’abbandono degli allievi che nell’accademia si trovano ancora in posizioni subor-dinate o in condizioni di precariato, l’inizio di una nuova, difficile, durissima esperienza.

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Per qualche anno, fino al 1981, Toesca si reca ancora a Parma per tenere le suelezioni; ma sta già scrivendo la sua aperta lettera di dimissioni, che sarà stampata dallaCooperativa Nuovi Quaderni con il titolo L’università come fabbrica dell’intelligenza.Lettera aperta di dimissioni ai miei colleghi sulla fraudolenza dell’intellettuale.

Pietro Maria Toesca non è ricco, non cerca la libertà che può procurare il de-naro, ma quella che può manifestarsi in un lavoro autenticamente umano, non alie-nato. Un lavoro vero in mezzo a una società falsa, una parola autentica in un discorsofuorviante.

Nel podere Toesca, si impara a fare i muratori, i falegnami, i tipografi. Si studia,si parla, ci si incontra, si mangia insieme quello che è disponibile. Chi può dà un pic-colo contributo in denaro o in lavoro, oppure nulla. Nessuno è respinto, neppure quelliche criticano anche aspramente le scelte del filosofo, le sue condizioni di vita, il suo ri-fiuto irreversibile della carriera accademica, della possibilità di dedicarsi senza altrepreoccupazioni allo studio, la rinuncia al potere di aiutare i propri allievi ad avanzarenell’università, l’abbandono accademico della propria Scuola. “La mia università èquesta”, dice Pietro con irritante ironia e serietà: la “Pancole Country University”.

In questo inizio c’era l’orizzonte e il termine, l’idea per la quale e intorno allaquale il pensiero di Toesca ha dato luogo a un’utopia che era anche la realtà di unacomunità gravitante intorno a una famiglia esemplarmente unita, ma formata da per-sone esemplarmente autonome.

L’aleatorietà e la consistenza di quella comunità risiedeva tutta nella capacità diPietro di ridiscutere, ricreare, ricostruire sempre di nuovo i suoi presupposti, le suecondizioni, i suoi limiti, i suoi fini. Era il tentativo di costruire, fondare una città, unaPolis, una comunità autentica di uomini autentici. E questo in mezzo a delusioni, ri-strettezze, degenerazioni e involuzioni della politica, crisi economiche della società cir-costante, solitudini, incomprensioni, equivoci.

Pietro Maria Toesca, mentre agiva, studiava, rifletteva, scriveva: per lui la praxisera, nel suo punto più alto, logos.

Del 1986, ancora pubblicato dalla Cooperativa Nuovi Quaderni, è il suo Platonepensatore negativo. Analisi della scrittura ironica della Repubblica.

Cito ancora, perché rientra nel tema, Manuale per fondare una città, Eleuthera,Milano 1994.

La produzione in libri e articoli negli anni che vanno dal 1980 al 2005 è assoluta-mente vertiginosa. Negli anni Novanta nasce la rivista «Eupolis», la quale avrà una certaregolarità nelle uscite, in quanto è legata a una attività di carattere politico volta allarealizzazione di un modo nuovo di vivere nelle piccole città storiche dell’Italia centrale.

Ma il fulcro di questo far politica è un’esigenza di far filosofia, un distacco dallapolitica nei suoi aspetti meschini, nel suo servire non al bene di tutti, ma all’interesse

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di alcuni. Toesca ha studiato, studia e segue il Socrate platonico, sentendosi vicino alChisciotte di Cervantes.

Il casale di San Gimignano, restaurato, è divenuto come la materializzazione di unpensiero, di un progetto in parte realizzato, in parte da realizzare, in parte irrealizza-bile. Qui ho incontrato Pietro ancora nel giugno del 2005: gli ho portato un mio libro.

Appare molto stanco e affaticato, cammina con difficoltà appoggiandosi a un ba-stone. Intellettualmente è in piena attività. Ci sediamo fuori, è caldo. Egli chiede aqualcuno di prendere un suo recente scritto per regalarmelo. È intitolato L’altrovecome luogo e i suoi abitanti.

L’altrove è il luogo − o il non luogo − nel quale abitano, ovunque si trovino, ipersonaggi di cui si parla in queste pagine: il poeta, il pittore, il pensatore, il musici-sta, il filosofo, l’inventore, lo scultore, l’artigiano, il costruttore di cattedrali, l’attore,il cantante, la ballerina classica, il regista, il costumista, l’innamorato...

Di questo libro ci sono due edizioni; nella seconda sono stati aggiunti personaggi,professioni, condizioni di libertà degli uomini dalla necessità che li assedia. “CaroRomano, leggo nella dedica, dove possiamo incontrarci se non nell’altrove?”Ancoraun invito nella sua città, con la piena consapevolezza che essa sta altrove perché puòessere ovunque.

Si ammala più gravemente nell’agosto, prima che abbia luogo la Festa-Cantieredella Poesia, da lui organizzata a San Gimignano per il settembre di quell’anno. Deveessere ricoverato in ospedale. A casa tornerà per pochi giorni, prima di essere portato,di nuovo in ospedale poi in clinica, a Roma dove risiedono ormai da anni tutti i suoifigli. Torna a Roma, Pietro Maria Toesca, e molti suoi antichi allievi del liceo Virgilioe dei primi corsi universitari alla Sapienza, lo vanno a visitare. Egli riconosce tutti, pertutti ha una parola, fino all’ultimo respiro.

Muore, nella tensione alla realizzazione dell’Uomo e nella speranza della salvezzadel Cristo, il 28 dicembre 2005.

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Gli autori di questo volume

Angela Ales Bello insegna Storia della filosofia contemporanea nella PontificiaUniversità Lateranense;

Alessandro Bosi insegna Sociologia generale nell’Università degli Studi di Parma;Francesca Brezzi insegna Filosofia della religione nell’Università degli Studi Roma tre;Pietro De Vitis insegna Filosofia morale nell'Università degli Studi Roma due “Tor

Vergata”;Lorenzo Barani insegna Filosofia e Storia nel liceo classico S. Carlo di Modena;Margarete Durst insegna Pedagogia nell’Università degli Studi Roma due “Tor

Vergata”;Franco Insalaco è stato redattore della rivista «Eupolis» fondata da Pietro Maria

Toesca;Lido Chiusano insegna Storia della filosofia nell’Università degli Studi di Cassino;Ferruccio Andolfi insegna Filosofia della storia nell’Università degli Studi di

Parma;Giuseppe di Giacomo insegna Estetica nell’Universita degli Studi di Roma “La

Sapienza”;Romano Romani ha insegnato Ermeneutica filosofica nell’Università degli Studi

di Siena;Giorgio Derossi insegna Filosofia teoretica nell’Università degli Studi di Trieste;Giancarlo Gaeta insegna Storia del cristianesimo antico nell’Università degli Studi

di Firenze;Giuseppe Ferraro insegna Filosofia morale nell’Università degli Studi “Federico

II” di Napoli;Adriano Sofri è scrittore e pubblicista;Anna Marina Storoni Piazza ha insegnato Filosofia e Pedagogia nelle scuole medie

superiori e ha studiato il mondo greco dell’epoca classica.

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Generato

da lacerante

meraviglia di un maestro

che continua a popolarci

tra filosofia teoretica poesia

della vita amore per la città

costruita ogni giorno

dal pensiero che fonda

e dalle mani operose

questo libro ci restituisce

Pietro Maria Toesca

per la stampa

della tipografia Nerocolore di Correggio

per conto di Diabasis

nel mese di maggio

dell’anno feriale

orfano di utopie

duemila

nove

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