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Antonio Gesualdi Ergon Edizioni Il nuovo Nordest @Nordest - Lineanews

IL NUOVO NORDEST

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Il Nordest della fine del Novecento e gli inizi del XXI secolo. Ora è locomotiva d'Italia, ora è sull'orlo dell'abisso. Ora è il primo di tutto, ora è l'ultimo che arranca. Queste idee di psicologia collettiva poco corrispondono alla realtà dei fatti. Fatti che sono già scritti è già in atto.

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Antonio Gesualdi

Ergon Edizioni

Il nuovoNordest

@Nordest - Lineanews

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Linea News studio associatodi Francesco Brasco, Antonio Gesualdi, Francesca Rigottivia Leonardo da Vinci, 1436100 - Vicenza

Tel.: 0444-912691e-mail: [email protected]: www.anordest.it

La cartina in copertina, sulla distribuzione delle famiglie nel Nordest, èrealizzata grazie al software disponibile in Internet del Centro di serviziInterdisciplinari di Rilievo Cartografia ed Elaborazione (C.I.R.C.E.)dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (I.U.A.V.).Indirizzo web http://cidoc.iuav.it/sintesi

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A mia moglie Mitzi che al telefono rispose sempre che non ero in casa. A mia figlia Camilla che ha sempre risposto, ma avendo solo due anni,

nessuno capiva se c’ero o non c’ero. Ai miei colleghi Francesco e Francesca che, in redazione,

hanno sempre risposto al posto mio. Un libro, però, dice sempre più di una chiacchierata al telefono!

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Introduzione 9

Prima di tutto uomini e donneMarx, Freud e il NordestIl Nordest, un luogo comune… ai nordestiniPunti di vistaL’antropologia che non c’èLa mentalità essenza del progresso

1. Autorevolezza, diversità e individualità 29

Famiglie e famiglia del NordestLa famiglia autoritaria o stirpe, incompletaIl figlio erede e il figlio cadettoLa disciplina famigliareLa famiglia e i suoi figli, che storiaLa sequenza del progresso, con l’acceleratoreLa famiglia stirpe, incompleta, urbanaLa famiglia stirpe, un bilancio

2. Carattere e atteggiamenti 63

Reich, Lopez e il figlio preteI soldi, la pellagra, l’alcol e i suicidiLa pratica religiosa e la pratica sessualeIl lavoro è fonte di equilibrioL’imprenditore-operaio/contadinoL’imprenditore-operaio… rivoluzionarioLa contro-rivoluzione industriale

3. Scolarizzazione e secolarizzazione 91

Il prete vagabondo e ubriaconeDove c’è il prete c’è l’alfabetizzazione

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Indice

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Siamo o non siamo tutti preti?Il diplomato e la diplomata… tecniciL’insegnante è mamma, ma soprattutto personaIl Purgatorio che verràIl sano egoismo è l’associazionismo

4. Ideologie e frammenti 129

Democrazia cristiana, socialismo ed etnocentrismoLeader maximo? Il Papa”Forza etno!”L’egemonia DemocristianaIl fomentatore e il capro espiatorioLa famiglia stirpe blocca comunisti e fascistiLa Lega là dove declina la pratica alla messaI leader minimiI leader d’oggiProteggere gli ultraliberisti?E’ finito il welfare dell’al di làAstenuti apocalittici e astenuti integratiDemocrazia e Nazione

5. L’economia sglobalizzata 181

Chi guadagna, guadagna tempoCapitalismo stirpe e capitalismo individualistaL’eredità come pensione?Delocalizzare: la libertà in Russia!Manodopera e mano-liberaLa cassa rurale psicologicaInvecchia la popolazione, ma gli immigrati non servonoSi cercano le professioni che nessuno sa più fareL’imprenditore-venditoreIl ciclo inventivoProteggere la contro-rivoluzioneL’imprenditore inventatoPer i politici: costruire tanti Berlusconi

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Le nuove ineguaglianzePiano piano, forte forte

6. Dall’ebreo all’extracomunitario 231

Quando la badante era ebreaDentro e fuori dal ghettoAssimilato meglio che altroveStatuti famigliari a confrontoNon tutti gli italiani hanno lo spirito fascistaLa donna-bambina immigrata

7. Conclusioni: Che succederà? 261Oggi per domaniSempre contro la “sofferenza di massa”Diplomati e laureatiC’era un capannone e una parrocchia ad ogni angolo di stradaSaper perdere per poter influenzare i governiCi sono ancora le classi sofferenti?L’europeista convinto è il più protetto

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Prima di tutto uomini e donne

I giornalisti non sono ricercatori o docenti universitari – molti lo sono, a dir la verità– e gli studiosi non sono giornalisti – ma molti lo sono, a dir la verità -. Tutto sta nelcercare di raccontare, almeno, la propria verità.Gli uni e gli altri, però, spesso si scambiano di ruolo perché gli interessi e le tema-tiche si incrociano. Sono intellettuali e fanno parte della classe dirigente. Hanno ildiritto, ma soprattutto il dovere, di analizzare, capire, studiare, divulgare e proporre.Dunque era naturale che anch’io, giornalista di un quotidiano esclusivamente online, @Nordest (www.anordest.it) - mezzo ancora oggi sottovalutato - finissi peroccuparmi di un tema come il Nordest cercando di approfondire, di tirare qualchesomma, di seguire qualche traiettoria di indagine… giornalistica s’intende.Non si può raccontare di persone, di luoghi, di accadimenti quotidiani e non inse-rirli, almeno mentalmente, in un contesto complesso attuale e storico. Con questo libro ho voluto fare proprio questo: mettere in un contesto organizzatoquanto andiamo raccontando giorno per giorno su @Nordest.Per le coordinate fondamentali mi sono affidato all’antropologia e ho scelto la teo-ria che mi sembrava più avanzata ed esplicativa, ad oggi, e che mi desse strumenticomplessi e attendibili oltre che falsificabili e, quindi, verificabili1.

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Il problema non è che cosa fare, ma come fare… Il problema è formale – W. Reich

Introduzione

1. Ma provate a farvi un’idea – se ci riuscite - di cosa significano, realmente, questi dati riportati daun giornale locale: “Si va esaurendo un percorso di sviluppo: il 2002 (per il Nordest) è stato un annoche risulta essere il terzo peggiore nell'ultimo cinquantennio. Il Pil è cresciuto solo dello 0,3 per cento,il reddito pro capite è sceso dello 0,2, per la prima volta in dieci anni il valore corrente delle esporta-zioni è diminuito, la domanda interna delle famiglie è cresciuta solo dello 0,8 per cento, la produtti-vità del lavoro è scesa dello 0,2…. Gli occupati sono aumentati di 25.000 unità e i disoccupati sonodiminuiti di 2.000.”

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Ho scartato il sistematico taglia-e-cuci d’archivio con le solite spennellate d’inter-viste, ma non mi sono neppure iscritto ad un corso universitario. So che questo puòcreare ibridi: troppo poco scientifico o troppo poco giornalistico, ma è un rischio chebisognava correre. Il giornalista deve avere il coraggio di sapere stare anche nellaterra di nessuno. Sono convinto che questo lavoro sul Nordest, a questo punto, e inquesto modo andava fatto e mi auguro che altri potranno prendere spunti perapprofondire. Quanto alle idee è sempre preferibile averne qualcuna che non averne. La mancan-za di idee lascia chiunque in balia degli eventi, senza riferimenti, disorientato.Un’idea, anche se sbagliata, invece apre, comunque, alla ricerca creativa e costitui-sce una promessa di verità.

Marx, Freud e il Nordest

Molta analisi marxista, di cui molti studiosi del Nordest, ancora oggi, sono puntua-li divulgatori, non regge alla storia e all’attualità. Non regge più neppure l’analisiweberiana che fissa le categorie religiose per la spiegazione dello sviluppo. Così come Marx spiega la nascita del capitalismo inglese e sbaglia su quello conti-nentale, francese o tedesco o russo, Max Weber spiega, a partire dalle religioni, lanascita del capitalismo europeo ma non quello del Sudest asiatico o del Giappone. Marx vede la scissione in due macro-classi e prevede la dittatura del proletariatoguardando la Gran Bretagna tra il XVIII e il XIX secolo, ma in Francia, inGermania, e poi nei paesi mediterranei e in Russia, le cose vanno molto diversa-mente2. Tra il 1500 e il 1900 i paesi europei danno vita non a una ma a più rivoluzioni: cul-turale, demografica ed economica. Lo stesso filosofo inglese ultra citato dai liberi-sti, lo scozzese Adam Smith, scriverà che per capire qualcosa di ciò che accade biso-gna tener conto della cultura, delle istituzione e dell’economia. Dunque un altro errore di Marx quello di credere che tutto sgorgasse dall’economia?Anche. Invece, ad esempio, l’invenzione della stampa, ad un certo punto della sto-ria europea, più che un effetto è una necessità e diventa, poi, una causa dello svi-luppo tecnologico. La stampa andava inventata proprio in quel momento e in

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2. Sugli errori di Marx c’è un bel volumetto di Paolo Sylos Labini edito da Laterza oppure si può dareun’occhiata al sito internet del professore “liberal socialista”. Il libro si trova anche all’indirizzo inter-net: www.crs4.it/Letteratura/LaCrisi/LaCrisi.html

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Germania. L’alfabetizzazione in atto rende indispensabile un torchio per imprimerepiù carta e più velocemente, ci sono sempre più cose da raccontare e da tramanda-re: il sapere qualificherà le persone e questo qualificherà il saper-fare. In Cina il pro-cesso era già stato messo in pratica nel XI secolo ma, poiché nella lingua cinese cisono molti caratteri, l’invenzione dell’intaglio del legno e i caratteri mobili non furo-no ritenuti utilizzabili in grande stile. Mentalità differenti.In Europa, quattro secoli dopo, nel 1850, Carlo Maria Cipolla3, ci spiega che i paesiindustrializzati sono anche quelli più alfabetizzati: Svezia, Prussia, Inghilterra,Francia, Austria e Belgio hanno già superato il 50%. L’Italia è ancora intorno al 20%.Dunque prima di arrivare all’economia, al mercato, ai schèi, bisogna capire e cer-care di spiegare cosa c’è sotto la punta dell’iceberg anche se questa punta è più faci-le da misurare soltanto perché si vede. Il crollo del 1929, comunque lo si voglia spiegare, produce il nazismo in Germania,ma negli Stati Uniti produce il New Deal. Da una parte Hitler dall’altra Roosevelt.I paesi mediterranei, dopo la Prima Guerra Mondiale, fanno tutte l’esperienza diregimi autoritari, ma in Italia il fascismo dura venti anni in Spagna il franchismo unacinquantina. In Italia la monarchia salta, in Spagna c’è tuttora. L’economia, dunque, non spiega tutto e non crea tutto: non è da lì che bisogna par-tire per spiegare quanto accade o è accaduto. I crolli demografici, ad esempio, spesso sono spiegati con i crolli economici: ma inbuona parte dell’Europa di oggi si vive bene eppure si fanno pochissimi figli. InAfrica c’è la povertà più diffusa ma i tassi di natalità sono ancora alti. Questo, però,non significa che non si debba tener conto di dati economici: le maggiori correla-zioni studiate nel Terzo mondo, infatti, ci dicono che sono la speranza di vita e l’al-fabetizzazione, la speranza di vita e il reddito pro-capite o quest’ultimo e l’urbaniz-zazione o l’alfabetizzazione che indicano reali movimenti di crescita. Se c’è qual-cosa da capire, dunque, bisogna guardarlo da più punti di vista e, soprattutto, cer-cando di non semplificare più o di non assolutizzare più nessun dato in particolare.Chi lo fa, sbaglia.Così come non possiamo non utilizzare un secolo di psichiatria, di psicanalisi, dipedagogia per cercare di capire gli atteggiamenti mossi dall’inconscio e che muo-vono dal profondo gli uomini e le donne che ci circondano e noi stessi. Il friulano Tito Maniacco che ha scritto una storia della sua regione fa riferimento aMarx, e fa riferimento anche a Ronald Laing, lo psichiatra antipsichiatra nato aGlasgow in Scozia, per riproporre una storia d’identità a partire dalla lingua. E viene

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3. C.M. Cipolla – Literacy and Development in the West – Londres- Penguin - 1969

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facile il ricordo di scozzesi che hanno rischiato la testa pur di parlare nella proprialingua. Che affinità!“Dobbiamo coltivare le nostre differenze” dice Laing citato da Maniacco. E si ricor-da la storia della Scozia come quella del Friuli; la storia delle identità attraverso lalingua, appunto. Il fatto è che tutti hanno una propria lingua e questo tentativo didifferenziazione, piuttosto, mostra l’evidenza dell’appartenenza di questi intellet-tuali alle loro origini: la Scozia come il Friuli, non a caso. Mostra l’inconscio, il sub-strato non consapevole, piuttosto che l’elaborazione superiore. E’giusto che sia così,ma sarebbe anche giusto divenirne consapevoli e la presa della consapevolezzaindividuale non può che passare da un rapporto a due o da un piccolo gruppo comequello famigliare. Ma su questo sappiamo bene che anche la psichiatria si è divisa.L’etnopsichiatra Piero Coppo scrive: “sull'onda della contestazione antiautoritariache sconvolse l'Occidente negli anni '60 e '70, (alcuni psichiatri) criticarono a fondo,ponendosene al di fuori, l'apparato psichiatrico e la società che l'aveva espresso, avolte con la stessa serietà e profondità di argomentazioni, spesso con maggiore radi-calità, decisione e forza: Herbert Marcuse, Ronald Laing, David Cooper, FrancoBasaglia, per citarne alcuni. Ma, diversamente da essi, gli "psichiatri comparativi"intendevano restare nell'ambito di questa società, della psichiatria e della Scienza.In un certo senso, volevano verificare, dall'interno del sistema psichiatrico, la tenu-ta del sistema stesso per renderlo, finalmente, coerente.” Ecco diciamo che l’intenzione di una collettività dovrebbe essere proprio quella direndersi consapevolmente coerente, emanciparsi, nonostante i diversi atteggiamen-ti e la diversità delle idee. Cosa che, tra l’altro generalmente accade. Certo la psicologia nasce nei paesi ger-manici e soprattutto nasce là dove un sistema famigliare preciso può essere l’origi-ne di quel modello psichico. In Oriente, in Africa, in India la psicanalisi di un austriaco come Freud non spiegamolto se non in riferimento alle categorie europee. Non per questo ci devono sfug-gire dati storici sui turbamenti che si diffondono nei periodi di cambio di mentalità,di passaggio da concezioni religiose a concezioni collettive ideologiche o di fram-mentazione. I salti nel fascismo, nel nazismo, nel comunismo, in Europa, sono sempre stati annun-ciati da tassi più elevati di suicidi, di “malessere mentale”, di patologie diffuse. La stessa fissazione paranoica ad una ideologia, di per sé, è malattia. Antipsichiatricome Laing, ma anche altri come Thomas Szasz, Erving Goffam, e poi Foucault,Dleuze, Guattari o anche Basaglia a Gorizia hanno sicuramente contribuito alla

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moderazione professionale, anche se non hanno certo eliminato la follia. Anzi dimo-strare che la razionalità schizofrenica è inscritta nella famiglia, e quindi già nell’in-fanzia, non significa non ammettere la patologia stessa. Una struttura famigliarepatogena produce valori e atteggiamenti patogeni. Tutti gli scienziati sociali convengono che l’ideologia è un dogma rigido al quale siaderisce e difficilmente spiegabile. Ma le ideologie hanno fatto la storia contempo-ranea e anche milioni di morti. Non possiamo far finta di niente per paura dello chocche ci procura il pensarci anche paranoici, simbiotici o schizoidi. Se si parla di nazismo o di stalinismo viene facile a tutti parlare di schizofrenia, dimalati di mente, di pazzi. Ma se quelli sono estremi umani tutti gli altri stadi vannostudiati con altrettanta chiarezza. Assumiamo, così, il totalitarismo anche come untentativo collettivo di normalizzare la schizofrenia; un tentativo di combattere ilmalessere collettivo, ma questo non lo riteniamo “normale” o accettabile. Però tutto ciò che riteniamo “normale” dobbiamo poterlo guardare anche da questopunto di vista: il grado di sanità mentale collettivo e in particolare della classe diri-gente che ne scaturisce, il carattere, la tipologia, il profilo di chi rappresenta o dicome si presenta una collettività di individui. Tracciare il profilo di una collettività significa studiarne il temperamento, il caratte-re, le modalità di azione e di reazione; in ultima analisi significa anche accettarla.Oggi siamo nel XXI secolo e continuiamo a cercare di organizzarci calcolando ognigiorno un reddito più o meno alto, un’azienda che chiude e una che apre, due arti-giani in più qui e quattro di meno di là, e così via. Diventiamo sempre più miopi, avisione corta, e continuiamo a destinare risorse per sondaggi estemporanei, indagi-ni ripetitive, modelli interpretativi misurabili, ma insufficienti. Finiamo per aggrapparci a criteri congiunturali che, alla fine, non chiariscononiente. Dobbiamo tornare a studiare seriamente, ma senza confondere unacerta idea deterministica con le indicazioni di lungo termine.I fenomeni politici, economici e sociali non hanno niente di ineluttabile. Manon dobbiamo neppure fare l’errore di pensare che il presente sia sconnessodal passato; ogni territorio è sempre artefice del proprio sviluppo e del pro-prio sottosviluppo. Dunque non è questione di indovinare il futuro, ma di delineare i possibili iti-nerari in base, anche, alle evoluzioni nazionali e internazionali. “In altri termini - scrive Emmanuel Matteudi - l’osservazione dei modi diorganizzazione tradizionali di ogni società mostra in modo evidente a qualpunto l’evoluzione recente e del futuro di ogni territorio è associata ai fonda-menti organizzativi del passato”. E’ tutto qui.

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Il Nordest, un luogo comune… ai nordestini

Paradossalmente abbiamo bisogno di più semplicità ma anche di più strumenti dianalisi. Siamo pieni di esperti che sanno tutto sul Nulla e di tuttologi che non sannonulla sul Tutto. E siamo anche pieni di rimpalli e di luoghi comuni.Per ora il clima è ripetitivo, un’altalena di aria. Il 24 maggio 2001 il quotidiano Il Giornale sbarca a Vicenza e titola: “Opere pro-messe da cinquant’anni fatte in 24 mesi – La città delle formiche che produce piùdella Grecia”4. Il giornalista Gian Antonio Stella aveva già raccontato nel libro“Schei” il Nordest straricco così come Paolo Rumiz e altri.Eravamo ancora in piena euforia da Nordest. Sembra passato un secolo? No, molto,molto di più. Sono secoli che è così. Ma basta attendere solo due anni, l’euforiapassa, le borse sono crollate proprio nella primavera del 2001, e libri incensatori sulNordest non se ne pubblicano più.Estate 2003, si legge che ''Il peso di Veneto, del Friuli-Venezia Giulia, del Trentino-Alto Adige appare molto limitato nella compagine di governo se comparato conaltre aree e con il consenso elettorale garantito alla maggioranza politica nazionale.E i paragoni con la Scozia, la Catalogna, la Baviera che si sprecavano solo qualcheanno addietro, oggi sembrano semplicemente improponibili''. Lo scrive il sociologovicentino Ilvo Diamanti.Due anni prima leggevamo, sempre dalla penna di Diamanti che: ”Per chi intendedefinire il Nord Est evocando altri esempi internazionali il gioco oggi appare com-plicato. Perché è difficile individuare uno specifico aspetto che lo contraddistingua.E per questo uno specifico Paese nel quale si rispecchi. Giappone o USA? L’uno el’altro. E, inoltre, Catalogna e Svezia. Il Nord Est riflette una pluralità di esempiinternazionali. Il che lo rende un’area, per così dire, poco italiana.” E intanto arriva il libro del giornalista Bruno Manfellotto “S-profondo Nord”.Insomma a guardare certi dati e sentire così tanti commenti viene veramente paura:ieri eravamo ricchissimi, oggi rischiamo il tracollo. Che sarà domani? Ci arrivere-mo, almeno?Giorgio Bocca, alla prefazione del libro “Schei” (ma chissà come veramente si scri-ve, schèi… sghej!) dice che negli anni Sessanta, quando faceva le inchieste per Il

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4. Vicenza non produce più della Grecia ma esporta per un valore di euro uguale alla Grecia. La cifradell’export greco è di circa 12.470 milioni di euro mentre i vicentini esportano circa 11.000 milioni dieuro. Su questo tema vi sono anche altri miti: c’è chi scrive che Vicenza esporta quanto Grecia ePortogallo insieme oppure che esporta quanto Grecia e Argentina. Ce ne sono altre?

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Giorno di Italo Pietra, nel miracolo di Vigevano, Carpi, Lumezzane accadeva lastessa cosa: miracolo economico, appunto: “Stessa crescita a prato basso, apparen-temente spontanea, apparentemente imprevedibile, incontenibile, epidemica ‘infet-tiva’… Stessi personaggi inventori e mercanti, trascinatori e trascinati, ora con vistada aquila ora incapaci di vedere oltre la punta del loro naso; stessi orgogli, stesso“piove governo ladro”, stessa schizofrenia, noi e lo Stato, come se non fosse la stes-sa cosa; come se uno Stato non fosse fatto dai suoi cittadini, dalla loro cultura, dalleloro tradizioni, dalle memorie del sangue.” E si cita Fernando Camon, scrittore “nato in un piccolo paese di campagna, in pro-vincia di Padova, presso Montagnana, (che lo stesso Camon definisce “cittadinachiusa da una perfetta cinta di mura - Castellani vi ha girato il film "Romeo eGiulietta" - che risale ai tempi del tiranno Ezzelino, prima di Dante. Di questo paesenon ha mai indicato il nome) che andava scrivendo: “Siamo partiti alla pari delMeridione. Forse più indietro ancora. Abbiamo sempre fatto da soli, ci hanno sem-pre trattato male. Lo Stato è come se non ci fosse mai stato. Nel rapporto dare-avereabbiamo dato mille e ricevuto zero virgola qualcosa.” Insomma un Nordest con un’aria “poco italiana”, in uno Stato che è “come se nonci fosse stato”, e mossi dalla stessa schizofrenia di emiliani, lombardi o piemontesi. E se fosse vero?

Punti di vista

Dal giornalismo non può che venire la divulgazione, la proposta di un punto di vista,l’istantanea. Ma un certo lavoro di categoria abbisognava anche di sistematicità, diprogetti di ricerca più meditati e meno mediatici.Giampaolo Pansa, collega e piemontese come Bocca, dice che i giornalisti dovreb-bero passare molto più tempo a leggere che a scrivere; più tempo a osservare, stu-diare, catalogare.Dunque un primo assunto condivisibile è che l’economia è una conseguenza e nonuna causa. Se per qualcuno è più facile possiamo anche dire; una sovrastruttura enon una struttura.Non è una grande scoperta ma nel contesto di pensiero unico nel quale viviamo ègià un passo avanti. Questa idea non è nuova, per stare corti, risale a sociologi comeComte, Durkheim, Parsons secondo i quali è la cultura che trasforma la famiglia,ma nel nostro caso è la famiglia che decide la cultura e quindi anche il sistema eco-nomico. Prima si nasce e poi si impara e poi si fa. Quelli che c’erano prima di noi

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hanno fatto lo stesso.Il governatore della Banca d'Italia, centro di analisi e controllo dell'economia nazio-nale, nel 1997 disse che "la nostra economia può tornare a crescere a ritmo annuodell'ordine del 3%". Abbiamo misurato una crescita, esattamente, della metà. Nel1999 Bankitalia stima un crescita di non più di 300 mila posti di lavoro. Se ne con-teranno, l'anno dopo, quasi un milione. Nel 2001, sempre Bankitalia, annuncia unaumento del Pil intorno al 2,3%. Eurostat misurerà una variazione di crescita di1,7%. Il tasso di inflazione programmato di Bankitalia, tranne per il 1998-99, neldecennio 1993-2003 è sballato per cifre che vanno da un minimo dello 0,4% ad unmassimo del 2,9%.Per carità non fraintendiamoci: non ho nessuna intenzione di squalificare gli eco-nomisti, i giornalisti che si occupano così bene di gossip-economia, o di deluderegli studenti di economia5 ma, allora, dobbiamo trovare la risposta ad una domandaseria che si può banalizzare come si vuole, ma resta seria: perché abbiamo così tantieconomisti e così tanti disoccupati e male occupati?Solo in Italia negli anni Settanta avevamo il 4% di disoccupati e oggi siamo a oltreil 10%. Nel frattempo abbiamo avuto la svalutazione della lira, i boom delle borse,il decollo spettacolare del Nordest. Tutto questo non è servito a debellare la disoc-cupazione, anzi, caso mai l’ha aumentata. L’esplosione del reddito o la diminuzione dell’export o la crescita di un’impresa nonspiegano cosa realmente stia succedendo. Ma, noi, siamo pieni di dati economici edi modelli econometrici.Solo qualche anno fa abbiamo scelto una classe politica basandoci sulle promessedi riduzione del debito pubblico. Ci siamo angosciati sul fatto che ogni italiano,bambini compresi, ha 20 mila euro di debito. Poi è venuto il boom delle borse e cosìi bot sono stati messi nel pentolone della finanza psichica. Ma lì sono stati bruciati e ora chi può torna ai vecchi bot, più sicuri, e del debito pub-blico, nel 2003, è meglio non avere più pensiero. L’atteggiamento, in fin dei conti,non è poi così malsano perché se è vero che ognuno di noi ha 20 mila euro di debi-to pubblico è anche vero che ne ha più o meno altrettanti di credito. Siamo reali debitori solo nei confronti di chi, dall’estero, compra i nostri bot. I veri

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5. Gli iscritti universitari al gruppo economico-statistico, nel 2000-2001, erano in tutta Italia, 25481,secondi solo al gruppo medico (31.110 iscritti). Il professor Giampiero M. Gallo dice di aver appresocon grande soddisfazione che il Nobel per l’economia 2003 sia stato assegnato a Clive Granger eRobert Engle, econometrici statunitensi, che hanno reso la University of California “la mecca dellanostra disciplina”. Non è un caso, appunto, che il Nobel dell’economia, nel 2003, vada a degli eco-nometrici americani.

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debitori, caso mai, sono i pensionati che hanno dato e dovrebbero ricevere indietrocon gli interessi. Veri debitori sono anche quelli che hanno investito in borsa e nonsanno più dove sono finiti i propri risparmi. Il deficit pubblico interno, invece, è un affare tra sé e sé, tra la mano sinistra e lamano destra. Si tratta, al fondo, di una partita con se stessi. Quello che conta, piuttosto, è il debito netto con l’estero. Ovvero quello che dob-biamo pagare per sostenere i nostri consumi. Nell’ultimo decennio abbiamo oscil-lato tra qualche centinaio di euro a testa di debito a buone migliaia, sempre a testa,di credito. Siamo un paese di esportatori: produciamo molto e consumiamo poco.Il Nordest, poi, ancora di più.Nell’ambito della “circoscrizione nord orientale” - come scrivono i tecnici - il com-mercio estero, nei primi mesi del 2003 rispetto all’anno precedente, è cresciuto diquasi il 20% nel solo Friuli-Venezia Giulia, grazie alle commesse navali e alle ven-dite di macchine e apparecchi meccanici. Il Veneto chiude il primo trimestre del2003 con una flessione di oltre il 6% ma l’avanzo commerciale complessivo è di1.666 milioni di euro. I dati disaggregati a livello provinciale segnalano, al primotrimestre 2002, un calo diffuso dei flussi, sia dal lato delle importazioni che delleesportazioni, con le sole eccezioni di Padova (+4% nell’import), e di Venezia(+7,5% nell’export). Con riferimento alla bilancia commerciale, Treviso, con unsaldo positivo di 910,3 milioni di euro, sale al più alto gradino della graduatoria,davanti a Vicenza (814,9 milioni di euro) e Padova (con 377,4 milioni). Veronasegnala un saldo negativo di oltre 831 milioni di euro, ma attenzione perché Veronaè un terminale internazionale di importazione di buona parte d’Italia. In sostanza il Nordest produce molto più di quanto consumi e ha bisogno dell’esi-stenza di altri esseri umani che, magari, consumino più di quanto siano in grado diprodurre… ma che siano in grado di pagare, però. Il dollaro forte, e l’ottundimentoideologico del liberoscambismo, hanno fatto di questa distorsione una possibilitàconcreta. Ma non potrà essere sempre così.Dunque il deficit pubblico è il risultato di una posizione psicologica della nazione enon di condizioni economiche reali, mentre quello commerciale è economia reale emisura l’effettiva ricchezza di una nazione o di una regione o di una provincia. Nonsi possono produrre, ad esempio, materie prime che non si hanno. Ma perché i cittadini-creditori non riescono a rendere i cittadini-debitori più parsi-moniosi o a spingerli a restituire il prestito? Semplicemente perché debitori e credi-tori sono la stessa persona. In qualità di acquirente di bot tendo a far aumentare ildeficit e a lucrare su interessi più alti. Difficilmente mi organizzerò per chiedere piùtasse e meno spese. Preferisco più spese pubbliche, meno tasse e più interessi. Al

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limite con i risparmi della mia pensione compro bot che pagano la prossima miapensione. Se non ho prestato i miei risparmi allo Stato – a me stesso – tenderò,ugualmente, a voler essere sicuro di poter ricevere prestazioni di diritto che, comun-que, aumenteranno le spese. E tenderò anche a distribuire i costi il più possibile equindi a pagare meno tasse.L’interesse generale va sempre, logicamente, nella direzione dell’aumento dellaspesa pubblica e in modo contrastante per quanto riguarda le tasse. Motivo per cui,oggi, sono diventati, di fatto, tutti neokeynesiani e i politici si ritrovano a combatte-re, a parole, sul “meno tasse per tutti” che non ha significato se, invece, l’interessegenerale è quello di “più spesa per tutti”. Così per il debito interno siamo in un territorio inconscio, psicologico, più profon-do e manipolabile e manipolatorio mentre per lo scambio con l’estero tendiamo adessere più consapevoli e razionali. E’ lo scontro tra economia psichica ed economiareale.Non solo, ma l’inflazione non c’è più. Tutto questo avrebbe dovuto creare almenouna riduzione delle spese o una impennata dei prezzi: scaricare sulle generazionifuture le incontinenze di oggi. Ma, di fatto, all’inizio del XXI secolo, non c’è néinflazione né riduzione delle spese, ma una rigida stagnazione e un rischio defla-zione con, invece, una nettissima riduzione – in Italia siamo intorno al 40% dellafascia di popolazione da 14-29 anni – della popolazione6.Ovvero nessun (sperato?!) travaso di debiti alle generazioni future come si può leg-gere ovunque, ma un problema da risolvere per le generazioni stesse che l’hannogenerato. Chi è in attività in questi anni avrà da risolvere alcuni problemi seri già nelprossimo futuro e una delle decisioni già prese è proprio quella di avere meno figlipossibili. Decisione, questa sì, che non poteva essere rimandata negli anni!

L’antropologia che non c’è

Ida Magli scriveva che in Italia è rischioso parlare di antropologia. Nei corridoi dellenostre università l’antropologia è il folclore o le tradizioni popolari oppure la con-tinua disputa su “cos’è l’uomo?” Anima e corpo oppure l’uomo risultato del suoambiente. Ecco l’altra nozione fondamentale: l’uomo al cospetto dalla città eterna e l’uomo

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6 - Trend calcolato tra il 1990 e il 2010

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nella città terrena. ”E’ questa la grandezza del sapere che ha contraddistinto le Università italiane findalle origini, - spiega Ida Magli - ossia fin dalla nascita del concetto stesso di “uni-versità”, la cittadella di tutti i saperi e più antiche Università sono italiane, e una dellepiù antiche, e delle più gloriose, è quella di Padova, nel cui ambito ancor oggi sidibatte che cosa fare dell’Antropologia. La “grandezza” alla quale accennavo si fonda proprio sul presupposto che l’Uomosia un tutt’uno, e che tutte le discipline scientifiche, tutti i saperi, alla fine debbanoconvergere per tentare di conoscere davvero l’Uomo. Nell’Università di Padoval’Antropologia è collocata tutt’ora nell’insieme delle scienze naturali, alle quali facapo anche la biologia. Ai cattolici da una parte, ai marxisti dall’altra, questo prin-cipio cognitivo - l’uomo come totalità - non piace perché pone tanti problemi chenon si possono risolvere con l’assolutizzazione dell’uno o dell’altro. Di qui, unasoluzione “politica” distruttiva: eliminiamo l’Antropologia. Poco a pocol’Antropologia culturale è stata ridotta alle produzioni “popolari”: il folclore, le tra-dizioni, i proverbi, le processioni, i Santi locali, i cibi, i dialetti... Un processo inau-gurato dai marxisti ma che, alla fine, è piaciuto anche ai cattolici se non altro per-ché a dar ragione al popolo non si sbaglia mai. L’altra Antropologia, a sua volta,quella più pericolosa perché includeva fisicità individuale e gruppo, ambiente natu-rale e ambiente culturale, è stata fatta sparire, con la scusa del pericolo del “razzi-smo”, riassorbendola nelle singole discipline, dalla genetica alla demografia finoalla medicina. E così, eccoci qua, noi Italiani, i più grandi produttori di ”pensiero”vero, quello teorico, quello che pone i problemi al centro del sapere e che non li evitafingendo che l’Uomo sia o un cuore o un fegato, o un dialetto o una processione, eche pertanto soltanto così produce scienza perché, nel momento stesso in cui la pro-duce, già sa di doverla superare, eccoci qua, dicevo, a rinunciare all’Antropologia. Non è una battuta, uno scherzo. In questi giorni sta per andare in pensione l’unicoprofessore ordinario di Antropologia dell’università di Padova. Se, come pare, alsuo posto non subentrerà nessuno, a Padova l’Antropologia scomparirà. A Padova,sì, proprio a Padova. Noi non possiamo crederlo, non riusciamo a crederlo. I gover-nanti spingono spesso gli Italiani a produrre di più. Ma cosa è più importante cheprodurre pensiero?” 7

Dunque basta streghe e falò, santi e santoni, e basta anche con il “popolo delle par-tite Iva”, i “Schei” e la “Serenissima”; è già stato detto tutto così bene e anche con

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7. Antonio Marazzi, il professore ordinario di Padova, andrà in pensione nel 2005. Il professor PaoloPalmeri è anch’egli ordinario ma in attesa di chiamata.

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stile godibile. Vogliamo tornare all’origine.La scoperta occorre rifarla perché pare sia stata dimenticata anche per ragioni ideo-logiche. La guerra delle ideologie fa morti, tanti come quella delle religioni. E nellalogica italiana, nel rapporto tra i tipi italiani, per poter costruire una Nazione, qual-cosa è nato e qualcos’altro si è dovuto sotterrarlo. Fatta l’Italia, occorreva farne unarappresentazione che è stata diluita in tanti mezzi e lungo tanti anni fino a dare l’im-pressione di un lavoro incompiuto o neppure mai fatto. Facciamo, almeno, il Nordest!Stiamo nel Nordest d’Italia e cerchiamo di raccontarlo senza cominciare con i datisul prodotto interno lordo, su quanti soldi ha fatto (o ha perso) il tale imprenditore,sulla cifra più alta di impiegati nella piccola impresa, su quanti chilometri di stradeabbiamo costruito nell’ultimo decennio. Tutto questo è una conseguenza di altrisistemi. Anzi sono decisioni prese venti, se non cinquant’anni fa. Oggi dobbiamosforzarci di prendere decisioni avvedute per i prossimi cinquant’anni, caso mai.A una prima occhiata ci si rende subito conto che la carta antropologica non corri-sponde a quella politica e neppure a quella geografica. Ci sono uomini e donne chevivono in zone di montagna ma lo fanno in modo completamente diverso ad altriche vivono, ugualmente, in zone di montagna. C’è la montagna florida, che si riem-pie di turisti, accogliente e c’è la montagna spopolata, abbandonata, zeppa… di emi-granti. Ci sono le linee tracciate dalla storia sulle carte geografiche che sono diven-tate politiche, ma che mettono insieme popoli con temperamenti e culture diverse.Amministrare un comune diventa, per questo, più facile che amministrare anche unasola provincia o una regione: il movimento dei sindaci che nasceva all’inizio deglianni Novanta nel Nordest – e che moriva subito dopo – era l’espressione lampantedi questo equivoco, di questa poca consapevolezza. La sostanza è che la politica è un effetto non la causa degli andamenti di lungo ter-mine. Anche se questo non significa che la politica non svolga una delle funzionisociali più alte come quella di sovraintendere alla mediazione degli interessi di partesoprattutto in funzione simbolica e ideologica.La politica può intervenire con più “determinazione” ma dovrebbe farlo in modotroppo autoritario e questo non è più permesso dalle coscienze dei popoli sani edemocratici. I regimi autoritari hanno espropriato, deportato e mischiato interepopolazioni, annientato e sacrificato a ideali fasulli milioni e milioni di persone.Non è più possibile che possa tornare ad essere invasiva. La carta antropologica, infatti, continua a restare quasi immutata nei secoli.Fortemente radicata nel lungo e lunghissimo periodo quasi a dispetto dell’apparen-

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te velocità. E così anche noi stiamo raccontando una velocità che è soltanto una rap-presentazione del mondo e una messa in ordine di simboli adatti agli anni che vivia-mo. La nostra analisi e l’immaginazione di cui disponiamo, purtroppo, non è poicosì potente da permetterci di spaziare tra i secoli.Nel medio e lungo termine si afferma il sistema di fondo dal quale ogni essereumano scaturisce; ovvero la famiglia d’origine, il gruppo di appartenenza, il luogonel quale si sono modellati valori e comportamenti di base. L’idea inconscia di rap-porto all’autorità e l’idea, altrettanto inconscia, di rapporto tra uguali.Ci sono diversi modi di definire le strutture famigliari, passate e presenti, ma tuttigli scienziati sembrano concordare sui alcuni criteri generali: rapporto genitori-figli(almeno finché i figli nasceranno da un uomo e una donna), rapporto tra fratelli eregole del matrimonio; ovvero di creazione della coppia genitoriale. Su questi perni antropologici, mutuati dalla teoria generale di Emmanuel Todd, esulle posizioni psicanalitiche di Davide Lopez, si fondano le ipotesi di base dellamia indagine sul Nordest8.Lo sviluppo e la stagnazione sono percepiti come esclusivi fenomeni economici, mavedremo che non è così. Slegati dalla loro origine i fatti e i dati dell’economia cidicono poco o niente oppure, spesso, ci deviano anche dalla giusta soluzione o dauna più equilibrata analisi. Il Sole 24 Ore, giornale per antonomasia degli imprenditori, sulla scrivania di tuttigli imprenditori e i professionisti del Nordest, il 21 luglio 2003, titola: “Le aziendeestere credono nell’India – clima migliore ma restano problemi per infrastrutture eburocrazia”. Una foto di ragazzine che guardano gli indici economici al centro tec-nologico della Samsung a Mumbai correda il servizio. Ad un sondaggio le aziende presenti in India esprimono un giudizio positivo su quelPaese che “offre opportunità per nuovi e più grandi investimenti”. Le zone dove sipuò investire con più tranquillità? Eccole: “Maharashtra (dove sorge Bangalore),Andhra Pradesh, Tamil Nadu e Gujarat”. Niente di più prevedibile per chi già negli anni Ottanta aveva indicato proprio quel-le zone dell’India come le più promettenti per mentalità e crescita culturale.

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8. Emmanuel Todd, antropologo, demografo e storico francese ha previsto già negli anni Settanta ilcrollo dell’Unione Sovietica, ma anche la stagnazione di inizio 2000. Davide Lopez, psicanalista, èideatore del concetto di “persona” e della proposta di “Democrazia ascensionale”. Io conosco i duestudiosi soltanto attraverso quanto hanno pubblicato o dichiarato in pubblico e mi sono avvalso di loroidee e teorie perché le ho ritenute geniali. La responsabilità di quanto sostenuto in questo libro è sol-tanto mia e le persone menzionate non lo sono soprattutto in caso di mie cattive interpretazioni, par-ziali citazioni, errori e omissioni.

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L’indicatore fondamentale? Il sistema famigliare con accentuazione matrilineare.Non lo trovate in nessun libro, giornale quotidiano o sito di economia un indicato-re di questo tipo!La Fondazione Nordest è stata criticata da Luca Cordero di Montezemolo che in unincontro al CUOAdi Altavilla Vicentina dice: “L’ultimo Rapporto sul Nordest parladell’esaurimento di alcuni dei fattori propulsivi alla base dei recenti successi. Manon è la fine di un modello, è più che altro un cambiamento di fase. Anche la Ferrarici è passata, e l’alleanza con il Gruppo Fiat ha rappresentato il cambio di passo cheha garantito nuovi risultati.”E’ sempre lo stesso modello, insomma: lo dice anche il capo della Ferrari!… Il modello della famiglia stirpe incompleta.

La mentalità essenza del progresso

Molti studiosi concordano anche sul fatto che la famiglia odierna è sviluppata indirezione nucleare: ovvero con pochi componenti che coabitano. Luogo comunedifficile da smontare, anche questo, dopo decenni di bombardamento sociologicoe mediatico. La famiglia nucleare esisteva in Inghilterra prima ancora della rivolu-zione industriale.La famiglia nucleare esiste in molte parti del mondo e d’Europa da secoli. Gli studidi Peter Laslett, ad esempio, hanno dimostrato l’inesistenza, in Inghilterra, di fami-glie allargate già da prima della rivoluzione industriale. Strano, per un giornalista, scoprire che quanto siamo andati scrivendo per anni erafrutto di un luogo comune, di una ipotesi non verificata dai fatti, divulgata da docen-ti universitari qualificati, ma non rispondente alla realtà. Se ci sforziamo nella lettura vediamo all’opera troppi filosofi, sociologi, economi-sti che non procedono dai fatti ma da idee. La rappresentazione della realtà produ-ce una realtà che non c’è. I fatti ci dicono, in sostanza, che non esiste un processotemporale di una famiglia allargata che si nuclearizza. Piuttosto sembra esserci, sto-ricamente determinata, un tipo di famiglia che predomina in una zona e che modi-fica, questo sì, nel tempo, la propria complessità. Fare la storia spaziale più che la storia temporale, quindi, significa fare la storia dicostanti. Non solo ma le variabili culturali che ne derivano sono certamente legatea quelle economiche e viceversa, tutto si può incrociare, ma non è detto che tutto siacorrelabile e storicamente fissato: noi ci siamo convinti, di più, che le variabili cul-turali siano, addirittura, completamente autonome. Non ci sono correlazioni strin-

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genti, fatti chiari che associano andamenti economici all’andamento della mentalità.Anzi qui siamo ancora più azzardati a sostenere che la mentalità è l’essenza stessadel progresso o del regresso.Ad esempio il momento della riproduzione è culturale e non biologico perché nelmondo varia da poco più di 10 anni fino a 30 e oltre. Se fosse biologico sarebbe ugua-le ovunque e in tutti i tempi. In realtà il momento della riproduzione possiamo consi-derarlo come la conclusione del periodo di apprendimento di un individuo in unasocietà data. Se si alza l’età al matrimonio non è perché ci sono pochi soldi per sposar-si, ma perché si è allungato il periodo di apprendimento per accedere all’età adulta. Il vero problema è che misurare la mentalità è più difficile che misurare un reddito.Difetto di questo modello è che non produce come l’economia, o il sondaggismo,analisi e dati anno per anno o giorno per giorno ma ha una scansione temporale didecine d’anni o secoli e quindi è poco strumentalizzabile.Il concetto più facile che viene rimpallato oggi è che la popolazione decresce einvecchia e abbiamo, tutti, bisogno di extracomunitari immigrati. Niente di piùfalso: sono le imprese a prevalente uso di manodopera che hanno bisogno di stra-nieri e i paesi in crescita che hanno bisogno di fare formazione a costo zero. E nonè vero che l’immigrazione farà stabilizzare la popolazione.Più 36.000 immigrati nel luglio 2003, e in tutto il Nordest si stimano in circa350.000, su una popolazione di oltre 6 milioni, il 5,8%. Ma non bastano. FrancescoJori sul Gazzettino sostiene che siamo una popolazione sempre più anziana; aumen-tano soprattutto i "grandi vecchi": il numero degli ultra ottantenni dovrebbe rad-doppiare nel giro di 24 anni. E scrive: “La variabile migratoria giocherà un ruoloancora più cruciale sull'evoluzione della popolazione in età lavorativa (20-49 anni),che in assenza di migrazioni diminuirebbe di un milione di unità in appena vent'an-ni. Per mantenere invariato il numero di persone in questa fascia, sarebbe necessa-rio un saldo migratorio annuo di 50.000 unità (lo stesso effettivamente realizzatosinegli ultimi quattro anni)9. Ma quali mutamenti di mentalità sono necessari per riu-scire ad assorbire 50.000 nuovi immigrati l'anno?” Niente paura, è già tutto deciso sia qui sia nei paesi di origine. Ci saranno dei mutamenti - indipendenti da tutto ciò - ma resta il fatto che l'immi-grazione non è il modo per rispondere ai cambiamenti nelle strutture dell’età dellapopolazione autoctona sempre che non si voglia ricorrere a esodi di massa o a inter-

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9. Su questo esistono dati molto diversi a seconda delle ipotesi che ogni esperto fa in funzione del pro-prio ragionamento: si va da previsioni o stime dai 13.000 ai 50.000 l’anno. Le stime sulla presenzavariano tra 200.000 a 350.000.

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venti autoritari e militari. Marcello Pacini, già nel 1991, introducendo il rapportodella Fondazione Agnelli su “Famiglia, figli e società in Europa” scrive: “Il proble-ma della denatalità in Italia è quello dell’assottigliamento delle classi più giovani: ivuoti demografici sono particolarmente ampi nella classe fra 0 e 4 anni. Quindi,ragionando dal punto di vista del riequilibrio nella stuttura per età della popolazio-ne, l’immigrazione può essere una soluzione al problema a condizione che gli immi-grati siano compresi tra 0 e 4 anni ed equilibratamente distribuiti per sesso. Ma sap-piamo invece che i flussi migratori sono costituiti in prevalenza da giovani maschitra i 15 e i 35 anni, i quali andrebbero a sommarsi proprio alle classi più folte dellanostra popolazione, con il risultato di accentuare invece che di ripianare gli squili-bri. Anche dal punto di vista economico, l’ipotesi della sostituzione pare impropo-nibile. Le linee evolutive di uno sviluppo economico nazionale non possono essereabbandonate di colpo. Il processo di ricambio qualitativo della forza lavoroprevede,anche per i prossimi anni, un ingresso nel mercato del lavoro di classi di giovani,più istruiti della media dei lavoratori. L’assenza di alcuni milioni di giovani noncomporta quindi un semplice ammanco nel bilancio demografico del paese, macostituisce un impoverimento culturale e professionale”.Tutte le ultime simulazioni delle Nazioni Unite dicono che il livello dei flussi neces-sari al raggiungimento di obiettivi strettamente demografici è tale da superare prestole possibilità di inserimento delle società d’arrivo10. Non solo ma la storia ha dimo-strato che l’effetto di flussi anche intensi sulla struttura per età non sono rilevanti: inGermania tra il 1951 e il 1984 un'immigrazione netta di 7,8 milioni di persone hacontribuito a ridurre la percentuale di anziani di appena 0,5 punti percentuali e di 0,4anni l'età media. Non solo ma gli ex-jugoslavi sono stati perfettamente assimilatimentre i turchi sono stati differenziati. I ricongiungimenti familiari degli immigrati,poi, tendono a riequilibrare la popolazione e anche velocemente perché, naturalmen-te, i ricongiungimenti avvengono a padri, madri o figli… già fatti!L’assimilazione significa anche questo, soprattutto questo.E’ un luogo comune credere che l’immigrazione serva a mettere a posto quattroconti che non tornano. L’immigrazione serve soprattutto a ridisegnare il mondoattraverso la costruzione di nuove mentalità, ad accelerare la circolazione del sape-re, a creare commistioni e anche a diffondere un pò di più pratiche esogamiche, per-ché no? E certamente anche a tenere basso il costo del lavoro.

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10. Non dimentichiamo che all’inizio del Settecento Montesquieu pensava che il mondo si sarebbepresto spopolato del tutto. Alla fine dello stesso secolo Malthus predisse che ci sarebbero presto statitroppi uomini nel mondo da non poterli più sfamare.

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11 - Mi riferisco al poeta vicentino Fernando Bandini e all’imprenditore Pietro Marzotto che, più volte, invari interventi, hanno negato l’esistenza di un modello veneto o nordestino a seconda del periodo storicoin cui venivano intervistati. Quanto a scrittori e attori o altri artisti anche molti di loro si cimentano spessoin interviste dove si sforzano di spiegare cosa stia succedendo: di solito ci dicono che va tutto in malora,non è più come una volta e il degrado è ovunque. Niente di più che percezioni personali, naturalmente.Quanto alle categorie generali, che non hanno niente a che vedere con i casi singoli che possono esse-re, addirittura, delle eclatanti eccezioni, dico poeta perchè il poeta ha un carattere teneramente roman-tico e non può non riversare questa indole in visioni tragiche, più o meno marcate, che sono prevalen-ti espressioni del temperamento tendenzialmente depressivo. L'insoddisfazione perenne, l'anelito aduna radura luminosa irraggiungibile, la parola sintetica ma ricercata. Ma, al contempo, una buona dosedi narcisismo. Giuliano Vigini scrive: "un esercito di persone scrive poesie, ma solo uno sparuto drap-pello le legge". E questo non è un indizio pscicologico? Il poeta racconta sempre prima se stesso e perfare la storia delle masse, forse, il poeta è il più inadeguato di tutti. E questo vale anche per gli scritto-ri, oggi, per gli sceneggiatori, gli attori, i pittori e gli artisti in genere.

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Insomma è l’immigrazione che fa la nuova economia e non il contrario. Ed è ancheper questo che il Nordest reagisce con “il sceriffo” sindaco di Treviso che vuole vie-tare agli extracomunitari di sedere sulle panchine dei parchi pubblici o che propo-ne “vagoni piombati”. Chi produce o accoglie immigrati fa nuova economia e colo-ro che vivono ancora nel vecchio mondo vanno nel panico e regrediscono in dife-sa come la questione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche ha dimostratosia ai cattolici che ai musulmani. Alla fine avranno tutti buone ragioni da vendere!

La strada, guardando anche al passato, sembra obbligata: alta formazione per altaqualificazione e nuova mentalità. Oggi il Veneto, con i suoi quattro atenei, propone40 delle 42 classi previste dall'ordinamento nazionale, il Friuli 34, il Trentino 19.Nell'ultimo decennio, il volume complessivo dei laureati è quasi raddoppiato. Mavedremo anche che l’alta scolarizzazione può produrre nuove diseguaglianze e ten-sioni. E questo sarà solo un esempio.Insomma la cultura, la mentalità, la struttura valoriale e di atteggiamenti possonoessere misurate e controllate: da questi dati e solo dalla sempre più alta sofistica-zione di questi è possibile, guardando indietro, cercare di prevedere cosa succederàdavanti. Non altrimenti. Chi dice che tutto questo non è un modello ma solo un risultato spontaneo o è soloun poeta o è solo un imprenditore!11

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L'imprenditore lo è altrettanto. E' mosso dall'ansia del profitto, dalla gestione degli affari, deve riva-lersi. Non può non essere sempre al limite, aggiornato, razionale ma anche istintivo, giocatore e, un pòdipendente e stressato, se non altro, di lavoro. E chiaro che non stiamo parlando del singolo, ma deltentativo di fare di categorie professionali anche un profilo psichico. Non è casuale il mestiere che sidecide di fare e la scelta sta sempre nell'impianto di base che parte dall'infanzia. A questo va aggiuntoche le considerazioni antropologiche e psicologiche non vanno mai appiccicate a singoli soggetti maalla generalità dei concetti. Quando dico che gli scrittori hanno certo profilo caratteriale non sto dicen-do che quello scrittore è così, ma che, dalla mia soggettività, vedo l'insieme "scrittore" in quel modo.Io osservo, ma devo essere anche osservato, e sono consapevole di essere osservato mentre osservo.Giovanni Raboni sul Corriere della Sera si domanda e si spiega perché la letteratura "oggi è un pano-rama di rovine (da una parte il trionfo della pseudoletteratura, dall'altra la progressiva, inarrestabilescomparsa del pubblico della letteratura)". "La modernità - conclude Raboni - lungi dall'essere una sco-perta o un appannaggio del nostro secolo, ha la sua patria, il suo habitat naturale nel secolo preceden-te: e non solo negli ultimi scorsi di esso, ma nell'intera sua durata, dalla rivoluzione romantica sino alfiorire della grande poesia decadente e poi simbolista, del grande romanzo realista e poi naturalista, delgrande teatro problematico-borghese. Di nomi, qui, è superfluo e quasi imbarazzante farne, tanti e tantoincontestabili sono: da Baudelaire, a Hopkins, da Balzac a Dickens, da Flaubert a Dostoevskij, da Ibsena Cechov."Oggi i romanzi non lasciano traccia anche se se ne scrivono a bizzeffe. Anche gli scrittori italiani vannoa generazioni: gli anni Venti sfornano da Calvino a Volponi, da Fenoglio a Sciascia a Rigoni Stern. Glianni Trenta da Arbasino a Eco, da Siciliano a Pontiggia. E prima sono venuti Pirandello, Svevo,Moravia, Vittorini, Pavese. Poi più niente. Raboni, allora, guarda in faccia alla realtà: "Vuol dire, intan-to, - dice - che la rarefazione qualitativa del romanzo italiano non è cominciata ieri, ma allora, nel perio-do compreso, grosso modo, fra il miracolo economico e gli anni di piombo: cioè, appunto, in coinci-denza con l'avvicendamento generazionale fra i nati nel quinquennio '20-24 e i nati nel corrisponden-te quinquennio degli anni Trenta." Poi "il romanzo è morto" e si è trasformato in un "reperto da tavo-lo anatomico". Cosa è successo? Per Raboni, che in fondo è un critico letterario e poeta, si è passatidal "fuoco alla controversia". I grandi scrittori, dice, "Hanno vissuto in anni decisivi per la loro for-mazione, vicende intensamente drammatiche, hanno attraversato l'emergenza". (Se leggete il mio ulti-mo capitolo di questo libro trovare delle affinità su quanto scrive, a proposito di economia e riforme,il banchiere Tommaso Padoa-Schioppa. Non è casuale, ma è l’impianto psichico di un’intera genera-zione).Ma torniamo a Raboni: "Duole - e un pò spaventa - doverlo dire, ma l'immaginazione romanzesca (adifferenza, forse, di quella poetica, che può 'accontentarsi' di disastri più intimi, di catastrofi più segre-te) ha probabilmente bisogno - per riconoscersi, rafforzarsi, dare il meglio di sè - di precarietà e incer-tezza, di inquietitudini, rivolgimenti, conflitti; ha bisogno, come in tempi più antichi la tragedia, dieventi collettivi nei quali non sia in gioco soltanto il destino degli individui, ma anche quello del grup-po cui ciascun individuo sa o sente di appartenere - eventi suscettibili, proprio per questo, di trasfor-marsi con il tempo in miti. Non lamentiamoci troppo, dunque, dell'attuale situazione del romanzo ita-liano; in un certo senso, è un buon segno." Sì, perfettamente d'accordo, la fine del romanzo e della poesia è un buonissimo segno di salute psi-chica generale.Ma sotto la grande intelligenza di Raboni, persiste questa nostalgia per la cultura della sofferenza. Ungrande scrittore, dunque, sarebbe solo il prodotto di una vicenda umana intensamente drammatica? Maperchè non sono stati drammatici, ad esempio, gli anni di piombo? Piuttosto, direi; il singolo è sempreprodotto del brodo culturale nel quale vive. E la vera drammaticità non è l'evento traumatico acciden-

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tale ma, piuttosto, il persistere di un alto tasso di mortalità. Di un'aria che si respira, insomma, anchesenza volerlo e anche senza capitarci dentro. La vicinanza alla morte diventa dramma continuo, pesan-te, che necessita di reazioni altrettanto forti e continue. Il romanzo è frutto di uno stress collettivo per-ché c’è chi scrive, ma anche chi legge.Questa è la fine del romanzo e della poesia perchè è la fine di una mentalità e di uno stato di cose cheè anche quella solitaria della scrittura e della lettura del testo. L'alfabetizzazione elementare si è nutri-ta di un'esperienza interiore che, proprio perchè tale, è tumultuosa, intensa, risucchiante l'universalenell'intimità. La lettura ad alta voce del Medioevo cede il passo alla lettura muta e il cuore sobbalza dipiù perchè la mente risuona in se stessa e il tocco è più forte. Al di fuori non c'è altro. La mentalità deri-vante dalla cultura superiore non può che essere a più ampio spazio, multilivello, disomogeneizzante,sdrammatizzante perchè rapporta se stessi agli altri, al gruppo. La cultura superiore è interdisciplinare,più analitica, scientifica. Qui il romanzo non ha più ragione di essere centrale. E dunque viene vivise-zionato più che, semplicemente, scritto. Il romanziere non sta all'Ottocento meglio che al Novecento,come conclude il ragionamento di Raboni, del quale sono condivise tutte le premesse, ma il romanzo,semplicemente, sta al tratto di parabola ascendente dell'alfabetizzazione primaria. Dopo non serve più.- Il libro di Julian Jaynes, edito da Adelphi, “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscien-za” può essere molto utile per chi voglia capire meglio la nascita della scrittura e della coscienza o lafine della poesia o della musica.

link: Piero Coppo - http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=407Fernando Camon: http://www.ferdinandocamon.it/lavitait.htmIda Magli: http://www.italianiliberi.it/Edito03/magli_antropologia.htmL’Antropologia nelle università italiane: http://lgxserver.uniba.it/lei/universita'/antropologia.htm

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Famiglie e famiglia del Nordest

Semplicemente: alla base delle distinzioni del mondo c’è il tipo di famiglia chegenera gli individui, quindi la cultura, le istituzioni e l’economia. La grande Terra, che apparentemente i mezzi di comunicazione fanno sembrareessere diventata così piccola, in realtà rimane complessa e articolata. Chi la abita,che a prima vista, può sembrare nero, giallo, bianco, alto, basso, nascendo in unafamiglia piuttosto che in un’altra, in una zona piuttosto che in un’altra, introiettainconsciamente e coscientemente dei valori e degli atteggiamenti tipici. Questi valori sono il frutto dei rapporti primari, più o meno autoritari, tra genitori efigli e dei rapporti, più o meno egualitari, tra fratelli e sorelle.Oggi una giovane pakistana, nel 50% dei casi, sposerà un cugino primo e avrà undestino diverso dalla giovane anglosassone che, mai, quasi mai, sposerà un cuginodi primo grado. Anzi la decisione per la giovane pakistana è già stata presa quandolei era bambina e il velo che le copre il viso serve anche a salvaguardare proprioquesta decisione. Quella ragazza non è “sul mercato” esogamico, ma nel mercatoendogamico dello sposalizio.La ragazza anglosassone, ed europea, sua coetanea, invece, ha il tabù dell’incestoforte e non sposerà mai un parente. Deve cercare lo sposo al di fuori del suo grup-po d’origine e quindi deve uscire dalla famiglia prima possibile e mettersi “sul mer-cato”. Per capirci una usa il velo e l’altra diventa una “velina”, come le vallette di un notospettacolo televisivo italiano, perché fanno parte di gruppi portatori di valori e atteg-giamenti molto diversi tra loro. Se un giovane cinese, anche dopo sposato, condivi-de la vita quotidiana con fratelli e sorelle, un giovane giapponese non lo farebbemai. E se un nigeriano può avere sposato contemporaneamente anche più di unadonna, un sudamericano, probabilmente, non lo ha fatto.

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Capitolo 1

Autorevolezza, diversità e individualità

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Ognuna di queste probabilità fa sì che un uomo si trovi a condividere con chi lo hapreceduto - nei lunghi anni di una vita - valori, atteggiamenti, desideri, organizza-zione della mente e che si trovi anche a combattere questi valori per ragioni altret-tanto forti di vicinanza e riconoscimento o per ragioni di lontananza e di affranca-mento.E questi lunghi anni sono lunghi anni sempre: prima del primo millennio, primadella prima guerra mondiale, prima del boom del Nordest e dopo il boom delNordest.Ciò che è così profondamente sedimentato produce cultura, visione della vita, pro-getti per il futuro che dipendono dalla prefigurazione che ne fa la mente e che dipen-dono, anche, dalle relazioni con l’altro.

Il sistema proposto dall’antropologo francese Emmanuel Todd, che cita anche quel-lo di Frédéric Le Play, per quanto riguarda l’Italia, è pienamente condivisibile. Ilnostro Paese ha tre grandi strutture famigliari che possiamo chiamare: famiglianucleare egualitaria, famiglia comunitaria esogamica e famiglia stirpe atipica oincompleta1.La famiglia nucleare egualitaria è maggioritaria in tutto il Paese, ma in alcune areela presenza storica e forte di famiglie di altro tipo hanno fatto dell’Italia ciò che èoggi. L’interazione tra questi tipi, queste mentalità, queste culture hanno prodotto eproducono il Paese così come è. La famiglia nucleare egualitaria è diffusa nel Nordovest, nel Sud e nelle Isole. La famiglia comunitaria esogamica, invece, è diffusa nel Centro e la famiglia stirpe atipica nel Nordest. Questa sistemazione è, naturalmente, frutto di indagine storica e attuale e, cometutte le teorie, frutto di elaborazioni di dati a volte parziali, a volte mancanti e noncerto sistematici come si vorrebbe che fosse. Ad esempio l’Istat, il nostro istituto nazionale di statistica, misura la cosiddetta“famiglia estesa”; un tipo di famiglia che si avvicina a quella che consideriamosignificativa per la nostra indagine, ma non perfettamente aderente.

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1. La suddivisione delle “tre Italie” non è nuova, ma sia quella divulgata dalla Storia d’Italiadell’Einaudi sia la suddivisione di Bagnasco e Trigilia non arrivano alle stesse conclusioni proposteda Todd. Le tre italie che ne derivano sono Nord, Centro e Sud-Isole oppure Centro-Nordest,Nordovest e Sud-Isole. Per gli studiosi francesi, invece, il Nord italiano è diviso in due: Nordovest eNordest e il Nordovest ha la stessa struttura di Sud e Isole. Per un primo approccio a Le Play sonopubblicate on line le sue opere al sito: www.uqac.uqebec.ca/zone30/Classiques_des_sciences_socia-les. Di Le Play si è occupato anche il docente trevigiano Ulderico Bernardi.

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1 - Famiglie estese (2000-2001)

fonte: Istat

Percentuale di famiglie estese

94-95 96-97 98-99 2000-2001 mediaNO 3,6 3,9 4,4 3,2 3,77NE 7,1 7,8 6,6 6,3 6,95C 7,2 6,4 7,3 6,7 6,9Sud 4,4 4,9 5,1 5,4 4,95Isole 2,9 3,2 3,6 3,7 3,4

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L’ultimo rapporto Istat, 2003, sulla famiglia, annota che le “famiglie estese” corri-spondono a quelle tipologie familiari all’interno delle quali si individuano almenodue nuclei (coppie o nuclei monogenitore) oppure un solo nucleo con membriaggregati alla famiglia.” La cartina numero 1, ad esempio, ci visualizza la distribu-zione di queste famiglie estese. All’interno di essa, abbiamo detto, non ci sono sol-tanto i genitori che relazionano tra loro e con i figli, ma anche altri parenti. Il dato,però, non ci dice quali parenti. Questo, invece, è importante perchè il tipo di paren-tela e il numero effettivo dei nuclei definiscono anche il tipo di famiglia complessa:famiglia stirpe o famiglia comunitaria.Nel 2003, inoltre, scopriamo che il Nordest (che per l’Istat comprende anchel’Emilia-Romagna), negli anni Novanta, si è mosso nella direzione del Centro, delleisole e del Nordovest, ovvero mostrando, anche se a zig-zag negli anni, una ten-denza alla diminuzione della famiglia estesa mentre il Sud va addirittura in contro-tendenza e aumenta questo tipo di famiglie. Un segnale di un futuro sviluppo economico più stabile e ordinato del Sud?Per quanto riguarda il “vero” Nordest, ovvero senza l’Emilia-Romagna, abbiamouna diffusione di “famiglie con aggregati o più nuclei” che è del 5,5% nellaProvincia di Bolzano, 1,6% in Trentino, 7,1% in Veneto e 4,1% in Friuli-VeneziaGiulia (in Emilia-Romagna è 6,9%). Veneto e Trentino-Alto Adige risultano essereanche le regioni con alte percentuali di “famiglie di 5 componenti e più”. InfineTodd include anche la provincia di Mantova nel sistema di famiglia stirpe incom-pleta del Nordest.Una carta della distribuzione della famiglia estesa, quindi, è solo una prima busso-la per il nostro orientamento. Infatti se consideriamo le famiglie “estese” come simi-li a quelle che l’Istat definisce “famiglie altre” allora le percentuali di famiglie connuclei aggregati o non-nucleari, nel Nordest, sono da considerarsi molte di più diquanto non risultino da semplici aggregati statistici. “Le ‘altre famiglie’ - spiegaAnna de Angelini nel Rapporto 2003 di Veneto Lavoro - sono perciò un pò piùnumerose di quelle classificate dall’Istat come famiglie di tipo ‘D’ (estese)”.Ciò che ci interessa dimostrare è che il tipo di famiglia nucleare non è una prospet-tiva certa anche se così appare. Nella realtà, perfino l’organizzazione della famigliaurbanizzata mantiene delle regole di vicinanza e di scambio molto stretto e vertica-le tra le generazioni. Vale la pena citare anche un’altra ricerca sempre dell’Istat, del2001, sulle “reti di parentela e reti di solidarietà”. Ebbene - la ricerca ci dice che - una donna del Nordest tra i 55 e 64 anni può con-tare su oltre 7 parenti stretti e circa 3 amici e conoscenti. Cosa che, soprattutto pergli amici e i vicini, non vale per tutte le altre coetanee del resto d’Italia che hanno

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molto meno vicinanze.Addirittura in Italia quasi i tre quarti dei genitori con figli non coabitanti ha almenoun figlio residente nell’ambito dello stesso comune: il 17,3% nello stesso caseg-giato e poco più del 50% di quanti hanno superato i 64 anni vive entro un chilome-tro dall’unico figlio o da quello più vicino. L’84,8% dei genitori vede i figli almenouna volta a settimana, il 75,3% li sente almeno una volta a settimana, il 38,3% tuttii giorni. Oltre i 74 anni il 12,6% delle madri e l’11,9% dei padri, che non vivono coni figli, abitano nel loro stesso caseggiato e rispettivamente il 30,2% e il 24,3% entroun chilometro. E ancora: “Per le coorti che hanno contratto matrimonio prima del1955 quasi il 40% delle coppie coabita con i genitori al momento delle nozze. Perle coppie sposate tra il 1986 e il 1998, la quota è del 10,9%.”Disaggregando per macroregioni abbiamo ancora una conferma di quanto andiamodicendo: “Tra le coorti sopravviventi più anziane nel Nordest questo comporta-mento è diffuso nel 60,1% dei casi, nel Centro per il 55,4% e nel Mezzogiorno21,8%. Per i più giovani il minimo si riscontra nel Nordovest e il massimo nelNordest e Centro. Le coppie sposate che risiedono vicino ai genitori entro un chilo-metro sono il 51,3% per le coorti più giovani.” Inoltre nel Nordest, l’11% dei nonni abita nella stessa casa con almeno un nipote.Solo il Centro ha una percentuale leggermente più alta di coabitazione nonni-nipo-ti (12,5%) mentre Nordovest e Sud e Isole hanno percentuali tra 6,4% a 8,9%. Non solo, ma ad esempio, nel Veneto – come scrive Unioncamere – “sono più dif-fuse, che nel resto d’Italia, le famiglie con figlio unico (49,5% e 45,8% in Italia), lefamiglie con due figli sono il 40,6% (42,6 a livello nazionale) e solo il 9,9% (11,6%)hanno 3 e più figli: la famiglia di cinque componenti e più sembra, quindi, essereallargata ad altri famigliari. In Italia il 60,1% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive anco-ra nella famiglia di origine, ma nel Veneto tale percentuale cresce al 60,4%, E’ interes-sante notare che di questi, ben il 64,3% è occupato, ma vi è anche un 25,9% che studiaed un 6% in cerca di occupazione. Poiché in Italia il numero degli occupati che vivonoin famiglia si abbassa (47,1%), si alza quello degli studenti (29,7%) e di coloro che cer-cano occupazione (18,6%), sembra che rimanere in famiglia costituisca – nel Venetocome nel Nord Est – una scelta di vita. Sarebbe interessante approfondire se tale sceltanon sia determinata anche da costi più elevati delle case, degli affitti e delle spese pervivere. Coerentemente, in Veneto è più elevata la percentuale delle famiglie che ritengo-no di possedere risorse economiche ottime o adeguate (74,8% contro una media nazio-nale del 72%)”.Non vi pare una contraddizione quando Unioncamere scrive che le famiglie delNordest ritengano di avere “ottime risorse economiche” eppure i loro figli riman-

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Tra le coorti sopravviventi più anziane nel Nordest questo comportamento è diffuso nel 60,1%dei casi, nel Centro per il 55,4% e nel Mezzogiorno 21,8%. Per i più giovani il minimo si riscon-tra nel Nordovest e il massimo nel Nordest e Centro.

2 - Coppie sposate che vivono con i genitori di uno dei due

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gono nella casa dei genitori più a lungo che in altre parti d’Italia perché le case costa-no troppo? La spiegazione è più semplice: è la famiglia che origina il comporta-mento perché si ritiene di allungare il tempo di apprendimento alla vita e per l’ac-cumulo di risorse: non a caso, statisticamente, sono i figli ad essere più disoccupatidei padri. Se noi produciamo un’altra cartina per avere a colpo d’occhio la distribu-zione delle coppie che vivono con i genitori dopo sposati possiamo perfettamentesovrapporla all’Italia delle famiglie. Al Nordest una maggiore coesione – ma poivedremo questo cosa comporta – al Centro un andamento simile di vicinanza e nelNordovest, Sud e Isole comportamenti decisamente diversi.

L’Italia è stata, finora, l’unico paese del mondo Occidentale a presentare una vastaarea di presenza di famiglia di tipo comunitario prevalente diffusa dall’Emilia-Romagna all’Umbria, all’Abruzzo. Alcune corrispondenze si trovano nel sud delPortogallo, in Scozia, in una parte della Francia, nella Scandinavia e soprattutto neipaesi dell’Est Europa e in tutto il blocco che va dalla Russia alla Cina fino allaCambogia, non esiste, invece, nel mondo anglosassone, tranne le eccezioni.Il Nordest italiano presenta una famiglia autoritaria incompleta che nel modello tipi-co è presente nell’Europa centrale, in una parte sud della Francia e nel nord dellaSpagna.La famiglia nucleare egualitaria, invece, caratterizza soprattutto la Francia del baci-no parigino, l’Italia nordoccidentale e meriodionale e il Sudamerica mentre la fami-glia nucleare assoluta è tipica della Gran Bretagna, dei paesi del Benelux, di partedella Norvegia e degli Stati Uniti.In percentuale sulla popolazione mondiale la famiglia autoritaria, detta anche stirpeo ceppo o “souche”, raggruppa circa l’8%. In Europa la sua distribuzione è del 26%.Questo tipo di famiglia è prevalentemente alla frontiera di tipi antropologici di fami-glie, in Europa, e soprattutto di confini linguistici. La caratteristica geografica chene risulta è una linea di frontiera tra la lingua tedesca e la lingua latina. Non solo mal’appartenenza alla frontiera tedesca dimostra una concezione famigliare più ine-gualitaria mentre quella appartenente alla frontiera latina dimostra, almeno formal-mente, una concezione più egualitaria. Nella zona limite dell’impero romano, al diqua e al di là del Reno, tutto si mischia in modo ancor più intricato.

La famiglia autoritaria o stirpe, incompleta

Ma cosa significa famiglia nucleare, comunitaria, autoritaria e quali di queste carat-

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terizza il Nordest? Il tipo di famiglia che può capitare a uno nato a Venezia piutto-sto che a Bolzano o a Gorizia, segna il destino di quel bambino o di quella bambi-na. Ciò che potrà pensare di se stesso o del mondo sarà in buona parte custoditonegli anfratti della propria esperienza dei primissimi anni di vita di cui non avrà chevaghissimi ricordi ma che sono fondamentali (e poco misurabili!) e quella piùcosciente che inizierà con la frequenza alla scuola, dei parenti, degli amici, del vici-nato2.Lì si forma un gruppo, un partito, un’associazione, una comunità, una città, una pro-vincia, una regione, una nazione… il Mondo.E allora andiamo lì.Degli otto tipi di famiglie censite nel mondo quelle che ci interessano sono la fami-glia nucleare egualitaria, la famiglia autoritaria e la famiglia comunitaria. Le grandidistinzioni partono da due assunti fondamentali: l’autorità; ovvero il rapporto geni-tori-figli e l’uguaglianza; ovvero il rapporto tra fratelli e sorelle. La modulazione dell’autorità viene misurata con la permanenza o meno, all’internodella famiglia di origine, dei figli sposati che hanno, a loro volta, generato un’altracoppia con altri figli. Nel caso questo modello si presenti siamo di fronte ad un rap-porto continuo tra generazioni nonni-genitori-nipoti. Si assume in questo caso la trasmissione di valori tradizionali, più radicati, facenticapo a norme che vengono controllate anche dalle generazioni più anziane. Quandoquesta verticalità non si presenta siamo di fronte a sistemi più liberali. Mentre per quanto riguarda la modulazione dell’uguaglianza questa viene misurataattraverso i sistemi di trasmissione dell’eredità. Nel caso il sistema sia preferenzia-le verso un figlio – e si escludono gli altri – ci troviamo di fronte ad una trasmissio-ne di valori tendenzialmente di ineguaglianza, di differenza degli uomini tra loro.Se, altrimenti, ci troviamo di fronte a norme, e soprattutto a costumi di convivenzatra fratelli sposati e di trasmissione dell’eredità distribuita in modo egualitario, allo-ra il sistema famigliare produce persone portatrici di valori di eguaglianza e univer-salismo tra gli uomini3.Il sistema antropologico contemporaneo del Nordest è indicato come sistema a

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2. Sulla storia della famiglia si veda anche l’opera di André Burguière e “La question familiale enEurope” di Jacques Commaille - L’Harmattan, 1998, e per non stare solo in Europa, ci sono anche leteorie di Eric Berne, psicoterapeuta americano, che parla di “programmazione famigliare”. Per ilNordest è interessante il “Primo rapporto sulla condizione giovanile nel Veneto” pubbicato dallaRegione Veneto nel 2002 (pg 29).3. Per un’analisi approfondita dei sistemi famigliari vedere i libri di Emmanuel Todd indicati nellabibliografia essenziale. Studi su micro aree dimostrano che esistono molteplici varianti di trasmissio-ne dell’eredità, dovute al costume, anche all’interno di un unico macro-sistema legale.

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famiglia stirpe incompleta o atipica. Questo sistema famigliare è distribuito in tuttoil Nordest e, per quanto riguarda tutta l’Italia, soltanto nel Nordest. Approssimativamente la famiglia stirpe incompleta del Nordest occupa il 10% dellaNazione mentre quella liberale/egualitaria il 60% (Nordovest, Sud e Isole) e la fami-glia autoritaria/egualitaria occupa il restante 30% (Centro Italia). I “pesi”, però, diuna famiglia stirpe o comunitaria sono decisamente superiori a quelli della famiglianucleare se non altro per il fatto che una famiglia complessa ha, mediamente, alcu-ni componenti in più.La famiglia stirpe è caratterizzata da un sistema autoritario/inegualitario. La verticalità dei rapporti tra generazioni e la distribuzione delle eredità in modopreferenziale per il primogenito ne identificano immediatamente i caratteri di base.Questo tipo di famiglia è particolarmente diffuso nell’Europa centrale (anche partedella Spagna e della Francia) e soprattutto in Germania e in Giappone oltre che inIsraele.Nel Nordest questo sistema ha delle modulazioni diverse sia sulla linea dell’auto-rità/liberalità sia su quella dell’eguaglianza/diseguaglianza. Queste varianti interne,alquanto complesse, e che avrebbero bisogno di studi approfonditi e più specializ-zati, fanno di gruppi di province, o meglio di zone estese del Nordest, luoghi condeterminate e differenti caratteristiche di identità.Mentre appare abbastanza chiara, in Alto Adige, con il “maso chiuso”4 una presen-za che consideriamo più pura di famiglia stirpe e che fa riferimento alla modula-zione semplice di autorità/ineguaglianza, nel rodigino e nel veneziano o nel triesti-no, questa famiglia, ha delle flessioni più marcate sulla linea dell’uguaglianza.

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4. Il termine “maso” - in tedesco Hof - deriva dal latino “mansio” ossia dimora e identifica una resi-denza contadina composta dalla casa e dai relativi mezzi di lavoro e sostentamento, quali i terreni agri-coli e i fabbricati rurali (stalla, fienile, mulino, alveare, forno, ecc.). La storia del maso chiuso risale alXV-XVI secolo. Fu l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Duca del Tirolo, a definire nel 1502 lelinee legislative per garantire ad un unico erede l’intero terreno agricolo assegnato, orientamenti poiratificati nelle Costituzioni Tirolesi del 1526 e del 1532. Ma la normativa del maso chiuso trova la suapiù completa definizione giuridica nel 1775 nel complesso di leggi emanate da Maria Teresad’Asburgo e la contemporanea creazione del Libro Fondiario e del Catasto. Quattro i punti fonda-mentali delle norme teresiane: istituzione del maso chiuso, come azienda agricola indivisibile; possi-bilità di costituzione solo qualora i fabbricati civili, rurali ed i campi agricoli permettano il manteni-mento di una famiglia di almeno cinque persone; spettanza del patrimonio per eredità ad uno dei figlimaschi, solitamente il primogenito, ed indennizzo degli altri figli; iscrizione della proprietà - classifi-cata come maso chiuso - nel Libro Fondiario. Queste norme vennero abolite dopo l’annessionedell’Alto Adige al Regno d’Italia nel 1918, ma rimasero nell’uso comune del diritto consuetudinario.Attualmente interessa circa il 45% delle aziende agricole provinciali e raggiunge la massima diffu-sione (circa il 70%) in Val Passiria, patria di Andreas Hofer.

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La modulazione di ineguaglianza è generalmente sottostimata perché le leggi e leregole ufficiali tendono verso principi di uguaglianza anche se, i costumi o le deci-sioni delle famiglie, poi, si dimostrano più tradizionali, articolate e complesse.L’economista, Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, sopraccitato sempre dailiberisti, a proposito dell’enfiteusi scrive: “Affinché l’enfiteusi produca i suoi buonirisultati, condizione inderogabile, oltre al divieto del riscatto per un lungo periododi tempo ed al divieto della revisione del canone, è la indivisibilità del fondo. Il concetto della indivisibilità del fondo, accolto in taluni paesi di lingua tedesca etra noi in Alto Adige, urta in Italia contro tradizioni ed usanze radicate nella popo-lazione rurale. Nessun padre vuole oggi provocare sentimenti di odio e di vendettafra i propri figli assegnando ad uno di essi la proprietà del fondo. Se non si vuole che tra fratelli corrano coltelli (una vedova alla quale il professorLorenzoni, ad occasione della inchiesta sulle condizioni dei contadini nel mezzo-giorno, chiedeva: perché il padre non ha assegnato tutto il fondo ad uno solo deifigli? Rispose: ‘correrebbero coltelli!’) è necessario rassegnarsi alla divisione deifondi tra i figli, almeno tra i figli maschi. Giova tuttavia, entro i limiti del possibile, porre rimedio all’eccessivo frazionamen-to dei fondi ed allo sminuzzamento delle particelle appartenenti al medesimo pro-prietario in località diverse e distanti.” “Un’occasione – dice ancora Einaudi – per porre un qualche rimedio all’ecces-sivo frazionamento, là dove esso esiste, è dato dalla riforma agraria. In questaoccasione noi ci troviamo ad agire su terreno vergine. Se all’atto della conces-sione dell’enfiteusi si stabilisce che il fondo debba rimanere indivisibile, la con-duzione dell’indivisibilità è nota a tutti i componenti della famiglia rurale sindall’inizio, cosicché il padre non potrà essere tacciato di ingiustizia se ubbidi-sce alla legge che sta sopra di lui.” Insomma l’ingiustizia perpetrata dal padre la si fa diventare astratta. Ma è se sem-pre il “padre” a fare la legge astratta! Ad esempio, oggi, 2003, se in una famiglia con tre figli; figlia-figlio-figlia, vienedeciso che al figlio è destinata l’azienda e per titolo di studio un diploma, mentrealle figlie è destinato un appartamento ciascuna e per titolo di studio la laurea, que-sto è ritenuto equo. In realtà il figlio, che ha ricevuto in eredità un’azienda, nel costume corrente èsenz’altro “l’eletto” della famiglia. L’apparente sistema egualitario, di fatto, si scon-tra con un sistema tradizionale di valori inegualitario anche in riferimento allo sta-tuto della donna. La primogenita, infatti, nel nostro esempio cede la primogenituraal fratello maschio e viene parificata all’ultimogenita.

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3 - Le tipologie famigliari in Europa

fonte: E. Todd, L’invention de l’Europe - Le Seuil

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Tra l’altro se un tempo il simbolo maggiore dell’eredità era la terra oggi lo è l’a-zienda o la casa; comunque il bene che è, tra gli altri, il meno divisibile5.Dunque la famiglia stirpe incompleta, che caratterizza il Nordest, dato anche il con-testo nazionale, è fondata su una costante pratica inegualitaria, tramandata neltempo, velata però da dogmi e leggi egualitarie. Stesso principio, a mio avviso, si può riscontrare nella modulazione autoritaria.Quando la famiglia d’origine abita in un appartamento e il figlio, una volta sposato,si sposta in un appartamento sottostante o soprastante, nello stesso edificio, siamodi fronte alla divisione dei due nuclei oppure la divisione è soltanto formale e la vici-nanza, invece, sostanziale? E’evidente che anche i dati di cui disponiamo andrebbero valutati con più precisio-ne e soprattutto indagini statistiche, sociologiche, economiche e giornalisticheandrebbero indirizzare maggiormente in questa direzione. Allo stato delle mie conoscenze le analisi statistiche confermano, generalmente, lastrutturazione che abbiamo definito stirpe-incompleta della famiglia del Nordest.Senza incorrere nell’errore grossolano di dividere le zone geografiche in montane,pedemontane e di pianura direi che, in grande approssimazione, la famiglia stirpedel Nordest, oggi, ha una modulazione più complessa nelle province di Verona,Rovigo, Padova, Venezia, Treviso, Pordenone e Udine. Appare, invece, meno com-plessa, nelle province del Trentino-Alto Adige, Belluno e Vicenza e Trieste eGorizia.

Dal punto di vista statistico la complessità è stata misurata nella correlazione di pro-porzioni di presenza di famiglie estese e proporzione di presenza di tipi di contadi-ni negli anni Settanta. La scelta di valutare ancora il sistema rurale è, sicuramente,approssimativa ma, allo stesso tempo, asseconda la necessità di trovare degli indi-

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5. “Dalla prima metà del 1500 a metà del 1700 a Venezia anche le case restano quasi tutte di proprietàdella stessa famiglia tramandate di padre in figlio e anche quando cambiano famiglia per mancanzadi eredi maschi passano al figlio della sorella”. Jean-François Chauvard: “Pour une histoire dynami-que de la propriété vénitienne L'exemple de la paroisse de San Polo (XVIIe-XVIIIe siècles)” in Extraitdes Mélanges de l'Ecole française de Rome (Italie, Méditerranée), 1999, 111, 1, p. 7-72.Dal 2002 anche l'Alto Adige formalizza una più marcata uguaglianza: una nuova legge, infatti, stabi-lisce che anche le figlie primogenite godranno degli stessi diritti dei maschi (Legge Provinciale n° 17- 28 Novembre 2001).E non va dimenticato che anche gli alti tassi di celibato e nubilato, tipici della famiglia stirpe, contri-buiscono al mantenimento del patrimonio famigliare: quando lo zio scapolo muore i beni tornano ainipoti. In Alto Adige, ad esempio, su 100 persone sole soltano il 38,7% ha più di 65 anni; la mediaitaliana è di 55,1%.

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4 - La famiglia del Nordest

Distribuzione tipi familiari

Ménage complesso-autoritario e regole successorie egualitarie

Ménage semplice-autoritario e regole successorie non egualitarie

Ménage semplice-autoritario e regole successorie egualitarie

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catori semplici soprattutto riguardo le comparazioni internazionali per la definizio-ne e la collocazione, appunto, degli stessi sistemi famigliari. Per una più precisa definizione della famiglia stirpe la struttura rurale della societàpermette una più semplice identificazione e quindi una collocazione spaziale piùadeguata. Di fatto la famiglia stirpe implica la proprietà agraria ma la proprietà agraria nonimplica necessariamente la famiglia stirpe. Ovvero là dove abbiamo la diffusione diquesto sistema famigliare riscontriamo, sicuramente, la diffusione della proprietàagraria. Ma non vale il contrario.Dall’inchiesta sulla proprietà e sulle aziende agricole dell’Istituto Nazionale diEconomia Agraria nel 1950 appare evidente un quadro di stabilità secolare. La solaeccezione, come nota Carlo Pazzagli6, è rappresentata dai terreni della pianura pada-na ad agricoltura capitalistica intensiva: “In primo luogo dalla zona classica irriguache si estende sulla sinistra del Po dalla Dora aostana al Mincio, alla quale devonoaggiungersi i fertili terreni alluvionali di formazione recente della pianura alessan-drina, piacentina e veronese.” Il Nordest non conosce le aziende latifondiste e soltanto nel basso veronese e nelrodigino troviamo aziende agricole capitalistiche con salariati in zone di colturaintensiva e imprese cooperative in area di bonifica. Il Trentino-Alto Adige si dividetra aziende famigliari coltivate da proprietari o da affittuari o da forme di gestionetipiche della montagna: grande azienda silvopastorale gestita in affitto o con sala-riati o da enti collettivi. Queste forme comprendono anche le province di Belluno edelle attuali province di Pordenone e Udine. Tutto il resto è, secondo la nostra rego-la, gestito da aziende famigliari coltivate da proprietari o da affittuari tranne unabuona parte della provincia di Venezia, a nord, dove un cuneo di mezzadria si inse-risce nella terraferma fino a coprire il basso trevigiano e una parte del pordenonesee dell’udinese. Lì troviamo aziende a colonia parziaria, con poderi, tipica soprattut-to, del Centro Italia. Dunque là dove domina la famiglia stirpe non possiamo non trovare la proprietàcontadina diffusa degli anni Cinquanta-Settanta del Novecento. Comparando le due cartine (figure 4 e 5) appare straordinario un primo profilo delNordest: famiglia stirpe diffusa, incompleta per alcune differenze nelle diversemodulazioni.

6. “I rapporti di lavoro e l’utilizzo del suolo nell’ultimo trentennio”, in Storia d’Italia, vol 6 – Altante– Einaudi.

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5 - Distribuzione tipologie di proprietà agricola (1970)

Mezzadria 20-30%

Popolazione attiva in agricoltura

Contadini proprietari 10-20%e salariati meno del 26%

Contadini proprietari 20-30%e salariati 26-50%

Contadini proprietari meno del 10%e salariati 26-50%

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Ad esempio Bolzano e Rovigo hanno la stessa distribuzione di popolazione attivamaschile nell’agricoltura, ma in una provincia questo è il risultato di una famigliacon un ménage semplice, autoritario, e regole successorie rigide e inegualitarie men-tre nell’altra le regole successorie sono egualitarie e le strutture famigliari sono piùcomplesse o meno rigide. Le due province, infatti, avranno un destino diverso mafanno parte di un sistema che per le sue combinazioni interne si differenzia, o è simi-le soltanto in parte, dalle province circostanti.

Si potrebbe anche dire che l’atipicità della famiglia stirpe del Nordest è un insiemedi compromessi locali tra i tipi più o meno autoritari e più o meno egualitari. Con laregola egualitaria che, spesso, è legalmente definita ma non perfettamente eseguitanella pratica e la regola autoritaria apparentemente affievolita, ma ancora praticata. Dal punto di vista politico, ma ne vedremo in seguito i risvolti più dettagliati, que-sto tipo di famiglia non crea una predominanza fascista/comunista perché non pre-valgono pratiche famigliari che prevedono la coesistenza in un unico sistema dialmeno due figli sposati conviventi con i genitori. Cosa che, invece, avviene, conmolta frequenza, nel Centro Italia. Insomma il modello Nordest esiste, ma appare evidente che anche la sua negazio-ne ha una ragione d’essere: il modello non si vede e, dal nostro punto di vista, nonè oggetto della pubblicistica quotidiana. Dunque si tratta di un sistema che è antro-pologicamente e psichicamente esistente ma che si origina nella parte meno consa-pevole delle persone tanto da poterne teorizzare anche l’inesistenza. E’ un pò come coloro che credono che l’incesto sia universale o che il matrimoniotra cugini primi sia una rarità che, tra l’altro, porta a deformazioni o malattie gene-tiche. Esistono paesi, nel mondo, in cui il matrimonio tra cugini primi è la norma el’incesto non è problema.

Il figlio erede e il figlio cadetto

”Abele fu pastore di gregge e Caino agricoltore. Passò un tempo e Caino fece alSignore un’offerta dei frutti della terra, e Abele pure offrì dei primogeniti dei suoigreggi e il loro grasso. Or il Signore gradì Abele e ciò che gli offriva; ma nonriguardò a Caino e alla sua offerta. Caino allora si irritò grandemente e la sua facciasi sconvolse.” Come andò a finire è abbastanza noto, ma perché Dio scelse l’offerta di Abele e nonquella di Caino la Bibbia non lo dice. Forse non è detto perché anche se avesse scel-

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to le offerte di Caino e non quelle di Abele si sarebbe, comunque, verificata una ini-quità. La scelta di un fratello rispetto all’altro crea la percezione tangibile che gliuomini, nel mondo, qualsiasi esso sia, non sono uguali tra loro7.La differenza del destino dei simili è generata dalla struttura famigliare che, per con-servarsi, decide di non dividere il proprio patrimonio ma di mantenerlo intatto peril futuro. Per poter fare questo uno dei figli deve essere considerato “eletto” e gli altricadetti. Da qui il condensato dei valori fondanti i particolarismi, gli etnocentrismi ele differenziazioni. Il rifiuto dell’universale che ha caratterizzato la storia di molte nazioni ha originiprofonde e radicate in sistemi famigliari che hanno attraversato indenni le genera-zioni. Ebrei, tedeschi, giapponesi, baschi, irlandesi, catalani, fiamminghi, valloni,galiziani, bretoni, occitani, norvegesi, gitani, cechi, svedesi, canadesi francofoni,scozzesi, coreani, nordestini italiani sono tutti caratterizzati da questo sistema comu-ne. Ognuno di essi ha poi, per collocazione nazionale, dovuto mediare - rispetto adaltri sistemi di valori - a seconda della propria forza, ma ognuno ha vissuto e vive,più o meno coscientemente, l’impronta autoritaria/inegualitaria. La famiglia stirpe coltiva il culto delle differenze perché, al proprio interno, decideper la differenza. Lo statuto della donna, nella storia della famiglia stirpe, è in un sistema bilaterale;ovvero la donna partecipa in pieno alla gestione della famiglia. La donna gestisce lafamiglia quando il capofamiglia emigra a cavallo tra Ottocento e Novecento ed èsempre la donna - come testimonia una ricerca dell’Associazione industriali diVicenza - che decide o, comunque, influenza il figlio nella scelta del tipo di studiosuperiore anche nel 2000. E pensare che vengono spesi miliardi per l’orientamentoscolastico per i giovani e giovanissimi. La donna della famiglia stirpe incompleta, se non altro, può essere portatrice di unadote e dunque rispetto al marito ha diritti privati consistenti anche se non formal-mente definiti o ambigui. Questo accade soprattutto per la donna che sposa il figliocadetto, cioè colui che non ha ereditato o ha ereditato soltanto una parte compensa-toria; tra costoro, infatti, l’associazione con la moglie per la creazione di nuoveimprese, artigiane o commerciali, è fondamentale.Ad esempio è attraverso la donna, ma non a lei, anche nella Repubblica di Venezia,che passa la linea per l’erede di riserva: se tutti gli eredi maschi diretti muoiono la

7. La scelta di entrambi avrebbe portato ad una rappresentazione di un sistema famigliare e di valoriinadeguato e non coerente per le popolazioni che hanno adottato la Bibbia come testo fondamentale.La Bibbia, dunque, è una rappresentazione.

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proprietà passa al figlio maschio della donna, al nipote, anche se si cambia lignag-gio. Pur non essendo significativo perché non ho trovato correlazioni già studiate,noto comunque che la scelta del regime di comunione dei beni nei matrimoni delNordest va oltre il 50% soltanto in Trentino-Alto Adige, mentre restano sotto laquota il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. E’evidente come la comunione dei beni tra i coniugi stabilisca una legame più fortee vincolante e come si possa presupporre un qualche apporto percepito come pari-tario nella formazione della famiglia. In questo tipo di famiglia il potere della madre è in relazione all’educazione dei figliche, sostanzialmente, è a carico della donna. Madre-donna, quindi, che può divenire onnipresente e anche inconsciamente odia-ta proprio perché incombente. Se la famiglia stirpe con modulazioni instabili, nellastoria, si caratterizza per la ossessionante caccia alle streghe e al diverso è proprioper questa “incombenza”. Il tipo di famiglia più stabile, invece, cerca la soluzionedella tensione emotiva con l’adesione al culto della Madre-Madonna. La Sacra Famiglia, la cui “casa” è in ogni paese, in ogni quartiere del Nordest, è illuogo simbolo della famiglia autoritaria: là il Padre è al vertice supremo, ma l’ac-cesso alla sua potenza avviene attraverso intercessioni. Il cattolicesimo, dallaControriforma in poi, procederà sempre più verso un adattamento perfetto a questotipo di famiglia. Il figlio eletto, il padre eterno, la madre onnipresente sono la rap-presentazione più adeguata alla famiglia stirpe.La donna della famiglia stirpe non è femminista, al più, proprio per la logica delladifferenziazione, anche di genere, è indotta a percepirsi più come minoranza checome l’altra parte nella lotta tra i sessi. Nella famiglia, in privato, marito e moglie collaborano, arrivano anche a scambiar-si di ruolo in quanto a potere decisionale, e questo rende vana e inutile la rivendica-zione sociale. Al contrario del sistema basato sulla famiglia anglosassone, nucleare assoluta,incentrata su valori liberale/inegualitario, dove lo statuto della donna è tale da spin-gere la rivendicazione sessuale femminile anche su posizioni fondamentaliste. Ilrapporto fratello/sorella, nel mondo anglosassone, è molto flebile proprio per l’ine-guaglianza tra fratelli e rende punto focale della famiglia la madre più del padre pro-prio per l’assenza di rapporti verticali. La linea madre-figlia, così, diventa più stabi-le e duratura e innesca rappresentazioni mentali di distinzione tra i sessi e quindi dilotta e, per certi aspetti, anche di ritardo della stessa emancipazione. La lotta tra isessi è una tipica regressione di questo tipo di famiglia.Mentre, invece, il Nordest, già dal secondo dopoguerra, produce onorevoli deputa-

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te e sarà la prima regione italiana ad offrire un ministro donna; la trevigiana TinaAnselmi8.La donna gode di uno statuto simmetrico con l’uomo, almeno in privato, e quindinello scambio tra padre e marito non ha bisogno della coalizzazione con la madre ocon le altre donne. L’amozzone si esplica piuttosto nelle rivendicazioni sociali digenere all’interno di categorie già costituite: la donna manager, la donna sindacali-sta, la suora, la donna che difende le maltrattate o le prostitute, la donna nel lavoro,la donna in politica, la donna imprenditore, la donna avvocato…Il cristianesimo parla piuttosto del rapporto padre-figlio che di quello tra fratelli.Gesù è sempre più interpretato come figlio obbediente che non come fratello rivo-luzionario. E se c’è da disobbedire, Gesù, disobbedisce a Maria più che al Padre delquale, alla fine, non po’ che farne la volontà. Mentre il raddoppio della paternità, ideale e terrena, tra Dio e Giuseppe modula, asua volta, l’ambiguità della totale sottomissione ma anche della volontà di potenza. Un padre onnipotente è allo stesso tempo anche un padre che diverrà debole. Questascomposizione, del padre forte-e-debole, evidentemente ancora immatura, eviden-zia un livello più arretrato dei singoli e della collettività. Invece il pervenire al rico-noscimento totale, e alla riconciliazione con il padre reale e con la madre reale, fortie deboli allo stesso tempo, significa porsi in una posizione sicuramente più adulta. Il rispetto per il padre e per la madre reali, nonostante i loro difetti, e la loro perditadi potenza, è frutto di questa ricomposizione, ad uno stadio più maturo, post adole-scenziale.Il Concilio di Trento, dunque, come fase ancora immatura dei cattolici, non potevanon rigettare con forza l’ipotesi protestante del rifiuto del culto dei santi e dellaVergine. Nella famiglia stirpe incompleta l’intercessione è resa indispensabile9. Lascissione delle figure genitoriali è attiva e proiettiva: protestanti e cattolici, insieme,non negheranno mai la potenza autoritaria del Padre. Anzi, se i cattolici insisteran-

8. Nel 1678 Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, nobile veneziana, raggiunse un traguardo riservato finoad allora agli uomini: la laurea. Era la quinta figlia illegittima di Giovanni Battista Cornaro Piscopia,procuratore di San Marco "de supra", la più alta carica dignitaria dopo quella del Doge. Già all'età diundici anni la ragazzina aveva espresso voto di castità e il desiderio, assecondato dal padre, di studia-re. Lucrezia divenne membro di varie accademie e intrattenne rapporti epistolari con i maggiori stu-diosi italiani e stranieri del secolo. Dopo la laurea si trasferì a Padova. Rifiutò sempre il matrimonio,decidendo di diventare un'ablata benedettina dedicandosi ai poveri. Morì il 26 luglio 1684, a soli 38anni, probabilmente di tubercolosi.9. Nel Nordest ci sono 116 santuari dedicati al culto della Vergine (secondo il conteggio fatto daAntonio Niero sono 70 nel Veneto, 26 nel Friuli-Venezia Giulia e 20 in Trentino-Alto Adige).

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no sul libero arbitrio, pur nella contraddizione di Sant’Agostino, i protestanti accen-tueranno ancor più l’idea che il Signore ha già scelto, per ognuno, il destino terrenoed eterno. Ciò che resta al fedele è cercare di scoprire, con le proprie opere, il dise-gno di Dio su di sé. Il cattolico, invece, grazie anche alle intercessioni, può, con lapropria opera, arrivare al cospetto di Dio con la speranza della Grazia. Mentre il pro-testante non può più riconoscere né l’intercessione dei santi né dei preti e quindi sirivolgerà direttamente a Dio attraverso la propria coscienza10.I cattolici conserveranno, anzi, accentueranno la necessità dell’intercessione e quin-di il ruolo e la potenza della Chiesa terrena: il prete diviene, così, il primo mediato-re, il primo complice per l’accesso al Padre. Il Papa, nell’Ottocento, diverrà perfino“infallibile”.Il tentativo adolescenziale di emancipazione conduce, inevitabilmente, verso unapiù forte dipendenza dalla madre e dall’altro al tentativo di ripetere, su persone estra-nee (professori, profeti, patriarchi ecc.) quel movimento, eventualmente, precoce-mente fallito di maturità; quella tensione emotiva indispensabile allo sviluppo edalla costruzione di un io ideale. Il figlio cadetto, più di altri, rischia di finire proprioin questa posizione psicologica perché, in qualche modo, rifiutato dai genitori.La famiglia stirpe europea, dunque, crea dal XVI secolo in poi un’organizzazionesimbolica religiosa sempre più perfettamente adeguata, nel tempo, alla sua struttu-ra e alle sue modulazioni.

La disciplina famigliare

La famiglia stirpe tiene alla disciplina, non intesa come violenza o sopraffazionefisica, come invece accade nel modello anglosassone, ma come capacità rigida ditrasmettere valori e atteggiamenti; educazione. Una trasmissione che non esclude ledonne e che, anzi, è costitutiva della bilateralità del sistema famigliare: già i dogiveneziani trasmettevano l’eredità anche alle figlie femmine in mancanza di maschi.Mentre il rapporto tra genitori, dunque, è tendenzialmente bilaterale quello tra geni-tori e figli è sicuramente verticale. Il padre è l’autorità di riferimento che (in segre-to con la madre?) decide chi è il figlio d’elezione (il primogenito o l’ultimogenito,a questo punto, appare come una regola impersonale, ma è comunque accettata) equindi la distribuzione delle risorse alle generazioni future. Ne deriva un rapporto

10. Già gli eretici italiani, i conciliaristi, Marsilio da Padova, Guglielmo di Okham, proponevano ilcontenimento del potere temporale dei preti.

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ineguale tra fratelli e una spinta esogamica altrettanto forte. I figli e le figlie cadettisono costretti a uscire dalla famiglia d’origine e ad inventarsi un destino proprio, senon altro a cercare di sposare un eletto. Il figlio cadetto è il figlio soldato, il figlioprete, il figlio emigrato, operaio o anche il figlio che ha studiato e si è “inventato”un proprio percorso professionale. Non è quello che resta in famiglia e che sostituiràil padre dopo la morte.Vedremo come anche il potenziale culturale della famiglia stirpe, proprio grazie aquesta struttura, è tra i più forti e stabili. La famiglia stirpe genera, quindi, disciplina e gruppo. Crea, simultaneamente, fami-glie rigide, complesse, e una buona disciplina dei singoli e una organizzazione sta-bile dei ruoli. Paolo Barbaro sul Veneto scrive a conferma: “Quanto ho provato a dire finora mi èstato confermato in tutte le esperienze di lavoro; in ufficio, nei viaggi, nei grandi epiccoli cantieri, sui lavori di costruzione a cui ho partecipato come tecnico perparecchi anni. In Italia o in Africa, nelle Alpi o sullo Zambesi, eccoli i Veneti - comeli ho visti - lavoratori instancabili, pazienti, metodici e insieme capaci di immagina-zione, se non proprio di fantasia; pronti agli ordini, e in genere all’autorità che dimo-stri qualche dote, qualche seria capacità; talora servili; intelligenti, con una certaintelligenza pratica preponderante (come il don Luigi di prima - che aveva inventa-to tra una messa e l’altra la pompa trasportabile a mano per dare il verderame alleviti); con tratti di filosofia spicciola sempre pronti; mai filosofia dei ‘massimi siste-mi’: si può dire che siamo ‘filosofi del piccolo’, non del grande; fondamentale bontàe semplicità d’animo, quella bonarietà e anche ‘monaggine’per cui venivamo spes-so presi in giro – ma lo sapevamo.”Ma la famiglia del Nordest si distingue anche per un certo ammorbidimento delleineguaglianze - dovuto anche alla pressione nazionale - e dunque per un rapportopiù caldo, o comunque, più vicino tra fratelli nonostante la scelta del privilegiatonell’eredità. Nelle aziende, ad esempio, non è infrequente una certa distribuzione dicompiti proprio tra fratelli e sorelle nella conduzione dell’attività11.Abbiamo esempi famosi dai Marzotto ai Benetton, dai Coin agli Illy, ai Riello eanche tantissimi altri meno famosi.

11. Interessante a questo proposito l’intervento nel rapporto 2000 della Fondazione Nordest di PaoloGubitta su “Imprese, famiglia e passaggio generazionale” dove è dimostrato come gli imprenditorinordestini tendenzialmente dividano tra i famigliari la gestione di settori ritenuti nevralgici dell’a-zienda e deleghino ai manager soltanto settori ritenuti controllabili e non strategici. Non solo, ma spes-so la gestione aziendale si sovrappone alla geografia dei rapporti tra parenti.

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In un certo senso questa struttura famigliare propone l’ineguaglianza valorialecompensata dall’uguaglianza economica. La ricerca di sistemi di compensazio-ne, di strutture stabili di contenimento di eventuali regressioni – alla Caino, perintenderci – fanno sì che ci sia, da parte di tutti, inclusi ed esclusi, un lavoriocontinuo di riequilibratura. Ne parleremo più avanti ma ritengo che la caratura del ruolo del prete, gestitasoprattutto negli ultimi due secoli, sia stato un tentativo brillantemente riuscitodi compensare i figli cadetti. La perdita del privilegio materiale è stata com-pensata con l’attribuzione di ruolo e prospettive immateriali.Dunque abbiamo di fronte a noi una famiglia maschilista ma che attribuisce unruolo non secondario alla donna. Una famiglia inegualitaria ma che, a livello prati-co, si sforza di aderire a principi più egualitari. Una famiglia autoritaria di gruppiintegrati ma che modula la verticalità dei valori con un certo individualismo. Il risul-tato è quello di una società molto dinamica e organizzata. Si tratta di una società, quella creata dalla famiglia stirpe, che nella storia ha propo-sto passaggi fondamentali anche all’intera umanità: Atene, Israele, Germania,Giappone sono e sono state civiltà che, a vario titolo, giocano e hanno giocato ruolisempre di primo piano. Nel bene e nel male. Ed è stato così anche per il Nordest rispetto all’intera Nazione.

La famiglia e i suoi figli, che storia!

La famiglia stirpe può tollerare, al contrario di altre, molto bene tutte le età al matri-monio (meno 18 – 19/24 – più 24). La tolleranza delle età al matrimonio permetteuna variabilità molto alta di gestione delle fasi di apprendimento e della distribu-zione delle risorse. Come sappiamo l’età al matrimonio non è biologica ma cultu-rale e dunque è un metro stabile per misurare la fase di apprendimento e di alfabe-tizzazione. Sostanzialmente ci si sposa quando si è concluso, in una data famiglia, quello che èritenuto il periodo di apprendimento per poter generare una nuova famiglia. L’età almatrimonio, differenziata per i maschi e le femmine, indica così anche il grado dimaschilismo. L’allungamento dell’età al matrimonio, logicamente, non può che essere originatodall’apparente complessità dell’apprendimento in vista dell’età adulta. Oggi la realecomplessità del mondo, ma anche il rumore costante dei mezzi di comunicazione dimassa, favoriscono una percezione di inadeguatezza dei sistemi valoriali di riferi-

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6 - Figli illegittimi (1951-1975)

Percentuale di figli illegittimi sui nati vivi

Da 10% a 20%

Da 5% a 10%

Da 0% a 5%

fonte: Istat

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mento e quindi di insicurezza generale - diffusa tra tutti i soggetti nei diversi ruolifamigliari - tali da indurre ad allungare l’apprendistato dei figli. Generalmente unapiù alta scolarizzazione è associata ad un innalzamento dell’età al matrimonio.Inoltre là dove esiste una grande differenza tra l’età del maschio e l’età della fem-mina al matrimonio segniamo una più marcata concezione maschilista o patrilinea-re. La donna è percepita ancora bambina e viene affidata ad un uomo molto più vec-chio di lei. Un ravvicinamento delle età al matrimonio, maschile e femminile, dimo-stra, invece, tendenze più egualitarie tra i sessi e minore maschilismo. Negli ultimi20 anni nel Nordest questa differenza è intorno ad una media di 2,8 anni e si è accor-ciata nel tempo. La modulazione alta dell’età al matrimonio permette, dunque, unapiù vasta gamma di progettualità per il futuro.

In questo sistema ha aderito bene la Chiesa cattolica come sistema di controllo auto-ritario che obbligava alla castità o, simultaneamente, alla procreazione incontrolla-ta. Il controllo delle nascite, per la Chiesa e la destra cattolica, non è delegato all’in-dividuo ma socializzato. I figli cadetti che non si sposano diventano preti, suoreoppure zii e zie zitelle. Il controllo è sociale e questa ineguaglianza sostanziale faaderire perfettamente la Chiesa alla famiglia stirpe.La risultante è una rilevante produzione di figlie e figli cadetti che possono essereaccolti dalla stessa “Madre Chiesa” e di figli e figlie timorate e aderenti ai valori diautorità e ineguaglianza. Il celibato e il nubilato sono il contraltare delle famiglienumerose. E, in definitiva, la Chiesa stessa diventa un sistema efficiente di control-lo delle nascite, prendendo per sé parte di questi figli e figlie delle tante famiglienumerose, là dove le tecniche contraccettive non sono ancora sofisticate ed effica-ci. La Chiesa come contraccettivo a posteriori? Di fatto il destino di ogni figlio o figlia, se pure numerosi, viene in qualche modogestito a priori.Una delle caratteristiche della famiglia stirpe, infatti, è nella bassa presenza di figliillegittimi. La distribuzione di cui abbiamo parlato nelle province del Nordest delménage complesso ricalca quasi con precisione la distribuzione di figli illegittimi(figura 6).Il dato di media tra il 1872-1875 è significato e rimane con la stessa impronta finoad oggi. La media, alla fine dell’Ottocento, di figli illegittimi per 100 nati è di 2,1per Treviso, 2,6 per Belluno, 3 a Vicenza, da 4 e poco superiore Udine, Verona,Rovigo e Padova, mentre Venezia registra un 6,9. Trent’anni dopo Vicenza eBelluno sono tendenzialmente stabili (3,3 e 2,9) Treviso è salita a 2,9, Padova a 6,3,Venezia a 9,2 mentre Rovigo fa registrare 14,2 illegittimi ogni 100 nati. Spieghiamo

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la crisi di Rovigo (che sarà anche più forte negli anni Cinquanta del Novecento) conl’intervento di bonifica nel basso Polesine e Rovigo dopo il 1870. “Si tratta di unospostamento autoritario di 2.500 coloni provenienti da Sermide, Trecento, MassaSuperiore, Lendinara, Adria e Cavarzere a cui si aggiunsero circa 1.000 uomini chedai villaggi circostanti si recavano, quando ve n’era bisogno, a lavorare le terre piùvicine.” 12

La stessa vicinanza con l’Emilia-Romagna ha sicuramente influenza sul comporta-mento dei rodigini. In quella regione le medie degli illegittimi sono sempre moltoalte. Confrontando alcune variabili (frontiera, intervento totalitario sulle masse, pre-senza di contadini proprietari e salariati, autorità, ineguaglianza/uguaglianza, comu-nismo) riscontro che il dato elevato di figli illegittimi è particolarmente correlato allapresenza del sistema autoritario nelle famiglie e alla alta presenza di contadini pro-prietari-salariati; dato che è comune sia nel bolzanino, nel rodigino e, appunto, inEmilia. Gli spostamenti di masse, poi, contribuiscono ad aumentare la nascita di bambini ebambine naturali. A questo proposito appare evidente come anche le linee di confi-ne, tracciate dagli eserciti o dalle diplomazie, poco reggono di fronte agli incontritra uomini e donne!Nel 1951 i figli illegittimi nati nel Nordest ricalcano la distribuzione simile di circaun secolo prima e a metà degli anni Settanta la distribuzione rivela la persistenza deltipo di famiglia caratteristico di queste province d’Italia: Vicenza, Treviso ePordenone quelle con meno illegittimi, mentre Rovigo e Bolzano quelle con più fre-quenza. Il risultato di Bolzano, oltre che dato strutturale, come Rovigo, è spiegabile ancheper l’intervento autoritario fascista che ha scombussolato – con l’intenzione di ita-lianizzarlo – il sud Tirolo. Il fascismo in quelle zone ha forzatamente trasferitomigliaia di italiani per tentare di ridurre la densità di tedeschi. L’immissione, quin-di, di popolazioni esterne in gruppi stabilizzati produce un malessere generale e unoscontro tra regole sociali e affetti privati che viene reso misurabile anche dalla quan-tità di figli non riconosciuti anche se la famiglia stirpe, là dove è sottoposta a pro-cessi che la rendono instabile, comunque, produce più illegittimi. Così come movimenti di masse e di etnie hanno sconvolto anche Trieste e Gorizia.Spiegate le eccezioni la carta degli illegittimi del Nordest non fa che confermare lastabilità della famiglia nordestina nell’arco di secoli. Il contenimento dei figli illegittimi, dunque, spiega una certa stabilità e anche un

12. Gino Luzzato – L’economia italiana dal 1861 al 1894 – ed. Einaudi, pag. 105 e seguenti.

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radicato conformismo e controllo della famiglia. L’equilibrio interno viene salva-guardato e la capacità di prendersi cura della prole ha come risultate la “sicurezza”della paternità e della maternità. I figli che erediteranno sono figli “sicuramente”propri. La famiglia autoritaria, generalmente, crea forti tassi di illegittimità allorquando sipresenta nella forma più “instabile”, mentre nella forma “stabile” l’illegittimità ètendenzialmente e storicamente bassa. L’identificazione di queste varianti permet-terebbe di spiegare due fenomeni ritenuti paralleli e tra i più tragici della storia euro-pea: la caccia alle streghe e la caccia agli ebrei. Entrambi i fenomeni sono caratte-rizzati da una allocazione nell’area caratterizzata dalla famiglia autoritaria con, inve-ce, una modellazione “instabile” tipica della cultura tedesca, scandinava, scozzese ebasca.Il Nordest si distingue anche per il tasso, più basso d’Italia, per matrimoni tra con-sanguinei. A fine Ottocento il Veneto registra 8,7 matrimoni tra cugini su 1.000 abi-tanti, 0,3 tra zii e nipoti e 2,3 tra cognati. Molto meno in confronto a Liguria ePiemonte con 18,2 matrimoni tra cugini e tassi intorno al 10 e superiori in Calabriae Sicilia. Dunque la famiglia nordestina ha anche un forte radicamento endogamico che, ingruppi fortemente stabili, produce un allargamento di famiglie dello stesso tipo nelmomento in cui avviene l’immissione della nuova sposa. La spiegazione principa-le del lavoro delle donne, nel Nordest, sia dovuto a questo modello che rende la fem-mina più anziana stabile all’interno della casa mentre tende a spingere la moglie delfiglio, la donna più giovane, al lavoro. L’immissione della donna giovane, estraneaal gruppo della famiglia originaria, non entra così in conflitto con il ruolo della suo-cera perché la sua posizione è già codificata nel sistema dell’autorità e allo stessotempo viene indirizzata verso la produzione di risorse.Nel contesto della famiglia stirpe il tasso di età al matrimonio femminile potrebbeessere correlato alla tendenza al voto, ma soprattutto alle pratiche religiose. Inoltrel’aumento dell’età al matrimonio abbassa il tasso dei divorzi. Divorziano di più eprima, infatti, le coppie che si sposano più giovani. Logicamente, l’affievolimento della disciplina matrimoniale e della castità annun-ciano un orientamento più liberale e democratico. Il portato di valori legati alla rego-lazione del matrimonio, dunque, ha conseguenze politiche, economiche e istituzio-nali di lunga proiezione. In Italia è stato possibile correlare il voto comunista negli anni Settanta con l’età almatrimonio delle donne negli anni Cinquanta.Il matrimonio tardivo è anche indice di un aumento dell’ascetismo, soprattutto fem-

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minile. Una più lunga contemplazione in età giovanile significa una minore libertàsessuale e un radicamento ai valori tradizionali e religiosi. La produzione di nubila-to è correlata ad un orientamento più conservatore, più adeguato alla sottomissioneall’autorità paterna e dunque predisposto all’accettazione della sofferenza e dellarinuncia. La perpetua che tuttora accudisce la parrocchia, figlia di Dio e sorella del prete, è larisultante di questo modello femminile? Ma come abbiamo visto per le donne divise tra istituti di beneficenza e carità ci sonoanche quelle che lavorano. “L’Operaio cattolico” il 6 gennaio 1895 a propositodella necessità di cominciare ad organizzare proprio le donne scrive che lo scopoprimario di questo nuovo settore del movimento sociale cattolico deve essere quel-lo di “conservare e accrescere nelle ascritte lo spirito religioso, la moralità dei costu-mi, l’amore e la pratica dei doveri individuali e sociali e di suffragare le socie defun-te”. Qui c’è tutto: spirito religioso, ubbidienza, morigeratezza, dovere di gruppo eamor proprio, ma soprattutto sofferenza e solidarietà. Il matrimonio è ordine, e l’ordine è necessario, soprattutto alla famiglia stirpe. Daqui il controllo pressante della Chiesa sulla sessualità. E nessuna concessione puòessere fatta alla richiesta della fine del celibato dei sacerdoti proprio “in ordine” aquesta disciplina generale. La paranoia sulla masturbazione, la castità prematrimoniale, il divieto di controlla-re le nascite ne sono una risultate, così come l’obbligo della fedeltà come salva-guardia della monogamia. L’introietto Dio-Padre non potrebbe più esistere in unsistema aperto il cui padre di troppi figli e marito di troppe mogli e madri finirebbeper scomparire come ectoplasma nelle dinamiche famigliari. Il prete-sposato è il cardine della dissoluzione della Chiesa cattolica espressa attra-verso l’organizzazione dei figli e delle figlie “non elette”. Significherebbe l’intro-duzione del principio di uguaglianza nel sistema autorità/ineguaglianza e quindi unatensione contraddittoria che potrebbe portare ad una secolarizzazione ancora piùaccelerata come è stato per i protestanti. Ogni fase cruciale della sessualità è sottoposta al controllo e alla regolazione a pre-scindere dai risultati disturbanti ai quali si può giungere. Tutto a suo tempo e a suoluogo e modi. Il matrimonio è assoluta creazione del nuovo e da esso devono sca-turire le programmazioni messe in opera e quelle che continueranno. Non si può fal-lire. Hans Erich Troje, storico del diritto di Francoforte, sostiene che “la famiglia èil luogo in cui ogni follia è normale” e che “i principali ideologi del benessere delbambino per lo più non hanno figli, così come non erano sposati gli inventori e ipropagandisti dei valori del matrimonio cristiano. Dulce bellum inexpertis.”

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Ma non si trattava e non si tratta di essere esperti di bambini o di matrimonio; si trat-ta di essere esperti del sistema autorità è libertà.

La sequenza del progresso, con l’acceleratore

La famiglia stirpe, nella conclusione della prima fase di secolarizzazione, producesistemi ideologici tipici così come è stato per le religioni. Sistemi ideologici, comequelli religiosi, che mostrano una straordinaria continuità temporale. Le tre grandiforze, infatti, che caratterizzano il Nordest sono la socialdemocrazia, la democraziacristiana e il nazionalismo o regionalismo etnocentrista. Questi impianti manifesta-no una resistenza stupefacente al tempo e a qualsiasi modificazione sociale, econo-mica o militare. In Italia, poi, nonostante il passaggio del periodo fascista, ritrovia-mo, nel secondo dopoguerra, le stesse forze che avevano preso la scena prima dellaPrima Guerra Mondiale. E’ possibile ipotizzare che per questo tipo di famiglia lacontinuità temporale, la stabilità sociale che ne deriva, siano ancora più importantidei valori stessi che la fondano. In sostanza se si affermano i democristiani si tende a sostenere i democristiani e sesi affermano i socialisti si tende a continuare a sostenere i socialisti. Il principio di stabilità si impone. La fedeltà al passato, alle regole già sperimentateè altissima. Le ideologie, indipendentemente dai loro risvolti differenti, possonoaffermarsi nel tempo grazie a questa struttura. Al contrario, invece, il risvolto etno-centrista, ha diverse caratteristiche basate sulla quantità della popolazione e sulledimensioni degli stati o delle stesse zone interessate. I Paesi del Nord Europa, o laSvizzera, ad esempio elaborano una differenziazione etnocentrica che li porta, piut-tosto, all’affermazione, nel tempo, di uno spiccato neutralismo. La presa di coscienza della limitata potenza militare nazionale trasforma la pretesadella diversità in posizione ideologica di distanza, di neutralità. All’interno, invece,delle singole nazioni il regionalismo si ripete storicamente in forme diverse: nelNordest dai moti del 1848, all’unità d’Italia, alle questioni di Trento e Trieste e poidel Sud Tirolo e oggi al fenomeno delle lighe e quindi della Lega Nord, solo perstare all’ultimo secolo. Si tratta, indubbiamente, di una proiezione della propria superiorità. L’ossessionedel lignaggio, dell’appartenenza alla famiglia, al gruppo, alla lingua, alla comunitàfa degli individui di questo sistema famigliare portatori – anche incoscienti – dimodelli di superiorità. Se non altro di differenza: volontà di potenza mimetizzata nelcomportamento umile e remissivo del figlio che sa, che un giorno, sarà al posto del

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7 - Mortalità infantile (1999)

Probabilità di morte alla nascita ogni 1000 nati maschi

più di 4

meno di 4

fonte: Istat

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padre. La famiglia stirpe, il cui riferimento al lignaggio è sempre articolato e pre-sente, produce una certa quantità di blasonati più o meno fittizi. E’ una conseguen-za della trasmissione del sangue, del sangue blu, dell’identità del gruppo. Fin trop-po facile, nel Nordest, individuare il patriziato veneziano quasi tutto inventato disana pianta durante la Serenissima. La miriade di conti sparsi per le campagne vene-te ne sono la dimostrazione. Ma non mancano gli esempi più moderni, come l’im-prenditore vicentino Gaetano Marzotto o i suoi colleghi veneziani Volpi e Cinidiventati tutti conti per meriti attribuiti durante il periodo fascista.

La famiglia stirpe è un moltiplicatore sul piano culturale, nel senso che accele-ra i processi in corso; siano essi positivi siano essi negativi. La trasmissionerigida che la caratterizza e le grandi capacità di controllo tra generazioni per-mette di accelerare i comportamenti riferiti all’impianto valoriale che in queldato periodo è dominante. Vanno sottolineate anche altre caratteristiche della famiglia stirpe del Nordest primadi affrontare i temi del carattere, della scolarizzazione, delle ideologie e delle eco-nomie di questo sistema. Il tasso di mortalità infantile è uno degli indicatori massi-mi dello stato di sviluppo e di benessere di una società. Questo tasso, logicamente,mostra il grado di qualità delle strutture sanitarie e sociali di una provincia o di unaregione. La speranza di vita di un neonato coinvolge la salute fisica e psichica deidiretti famigliari, le capacità sanitarie, assistenziali, sociali e generali dell’intera col-lettività. Questo tasso è un indicatore supremo del benessere.Ebbene tra fine Novecento e inizio Duemila il Nordest - ancora una volta - mostrala stessa faccia di sempre: la probabilità di morte da zero a un anno, al di sopra o aldi sotto di 4 ogni mille nati (figura 7), in cui le province di Vicenza, Belluno,Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste con Padova, Venezia e Treviso (che però, comequasi sempre, si colloca in una zona di oscillazione) si collocano al di sotto mentretutte le altre al di sopra. Più esattamente notiamo uno 0,83 di Trieste, un 5,22 di Verona e un 7 di Rovigo13.Il tasso di mortalità è un tasso più tragico ma più corretto di quello della natalità permisurare il grado di progresso perché è dimostrata l’esistenza di una correlazionepiù stretta tra il tasso di alfabetizzazione e la speranza di vita (+ 0,85) che non tra il

13. Questo dato vale la pena precisarlo perché lo riteniamo strategico. Si tratta del dato riferito all’ul-timo disponibile sul sito Istat e riguarda il 1999. Trieste 0,83 – Udine 1,33 – Pordenone 2,04 – Belluno2,4 – Vicenza 3,53 – Gorizia 3,6 – Padova 3,68 – Venezia 3,73 – Treviso 4,1 – Trento 4,67 – Bolzano4,75 – Verona 5,22 – Rovigo 7. La differenza tra Trieste e Verona è di 4,39.

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tasso di alfabetizzazione e il tasso di natalità (- 0,73). Questo significa che l’abbassamento del tasso di mortalità è un indicatore più pre-ciso del livello culturale e dell’evoluzione della mentalità: attraverso le variazionidel tasso di mortalità e di fecondità le società si preparano ad una transizione.Mentre le correlazioni tra parametri demografici e variabili economiche hannodimostrato valori più bassi: reddito pro capite e speranza di vita sono correlate - inuna scala da meno 1 a più 1 - per un segno +0,69 e addirittura per un -0,58 è la cor-relazione tra reddito pro capite e tasso di natalità.La sequenza che si è logicamente determinata, ma anche dimostrata nei fatti, è: alfa-betizzazione, abbassamento del tasso di mortalità, abbassamento del tasso di fecon-dità e alzata del reddito. In questi anni le province che, più di altre, stanno seguen-do questa sequenza sono quelle del Friuli-Venezia Giulia.

La famiglia stirpe, incompleta, urbana

Nel contesto urbano è più difficile spiegare la strutturazione di valori di uguaglian-za e ineguaglianza o di autorità o libertà, ma qui bisogna misurare lo scambio di ser-vizi, il ruolo dei nonni rispetto ai nipoti, i rapporti decisionali. Quello che spariscenel contesto urbano è il ciclo di sviluppo del gruppo domestico, che non è più fisi-camente visibile, ma non il sistema famigliare; ovvero l’insieme dei valori immate-riali, stabili, che vengono trasmessi.Nei contesi con famiglia stirpe la liberazione sessuale sposta a sinistra così come l’a-scetismo tiene la conservazione. L’aumento dell’età al matrimonio porta all’au-mento del misticismo in periodo di pervasione religiosa e spinge su organizzazionie gruppi mistici in piena secolarizzazione14.La famiglia stirpe presenta anche, come abbiamo già accennato, un accentuatocarattere patogeno dal punto di vista psicologico: essa esalta coscientemente il pote-re del padre e inscoscientemente il rispetto della madre e per questo può forzare unpossibile scontro dei figli con essa che, apparentemente, li tradisce accettando laloro ineguaglianza. Combina ad un grado abbastanza elevato disciplina e individualismo, ma allo stes-so non definisce chiaramente lo statuto della donna e dei figli “non eletti”. Fa della donna una “strega” o una “Vergine santa” e dei figli cadetti dei “soldati” o

14. Su questo si vedano le inchieste della professoressa Cecilia Gatto Trocchi sulla diffusione dellesette nel Nordest negli ultimi anni.

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dei “preti”. Quando produce molti figli e figlie ne destina anche molti al celibato eal nubilato. La patologia la si può riscontrare quando, a livello collettivo, si attivanell’adesione al fascismo – adesione all’autorità, ma al contempo trasgressiva coer-cizione dell’uguaglianza -; al terrorismo – opposizione all’autorità ma rimarcaturadell’eletto di classe -; all’esplosione xenofoba – proiezione sull’altro della propriaposizione schizoide -; o in ordine privato alla diffusione dell’alcolismo, della drogao del suicidio.

La famiglia stirpe, un bilancio

Il bilancio complessivo della famiglia stirpe incompleta è da ritenersi positivo. Sitratta di un sistema che ha una fortissima capacità di educazione e valorizzazionedei figli; fondato sulla predominanza del maschio ma con una forte attribuzione dipotere non formalizzato per la donna. Sistema che crea piuttosto dello scontro traconiugi uno scontro madre-figlio anche questo ammortizzato da credenze religiosee adesione all’organizzazione della Chiesa cattolica. E’ un sistema che crea disci-plina e adesione al gruppo, ma allo stesso tempo tollera l’individuazione anche secerca di strutturala attraverso ruoli preordinati. Quella della famiglia stirpe incompleta è una società che tollera anche le differen-ziazioni e, addirittura, le crea anche là dove non ci sono: una spiccata tendenza apercepire le differenze per differenziarsi e quindi un senso di lignaggio e di classifi-cazione facile. Non c’è nessuna ansia di inglobare o eliminare l’altro, ma una fortetendenza a dissipare energie nella lotta contro fantasmi ideologici che essa stessacrea. La tendenza verso l’assassinio del fratello per l’introietto del valore di ineguaglian-za è più marcato nella famiglia stirpe tipica del mondo tedesco. Nel Nordest il rap-porto tra fratelli non ha mai raggiunto - come nella famiglia stirpe rigida - la posi-zione schizofrenica di sterminio dell’altro e neppure quella simbiotica di tentativodi assimilazione totale dell’identità altrui nella propria. Nel Nordest l’accentuazione sull’eguaglianza tra fratelli scarica la tensione internapiuttosto con accordi di spartizione dell’eredità o di divisione di ruoli. Il nazismo e il comunismo, da queste parti, troveranno sempre, come hanno trova-to, baluardi e fortificazioni resistenti. Anche la stabilità verso il contenimento dellaprocreazione illegittima è la dimostrazione di un meccanismo esogamico efficace-mente regolato. La spinta verso l’esterno del gruppo famigliare d’origine per la creazione di una

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nuova coppia pone la donna in una condizione aleatoria, ma assicurata dalle diver-se modulazioni del controllo sessuale e dell’organizzazione sociale. Quanto alle singole province è già in atto uno spostamento verso valori più eguali-tari in Trentino-Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia, mentre in Veneto il processoè più complesso e più attardato. Le province di Vicenza, Treviso e Belluno, accop-piate, come è stato in passato, segnaleranno prima di altre gli andamenti futuri, men-tre appare ancora più problematica del passato la situazione di Rovigo e in evolu-zione nell’immediato futuro quella di Verona, Venezia e Padova.

Il Nordest ha risorse necessarie per potersi ancora meglio qualificare e identificaree per poter procedere verso un futuro tranquillo, ma si rende necessaria una mag-giore consapevolezza, appunto, della propria identità e del proprio carattere perchésono in vista fortissimi cambiamenti.

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Reich, Lopez e il figlio prete

“E’ vero che le istanze morali nella persona umana nascono da determinateproibizioni della società i cui primi rappresentanti nella vita umana sono i geni-tori – scrive Wilhelm Reich – ma già le prime modifiche nell’Io e nelle pulsioniche avvengono con le primissime rinunce e identificazioni, molto tempo primache si arrivi alla formazione del Super-Io, sono in ultima analisi determinatedalla struttura economica della società e rappresentano già le prime riproduzio-ni e i primi ancoramenti del sistema sociale, così come cominciano già a svi-luppare le prime contraddizioni”.1

Ed è sempre Reich a dirci che “se, come è stato detto, gli uomini fanno essi stessila loro storia, che dipende da determinate condizioni e premesse economiche se laconcezione materialistica della storia deve partire dalla fondamentale premessadella sociologia, l’organizzazione naturale e psichica degli uomini, allora è chiaroche le nostre ricerche a un certo punto debbono acquistare una importanza sociolo-gicamente decisiva. Noi studiamo le strutture psichiche, la loro dinamica e la loroeconomia. Dalla struttura psichica dipende la forza produttiva più importante, laforza produttiva forza lavoro. Senza la psicologia scientifico-naturale non si posso-no comprendere né il cosiddetto ‘fattore soggettivo’ della storia né la forza produt-tiva forza lavoro. La premessa per arrivare a questa comprensione è il rifiuto di quel-le concezioni psicoanalitiche che spiegano la cultura e la storia della società umanacon le pulsioni anziché comprendere che prima di tutto, sono i rapporti sociali ad

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Capitolo 2

Carattere e atteggiamenti

1. Ritengo, e per questo lo cito testualmente, che Reich su questo vada corretto nel senso che la strut-tura economica preesistente è comunque frutto delle decisioni degli uomini e delle donne… preesi-stenti. Reich, tra l’altro, pur aprendo una visuale fenomenale per lo studio del carattere non avevaancora colto il fatto che, ad esempio, uno stesso impianto autoritario può dare, contemporaneamente,sia sviluppi repressivi che trasgressivi.

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influire sui bisogni umani modificandoli, prima che le pulsioni e i bisogni cosìmodificati possano cominciare ad agire come fattori storici. I più noti caratterologidi oggi cercano di comprendere il mondo in base ai ‘valori’ e al ‘carattere’ anzichéfar derivare il carattere e determinati valori dal processo sociale.”Noi qui prendiamo Reich traducendolo così: a determinati ordinamenti sociali sonoassociate determinate strutture umane. Meglio ancora: ogni ordinamento socialecrea quei caratteri di cui ha bisogno per esistere e “nella società divisa in classi èsempre la classe dominante che, con l’aiuto dell’educazione e delle istituzioni fami-gliari, difende la propria posizione trasformando le proprie ideologie in ideologiedominanti di tutti i membri della società.” E prendiamo come riferimento anche Davide Lopez (e tutte le sue critiche aReich) quando dice: “Tuttavia l’opera di deformazione, distorsione o distruzionedi un meccanismo così delicato quale è il carattere del bambino, della sua poten-zialità formale e creativa, base di quella che sarà la futura persona, si compie con-tinuamente e quotidianamente nella famiglia e nella scuola, proprio per l’insensi-bilità degli adulti, di coloro che non riescono a comprendere che il bambino è unapiccola persona”. Ritengo la reazione di coloro, specialisti stessi della psicanalisi, di porsi in posizio-ni di sostegno alla libertà assoluta, malintesa, dell’individuo con deformazioni carat-teriali, divenga così conservatrice, regressiva e repressiva perché inconsapevolmen-te alleata di quel carattere. Lo sforzo per l’emancipazione viene così neutralizzato ecristallizzato in comunità terapeutiche, espedienti di gruppo, purgatori comuni. I contenuti del carattere, quindi, sono originati dall’esterno, dalla società, mentre l’a-spetto formale, la modalità di espressione appartiene all’ambito genuino dell’indi-vidualità. Per questo è indicativa, ad una buona analisi del carattere, la forma diespressione: il modo di dire più che il contenuto; il comportamento reale più di quel-lo promesso o dichiarato.Una caduta precoce dei genitori come oggetti ideali, molto spesso subita per la spic-cata preferenza di un altro fratello, viene vissuta come perdita e abbandono defini-tivo. Questo processo è generalmente riconosciuto dalla psicanalisi come causa diuna formazione deficitaria del Superio, soprattutto negli aspetti più ideali. La per-sona, quindi, che rappresenta l’autorità, o che all’interno di un’organizzazione è inuna posizione predominante, viene vissuta come un nemico. Costoro si troveranno a temere l’autorità, a sentirsi in colpa nei suoi confronti, pro-prio perché la odiano. “L’odio irreversibile verso i genitori e verso qualsiasi perso-na in posizione di superiorità – spiega Lopez – li indirizza alla fine verso i loro fra-telli e sorelle che essi scelgono come oggetti d’amore. Per tutta la vita non escono

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mai dal mondo dei bambini!”Spesso si può incontrare, nel Nordest, a causa della diffusione della pratica dellaproduzione di figli cadetti, un carattere che molti scrittori hanno addirittura mitizza-to: un comportamento serafico, quello di una certa “monaggine” nello sguardocome l’ha definita Paolo Barbaro dei veneti. Un comportamento da “agnello di Dio”che, però, esprime l’ingiustizia patita di chi crede, in fondo, di essere stato comun-que indulgente con il carnefice o presunto tale. “Noi che abbiamo fatto tutto da soli”come dice lo scrittore Ferdinando Camon, intendendo mantenere con questo un’av-versione verso un padre (politico) ideale che, invece, avrebbe dovuto alleviare levere o presunte sofferenze. E poi lo sguardo cristallino, puro, del lavoro onesto ma anche della durezza narcisi-stica, impenetrabile riversata nell’amore per le cose piccole, per il saper fare minu-to, quotidiano. L’amore per la piccola e, soprattutto propria creazione che, però,resta propria e che dimostra o vuole dimostrare una certa superiorità velata. A que-sto punto l’idea che debba essere la realtà ad adattarsi a loro piuttosto che il contra-rio si fa strada e si impone anche nella rivendicazione sociale e politica. Ma il costodel narcisismo è sempre misurato da altrettanto grado di masochismo che è la suamoneta di scambio.La caduta degli aspetti ideali del Superio è la causa della regressione verso la narci-sistica compiacenza della propria innocenza che è nello stesso tempo accusa peren-ne nei confronti degli adulti, delle generazioni più vecchie. Ideali narcisistici servo-no a compensare, anzi a mascherare, il sentimento profondo del vuoto emotivo edella inconsistenza dei propri interessi, dal momento che le emozioni che contanonella vita sono andate perdute e distrutte.Mentre il figlio eletto gode del vantaggio della costanza d’amore ed è facilitato nellacostruzione del proprio carattere e può mantenere anche nella fasi più difficili unideale dei genitori protetto, il figlio cadetto è coartato e gettato in una landa dove lepossibilità di deformazioni del carattere sono più insistenti. La sua liberazione, però,passa dalla conferma della propria posizione, dalla certificazione che le passategenerazioni fanno della propria colpa: cosa che soprattutto le donne più anzianehanno sempre certificato. La frequenza alla messa, nei secoli, cosa è stata se nonquesta autoaccusa nei confronti del figlio e delle figlie donate alla Chiesa?Il “normale” vive comunque la caduta dell’ideale paterno e materno, ma non comelotta perenne, autodistruzione e distruzione, piuttosto come inevitabile sostituzionedell’anziano. La percezione che il passato è anche nel presente, e sarà futuro, affie-volisce l’odio, pacifica e non tenta quasi mai di addossare tutte le colpe a chi ha vis-suto prima per riuscire a vivere in una apparente bolla di innocenza ora e poi.

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”L’analisi scientifica marxiana - scrive Lopez - dei movimenti di sviluppo dellestrutture economico-sociali e l’indagine freudiana sull’organizzazione libidico-emotiva dell’individuo sembrano convergere su di una conclusione: l’attivismo, ilvolontarismo, il rivoluzionarismo, che fanno seguito molto spesso all’ipercontrollocosciente del funzionamento degli individui e delle strutture sociali, non acceleranoma ritardano la spinta verso l’emancipazione e la maturazione individuale e socia-le degli uomini”.La psicanalisi, dunque, può dirci molto sulla composizione e scomposizione delsistema famigliare tipico del Nordest e, storicamente, può dirci molto anche sullasua economia. Per non addentrarci in questioni ambivalenti e complesse ci limitiamo a constatareche il pensiero freudiano sulla repressione sessuale va di pari passo alla invenzione,poi, da parte dell’economista Keynes del sostegno alla spesa, del consumismo.Repressione della sessualità e risparmio sono la stessa faccia della stessa medaglia.La Chiesa chiama il denaro “sterco del diavolo”, ma benedice la proprietà immobi-liare. Il controllo sessuale diventa una degli ambiti nevralgici e così la sessualitàdiviene diabolica e, di conseguenza, il nubilato e il celibato ne sono il contraltare. Per non peccare, quindi, al limite è meglio sposarsi e riprodursi ma la moglie nondeve essere trattata come una prostituta e quindi, comunque, bisogna essere mori-gerati. Risparmiare, dunque, nel sesso e anche nel denaro.E presumibile, addirittura, che non sia, a questo punto, segno di sanità politica esociale il livello del reddito pro-capite, o del conto in banca, ma piuttosto questoindichi delle deformazioni caratteriali anche se non necessariamente sessuali. Unacerta efficacia economica, la tenuta di un sistema finanziario, può essere basata pro-prio sulla sofferenza di molti, sulla dispersione di vitalità ed energia umana piena-mente emancipata, adulta, e che coinvolge tutti e non solo una categoria apparente-mente più interessata di altre.

I soldi, la pellagra, l’alcol e i suicidi

L’ansia dell’accumulo come espressione di un sintomo di una deformazionecaratteriale.Cosa può significare, altrimenti, il ritrovare, sistematicamente, nel corso degli ulti-mi cinquant’anni, nel racconto quotidiano della vita del nordestino, il ripetersi di“lavoro, lavoro, lavoro”. Lavoro come coazione, assenza di alternative, esecuzionedi manufatti. La pressione, ad esempio, dei tassi di suicidio, sempre più alti, con-

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frontati con altre zone d’Italia potrebbe essere un indicatore di questo malessere.Pressione che, da lungo tempo, è distribuita tra le province in modo quasi fermo aindicare che, lì e solo lì, potevano e possono accadere certi fatti e certi processi.Escludiamo i cosiddetti “pazzi e anormali” come vengono classificati anche nei cen-simenti più recenti. Nel Nordest la distribuzione geografica durante l’ultimo secoloe mezzo non varia di molto. Nel 1877 sono le province di Venezia, Udine, Verona,Treviso e Vicenza dove si conta la più alta percentuale sul totale complessivo di“pazzi e anormali”. A Belluno ci sono più sordomuti e a Rovigo molti più ciechi. AVenezia le donne senza vista sono più numerose degli uomini, unico caso in tutto ilNordest dove l’handicap colpisce di più le donne. Una specie di indicatore dell’u-guaglianza più marcata del veneziano anche in ordine ai generi sessuali!?Nel 1960 la distribuzione di “anormali e minorati” è simile a quella di cento anniprima: meno nel bellunese e nell’udinese e di più nel veronese, nel trevigiano e nelvicentino. Ritengo, logicamente, stabile questo tipo di classificazione degli uominie delle donne perché la follia, così come viene conteggiata qui, ha caratteristichebiologiche predominanti. Il pazzo che passa attraverso il sistema sanitario e le strut-ture ufficiali ha messo in atto comportamenti che vengono osservati come tali datutti, famigliari, vicini e medici. Il ricovero dello schizofrenico è quasi uguale allapresenza nella società: la malattia è eclatante. Motivo per cui gli schizofrenici rico-verati sono molto vicini al numero di quelli esistenti, mentre non è così per altrepatologie o per chi abusa di alcol o di droghe perché la malattia è discutibile o nonsi vede completamente.E’come se accettassimo una certa percentuale di persone che possono essere perdutenonostante continuino a vivere sprofondate in un cataclisma psichico dal quale, gene-ralmente, riconosciamo l’incapacità, soggettiva e sociale, di poterne risalire la china.Ma se non accettiamo come indicatore di malessere la frequenza di persone ammala-te psichiche abbiamo, comunque, altri indicatori dello stato di salute generale. Storicamente l’alcolizzato e il suicida possono dirci del carattere e dello stato disalute di una popolazione del Nordest. L’alcolismo, ad esempio, non è un retaggiodella società contadina come abbiamo tentato di raccontarci sempre. L’alcolismo èil prodotto di una società, di una cultura. Gino Luzzato, già ci faceva notare ne “Il costo della vita a Venezia nel Trecento”che gli eredi di ser Nicolò Morosini avevano un altissimo consumo di vino. “Moltoelevato risulta il consumo del vino, di cui, in 6 mesi, si acquista, in 3 volte (a novem-bre, febbraio ed aprile), la bellezza di 2800 litri, qualche cosa come 16 litri al gior-no.” Ser Morosini non era tra i più ricchi patrizi veneziani – che di vino ne consu-mavano anche di più – “ma un pò al di sopra della media”.

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Dunque, il vizio, non è proprio una esclusiva abitudine dei “poareti”. Una statisticadettagliata dell’intervento della Commissione Medica del servizio di Psichiatriadell’Ulss 5 del Veneto, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta,del Novecento, a Vicenza, per il controllo delle visite per l’idoneità alla guida diautoveicoli su soggetti che erano stati ripetutamente bocciati in visite precedenti -quindi molto sofisticata - ci dice che soltanto il 6,25% delle persone visitate erano“contadini”.La mia ipotesi, dunque, è questa: l’alcolismo, e come vedremo altri indicatori, è larisultante di deformazioni caratteriali dovute all’ambiente famigliare e sociale. Perquesto motivo misura il grado, vero, di benessere degli individui che compongonoquella famiglia o quella società. Non è mio compito, qui, riferirmi ad aggregati nazionali e a comparazioni com-plesse che richiederebbero uno studio a sé o comunque rimandi e analisi già fatte econ ottimi suggerimenti, ma un cenno dobbiamo farlo2.L’Italia, certamente, non sfugge a un nuovo andamento che vede la produzione divino scendere dai 120.000 ettolitri/anno dei primi anni Ottanta ai poco più di60.000 ettolitri degli anni Novanta, con maggiore coinvolgimento, nella contra-zione produttiva, di quelle regioni tradizionalmente dedite alla coltura della vite.La produzione di vino, in ettolitri (x 1000) scende, nel decennio 1980-1993, da2.056 a 1.147 ettolitri per il Trentino-Alto Adige, da 16.239 a 7.928 per il Venetoe da 2.144 a 1.265 per il Friuli-Venezia Giulia. Alcuni studi sostengono che la diminuzione del consumo di vino va di pari passocon l’aumento del consumo di birra e di superalcolici. Sono state rilevate diffe-renze in relazione al livello di istruzione (maggior proporzione di bevitori tra i lau-reati e tra coloro che svolgono un lavoro non manuale rispetto a coloro che hannouna cultura di livello elementare e svolgono lavori manuali). Il sesso maschile non solo beve più di quello femminile (15,4% di astemi contro39,6%), ma ha anche un consumo maggiormente articolato (47,2% beve vino,birra e superalcolici, mentre solo il 21,5% delle femmine si comporta nello stes-so modo). E' evidente, anche, una relazione diretta tra assunzione di vino e progredire dell'età

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2. Solo per fare qualche esempio: Donovan ha sottolineato l’importanza di un deficit psico-struttura-le e di fattori socio-culturali predisponesti. Lorange e Tullias ritengono che l’impulsività del borderli-ne può esprimersi attraverso l’abuso dell’alcol. Lewis, Cook e Winokus, invece, sostengono che lapersonalità antisociale ricorre all’alcol e alla droga. Valliant e Milofski dimostrarono che l’alcolistasmette di bere senza alcun trattamento quando stabilisce una fonte sicura di autostima.

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ed una relazione inversa per la birra; i superalcolici presentano un andamento ana-logo alla birra, con una maggior proporzione di consumatori tra i giovani3. Secondo molti ricercatori circa la metà (4, 69) dei delitti di aggressività (omicidi,lesioni personali, delitti sessuali) sono imputabili ad abuso alcolico e determinatidalla capacità della sostanza di rendere manifeste pulsioni latenti. Non solo ma oltreil 90% degli omicidi vede coinvolte persone che già si conoscono o hanno relazio-ni di vicinanza o di parentela4.E’ anche possibile che l'alcolista rivolga contro se stesso la violenza; secondo valu-tazioni internazionali la proporzione di suicidi tra gli etilisti è circa doppia di quelladella popolazione generale (4, 87). Tutto questo può essere anche quantificato nella perdita di giornate lavorative acausa di malattie od anche ad infortuni sul lavoro. Si calcola che tra gli alcolisti l'as-senteismo, per frequenza e per durata, sia almeno tre volte superiore alla media (69)e che una considerevole quota (circa 1/3) di maschi invalidi, prepensionati e disoc-cupati sia rappresentata da alcol dipendenti. Nonostante questo quadro sostanzial-mente negativo, una puntuale trattazione dell'argomento da parte dell'OsservatorioPermanente sui Giovani e l'Alcol, conclude affermando che in Italia l'opinione pub-blica generalmente sopravvaluta il problema alcol, sia sotto l'aspetto delle econo-mie, che delle diseconomie. “Il valore delle prime e delle seconde, valutate entram-be secondo parametri diretti e indiretti, sarebbe rispettivamente di 1,3 e 0,7% del Pil,consentendo di concludere che tutto il sistema alcol produce e brucia ricchezza percirca il 2% del Pil.” Che questo sia tanto o poco si può discutere; di fatto centinaiadi persone, ogni anno, nel Nordest si suicidano o tentano di farlo e migliaia sotto-stanno alla debilitazione da dipendenza.Sulla stessa definizione di alcolismo c’è un vasto dibattito, ma per capirci adot-tiamo la definizione proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo

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3. Il criterio della disponibilità viene definito dalla formula D = P + (I - E) - U + (G1 - G2), dove P =produzione nazionale, E = esportazione, (I - E) = saldo import-export, U = usi diversi dal consumoumano (perdite comprese), G1 = scorte presenti all'inizio del periodo considerato, G2 = scorte pre-senti alla fine del periodo considerato, (G1 - G2) = giacenze. La stima del consumo pro capite si ottie-ne dividendo la disponibilità per la popolazione media presente nel periodo considerato. E' ovvio cheil risultato che si ottiene rappresenta una stima globale e piuttosto grossolana del fenomeno, senza pos-sibilità alcuna di avere informazioni disaggregate per sesso, età ed aree geografiche.

4. Una ricerca Eu.r.e.s. del 2003 rivela che gli omicidi sono quasi tutti accaduti in ambito domestico.Sempre sulle vicende famigliari si può consultare in internet: “Famiglie e individui: cosa passa tra legenerazioni? Il caso della famiglia mezzadrile in Toscana” di Giancarlo Francini - Istituto di TerapiaFamigliare di Siena.

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8 - Decessi per abuso di alcol (1867-77)

Morti per abuso di alcol ogni 10.000 abitanti

più di 4

tra 2 e 4

fino a 2

fonte: censimenti

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la quale “si può dire che esiste una farmaco dipendenza di tipo alcolico quando ilconsumo di alcool da parte dell’individuo oltrepassa i limiti normalmente accet-tati dal contesto socio-culturale di appartenenza, quando le modalità di assunzio-ne sono ritenute inadeguate dal suddetto contesto o quando l’assunzione di alcooldiviene talmente elevata da danneggiare la salute dell’individuo o i suoi rapportiinterpersonali” 5. Ci si può danneggiare a tal punto da incorrere nella morte come oggi accade permolti giovani il sabato sera. Si tratta, in sostanza, di un suicidio mascherato che noici accontentiamo di leggere come malessere.Nel decennio 1868-1877 i morti per sostanze alcoliche, in media, ogni 10.000 abi-tanti erano distribuiti così: Venezia 1,7 – Rovigo 1,9 – Vicenza 2,7 - Belluno 2,8 -Verona 3,2 – Udine 3,3 – Treviso 3,97 – Padova 6,3 (figura 8).

Nel 2000, dalla fonte Regione Veneto, troviamo dati sulla percentuale di ubriacatu-re rispetto alla popolazione delle province. La distribuzione è quasi identica:Rovigo, Venezia e Belluno registrano valori tra il 2,6 e il 3,2, Vicenza è a 4,45, poiVerona e Padova intorno a 6 (Padova città 8,5 e Verona città 9,5) e infine Trevisocon una media provinciale di 6,1. Treviso che, ancora una volta, troviamo in unaposizione basculante tra due sistemi all’inizio del Novecento, la ritroviamo peggio-rata all’inizio del 2000.Insomma gli alcolizzati sono rimasti, più o meno, negli stessi luoghi e in una distri-buzione simile per oltre un secolo. Là dove abbiamo avuto una crescita economica vi erano già le condizioni di unacerta presenza del malessere che possiamo, meglio, chiamare inquietudine.La differenza, all’interno delle province, della distribuzione di coloro che si ubria-cano tra capoluogo e paesi ha una costante: le ubriacature sono percentualmentemolto più alte nelle città. Un’altra conferma all’ipotesi di una presenza più marca-ta, nella provincia nordestina, della famiglia stirpe in grado di modulare meglio l’e-ducazione e i comportamenti.Dunque nessuna industrializzazione, nessuna urbanizzazione o cambiamento econo-mico ha inciso sullo stato di salute dei veneti in ordine relativo. Se così è questo con-fermerebbe addirittura che, invece, è proprio una certa ansietà, un certo malessere, un

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5. In funzione dell'evolversi del pensiero sul concetto di "dose sicura"; dalla soglia dei 120 grammipro capite di alcol anidro/die degli anni 60, si è successivamente passati ai 60 grammi/die per i maschie 40 per le femmine od anche ai 40 e 20 grammi, rispettivamente per maschi e femmine. Nel tempoanche l’OMS ha abbandonato anche il concetto di “dose adeguata”.

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temperamento particolare a spingere verso l’attivismo economico e produttivo. Quello che consideriamo – con troppa facilità – benessere economico è molto piùcorrelato con la società più inquieta strutturalmente che non con una società piùtranquilla. Treviso, Vicenza, Padova e Verona, con Pordenone e Udine sono, infatti il fulcrodella recente caratterizzazione pubblicistica del Nordest: luogo di “lavoro, lavoro,lavoro” e di schei. Perfino la distribuzione delle popolazioni afflitte da pellagra ci confermano in un’i-potesi che, mi rendo conto, può essere sconcertante. Ma che, comunque, invito astudiare con più attenzione e con meno sentimentalismo.Se guardiamo i pellagrosi, che hanno un’origine più aderente alla situazione econo-mica generale, vediamo che la malattia è congiunturale mentre i comportamentidevianti sono strutturali. La malattia non è indicativa del malessere generale di tuttauna società al contrario di alcolismo e suicidio.Nel 1899 i pellagrosi padovani sono i più numerosi di tutto il Nordest: sul totalecomplessivo il padovano ne ha il 57%. Poi i poveretti che mangiavano solo polen-ta si distribuiscono tra Venezia (11,1%), Treviso (8,9), Vicenza (8,5) fino a Udine(4,9) e Belluno (4%), Verona (2,6) e Rovigo (2,6). Dieci anni dopo mentre miglio-ra la situazione generale – i pellagrosi passano da 39.892 a 20.303 – la situazione,di Padova (43,9%), Treviso, Udine, Venezia, Rovigo resta, in bene o in male, sostan-zialmente stabile. Vicenza e Verona peggiorano molto. Belluno passa da 1.600 pel-lagrosi a soli 500.Nel 2000 il tasso di incidenza dell’Aids somiglia più a quello della pellagra che deisuicidi. Alta incidenza a Pordenone, alta a Vicenza, Padova, e Rovigo, seguonoTrieste, Venezia, Bolzano, Trento, Gorizia, Belluno e Treviso. Alcol e suicidi sono anche correlati perché corrispondono in parte alla stessa perso-na, hanno entrambi il portato di una lunga turbolenza nella vita dei singoli e delleloro famiglie. Eventi traumatici, crisi che si alternano a fasi più serene, ricadute, rot-ture dei rapporti. Appare chiaro, quindi, che la storia di questi comportamenti è unastoria lunga, che attraversa le generazioni. I decolli culturali, i cambiamenti che siaccavallano, l’alfabetizzazione, l’industrializzazione sono tutti fenomeni che intera-giscono con l’equilibrio psicofisico. Equilibrio che viene messo in crisi soprattutto nelle classi più borghesi. Mentre contadini e operai sopportano l’insicurezza del lavoro e la classe di renditasopporta l’insicurezza data dalla paura della perdita del lignaggio e dello status, laclasse media borghese deve sopportare entrambe le incertezze: quella della menta-lità che cambia e quindi la possibile perdita di status e quella economica legata

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all’insicurezza del lavoro. In Italia, nel 1874, si danno la morte 213 “padroni” e “solo” 29 braccianti.Le province irrequiete, dunque, lo sono sempre state nel bene e nel male. La fami-glia stirpe del Nordest ha accelerato processi di degrado là dove questi hanno attec-chito e ha accelerato processi di emancipazione quando si sono innestati. Il molti-plicatore, quindi, più che economico è antropologico e funziona indipendentemen-te da ciò che si vuole moltiplicare. Questo passaggio, vedremo, è dovuto alla men-talità e al ritmo con il quale, soprattutto l’alfabetizzazione, ha prodotto i progressidella cultura e della secolarizzazione: ovvero processi generalizzati di emancipa-zione individuale e quindi di maggiore collaborazione e giustizia collettiva.Il boom economico tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta si annuncia anche conla distribuzione dei suicidi. Nel 1961 tra suicidi e tentati suicidi solo Rovigo eGorizia contano tra i 10 e 20 casi ogni 100.000 abitanti. Tutto il blocco veneto, com-preso Trento ed escluso Venezia, registra una incidenza tra 20-30 casi mentre la stes-sa Venezia, Trieste, Udine-Pordenone, Belluno e Bolzano superano i 30 casi perogni provincia. Lo scivolamento di Venezia appare lampante e la popolazione èmolto aumentata: è la provincia che ha subito la più forte industrializzazione duran-te il fascismo. In meno di venti anni, fascismo o non fascismo, la città passa a indu-strie più moderne e diventa il polo della chimica. Talamini, l’editore-direttore delGazzettino aveva ospitato i primi fascisti proprio nel palazzo dove si confezionavail giornale. Giuseppe Volpi inventa la Mostra del Cinema, ma prima progetta e mette in piediPorto Marghera, vuole il ponte sulla Laguna, trasforma in spiagge Jesolo eSottomarina. Volpi con la Sade garantisce l’energia ai cantieri navali, alle acciaieriemesse in piedi con i capitali di grandi industrie come l’Ilva di Terni, le Acciaierie diPiombino, l’Ansaldo, poi diventerà anche conte. A Venezia arrivano i Piaggio, Ferrari, Marinotti, Cini, Breda, Gaggia, laMontecatini. Nel ’29 si contavano già quaranta aziende con oltre 10.000 occupati.La manodopera viene spostata tutta dalla terraferma. Nel centro storico di Veneziai disoccupati, in quattro anni, dal ’28 al ’31, passano da 4.000 a 13.000. Non ci sonoalternative, questo lavoro creerà il disagio dei decenni successivi. Lo spostamento di masse, l’abbiamo visto, crea sconquassi.Nel 1939 solo Volpi controlla attraverso la Società Adriatica di Elettricità una quin-dicina di altre società in tutto il Nordest: navi, ferrovie, alberghi, imprese all’estero.Alla morte di Talamini si prenderà anche il Gazzettino. La Venezia che era stata tranquilla fino all’arrivo del fascismo viene stressata neglianni Trenta. Il conte Cini, negli anni Sessanta, dirà ad Alberto Cavallari del Corriere

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9 - Suicidi (1998)

Suicidi ogni 100.000 abitanti

più di 11

tra i 7 e gli 11

fino a 7

fonte: Istat

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della Sera: “Produrre uomini è il problema più difficile che abbiano oggi a Veneziae il Veneto veneziano”. E poi il giornalista aggiunge di suo: “La formazione deglioperai avviene a Marghera dove, come in un crogiolo, si sta sciogliendo una regio-ne contadina. La formazione degli altri è meno facile. Venezia è un’isola dove la cre-scita d’una borghesia industriale è stata lenta. Mestre è una città d’immigrati, di tec-nici liguri, torinesi, milanesi, che non mettono radici o sono appena radicati. Dietrol’iperbole di Marghera, c’è stata una classe dirigente che ha vissuto anni di trapas-so. E Mestre è forse un altro segno di questa crisi d’uomini. Se Marghera è vedovadi capitalismo veneto, Mestre è stata orfana di amministratori.”Dal secondo dopoguerra gli indicatori della provincia lagunare hanno tutti dei movi-menti di riaggiustamento: il tasso di suicidi tendenzialmente più alto è uno di que-sti, ma a fine secolo, Venezia (che resta luogo di elezione per i suicidi romantici,anche per i non residenti, come rivela uno studio della psicologa veneziana DianaStainer) torna ad essere nuovamente tra le province meno suicidarie (figura 9).

Nel 2000 il passaggio è fatto: soltanto Rovigo resta stabile e più tranquilla, oggi sidice più povera! Le altre province venete, compreso Venezia, abbassano i livelli disuicidio così come Trento e Udine. Più autosacrificati sono diventati i bolzanini, ibellunesi, i pordenonesi, i goriziani e i triestini. Non è difficile, a questo punto, pen-sare che proprio in queste province, nei prossimi anni, vi saranno più prospettiveanche dal punto di vista economico: saranno meno tranquille. Pordenone, tra l’altro,ha già messo in atto uno spauracchio come Unabomber e il bellunese è stato indi-cato dal ministro dell’Interno Pisanu, nella relazione sulla criminalità 2003, comeprovincia di attrazione della malavita organizzata. L’inqiuetudine di oggi ci segnala una certa ansia che avrà, sicuramente, effetti sulleistituzioni e sull’economia di domani. Se un primo Nordest ha corrisposto esatta-mente alla distribuzione più pura della famiglia stirpe affermandosi soprattutto nelleprovince di Vicenza, Trento, Bolzano (ancora non italiane), Verona, Belluno eUdine. Un secondo Nordest si è affermato con i cambiamenti a Venezia, Treviso, ein qualche modo Padova. Ora, dopo un movimento di terziarizzazione e autonomiadi Trento e Bolzano e di terziarizzazione e autonomia anche delle province delFriuli-Venezia Giulia, è avviato un cambiamento importante nel veneziano, nelrodigino, nel veronese e nel padovano che sono il fulcro della famiglia “più com-plessa” del Nordest e più sensibile ai cambiamenti.

Infine se confrontiamo i dati sugli incidenti mortali segnalati come “morti per vio-lenze animali, schiacciamento sotto veicoli e locomotive, lesioni prodotte da mac-

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chine industriali” nel decennio 1868-1877 non abbiamo sorprese nello scoprire cheBelluno e Venezia sono le province meno colpite mentre Vicenza e Rovigo se lapassano male. Un secolo dopo, e nonostante l’industrializzazione, è tutto rimastoall’incirca uguale, anzi Rovigo e Vicenza hanno migliorato la loro posizione relati-va mentre soltanto Belluno l’ha peggiorata. L’industrializzazione, quindi, non haprovocato più morti, in senso relativo, anzi come scrive Cesare Cislaghi “si nota chela pericolosità è inversamente proporzionale al livello di sviluppo industriale, man-cando in alcune zone i pur insufficienti mezzi antinfortunistici.” Non solo ma dalla metà degli anni Cinquanta al 1969 è nei comparti che stannoinvecchiando che aumentano gli infortuni; il tessile, il metalmeccanico e in parte l’e-dilizia, crollano vistosamente nell’alimentare, nei trasporti, nell’elettricità-gas-acqua e barcollano nella chimica. Il lavoro quindi è un luogo protetto: chi devia ècontrollato… come in famiglia. Un imprenditore vicentino riesce, addirittura, a pro-grammare un cambio delle procedure di lavorazione il solo giorno del lunedì perevitare che gli operai “ubriaconi e drogati” possano farsi male dopo un week-end dibisboccia. In molte fabbriche si è dovuto lottare, all’inizio del 2000, anche per le“pause-pipì”.Più indicativi, invece, i dati sugli incidenti stradali che riguardano tutta la popo-lazione, in generale, e quindi la capacità di risposta psico-fisica all’imprevisto.Nel 1961 le province con meno incidenti stradali sono Padova, Rovigo, Udine,Treviso, Verona e Vicenza. Le stesse province, quarant’anni dopo, mostrano lastessa distribuzione geografica - invertita - dell’incidente automobilistico. Le pro-vince che hanno avuto più dinamismo sono quelle che hanno dovuto pagare dipiù. L’industrializzazione, dunque, è soprattutto un costo sociale più che un costoendogeno.

La pratica religiosa e la pratica sessuale

Così come la sessualità, che diventa terreno di controllo sociale ma anche di libera-zione, la decisione dell’età al matrimonio delle femmine, l’uso dei contraccettivi,l’interruzione della gravidanza volontaria, diventano difficilmente controllabili, per-sonali, fenomeni di grandi aggregati. La rivoluzione demografica coincide conl’affondamento della pratica religiosa, ma soprattutto con la crisi delle vocazioni. Dalla dichiarazione dell’infallibilità del Papa, che è il tentativo massimo di portareDio sulla terra e avvicinare sempre più l’organizzazione della Chiesa ai valori dellafamiglia stirpe (abbandonando altri tipi famigliari più superstiziosi e anomici), alla

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crisi irreversibile delle vocazioni, attraversando anche la piena industrializzazione,il prete perde i suoi fedeli. La pratica religiosa in un secolo passa dall’80% a pocopiù del 20%. Ora è possibile controllare le nascite e, probabilmente come è stato per la stampa, èvenuto il momento giusto di inventare la pillola e commercializzare il profilattico.La tecnologia è frutto del sapere. Come spiega Cesare Musatti nel suo trattato di psicanalisi “vi è in certo modo anti-tesi fra socialità e sessualità. L’amore basta a se stesso; e nell’amore non si fa per-ciò sentire il bisogno di socialità. La tendenza, nell’amore, a sottrarsi ai legami dellacollettività, si manifesta con il pudore dei propri sentimenti amorosi. Le pubbliche manifestazioni amorose (culminanti nelle orge erotiche collettive)rivelano una scissione degli impulsi propriamente sessuali dalle componenti di tene-rezza, e possono facilmente essere la espressione di tendenze omosessuali. L’amore quindi limita i sentimenti sociali ed è fattore disgregativo delle collettivitàsociali: il celibato del clero cattolico risponde precisamente alla esigenza di mante-nere la massima coesione nella gerarchia ecclesiastica e nella Chiesa stessa. Per amore gli uomini sono facilmente portati a svincolarsi, o come si suol dire, a rin-negare la religione, la razza, la nazione, la classe ecc. a cui appartengono, e perciòl’amore è una forza anticonservatrice, da cui le religioni, le razze, le nazioni, le clas-si, hanno costantemente cercato di difendersi.” “Anche il nevrotico – scrive sempre il veneziano Musatti – come l’innamorato, èantisociale: la sua libido è fissata su determinati oggetti inconsci, ed è, come ener-gia impiegata nella costruzione dei sintomi, i quali costituiscono una forma, o unasua forma, di attività sessuale. Perciò il nevrotico non dispone, o dispone scarsamente, di libido da investire neisentimenti sociali. Inoltre il nevrotico si sente un isolato nella società che non lo puòcomprendere; sente che un abisso lo divide dagli altri, e non vi è quindi per lui lapossibilità di una identificazione con la folla. Ma per la stessa relazione economica che sussiste fra i diversi investimenti o impie-ghi della libido, le formazioni collettive possono talora rappresentare a loro voltauna difesa dalla nevrosi; e la tendenza alla costituzione di formazioni collettive aforte coesione, si accompagna con una attenuazione ed una provvisoria scomparsadelle nevrosi.”La liberazione sessuale aiuta e sostiene, dunque, l’emancipazione e la rimozionedella nevrosi.Il mondo, comunque sia, progredisce: un re del Settecento viveva, certamente, peg-gio di un operaio di oggi. Non aveva l’acqua potabile dai rubinetti, i termosifoni e i

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condizionatori, rischiava di morire di peste ogni tre-quattro anni, o per le conse-guenze di una banale infezione6. Non aveva la radio, la televisione in salotto, tuttele riviste specializzate possibili e neppure un’automobile. Viveva in uno stato tota-litario ed egli stesso, il re, era l’impersonificazione del terrore. Nel Seicento le casereali europee vedevano morire, prima che compissero un anno, il 25% dei loro figli.Nel XVII secolo la probabilità che un figlio morisse prima del padre era del 50%ma se il figlio sopravviveva nella maggior parte dei casi perdeva il padre prima didiventare maggiorenne7.Tra i 1966 e il 1970 gli operai specializzati hanno perso il 2% dei loro figli e i mano-vali il 3%. L’unico vantaggio che aveva il re di ieri rispetto all’imprenditore-operaiodel Nordest di oggi è, appunto, che l’imprenditore-operaio lavora, lavora, lavoramentre il re oziava.Ma il principio di piacere e il principio del lavoro sono, poi, così antitetici?

Il lavoro è fonte di equilibrio

Il boom: cresce la produttività, ma cresce anche il lavoro e allora siamo indotti aconsiderare il lavoro come divertimento, elemento essenziale dell’equilibrio menta-le. La sparizione di coloro che vivono di rendita, degli inoccupati, anche per troppaincidenza di suicidi (!), psicologicamente instabili, e una delle ragioni di un più sanoequilibrio sociale. Il nordestino lavora. Ogni progresso della coscienza, ogni salto dialfabetizzazione, ha portato ad un aumento del lavoro e della produttività. L’ansiaaumenta e l’anestetico anche. La disciplina famigliare, però, permette non solo una forte educazione ma anchedeformazioni caratteriali replicate e un’intensità del lavoro più forte.

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6. L’ambasciatore veneziano Marino Cavalli scrive in una sua relazione a proposito di Carlo V:“L’imperatore si trova d’età di anni cinquantuno, mal disposto del corpo, per le gotte che tutto l’in-verno, e qualche volta d’altro tempo, lo travagliano orribilmente; e li medici dicono che avendocominciato ad ascendergli fino alla testa, sono pericolosissime di farlo morire quasi in un subito.”

7. Come spiega Sergio Ricossa “nella corporazioni medievali, essendo vivo nei maestri il desiderio ditrasmettere il proprio mestiere ai figli, ma essendo assai dubbio l’avere il tempo per riuscirci, data lanaturale fragilità della famiglia, si cercava di formare nuclei più consistenti aggregando alla famigliastessa e riunendo sotto il medesimo tetto apprendisti, lavoranti in casa, servitori, tutti trattati alla stre-gua di figli adottivi. Forse numerosa, la famiglia non era tuttavia patriarcale.” Dunque anche la fami-glia patriarcale non è sempre esistita!

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Anche il figlio orfano può contare su questo supporto perché la famiglia, anche conla morte diffusa, si scompone e si ricompone continuamente. In piena industrializzazione l’operaio e l’imprenditore diventano le figure di riferi-mento, ma nel Nordest si rifanno agli stessi valori tanto che, nel nucleo industria-lizzato, diventano la stessa cosa: l’imprenditore-operaio, entrambi borghesi, seintendiamo come borghese “colui che essenzialmente intende farsi da sé” 8.Si tratta di un tipo individualista che, comunque, afferisce ad un gruppo almenofamigliare, ed è volonteroso, tenace, competitivo. Socialmente organizzato e indi-vidualmente anche eccentrico, avventuriero o che non ha altre alternative che spin-gersi verso il futuro.Renzo Rosso, uno dei pochi nuovi imprenditori del Nordest, a Gian Antonio Stelladice: “Lo spiego a tutti quelli che assumo: guarda, qui tutte le porte sono aperte. Puoiaspirare a fare quello che vuoi. Occhio però: se dimostrerai di non essere professio-nale ti passeranno tutti sopra. Non sarò io a eliminarti, ma i tuoi stessi compagni dilavoro.” E il sindacato? “Non esiste9. Può venire quando vuole ma non c’è. E’usci-ta una legge che obbliga ogni azienda di un certo livello ad avere un delegato sin-dacale, ho fatto attaccare la circolare in bacheca ma non si è presentato nessuno.”Perché hanno paura del padrone? Chiede Stella. “Ma no, si figuri! A fine anno ven-gono da me i capi e dicono: questo xè sta’ bravo, questo così così, questo bravissi-mo. E ogni anno rivediamo lo stipendio di ogni singola persona. A uno do cento-

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8. Michel Lobrot, pedagogo, sostiene che “il carattere passionale dell’autorità si manifesta in quelliche la esercitano come in quelli che la subiscono. Nei primi essa genera sentimenti ambigui di ver-gogna e d’orgoglio: si cerca di mascherare il potere posseduto benché questo rappresenti l’essenzialedelle proprie prerogative. Nei secondi, essa genera un miscuglio di sottomissione e odio. Si adora ilpotere che ci domina e ci protegge odiandolo nello stesso tempo perché ci schiaccia. Il modo in cuicerti lo combattono – ad esempio gli estremisti di sinistra – prova che alla prima occasione sono pron-ti a metterlo dalla loro parte.” Questo argomento vale anche per una certa critica a Reich.E’ Karl Kautsky, padre della socialdemocrazia, che in polemica con Lenin e Rosa Luxemburg sostie-ne, dopo le sconfitte dei socialisti in Germania, che dal punto di vista economico, tanto il socialismoquanto il capitalismo si presentavano come due possibilità egualmente aperte alle scelte del corposociale. Non c’era spazio per rivoluzioni ma per un confronto tra socialismo maturo e capitalismo conpotenzialità di sviluppo. Per assicurare la vittoria del socialismo era indispensabile la maturità sog-gettiva del proletariato, maturità raggiungibile solo e unicamente nella democrazia politica. Dunquesocialdemocrazia e capitalismo originano, nel mondo della famiglia stipre, dallo stesso impianto.

9. La risposta è di metà degli anni Novanta. Il Sindacato c’è eccome alla Diesel - anzi c’è soltanto laCgil - e la visita aziendale dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, leader deiDemocratici di Sinistra, conferma l’intenzione dell’azienda di dare segnali di apertura.

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mila lire d’aumento, a un altro niente, a un altro magari mezzo milione, perché no?In più a Natale do un premio all’impegno. Che può prendere non solo chi producemeglio ma anche quello simpatico che contribuisce a creare un buon ambiente. E inpiù diamo l’Oscar al dirigente dell’anno… è una competizione bellissima!”.E Gianfranco Zoppas, che non è giovane come Renzo Rosso e non si è fatto da solo,parla in italiano corretto anche perché ha avuto tra i maestri di vita lo zio LuigiBuzzati, parente dello scrittore bellunese autore del Deserto dei Tartari, e che pub-blica un libro dal titolo “Ex cura competitionis industriae salus”, si ritrova a dire lestesse cose: “Noi (imprenditori) soprattutto a Nord Est, siamo gente che porta anco-ra avanti la cultura contadina, e che se non lavora 12-14 ore al giorno, specie d’e-state, si sente in colpa. Fatte le sue 35 ore settimanali, come occuperà il lavoratoreveneto le altre 200? Andando a Jesolo? No di certo; si butterà sul secondo, terzo,quarto lavoro. E allora voglio vedere il fisco…”Ci devono pensare i frati di Sant’Antonio, quelli del Messaggero di Padova, a smor-zare un pò gli entusiasmi. Così nel libro di Valentino Salvoldi dal titolo “Lavoro eSolidarietà”, a pagina 18, si può leggere testualmente: “Tutti vanno gridando che ilmarxismo è morto, dopo aver gravemente danneggiato l’umanità a causa del suoerrore antropologico: l’aver rubato all’uomo quella fede che poteva dare alla perso-na la sua vera dimensione di grandezza. Però – e anche i mass media cattolici stan-no rendendosene conto – l’errore antropologico del capitalismo non è meno grave:conduce ad un ateismo pratico, non è meno materialista del comunismo, sollecital’ingordigia, l’avarizia, la cupidigia, propaga la cultura del consumismo senza limi-ti, non fa pensare ai bisogni del Terzo Mondo, produce armi di ogni genere, chevende ai paesi poveri, dove poi invia i nostri operai a costruire ospedali (favorisceconflitti e tensioni: così guadagna nell’industria della morte producendo bombe enell’industria della salute). Il Nord manda nei paesi disastrati i suoi medici e medi-cinali (spesso quelli che scartiamo), mentre nei paesi ricchi stimola la gente a man-giare fino a stare male, per poi sottometterla a diete costosissime per dimagrire corpideformati dal benessere!”. E’una vecchia faccenda che ritorna: il sacerdote vicentino Ermenegildo Reato, scri-ve a proposito dell’enciclica di Leone XIII sulla questione operaia di inizioNovecento: “L’enciclica, partendo dall’analisi della condizione operaia, frutto dellibero ed egoistico gioco delle forze capitalistiche, denunciava la soluzione marxi-sta del problema sociale in quanto spersonalizzante l’individuo negli ingranaggidello Stato; riconfermava il diritto di proprietà privata sia dei beni di consumo chedi quelli di produzione, sottolineandone però la funzione sociale, che può e deveessere garantita da opportuni interventi da parte dello Stato, responsabile del benes-

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sere di tutto il corpo sociale e non custode impassibile delle fortune delle classi pri-vilegiate. L’enciclica suggeriva, come strumento di soluzione dei problemi sociali,l’associazionismo tra padroni e operai dove ciò fosse possibile, tra soli operai dovenon fosse possibile diversamente. Naturalmente i commenti furono vari e non sem-pre concordi: alcuni lo interpretarono in senso restrittivo accentuando la difesa dellaproprietà privata, altri notarono il significato originale del documento: la riafferma-zione della funzione sociale della proprietà privata, il diritto all’associazione ope-raia, la difesa dei diritti civili e politici dei lavoratori. A Vicenza l’annuncio dell’en-ciclica fu dato con notevole risalto dal nuovo vescovo Antonio De Pol, uomo atten-to e sensibile ai problemi del mondo operaio, con una lettera pastorale rivolta a tuttala diocesi, e lo stesso vescovo poi mandò un indirizzo di piena adesione al Papa, sot-toscritto dai presidenti di tutte le Società cattoliche operaie e agricole vicentine”.Associazioni di operai e imprenditori, insieme, non se ne sono viste, ma la costru-zione, in un unico soggetto, di caratteri imprenditoriale e caratteri operai, nelNordest è stato realizzato. Scrive il professor Ulderico Bernardi: “Dominanti e subalterni stanno comunqueall’interno di uno stesso cerchio di cultura e non si contrappongono solo e schema-ticamente entro un rapporto di potere. Il che significa, per esempio, che quando siparla di cultura popolare veneta non si dà vita a una astrazione sfumata ideologica-mente, ma piuttosto a un complesso univoco di relazioni variamente collocabili sulpiano della dinamica storica. tuttavia, proprio nel Veneto gli scambi tra culturadominante e cultura subalterna sono stati continui pure se di diversa frequenza nelledue direzioni. Comportamenti e conoscenze sono passati dall’una all’altra culturapiù facilmente che altrove anche per la tipologia particolare delle residenze.” Se per residenze si intendono il tipo di famiglia...

L’imprenditore-operaio/contadino

”Il borghese – scrive Ricossa – non accetta le caste, ma neanche l’egualitari-smo”. Dunque così come l’imprenditore nordestino è borghese per la sua ade-sione alla tradizione di famiglia e per la sua intraprendenza nel fare, anche l’o-peraio è borghese per l’incapacità di aderire all’egualitarismo grazie al suoancoraggio al saper fare che distingue uno dall’altro. Il borghese lotta, lotta con-tinuamente e con decisione, ma non lotta mai per la “classe”. La lotta del borghese è per sé e la propria famiglia: la gerarchia è riconosciutama in funzione delle persone e dei gruppi di appartenenza mai in funzione di

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uno Stato, di un ente, di un ideale astratto. L’introietto del contenimento delle esplosioni isteriche, dell’autocontrollo, dellaquiete, della diffidenza della massa è un esercizio di lungo termine al quale il catto-licesimo fa sempre riferimento. Le distanza della gerarchia ecclesiastica, la lentez-za e ripetitività dei riti, il vincolo tra fedele e sacerdote sono alimentati nelle prati-che quotidiane. Il cattolico non può riferirsi direttamente alla Bibbia, e quindi a Dio,e non può riferirsi neppure al suo vicino. Il tramite è sempre il prete che è l’unicoche può sapere, spiegare, organizzare, progettare e interpretare. La Chiesa difendela parola di Dio dagli stessi fedeli e difende i fedeli anche da se stessi attraverso laconfessione e l’assoluzione. Mai nessuno viene condannato all’inferno seduta stante. Dunque tutto è possibileall’individuo, ma tutto è organizzato nel proprio sistema di valori e di rappresenta-zione della realtà. Il borghese ha le mani libere, appunto, per lavorare come e quan-do gli pare. Al massimo chiederà perdono. Scrive Elias Canetti: “In ogni più profondo problema morale, egli è solo dinanzi alcorpo sacerdotale; ed è completamente in suo potere in cambio della vita passabil-mente serena che quello gli rende possibile… Chi abbia osservato la fila di coloroche si avviano alla comunione non avrà potuto far a meno di notare quanto ciascunsingolo si occupi unicamente di sé. La persona che precede e quella che segue loriguardano ancor meno del prossimo con cui ha a che fare nella vita quotidiana econ cui ha vincoli già assai lenti.” Il movimento di massa, caso mai, verrà dal giorno del Giudizio quando tutti saran-no parificati dinanzi al Dio vero. Il giorno del Giudizio, infatti, è l’unico vero riferi-mento temporale per il cattolico.Per ora ognuno per sé e tutti borghesi. Il successo, la colpa, il fallimento sono tuttequestioni personali e sono messe in conto per sé, ma soprattutto per gli altri. Chi èin difficoltà è perché ha commesso qualche errore. In questa logica non è la societàche produce lo stato di fatto, ma l’intraprendenza o l’insufficienza personale.Il figlio eletto dimentica presto di aver avuto fortuna perché, egli stesso, non è altroche il risultato dell’intraprendenza e del successo degli avi. Una certa inettitudine èanche smemorata. Il lavoro nero è comunque e sempre lavoro e se questo accentua le disuguaglianzae lede la libera concorrenza non è un problema. Ognuno, appunto, è libero di fareconcorrenza come gli pare.Il valore di base non è la libera concorrenza ma l’ineguaglianza. Gli affari sono affari anche contro se stessi, perché lo Stato è anche se stessi. Ma loStato agisce con ritmi che l’imprenditore-operaio non concepisce: per lui il diritto è

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il contratto privato, dare-avere, la redistribuzione è quella all’interno della famigliae del gruppo d’interesse, il servizio pubblico potrebbe anche non esistere perché eglisi arrangia e tutti dovrebbero arrangiarsi come lui. La cultura, in tutto questo, non è necessaria, anzi fino ad un certo livello innescal’industrializzazione, ma poi non serve più. E’ tutto da dimostrare che il secondo livello di istruzione sia necessario e su questomolti esperti, oggi, stanno sudando sette camicie. Ma c’è il trucco: per saper farebisogna, almeno, saper leggere, scrivere e far di conto. Ma poi il livello troppo altodi istruzione può rallentare il fare; significa rischiare di perdere l’assolutezza della“piccola filosofia” e del manufatto ben fatto. La conoscenza estesa relativizza il proprio contributo alle cose del mondo e dunquesminuisce.L’imprenditore-operaio non crede e non studia le scienze sociali: materie che sioccupano di concetti indistinti, di masse, di generi. Egli, invece, è più portato per latecnica e per ciò che, attraverso Dio, può essere utile e immediato per la creazionedella felicità eterna, sì, ma anche terrena. Il corso di studio professionale e scientifico è preferibile a quello umanistico. La cul-tura umanista è tradizionale, si rifà al passato, alla storia. La tecnica, per definizio-ne è nuova. Se la tradizione è nella famiglia e nella storia della famiglia allora non può che anda-re verso la tecnica l’ingegno dell’imprenditore-operaio. La manipolazione delmondo preferibile alla manipolazione degli uomini: ognuno deve restare libero nellaposizione affidatagli. Se avrà successo non sarà che la dimostrazione della sua libertà idealizzata, se avràinsuccessi non sarà che la dimostrazione della sua libertà idealizzata. Dunque se il Nordest contadino trova nel prete il suo carattere organizzatore, media-tore e propulsore10 il figlio cadetto per antonomasia, del XX secolo, viene nuova-mente sostituito dal figlio eletto che, grazie alle risorse famigliari, riporta il caratte-re imprenditoriale in primo piano. Il passaggio avverrà nella fase della scristianiz-zazione di fine Novecento e sarà modulata dal passaggio di una figura nuova dibreve durata; il politico-manager.Nessuno è mai bottegaio, affarista, truffaldino, ma l’uno e l’altro aderiscono all’au-torità e l’ineguaglianza con convinzione. Il rispetto delle regole prodotte dalla fami-glia stirpe viene costantemente mantenuto. Non si spreca niente.

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10. La storia del Nordest di Edoardo Pittalis, ed. EBI -2003 - è uno schizzo interessante di questa miainterpretazione. Nel primo volume, mediamente, ogni 4-5 pagine viene citato un prete.

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Il risparmio va nelle offerte e distribuito ai più poveri. Poi il risparmio sarà lettosoprattutto come investimento. Il denaro è un mezzo e pertanto utile e amorale (nel senso che non ha morale): nonha carattere se non quello di chi lo possiede. Quindi il denaro può essere segno di usura e venire condannato, ma può esseresegno di ricompensa ed essere approvato. Abbiamo tanto denaro oggi per aver avutotanta sofferenza ieri11.Il denaro, quindi, è monetizzazione dell’essere e va difeso, confermato, tenuto. Dalmonoteismo al monetarismo il passo è breve: la potenza di Dio ormai svalutata sitrasforma nella potenza della moneta. Il denaro serve a niente, ma può tutto, ancheunire un’intera Europa. Gli industriali-operai nordestini passano, così, con disinvol-tura dall’odio contro Roma all’amore sviscerato per Bruxelles12.Le banche del Nordest si aggregano ma non scompaiono: l’Ambroveneto diventaBanca Intesa, la Banca Popolare di Vicenza apre sportelli anche al Sud, la Cassa diRisparmio di Padova e Rovigo entra in San Paolo, la Banca Popolare di Verona sicoalizza con quella di Novara e l’Antonveneta diventa anche olandese. La fissazione sul denaro segue la fissazione su Dio. Anche se si fa finta che non simorirà mai, in realtà questo lo si sa; inconsciamente, ma lo si sa. E dunque in perio-do di scristianizzazione, di decomposizione delle ideologie, di inutilità della pre-ghiera, il dollaro forte, l’euro che promette mercati e capitali possono diventareancore di salvezza terrena. Dopo la morte qualcosa resterà. La moneta assume un carattere totipotente, come un dio, può creare ogni cosa conla stessa sostanza13. Monetizzare è creare, rendere possibile, fare. Siam sempre lì.Il furto è perseguito con leggi diviene e umane, in ogni modo, in ogni luogo. Il furto

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11. Il denaro è anche “espressione della fatica quotidiana” come lo definisce monsignor Giuseppe DalFerro a proposito delle offerte che si lasciano nei pellegrinaggi ai santuari. In un mondo dove la sof-ferenza e la morte sono onnipresenti anche il denaro – più scarso – è espressione di sforzo fatto.

12. Si vedano, su questo, i sondaggi negli anni Novanta del sociologo Ilvo Diamanti.

13. Un aforisma di Lopez dice: “Una volta venne da me un paziente, a cui i genitori avevano regala-to una Porsche per conquistare le donne.” Malgrado la fuoriserie, però, non succedeva niente e leragazze non davano nulla in cambio. “Gli dissi che se voleva iniziare l’analisi con me sarebbe statomeglio restituire la Porche ai genitori. Il paziente domandò: E come farò a conquistare le ragazze? Glirisposi: se le conquista la Porche non le conquista certamente Lei! Com’è vero che l’entità della com-pensazione indica esattamente il grado di inferiorità, l’angoscia di impotenza, e la sfiducia nel poteressere mai amati!”

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è un’offesa all’autorità che dispone e soprattutto indispone perché mette in discus-sione il valore di ineguaglianza. Chi ha lo ha meritato e quindi non può essere offe-so da chi non ha meriti perché non ha. Lo Stato non esiste perché non esistono leorganizzazioni astratte. Esistono i singoli individui, le loro concrete necessità e biso-gni. Il politico è il tramite dello Stato; deve essere riconosciuto, individuato, atten-dibile. Deve appartenere alla comunità di riferimento; deve intercedere con l’enteastratto. Il politico è un manager e può organizzare anche una certa distribuzione didenaro: alla fine della parabola arriverà Tangentopoli. L’imprenditore-operaio delNordest non può concepire uno Stato impersonale.

L’imprenditore-operaio rivoluzionario

Il borghese non è uno tranquillo, lo ha detto lo stesso Marx: “La borghesia ha avuto dasvolgere nella storia un compito sommamente rivoluzionario”. E’lui che rischia ed è luiche può trovarsi costretto ad andare contro la legge, contro l’estraneo, contro natura…contro. La sua sicurezza economica e di status è sempre in discussione. Se è un salaria-to in agricoltura o nell’impresa rischia il posto, se è un indipendente rischia i soldi. E’ sempre sotto stress e deve alleviarlo col lavoro o con il consumo - se non consuma,investe - se non investe non guadagna! Il mondo è da cambiare ma per migliorarlo pur-chè tutto rimanga in ordine. Il proletariato voleva cambiare il mondo inglobando tutte lealtre classi. L’anelito di base è l’assimilazione, l’omogeneizzazione. Il borghese vuole cambiare il mondo purchè ognuno resti quello che è. Se le cose nonvanno come dovrebbero è sempre colpa dell’altro. Satana uccide i pellagrosi e lacattiva politica blocca l’intraprendenza del Nordest. Il passaggio dal carattere domi-nato dal prete a quello dall’imprenditore-operaio14 ha visto predominare, per unbreve periodo, il politico-manager. Antonio Bisaglia, il rodigino che negli anniSettanta scalza Mariano Rumor dalla guida reale della Democrazia cristiana vene-ta, viene descritto così da Giampaolo Pansa: “Che cosa ricava Bisaglia da questocontatti?15

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14. Negli anni Sessanta i giornalisti del Corriere della Sera definiscono i nordestini “tenenti d’indu-stria”. Dunque il passaggio da “tenenti d’industria” a “capitani” avviene negli anni Novanta!

15. Si fanno i nomi di aziende come Samca e Fabrizio Coisson su Paese sera scrive: “In Polesine leindustrie nascono con gli organigrammi di dirigenza fatti a cliché in cui il bisagliano non manca maicome uomo di cardine”. C’è Luigi Bortolussi, Antonio Cittante della Coldiretti, i fratelli Grassetto,Giulio Grosoli e i suoi quattro figli tutti importatori di carni, Bruno Saccomanni e Mario ValeriManera presidente degli industriali veneti.

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Lui come si vedrà risponde: soltanto amicizia e qualche aiuto disinteressato. Niente affari nascosti. Niente società fantasma. Niente prestanomi. Le voci inVeneto sono tante e sono tantissime soprattutto a Rovigo: ma, si sa, sotto le dittatu-re si mormora sempre. Quel che non va dimenticato è che ogni partito (la Dc più ditutti, ma non soltanto Dc) è un corpo con due anime. C’è l’anima che fa politica, ec’è quella che procura l’ossigeno per far politica, cioè il partito-azienda. E il leader politico spesso è anche il manager della propria azienda-partito. Untipo speciale di manager, che alla propria azienda procura affari e tangenti, cioèdenaro, perché l’azienda lo investa nell’organizzazione e nell’attività politico-cul-turale e quindi si rafforzi, garantendo anche la carriera del politico, o, se voglia-mo usare una parola meno brutale, la continuità della funzione del politico. Suquesti affari, infine, il politico-manager ritaglia una quota per sé, che gli serve percolmare il distacco fra la propria condizione retributivo-sociale e quella dei mana-ger veri che, istituzionalmente, più sono bravi e più guadagnano. Accade in tutti ipartiti, tranne che nel Pci dove il reddito dell’affare va tutto o quasi tutto al parti-to. Non è rapina. E’ una ricompensa. E’ l’integrazione dello stipendio ufficiale,che concorre a formare la retribuzione reale di chi fa politica a tempo pieno. Ilsistema è diffuso soprattutto nei partiti sgranati incorrenti ed è accettato da tutti.Perché dovrebbe far eccezione il Veneto? E perché la Dc? E perché Bisaglia?(anche se lui dice di no: ha l’indennità di deputato e quel che gli viene dalleGenerali, e il tutto, afferma, gli basta). Fra il 1969 e il 1970 uno degli affari piùvistosi dell’azienda-partito Dc nel Veneto è l’autostrada Trento-Vicenza-Rovigo.La più inutile d’Italia, e anche la più famosa, ribattezzata con la sigla dei tre capidorotei veneti, Piccoli, Rumor e Bisaglia: PI-RU-BI”.Il mensile “Successo”, nel settembre del 1984, pubblica un sondaggio sulla corru-zione. Il 30% dichiara di aver avuto richieste illecite, il 16% da pubblici ufficiali el’11% da politici. I più tartassati dai politici erano i liberi professionisti (uno su tre)e i commercianti (uno su quattro). Il Mondo del 17/18 febbraio del 1987 – siamo a cinque anni d’anticipo suTangentopoli – intervista 400 imprenditori, dirigenti d’azienda e liberi professio-nisti e scopre che, nel Nordest, la diffusione della tangente trova risposte di “mol-tissimo diffusa o abbastanza diffusa” nel 91,3% dei casi. Solo il Centro Italia losupera con il 94,9%. Ma ancora più sorprendente, e indicativo, è il modo con cuiviene vissuto il fenomeno. Il Nordest si distingue ancora una volta: solo il 43,4%lo rifiuta (Nordovest 68% - Centro 81,8% - Sud e Isole 78,9%). Anzi, di più, il47,7% lo accetta. Il professor Franco Cazzola che si è occupato a lungo di corruzione, comunque, nota

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che il Nordest è l’area d’Italia meno corrotta. Non solo ma la distribuzione dei casidi corruzione per finanziamento o per consenso, addirittura, si spacca precisamentea metà a significare che il radicamento dei partiti nel territorio fa in modo da nondover impiegare troppe pressioni illecite per finanziarli, “il che è vero, avvieneanche nelle zone bianche, ma più per interposto soggetto: la Chiesa, il parastatospicciolo, ecc. che per agire del partito in senso stretto.”Negli anni Novanta il manager di partito viene spazzato via in un baleno daTangentopoli: la metamorfosi è arrivata a conclusione. Inizia il ciclo di una nuova mentalità. Il muro di Berlino è crollato, la mentalità sca-turita dagli anni Sessanta è arrivata a maturazione; preti ce ne sono sempre meno, ipolitici-manager sono stati utili ma più per motivi endogeni che esogeni e il bor-ghese torna a fare l’imprenditore-operaio a tutto tondo con la mentalità dei figli chesi sono pacificati con i padri. Gaetano Marzotto orfano di padre, morto assassinato, compra parti dell’azienda daiparenti e negli anni Venti ne fa un impero di lana più di prima. Ha fatto le divise per isoldati in guerra, ma anche un villaggio stratificato per operai e impiegati sullo stiledel “protezionista” vicentino Alessandro Rossi. Ha salvato De Gasperi dagli squadri-sti e ha fatto costruire un monumento al nonno che portava il suo stesso nome. Lascial’azienda al figlio Giannino ma poi se la riprende, alla fine sceglie il più piccolo, Pietroche, naturalmente, anche lui ha fatto l’operaio perché non voleva studiare. “Dopo qualche anno di questa vita ho preferito iscrivermi all’università. Ho studiatolegge a Milano e, una volta laureato, avrei voluto fare il professore. Ma i consigli dimio padre e i magri stipendi da docenti mi hanno convinto a tornare definitivamentein azienda.” Ora anche lui è stato messo da parte da figli e nipoti più giovani. Leonardo Del Vecchio, orfano anche lui, invece si è fatto tutto da solo. E per farsida soli bisogna studiare. Del Vecchio, infatti, racconta a Luca Goldoni che ci stavabene in orfanotrofio: “Mi piaceva studiare, ero bravo in scrittura e presto diventai loscrivano delle suore.” Da quanto ci racconta Gian Antonio Stella siamo di fronte advero e proprio fenomeno umano: “dopo aver lavorato fino a notte, Del Vecchio,caricava il bagagliaio della Fiat 1100 e partiva (e mica c’era l’autostrada fino aBelluno, allora) per consegnare le montature dei suoi occhiali a Milano entro le otto,per poi tornare subito ad Agordo in tempo per seguire il lavoro da mezzogiorno finoa sera.” L’imprenditore-operaio è come il Presidente-operaio16, non dorme mai.E un altro orfano diventa straricco e nel giro di vent’anni vende maglioni colorati in tutto

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16. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è definito tale durante la campagna elettorale del2001 e in più interviste ha dichiarato di dormire, al massimo, tre/quattro ore per notte.

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il mondo. E’Luciano Benetton che perde il padre a 10 anni e resta con la madre e i fra-telli Gilberto, Carlo e Giuliana e con loro manderà avanti il Gruppo. Fa il commesso inun negozietto a Treviso ma poi diventa Benetton. Neanche lui ha tempo per studiare. Vedremo, invece, che tutti i figli di tutti questi imprenditori studiano moltissimo e silaureano quasi tutti, più o meno con lode. Il veronese Ruggero Bauli, ha 90 anni nel1985, muore lasciando un impero di burro e pasta lievitata ai figli Alberto, Adrianoe Carlo. Era emigrato in Argentina non una, ma due volte. Più imprenditore-operaiodi così?

La contro-rivoluzione industriale

Un’indagine di qualche anno fa commissionata dai giovani imprenditori del Friuli-Venzia Giulia dice che 6 imprenditori su dieci hanno tutti i figli impiegati nella pro-pria azienda. Ma proprio tutti! Il 69% delle imprese sono state fondate da un ope-raio o un impiegato che ha fatto la gavetta e poi si è messo in proprio. E solo il 32%considera importante studiare le strategie di mercato, la programmazione, il con-trollo o la ricerca. La ragione del successo è che “non bisogna fare mai il passo più lungo dellagamba” e in sostanza quello che importa - come a sottolineare la distanza conchi studia - è “l’etica del lavoro”, “il senso di responsabilità dell’impresa” (nelsenso di non farla fallire, probabilmente!) e “l’attenzione ai problemi finanzia-ri”, i soldi.L’individuo è forte se il gruppo al quale appartiene è forte. Le stesse province delNordest creeranno a ritmi sfalsati personalità di caratura nazionale e internazionalein periodo di decollo e turbolenza. Pasolini in un’intervista del ’67 si dice convintoche “un piccolo paese non può dare un grande scrittore. Ogni libro è in rapporto alsuo background culturale. Se questo è mediocre anche il libro lo sarà. Possono esserci delle eccezioni, è vero, ma allora si tratta di persone culturalmenteapolidi.” Vale anche per tutte le altre categorie. E neppure il Nobel goriziano Carlo Rubbia èun’eccezione o il vicentino Federico Faggin, inventore del microchip. L’imprenditore-operaio, maggioritario nel Nordest, nel 33,4% dei casi è un erede,tra questi ci sono i più ricchi, uomo per l’85,2% dei casi, con un medio titolo di stu-dio che dirige un’impresa con meno di 50 dipendenti. Gli iniziatori, ormai, sono soltanto il 17,2%, hanno aziende più grandi e un buontitolo di studio e sono ricchi. I nuovi hanno un titolo di studio più tendente al basso,

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una dimensione d’impresa piccola e, comunque, oltre il 52% ha più di 50 anni e nonsono, poi, tanto ricchi17. E’ l’inizio della contro-rivoluzione industriale. Il professor Geremia Gios che insegnaeconomia dell’ambiente a Trento, dice: “Da noi non c’è disoccupazione, si lavora dimeno, i redditi sono più elevati, i servizi migliori: che senso ha lavorare di più e pre-dere di meno?” E il professor Silvio Goglio, docente di economia politica aggiunge:“I trentini non accetterebbero la qualità della vita veneta. Si rifiutano di fare gli straor-dinari; figurarsi lavorare programmaticamente dieci e più ore al giorno. Per non par-lare della cultura imprenditoriale dopo decenni di sostegno pubblico”. E così anche l’operaio-operaio comincia a scarseggiare perché la famiglia stirpe hadeciso di investire in scolarizzazione. Nel 1993 il Nordest impiegava nell’industria intotale un milione e quarantadue mila persone. Nel ’99, in un segno di evidente sta-gnazione, si contano solo 40.000 occupati in più. Nello stesso periodo il terziario èaumentato di 107.000 occupati, due volte e mezza in più dell’industria. Il valoreaggiunto al costo dei fattori misurato a inizi 2000 dall’Istituto Tagliacarne rivela un’in-cidenza dell’80% del terziario per il Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige e del62% per il Veneto.Il tasso di attività generale, in quasi tutto il Veneto, è oltre il 50% (Vicenza è a 56,5,Padova a 48,6), Bolzano è a 57,4, Trento 52,1. Il Friuli-Venezia Giulia, invece, èabbondantemente sotto il 50 tranne Pordenone al 50,3%. E l’età media al parto, per tutto il Nordest, dal 1994, è schizzato sopra i 30 anni. Non ci saranno più imprenditori-operai tra qualche generazione, non ci saranno piùneppure tanti preti come qualche anno fa ma ci saranno ancora tanti, tanti borghesi;ovvero delle nuove classi medie di famiglie stirpe incompleta, esogamiche, bilate-rali, con “figlio eletto”, prevalentemente terziarie e scolarizzate.

17. Per avere un’idea di come si distribuisce la ricchezza in una nazione come gli Stati Uniti, ad esem-pio, campione di liberalismo, date un’occhiata al libro Ricchi & Straricchi di Ferdinand Lundberg –Feltrinelli. In oltre un secolo e mezzo di storia la ricchezza vera, scrive il giornalista americano, passasempre tra le mani delle stesse famiglie. L’unico modo per diventare, veramente, ricchi è ereditare.

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Il prete vagabondo e ubriacone

Trento era la città ai confini tra mondo latino e mondo germanico, la via di mezzotra Roma e Wittemberg, epicentro della Controriforma, in sostanza, già avviata daigesuiti spagnoli. L’Inquisizione aveva già cominciato a infierire e, soprattutto, iprimi libri erano già stati messi all’Indice. Non era passato neanche un secolo dal-l’invenzione della stampa. Il Concilio durò una ventina d’anni e fu trasferito primaa Bologna, poi riaperto nuovamente a Trento, interrotto e ripreso per finire nel 1563. Nel frattempo l’inventore dell’Inquisizione, il cardinale Gian Pietro Carafa, eradiventato Papa Paolo IV e approvò le decisione di respingere la teoria della giusti-ficazione per fede, la necessità delle opere per la salvezza eterna, confermò il nume-ro dei sacramenti. Il Concilio affermò anche l’interpretazione ufficiale delle SacreScritture come la sola valida e fu confermata l’istituzione divina del sacerdozio, conl’obbligo di residenza dei vescovi, il divieto del cumulo dei benefici ecclesiastici ela riconferma del celibato ecclesiastico. Nasce il Catechismo Tridentino e si ufficia-lizza la Congregazione dell’Indice che ha il compito di aggiornare l’elenco dei libriproibiti.Il controllo era stato ripreso, ma una buona parte dell’Europa si allontanava daRoma. Luterani, calvinisti, anabattisti, antitrinitari, anglicani alla fine del Cinquecentoerano diffusi e stabili da Praga ad Amsterdam, da Ginevra a Magdeburgo, aEdimburgo. Grandi macchie protestanti vi erano anche nel sud e nell’ovest dellaFrancia. In poco più di due secoli la scolarizzazione e l’industrializzazione avrannoorigine e sviluppo in quella parte d’Europa. I paesi mediterranei, invece, progressi-vamente perderanno smalto e perderanno l’antico splendore; sono prevalentementeesclusi dalla lettura e dalla scrittura.La scristianizzazione va per tappe: da metà Settecento all’arrivo di Napoleone laChiesa è devastata nel bacino parigino, nella Spagna centrale e meridionale, nel

Capitolo 3

Scolarizzazione e secolarizzazione

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Portogallo e nell’Italia meridionale. In tutte queste zone domina la famiglia nuclea-re egualitaria e il bracciantato rurale. Non è un caso se nel Sud Italia, tra il 1950 e il 1965, la frequenza alla messa saràdal 30-40% a meno mentre nel Nordest sarà ancora mediamente oltre il 60%. Tra la fine dell’Ottocento e l’arrivo del nazismo sprofonda anche il protestantesimo.Aumentano i “senza religione” e aumentano le scissioni, gli studenti di teologiatedeschi passano da 4.536 a 2.228 tra il 1900 e il 1908. Il filosofo tedesco Nietzschefa morire Dio e il medico, teologo e botanico inglese, Charles Robert Darwin avevascritto una nuova teoria evoluzionistica tanto da far inorridire qualcuno per esserediventato, improvvisamente, discendente di una semplice scimmia.In Germania, in tutte le chiese protestanti, il numero dei cresimati passa dagli808.911 nel 1920 ai 447.695 nel 1930. Infine arriva la scristianizzazione definitiva, dal 1965 al 2000, quando cede anchela Chiesa cattolica là dove aveva resistito al primo affondamento, dal Belgio, allaGermania meridionale, dall’Austria, una parte della Svizzera, della Francia, allaSpagna, al Portogallo e al Nordest d’Italia dove, se è vera una proiezionedell’Osservatorio religioso del Triveneto, nel 2012, non ci sarà più neppure un preteper parrocchia.I primi colpi dati dalla scienza e dall’industrializzazione hanno colpito soprattutto lezone con famiglie nucleari. Il Nordest ha resistito alla prima scristianizzazione, anzi,per certi aspetti si era anche riorganizzato. L’alternarsi, tra fine Settecento e iniziOttocento, di truppe napoleoniche e truppe austriache, dopo il crollo dellaSerenissima, “la logica giurisdizionalistica e realistica di Vienna, poi, di Parigi eancora di Vienna viene portata all’estremo, almeno sino al 1855, da una propensio-ne all’accentramento politico e da un amministrativismo onnipresente e onnipoten-te che stringe le sue maglie anzitutto sulle ‘cose e persone sacre’. La legge statale è sempre e ovunque uguale, senza distinzione tra Venezia eTerraferma, tra città, cittadine e compagna, alte gerarchie curiali e clero inferiore. Ilmondo ecclesiastico veneto viene così unificato per volontà dei sovrani, non dellaChiesa universale romana.” 1

Prima di questa grande riorganizzazione della Chiesa cattolica veneta, dall’alto degliimperi, ci troviamo di fronte ad un sacerdote non necessariamente destinato allacura delle anime. Troviamo l’arciprete, il parroco, il pievano o il rettore, l’abate, ilpedagogo, l’ispettore o il maestro pubblico, il precettore o il prete altarista, il cap-pellano o il “prete libero”.

1. Filiberto Agostini – Istituzione ecclesiastiche e potere politico in area veneta - Marsilio, 2003.

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Una miriade di personaggi tutti facenti capo alla Chiesa cattolica. “Per la verità –scrive il professor Agostini – è un clero, questo minore, che seppur carente sottodiversi profili, è una diretta espressione della comunità in cui vive, in quanto non sipone in maniera distaccata da essa, ma ne condivide appieno il destino, in alcuni casioccupandosi pure di faccende civili e della stessa coltivazione dei campi; è altresìun clero che spesso non vive nelle canoniche, ma in ‘casa propria’o ‘in affitto’oppu-re ‘assieme alla famiglia d’origine’ con ritmi e stili di vita di fatto non comparabilia quelli dei parroci dimoranti stabilmente appresso la chiesa parrocchiale.” Si tratta di preti senza impiego o preti di famiglia “inquieti e vagabondi, litigiosi emiserabili, i ‘preti domestici’ che celebrano la messa contentandosi di poco e che,conclusa la funzione rituale, confessati i fedeli e insegnata la dottrina, dimettono laveste talare per immergersi nella vita quotidiana del villaggio rurale e della famiglia,con ovvi riflessi sulla qualità complessiva del servizio pastorale offerto, sul livellodella loro preparazione dottrinale e sull’immagine stessa del prete.” Sono preti che,come tutti, si ubriacano, bestemmiano, vagabondano.In meno di un secolo ci sarà uno “sfoltimento” quasi del 50% di questi preti. Nellostesso periodo in alcune zone la popolazione, addirittura, triplica. Ma intanto il preteè diventato più produttivo, più efficace, è stato organizzato, selezionato e istruito. Nel 1850 solo il 31% dei cappellani svolge le proprie mansioni nella parrocchia diorigine; l’organizzazione coopta, sposta, sistema.All’inizio dell’Ottocento nelle diocesi2 di Udine e di Concordia - rispetto alle altrediocesi trivenete - sono prevalentissimi i curati, a Padova, invece, prevalgono glialtaristi e i cappellani, così come a Venezia e a Verona mentre a Vicenza si distin-guono i canonici. Gli altaristi, comunque, sono i più diffusi ovunque. Ad Adria - cheha meno preti di tutto il Nordest di allora - ci sono 286 altaristi, 98 cappellani, 4 cura-ti, 77 parroci e 25 canonici.Dunque tutto l’Ottocento è un secolo di riorganizzazione della parrocchia e dei suoifunzionari dapprima facenti capo all’amministrazione statale e poi, via via, più liberi3. Il prete dell’impero asburgico, ma anche di quello napoleonico, è un ufficiale civi-

2. Quando parliamo di diocesi dobbiamo ricordare che la loro distribuzione territoriale non corri-sponde esattamente alla distribuzione delle province. Le diocesi conservano sostanzialmente immu-tati i confini stabiliti da Pio VII nel 1818.

3. Lo storico, monsignor Antonio Gambasin, docente all’Università di Padova, a proposito della par-rocchia veneta scrive: “Sopravvive anche dopo gli Asburgo, il pastore d’anime preoccupato del pro-blema della ‘verità cristiana’, che si sente impegnato, perciò, a trasferire nella stampa e, dal primo‘900, nelle piazze la polemica contro il radicalismo positivista e l’eresia borghese.”

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10 - Le diocesi del Nordest

BolzanoTrento

VeronaVicenzaAdriaChioggiaPadovaVenezia

TrevisoVittorio-V.toBelluno

UdineConcordia-PnGoriziaTrieste

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le che registra, annota, controlla, svolge mansioni burocratiche, segue il catasto, iprogrammi sanitari, l’educazione e l’economia agraria. Deve essere istruito.L’impero asburgico concepisce il prete, in cambio di protezione e rendite, comeministro di un ente morale. E anche l’impero napoleonico, riorganizzando territo-rialmente il clero, ha finito per fare della parrocchia il centro dell’amministrazionelocale anche nelle città. Un modello che sopravviverà agli stessi imperi e durerà finoa noi. Gli altri sacerdoti vengono spostati nei seminari, nei conventi, negli enti reli-giosi più specializzati. La stessa distribuzione dei conventi e dei monasteri, già dallafine del Settecento, indica una presenza di frati organizzata con oculatezza. E glistessi vescovi nordestini ondeggiano senza pudore dalla sottomissione a Napoleone,alla sottomissione all’Austria e ondeggeranno senza pudori anche nel ’48 tra l’ap-poggio e le accuse ai primi moti risorgimentali e alla Repubblica veneziana diManin4. In una questione rimarranno sempre inflessibili, l’autorità: “E’ necessario stare sot-tomessi - scrive il vescovo Giobatta Falier di Ceneda citando San Paolo in una let-tera pastorale - non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscien-za… e di essere sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pron-ti per ogni opera buona… state sottomessi ad ogni istituzione umana per amore delSignore: sia al re come al sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati”. Che il refosse Napoleone o Giuseppe II o Francesco I poco importava. Anzi erano gli stessiimperatori a preoccuparsi di non danneggiare una istituzione potenzialmente utile.Mentre con la Serenissima c’era stata una comunanza di interesse e una forte reci-procità per quanto riguardava l’istruzione e il controllo delle università, con i regi-mi imperiali - soprattutto con quello francese - l’insegnamento assume nuoveforme. Il sacerdote perde il ruolo di interlocutore di prestigio ma lo riconquisterànell’organizzazione quotidiana della parrocchia e poi nella ridefinizione dei ruoli deiseminari e degli istituti.

4. Interessante anche quanto si legge nella sintesi della storia del Friuli-Venezia Giulia nel sito uffi-ciale della Regione: “Alla spedizione dei Mille parteciparono venticinque Friulani, di Annone, Barcis,Codroipo, Fossalta di Portogruaro, Gradisca d'Isonzo, Latisana, Motta di Livenza (due), Palazzolodello Stella, Palmanova, Polcenigo, Pordenone (tre), Portogruaro (due), Sacile, San Daniele (due), SanVito al Tagliamento, Talmassons, Tarcento. Tolmezzo e Udine (due). Nel numero non è compreso ilnome di quel grande friulano di adozione e padovano di nascita, che fu Ippolito Nievo. Su questo,come su altri episodi del Risorgimento è stata costruita molta retorica. Ma volendo rendere il giustomerito a chiunque si batta in buona fede per un'idea che crede giusta, bisogna dire che i Friulani sicomportarono seriamente e costruttivamente anche in circostanze sfavorevoli e senza darsi arie dieroi.” Insomma, siamo come tutti, ma siamo… friulani!

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Secondo quanto scrive Agostini i giovani seminaristi, tra fine Settecento eOttocento, provenivano prevalentemente da famiglie con una media di 6 membriciascuna, ma non mancavano anche famiglie con 10 membri e più. L’80% aveva igenitori in vita, mentre circa il 9% era orfano di padre e un altro 10% orfano dimadre5. La formazione dei preti avviene soprattutto su giovani provenienti da grandi centri,dalle città e dalle parrocchie più dinamiche e centrali. E l’età media dei seminaristiè sempre quella adolescenziale; dai 12 anni in su e col passare degli anni si eleveràanche per la ristrutturazione complessiva dell’istruzione. Il seminarista deve sotto-stare a regole disciplinari ferree sia durante le ore di istruzione e lavoro e anchedurante il tempo libero. Si può parlare solo durante la ricreazione, l’accesso allamensa è a orari fissi, non si può avere denaro con sé. La veste deve essere sobria edi misura regolare e non bisogna mai farsi sopraffare dalla pigrizia e dall’ozio. Iltempo è scandito con precisione: il mattutino, l’orazione mentale, il vespro, la com-pieta, la messa quotidiana, il rosario, la meditazione. E anche i vescovi cambiano:da prevalenti patrizi e borghesi diventano anche di modesta origine sociale. La loroattività diventa quella di controllare, amministrare, gestire le diocesi con “buonadisciplina”, assicurare le visite agli istituti e ai seminari e alle parrocchie, cooptaresacerdoti idonei all’insegnamento, controllare i testi e le lezioni, vigilare, corregge-re il rettore nel caso si renda necessario, imporre nuove regole e far rispettare le vec-chie, incoraggiare, approvare, ma soprattutto disciplinare.Il vescovo padovano Francesco Scipione Dondi Dall’Orologio, già agli inizidell’Ottocento, sostiene che occorre formare un corpo di “operosi e dotti” parroci,curati e confessori in grado di spargere “utilmente i loro sudori a pro delle anime”;dall’altro coltivare i chierici ricchi d’ingegno e gli ecclesiastici eruditi. “Tra alunnisecolari e alunni seminaristi - conclude Agostini - nessuna promiscuità è più possi-bile nello stesso edificio; la separazione definitiva diventa una condizione necessa-ria, la regola d’oro per incrementare il vero spirito sacerdotale, per debellare neichierici l’ignoranza della scienza sacra, per formare il ‘nuovo’ uomo religioso.”

Dove c’è il prete c’è l’alfabetizzazione?

Là dove il primo choc scientifico trova la famiglia “impreparata” il crollo della fedeè immediato: la sostituzione con altre credenze e superstizioni avanza rapidissima.

5. Filiberto Agostini – op.cit.

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La scristianizzazione avviene, di regola, prima nelle zone con famiglia nucleare egrande sfruttamento agricolo e poi nelle altre. Più che scristianizzazione assistiamoad un crescendo di incredulità, superstizione, proliferazione di santi protettori (bastipensare ai miracoli legati a San Gennaro, Santa Rosalia, Padre Pio nel Sud Italia) e,dal punto di vista più terreno, un’adesione maggiore ai singoli preti, alla istituzionelocale, una certa personalizzazione della pratica più che della fede. Sarà così anchein politica riguardo il voto di preferenza che al Sud è sempre stato molto praticato.Là dove, invece, la famiglia stirpe è organizzabile gerarchicamente la Chiesa catto-lica, associata alle esigenze imperiali e statali, diventa il tramite per il controllocapillare. Se anche la fede si affievolisce l’organizzazione parrocchiale riesce a con-tenerne gli effetti devastanti. In un contesto rurale la famiglia stirpe mantiene conpiù rigidità l’organizzazione riferita a principi gerarchici, autoritari e di inegua-glianza. La famiglia tendenzialmente più egualitaria produce il bracciantato, il lavoro gior-naliero e la classe operaia che ha meno aderenza al sistema verticale e quindi un’im-magine flebile del Dio-padre, che resta padre di famiglia ma non organizzatore dellavoro.Nel nostro Nordest viene totalmente confermata la teoria espressa da EmmanuelTodd secondo la quale la pratica religiosa più bassa è nelle province con la più altaincidenza di manodopera bracciantile e operaia. Nel 1852 l’indice del rapporto sacerdoti/abitanti (ogni 10.000) vede a quota 6 Adriamentre tutte le altre diocesi sono su indici molto più alti: Udine 34, Verona 33,Venezia 32, Vicenza 27, Ceneda 25, Padova 23, Treviso e Belluno 20 e Feltre 15. IlPolesine, con tutti i distinguo storici e di organizzazione delle diocesi, giànell’Ottocento segnava una differenza sostanziale per la presenza di sacerdoti perabitanti (figura 11). E la segnerà anche riguardo l’alfabetizzazione.La Chiesa cattolica del Nordest si è riorganizzata pesantemente durante la domina-zione austriaca e ha proseguito per oltre un secolo a connettersi con la società laica.Anzi l’estinzione del protestantesimo6 in Europa favorisce i cattolici e il loro accen-tramento verso Roma. Si tratta, naturalmente di un’adesione minoritaria, macomunque resistente: se partiamo con lo sguardo da Ovest troviamo l’Irlanda catto-lica, il Belgio, la Germania centro occidentale e del Sud, fino a Praga, l’Austria,parte della Svizzera, un blocco nel sud e ovest, vandeano, della Francia e il nord diSpagna e Portogallo oltre al Nordest d’Italia. La combinazione di autorità famigliare, la preminenza della presenza del prete ben

6. Nel Nordest, nel 1901, risultano censiti soltanto 1589 protestanti di cui solo a Venezia 917.

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11 - Sacerdoti/abitanti (1850)

Sacerdoti ogni 10.000 abitanti

più di 30

tra 20 e 30

tra 10 e 20

tra 0 e 10 fonte: F. Agostini

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organizzata e disciplinata, e il livello di indipendenza economica fanno di questezone bastioni di resistenza alla scristianizzazione nonostante l’industrializzazione.Si dovrà arrivare agli anni Novanta del Novecento per avvertire un vero e proprioaffondamento anche se già qualche decennio prima il sociologo-imprenditore, ilpadovano, Sabino Samele Acquaviva diventa famoso proprio scrivendo un saggiodal titolo “L’eclissi del sacro nella civiltà industriale” 7. Strano destino – scrive Todd – del cattolicesimo che nasce nel cuore della famiglianucleare egualitaria e che, nei secoli, si sposta sempre più nelle zone di predomi-nanza della famiglia stirpe. “Configurazione ironica questa che associa il cattolice-simo tardivo ai tipi famigliari autoritari e inegualitari che avevano favorito, invece,così bene il protestantesimo.”Il momento di svolta di questo percorso è il 1871 quando Roma stabilisce l’infalli-bilità del Papa.Tra il 1744 e il 1828 la zona nordestina più fertile di vocazioni è quella compresatra il feltrino e San Bonifacio, tra Arsiero e Vicenza; una mezzaluna pulsane di cat-tolicesimo che farà, soprattutto della provincia di Vicenza, il cuore del decollo cul-turale e industriale del Nordest.Già nel 1806, in piena riorganizzazione amministrativa, il clero nordestino può con-tare su 1.742 parrocchie sparse equilibratamente su tutto il territorio. Quasi tutte lediocesi hanno una parrocchia all’incirca ogni mille abitanti tranne Venezia che supe-ra i 2.000 abitanti e Chioggia che supera i 3.000. Venezia e il Polesine sono già daun secolo più scristianizzate rispetto le altre province. Come abbiamo visto in cinquant’anni, tra inizio e metà Ottocento, i preti delNordest, praticamente si dimezzano. E’ un riflesso della modernità, ma anche del-l’organizzazione più autoritaria delle diocesi e delle parrocchie. Quella che sarà laprovincia di Rovigo ha meno preti di tutte le altre e solo il blocco Treviso-Belluno-Pordenone ha una media di preti più bassa di tutto il resto del Nordest. Ma la prati-ca religiosa è intorno all’80% 8.Negli anni Sessanta del Novecento comincia il declino e la pratica religiosa arrivaintorno al 37%. Dal 1993 al 1999 la frequenza alla messa, dei nordestini, di coloroche ci vanno una o più volte a settimana scende lentamente dal 37,3% al 32,2%.

7. Acquaviva, al contrario di Pietro Marzotto, alla fine decide per l’insegnamento. Negli anni Sessantail sociologo possedeva una fabbrica di elettrodi.

8. Per alcuni dati ci siamo riferiti a “Il Veneto religioso” di Giuseppe Dal Ferro – ed. Rezzara 1995.“Vicenza il volto di una città” e “Dio o Dioniso”; due inchieste svolte a distanza di un decennio, sullostesso campione, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta.

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Ma l’anno del Giubileo, il 2000, questo tipo di pratica crolla più del 10%. Tra colo-ro che hanno 11 anni e più non vanno mai a messa circa il 20%, anche se nell’ulti-mo decennio del Novecento c’è una leggera ripresa (nel 1993 erano il 19,7% e nel2000 il 17,6%). In Veneto si frequenta di più, in Trentino-Alto Adige meno e in Friuli-Venezia Giuliaancora meno.Dei diplomati frequenta regolarmente la messa festiva il 41,9%, tra chi si è fermatoalla terza media frequenta il 36,5%; tra i laureati la frequenza è più alta; 44%. Tracoloro che hanno la licenza elementare frequenta la messa il 66,2%. La maggioran-za va a messa per “ascoltare la parola di Dio” (39%). Coloro che credono in Diosono il 77%.Il più istruito e il meno istruito frequentano di più rispetto ai mediamente istruiti. Monsignor Giuseppe Dal Ferro tenta una spiegazione del fenomeno e scrive: “C’èperò una differenziazione sempre più marcata fra le élites religiose e il popolo che,non trovando più un facile modo di credere, si rifugia o nell’intimismo o nel mira-coloso o in sette. La pietà popolare è entrata in crisi negli anni ’60 ed ha provocatodisorientamento in molta gente semplice, a cui si contrappongono le élites, che inquesti anni hanno studiato teologia o si sono aggiornate con le iniziative delle dio-cesi e delle associazioni.”E’ sempre stato così, anche nei secoli precedenti, ma la spiegazione ha un valoreimportante perché connota coloro che continuano a frequentare la messa e che sono,appunto, “le élites”.Ma la scristianizzazione appare, quasi, definitiva e inesorabile. Nel Nordest glialunni dei seminari passano dai 636 del 1972 ai 434 del 1991. Nel ’70 c’è unsacerdote ogni 915 persone, nel 1985 ce ne è uno ogni 1.100, nel 1995 un preteogni 1.200 abitanti. Avanti così, nel 2010, dice una proiezione dell’Osservatorioreligioso del Triveneto, ci sarà un prete ogni 2.062 abitanti; in Friuli-VeneziaGiulia sarà uno ogni 3.000. Nel 1852, alla fine della riorganizzazione delle diocesi e delle parrocchie delNordest, avevamo una media di un prete ogni 3/400 abitanti, ma c’era già l’ecce-zione di Chioggia con un prete ogni 1.554 abitanti. Il decremento dei religiosi è ancora più pesante: nel 1970 ne erano stati ordinati 118,vent’anni dopo soltanto 26. Stessa crisi anche per le suore passate da 23.494 nel1970 a 16.705 nel 1991. Anche i matrimoni religiosi ne risentono, nel ’93 calanodel 9,6% in Trentino-Alto Adige, del 5,6% in Friuli-Venezia Giulia e del 3,3% inVeneto. La Chiesa cattolica, spiega sempre il vicentino monsignor Dal Ferro, “sem-bra aver scelto una presenza più culturale che istituzionale, sviluppa cultura teolo-

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gica, associazionismo, sostegno alla famiglia e iniziative di carità. E’significativo ilfatto che nell’anno scolastico 1992/93 si avvalgano dell’insegnamento della reli-gione nel Triveneto il 96,9%”.Come si può vedere, anche graficamente, nel 2000 la presenza di preti ricalca lacarta della distribuzione nel 1850. Siamo passati, nel frattempo, da una media di 23preti ogni 10.000 abitanti a una media attuale di 3 preti – se non meno – per ogni10.000 abitanti. Verona, Venezia, Trento e Bolzano ne hanno più di altre, Rovigo eGorizia tra 1 e 2. Soltanto venti anni prima, negli anni Settanta, la media era di piùdi 5/6 preti ogni 10.000 abitanti e sempre Verona, Venezia e Trento ne avevanoanche più di 8 (figura 12).

Il Friuli-Venezia Giulia, nel suo insieme, si è scristianizzato più velocemente con lanota di Gorizia che, però, presenta la più alta percentuale di battezzati di tutto ilNordest (61,3% sui nati nel 2000).Utilizzando i dati del 2000 sui battezzati e ipotizzando che ad essere battezzati sianosolo i bambini da zero a un anno, troviamo che nella diocesi di Rovigo la percen-tuale è del 38,7%, la più bassa, e a Venezia, addirittura, è battezzato solo il 19,6%dei bambini nati. A Belluno, Verona, Vicenza, Trieste, Udine, Trento e Bolzano lapercentuale è sotto il 50%. Nelle altre province ancora sopra. Spiega la discrepanza di questi dati - la presenza dei preti e i battezzati - la scon-nessione tra l’organizzazione della Chiesa cattolica e i praticanti. La presenza aVenezia e a Trento di preti è dovuta ad una maggiore frequenza di parrocchie e chie-se in proporzione alla popolazione e alla presenza di numerosi consigli pastorali: aVenezia 67 mentre a Trento ve ne sono 38. In tutte le altre province i consigli pasto-rali sono addirittura azzerati nella maggior parte dei casi. Inoltre sono presentinumerose scuole, seminari, istituti religiosi e conventi. Venezia è anche sede delPatriarcato. A Venezia e Trento risulta speculare la presenza di preti con la percentuale di battez-zati nel 2000; in queste province ci sono più preti, in proporzione alle altre, e menobattezzati sempre in proporzione alle altre province. A guardare solo i numeri sem-brerebbe quasi che là dove ci sono più sacerdoti crollano i battesimi. Ma se teniamoconto di quanto scrive Acquaviva allora tutto ritorna nella logica. Il sociologonell’Eclissi del Sacro sostiene: “Spesso, coloro che conservano un minimo di religio-sità non battezzano o battezzano molto tardi i loro figli, mentre altri, che hanno quasiperduto ogni senso del sacro, o del senso sacrale dell’atto, di frequente battezzano perconsuetudine, dando alla cerimonia un valore quasi folkloristico”. Da questa ottica làdove ci sono più sacerdoti, allora, è possibile che ci siano meno battesimi.

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12 - Sacerdoti/abitanti (2000)

Sacerdoti ogni 10.000 abitanti

più di 4

tra 3 e 4

tra 2 e 3

tra 1 e 2

fonte: Annuario Pontificio

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Insomma la Chiesa non è proprio più quella… asburgica, di una volta.Fonti giornalistiche, riprendendo fonti diocesane, sostengono che le 15 diocesi delNordest hanno in tutto 5.737 preti e che ognuno di questi ha un carico medio di1.450 abitanti e di questi “il 30-35% sono devoti e praticanti regolari”.Comparando i dati Istat che riferiscono una pratica anche superiore a una volta asettimana e il dato sui battesimi del 2000 ritengo, invece, che sulla popolazionetotale i cattolici devoti e praticanti reali oscillino dal 5 al 15% della popolazionenella varie province del Nordest. Monsignor Valentino Grolla, direttore dell’Osservatorio religioso, prevede che entroil 2012 il numero di comunità senza parroco “aumenterà vistosamente”. “Oggi –dice Grolla – nel Triveneto, solo un terzo dei sacerdoti ha meno di 55 anni; un quar-to ha raggiunto i 75. Negli ultimi 4 anni, il numero dei defunti è arrivato ad esserepiù che doppio rispetto al numero degli ordinati. L’età media raggiungerà la puntapiù alta, 61 anni e mezzo, nel 2004, per poi decrescere fino alla media di 60,4 anninel 2012. L’avanzamento dell’età porrà problemi di collocazione e di assistenza.”Il Nordest moderno, dunque, era già moderno un secolo fa: le province scristianiz-zate non hanno avuto il decollo industriale mentre quelle mediamente cattoliche,con una presenza di preti “né alta né bassa” rispetto alle province estreme, hanno,invece, avuto già tra Ottocento e Novecento un primo decollo e poi un’industrializ-zazione forte negli anni Sessanta e negli anni Novanta. Evidentemente ha avuto unruolo importante anche il figlio cadetto del Nordest diventato prima prete-contadi-no e poi anche prete-(imprenditore)-operaio.Negli anni ‘70 inizia l’ascesa della parabola della scolarizzazione totale e dal 2000l’urgenza della Chiesa cattolica del Nordest diventa quella di non scomparire, even-tualmente di coinvolgere sempre più i laici perché il figlio cadetto, nel frattempo,non ha fatto figli!Dal 1976 cominciano gli andamenti di controllo liberi dell’età al matrimonio e deitassi di natalità al ribasso. Le regioni del Centro avevano già iniziato negli anniCinquanta. Nel Veneto negli anni Cinquanta il tasso di fecondità (figli ogni 1.000donne in età feconda) è intorno ai 2,3 totale, negli anni Sessanta sale anche a 2,7,ma a metà degli anni Settanta è già sotto 1,9 per arrivare, progressivamente, a pocopiù di 1 di oggi. Il Trentino-Alto Adige è in leggero ritardo, fa più figli, tocca il 3,2negli anni Sessanta, ma raggiunge il Veneto nel 1976 quando tutte e due le regionisono sotto il 2. Il Friuli-Venezia Giulia già negli anni Cinquanta aveva un tasso difecondità sotto il 2, risale negli anni Sessanta, con quale anno di anticipo sulle altredue regioni, ma al massimo fino a 2,2, nel ’68 c’è un ritorno sotto il 2, poi una ripre-sa, oscillazioni sopra e sotto fino al ’72 e, infine, un costante calo fino ad arrivare

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nell’87 a 0,96 per ritornarci nel ’93. Il Friuli-Venezia Giulia è la regione più sensi-bile del Nordest e, per certi aspetti, anticipatoria anche se il peso demografico delVeneto è più condizionante e attrae di più l’attenzione.

Siamo o non siamo tutti preti?

La religione è una determinazione delle strutture famigliari, ma a sua volta deter-mina il ritmo del progresso, della cultura, economico e sessuale. E da essa derivanole ideologie quando non ha più l’organizzazione per influire direttamente. Il “siamotutti preti” di Lutero ha sconvolto l’organizzazione della Chiesa ma ha anche avutocome immediata conseguenza il fatto che più nessuno è stato autorizzato, nel mondoprotestante, ad essere prete. L’uguaglianza terrena si contraddice con l’ineguaglianza metafisica che vuole ognu-no predestinato da Dio e quindi l’abolizione del monopolio del clero è il primoobiettivo terrestre del protestantesimo. Ma è anche la spinta a leggere la Bibbiadirettamente. Il luterano, il calvinista non hanno intermediari diretti e possono, edevono, accedere alla parola di Dio direttamente. Devono imparare a leggere. La Riforma esige la libertà e l’uguaglianza terrestre tra gli uomini, elimina quindi ilpotere dei preti, ma afferma l’assoluta autorità di Dio. La Controriforma esige la sot-tomissione ai preti e quindi l’ineguaglianza tra gli uomini ma riafferma l’ugua-glianza ultraterrena e la Grazia di Dio, quindi il libero arbitrio per concorrere allasalvezza eterna. Libertà davanti a Dio, mitigata dalla confessione, ma totale sotto-missione al prete. La Chiesa cattolica dovrà ricorrere alla inibizione alla lettura per-ché l’interpretazione della parola di Dio possa continuare a passare attraverso ilprete. Il Nordest non entra nella zona protestante pur essendo costituita prevalentementedal tipo di famiglia stirpe. La vicinanza a Roma e la crescita di Venezia ne fanno uncaso particolare. Secondo Todd la persistenza del cattolicesimo nella famiglia stirpeoltre che misurata dalla vicinanza con Roma viene modulata dall’interno con la teo-logia agostiniana che contempla, comunque, l’idea della predestinazione, di unappello selettivo degli uomini per la salvezza. Una modalità che si adatta al valoredi ineguaglianza tipico della famiglia stirpe. La risultante sarà che mentre nel 1480,nel Nordest erano già in funzione dei torchi a stampa e a Venezia si stampavano cen-tinaia di libri, nel 1800 l’alfabetizzazione, rispetto agli altri paesi europei del NordEuropa, aveva già accumulato un forte ritardo. La Controriforma ha bloccato la cre-

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scita culturale nonostante la compensazione di Venezia che rimane comunque oasidi tolleranza ma anche di politiche di sopravvivenza. All’inizio del ‘900 il Veneto èalfabetizzato dal 50 al 70%, ma l’Europa del centronord è già oltre il 90% e laFrancia ha già tra il 70 e il 90% di cittadini che sanno leggere e scrivere.Il prete, dal momento della riorganizzazione asburgica, diventa l’alfabetizzato ingrado non solo di leggere e scrivere, ma anche di elaborare concetti complessi, dispiegare, di fare da pedagogo, da esperto, economo e traduttore. L’alfabetizzazioneaderisce alla famiglia stipre in grado di sostenere l’educazione e la verticalità deirapporti. Quando il meccanismo educativo entra in questo tipo di famiglia essoviene replicato e sostenuto rigorosamente, grazie anche al suo moltiplicatore inter-no. La Chiesa cattolica dalla Controriforma blocca questa possibilità e la concedesoltanto ai figli cadetti. Dall’organizzazione di inizio Ottocento in poi il processosarà qualificato e accelerato ma ci vorrà più di un secolo per arrivare al 50% di alfa-betizzati e ancora quasi un altro secolo per completare l’alfabetizzazione generaledella popolazione. Circa 200 anni di ritardo sulla Svezia e un secolo, un secolo emezzo su Germania, Francia e Inghilterra.Non solo ma il Nordest va anche in ritardo rispetto al resto dell’Italia del Nord: lafamiglia stirpe funziona – indefessamente – come un acceleratore anche… dell’i-gnoranza.E non si tratta di una scelta di classe, ma della risultante di un temperamen-to, di un carattere preciso del tipo di famiglia: tramanda l’acquisito, compre-so l’analfabetismo.Sarà proprio tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento che il Nordest rag-giungerà il 50% di uomini, ma solo quelli tra 20 e 30 anni, alfabetizzati. Il nord dellaFrancia e l’Inghilterra avevano raggiunto il traguardo durante il Settecento, laGermania il secolo prima.Nel 1871 gli analfabeti, tranne Trento e Bolzano che sono già all’80% di alfabetiz-zati, coprono tra il 62,4% al 78,3%. Ce ne sono meno a Belluno, Verona e Veneziae molti di più a Vicenza e Rovigo. A sottoscrivere gli atti di matrimonio, nel 1875,è soltanto lo sposo nella maggior parte dei casi, ma già a Udine, Verona, Vicenza eBelluno sono più le volte che firma solo lo sposo che quelle dove non firma nessu-no dei due. E’ già qualcosa.Le spose analfabete in una trentina d’anni passano da una media del 70-80% al 20-30%. In testa sempre Belluno che è anche andata velocissima passando dal 77,8%delle spose analfabete nel 1872 al 15% nel 1905. Accelerano anche Vicenza, Udinee Padova. Venezia va lentamente e nello stesso periodo dimezza appena le analfa-bete. Nel 1872 era la prima provincia alfabetizzata al femminile con il 68,9% delle

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spose analfabete, ma nel 1905 si allinea quasi a Rovigo che ha il 34,9% di analfa-bete. Nel 1911 Belluno è la provincia, in totale, più alfabetizzata, seguono Vicenza,Verona, Treviso, Udine, Padova, Venezia e, appunto, Rovigo (figura 13).

In questi trent’anni gli espatri medi annui sono, nel Nordest, i più alti d’Italia. I piùalti all’interno della regione sono nel bellunese, nel vicentino e nell’udinese. Le stes-se province che nello stesso periodo accelerano l’alfabetizzazione accelerano anchel’emigrazione. Se conteggiamo gli espatri complessivi per provincia ogni 1.000 abi-tanti, però, troviamo che dal 1876 al 1901 sia Belluno che Udine e Vicenza hannouna predominanza di espatrio temporaneo. Sono le uniche; in tutte le altre provin-ce l’emigrazione vera e propria è sempre superiore a quella temporanea9 (figura 14).Non solo ma Belluno, Udine e poi Vicenza sono le province da dove l’emigra-zione parte prima. Dopo la partenza dei bellunesi, a seguito sono andati i friulani,i vicentini e i veronesi e poi nel 1879 hanno iniziato i rodigini e i trevisani. Nel1883 cominciano ad emigrare in massa anche i padovani e solo nel 1888 sonoindotti a lasciare la loro provincia anche i veneziani. Dal 1899 dal vicentino par-tono una media di 10-13.000 persone l’anno. Venezia ha un picco all’inizio del1891 ma perde poca popolazione. Gli anni di grande esodo sono proprio il 1888,il 1891 e il 1895. La storia vista dagli spazi più che dalle cronologie ci dice che chi è rimasto, o chiha scelto l’emigrazione temporanea o definitiva, non solo ha imparato un mestieree forse un pò di lingua straniera, ma si è anche alfabetizzato. Ha imparato a legge-re e scrivere velocemente, ha imparato un mestiere, si è mosso, ha acquisito nuoviorizzonti e si è anche industrializzato. Andrebbe considerata anche una certa flessione dei vincoli matrimoniali che pote-va spingere uomini e donne verso altri Paesi. Nel 1902 Zanardelli e Cocco Ortu pre-sentaro una legge sul divorzio, ma vengono messi in minoranza dai conservatoricome Salandra che ondeggiarono ma poi si schierarono decisamente contro. Il 6giugno 1903 Salandra, nella sua relazione, disse: “L’accrescersi della divorzialitàquasi dappertutto è più rapido che non sia quello della popolazione e dei matrimo-ni. Questo fenomeno non si spiega soltanto, anzi non si spiega principalmente comeeffetto delle leggi più larghe. Esso si è rilevato anche laddove le leggi non sonomutate. Esso è l’effetto di parecchie cause complesse e concorrenti, dalle quali èderivato il fatto doloroso che molti uomini e donne son disposti a riguardare il vin-

9. Si veda Ercole Sori – L’emigrazione italiana dall’unità alla seconda guerra mondiale – Il Mulino1979. Sugli emigranti si vedano anche le conclusioni di Emmanuel Matteudi: “Structures familialeset développement local”, Ed. L’Harmattan, 1997.

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13 - Alfabetizzazione (1911)

Analfabeti ogni 100 abitanti dai 6 anni in su

da 10 a 20

da 20 a 25

da 26 a 30

più di 30 fonte: Censimento

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colo del matrimonio diversamente da come facevano un secolo fa, e cedono piùfacilmente al desiderio di scioglierlo. Tali cause sono il più intenso sentimento dellapersonalità individuale che si traduce in più squisita sensibilità e in più ribelle intol-leranza delle avversità”.Sicuramente l’emigrazione, nel ritmo e nella posizione geografica, è andata di paripasso con l’alfabetizzazione. Le province più alfabetizzate e velocemente alfabetiz-zate sono le stesse che contano più emigrati e che acquistano più libertà; o si trattadi un riequilibrio tra la popolazione esistente e le risorse disponibili per cui si inne-sca un decollo culturale e successivamente anche economico, (ma questo, storica-mente, avviene contemporaneamente e l’uno non sarebbe in causa-effetto con l’al-tro10), oppure vorrei autorizzarmi a pensare che l’emigrazione non è un fenomeno,specifico, di semplice povertà - visto negli aggregati generali e non solo nel “poa-reto che magna solo poenta” - ma un segnale globale, in un dato periodo storico diuna data società, in relazione con tutte le altre, che è avviata una rivoluzione cultu-rale e istituzionale soprattutto nel paese che la origina. L’emigrato è una delle mag-giori produzioni del tipo di famiglia stirpe e lo studio di Emmanuel Matteudi sullestrutture famigliari e sviluppo locale lo dimostra: la famiglia stirpe nel giro di tregenerazioni “produce” oltre il 60% di emigrati sul totale e dal momento dell’indu-strializzazione “produce” operai, sempre tra i figli cadetti.Non è casuale, infatti, che oggi, nel 2000, gli immigrati provengano da paesi chehanno, di recente, alzato di molto il tasso di alfabetizzazione e che stanno vivendofasi turbolente di decollo culturale. Una percentuale alta di immigrati extracomuni-tari, che arrivano nel Nordest, oggi è già alfabetizzata e acculturata ed è in grado,

10. L’obiezione della divisione delle classi; i ricchi si istruiscono e i poveri emigrano è più logica chestorica perché, ad esempio, nel 1870 dalla Carnia vanno all’estero 1800 muratori, 1410 braccianti e1062 boscaioli e qualche altro migliaio di persone tra falegnami, tessitori, taglia-pietra, girovaghi, gar-zoni, domestici, sarti e fabbri. Ma si considera “estero” la Carinzia, la Stiria, la Baviera! I 1062boscaioli che vanno solo in Stiria e Corinzia è come se fossero rimasti a casa. Chi, veramente, va lon-tano arriva fino in Germania e in Ungheria sono gli arrotini. Evidentemente l’emigrazione della mon-tagna è prima di tutto emigrazione interna. Probabilmente una società rurale, composta prevalente-mente da contadini, fa emigrare in proporzione più contadini, ma in realtà i veri emigranti sono i figlicadetti che in proporzione ai figli ereditieri sono molto più numerosi in epoca di non controllo dellenascite. Nel 1901 nel Veneto ci sono 277.000 famiglie nell’agricoltura, 121.000 nell’industria, 59.000nel commercio, circa 30.000 interessate nel settore dei servizi e quasi 19.000 che vivono di rendita.Questo è il motivo per cui continuo a sostenere che se ci occupiamo del temperamento di una nazio-ne, di una regione o di una provincia è come se ci occupassimo del carattere di una persona.Chiaramente quando questa persona è in piena infanzia si presenta in un modo e quando è adulta assu-me un altro aspetto, ma il temperamento, se non subisce gravi traumi, rimane riconoscibile.

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14 - Espatri tra ‘800 e ‘900

Vocazione migratoria

alta

bassa

fonte: E. Sori

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superato il problema della lingua, di lavorare o comunque di leggere istruzionianche complesse.Anche negli anni Sessanta il rimpatrio degli immigrati italiani rivelerà caratteristi-che culturali che disegneranno il tipo di sviluppo del Nordest: dai paesi tedeschi tor-neranno coloro che impianteranno il distretto dell’occhialeria nel bellunese, adesempio. Ma già negli anni Cinquanta i dati sui comportamenti della popolazione(alfabetizzazione, fecondità, suicidio) segnalavano le province pronte al nuovo svi-luppo economico e quelle più attardate.

Il decollo culturale del Nordest all’inizio del Novecento segna subito, anche, lapropria affermazione con il primo Papa nato in queste province; viene, infatti, daRiese Giuseppe Sarto che diventerà Pio X. Leggeremo il decollo culturale di unaprovincia anche per gli uomini di prestigio che sa dare, per il contributo che offreall’umanità intera in tutti i campi e in ogni modo e non soltanto per il reddito pro-capite che genera. Ogni provincia nordestina, come ogni angolo di mondo, amodo suo ha una propria particolarità che la distingue dalle altre e allo stessotempo ne fa una necessaria partner complementare. I ritmi di sviluppo, ma anchele caratteristiche che nei secoli si ripetono, sono la prova di questa identità e di ciòche potrebbe essere di molto valorizzato con una maggiore consapevolezza senon fosse oppressivo l’imperativo - fortunatamente soltanto mediatico e di chilotta per il potere - dell’omologazione al solo più alto reddito pro-capite. Cosache, tra l’altro, non si verifica.Il Nordest è il segno di una combinazione tra famiglie complesse, cattolicesimoorganizzato, crescita dell’alfabetizzazione. Nel 1871 soltanto Belluno (ma ancheTrento e Bolzano) si distingueva per l’alfabetizzazione generale, e ancora nel 1901rimanevano indietro Venezia, Padova e Rovigo. In pieno fascismo non cambia niente se non un leggero progresso generale, soprat-tutto delle donne, e soltanto nel 1971 tutto il Nordest è ormai completamente alfa-betizzato. I più analfabeti resteranno gli occupati nell’agricoltura, gli addetti ai ser-vizi domestici e quanti risultano “di condizione non professionale” (23% circa).L’alfabetizzazione femminile, rispetto al Nordovest, è andata a rilento. La famigliastirpe ha un’impronta più maschilista e quindi ha penalizzato le donne che sono par-tite svantaggiate: a fine Ottocento soltanto la provincia friulana ha una maggioran-za di alfabetizzate donne sul totale. Nel 1911, comunque, sanno leggere e scriverea 10 anni, dal 90 al 95% dei vicentini, dei bellunesi e dei friulani. Sono tutti abili peril lavoro e possono cominciare a leggere anche istruzione di macchinari più com-plessi. Possono leggere volantini, titoli di giornali, catechismi, indicazioni semplici.

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Nel trevigiano nel padovano e nel veronese sanno leggere e scrivere dall’85 al 90%dei bambini. Venezia è attardata sul 75% e Rovigo sull’80%.

Il diplomato e la diplomata… tecnici

Tra il 1951 e il 1961 le donne superano il 50% nelle scuole di avviamento profes-sionale solo a Bolzano e Trieste. Le maggiori frequenze delle donne, nei licei, sonosempre a Trieste, ma anche a Gorizia e nel Veneto si distinguono solo Vicenza eVenezia. Tra tutti la percentuale sopra il 50% degli iscritti agli istituti tecnici e magi-strali la riscontriamo solo a Vicenza, Belluno e Trieste. In tutto il Nordest, nel 1991,coloro che hanno la licenza media, in percentuale, hanno ormai raggiunto i posses-sori di licenza elementare. E’cominciata la parabola ascendente dell’istruzione alta.In Trentino-Alto Adige in trent’anni i laureati sono triplicati e le donne laureate piùche raddoppiate. I diplomati sono più che quadruplicati. In Trentino-Alto Adige e inFriuli-Venezia Giulia, nel ’91, le donne diplomate sono ormai il 50% del totale. Solo il Veneto è più attardato11. Sarà così anche nell’impiego delle donne nei servi-zi: le due regioni superano il 50% agli inizi degli anni Sessanta mentre il Veneto haqualche anno di ritardo. In Trentino-Alto Adige dal censimento del ’61 aumentanole percentuali di tutti i livelli di studio. Per la popolazione con più di 6 anni, soprat-tutto nell’ultimo decennio, media inferiore ed elementari raggiungono la stessadistribuzione percentuale nella popolazione. Il livello dell’alfabetizzazione si è generalmente e costantemente alzato. Nel Veneto rimane una leggera maggioranza di coloro che hanno la licenza ele-mentare rispetto alle medie. Negli ultimi vent’anni crescono molto i diplomati. Lasocietà è più differenziata: nel ’91 i laureati superano la percentuale dei diplomatidel ’61. Le donne laureate raggiungono la stessa percentuale sul totale delle donneche avevano la licenza media nel ’61 (35,8%). In Friuli-Venezia Giulia i diplomati nel ’91 sono tanti quanti erano coloro che ave-vano la licenza media nel ’71. E’facile prevedere che prima in Friuli-Venezia Giuliae poi altrove la percentuale di laureati nella popolazione sarà uguale alla percentua-le di diplomati nel 1961.

11. Nel capitolo sull’economia spiegherò perché una società più industrializzata e più flessibile nellaforza lavoro ha bisogno, proprio per gestire la flessibilità, di forza lavoro alfabetizzata ma non istrui-ta ad alti livelli. In forma attenuata questo si verifica nelle differenze tra il Veneto e le altre due regio-ni del Nordest. Flessibilità e formazione si contraddicono.

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Tutta la popolazione gode di un livello di istruzione, indubbiamente, alto soltantorispetto a trenta-cinquant’anni fa.Il Veneto, in questa comparazione, appare meno lineare e, si distingue per un asset-to complessivo meno egualitario: la scolarizzazione bassa e quella alta misurano,tra loro, una divergenza più alta che non nelle altre due regioni. Resta, comunque, difficile considerare ora la vera evoluzione dell’istruzione nontanto per la mancanza di dati più o meno omogenei, quanto per la differenziazionestessa dei cicli di istruzione. Saper leggere e scrivere è semplice da quantificare maanche da spiegare: si passa dalla dipendenza all’individualità, dalla esclusioneall’inclusione nel sapere collettivo. Ma comparare o studiare i percorsi di studio ele conseguenze diventa difficile per tutti. Qualche dato su quanto dicevamo a proposito dei diversi percorsi scolastici: la lorodifferenziazione a metà degli anni Novanta, risulta marcata riguardo il tasso di sco-larizzazione per fasce d’età, nella fascia dei 18 anni abbiamo un tasso di scolariz-zazione del 54,4% per il Trentino-Alto Adige rispetto al 69,3 del Friuli-VeneziaGiulia e al 61,1 del Veneto. Una differenza di oltre 15 punti tra Friuli-Venezia Giuliae Trentino-Alto Adige!Si percepisce anche un vistoso spostamento dagli istituti tecnici e professionaliverso i liceali. In Friuli-Venezia Giulia è sovradimensionata anche l’offerta di scuo-le magistrali; evidentemente un retaggio dell’istruzione professionale femminileche la nuova mentalità sta smantellando. Già nel decennio ’51-’61, infatti, Gorizia,Trieste e Bolzano avevano una percentuale tra il 40 e il 45% di donne frequentantile magistrali. Nel Nordest quando attecchisce l’istruzione il modello famigliare dominante sce-glie l’“istruzione utile” e manda i figli alle scuole professionali e tecniche e le figlieagli istituti magistrali. Il Veneto è la regione con vocazione più professionale e tec-nica e infatti dimostra un sottodimensionamento alla scelta dei licei anche rispettoal resto d’Italia. Nel Nordest, comunque, quando si inizia un ciclo di studi si tendea finirlo. Nel tempo è cresciuto anche il passaggio dalla scuola dell’obbligo allascuola superiore; attestato ormai al 90%. Al 2000 il Nordest arriva con un’istruzione prevalentemente tecnica, in senso lato(decisa, tra l’altro, già dall’impero asburgico), come il carattere del Nordest impo-ne, e utile per il lavoro quotidiano. Ma la prospettiva è già cambiata ed è già per-cepibile lo spostamento generalizzato verso l’istruzione liceale anche se il sistemacontinua ad offrire una maggiore presenza di docenti per gli studenti tecnici e pro-fessionali rispetto agli altri. Nel Nordest il rapporto medio tra docenti e allievi è di uno ogni 10 per i tecnici-

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12. http://www.edscuola.it/archivio/statistiche/conoscere_02.pdf

professionali e uno ogni 12/14 allievi per i licei. Di conseguenza la percentuale inpiù, rispetto alla media italiana, di uscita più precoce dalla scuola superiore è dovu-ta anche alla maggiore frequenza di cicli intermedi previsti dall’ordinamento sco-lastico (i tre anni di professionali dopo le medie inferiori). Ma gli studenti e le stu-dentesse nordestine che decidono di frequentare i licei (compresi gli artistici e magi-strali!) mostrano esiti nettamente favorevoli: i maturi superano l’85% di coloro chesi sono iscritti ai licei e il 75-80% per i tecnici-professionali. Il percorso licealeappare chiaramente come quello destinato anche ad una continuazione degli studiin ragione di una maggiore specializzazione successiva di livello universitario. Vaaggiunto, considerando gli studi sulla mobilità sociale dovuta all’istruzione, chenelle classi più basse il percorso scolastico è deciso dal livello culturale della fami-glia di origine, ma quando si arriva ai livelli più alti la prestazione scolastica èinfluenzata molto di più dal livello economico della famiglia. E dunque in unNordest ricco c’è da aspettarsi alte prestazioni scolastiche nel prossimo futuro.L’insegnamento elementare è stato fondamentale per avviare l’industrializzazionee non a caso proprio Vicenza - che risulta essere la provincia più ricca del Nordest- è in testa alla classifica per il migliore insegnamento elementare ed una delleprime città d’Italia per presenza di bambini e bambine extracomunitari a scuola12. Treviso, agli inizi degli anni Settanta, assieme a Verona, Trento e Bolzano, si pre-sentano come le uniche province, non solo del Nordest, ma di tutta Italia, comequelle con la più alta percentuale di licenza elementare al decimo anno di vita(figura 15).Tutti questi sono coloro che dal 1991 hanno trenta-quarant’anni. Queste province,infatti, sono state le protagoniste del Nordest degli anni Novanta. Ma nel 1971 queste che sono le province più avanzate per l’istruzione elementare,sono anche quelle più attardate sull’istruzione media superiore. Confrontando ledue cartine (figura 15 e 16) abbiamo una sorprendente sovrapposizione. Il Nordestdi oggi, flettente, un pò depresso, in stato di panico e agitazione è dovuto ancheall’effetto di questa scelta: i quarantenni di oggi sono attardati sull’istruzione ehanno qualche sfasatura nell’esame di realtà. L’industrializzazione degli anni Sessanta ha frenato la crescita possibile del primodecennio del 2000.Da metà anni Novanta, però, il blocco tra Vicenza e Udine, compreso Rovigo, hagià ripensato la propria destinazione futura e ritroviamo percentuali, tra le più alte

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15 - Licenza elementare (1971)

Percentuale al decimo anno di età

oltre il 90%

tra l’85 e il 90%

tra l’80 e l’85%

meno dell’85%fonte: Istat

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16 - Licenza di scuola media (1971)

Percentuale di diplomati alla media inferiore ( su popolazione 14 anni)

più di 40% (solo la provincia di Trieste)

tra il 30 e il 40%

tra il 25 e il 30%

tra il 20 e il 25%fonte: Istat

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del Nordest, di iscritti alle scuole superiori sulla popolazione di 14-18 anni. IlNordest, dunque, ha già deciso il proprio profilo del 2015-2020 e sarà sviluppatosoprattutto nel blocco Treviso-Belluno-Vicenza (ricordate gli inizi del secolo scor-so?) e in tutto il Friuli-Venezia Giulia (figura 17).

L’insegnante è mamma, ma soprattutto persona

Il Nordest non seleziona durante il periodo dell’obbligo ma seleziona più tardi con-fermando una propensione all’educazione e alla trasmissione dei valori negli annifondamentali dell’apprendimento. Se gli anni necessari per l’apprendimento siallungano si allunga anche il periodo dedicato all’istruzione. Il tasso di alfabetizza-zione, dunque, misura il grado di sviluppo di una società. Non solo, ma le regionidel mondo dove si sa più leggere e scrivere sono accumunate da un un’elevazionedell’età al matrimonio delle donne. I due dati sono legati da una stretta correlazione il che significa che lo statuto delladonna, il grado di bilateralità di una società, sono i presupposti fondamentali per laprogrammazione del progresso. La correlazione non significa, all’inverso, che seaumenta l’età al matrimonio aumenta l’alfabetizzazione, ma, più semplicemente,che i due fenomeni fanno parte di uno stesso movimento strutturale: se globalmen-te aumenta l’istruzione femminile significa che sta aumentando la quantità di tempoper l’apprendimento. Non è detto che questa quantità di tempo non sia organizzabile in modo diverso, maquesto, per ora è un altro discorso. Sicuramente ciò è attribuibile alla donna è la crea-zione di un clima educativo, di cura dei figli nella disciplina mentale e sociale, nellepre-condizioni perché, poi, la scuola possa essere utile. Là dove l’età al matrimonio delle donne cresce e si abbassa la differenza di età tragli sposi significa che la donna non è più trattata come una bambina e che la rela-zione tra gli sposi non è di tipo autoritario ma bilaterale, più equilibrata. L’innescodi questo processo porta, inevitabilmente, per l’accorciarsi del periodo fecondonaturale, ad una correlazione dell’abbassamento del numero di figli per donna. Oggi siamo ad una media di 1,1 mentre, in tutto il Nordest, negli anni Sessanta era-vamo ancora a 2,6 figli per donna. La famiglia stirpe si adatta velocemente ai nuovi processi ed è probabile che il trenddurerà per lungo tempo. Nel Nordest una presenza costante della donna nella fami-glia ha assicurato nell’ultimo secolo una forza efficace nel sistema educativo. Chesi tratti di un processo culturale appare evidente se pensiamo che in Veneto, alla fine

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17 - Iscritti alle medie superiori (1997)

Iscritti alle medie superiori su popolazione 14-18 anni

più del 90% (solo Trieste e Gorizia)

tra l’80 e il 90%

tra il 70 e l’80%

meno del 70%fonte: Istat

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dell’Ottocento, il numero delle donne attive in agricoltura era di 60 ogni 100 uomi-ni. Nel 1881 le donne, in tutta Italia, impiegate in agricoltura erano il 27,5% sullapopolazione attiva, nel 1901 il 24,9% e nel 1911 il 21,7%. Le donne in “condizio-ne non professionale” (casalinghe!) passano dal 49,5% nel 1881 al 62,6% nel 1911.Nello stesso periodo il Veneto, come risulta dai censimenti, ha la percentuale più altadi famiglie con il più alto numero di componenti, 5,5 e anche la speranza di vita èla più alta d’Italia; 60,9 anni per un veneto contro i 56,7 di un piemontese o il 58,4di un marchigiano o, addirittura, 47,8 di un napoletano o 46,3 anni di un sardo.C’erano quasi 15 anni di differenza tra un nordestino e un meridionale! Segno cheanche l’Italia meridionale, nel frattempo, ha fatto grandissimi passi avanti.Insomma l’affrancamento della donna dal lavoro agricolo va di pari passo con lacrescita dell’alfabetizzazione e con il contenimento delle nascite. E anche la psicologia deve cambiare.Lopez scrive: “secoli di pregiudizi cristiani, basati sull’identificazione tra ses-sualità e procreazione (fatti propri anche da una parte della psicoanalisi)! Lavalorizzazione della femminilità basata sull’utero. E se la donna non ce l’ha, onon può usarlo, non vale niente? E se lo usa, al massimo quattro volte durantela sua esistenza, vale solo per questo? Il valore della donna e forse condiziona-to dai capricci della natura e da quelli dell’uomo? Il solo modo di annullare unosvantaggio storico-sociale nei confronti dell’uomo è una rigorosa comprensio-ne psicoanalitica del problema. Da un lato, il gallicismo imperante significa lariduzione dell’uomo e della donna ad animali d’armento, dall’altro, questa com-prensione implica che una nuova valorizzazione della femminilità della donnaè necessario che avvenga, sia a livello del corpo, come conseguimento di unorgasmo pieno e totale, sia a livello della sensibilità e dell’intelligenza, che nellasocietà contemporanea si sono dimostrate, se non superiori, per lo meno pari aquelle degli uomini. L’emancipazione della donna, come integrità e totalità,come individuo di genere, è decisiva per la liberazione dell’uomo dal branco ela sua maturazione di persona.” Nel 1961 la modernità aveva rimodellato tutto il Nordest, ma sulle strutture di basegià esistenti. Se venti, trenta anni dopo i mezzi di comunicazione di massa assume-ranno un’importanza decisiva per il destino di tutto il Paese tanto da ritrovarsi conun Presidente del Consiglio proprietario di un impero mediatico fatto di televisionie giornali, in quegli anni il Nordest ha già deciso su chi, questi mezzi, avranno piùinfluenza. La radio aveva una lunga storia e in tutte le province, all’inizio degli anniSessanta, è il mezzo ancora più diffuso. Trieste, Gorizia, Rovigo e Bolzano hannoil numero più alto di abbonamenti alla radio ogni 1.000 abitanti. Treviso il più basso.

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Ma il numero degli abbonamenti alla televisione, in relazione a quelli alla radio,porta in testa alla classifica dei più aggiornati i veneziani, i triestini, i padovani, irodigini e i veronesi. Preferiscono ancora la radio, invece, a Bolzano, a Trento, aUdine, a Belluno, a Gorizia e Vicenza. Anche in questo caso Treviso è in bilico. Lapartenza lenta della famiglia stirpe si vede anche da qui. La famiglia più modella-ta su basi di liberalità e uguaglianza si stacca prima dalla tradizione, sposta imme-diatamente l’attenzione dal passato al futuro, è più sensibile alle sollecitazioni. Lafamiglia stirpe è più cauta, ponderatrice, deve prima convincersi seriamente perpoter assimilare la novità; per un certo qual modo è più tradizionale e adulta, men-tre l’altro tipo di famiglia è più moderna e giovanile.

Il Purgatorio che verrà

Secondo alcuni storici13 le rivoluzioni sono annunciate, in età moderna e contem-poranea, dal superamento del tasso di alfabetizzazione maschile generale del 50%.Un dato comune, infatti, alla rivoluzione inglese, francese e russa è la coincidenzadelle rivoluzioni con l’aumento dell’alfabetizzazione maschile. E’ anche intuitivoassociare una maggiore capacità di connessioni e di possibilità di lettura e scritturaall’impennata di democratizzazione ed eguaglianza che si diffonde quando vienesuperato un certo livello di cultura. Ma il tasso di alfabetizzazione è anche distri-buito all’interno di una società data e quindi differenzia ancora di più coloro checontinuano a vivere in un contesto di trasmissione orale, con intermediari necessa-ri, da coloro che possono accedere, singolarmente, ai testi sia nella scrittura chenella lettura. Il mediatore, colui che sa leggere e scrivere, nel Nordest il prete cattolico, diventadominante per la trasmissione delle ideologie e anche delle amministrazioni civili.Dal monopolio del sapere si passa lentamente alla democratizzazione. Il passaggioporta con sé anche le turbolenze nei confronti dell’autorità e una relativizzazionedei costumi sociali e in particolare di quelli sessuali. Emmanuel Todd riassume così questo passaggio: “L’alzarsi dell’età al matrimonioassociato al processo di alfabetizzazione implica un maggiore ascetismo sessuale,accompagnato da aggiustamenti e turbe psicologiche corrispondenti, fenomeno giàosservato dagli storici che si sono occupati dell’Europa del Sedicesimo eDiciassettesimo secolo. La diffusione dei metodi contraccettivi suppone, invece,

13. L’inglese Lawrence Stone, ad esempio.

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l’alfabetizzazione delle donne e non soltanto quella degli uomini, e segue general-mente, dopo un certo periodo, variabile secondo il ritmo dell’alfabetizzazione incorso, il processo rivoluzionario. La rivoluzione politica, che dipende dal tasso dialfabetizzazione maschile, precede, in generale, il taglio del tasso di natalità, chedipende, a sua volta, dal tasso di alfabetizzazione femminile, negli alti e bassi deltempo. La diffusione di un’ansia a fondamento sessuale complica i processi di vio-lenza innescati per la destabilizzazione dell’autorità e delle élites anziane.”Il Nordest passa la linea dell’alfabetizzazione maschile all’inizio del secolo scorsoquando si affermano, più o meno in modo violento, le due ideologie tipiche dellafamiglia stirpe: il socialismo, in tutte le sue varianti e il popolarismo. Poi ci sarà ilregresso ancor più violento e drammatico nella guerra e nel fascismo (… questa èpiù una storia nazionale) ma per quanto riguarda il Nordest una pressione, chedurerà più di quarant’anni, di tipo etnocentrico sulle questioni di Trento e Trieste epoi di Bolzano e quindi il fenomeno delle leghe.A titolo indicativo mi pare di poter vedere, nel Nordest, una evoluzione ciclica cheparte, dapprima, con la modificazione della mentalità e della cultura, alla quale,dopo un certo periodo, segue una turbolenza politico-istituzionale, più attinente allagestione del potere e infine, alla maturità del cambio di mentalità e all’avvio di unnuovo assetto politico, segue una fase di stabilizzazione e di progresso dell’econo-mia. Se questi cicli, considerati dall’unità d’Italia ad oggi sono corretti, in questi annidovremmo trovarci in una fase di evoluzione di una mentalità nuova che ha presol’avvio dai primi anni Novanta e verrà a maturazione tra il 2010 e il 2015. Intanto è in atto una turbolenza in ambito politico e istituzionale per una definizio-ne di una nuova rappresentanza. Questo ciclo dovrebbe creare i suoi primi risultatigià durante i prossimi cinque anni per concludersi, poi, nel 2030. Intanto si sta esau-rendo l’andamento economico iniziato negli anni Ottanta e che ha prodotto il boomeconomico degli anni successivi non solo nel Nordest. Se così sarà la cosiddetta ripresa economica, di cui oggi tanto si spera, dovrebbecominciare ad innescarsi tra il 2010 e il 2015. E’ evidente che gli andamenti saran-no più o meno accentuati o stagnanti, ma noi, qui, parliamo di una nuova strutturacomplessiva di mentalità, di istituzioni e, quindi di mercati.E’ come confrontare il periodo fascista a quello precedente, oppure il periodo delladestra e sinistra storica tra Ottocento e Novecento a quello del dominio democri-stiano del secondo dopoguerra. O anche come se volessimo confrontare, senza tene-re conto della mentalità, degli assetti istituzionali o di rappresentanza politica, deltipo di sviluppo il boom degli anni Sessanta con quello degli anni Novanta.Ad esempio ipotizziando un aumento costante della scolarizzazione superiore la

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domanda, tra le più importanti, alla quale bisogna azzardare già una riposta è: cosasuccederà quando la maggior parte della popolazione avrà il diploma di scuolasuperiore?E’ possibile un aumento sincronico della richiesta di pari opportunità con una mag-giore strutturazione generale fondata sulla mentalità più inegualitaria. Allo stessotempo anche una maggiore incidenza delle autorità nazionali e locali in funzionegestionale più che di comando. Più Stato e più opportunità.La percezione di aver studiato, di aver dedicato una lunga parte della vita all’ap-prendimento di base, di avere quindi necessità di mettere a frutto queste maggioriconoscenze può indurre ad un tentativo, generalizzato, di differenziazione. Le modalità dei percorsi, il tipo di studi scelto, le aspettative della famiglia e del sin-golo porteranno, sicuramente, ad un aumento del lavoro più qualificato e corri-spondente ai propri standard mentali e culturali. L’aumento del lavoro più qualificato significa anche l’invenzione di nuovo lavoronon soltanto la richiesta. Il sistema avrà quindi la necessità di enti organizzatori piùefficaci e, direi autorevoli, per il coordinamento. Ovvero, veramente, di altre men-talità amministrative.Se le prime fabbriche somigliavano, tra fuochi e ferro fuso, fiamme e polveri, piùall’inferno che alla terra, il prossimo lavoro somiglierà sempre di più alla cittàdell’Uomo con meno materia da plasmare e più simboli da manipolare. Se dall’inferno si poteva uscire soltanto metaforicamente e sperando in Dio, ora senon sarà un Paradiso, qui, si potrà almeno pensare che non sarà più “una selva oscu-ra” e selvaggia che solo a pensarci viene paura. Potrà bastare anche soltanto pensare che sarà un Purgatorio dove “per correr miglio-ri acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sìcrudele; e canterò di quel secondo regno, dove l’umano spirito si purga e di salire alciel diventa degno”.

Il sano egoismo è l’associazionismo

La secolarizzazione, l’alfabetizzazione, la successiva disgregazione delle ideo-logie, trova comunque una soluzione di contenimento anche per chi è menoemancipato e maturo. Come dimostrano studi approfonditi e dati recenti, anche solo di tipo giornali-stico, può aumentare la violenza nell’apice dei turbamenti politici, di cambi dimentalità, ma nel medio-lungo periodo si ottiene sempre una diminuzione delle

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offese gravi, sia alle persone che ai patrimoni14.La carità, la contemplazione e la mobilitazione attorno alla sofferenza, trovano sboc-co nella proliferazione dell’associazionismo. Non è mia intenzione infierire nei con-fronti di nessuno e mi conforta un aforisma di Lopez secondo il quale, di solito, “nonha ragione né l’opinione comune né quella dell’esperto”. Ma, piuttosto, resta la convinzione che solo con la critica costruttiva reciproca si rag-giunge il giusto equilibrio. Questo perché voglio dire che l’associazionismo è lode-vole, ma è anche luogo di compensazione di traumi. Così come la parrocchia, conil prete, offriva a tutto tondo un luogo di compensazione tra la salute e la malattia,oggi il ruolo è spostato sulle associazioni che, come ci ha già detto monsignor DalFerro, è il nuovo luogo dove la Chiesa, vittima della secolarizzazione, ha deciso diesercitare il proprio operato. La compassione è il più crudele fra tutti i sentimenti perché corrompe, fiacca e avvi-lisce la mente. “L’altruismo – scrive sempre lo psicanalista Davide Lopez – tantopiù compassionevole quanto più feroce è l’egoismo mistificato e compensato, ottie-ne risarcimento narcisistico per la forzata rinuncia all’egoismo, mantenendo per-manentemente debitori i derelitti assistiti e nutriti. Solo il sano egoismo è veracealtruismo.”Nel periodo preindustriale e appena industrializzato “ogni famiglia tendeva a vive-re le disuguaglianze come un ‘dato di fatto’ immodificabile” e la solidarietà umanasi esprimeva “tradizionalmente come ‘carità’, cioè come espressione di un senti-mento di bontà e di amore per gli altri, e non in termini razionali e immanenti” 15.Se questa mentalità produce differenziazione e l’assistito viene spinto fuori dallafamiglia e chiuso in istituzioni ben circoscritte (orfanotrofi, conventi, manicomi,sanatori ecc.), la mentalità successiva, sostanzialmente a partire dagli anni Sessanta,scopre il bisogno soggettivo e tenderà, piuttosto, a negare le differenze per cui i vec-chi si chiameranno anziani; i matti disabili mentali; gli storpi handicappati. La carità,che assumeva anche aspetti privati e personali in funzione, sempre, del GiudizioDivino, cominciava a dare il passo al servizio pubblico e quindi al Welfare. Su queste questioni ci sono molti studi complessi ma una cosa è chiara: anche l’as-sistenza è prima di tutto di tipo culturale e ha un valore di prestigio prima che eco-nomico. A Vicenza, ad esempio, negli anni Settanta, il servizio pubblico, aperto atutti, di scuola materna ha un’offerta eccedente di circa 800 posti. Il motivo? Le

14. Si veda per farsi un’idea Jean-Claude Chesnais – Storia della Violenza - Longanesi.

15. Renzo Scortegagna, “Riforme, innovazione, immobilismo” Patron Editore - 1981.

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famiglie preferiscono mandare i figli alle scuole private, ancora gestite da persona-le religioso, prevalentemente in centro città, anche in zone distanti dalla propria abi-tazione. La trasmissione dei valori di base e le considerazioni di status vengono rite-nute più importanti del servizio in sé. Dunque anche l’offerta di assistenza ha caratteristiche particolari e legate prima allamentalità e alla cultura che non alle concrete necessità economiche o di salute. Iltasso di iscrizione alle scuole materne pubbliche, a tutt’oggi, nel Veneto è moltobasso rispetto a quello del Friuli-Venezia Giulia; 30,4% contro il 53,6%.La ricerca del professor Renzo Scortegagna sull’offerta dei servizi sociali aVicenza, a metà degli anni Settanta, credo possa valere ancora per le conclusioniche debbono essere lette in senso antropologico più che di critica agli apparatipolitici e amministrativi. Scrive il docente padovano: “Si determinerebbe così un flusso circolare tra le varia-bili, in quello che si può chiamare ‘spazio politico’, che assicurerebbe un’autono-mia relativa allo stesso momento politico, prescindendo sostanzialmente dalla‘domanda sociale’”. Ovvero l’intervento politico-amministrativo è autoreferenziale e non produce nes-sun effetto concreto sulla domanda sociale che si origina dalla famiglia e dal suosistema. Il sistema politico-amministrativo gestisce un altro ordine di problemi men-tre le questioni reali è la collettività stessa che le elabora nella trasformazione dellamentalità.La collettività è sempre antropologicamente sana nel periodo storico dato ed è sem-pre capace di scegliere la strada migliore, di fare il compromesso più alto e menodevastante per se stessa. La critica al padre, al passato, se il mondo esiste ancora, non può non essere bene-vola e comprensiva proprio perché pone il figlio che diventerà, a sua volta, padrenella condizione di potersi emancipare liberamente e anche trasformarsi completa-mente nella pacificazione.L’inutilità di un certo tipo di politica (soprattutto in una società sana) ha quindi, pre-valentemente, una funzione di ammortizzatore sociale per lo scambio tra le menta-lità tra le nuove e le vecchie generazioni e per la compensazione, a livello simboli-co, degli interessi contrastanti. La percezione che la politica serva “solo a far perde-re tempo” è corretta proprio perché c’è bisogno di tempo perché qualcosa cambi…da sé.Dal punto di vista più pratico, escludendo i totalitarismi di tutti i tipi, è anche dimo-strato che, a livello nazionale, la dinamicità sociale ed economica è proporzionalealla distanza dal centro politico e amministrativo. Tradotto si potrebbe sostenere che

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più si è distanti dalla capitale più si potrà realizzare la propria identità culturale, eco-nomica e sociale in pieno. Ma la capitale serve, appunto… per poter dare tempo altempo. La regola sarebbe attinente anche per il Nordest regione d’Italia tra le piùdistanti dalla capitale politica16.

Il rapporto del febbraio 2003 sulla scuola non statale del Ministero dell’Istruzionedice che i livelli medi di affollamento delle scuole private “sono significativamentepiù bassi nell’istruzione media e superiore rispetto a quanto avviene nella scuola sta-tale, ma simili nelle scuole dell’infanzia e nelle elementari: ciò a significare un’af-fluenza alle scuole non statali più omogenea nei cicli di istruzione primaria a quel-la delle statali. I dati confermano la prevalenza numerica degli alunni della scuolastatale in ogni area geografica, ma specie nel Sud e nelle Isole; mentre spicca il pesodell’istruzione non statale nel Nord tutto. In tale area il contributo maggiore scatu-risce dalla Lombardia e dal Veneto. La Lombardia detiene anche il primato inentrambi i tipi di gestione in termini di consistenza di alunni, mentre la popolazio-ne scolastica del Veneto è solo la sesta in Italia. La situazione registrata nel Venetoè quindi senz’altro singolare, si pensi soprattutto all’infanzia, tipo di scuola in cui,nella regione, ben oltre la metà dell’utenza complessiva (68,58%) si ritrova nellescuole non statali, ma anche in Lombardia non è solo l’elevata densità di popola-zione scolastica a favorire la domanda di istruzione non statale, che peraltro si atte-sta ben oltre la media nazionale in tutto il Nord; ciò varrebbe a maggior ragione sesi considerassero gli ulteriori apporti della regione Valle d’Aosta e delle provinceautonome di Trento e Bolzano.” Tradotto significa che nel Nordest persistono lecondizioni di cui scriveva il professor Scortegagna nell’indagine centrata suVicenza; ovvero che si tratta di una scelta che dovrebbe assicurare una certa tradi-zione di valori. La scuola privata agisce soprattutto sui bambini negli anni pre-scolari, salta le ele-mentari, e li riprende nella pre-adolescenza - nei periodi cruciali della formazione -ha una percentuale più bassa di bambini handicappati e di extracomunitari, ma hapercentuali più alte di anticipo sugli anni scolastici. In Veneto le percentuali di anticipo scolastico sono del 2,12% e in Friuli-VeneziaGiulia del 6,57% nella scuola non statale e rispettivamente dello 0,69% e 0,41%nella scuola statale. Inoltre la scuola non statale è più generosa nelle promozionisoprattutto nelle classi prime di passaggio: prima media inferiore e prima mediasuperiore. Nelle superiori, comunque, è “più buona” sempre, promuove con più

16. Per questo si vedano soprattutto i primi testi di Emmanuel Todd.

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facilità, tutti gli anni.Insomma la scuola privata è un’oasi di privilegio nella quale, il fatto stesso di esser-ci, avvalora nei bambini e nelle bambine “l’istinto” dell’ineguaglianza. Si tratta diun sistema che ha incidenza sul 7-8% degli alunni complessivi. Cosa di più attinente al temperamento del Nordest?

Per tornare al volontariato, non bisogna confondere la generosità e la nobiltà dellapersona con l’oblatività e la dedizione inesauribile dell’individuo (o anche della col-lettività) “dominato dalla collusione narcisismo-masochismo, dell’individuo cosid-detto umanitario. Quanto più estrema è la dedizione al compito di aiutare col sacri-ficio di sé individui deboli e questuanti, ma anche subdolamente perversi e malva-gi, tanto più è possibile dedurre e svelare con la comprensione dei doppi ruoli finoa che punto l’individuo abbia sviluppato da bambino l’ideale di genitori buoni edediti, fino al sacrificio di sé. Costui, da adulto, impersona quel falso sé iperbolico che si lascia vampirizzare dal-l’altro sé infantile, debole ma anche vorace, che pretende ora, nel gioco drammatiz-zato dei doppi ruoli, il dissanguamento e l’olocausto di coloro che lo hanno genera-to, nutrito, accudito. Dunque, l’umanitarismo è la maschera stessa del sadismo” 17.Paradossalmente soltanto chi ha un “vero carattere delinquenziale” ha più alte pos-sibilità di guarigione. “Sia dal punto di vista teorico – spiega Lopez – sia da quello clinico, cioè dei risul-tati terapeutici, solo il delinquente che ha conservato l’ideale delinquenziale anchedopo la cattura (ciò potrebbe scandalizzare i benpensanti e coloro che si dedicanoappassionatamente alla creazione di istituti sociali per la redenzione dei delinquen-ti), quello che non è incline alla sottomissione dinanzi alla autorità e che conservauna sua dignità di fronte ai tentativi di riformarlo, ha una certa potenzialità di otte-nere risultati positivi dalla psicoterapia.”Potrebbe valere anche per la Chiesa ciò che abbiamo scritto per la politica?Assecondare nella collusione narcisismo-masochismo una serie di categorie di per-sone significa, semplicemente, giocare un ruolo simbolico di reciprocità piuttostoche un intervento di sana, egoistica e vera e propria emancipazione?Paradossalmente se consideriamo la traiettoria storica verso una sempre più altaemancipazione e una sempre più sana reciprocità tra gli esseri umani la risposta civiene dalla stessa Chiesa cattolica. I movimenti e i gruppi associati più numerosi, negli anni Novanta, e in crescita negli

17. Davide Lopez – Il mondo della persona – Ed. Raffaello Cortina.

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ultimi trent’anni, infatti, non sono quelli legati ad handicap o alla “carità” religiosao sociale che sia, ma quelli riferiti allo sport e al tempo libero. Si tratta degli scout18 che dal 1966 al 1990 passano da 7.720 iscritti a quasi 22.000.Il CSI, Centro Sportivo Italiano, in Veneto quadruplica gli iscritti in vent’anni e ametà degli anni Ottanta conta 52.691 tesserati. Calano consistentemente, invece, gliiscritti all’Azione Cattolica da 560.000 del 1964 ai circa 80.000 degli anni Novanta.I comportamenti di fatto, evidentemente, come abbiamo notato anche nella valuta-zione di un carattere sono decisivi e hanno più valore delle dichiarazioni. Negli ulti-mi tempi il sondaggismo ci ha abituato molto di più alle dichiarazioni e alle analisidi queste piuttosto che alla misura dei comportamenti reali. Ma è comunque un eser-cizio utile riuscire a distinguere le dichiarazioni dai comportamenti reali.E’ chiaro che il dato della frequenza alla messa, reale, è molto più forte di quellodella semplice dichiarazione. Così come è evidente che il ritenere la Chiesa un’isti-tuzione di fiducia è una dichiarazione che può facilmente superare il 60-70% anchein contesti non religiosi. Mentre un dato interessante, e che si ripete nel tempo, riguarda la presenza, propriodella parrocchia, intesa anche come luogo ricreativo e di aggregazione. Ebbeneun’indagine divulgata dal Gazzettino il 2 novembre 1998 rivela che “la Chiesa con-tinua a riscuotere un forte consenso come istituzione sociale, e come sistema di ser-vizi, mentre mantiene un credito decisamente più limitato sotto il profilo dell’orien-tamento etico e dei valori”. La direzione scelta dalle alte gerarchie della Chiesa stessa viene confermata e riba-dita periodicamente. Ma, di fatto, la frequentazione della parrocchia ha come acces-sori fondamentali, soprattutto per i bambini e i ragazzi, proprio la trasmissioneinconscia di valori e orientamenti ideali e il servizio viene utilizzato, anche permotivi di prestigio, come abbiamo visto per le scuole materne da praticanti e nonpraticanti. Il sondaggio appena citato, infatti, ci dice che il 47% dei cattolici prati-canti e il 48,9% dei “non praticanti” danno un giudizio “abbastanza positivo” suiservizi delle parrocchie nella propria realtà locale. In complesso il 60-80% tra pra-ticanti e non praticanti ha bisogno di un servizio sociale come quello che, ancoraoggi, offre la parrocchia.Un utilizzo sano ed egoistico della parrocchia, dunque da parte dei nordestini, che

18. Non è un caso che a Vicenza nelle elezioni amministrative del 2003 il candidato dirompente chesi presenta fuori dai gruppi sia di centrosinistra che di centrodestra è Giovanni Giuliari, ex scout, cheutilizza proprio quella organizzazione e quella mentalità per conquistare circa tanti voti quanti quellidella Lega Nord.

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si misura anche con una delle più basse percentuali d’Italia di persone che fannoparte di gruppi o associazioni19.Non possiamo non ammettere, dunque, che l’impegno in un’associazione, quandoè sano, emancipato e non frutto di una corazza caratteriale, si esprime con gentilez-za e senso della sobrietà e solidarietà e, soprattutto, lo si usa perché utile.Negli ultimi vent’anni, al contrario di quanto si intende spesso nell’opinione comu-ne, l’associazionismo ha avuto delle evoluzioni positive e continuerà ad averneverso impegni più razionali, democratici e specifici. Un caso per tutti: nel paneldecennale sui valori e atteggiamenti dei vicentini20 tra gli anni Ottanta e gli anniNovanta la partecipazione dei cittadini di quella provincia ai partiti e ai gruppi socia-li aumenta. Flettono o rimangono stabili la partecipazione ai gruppi religiosi orga-nizzati e a quelli spontanei, ma raddoppiano o quintuplicano le partecipazioni alleassociazioni professionali, ai comitati di quartiere agli organismi scolastici.Raddoppia anche la partecipazione ad associazioni e gruppi per l’assistenza ai mala-ti, ai drogati e agli anziani, ma la percentuale più alta di vicentini dichiara, comun-que, di partecipare a club o gruppi sportivi e ricreativi.Se la partecipazione ad un gruppo sportivo indica la voglia o la necessità di faresport, ad un gruppo professionale il rapportarsi con altri che svolgono il propriolavoro, ai comitati di quartiere per l’interesse per il proprio luogo di vita; cosa indi-ca la partecipazione ad un gruppo di assistenza ai drogati, agli alcolizzati o ai mala-ti? La risposta a questa domanda l’abbiamo già data e mi auguro non disturbi visce-ralmente nessuno, ma piuttosto ponga un problema, eventualmente da dibattere. Iocredo che rifletta un proprio trauma in quell’ambito e che questo dovrebbe essereprima analizzato e reso consapevole e poi, eventualmente, messo al servizio di altri.E’ indubbio che un certo associazionismo sia compensatorio di traumi e sia il sim-bolo della secolarizzazione della carità (di una migliore salute della famiglia) chenella mentalità precedente del Nordest – e non solo – era organizzata e gestita solodal prete. Discorso che, a mio avviso, vale anche per i partiti politici: quando questisono piccoli e raccolgono soltanto delle minoranze è evidente che tendono ad espri-mere con più forza “caratteri”. Quanto più sono grandi tanto più tenderanno adesprimere correnti, gruppi contrastanti e percorsi personali meno omogenei seppu-re coincidenti a grandi linee.

19. Si veda Franco Garelli – Religione e chiesa in Italia – Il Mulino 1991 e anche “Un singolare plu-ralismo” a cura di Garelli, Guizzardi e Pace - Il Mulino 2003.

20. Il mio libro scritto con Giovanna Benatti: “Dio o Dioniso” - Egida 1991.

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Se scorriamo un annuario statistico del 1999 troviamo alcuni dati interessanti sulvolontariato nelle regioni del Nordest. La percentuale delle entrate – dei soldi – che servono per mantenere il mondo delvolontariato solo in Friuli-Venezia Giulia ha una maggioranza di esborsi privati(21,9%). Se sommiamo il dato riguardante l’esborso privato e quello “prevalente-mente privato” otteniamo una percentuale di 64,5% per Bolzano e 65,2% per ilFriuli-Venezia Giulia. Il Veneto è in quasi equilibrio tra risorse pubbliche e risorseprivate mentre Trento assiste con fondi pubblici le associazioni per oltre il 70%. Ilvolontariato, quindi, perde la connotazione di gratuità perché chiede l’interventopubblico e quindi entra, comunque sia, in un sistema di convenzioni, di regole, diritmi e logiche da rispettare. Il volontariato è un aspetto del pubblico e non del pri-vato, è dello Stato e non più della Chiesa21.Un’occhiata rapida alla distribuzione dei servizi evidenzia una preponderanza, aBolzano, di associazionismo sportivo e tempo libero (17,8%) mentre il Friuli-Venezia Giulia è impegnato soprattutto nella ricreazione e intrattenimento (34,3%),nell’istruzione per adulti (10,2%) e in gruppi di sostegno alla ricerca (17,7%).Trento, invece, si distingue per gruppi dediti all’assistenza morale e alla raccolta difondi per opere da realizzare all’estero (12,6%); missionarismo. Ma è ancora ilFriuli-Venezia Giulia che si impone per la percentuale alta di gruppi dediti all’a-scolto telefonico (12%) e all’assistenza legale (8%). I gruppi religiosi di assistenzamorale o formazione religiosa, invece, sono su cifre bassissime che vanno dall’1,7%di Bolzano al 3,6% del Friuli-Venezia Giulia. Il Veneto è minoritario in quasi tuttogli ambiti di servizi offerti dal volontariato tranne nella donazione del sangue dovespicca con una percentuale oltre il 30 quando Trento, che è al secondo posto, è appe-na a quota 6,3%, mentre Bolzano è ferma allo 0.5%. Che si tratti di un retaggio tipico della famiglia stirpe ancorato alla vecchia osses-sione del sangue blu?

21. Per una lettura più sfiziosa su questo argomento: “I pericoli della solidarietà” di Sergio Ricossa,ed. Rizzoli

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Democrazia cristiana, socialismo ed etnocentrismo

Le quattro tipologie di famiglia prevalenti in Europa generano sistemi ideologicidifferenti tutti riferiti a tre grandi ideologie: socialista, nazionalista e religiosa rea-zionaria. Sintetizziamo il risultato di ricerche storiche e antropologiche complesse: la famiglia nucleare egualitaria è fondata su valori di libertà/eguaglianza ed espri-me una modulazione anarco-socialista o liberal-militarista o un repubblicanismo-cristiano. La famiglia comunitaria è fondata su valori di autorità/eguaglianza ed esprime unamodulazione comunista o fascista mentre per la derivazione religiosa è atea. La famiglia nucleare assoluta è imperniata su valori di libertà/ineguaglianza emodula il laburismo e il liberl-isolazionismo ed è frammentata nelle religioni. Quanto alla famiglia stirpe, come sappiamo, è fondata su principi di autorità/ine-guaglianza ed esprime la socialdemocrazia, l’etnocentrismo e la derivazione reli-giosa democristiana. Nessuna di queste ideologie è così forte da annullare le altre edunque i rapporti di forza tra loro generano instabilità o, comunque, mutamenti neisistemi di potere. Il socialismo è la prima derivazione ideologica che si affaccia alla finedell’Ottocento e a questo segue la risposta nazionalista e poi quella più democrati-ca. I paesi che vivono il fascismo e il nazismo, dal secondo dopoguerra, non avran-no che minoritari i movimenti o i partiti nazionalisti. Le ideologie democristiane esocialiste sono quelle che beneficiano dell’affondamento storico dei nazionalismi. Tra gli anni 1945 e 1970 si istituzionalizzano, in tutta Europa, la socialdemocraziasvedeve, il laburismo inglese, l’anarco-comunismo francese e il comunismo italia-no. Nello stesso periodo in Germania la democrazia cristiana recupera l’elettoratodi destra e anche in Italia accade così per l’elettorato conservatore. L’equilibrio tra socialismi e ideologie conservatrici di derivazione religiosa, a metàdegli anni Settanta, è sovrapponibile alla diffusione della pratica religiosa dagli anni

Capitolo 4

Ideologie e frammenti

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Cinquanta: quasi tutto il Nordest va regolarmente a messa per oltre il 60% dei casi.Nel Nordest, come in molte zone d’Europa, l’ostacolo principale alla diffusione delsocialismo viene, infatti, proprio dal cattolicesimo. Fino agli anni Settanta l’equilibrio è a somma zero: la perdita di voti di un sistemaideologico è il guadagno dell’altro. Dalla fine degli anni Sessanta in poi non sarà più così e la decomposizione del siste-ma riguarderà tutte le forze ancorate ai socialismi, nazionalismi e alle ideologie reli-giose reazionarie. Nel Nordest il processo è apparentemente più lento e arriverà adevidente decomposizione negli anni Novanta, ma il sistema, in realtà, è già in crisinei decenni precedenti.Il voto alle elezioni politiche, ad esempio, per la Camera dei deputati, delVeneto, in questo senso è significativo. La Democrazia cristiana scende per laprima volta sotto il 50% a partire dalle elezioni del 1979. Le sinistre, Partitocomunista e Partito socialista, tengono fino al 1992, ma non crescono mentre,nel frattempo, nascono i Verdi e le lighe: ideologie che chiameremo verdi e gri-gie e che si ancorano ai temi ambientalisti e ai temi xenofobi e regionalisti. ATrieste il segnale arriva anche prima con la lista del Melone che nel giugno del’79 arriva a conquistare il 28,7%.Nelle elezioni tra l’83 e l’87 Verdi e leghe ottengono percentuali tra il 3 e 4%, manel 1992 al crollo dei democristiani, si aggiunge anche il crollo dei socialisti con l’e-splosione della Lega al 17,8%. La crisi religiosa ha anticipato, e si è anche in parteaccavallata, alla deindustrializzazione e se per brevissimo tempo il socialismo erariuscito ad approfittare dell’affondamento della Democrazia cristiana, alla fine vienetravolto e l’elettorato trascinato in un sistema più complesso e articolato. Dal 1979, quando insieme Democrazia cristiana e Partito comunista e Partito socia-lista contano l’81,3% dei voti dei veneti, si passa ad un decennio dopo quando que-sti tre partiti insieme contano soltanto il 52,1%. Nel 2001 Forza Italia e An, insie-me, prenderanno il 40%, Margherita e Ds il 30% e la Lega Nord il 10%: insiemefaranno ancora l’80%! La prossima scomposizione farà ancora l’80%?

Leader maximo? Il Papa

La fine delle religioni pervasive e totalizzanti delle mentalità ha portato, definitiva-mente, le aspirazioni, tutte, a terra. La città di Dio è completamente abbandonata ela città dell’Uomo diventata più vicina. Le grandi ideologie mettono gli individui a

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cospetto dello Stato, dell’organizzazione terrena razionale e collettiva. E nel rap-porto tra cittadino e Stato valgono sempre i sistemi valoriali di base trasmesse dalsistema famigliare di appartenenza.Il sistema famigliare stirpe incompleta produce ideologie di tipo autoritario/inegua-litarie con le modulazioni attinenti alla incompletezza del sistema stesso. NelNordest valuto, sostanzialmente, ancoraggi più liberali ed egualitari nelle provincepiù a sud sulla linea ovest-est e più aderenti al tipo di famiglia stirpe, invece, nellazona nord. Finchè resisterà la metafisica cattolica non ci sarà bisogno di una metafisica sosti-tutiva: il socialismo nasce nel Nordest alla fine dell’Ottocento, ma l’organizzazionedella Chiesa cattolica resisterà all’idea del futuro di uguaglianza sulla terra per tuttigli uomini e continuerà a proporre il modello del futuro ultraterreno. Il comportamento morale, quindi, diventa preminente rispetto a quello razionaleeconomico e sociale. I cattolici intervengono prima di tutto sui comportamenti ses-suali o di distinzione di genere, sui tempi della famiglia, sulla solidarietà tra uominia prescindere dalla classe. La destra cattolica non produce espressioni autentica-mente liberali proprio perché prima vengono le posizioni etiche e morali.Si innesca, così, una vera e propria reazione non solo al socialismo che vuole nuovavita “sotto un altro cielo e sopra un’altra terra”, ma anche al nazionalismo, al comu-nismo, al liberismo basata sempre su una definitiva soluzione che non è, però, anco-ra terrena. Il cittadino è in rapporto di sottomissione all’autorità dello Stato, o megliodel singolo monarca, Papa compreso, ma questi, a sua volta, è solo strumento dellamano di Dio. Il leader massimo terreno rimane sempre il Papa.”L’ipotesi famigliare – precisa Emmanuel Todd – non esclude la possibilità di unpluralismo politico interno a ciascun tipo antropologico. Da uno stesso sistemafamigliare possono nascere una, due o tre forze principali, dove i rapporti defini-scono la via politica del paese o della regione considerata. Ma tutte queste forzehanno in comune i valori ideologici fondamentali trasmessi dal sistema famigliare.” I cattolici trentini, ad esempio, erano totalmente integrati nelle strutture della “dio-cesi capaci di trasformarsi, quando necessario, in macchina elettorale”. Scrive MariaGarbari: “La loro azione si distinse invece sul piano sociale ed economico rivol-gendosi in particolare al mondo contadino dove più forte era la miseria e l’emargi-nazione. Superata la mentalità di stampo puramente caritativo, i cattolici, fra i qualiemerse la figura di don Lorenzo Guetti, riuscirono a dare vita ad una rete di consorzicooperativi nel campo della produzione e del consumo, a organizzare il credito attra-verso la Banca cattolica trentina ed a coordinare le iniziative cooperativistiche nelSindacato agricolo industriale. La vera direzione politica era tenuta nelle mani del

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Comitato diocesano per l’azione cattolica che difendeva la confessionalità di tuttele istituzioni, comprese quelle economiche. Solo dopo la nomina a vescovo di Celestino Endrici (1904-1940) il movimento cat-tolico assumerà struttura di partito indipendente dalla chiesa per gli aspetti organiz-zativi: nel 1904 con l’Unione politica popolare trentina (UPPT) e nel 1905 con ilPartito popolare trentino.” E ancora sempre la storica trentina ci dice qualcosa di importante sui socialisti: “Leorigini del socialismo trentino, ufficialmente organizzato con l’Associazione social-democratica per Bolzano, Trento e Rovereto costituita a Bolzano nel 1894, nonrisalgono all’iniziativa operaia, data l’inconsistenza del proletariato in un paese pre-valentemente agricolo e con grande diffusione della piccola proprietà. La sua nasci-ta va attribuita all’azione di alcuni intellettuali d’estrazione borghese, convertiti agliideali umanitari e di giustizia legati al socialismo. Fra costoro emersero Augusto Avancini, Antonio Piscel e Cesare Battisti che si tro-varono di fronte al problema di fare convivere gl’ideali internazionalisti con la tute-la nazionale.”Il Nordest, dunque, si caratterizza per ideologie diverse i cui valori di base, però,sono l’autorità e l’ineguaglianza. Là dove la Chiesa è ancora forte non c’è bisogno di ideologie sostitutive. La Chiesanon aderisce a nessuna ideologia ma si oppone a tutte quelle che nascono fuori diessa e contro essa e quindi è anche più trasversale. L’ideologia cattolica reazionarianon è socialista ma solidarista, non è nazionalista ma ultraterrena non è comunistama comunitaria.Il “Berico”, giornale cattolico, nel 1887 scriveva: “L’unico segreto adatto a condur-re la classe operaia alla riforma più desiderabile è il rendere gli operai veramente cri-stiani. L’uomo veramente cristiano sa adempiere i suoi doveri, rispettare gli altruidiritti, sa essere caritatevole con i fratelli. Si renda dunque l’operaio cristiano e tostosarà osservatore dei propri diritti e dei propri doveri.” L’”Operaio cattolico” insiste, invece, sulla confessionalità delle società operaie. DonErmenegildo Reato spiega come era inammissibile “una società operaia che non sifosse qualificata come cattolica, che cioè non avesse sottoposto il proprio statutoall’approvazione del vescovo, avrebbe facilmente consentito l’accesso alle carichesociali a elementi pericolosi. Primo e principale dovere delle società cattoliche èquello di dimostrarsi e di mantenersi sempre cattoliche. Quindi si richiede ai sociassiduità alla spiegazione del Vangelo, al catechismo, ai sacramenti. Particolarmentedelicata è la posizione del presidente della società a cui è attribuita ‘una paternitàdiremo così spirituale, verso tutti i membri del Sodalizio’.

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Una cura speciale si doveva avere per i nuovi soci: ‘Attenti a chi entra! (…). Se nonsi seguono i retti dettami (…) avremo, ed avemmo purtroppo in qualche luogo,dimissioni di membri di presidenza, diserzioni di soci, screzi, malumori, lotte escandali gravissimi.” 1

L’ideologizzazione, perché possa esplicarsi, ha bisogno di un popolo che sappiaalmeno leggere e scrivere. Nel Nordest questo avviene tra fine ‘800 e ‘900: i pro-cessi si accavallano, l’alfabetizzazione cresce ma si avvia anche l’industrializzazio-ne. Il socialismo si espande il tutto il Nordest e fino alla Prima Guerra Mondiale,soprattutto nei centri urbani, l’avanzata sfiora il 50%. Votano solo i maschi e inPolesine i socialisti, nel 1919, prendono il 70% dei suffragi e non scendono, né incittà né in provincia, sotto il 40%. Nel ’21, però, i socialisti polesani già quasi scom-paiono per la reazione degli agrari. La società è instabile, i processi di cambiamento politico, a seguito della nuova men-talità alfabetizzata e in via di industrializzazione, sono in pieno svolgimento; nel ’21il voto è già diverso a quello di due anni prima. I cattolici arretrano nei comuni urba-ni (-3,3%), aprendo ulteriormente la forbice tra comuni rurali e urbani, che passa da17,8% nel 1919 a 22,4% nel 1921, mentre i socialisti migliorano le posizioni neicentri maggiori, soprattutto in provincia di Padova (+6,6%) e Vicenza (+4,2%). La famiglia stirpe subisce i primi contraccolpi e mentre il sistema più di tipo egua-litario non è così sensibile all’urbanizzazione in quanto ha una modulazione piùampia nei rapporti verticali tra le generazioni, quello più inegualitario viene colpitomaggiormente. Vivere in città, in famiglie meno complesse, non pone grandi pro-blemi a chi è già stato scomposto mentre produce un qualche adattamento che nonsignifica la modificazione dei valori di base, ma sicuramente una nuova visione piùansiosa e di abbandono, se non altro di distanza dall’autorità paterna e di modificadella propria autorità nei confronti dei figli. La famiglia stirpe, pur mantenendo i propri valori di base, deve far riferimento alloStato, alle regole dettate dall’autorità collettiva. I socialisti liberali e anarchici orahanno altri compagni di strada, che però fanno riferimento a valori più autoritari esono meno inclini alla percezione delle ineguaglianze e meno disponibili a combat-terle. I socialisti e gli anarchici dovranno scendere a patti con i socialdemocratici,ma non ci vorrà molto, però, per una divisione interna.

1. Ermenegildo Reato – Pensiero e Azione sociale dei cattolici vicentini e veneti dalla rerum nova-rum al fascismo – Ed. Nuovo Progetto.

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Se la socialdemocrazia, la democrazia cristiana e i movimenti nazionalisti oetnocentristi hanno una geografia più di derivazione religiosa il comunismo e ilfascismo hanno, prevalentemente, una geografia più di tipo economica e quin-di il processo culturale e la prima industrializzazione modificano le percezionidel proprio status.I popolari, invece, sono più omogenei nonostante la divisione tra città e campagna;non fosse altro per la capacità di ricomposizione delle complessità gestita dalle auto-rità capillari e verticali: il prete, il vescovo, il Papa, appunto. Il concetto di uomo universale della Rivoluzione Francese qui non attecchisce. Ivescovi veneti di allora si adeguavano ad ogni nuova autorità, ma, in realtà mante-nevano le distanze tanto da diventare essi stessi autorità alla fine degli imperi. Letruppe napoleoniche che, a loro seguito, portavano i codici civili, si scontravano conpopolazioni le cui tradizioni venivano prima di tutto. Andreas Hofer, un montanaro tirolese grande e grosso, che divenne capopolo e sibattè con coraggio contro i francesi prima di essere fucilato disse: "Io amavo moltoil mio Paese, come tutti. Forse lo amavo più degli altri. Per la mia terra, per la miaPatria mi sarei gettato sul fuoco. Non ci pensai nemmeno un attimo ad affrontarequello che dicono essere il più grande esercito del mondo. Ma poi... chi è mai que-sto Napoleone? per permettersi di regalare il mio amato Tirolo?"Nello stesso periodo, come nelle valli altoatesine, nell'alto vicentino ci furono sol-levazioni violentissime e un prete di Carrè, don Giuseppe Marini, un cappellano dineanche trent’anni, guida la rivolta. Anche lui finì fucilato il 19 agosto 1809. I valori di libertà e uguaglianza trovano qui, storicamente, una barriera antropologi-ca prima che politica. La terra, la lingua, il vicinato che dà sicurezza sono sentimentiche diventano, come certe parole, cose. E se serve, armi.L’uomo universale non abita qui. Nel 2003, nel sito internet “raixe venete” si può ancora leggere in un forum inter-venti di questo genere: “Ciamare nordest el Veneto xe una bela astuzia, no ghe xedubi! Ma el nordest, e me rivolgo ai "cari amisi" taliani, non esiste. Esiste el Veneto,e nesuni ne lo pole cavare! So d'acordo anca mi.” “Penso che i giornaisti preferisseparla de nord-est parchè pare parlare de tere lontane, anonime, guai dire che se parladel Veneto! Sta espression nasconde ea poca considerassion che i ga' de noialtri.Comunque de norma con "nord-est" se intende indicare el Triveneto (Veneto,Trentino e Friuli Venezia Giulia). Ma eora no capisso perchè no lo ciama Triveneto,forse perchè xe un nome che rievoca el fatto che fu terra di Venezia (le famose trevenezie)?”Insomma l’appartenenza e la definizione linguistica, dai piccoli ai grandi, viene

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rimarcata continuamente. La lingua è il meccanismo primordiale di anti-universali-smo. Non lo è di fatto perché le lingue si possono insegnare e imparare. I meccani-smi sociali esistenti sono basati su inclusione/esclusione. La reazione differenziali-sta si esprime attraverso il linguaggio che include ed esclude e che, appunto, preci-sa che gli uomini non sono tutti uguali.

L’autorità è quella della Chiesa e poi anche dello Stato e l’ineguaglianza quelladelle differenze già sperimentate e assimilate all’interno della famiglia. Lo Statosi fonde con la Chiesa, dunque la Chiesa diventa lo Stato. Il Nordest, però, è mino-ranza in Italia dove il sistema, invece, oscilla tra anarco-socialismo e liberalismocon qualche deriva militarista, o di devianza violenta, e un autoritarismo di stam-po comunista o fascista. E’sorprendente, infatti, come l’adesione al fascismo in Italia, nel 1922, sia quasi l’e-satta riproduzione di quella che dal secondo dopoguerra rimarca la presenza delcomunismo. Il Nordest cattolico, quindi, si rapporta continuamente all’interno dellestesse ideologie ad un socialismo plurale o al comunismo, e ad un liberalismo piùspinto di quanto non sia capace di esprimere al proprio interno e subisce il fascismoo il comunismo delle zone più autoritarie ed egualitarie e le pressioni del socialismoo del militarismo tipico delle zone con prevalenza di famiglia liberale/egualitaria.Il Partito comunista italiano, dopo la scissione del ’22, diventerà punto di riferi-mento della sinistra, ma non attecchirà nel Nordest se non nelle zone con più accen-tuazione egualitaria. Nel Nordest il comunismo è correlato al grande sfruttamento agricolo e, come nelCentro Italia, alle zone di mezzadria, ma soltanto le province di Rovigo e di Veneziaterranno, proprio per queste correlazioni, nel tempo. Nel 1972 il Partito comunistasupera il 40% dei suffragi solo nel rodigino, mentre il Partito socialista ottiene piùdel 13% nelle province di Belluno e Udine e il Partito socialdemocratico, con alme-no l’8%, copre anche le province di Treviso e Pordenone soprattutto ai confini conVenezia e Belluno. La sinistra nordestina, di tipo socialdemocratico, è nella zonadella famiglia stirpe. Il socialismo nordestino (Psi e Psdi), senza il comunismo, nonva sopra il 20-25% in tutto il secondo dopoguerra, e soltanto dove è radicato stori-camente. Il Partito socialdemocratico avrà uno dei suoi maggiori successi naziona-li proprio nel Nordest (figura 18).

Specularmente la Democrazia cristiana, nel ’75, ottiene i più bassi suffragi proprionelle province di Belluno, Pordenone, Udine oltre che nel veneziano e nel rodigino.Qui la combinazione valoriale aderentissima alla socialdemocrazia, autorità/ine-

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18 - Il voto al PSDI (1972)

più dell’8%

tra il 7% e l’8%

tra il 6% e il 7%

sotto il 6%

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guaglianza, ha il suo migliore ancoraggio. Il socialismo riformista o socialdemo-cratico attecchisce nelle zone più a nord ma regredisce in forme anarchiche e comu-niste nelle zone più egualitarie. Giacomo Matteotti, quando militava nella stesso partito del romagnolo BenitoMussolini, difese a spada tratta i massoni socialisti. Al congresso di Ancona del 28aprile 1914 il futuro duce presenta un ordine del giorno per cacciare fuori dal parti-to tutti i massoni. Matteotti, che non è un massimalista, vuole evitare “le liste di pro-scrizione” e dice: “se il nostro partito è un’unione di uomini che conoscono le primenorme della lealtà, non c’è bisogno di dire alle sezioni di prendere per la schiena imassoni e cacciarli fuori.” Un socialista nordestino come Matteotti, a livello nazionale, diventa un socialde-mocratico e non sarà un caso se i figli di Matteotti finiranno nel partito socialde-mocratico di Saragat. Pietro Nenni, faentino doc, non potrà dire molto di Carlo Matteotti se non che “è unmediocre acchiappanuvole con un nome illustre.” Ma il Polesine darà all’Italiaanche la prima donna socialista del Nordest alla Costituente, Angelina Merlin, unamaestra che aveva studiato dalle Canossiane e che si occuperà di bordelli: “soffrivavedendo che le donne, mogli di pescatori e marinai e troppo spesso sole, si prosti-tuivano per qualche piccolo lusso, o per fame, ai benestanti locali”. Il Trentino2 più democristiano non è da meno con Elsa Conci che, poi, nel 1955fu tra le fondatrici dell'Unione Parlamentare Europea Femminile (di cui fu presi-dente dal 1959), e membro della Delegazione Italiana al Parlamento Europeo diStrasburgo. Delegata Nazionale del Movimento Femminile della DemocraziaCristiana dal 1954 al 1964. Le stesse impronte, dunque, ma su ideologie opposte.Elsa era figlia di Enrico Conci (Trento 1866-1960), deputato al Parlamento di

2. Non vanno neppure dimenticate figure come Cesare Battisti, socialista interventista, o il giovanetriestino, vissuto a Trento, Lajos Domokos, fervente socialdemocratico, pacifista e antileninista. PieroGobetti scriverà: “Dal giugno 1924 la politica italiana è dominata dalla considerazione dell'assassiniodi Giacomo Matteotti. Assassinio politico, delitto del regime, di fronte al quale noi, anti-mussolinianie anti-fascisti, invocammo sin dal primo giorno, come unica risposta, il processo al regime. Ci fu chia-ro sin dal primo giorno che del caso Matteotti bisognava fare il caso Dreyfus degli italiani, la pietra diparagone della nostra dignità di popolo moderno. E nel processo al regime dovevano essere coinvol-ti come complici quelli che hanno sostenuto o resa possibile con le loro responsabilità passate unasituazione di trasformismo, di cortigianeria, di corruzione medioevale, quelli che hanno umiliato conrisorse di domatori e raffinatezze di lusingatori la dignità politica appena nascente di un popolo trop-po a lungo condannato alla retorica dei mendichi. Le colpe dei reduci sono anche le colpe dei padri.”Non è stato così.

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Vienna e, dopo l'annessione del Trentino all'Italia, senatore del Regno e dellaRepubblica.La socialdemocrazia favorisce una stabile coscienza di classe perché questo idealecoincide con il sistema valoriale della differenza tra gli uomini. La classe contadi-na-operaia è diversa dalle altre, ma contemporaneamente riconosce anche le altre.Il socialdemocratico non aspira all’egemonia, considera la possibilità dell’esistenzaanche di altre classi e del loro possibile successo, non vuole abolire la proprietà pri-vata. Socialdemocrazia e Democrazia cristiana non negano il diritto della proprietà,piuttosto si esercita una pressione fiscale forte, ma non si pensa neppure alla nazio-nalizzazione o all’espropriazione. Il patrimonio immobiliare, per la famiglia stirpe, è intoccabile e va al figlio eredi-tiere, i soldi che vanno ai cadetti, invece, sono nel mercato egualitario. I politologi Gianni Riccamboni e Ilvo Diamanti scrivono: “Gli orientamenti di votoassumono, infatti, configurazioni territoriali assai più stabili di quanto non facciavedere il contesto economico-sociale” Appunto!

”Forza etno!”

Nel Nordest i nazionalismi e le adesioni al fascismo sono soprattutto alla frontiera(Trieste/Bolzano) per ragioni etniche, di identità, mentre nelle zone a modulazionepiù liberale o egualitaria il nazionalismo si traduce in un impianto etnocentrista ditipo regionale. Il disorientamento prodotto dai passaggi di mentalità provoca unareazione al diverso e un irrigidimento verso la propria lingua, la conservazione inastratto e l’aggressione proiettiva all’estraneo, soprattutto a livello simbolico, inquanto la dimensione della popolazione non può esprimere la potenza reale in unaregressione di vero e proprio nazionalismo. Si tratta di una reazione conservativa diautorità e di ineguaglianza che esprime anche un modello di partito a leadershipautoritaria e con contenuti etnocentrici riconoscibili, ma spesso equivocati, daisistemi liberali ed egualitari.Un pò come l’equivoco tra fascismo e comunismo: alla città ideale del proletariatola classe media risponde con il livellamento dei cittadini tra loro e con la sottomis-sione nei confronti dell’autorità del duce. E’ la reazione al movimento socialistaorganizzato da parte dei piccoli borghesi e dei proprietari terrieri presi dal panico delcambiamento e che poi crea la crisi economica originata dall’isolamento dovutoproprio al nazionalismo totalitario e alla conseguente autarchia economica. Là dove il socialismo è meno ancorato alla famiglia stirpe, le turbolenze sono più

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alte, e avverranno gli scontri più duri e le incursioni regressive fasciste. Là dove laclasse operaia è organizzata dalla Chiesa cattolica i compromessi saranno più fortie la barriera al fascismo più alta. Viene utile a questo proposito un ricordo di Mariano Rumor, che nelle sue“Memorie” scrive: “Avevo sette anni quando il nonno Giacomo, antifascista visce-rale, perché cattolico intransigente, aveva invitato mio padre a rinchiudermi in uncollegio di preti perché avevo trascinato la domestica ad assistere, come ad uno spet-tacolo, ad una delle prime vocianti sfilate fasciste.” 3

Il cattolico Josef Mayr-Nusser, tirolese, si lasciò morire di fame in un vagonebestiame a Erlangen, durante il suo trasporto da Danzica al campo di concentra-mento di Dachau, il 24 febbraio 1945. Era un “optante” costretto ad arruolarsi nelleSS di Hitler. Rifiutò e sottoscrisse il rifiuto e si condannò a morte piuttosto di diven-tare nazista.L’egualitarismo del fascismo ha derivazioni socialiste; lo stesso Mussolini è primasocialista e poi fascista. Il regime non smantella il capitalismo ma lo ingabbia in unsistema autarchico, regolato dallo Stato, che assicuri un poco, ma a tutti. Il cittadino del fascismo chiede, prima di tutto, sicurezza e proietta la propria aggres-sività all’esterno. Ma va a colonizzare cercando lavoro per tutti, perseguiterà gliebrei assecondando l’ossessione paranoica e demente del nazismo.Culto del capo e populismo e nazionalismo di destra sono una combinazione fragi-le e, per certi aspetti, primordiale di proiezione della colpa alle passate generazioni.A questo proposito Lopez scrive: “Quale è, quindi, trasferendoci sul piano sociale,la colpa dei padri, a loro volta figli di coloro che in Italia ed in Germania vollero osubirono il fascismo, che in altre nazioni subirono o accettarono la guerra, i cui idea-li erano l’autarchia e l’accumulazione capitalistica? Quella di aver proiettato tutta lacolpa sui loro padri, di averli emotivamente castrati, non sapendo di avere cosìdistrutto in qualche modo il padre in loro stessi! Quanto più violenta è stata la ribel-lione contro il padre, tanto più debole ed inconsistente sarà a sua volta l’identifica-zione nel ruolo di padre verso i figli, se si sceglie di identificarsi completamente conloro, a meno di preferire, come difesa, l’identificazione con l’immagine del padreforte ed autoritario del conflitto edipico, l’identificazione, cioè, con l’aggressore. In

3. Negli anni Trenta i preti usavano anche il friulano in senso antifascista: nel 1933 proprio i fascistiproibirono a Zaneto, pseudonimo di don Giovanni Schif, parroco di Percoto, di continuare le pubbli-cazioni dei suoi versi satirici sul settimanale diocesano di Udine, La Vita Cattolica. Ecco quattro versitratti da "La tasse sui vedrans" (l'imposta sugli scapoli): "Se cjape pît la tasse / dutis si sposaràn; / cumònissun s'impense / di restà plui vedran".

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entrambi i casi si ha una soluzione automatica, immediata e coatta del problema del-l’identificazione, non una soluzione personale e mediata dalla formazione di idealidifferenziati.” I fascisti si identificano con il padre autoritario e ne ripropongono il modello, mapropongono anche il livellamento tra i fratelli che, coalizzati, vanno a scontrarsi pro-prio con l’autorità riconosciuta. Il duce per stare in piedi deve usare simboli, fomen-tare, tenere insieme con la forza e la minaccia e quindi espropriare, deportare, incar-cerare, perseguitare. L’autorità fascista individua il capo in una figura reale e si espo-ne alla ineguaglianza reale proclamando, invece, l’uguaglianza: in questo il fasci-smo rivela la propria fragilità.L’autorità comunista, invece, si difende spersonalizzandosi e offrendo al popolol’autorità massima della classe nello Stato; così si alimenta la percezione simbolicadell’uguaglianza. La famiglia comunitaria, infatti, produce storicamente molto più comunismo chefascismo. Il fascismo, evidentemente, è il risultato della combinazione della fami-glia comunitaria con la famiglia liberale/egualitaria e, per questo, più un’eccezioneche la regola e più tipicamente italiano. Su questo si veda anche l’intervista sul fasci-smo dello storico Renzo De Felice che, inconsapevolmente, ma con precisioneritiene “fascismo” soltanto quello italiano e quello tedesco.

Dunque l’alfabetizzazione produce, anche combinata con l’industrializzazione, nelsistema di famiglia stirpe del Nordest, socialdemocrazia e democrazia cristiana che– attraversato il fascismo – diventano egemonia democristiana. Nel Nordest, fino agli anni Ottanta, la combinazione di autoritarismo e inegualita-

rismo e il controllo organizzativo e morale tramite la Chiesa ha prodotto l’egemo-nia della Democrazia cristiana. Nel Veneto le analisi del voto e anche dei referen-dum, come quello sul divorzio, dimostrano sempre una non completa spiegazionedelle scelte elettorali attraverso gli indicatori economici o sociali proprio perché èsulla distribuzione del tipo di famiglia che, invece, si spalma la presenza democri-stiana.La strutturazione più egualitaria, soprattutto nel veneziano, nel padovano e nel pole-sine, pur sulle diverse modulazioni di autorità e uguaglianza, ha prodotto un socia-lismo più anarchicheggiante e una certa presenza comunista. L’egemonia democri-stiana, poi, con la definitiva scristianizzazione comincia a scomporsi mentre nasco-no le ideologie verdi e grigie dal Friuli, al Trentino al Veneto. Il politologo Paolo Feltrin dirà che il profilo elettorale del Veneto appare menouniforme e compatto di quando lo si analizza per grandi aggregati territoriali. Anche

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la lettura delle relazioni tra figure sociali, soprattutto del mondo rurale, e scelte divoto appare contraddetta o almeno molto sfumata, laddove lascia intendere l’esi-stenza di legami forti e diretti tra determinanti socio-economiche e comportamentipolitici. “Cruciale sembra rivelarsi, invece, la dimensione culturale e di identità e ilfattore organizzativo e di solidarietà.”I politologi arrivano vicini alla soluzione, ma non individuano nel sistema fami-gliare di appartenenza l’origine dei meccanismi di voto anche se l’appartenenza reli-giosa viene indicata come fortemente determinante. Il Nordest, nel grande aggregato, presenta una certa complessità perché si avvicinadi molto alla tipologia della famiglia stirpe ma la modula in modo incompleto e convariabili interne che andrebbero dettagliate e indagate con più discipline coordinatetra loro; un lavoro, questo, che non è ancora stato fatto e che potrebbe essere impor-tante cominciare a programmare.Il fascismo riuscirà a disancorare la sinistra socialista soprattutto nel bellunese e nel-l’udinese, dove l’inflessione socialdemocratica deve combattere anche al propriointerno, e nel rodigino e veneziano dove la modulazione più egualitaria e liberalesono più facilmente disarticolabili. In queste stesse province la modulazione egualitaria, ma anche autoritaria, peròcomporta una presenza più forte, e per certi versi confermata rispetto al pre-fasci-smo, del comunismo.

L’egemonia Democristiana

La Democrazia cristiana raccoglie tutto il voto di destra nel secondo dopoguerra, eanche quello urbano fascista, e particolarmente nella campagna, mentre le sinistresi concentrano nei centri urbani. In modo molto simile a quanto era accaduto prima del fascismo. Venezia,Verona, Rovigo e Belluno sono le province venete a maggioranza socialista.Nel secondo dopoguerra le forze di sinistra soltanto in queste province avrannouna qualche incidenza. I processi di lungo e lunghissimo termine hanno più forza di quelli di breve termi-ne e spiegano questi andamenti che proiettano sul voto politico del secondo dopo-guerra e fino agli anni Ottanta, la strutturazione antropologica del Nordest prima diogni altra cosa. L’Azione cattolica, che diventerà il braccio operativo della Democrazia cristiana,impronterà la sua attività “sul gusto per l’attivismo antintellettuale, esaltazione della

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figura mitica del capo, identificazione fisica e psicologica nella massa, contrapposi-zione esasperata al nemico”.4

Ovvero sull’autorità e l’ineguaglianza, valori più ancorati nel Nordest e dove laDemocrazia cristiana, da sola, nonostante la guerra e la Resistenza, raggiungerà il60% dei consensi. In Veneto e a Trento la Dc scenderà sotto il 50% negli anniOttanta, a Belluno era già accaduto nel ’68 mentre a Rovigo e a Venezia questapercentuale non è mai stata raggiunta.In Friuli-Venezia Giulia era scesa sotto il 50% già nel 1953 (a Udine dieci annidopo), a Bolzano resta tra il 15-20% ma qui c’è il caso tutto di frontiera dellaSüdtiroler Volkspartei (ma non dimentichiamo i Ladins, Die Freiheitlichen, Unionfur Südtirol) anche se negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 il Psi ed il Pci a Bolzano, avevanola maggioranza assoluta in molti quartieri popolari.Nel 2002 a Bolzano al referendum per trasformare piazza della Vittoria in piazzadella Pace, promosso da Alleanza nazionale, stravincono coloro che voglionorimanere nella tradizione della vecchia denominazione; per il Trentino-Alto Adigenon possiamo dimenticare che l'obbiettivo fascista di trasformare la città diBolzano in una città italiana di 100.000 abitanti, che era l'obbiettivo di Mussoliniformulato nel 1926, è stato raggiunto nel 1964. La politica di migrazione italiana,favorita dallo Stato, è continuata con piani strategici ed è proseguita anche dalpunto di vista della qualità e non solamente della quantità. Sempre negli anni Sessanta moltissimi dei funzionari degli enti statali in AltoAdige erano profughi istriani, quindi particolarmente motivati dal punto di vistanazionale). Fatti troppo recenti per chiederne già l’archiviazione.In tutto il dopoguerra il Nordest porta la Dc sotto il 50% nel 1963; al cambio dimentalità degli anni Sessanta…

Il fomentatore e il capro espiatorio

L’effetto dell’industrializzazione e la scristianizzazione bloccheranno democristiani esinistre nei sistemi famigliari di riferimento fino al cambio successivo di mentalità.Il sistema agricolo, o rurale/urbano, così come verrà modificandosi diventa una con-seguenza non la causa del voto politico. Alla vigilia della Prima Guerra mondiale,

4. A. Giovagnoli - "Le organizzazioni di massa d’Azione cattolica" in R. Ruffilli (a cura di), Culturapolitica e partiti nell’era della Costituente, I, Bologna, il Mulino, pp. 263-362. - 1979

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19 - La Dc sotto il 50%

Periodo in cui la Dc scende sotto il 50%

dagli anni ‘50

dagli anni ‘60

dagli anni ‘80

province in cui la Dc non ha mai superato il 50%

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dunque, socialisti e popolari sono alla pari: l’alfabetizzazione supera il 50% e iniziauna turbolenza sociale che porta alla formazione delle ideologie5. I socialisti propongono un’alternativa alla città di Dio e il sistema Chiesa cattolicareagisce. Il prete diventa catalizzatore e “fomentatore”. René Girard spiegherà bene come si arriva al delitto attraverso l’identificazione delcapro espiatorio. Ma meglio ancora Lopez chiarisce chi fomenta il delitto. La vitti-ma sacrificale della folla “non è - spiega Lopez - l’uomo qualunque, ma piuttostoun individuo dotato di volontà di potenza, reale o supposta tale, vissuto come peri-coloso per la comunità o per parte di essa”. L’uomo che vuole costruire sulla terra il Paradiso ha certamente una volontà dipotenza che, almeno simbolicamente, si confronta con quella di Dio. Nel sistemastirpe il comunista diventa lo sfidante del prete. Entrambi figli cadetti, entrambiesclusi, uno privatamente e uno socialmente, dall’eredità. Entrambi proiettano lapropria volontà di potenza su un capro espiatorio: rispettivamente satana e la pro-prietà privata; mali dell’umanità per antonomasia nelle rispettive ideologie.Ma il giustiziere è anche vittima e la vittima aspira alla giustizia. I sacrificatori sonoi propri popoli, la forza brutale. Ma chi è che stimola la violenza dei popoli? “Io mi permetto di affermare – dice Lopez -: sono i sacerdoti!”Io intendo qui il “sacerdote” in senso lato come l’intellettuale, il comiziante di pro-fessione, l’imbonitore, il propagandista.L’alfabetizzazione, le turbolenze per la mentalità che si evolve, costruiscono incon-sciamente riferimenti culturali e personali. Il sacerdote, bianco o rosso che sia,diventa il fomentatore, colui che attizza; la “mente occulta” che stimola e controlla.Nel Nordest i rapporti di forza e l’organizzazione della Chiesa cattolica, preceden-te all’alfabetizzazione di massa, fanno del prete, più che del comunista, colui chedirige le folle. Il comunista del Nordest, tutt’al più, tenterà un’altrettanta forza, manon ne avrà la disciplina e soprattutto l’organizzazione. Nei regimi comunisti avveràil contrario. Il cuore anarco-socialista del Nordest darà ai socialisti italiani un GiacomoMatteotti, ma sulla frontiera friulana, a forze pari, avremo un alternarsi di violenzee di carneficine. Il sacerdote non è il profeta, ma è colui che alimentando il mito diSatana concepisce e istruisce. Il male non è degli uomini ma proiettato in un’origi-

5. Le dinamiche internazionali, ricordate, sono anch’esse frutto di scelte di uomini e donne e le inte-razioni si giustificano ed esistono, ma andrebbero considerate a tutti i livelli. La guerra fredda e la divi-sione in blocchi da chi è originata? Comunque può essere un inizio la lettura del libro “Mondo glo-bale, mondi locali” di Clifford Geertz edito da il Mulino – 1999.

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ne semi-divina e quindi proiettato sul proprio nemico, trasfigurato. Il male esisteperché c’è Satana e dunque bisogna combatterlo. “Si finisce così per identificarsicon chi viene persecutoriamente vissuto come il proprio nemico, quando il nemicodiviene un’ossessione per e dentro la propria mente. Il nemico diviene il propriodoppio nella crisi mimetica! Il movimento psicodinamico va dall’identificazioneproiettiva all’introiezione, fino allo stadio finale dell’identificazione soggettiva”. Il masochista può diventare sadico proprio perché, l’altro suo ruolo rovesciato, è ilsadismo. Il prete fomenta il sadismo della folla domenicale (masochista, contenutanella genuflessione e nella sottomissione) perché ostacoli e fermi il socialismo. Ilcomiziante, sul palco, fomenta il popolo (masochista, capo all’insù) in piazza per-ché fermi i padroni.“In nome della lotta contro i privilegi, e a favore dei diversi, degli emarginati, deipoveri, delle vittime, - scrive Lopez - propugnando un umanitarismo deteriore, cor-rotto, fondamentalista e integralista, al giorno d’oggi bande di scalmanati e facino-rosi si abbandonano al vandalismo più abietto. In verità, ancora una volta, i nostal-gici del totalitarismo sobillano e istigano alla violenza le masse, servendosi di unapenetrazione ideologica martellante, la cui mira è la formazione di un imprint.Precisamente come nel passato, ancora oggi gli organizzatori della violenza sono ‘isacerdoti’. E così “il cosiddetto umanitarismo laico moderno, compreso l’umanita-rismo comunista, altro non è se non l’inevitabile, inesorabile, necessario, prosecu-tore del cristianesimo, la sua ulteriore evoluzione.” 6

La scristianizzazione, dunque, comporta quasi simultaneamente la flessione dell’i-deologia religiosa reazionaria e di quella comunista.L’identificazione con la vittima, con il dominato, ha il suo doppio nell’aggressione.E’ la collusione narcisimo-masochismo che, sviluppata in un intero sistema, produ-ce effetti totalizzanti e di violenza collettiva. L’appello alla compassione e alla caritàe un appello mistificatorio perché mantiene il derelitto nella sua condizione ecostruisce un capro espiatorio, reale o simbolico. Le vittime del popolo istigato allaviolenza restano comunque esempi di forza di resistenza, di coerenza e fedeltà a sestessi e alla propria verità, ai modelli e gli ideali ai quali dedicarono e dedicano l’e-sistenza. Certo la vittima è in collisione col carnefice, ma con l’immolazione la suavita ascende verso altezze che non vanno sminuite. La tragedia della vittima è lastessa del carnefice; ma la prima ha il merito di non aver messo in atto la violenzapur avendo partecipato alla scena del delitto.

6. D. Lopez: divinizzaizone del capro espiatorio: il cristianesimo – in Gli Argonauti, n. 91 dicembre2001

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La vittima, fino ad allora, e anche dopo, propone un ideale. Il carnefice l’ha perduto,vuole uccidere l’altro ideale nell’antagonista, e così soccombe alla regressione per ildisfacimento della propria mente. I doppi ruoli e le identificazioni proiettive – propriograzie alla violenza – dovrebbero affiorare almeno nella consapevolezza delle gene-razioni future: non accogliere il facile richiamo alla carità e alla compassione nonsignifica sottostare agli impulsi razzisti e sterminatori, ma, più semplicemente, aspira-re ad una “democrazia ascensionale” nella quale la vittima, a sua volta, non diventa,carnefice in un rimando sine die. Chi è più consapevole, autorevole, emancipato puòaccompagnare alla più tranquilla posizione psichica e, allo stesso tempo, ostacolare eopporsi alla regressione disgregatrice e violenta prima che questa travolga. Il cittadino sempre più maturo ha sempre meno bisogno di ‘sacerdoti’e, quindi, puòdepotenziare sempre più gli aspiranti capri espiatori.

La famiglia stirpe blocca comunisti e fascisti

Il fascismo e il comunismo, dunque, non vengono dalla famiglia stirpe, ma sonopiuttosto originati da un altro sistema famigliare. Storicamente la famiglia stirpeincompleta fa da blocco alla regressione totalitaria perché già riconosce un’autoritàconcreta di riferimento e comunque ha molte modulazioni compensatorie. Ma ilNordest, nell’Italia del dopoguerra, farà sempre la differenza per l’ancoraggio allatradizione e il ritmo più lento del cambio di mentalità. Il Nordest – autoritario/ine-gualitario - è il centro di gravità italiano; il sistema di compensazione tra i sistemiben più possenti, anche numericamente, liberale/egualitario e autoritario/egualitario. I democristiani vincono nel Nordest perché il sistema è tendenzialmente più ine-gualitario e i democristiani governeranno l’Italia per decenni. L’eguaglianza per idemocristiani è affidata all’ultraterreno e quindi è già assicurata a tutti i “buoni cri-stiani”. Sulla terra si può gestire la diversità. I socialisti non hanno questa possibi-lità di doppia-offerta e sono teoricamente universalisti. Quando il Nordest produrràla Lega Nord la politica nazionale ne sarà fortemente condizionata. Il Nordest ha una famiglia troppo impura per produrre il nazismo alla tedesca e trop-po poco egualitaria per produrre il comunismo/fascismo come nelle regioni più cen-trali d’Italia. Resisterà ad entrambi e nella scomposizione delle ideologie maggioriprodurrà, piuttosto, la nozione etnocentrica che può evolversi solo in funzione difen-siva e regionale e non in funzione aggressiva e nazionale. L’adesione al fascismo,dunque, è mediamente omogenea ma anche bassa. La struttura prevalentemente stirpe del Nordest produce sia socialdemocrazia che

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democrazia cristiana. Le variabili dipendono dalle “impurità” antropologiche che,finora, hanno favorito le accentuazioni autoritarie/inegualitarie su quelle tenden-zialmente più egualitarie. Da questo le correlazioni spaziali, prima che temporali, definiscono la prevalenza diuna risultante ideologica e politica piuttosto di un’altra. Entrambe queste ideologie identificano nello Stato (sociale o socialista) il massimoriferimento per l’organizzazione sociale: “L’amore per lo Stato non è esclusiva-mente socialdemocratico e il sogno di una società verticalmente integrata non èsolamente democristiano”.Autorità e ineguaglianza non sono in questione neppure nella lotta tra i diversi grup-pi ideologici. Lo scontro in questo contesto non arriva mai all’affermazione di unaideologia autenticamente liberale se non in zone minoritarie. Allo stesso tempo l’impurità della famiglia stirpe del Nordest la salvaguarda anchedal nazismo, sia per la relativa resistenza alla scristianizzazione sia per la qualità piùbassa della differenziazione paranoica: qui gli ebrei, al più vengono messi in ghetti,là si realizza un Olocausto. I socialisti sono universalisti teoricamente e quindi resistono al nazionalismo e i cat-tolici hanno come riferimento autoritario non il Duce o il Fuhrer ma il Papa cheprima di Mussolini e prima di Hitler, in modo più impersonale ma ficcante, diven-ta infallibile! Il nazismo traduce nell’accezione più malata e di disgregazione della mente, perl’attacco ideale al padre, alla generazione precedente, per il crollo delle economie,per il ‘tradimento’ subito, la nozione di differenziazione della famiglia stirpe, la dif-ferenza di razza. La famiglie stirpe incompleta si ferma alla differenza di lingua, di atteggiamento, dicostume. Il nazismo è la ricalca del protesantesimo all’apice della sua scristianizzazione: tentadi subordinare lo Stato alla razza: il predestinato esclude – stermina – tutti gli altri.Ma questa inversione metafisica cozza contro la realtà se non altro perché “tutti glialtri” sono di razza diversa. Il buio della mente persegue i propri demoni e non vede più il reale: il persecutoreè coartato dal proprio oggetto mentale. La reazione sadica al comunismo, in pienascristianizzazione nell’Europa protestante, produce un tentativo di riacquisizione diuna posizione psichica di dominanza e di ritorno al paganesimo. Il crollo è nella mente del carnefice oscurata dalla propria stessa impotenza: è usci-ta dagli ideali di ricomposizione (e di emancipazione) con il passato. Tentare di riappropriarsi e di riprodurre la potenza del passato (del padre) dopo aver-

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la seviziata significa distruggere l’ideale futuro possibile e quindi annientare anchese stessi una volta assunto il ruolo dell’autorità. Il nazismo è paranoia e follia.

La Lega là dove declina la pratica alla messa

L’etnocentrismo è solo un pò schizoide. L’elettore leghista è un maschio, adulto, non molto istruito, operaio e FaustoAnderlini definisce così gli orientamenti dell’operaio veneto: uno che “disprezza lapolitica (…) ma non disegna comunque né l’impegno sindacale né l’adesione all’a-zione collettiva di tutela dei propri interessi. Una figura mobile, irrequieta, insoddi-sfatta di ogni habitus, che tange un poco tutti i mondi e le cerchie, con più che lar-vali propensioni strumentali nel comportamento”. All’apice della scristianizzazione la reazione etnocentrica della famiglia stirpe siattiva proprio qui ed è proprio nel Nordest che nascono le lighe che marcano soprat-tutto il territorio e aspirano alla centralità regionale o meglio alla “nazione veneta”. Ma l’accavallamento dell’industrializzazione degli anni Ottanta già esaurisce ilfenomeno che, invece, prende l’accento più moderno di offerta politica vera e pro-pria marcata dalla Lega Lombarda; tra l’altro elettoralmente in anticipo sulla LigaVeneta proprio per la diversa velocità dell’industrializzazione e deindustrializzazio-ne tra Nordovest e Nordest. Dalla pulsione etnocentrista regionale a quella piùmoderna di “popolo dei produttori” che si contrappone a quella dello Stato centra-lisa. Lo scontro politico va a tutto campo e i simboli, gli slogan anche truculenti, ser-vono da rafforzamento comunicativo per accorpare esigenze che sono molteplici:identità, alterità, rappresentanza, interessi. La Lega, soprattutto nel Nordest, si posiziona esattamente là dove, vent’anni prima,declinava la pratica religiosa e quindi la Dc. Nel 2000 soltanto la Lista Di Pietro, trai nuovi partiti, si posiziona uniformemente, sopra il 4%, in tutto il Nordest. InTrentino-Alto Adige le vicissitudini e il posizionamento della Lega Nord nelle ele-zioni del 1998 sono sintomatiche: 8,7% in Trentino e 0,8% in Alto Adige: là dovel’espressione etnocentrica è precedentemente connotata rispetto all’industrializza-zione-deindustrializzazione esistono già partiti di riferimento.L’etnocentrismo difensivo, che nasce in un Paese in cui la famiglia stirpe è minori-taria, si appoggia sulla pratica del saper fare e valorizza l’istruzione di base, il risul-tato del lavoro, la competizione che il modello dominante nazionale scambia perliberismo; si tratta, invece, di differenziazione: “siamo i più bravi, quindi siamo i

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migliori”: più produttivi, più sicuri, più puliti... Valori fondanti il riferimento all’autoritarismo e all’inegualianza tradotti in senso dicompetizione e liberista ma che non hanno nessun supporto culturale o di mentalitàdi liberalità e uguaglianza maggioritaria, almeno nel Nordest. Il riferimento, infatti,è alla diversità, alla lingua, alla differenza, ma anche all’autorità. Umberto Bossi,leader della Lega Nord e Ministro della Repubblica, nel luglio 2003 dice, ripreso dalCorriere della Sera: “Quando ero bambino ballavo il rock. Allora era facile, c’erachi difendeva la tradizione, chi l’illuminismo, cioè i partiti atei di massa. Poi arrivail sessantotto che crea cittadini, cioè uomini mascherati, tutti con la stessa identicamaschera. Girarono gli altari, sovvertirono la tradizione anche nella religione. E siscagliarono contro la famiglia7. L’Occidente non è quattro regole illuministiche,siamo uomini. E non è vero come dicono gli illuministi che siamo tutti uguali. Loroli vorrebbero tutti dello stesso colore, magari tutti della stessa altezza.” O tutti della stessa lingua, come avrebbe aggiunto Pasolini che, qualche settimanaprima di morire, fu invitato da Gustavo Buratti che racconta dal sito dell’Istituto perla storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella eVercelli, cosa rispose l’intellettuale friulano alla domanda su come difendere iragazzi “dialettofoni” in una scuola che, invece, si pretendeva democratica. “In questi dieci anni - disse Pasolini - la situazione antropologica e culturale italia-na o meglio, la cultura antropologica italiana si è completamente ribaltata.L'insegnamento o la protezione del dialetto o è diventato un fatto di tradizionalismo,di conservatorismo (che considero perfettamente sano, per le ragioni che esiste una"destra sublime"), oppure dovrebbe diventare profondamente rivoluzionario (qual-cosa come è la difesa della propria lingua per i Paesi baschi, oppure per gli irlande-si), deve arrivare al limite del separatismo, che sarebbe una lotta estremamente sana,perché questa lotta per il separatismo non è altro che la difesa del pluralismo cultu-rale, che è la realtà di una cultura. Quindi: o essere conservatori, ma illuminati, in

7. E’ molto interessante questo concetto di famiglia che hanno i leader politici, soprattutto di centro-destra, dopo la scristianizzazione. I leader precedenti o erano sposati, o al massimo erano dei single odei vedovi. Pride, il mensile on line gay, ha pubblicato un’indagine proprio su questo argomento.Bossi ad esempio si è sposato una prima volta e ha avuto un figlio, poi ha avuto tre figli con la donnache solo dopo è diventata la sua seconda moglie. Ha avuto figli fuori dal matrimonio e poi si è rispo-sato. Berlusconi s’è sposato due volte, ed ha avuto figli in ambedue i casi. Fini invece si è sposato unavolta sola, ma sua moglie è divorziata. Casini si è separato dalla moglie annullando il matrimonio allaSacra Rota ed ora ha una nuova compagna fissa. L’unico regolarmente sposato e con figli è RoccoButtiglione ma la sua collega Dorina Bianchi ha un bambino d’un anno e non è sposata. Un esempiodi scristianizzazione sostanziale!

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modo assolutamente nuovo, che non ha niente a che fare con la conservazione delladestra classica; o essere addirittura rivoluzionari. La cosa, che fino a dieci anni faera una cosa ragionevole, giusta: gli italiani parlano siciliano o romano o friulano,quindi difendiamoli, abituiamoli a parlare un italiano dialettizzato, ad amare il lorodialetto, a rifornire il loro italiano con l'estrema abbondanza lessicale [dei dialetti...],oggi deve avere connotazioni completamente nuove [...]; bisogna trovare un nuovomodo di essere liberi. E’ un problema centrale della nostra vita".Pasolini ha anticipato Bossi?

I leader minimi

La geografia dei socialisti, democristiani ed etnocentristi ha un riferimento più strin-gente al passato religioso mentre la geografia dei comunisti e dei leghisti ha riferi-menti più aderenti ai processi di industrializzazione forzata (Venezia - Trieste). Nellafamiglia stirpe del Nordest socialdemocrazia e democrazia cristiana sono la risul-tante del mondo ideologico seguita all’alfabetizzazione mentre comunismo e leghi-smo aderiscono nei processi di industrializzazione. Entrambe interagiscono con lascristianizzazione. In questa logica una sequenza di istruzione alta caratterizzata da un passaggio mag-gioritario alla scuola secondaria superiore, un forte terziarizzazione ed una più mar-cata emancipazione delle menti definirà il nuovo status collettivo del Nordest già daiprossimi anni. Il processo di totale scristianizzazione, accentuatosi nell’ultimodecennio, e una più alta alfabetizzazione, soprattutto femminile, potrebbero rende-re ancora più evidente le caratteristiche fondamentali della famiglia stirpe: autoritàe ineguaglianza. L’autorità, in un’alzata dei tassi di attività nel terziario, può significare più Stato, piùriferimento alla coordinazione e alla gestione della rete sociale ed economica, anchepiù richiesta di protezione. L’ineguaglianza, in un contesto del genere, potrebbeesprimersi in una sempre più marcata differenziazione delle opportunità individua-li controllata, però, da una classi medie che modulano, direttamente nelle famiglie,le dinamiche del lavoro. Il veicolo fondamentale delle ideologie non sono gli stati o i partiti ma i nuclei fami-gliari nei quali avvengono anche le eventuali compensazioni che si esprimono negliatteggiamenti formali e di contenuto degli individui. Se non teniamo conto di que-sti meccanismi fondanti non possiamo che procedere per astrazioni. Ma tanto larealtà andrà per la sua strada nonostante le nostre astrazioni.

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Il Nordest di fine Novecento è frutto dell’autoritarismo Chiesa-Dc degli anni pre-cedenti e che era riuscito ad esprimere leader rappresentativi anche a livello nazio-nale: i De Gasperi, i Rumor, i Piccoli, i Gui, i Bisaglia, i De Michelis. Ora non neesprime perché li sta ancora allevando e questo è uno dei segnali del cambiamentodi mentalità avviato nello scorso decennio: il Nordest è in pieno fermento.

I leader d’oggi

Dalla religione unica si passa all’ideologia unica: già agli inizi del Novecento, nelleprovince venete e friulane, la presenza di protestanti ed ebrei non supera qualchemigliaio di persone. Oltre duemila ebrei sono censiti soltanto a Venezia. Il prote-stantesimo era stato fermato alla frontiera del Nordest, ma non del tutto. Il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, dell’agosto 2002, presieduto dalla pasto-ra Erika Tomassone, “registra con grande preoccupazione l'aggravarsi, nel nostropaese, di un clima di intolleranza nei confronti delle minoranze etniche e religiose,talvolta stimolato e strumentalizzato da esponenti di partito e di governo. In tale qua-dro, l'attacco sferrato all'onorevole Riccardo Illy in quanto valdese e quindi portato-re di una cultura calvinista, che produrrebbe sentimenti egoistici, oltre che fondatosu presupposti falsi, è testimonianza del più profondo disprezzo dei principi di lai-cità e pluralismo e tende a stimolare sentimenti di ostilità pregiudiziale in funzionedell'appartenenza confessionale. Il Sinodo esprime viva gratitudine nei confronti diquei rappresentanti della Chiesa cattolica e delle comunità ebraiche che hannorespinto tale provocazione, dimostrando nei fatti che una fede autentica rifiuta dilasciarsi usare quale strumento di ostilità e divisione tra le persone.” Il quotidiano L’Unità, diretto da Furio Colombo che è stato portavoce della Fiatnegli Stati Uniti, si accorge di tutto e il 27 agosto pubblica un articolo che attaccacosì: “Anche i razzisti nel loro piccolo si evolvono.”L’attacco è a Francesco Saro, deputato di Forza Italia in smobilitazione che si pre-senterà da solo alla corsa per la presidenza nel 2003 dopo la candidatura del Polodata alla leghista Alessandra Guerra. L’azzurro spolvera qualche vecchio arnese disociologia e spara contro Illy: fa parte di una cultura egoistica e improntata unica-mente al profitto, individualista, che “nulla ha a che fare e nulla ha in comune conquesto paese e questa regione”, dice. Una cavolata madornale. ”Vagli a spiegare che il fondatore del movimento valdese, Valdo, mercante di Lione,- rimbrotta L’Unità come se fosse L’Avvenire - poco prima di Francesco d’Assisilasciò i suoi averi e predicò la povertà della chiesa.” Lo stesso Saro, ex socialista,

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nel ’93 quando Illy era candidato a sindaco di Trieste disse, ancora più chiaramen-te, che “i cattolici non possono votare un sindaco valdese”. I friulani, invece, l’hanno sempre votato, Illy. E il nuovo governatore friulano si vede così: "Sono cresciuto in una famiglia val-dese, invece della consueta ora di religione ho fatto le scuole domenicali valdesi. Horicevuto un’educazione piuttosto rigida. Per esempio, la nostra visione del peccatoè più intransigente rispetto a quella dei cattolici. Non abbiamo la confessione, quan-do trasgrediamo rispondiamo direttamente a Dio, non c’è assoluzione in terra". Non ci sono intermediari, Illy se la deve vedere direttamente con Dio per quello chefarà. Non fosse che Dio ha già deciso il destino di Illy e dobbiamo tutti sperare cheil governatore non si identifichi troppo nel Padre. Ma lui assicura i lettori dell’Unità:"Il retaggio della mia educazione è un’etica della responsabilità forte, un senso deldovere rigoroso. Mi è stato sempre ripetuto che l’azienda di famiglia non era al mioservizio ma che io, così come ogni altro componente della famiglia, ero al serviziodell’azienda. Lo stesso principio si riflette nel mio impegno in politica, verso le isti-tuzioni, i cittadini". Che un uomo o una famiglia debba essere al servizio dell’azienda e non l’aziendaal servizio dell’uomo è un pò preoccupante, ma probabilmente era solo un’analogiaper dire che riconosceva l’autorevolezza dello Stato e quindi della Regione comeespressione di tutti i cittadini. Speriamo che Illy ne sia consapevole.L’11 giugno Francesco Battistini, sul Corriere della Sera, aveva scritto: “E nel Friuliche ha dato il bacio della morte (politica) a Haider e la tomba (vera) allo xenofoboolandese Pim Fortuyn, c'è chi celebra già il funerale elettorale dell'asse Bossi-Tremonti: "Si sono giocati tutto, escono a pezzi - racconta Ferruccio Saro, grandeelettore del vecchio Psi, il deputato dissidente espulso da Forza Italia che s'è candi-dato alla presidenza della Regione e ha rubato un 3% alla Guerra - L'idea gliel'ave-va data Rino Formica, l'ex ministro di Craxi, molto legato a Tremonti: proporsicome rappresentanti del Nord-Est e costruire qui, in Veneto e in Lombardia, la suc-cessione a Berlusconi. Hanno sbagliato i conti, però. Hanno buttato fuori i dirigen-ti locali e scelto una leghista che non piaceva a nessuno, cucinando il panettone aMilano. L'hanno fatto con arroganza, anche. Bossi in piazza, a proporre di fucilarequelli che non ci stavano, come me, o a minacciare il taglio dei finanziamenti daRoma, nel caso avesse vinto Illy. E Tremonti nei suoi incontri con gli imprenditori,ricevuti con a fianco il direttore dell'ufficio imposte". Una rivolta mai vista, nel cen-trodestra. Che nemmeno Bossi ("i fuorusciti sono solo dei Qui, Quo, Qua") ha potu-to liquidare: "Hanno insultato i nostri simboli - dice Cecotti (leghista, sindaco diUdine, passato con Illy – nda), sul filo della rielezione al primo turno - hanno preso

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un agriturismo e l'hanno riempito di funzionari "visitors" coi loro sondaggi, hannomesso dei telefonisti con l'accento napoletano a proporre di votare Guerra, hannomandato la Finanza tre volte in cinque giorni a controllare gli alberghi di Tondo.Non potevano che fare questa fine: nelle regioni a statuto speciale, Forza Italia èdestinata a diventare un partito marginale (…)”E Battistini scrive ancora: “La sconfitta ha una madre certa, ma orfani più o menoafflitti. Roberto Rosso, il commissario politico già reduce dalle sconfitte con ForzaItalia in Piemonte, si consola con una "sostanziale tenuta del nostro voto". Illy? Asentire Rosso, in fondo ha vinto perché s'è rifatto allo stile Berlusconi, al modellodell'imprenditore entrato in politica. An e Lega, poverette, non hanno placebo simi-li. E il sindaco Cecotti, uno che scrive anche gialli in friulano, può anche maramal-deggiare: questo suicidio politico, lui l'aveva un pò narrato nel suo President . Settecadaveri eccellenti nel palazzo della Regione. Uno, toh, era proprio quello diPeppino Zoppolato, il capo della Lega di qui. Che oggi si dimette.”L’onorevole Riccardo Illy, valdese, dunque, crea scompiglio nel centro-destra,diventa Governatore del Friuli-Venezia Giulia e fa una Giunta di tutti esterni: deci-de lui e nessun altro. Qualche giorno dopo, a Roma, in un incontro tra studiosi epolitici a Palazzo Giustiniani alla presenza del Presidente del Senato Marcello Perail politologo Arduino Agnelli, docente di storia delle dottrine politiche all'Universitàdi Trieste, dice che la Giunta Illy è composta da "assessori che sono tutto e il con-trario di tutto". Non solo, ma all'interno di questa Giunta, vi sono persone, come adesempio l'assessore Enrico Bertossi8 che era stato, in un primo tempo della campa-gna elettorale, indicato da Forza Italia come proprio candidato presidente e lui avevaanche accettato. "Nella mia regione - ha detto Agnelli - non c'è più rappresentanza". Non si capisce- ha spiegato - in base a quale logica gli assessori debbano essere scelti al di fuoridel Consiglio regionale, ma non solo; in Consiglio sono entrate persone soltantoperché erano nella lista del Presidente ma che non sono state espressamente votate.Dunque il Friuli-Venezia Giulia sta mettendo in pratica un forte sistema in cui la rap-presentanza viene fortemente affievolita in ragione della governabilità. Ma questo -sempre secondo il ragionamento del professor Agnelli - è tutto da dimostrare visto,appunto, la composizione di una Giunta che è "tutto e il contrario di tutto".

8. Bertossi, quando era presidente della Camera di Commercio di Udine disse che vedeva: “Un Friulieconomico, che pur facendo parte del Nordest, presenta caratteristiche peculiari, per certi aspetti simi-li ma non uguali alle altre province del Nordest, tanto da identificarsi come un vero e proprio "loca-lismo”.”!!!

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Dunque l’imprenditore che ha portato il marketing nell’azienda di famiglia nellaquale è stato “a servizio” e che produce caffè, il signore dallo sguardo serio che nonmette mai la cravatta neppure nelle occasioni ufficiali, viene attaccato perché non ècattolico ma anche perché è troppo autoritario. Illy, infatti, è la personificazione deivalori fondamentali della famiglia stirpe e, in questo caso, data l’adesione al prote-stantesimo, direi completa più che incompleta. Credo sia un passaggio importanteche esce anche dal confine locale e che, ancora una volta, pone il Nordest in unaposizione di proposta ideologica nuova anche per il resto del Paese con la quale, nelprossimo futuro, occorrerà fare i conti. Illy è il rappresentante antropologico dell’autoritarismo e dell’inegualitarismo cheesprime il protestantesimo centro europeo e che potrebbe diventare congiunzione,non geografica o di maniera, ma culturale e ideale, anche verso l’esterno enell’Europa unita dei popoli e non della moneta. Anche se appare paradossale la struttura autoritaria e allo stesso tempo inegualitariadel protestantesimo a livello metafisico, rivendica, socialmente, l’uguaglianza tra gliuomini. La predestinazione ultraterrena fa della vita terrena un’opportunità per cer-care di svelare il progetto di Dio sull’individuo e quindi ognuno può porsi alla pari.Operando si svelerà il disegno predestinato. Si tratta di una forma di pari opportu-nità – la lettura a ognuno della Bibbia – che esplicherà il disegno di Dio soltanto allafine. Nel frattempo il protestante agisce, ondeggiando, storicamente, tra l’obbedien-za alla propria coscienza e obbedienza all’autorità civile (o all’azienda, se questadiventa, ideologicamente come nel Nordest, tanto autorevole!). Il sistema famigliare basato su autorità/ineguaglianza aderisce a questa rappresenta-zione metafisica ma con modulazioni che hanno portato i protestanti a sconfessareil potere del Papa e ad affermare quello dello Stato e a combattere le disparità tra gliuomini. Il protestante, dunque, può essere anche di sinistra. Di fatto, dunque, nes-suna sorpresa se il protestante Illy, aderente a valori di autorità e ineguaglianza,metafisici, si connota a sinistra. In questo modo viene riconosciuto meglio anche daicomunisti e dai leghisti.Il protestantesimo scristianizzato diventa forza di sinistra e infatti non si registranoreazioni politiche quando è proprio Illy ad incontrare, neanche due mesi dopo esse-re diventato Presidente, il Governatore della Carinzia, il nazionalista Joerg Haider.Il 3 agosto 2003, a passo Pramollo, i due si incontrano alla 55esima edizione dellaFesta dell'amicizia Friuli-Carinzia e decidono la realizzazione del collegamento traPontebba e le piste da sci di Nassfeld, che lo stesso Illy ha ricordato essere stato inse-rito tra gli obiettivi del suo programma di governo. Vogliono trasformarePramollo/Nassfeld in uno tra i migliori comprensori turistici a livello europeo. Ma

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la collaborazione tra le due Regioni, hanno concordato Illy ed Haider in un comu-nicato congiunto e ufficiale, “proseguirà anche in altri settori, sulla base diquell'Accordo bilaterale sottoscritto nel 2001 e che dalla prossima riunione ufficia-le tra i due Governi, fissato per il 20 settembre in Carinzia, dovrà portare ad opera-tività e fatti concreti.” Non solo ma Illy vuole mettere in rete anche le strutture sani-tarie di Friuli-Venezia Giulia, Carinzia e Veneto, e anche quelle della Slovenia. Saràpiù facile farlo con il governatore Haider che con il governatore Galan?A metà settembre proprio Illy e Galan si incontrano in gran segreto per mettere apunto il progetto dell’Euroregione; un agglomerato omogeneo culturale, sociale edeconomico che comprende il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto, la Slovenia, la regio-ne istriana, la contea di Fiume e poi, se ci staranno, anche Trentino e Alto Adige.Galan dirà: “E’ una collaborazione che perseguo da anni. E con quelli che c’eranoprima di Illy (Forza Italia e Lega Nord) non è che ci siano stati grandi successi.” Illyparla di “coopetition”: “Nelle attività delle imprese - spiega a Renzo Mazzaro de LaNuova Venezia - potremmo sempre avere concorrenza mentre per realizzare leinfrastrutture, la rete dei servizi sanitari, scolastici, culturali, potrebbe esserci perfet-ta collaborazione”. Su questo vale la pena di citare il sociologo Arnaldo Bagnascoche nel libro “Società fuori squadra” scrive: “L’idea di una Europa delle regioni èsuggestiva, e in certi sensi plausibile, ma se radicalizzata, a parte ogni altra consi-derazione sull’appropriatezza spaziale di specifiche funzioni organizzative, si scon-tra non solo con l’evidenza che gli stati sono e continuano saldamente a essere i refe-renti essenziali dell’Unione, ma anche con il fatto che l’allargamento dell’Unioneimplicherà problemi già difficili da gestire a livello di stati, che probabilmentediventerebbero impossibili facendo troppo spazio a soggetti regionali”. La discussione è aperta.

Il settimanale delle chiese evangeliche, battiste, metodiste e valdesi, “Riforma”, cheprobabilmente il Presidente Illy riceve, pubblica on line, nell’agosto 2003, un arti-colo di Marco Mazzoli che fa il punto sulle questioni politiche sul tappeto: “mentrenella calura estiva, tra scarsità d’acqua, rincari dei ristoranti e dei generi alimentari,si dà la colpa al solito euro ormai in circolazione da parecchio tempo (dimentican-do l’assenza di politiche governative di gestione delle risorse idriche), un altro spet-tro si aggira nell’accaldata penisola: quello del declino industriale italiano, ormaidenunciato da importanti autorità istituzionali.” E’ finita la cuccagna della lira svalutata, spiega Mazzoli, le ricette di meno tasse pertutti e lavoro flessibile sono andati a farsi friggere. E’ ora di finirla con gli equivocie che la crescita economica e la liberalizzazione delle economie richiede un’apertu-

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ra commerciale incondizionata è una balla.“Gli Usa sono in realtà uno dei paesi più protezionisti di tutto il mondo. I dati stati-stici dimostrano che i paesi africani e asiatici sono molto più aperti al commercioestero di quanto non lo siano gli Usa. Esempi plateali (ma passati sotto silenzio daimedia americani) sono le barriere doganali stabilite da Bush sulle importazioni dibeni alimentari (l’unica speranza di crescita per molti paesi africani) e le sulleimportazioni di acciaio dall’Europa.” “È possibile – chiede il settimanale protestante - che il costo del lavoro (e la sua pre-carietà, che alcuni preferiscono chiamare flessibilità) sia determinato dalla concor-renza internazionale di paesi dove esiste il lavoro minorile, i sindacati sono inesi-stenti e il potere è nelle mani di dittature repressive? Ma dopotutto la Cina comuni-sta è un partner beneamato, sotto l’amministrazione Bush.”“Un’altra balla è che “il mercato lasciato agire da solo fornisce il risultato econo-mico migliore possibile.” Siamo in condizioni di oligopoli e monopoli e quindi “ètristemente vero che il mercato in regime di monopolio o di oligopolio collusivo puòcausare risultati socialmente devastanti, imponendo di fatto il prezzo ai consumato-ri, privi di qualsiasi tutela, come dimostra la crisi argentina, dove la privatizzazionedei servizi pubblici è stata solo la semplice consegna di imprese pubbliche nellemani di monopolisti privati stranieri.”E poi non è vero che “il mercato è sempre e comunque più efficiente dello Stato”,anzi, “lo Stato è molto più efficiente del privato nell’offrire i servizi. Alcuni tristiesempi: la disastrosa privatizzazione delle ferrovie inglesi, con incidenti ferroviaricresciuti esponenzialmente, la spesa sanitaria pro capite statunitense, che è più altadi quella tedesca e francese, mentre i cittadini americani sotto la soglia di povertà(circa il 10%) sono privi di polizze assicurative, quindi, di fatto, quasi privi di pro-tezione sanitaria. Nessuno – conclude Marco Mazzoli - ha mai fatto un serio sforzoper migliorare l’efficienza del settore pubblico, attraverso azioni di monitoraggio, omeccanismi politico-istituzionali che consentano un vero controllo sulla pubblicaamministrazione: questo implica anche il licenziamento dei dipendenti pubbliciinefficienti (si tratterebbe di licenziamento per giusta causa). Queste considerazioniappartengono al pensiero liberale keynesiano: non occorre certo essere "di sinistra"per condividerle.”Non è vero, Mazzoli si sbaglia: Illy ha già fatto anche questo. Appena arrivato, ametà giugno, è andato, senza cravatta, in via Carducci, a Trieste, a incontrare i diret-tori regionali ed i direttori dei servizi autonomi dell'amministrazione regionale. "Misento al servizio di questa Regione, di tutti i suoi cittadini e delle istituzioni e miaspetto da voi lo stesso atteggiamento", ha detto il neo Presidente, quindi si riorga-

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nizza tutto e questo significa “una diminuzione delle direzioni regionale che dovran-no diventare al massimo dieci coordinate da un direttore generale”. Invece Mazzoli c’azzecca quando scrive che certe considerazioni non occorre certoessere di sinistra per condividerle. Infatti nell’estate 2003 anche dai cantoni meno di sinistra arrivano richiesteprotezioniste. Il mondadoriano, Economy, allegato a Panorama, il 3 luglio 2003 a penna del diret-tore Paolo Madron titola: “Lo Stato intervenga in Fiat”. Sommario: “I liberisti stor-cono il naso inorriditi, ma la salvezza del più importante patrimonio industriale delpaese merita una deroga. Anche se temporanea e definita nei modi.” Rompete gliindugi voi di Roma, è l’invito del vicentino Madron, e scucite un miliardo e mezzodi euro per la Fiat. Che agli altri ci pensano tutti gli altri liberisti!Il Corriere della Sera del 21 luglio, in prima pagina, sintetizza meglio, in grasset-to, il pensiero: “L’offensiva economica dell’Estremo Oriente, indicata dal mini-stro dell’Economia Giulio Tremonti nell’intervista al ‘Corriere’ come la causaprincipale delle difficoltà dell’industria italiana, preoccupa, le imprese tessili delNord Est. Non si tratta di imporre restrizioni (“il protezionismo sarebbe danno pertutti” ha detto il ministro per le Politiche comunitarie Rocco Buttiglione) ma diutilizzare il semestre di presidenza Ue per introdurre anche in Oriente le clausolesociali che rendono più caro il lavoro in Europa e per condurre con energia la lottaalle contraffazioni”.Va dritto al sodo solo il leader della Lega, a Ferragosto, a Ponte di Legno, Bossiannuncia che la Lega è pronta ad avviare da settembre una campagna per il ripristi-no dei dazi doganali per difendere le imprese italiane. ''Ritornano i gazebo per lestrade. Gli illuministi della sinistra hanno tolto i confini per fare entrare i clandesti-ni e offrirli come schiavi alle aziende. Le imprese non sono però state salvate, anzila produzione è andata altrove e noi siamo aggrediti dalla Cina''. Secondo il ministro per le Riforme, la battaglia per il ripristino dei dazi doganali èfondamentale per la difesa dell'economia italiana: ''Dobbiamo sdoganare una paro-la: protezionismo.” Lo faranno a Venezia nel consueto appuntamento annuale di set-tembre. Peccato che la parola sia già stata sdoganata, in un nuovo senso, già alme-no cinque anni fa. Comunque si apre un dibattito. Berlusconi andrà in Cina un paiodi mesi dopo, ma per confermare i rapporti di reciprocità.E Luca Cordero di Montezemolo rimprovererà bonariamente il presidente delCUOA di Altavilla Vicentina, Giancarlo Ferretto, perché lo ha mandato a prendereall’aereoporto con una Volvo e non con una Fiat… o con una Ferrari, magari!

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Proteggere gli ultraliberisti?

Insomma le previsioni della richiesta protezionista scritte da Todd già nel ’98 arri-vano puntualmente dopo lo stress da euro che tutto potrà produrre tranne un’Europaunita. E così anche le reazioni; il 25 agosto mi ritrovo nella posta elettronica i linkdella newsletter “LaVoce”, sito internet animato da docenti e ricercatori universita-ri, prevalentemente di economia politica, dei quali Giuliano Amato, ex delfino diBettino Craxi, scrive l’elogio sostenendo, tra l’altro, che una buona ragione di unsito del genere è “il fondo comune che lega i collaboratori, quella cultura della con-correnza di cui è capitato a me di essere stato missionario in anni passati e che anco-ra oggi è più un culto ammesso che una religione di Stato.” Ebbene i cultori della libera concorrenza sparano subito un testo di AlbertoGiovannini: amministratore delegato de Unifortune Asset Management, HonoraryProfessor presso la Zhongshan University in Guangzhou, e Advisor dell'Institute ofContemporary Finance, Jiao Tong University in Shanghai. In precedenza ha lavo-rato presso il fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Presiede ilcosiddetto "Giovannini Group", un gruppo di consiglieri della CommissioneEuropea su problemi legati ai mercati finanziari. Giovannini dice che con le prote-zioni “si sussidia l’industria nazionale e si tassano i consumatori nazionali. Il mec-canismo funziona perché tipicamente la tassa, pro-capite, è bassa, e quindi facile danascondere agli occhi del pubblico. È questo il momento di pensare ad altri sussidi?Non è ora che tutti gli industriali capiscano che strategie basate sugli aiuti pubblicisono perdenti?” Chissà se questo vale anche per l’acciaio statunitense. Non solo ma lo stesso Giovannini rincara la dose e appunta: “Chi pensa che la com-petitività dei cinesi sia dovuta solo al fatto che i salari in quel Paese sono una fra-zione dei salari in Europa dimostra profonda ignoranza. Se così fosse, perché nonsiamo inondati da prodotti africani? La Cina è un Paese con una cultura ricchissimache si riflette in élites economiche e politiche assai sofisticate. E’ un Paese dove laconoscenza, la creatività e lo spirito imprenditoriale sono incoraggiate e ammirate,e raggiungono livelli superiori a quelli nel nostro Paese.” Ma in Cina ad incorag-giare e ammirare questo spirito imprenditoriale non è uno Stato comunista, inter-ventista e protezionista? Lo vedo male Bossi che va in Cina, come un Marco Polo,male attrezzato, a chiedere di smetterla di mandarci giocattoli o ristoranti tipici! Macerto uno scambio reciproco di beni e capitali potrebbe passare anche da un prote-zionismo sperimentale e più coordinato. Piuttosto del protezionismo darwinista sta-tunitense e libero scambista che viene fatto passare per progresso…

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E’finito il welfare dell’al di là

Dunque l’implosione delle ideologie permette, grazie ad una sostanziale pace civi-le che regna in Europa da oltre cinquant’anni, un passaggio morbido di mentalità eanche una certa omogeneizzazione. Accusare un signore di essere valdase divienecompletamente insensato, ma prendere in considerazione politiche regionaliste enazionaliste e, perché no, protezioniste diventa obiettivo trasversale. Mentre in passato le crisi religiose e la crescita dell’alfabetizzazione producevanopassaggi violenti e sanguinari, l’avvicinarsi della realizzazione della Città degliUomini grazie a livelli cultuali più alti, fa delle lotte di potere, anche tra generazio-ni, passaggi meno cruenti anche se non meno destabilizzanti. Nell’era moderna è piuttosto il sistema liberale anglosassone che spinge per la dico-tomia destra/sinistra, come ha fatto la signora Thatcher in Gran Bretagna, o comu-nisti/non comunisti come fa il cavaliere Berlusconi in Italia. Il cancelliere tedesco Schroeder vince, piuttosto, sulla dicotomia pace/guerra, ilfrancese Chirac su europeismo/nazionalismo. Le vecchie etichette ideologiche nonci sono più.Se l’appartenenza a una Chiesa o ad un gruppo può creare una certa sicurezza, com-presa la distorsione delle valutazioni, la disintegrazione dei riferimenti nella societàpost-industriale mette in crisi i singoli che rischiano l’anomia. Il consumo di massapuò creare un certo effetto di sospensione dell’ansia. Il livellamento dei consumi, l’accesso a standard simili di oggetti o servizi può esse-re utilizzato per calmare il disorientamento per offrire simboli di uguaglianza e ine-guaglianza. Ma non, con questo, permettere l’emancipazione proprio perché istigal’attaccamento all’oggetto. Nella nuova classe media, quella più istruita e terziariz-zata, per intenderci, la fine delle ideologie non provoca la stessa paura che attana-glia i gruppi professionali meno qualificati o che subiscono la concorrenza dellenuove tecnologie e delle biotecnologie. Operai, piccoli commercianti, piccoli e medi coltivatori, allevatori, imprenditori,artigiani devono far fronte a vere e proprie reazioni di panico: i produttori di lattedel Nordest occupano per mesi le pagine di cronache per le loro proteste spruzzan-do letame sulle autostrade.Gli operai passano per la cassa integrazione anche a quarant’anni e diventano mate-ria prima per formatori da impiegare, agenzie di servizi e strutture di collocamentoal lavoro. I contoterzisti chiudono bottega: solo il Gruppo Benetton, nell’ultimoanno, ha eliminato 38.000 posti di lavoro esterni. E non c’è nessuna compensazio-ne ultraterrena per questa sofferenza. Non ci sarà un giudizio divino, non ci sarà lo

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Stato proletario che metterà a posto tutti allo stesso modo, prima o poi, e non c’è piùnemmeno la propria Nazione, i concittadini, perché nel frattempo tutti dicono chela politica decide tutto a Bruxelles, in Europa o in qualche parte del Mondo e che,appunto, c’è la globalizzazione. Dove sia questa globalizzazione, di preciso, nessuno ancora lo ha detto9. Dagli anni Ottanta, come abbiamo visto, nel Nordest esplode l’etno-regionalismoma anche la nuova microideologia verde. Nel Veneto, nell’83, i Verdi prendono, alleelezioni politiche per la Camera, il 3,7%. Quattro anni dopo sono al 3,2% e la LigaVeneta prende il 3,1%. Ma poi è storia finita: i Verdi resteranno sempre sotto i 5%. A differenza della Lega Nord, però, la distribuzione del voto è praticamente estesaa tutto il Nordest: non ci sono vere e proprie nicchie. Anzi, Vicenza che è una delleprovince “storiche” del leghismo, è anche la provincia nella quale il capoluogoesprime una forte presenza Verde. Sono gli stessi anni dell’esplosione dei Verdi inGermania, dell’ascesa del Fronte nazionale in Francia. In Italia i verdi e i grigi, alleelezioni europee del 1989, sono quasi pari: 6,2% e 5,5%. Spiega Todd: le due micro-ideologie “non cercano un sogno o la creazione di unasocietà nuova. Esse sono conservatrici, si sforzano di proteggere contro la corruzio-ne la città ideale del presente. I movimenti ecologisti vogliono fermare la degrada-zione dello sviluppo tecnologico, nucleare o chimico. I movimenti xenofobi sonoinquieti per la distruzione della società a causa dell’immigrazione. Verdi e grigivogliono fermare la storia.”I verdi, però, sono all’estrema sinistra mentre i grigi sono a destra anche se non èquesto quello che conta. I verdi possono spostarsi anche più al centro e i grigi anche. Alexander Langer, leader dei verdi nordestini, negli anni Settanta è un militante del-l’estrema sinistra parlamentare10.Langer, che si suicida il 3 giugno del ’95, avrebbe voluto un movimento verde attra-verso tutto lo spettro politico, una “conversione ecologica” della società. L’idea diLanger era quella di un’autolimitazione cosciente, di una valorizzazione della vita

9. Mi sembra interessante qui ricordare quando diceva Renzo De Felice sull’idea di Europa: “Tant’èvero che, se consideriamo i gruppi neofascisti attuali, vediamo che il nazionalismo è sostanzialmentescomparso, e al suo posto c’è una sorta tutta particolare di europeismo. Un europeismo che – qualcu-no potrà dire – è una specie di supernazionalismo: l’Europa contro l’America o l’Unione Sovietica,una terza entità fra i due blocchi contrapposti. Questo particolare europeismo è il frutto della crisi deivalori nazionali seguita alla seconda guerra mondiale.”

10. Così come Franco Rocchetta, fondatore della Liga Veneta, agli inizi degli anni Settanta milita inun gruppo ecologista radicale: “Fronte di liberazione veneto” che “assalta” una petroliera a Marghera.

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conviviale a livello locale e comunitaria. Ma i Verdi vogliono chiudere la stallaquando i buoi sono già abbastanza fuori. L’azienda è in corso di liquidazione e l’al-larme suona tardivo. Lo dice anche una maxi-sentenza di Porto Marghera.Il giorno dei morti, il 2 novembre 2001, i 28 imputati del maxi-processo per i 157operai morti per tumore al Petrolchimico di Marghera vengono tutti assolti. A variotitolo erano accusati di omicidio e lesioni plurime e anche disastro colposo per averinquinato con gli scarichi aria, suolo, sottosuolo e acque lagunari. Secondo il colle-gio giudicante il CVM, la sostanza prodotta negli stabilimenti di Porto Marghera,provoca solo alcune forme di tumore (angiosarcoma epatico e altre forme di epato-patia) e la sua cancerogenicità è nota solo dal 1973: quindi, le morti precedenti aquella data non costituiscono reato11."Successivamente al 1973 per prima Montedison e poi Enichem realizzarono tem-pestivamente gli interventi sugli impianti necessari a ridurre l'esposizione dei lavo-ratori a livelli compatibili con quelle norme di protezione che il legislatore solo allo-ra emanò". E vale la stessa cosa per l’inquinamento ambientale. Legge la sentenza il giudice Ivano Nelson Salvarani, 62 anni, tra i fondatori di magi-stratura democratica12, e nell’aula famigliari e altri urlano "vergogna, vergogna"; ilprosindaco di Venezia, il Verde, Gianfranco Bettin, scoppia in lacrime. Nell’elenco degli imputati c’era la chimica italiana degli ultimi trent’anni: dagli expresidenti Montedison Eugenio Cefis e Giuseppe Medici, agli ex amministratoridelegati di Montedison Alberto Grandi e Giorgio Porta, quest'ultimo chiamato incausa anche come presidente Enichem ed Enimont, fino all'ex presidente diEnichem ed Enimont Lorenzo Necci. ”All'inizio della mia carriera, - dirà più tardi a Repubblica proprio Nelson Salvarani- più di trent'anni fa, mi chiamavano pretore d'assalto. Dieci anni fa, quando da pmho avviato l'inchiesta su Gianni De Michelis e Carlo Bernini, mi accusavano di inda-gare in un'unica direzione e di essere strumento del Pci. Adesso sono diventato unservo dei padroni. Ma voglio ribadire che era una sentenza che purtroppo dovevaessere fatta. Dico purtroppo perché non va incontro alle aspettative della gente, cheperò si era costruita una verità indotta e virtuale. Abbiamo deluso le attese di chi rite-neva che il proprio marito, il proprio padre erano morti per colpa della fabbrica”.

11. Poco dopo esce in libreria per i tipi di Feltrinelli, “Petrolkiller” scritto da Gianfranco Bettin eMaurizio Dianese.

12. Per la storia dei magistrati veneti fondatori di Magistratura democratica si consiglia la lettura dellibro di Giovanni Palombarini, “Giudici a sinistra” – Edizioni Scientifiche Italiane - 2000.

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L’europarlamentare di Forza Italia, Renato Brunetta, dirà più tardi che l'area metro-politana non potrà realizzarsi fino a quando ''non si chiuderà la chimica aPortomarghera. Vogliamo che sia la Magistratura a risolvere i nostri problemi stra-tegici con la chiusura di questi impianti?''La fabbrica, dunque, non c’è più e quando c’era era quello che era e tutti lo sapevano. Ai verdi del Nordest, dopo questa sentenza, non resta che cercare di accompagnareil futuro più che riesumare il passato. Nell’agosto 2003 denunciano la Giunta regionale del Veneto per la contaminazionedi campi coltivati con organismi geneticamente modificati. E’ estate, l’argomento èostico, due assessori propongono di usare il tutto per farne combustibile. SempreGianfranco Bettin dirà: ''Per questo motivo come Federazione regionale stiamo perlanciare a settembre una campagna per la raccolta delle 5000 firme necessarie allapresentazione di una proposta di legge regionale di iniziativa popolare per rendereil Veneto 'libero da ogm', accompagnata da iniziative locali per allargare il numerodei Comuni che dichiarano il proprio territorio antitransgenico, per introdurre pro-dotti tipici e biologici nella ristorazione collettiva pubblica e aprire nei mercati loca-li spazi specifici per i produttori biologici e dei prodotti tipici regionali''. I verdi sono integrati: classe media, scrittori, attori, insegnanti, ricercatori, bancari.Sono più attivi là dove erano più attivi i cattolici. Gli altri, i grigi, sono preoccupa-ti: artigiani, operai, piccoli imprenditori, autonomi, pensionati. Sono più attivi làdove erano più attivi i laici. I grigi provano a resistere alla modernizzazione attaccando gli immigrati che ven-gono a fare gli operai, i venditori, gli artigiani e, perfino, gli imprenditori. Ma ilcapro espiatorio immigrato è frutto, più di altro, del panico. Le percentuali di votoleghista, che nelle consultazioni amministrative a elezioni diretta di sindaci o presi-denti, toccano anche il 70% in alcune province (Luca Zaia, a Treviso, nel giugno2002 prende il 68,9%) non giustificano il clima di caccia alle streghe: nel 1999 l’in-cidenza percentuale sulla popolazione residente degli immigrati nelle province conpiù attrattiva va dal 3,2 al 3,7%, in altre siamo intorno all’1,2-2%. Tra l’altro, dal1995 al 1999 ci sono stati incrementi annuali dell’ordine dello 0,4-0,6% e anche conun rallentamento nel 1997.Dunque si tratta, per lo meno, di un rapporto impari dove la proiezione delle ango-sce private trova sbocco nell’identificare un oggetto esterno da perseguire per“corazzare” quello che, in realtà, è nella propria mente: il panico per l’insicurezzadel lavoro e del salario, entrambi diventati insicuri anche per l’imprenditore-operaio.

L’etnocentrismo veneto nell’ultimo secolo fa venire in mente gli onorevoli padova-

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ni Breda e Papadopoli, il trevigiano Manfrin, e il vicentino Rossi che fondarono, nel1889, l’”Associazione fra i veneti residenti a Roma”. Così come il belluneseGiovanni Battista Zannini e la letterata trevigiana Luigia Codemo che scrive già nel1872: “Che cosa è il Veneto per l’Italia? – Niente. Che cosa deve diventare? Tutto”.E non si può non ricordare le traversie del Comitato veneto per il decentramento ele autonomie promosso dal trevigiano PierLuigi Mozzetti che a fine Ottocento vole-va una regione autonoma e si attaccava alla lingua, al sangue, alla terra: la nobilità,naturalmente, era nel passato della Serenissima e del leone marciano, suo simbolo. Il sistema non rifiuta le differenze e sfugge l’uniformazione. E’ come costretto aspingersi avanti da solo. Al limite attardarsi per vedere gli altri cosa fanno e quindidifferenziarsi.Anzi, la famiglia stirpe, ha la tendenza ad accentuare le differenze anche dove nonesistono o sono risibili. La differenza linguistica, ad esempio, paradossalmentepotrebbe essere fatta valere anche a qualche decina di chilometri di distanza se siconfrontassero, tra loro, i dialetti veneti, friulani o trentini.

Astenuti apocalittici e astenuti integrati

L’astensione al voto, senza dubbio, è la risultante di una contestazione, maquando questa supera il 30% degli aventi diritto non si tratta più di sola conte-stazione. Il 30% di una popolazione che contesta realmente significherebbe unaturbolenza continua e una instabilità non riassorbibile se non con grandi cam-biamenti culturali e sociali. L’alto astensionismo racchiude, invece, una sostanziale adesione al sistema, anchese non dichiarata; il messaggio dell’elettore è chiarissimo e ritiene i candidati mag-giori egualmente degni di governare. Non solo, ma nella deideologizzazione collet-tiva l’astensione è la risultate dell’abbassamento della tensione e della lotta tra leclassi. Operai e impiegati, spinti verso il livellamento in alto, saranno tendenzial-mente più influenzati dalla percezione che il sistema sta funzionando e che i temidel dibattito politico, pur diventando sempre più complessi, possono essere noninfluenti. Non dimentichiamo che in Italia dagli anni Sessanta si raggiunge l’alfa-betizzazione totale e la crescita economica viaggia ad un + 5,6% in più l’anno perun lungo trentennio. Il fenomeno dell’astensionismo, dunque, diventa un fenomenodi massa al nuovo cambio di mentalità, dovuto più che alla contestazione – che inve-ce si rivolge a micro-ideologie o a partiti spontanei – alla adesione. E’ chiaro che, allo stesso tempo, il fenomeno dell’adesione tacita assume aspetti

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Referendum estensione art. 18 (2003)

Affluenza alle urne

oltre il 30%

tra il 25% e il 30%

tra il 20% e il 25%

sotto il 20%

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preoccupanti in quanto permette l’espansione di oligarchie politiche incontrollabili.Le stesse organizzazioni intermedie: sindacati, associazioni, gruppi, sono impronta-te in sistemi verticali, cooptanti e differenziati da essere indotti più a gestire il gesti-bile che non a decidere i reali cambiamenti. Vengono continuamente “assaltate” daclonazioni più o meno potenti: Confindustria dalla Compagnia delle Opere, i sinda-cati da sindacati di categoria o di settore, le associazioni si moltiplicano pur occu-pandosi dello stesso ambito. Il controllo delle organizzazioni di massa, tra l’altro, è efficace in un sistema auto-ritario ma viene messo in crisi dalle modulazioni egualitarie. Non è un caso se il sin-dacalismo inglese, che agisce in un sistema libertà/inegualità, nel contesto anglo-sassone è la base del partito e non viceversa. E non è un caso, invece, neppure lastrutturazione verticale e forte del sindacalismo tedesco pienamente ancorato alsistema autoritario/inegualitario. In Italia, invece, i sindacati si sono dovuti dividereideologicamente… in tre. Su tutti, chi, realmente, decide, e questa potrebbe essere anche una soddisfazionedemocratica, è il sistema famigliare. L’equilibrio o il disequilibrio che si realizza trai tipi di famiglia decide il destino di una regione, di una nazione e lo fa pesante-mente, nel lungo termine e indiscutibilmente. E nessun singolo uomo o gruppi diuomini per quanto organizzati possono avere un’altrettanta forza da opporvisi a unapotenza culturale e di mentalità che si esplica così massicciamente e nel tempo. Se, ad esempio, consideriamo l’affluenza alle urne per il referendum sull’estensio-ne anche nelle piccole aziende dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in baseanche alle eleborazioni dell’Istituto Cattaneo notiamo che la distribuzione dei votan-ti è la ricalca della distribuzione dei tipi di famiglia. In Italia là dove i sistemi fami-gliari sono prevalentemente egualitari c’è stata più affluenza e più voto per il “sì” aprescindere dalla presenza di piccole imprese. Anzi là dove vi sono più addetti allapiccola impresa l’astensionismo è stata maggiore. Infine, per non essere sempre complicati, va anche considerato che una popolazio-ne che invecchia può essere meno interessata al futuro e quindi vota meno. Nellecittà con indici di invecchiamento più alti anche l’astensionismo è più alto.

Democrazia e Nazione

La democrazia, che si afferma nelle singole nazioni, è legata a queste in modo indis-solubile. Se si affievolisce il sistema democratico e si affermano le oligarchie è per-ché il valore della Nazione si va esaurendo e i modelli comuni diventano altri e

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meno omogenei. Se il valore della Nazione si acuisce tanto da diventare esclusivosi rischia l’autoritarismo. L’equilibrio tra Democrazia e Nazione è fondante lamodernità ed è ancorato al valore di appartenenza e di identità. Non a caso la nazio-ne nasce con le grandi monarchie.Quando le macro-ideologie svaniscono, l’etnocentrismo regionale si acuisce e ladeindustrializzazione manda nel panico larghe fasce della popolazione, allora sismorza il valore di appartenenza nazionale e nasce la globalizzazione. La globaliz-zazione, quindi, non è una causa ma un effetto della perdita di identità che, nelnostro paese, per quanto riguarda il Nordest, ma non solo, ha significato una rea-zione etnocentrica. Il rifiuto e l’abbandono delle credenze collettive unificanti – enon totalizzanti – crea il tentativo di far nascere credenze collettive, altrettanto tran-quillizzanti, come appunto l’europeismo, la multicultura, il mondialismo, la decen-tralizzazione. Negli altri paesi europei la perdita di identità ha creato reazioni nazio-naliste e differenzialiste (tanti più ricchi ma anche tanti più poveri) che si sono cri-stallizzate nell’idea della globalizzazione. Ma che cosa sia, da dove, effettivamentevenga la globalizzazione nessuno lo spiega.Quando il livello culturale di base cresceva, le industrie offrivano occupazione, ilterritorio era disponibile, tutto è sembrato possibile. Il progresso è diventato vissutoquotidiano: i nonni morivano di fame, ma i nipoti già studiavano di più e viaggia-vano in aereo. Le economie crescevano, quella americana più di tutte perché era lapiù protetta, e le infrastrutture promosse dagli stati davano lavoro anche ai menoqualificati. L’obiettivo individuale, caso mai, era cercare di ottenere sempre di più e associan-dosi con altri individui dello stesso livello e della stessa categoria cercare di indiriz-zare verso di sé più risorse possibili. Generazioni intere sono cresciute pensando ilmerito, il coraggio, la fortuna, la lotta per la sopravvivenza, la resistenza al dolorecome atteggiamenti individuali e non come frutto dell’andamento generale.Tutto questo è possibile a livello nazionale; con la formazione di una sola lingua chepermette il confronto e lo scambio, di un territorio controllabile, di costumi e risor-se divisibili in base a principi e leggi comuni. Niente di tutto ciò, naturalmente, èostacolo all’universalismo, se non la mentalità: la lingua si può imparare, la terra sipuò condividere, i costumi si possono assimilare.L’unico problema, reale, è che ci vorranno secoli e non settimane! Per ora ci si chiede: dov’è l’Europa? Cosa appartiene dell’Europa o del Mondo adun nordestino, un italiano, un francese, un inglese, un americano o un cingalese? Lerisorse della propria nazione, ma non di certo le risorse del mondo che, detto così,diventano soltanto un concetto astratto o di teoria economica. Ecco perché l’Europa

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ancora non esiste. Cosa appartiene ad un italiano del sottosuolo francese? La pizzaè europea, ma in realtà è italiana. Che cosa possiamo farcene del libero mercatodelle professioni europee se la maggior parte della forza lavoro attiva non parla lastessa lingua? La paura diventa più forte dell’avventura, non c’è più il Far West, anzi il West daconquistare siamo diventati noi! La percezione di perdere ciò che si è ottenutodiventa più presente della speranza di conquistare ciò che non si ha. La finanza psichica, più che l’economia reale, prende il sopravvento: le turbe psi-chiche muovono denaro inutile, finto, elettronico che neppure più si manipola, e siscaricano nella speranza dell’arricchimento veloce, per cercare di sentirsi o di met-tersi, comunque al riparo. Se prima la paura e il bisogno di sicurezza si esorcizzavaricorrendo a Dio, poi al partito o alla classe di appartenenza, oggi si è tentato il ricor-so al denaro… perfino all’invenzione a tavolino di una nuova moneta, l’Euro. Piùne ho più mi sento al sicuro. Ma se si svaluta? Ed ecco l’ossessione paranoide peril contenimento dell’inflazione. Il patrimonio, oggi, è più importante del salario.Carlo Tullio Altan, professore di antropologia culturale a Trieste, alla fine degli anniOttanta già si domanda se era possibile, in queste condizioni, una nuova regressio-ne autoritaria e scrive nel suo libro “Populismo e trasformismo”: “Una pura e sem-plice riedizione del regime è storicamente impensabile, se si tiene conto, come si ècercato qui di fare, della complessa congiuntura di cui fu il risultato, e per la qualeesso è da giudicare irripetibile. Certo per contro è un fatto, che i bisogni umani, checi fanno essere cioè uomini e non solo animali, sono insopprimibili. E se fra i biso-gni fondamentali dell’uomo non va mai trascurato il bisogno consapevole di libertà,che ci distingue appunto dagli animali, nemmeno si può trascurare socialmente ilbisogno di sicurezza - che aggrega e cementa i gruppi e le società in un comune inte-resse di autodifesa, tanto contro le minacce esterne, quanto contro quelle di un’in-terna dissoluzione -, senza pagarne duramente il fio in termini di perdita di libertà.In Italia settori notevoli di un ceto medio, enormemente dilatato in ragione della tra-sformazione mondiale del sistema produttivo, nel senso del terziario, se colpiti dalleconseguenze del disordine indotto dal sistema politico su quello economico (si pensiad un debito pubblico che, giunto alla sua soglia critica, dovesse essere consolida-to, per evitare una inflazione selvaggia e travolgente, riducendo drasticamente leabitudini di consumo dei risparmiatori, ormai fattesi simili ad un ‘riflesso naturale’)potrebbero costituire un’eccellente base sociale per un’impresa autoritaria. La pos-sibilità né è tutt’altro che remota.”Come ho già scritto ritengo la paura del deficit pubblico non reale in quanto si trat-ta di una partita di giro con se stessi, se ogni cittadino è realmente il proprio Stato.

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Ma Altan scriveva una decina di anni fa quando eravamo bombardati da argomen-ti sul tema. Ennesima dimostrazione come i grandi temi mediatici siano sorpren-dentemente contingenti e legati alle evoluzioni della mentalità.Anzi, per alcuni aspetti, il deficit pubblico può diventare uno dei leganti collettivi:se tutti hanno un credito nei confronti dello Stato di appartenenza, tutti ne hannoanche un debito. La condizione accomuna ricchi, medi e poveri, meridionali e set-tentrionali, giovani e vecchi. Paradossalmente così come si è definito il Nordestcome “popolo delle partite Iva” si è definita l’Italia come il “popolo dei bot”. Meglioessere popolo di qualcosa che popolo per niente!Quanto alla governabilità, alla democrazia debole, anche questa è un mito: nelNordest, nel secondo dopoguerra, ci sono stati sindaci che hanno governato le cittàper decenni. Deputati che sono morti senatori dopo molteplici legislature. Piuttosto,in passato, il governo non era nelle istituzioni ma nei partiti; e anche questo i citta-dini lo sapevano come sapevano delle tangenti e come sapevano delle fabbrichepericolose. I cittadini sanno tutto!La stabilità dei governi italiani, infatti, non si misura con la durata dei primi mini-stri ma con la durata dei segretari di partito. Ebbene se Fanfani è stato segretariodella Dc prima per cinque anni di fila e poi per due anni. Aldo Moro lo è stato dal1959 al 1964, il vicentino Mariano Rumor dal 1964 al 1969, Benigno Zaccagninidal 1975 al 1980. De Mita ha diretto la segreteria democristiana dal 1982 al 1989.Bettino Craxi è stato segretario del PSI per 17 anni! Più stabilità di così? Piuttosto alcuni modelli che oggi ci vengono proposti potrebbero, addirittura, sfo-ciare in “monarchie democratiche” come negli Stati Uniti dove, in definitiva, fini-scono per contendersi il potere “la famiglia Bush” e “la famiglia Clinton”.Alexis Toqueville scrive: "se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispo-tismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali,intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desi-deri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri:i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana: quanto al rima-nente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma nonli sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia,si può dire che ha una patria." Toqueville scrive questo guardando l’America edunque un sistema di famiglie molto diverso dal nostro, ma oggi molto influentesu buona parte degli italiani. Da qui, ammonisce Toqueville, nasce un'aristocraziadi tipo nuovo "una delle più dure che siano mai apparse sulla Terra (...) vorrei -srive sempre Toqueville - che pensassero un pò più a fare dei grandi uomini:... chesi ricordassero sempre che una nazione non può restare lungamente forte quando

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ogni uomo è individualmente debole e che non si sono ancora trovate delle formesociali e delle combinazioni politiche tali che possano fare un popolo energicocon dei cittadini pusillanimi e muti.” Se il 7 novembre 2000 ha suonato la sveglia per milioni e milioni di americani chenon votano ma soltanto consumano forse siamo sulla strada giusta. Se il 7 novem-bre apre l'era della telenovelas politica Bush-Clinton, allora, scordiamoci gli StatiUniti e torniamo nella nostra cara vecchia Europa; qui tornerà il centro del mondo.Qui c’è il nostro Nordest, anche se qui, per un’altrettanta debolezza e pusillanimità,pensano che il centro del mondo non sia l’Uomo, ma l’azienda, lo Stato, la linguao, magari, l’Euro.”Se dobbiamo riassumere in una parola – scrive Emmanuel Todd – la prima metà delXX secolo, è il termine falsa coscienza che convincerà meglio di altri. Falsa coscien-za sessuale, sociale, politica. Ovunque le élites borghesi lanciano le masse in uno scon-tro mortifero, interno alle nazioni ed internazionale. In nome delle ideologie messia-niche e menzognere si velano grandi realtà sordide. Le classi borghesi – piccole egrandi – non hanno sopportato il proprio individualismo. Gli ondeggiamenti militari etotalitari sono il risultato di questo scacco. Ma il deragliamento dell’Europa non pro-viene da una dinamica propria dello Stato, macchina disincarnata. Gli Stati non diven-tano folli che per gli uomini che li costituiscono, li dominano o li concepiscono informe psicotiche. Gli stessi apparati, in altre circostanze, si comportano senza aggres-sività. La follia degli Stati non è che il riflesso delle élites.”

Link:Sui ladini: http://storiaveneto.scipol.unipd.it/studi/Palla/L. Palla Su Pasolini: http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/buratti394.htmlSulla vicenda Enichem: http://www.petrolchimico.it/Petrolchimico/home_petrolchimico.htm

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20 - Lista Di Pietro

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 4%

sotto il 4%

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21 - Verdi

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 2%

sotto il 2%

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22 - Ccd-Cdu

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 3%

sotto il 3%

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23 - Lega Nord

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 10%

sotto il 10%

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24 - Forza Italia

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 30%

sotto il 30%

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25 - Alleanza nazionale

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 10%

sotto il 10%

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26 - Margherita

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 17%

sotto il 17%

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27 - Rifondazione comunista

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 4%

sotto il 4%

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28 - Democratici di sinistra

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 10%

sotto il 10%

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29 - Radicali

Elezioni politiche (Camera, proporzionale) 2001

sopra il 3%

sotto il 3%

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Chi guadagna, guadagna tempo

Se è vero che “chi veramente guadagna, guadagna tempo”, allora il Nordest hacominciato a guadagnare già dall’inizio del secolo scorso1. Il Veneto di allora,comprendente anche tutto l’attuale Friuli tranne Gorizia e Trieste, contava suuna speranza di vita dei propri abitanti, nella media tra gli anni 1897-1904, di60,9 anni con tutte le altre regioni italiane dietro; venivano subito dopo le altreregioni del sistema di famiglia autoritaria/egualitaria Marche (58,4), Umbria(57,7) e Toscana (56,8) e poi quelle del sistema liberale/egualitaria delNordovest del Sud-Isole e i napoletani.L’economia è la parte cosciente dei comportamenti umani, ma la vita dipende damolto altro. La “scienza triste” suppone che tutto si faccia in modo razionale, oalmeno pensa che il comportamento del singolo sia basato sul massimo soddisfaci-mento dell’interesse personale. Ma spesso la storia ci ha detto il contrario.E’ stato dimenticato ma, almeno per quanto riguarda l’Europa, il decollo economi-co, negli anni Sessanta, aveva fatto apparire a tutti che era il momento di fare comei francesi. Il decennio dopo bisognava, invece, fare come gli svedesi; e non dimen-ticate i nordestini andati in Svezia negli anni Settanta. Poi è arrivato il decennio deitedeschi e poi quello degli anglosassoni. Insomma le economie europee hanno trai-nato ad infatuazione decennale più che in ordine a logiche macroeconomiche.

Capitolo 5

L’economia sglobalizzata

1. Non solo, ma chi si è preso tempo per studiare poi ha anche guadagnato di più: a titoli di studio piùelevati corrispondono rendimenti maggiori (chi detiene la licenza media, un diploma o una laurea haun reddito che è, rispettivamente, del 12%, del 18% e del 29% più elevato rispetto a chi ha la licenzaelementare o nessun titolo di studio). Il diploma che offre il rendimento maggiore, sembra essere ildiploma di istituto professionale che assicura un reddito di circa il 7% più elevato rispetto a chi non èdiplomato. Le lauree più redditizie sembrano essere medicina, giurisprudenza e economia, con un red-dito che è superiore a quello dei non laureati del 23%, 16% e 15%, rispettivamente.

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Peccato che ogni economia si inscriva, invece, in una sistema antropologico e cul-turale specifico e più che essere importato o esportato può essere solo messo in rela-zione. Incistare o bloccare i sistemi culturali significa interdire l’esplicazione demo-cratica di ciascun paese. Motivo questo anche per chiarire il perché non si è potutofare che una “semplice” Europa monetaria, con una sola vera istituzione indipen-dente, la Banca Centrale Europea, e niente di più. Finchè le sovranità restano nazio-nali, o anche regionali, l’Europa dei popoli resterà salvaguardata e non creerà nes-sun altro tipo di Europa nonostante le proposte astratte.E’ chiaro che la logica dell’interesse individuale non si esaurisce nel cosciente, nelrazionale, e organizzare la società su questo è una semplice assurdità. E’ un’assur-dità credere che esista, prima di tutto, la legge economica. Che una mano invisibile riesca ad equilibrare, ogni volta, in qualsiasi condizione, ledomande e le offerte è una idea magica.Penso: una società in cui gli anziani sono prevalenti tenderà a combattere di più l’in-flazione che la disoccupazione. E, infatti, in Europa la disoccupazione negli ultimidieci anni è sempre aumentata ed è giovanile2. L’inflazione, invece, è sotto strettocontrollo, ormai quasi quotidiano.Ma questa stessa società di vecchietti disinveste sulle infrastrutture di lungotermine, sulla scuola, sulla tenuta ambientale e tende a bloccare l’immigra-zione se non a fini strumentali. Il deputato prende voti andando più per ospi-zi che per asili. Se ne accorge anche Gian Antonio Stella che sul Corriere dellaSera del 20 agosto 2003 scrive di premure e attenzioni da parte di Alleanzanazionale che, “sotto la spinta di Ignazio La Russa, ha mobilitato tutti i diri-genti del partito, grandi e piccini, in una raffica di visite a ospizi, cronicari,centri sociali di tutta Italia, dalla Casa di Riposo ‘Ventimiglia’ di Catania all’i-stituto ‘Salvi’ di Vicenza” aprendo, in concorrenza con la sinistra più attentatradizionalmente a questo mondo e con i cieli azzurri berlusconiani, la cam-pagna per la conquista di una fetta della torta elettorale che si fa sempre piùlarga. E appetita.”L’ossessione della bilancia dei pagamenti sempre in attivo è un tipico “rifiuto dellagiovinezza” (così come l’eccesso contrario è un ripiego infantile e regressivo) per-ché presuppone una vita corta davanti per poterla riequilibrare. L’equilibrio della bilancia dei pagamenti dovrebbe essere un obiettivo di benessere

2. Il premio Nobel Franco Modigliani, Jean Paul Fitoussi, Beniamino Moro, Dennis Snower, RobertSolow, Alfred Steinherr e Paolo Sylos Labini su questo hanno perfino proposto il "Manifesto controla disoccupazione nell'Unione Europea".

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reale, nel medio lungo termine e con la soddisfazione generale: un segnale di distri-buzione matura delle risorse e dei tempi e modi della vita di ognuno; un’oscillazio-ne equilibrata.Qualche economista parla di “scontro tra generazioni”, ma i più giovani potrebbe-ro anche decidere di emigrare e lasciare i vecchi nel loro brodo. Per addolcire loscontro si potrà allungare l’età per la pensione, tassare gli assegni di vecchiaia o arri-vare alla capitalizzazione pura: ogni generazione farà per sé. Ma in tutte queste“prospettive” manca sempre la constatazione di un fatto: le generazioni sono lega-te tra loro da vincoli di parentela. Quando si parla di vecchi, o anziani che dir sivoglia, stiamo parlando dei nonni e quando si parla di giovani stiamo parlando deinipoti di questi nonni. La lotta tra le generazioni non avverrà se non con una modu-lazione incruenta e piuttosto con un accordo. Gli scontri generazionali, caso mai,riguardano i processi di emancipazione non i processi economici.In Italia abbiamo la coincidenza di un fenomeno, nel Nordest più che altrove abbia-mo la popolazione più vecchia nella zona più ricca. Qui la tendenza etnocentristapuò spingere le generazioni, insieme, a livellare verso il basso i principi di solida-rietà con “l’esterno” e a tentare, fortemente, di mantenere all’interno della zona lerisorse, sia per i vecchi che per i giovani. I presupposti culturali ci sono e quelli eco-nomici potrebbero essere attivati da un forte cambiamento politico. Ma c’è anche chi dispera come il direttore della Fondazione Nordest, DanieleMarini, che presentando il Rapporto-2003 ha detto: “Il Nordest del grande pro-cesso espansivo è finito sia perché sono limitate e in via di esaurimento le suerisorse, sia perché sta terminando un certo tipo di sviluppo e cambiando gli orien-tamenti della popolazione. Il declino demografico continua a prosciugare le gio-vani forze locali destinate al lavoro. In assenza di migrazioni, fra meno di vent'an-ni, le persone di età compresa fa i 20 e i 49 anni diminuiranno di circa un milio-ne, e non saranno in grado di sostituire le generazioni che li hanno preceduti. E,d'altro canto, una ripresa della natalità, ancorché distante dall'avvenire, mostre-rebbe i suoi frutti solo nel lungo periodo''. Un allarme, questo, che ad esempio inTrentino-Alto Adige era di moda tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anniOttanta: oggi il Trentino-Alto Adige ha sviluppato turismo e terziario ed è unaregione - in rapporto ad altre - che sta già migliorando il proprio saldo demogra-fico. E il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, invece, punta i piedi, e sentepuzza di elezioni che si avvicinano e tuona: ''Il modello di sviluppo economico delNordest è vivo e vegeto''. Lo ha detto, a luglio 2003, alla presentazione dei dati sul-l'utilizzo dei Fondi sociali europei, intervenendo sul dibattito sulla vitalità vera opresunta del Nordest. ''Quando fa comodo si parla di Nordest, quando fa un pò meno

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comodo non si parla mai di Veneto. Nel Nordest il Veneto è una cosa a sé e va stra-namente molto meglio del Friuli-Venezia Giulia, e va ancora più stranamente moltomeglio del Trentino Alto-Adige. Il Veneto continua ad andare perché in tutte le suecomponenti riesce a fare performance migliori delle regioni limitrofe, e delle regio-ni con le quali competiamo in tutta Europa''. Un capitalismo per ogni campanile?

Capitalismo stirpe e capitalismo individualista

A parte le polemiche politiche vediamo di chiarirci le idee generali: il Nordest rien-tra nella categoria mondiale del capitalismo stirpe che si distingue da quello indivi-dualista tipico anglosassone. Quest’ultimo vuole il profitto a breve termine basatosulla soddisfazione immediata del consumatore. Il consumatore è al centro degliinteressi perché la famiglia tipica anglosassone libera presto gli individui e distri-buisce in modo inegualitario le eredità. I fattori di produzione; capitale e lavoro,devono essere gestiti in velocià, essere flessibili, spostati là dove va il consumo. Lafamiglia è fortemente nuclearizzata e quindi deve poter “portare con sé” un’econo-mia flessibile. Il risparmio è minimizzato perché inglobato nel consumo.L’eventuale deficit viene coperto dall’indebitamento che spinge, a sua volta, a soste-nere la flessibilità. Nel sistema stirpe il capitalismo non tende, esclusivamente, al profitto ma allaconquista dei mercati e alla espansione della produzione. La realizzazione dimanufatti deve essere di qualità. Gaetano Marzotto interrogato dalla Commissione del Ministero per laCostituente sull’economia italiana durante il fascismo alla supposizione di unparlamentare che chiedeva che effetti si sarebbero avuti se i prezzi dei nostrimanufatti fossero stati ribassati del 10% per la collocazione all’estero, rispon-de: “Non credo che sarebbe aumentato in quanto che tutti i prezzi sarebberostati ribassati: c’era l’industria polacca che lavorava a prezzi bassissimi, vierano l’industria cecoslovacca e quella giapponese, che lavoravano a prezzirovinosi. Si lavorava più per gli articoli, genere, disegni e qualità. Nei nostriprodotti c’era un certo gusto. Noi non si produce panno grigio-verde; siamo fornitori di qualcosa di più, di unprodotto nel quale è conglobato un gusto personale. In tal modo un articolo puòessere introdotto in un paese anche con un prezzo leggermente superiore che ciconsente di esportarlo coprendo le spese generali.”

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Insomma si combina un’attitudine a mettere nel lavoro un “gusto personale” chetrova un proprio mercato a prescindere dalle regole di concorrenza bruta. Il consu-matore del capitalismo stirpe non è al centro dell’attenzione: è più un agente neces-sario mentre la manodopera qualificata riceve più attenzione. La risultante macro èun consumo depresso, un attivo costante della bilancia commerciale e una stabilitàdei lavoratori rispetto al ruolo e al luogo di lavoro. Se il capitalismo individualista è importatore il capitalismo stirpe è esportatore.L’impresa non è completamente sul mercato ma appartiene alle famiglie che le tra-mandano di generazioni in generazioni; nel sistema stirpe non nascono nuovi capi-talisti alla stessa velocità e quantità che in quello individuale. La ricchezza è menomobile, ma il lavoro è anche meno flessibile. I fattori di produzione sono più stabi-li e accorpati. La propensione al risparmio si alza e l’investimento, più del consu-mo, ne segue le tracce. Ma i due capitalismi sono strettamente legati tra loro: se unoproduce più di quanto consuma e uno consuma più di quanto produce, l’uno habisogno dell’altro. I sistemi, però, alla lunga, se questa è la logica, non converge-ranno ma si differenzieranno nella mentalità. I livelli culturali divergono: un siste-ma flessibile produce un livello culturale non molto alto della popolazione e spostarepentinamente la forza lavoro produttrice e consumatrice. L’instabilità esige livelliculturali più contenuti della stabilità che, invece, deve puntare sulla trasformazionedelle materie prime, sulla qualità e il “gusto personale”. Su questo livello apparestraordinaria la coincidenza delle carte dell’alfabetizzazione del Nordest traOttocento e Novecento, periodo in cui, nel Nordest, gli analfabeti vanno sotto laquota del 50%, e quella dell’istruzione elementare degli anni Settanta, e la distribu-zione degli addetti all’industria del 2001 (figura 30). Nel 2001 il tasso degli addettialle imprese, infatti, trova le province di Vicenza, Belluno, Treviso e Pordenone-Udine ai primi posti. Le province tra fine Ottocento e inizi Novecento con maggio-re crescita di alfabetizzati sono Vicenza, Belluno, Treviso, Udine e Verona. Veneziaera tra queste alla fine dell’Ottocento, ma prima della Prima Guerra mondiale siattarda e mantiene ancora un alto tasso di analfabeti3.I depositi bancari, pro-capite, nel 1925, sono più alti nelle province di Vicenza,Belluno, Treviso e Udine. Non solo ma nel 1971 si preparano alla nuova industria-lizzazione sempre le stesse province: la percentuale dei licenziati alle elementari sul

3. Nel 1911 gli addetti all’industria nelle due province di Vicenza e Venezia si aggiravano intorno al32% (concentrati soprattutto nei due poli dell’Alto-vicentino e della città lagunare), seguiva il vero-nese con il 27% e il padovano con il 23%. Gli addetti all’industria delle altre province sono intorno al20%.

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30 - Addetti all’industria (2001)

Rapporto tra residenti e addetti all’industria

tra 3 e 5

tra 5 e 8

tra 8 e 10

più di 10

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totale della popolazione, quindi coloro che hanno una istruzione di base, sono piùconcentrati nelle province di Treviso, Pordenone, Vicenza, e Belluno e Verona. Il livello culturale della successiva forza lavoro prepara le crescite economiche delfuturo.Attenti perché il blocco Vicenza-Treviso-Belluno anche oggi è quello che, se simuove compatto, riesce a dare il movimento futuro a tutto il Nordest. A questo pro-posito non sottovaluterei l’allarme lanciato dal ministro degli Interni, il sardoGiuseppe Pisanu, che ha indicato le tre province venete come: ''Un'area di partico-lare interesse per il traffico di stupefacenti e per la tratta di esseri umani, risultatacogestita da sodalizi nazionali e transnazionali''. Per quanto riguarda il Veneto, ilministro ha rilevato che la regione ''è caratterizzata da un grande dinamismo econo-mico e finanziario del tessuto imprenditoriale: una crescita economica particolar-mente visibile nelle province di Belluno e Treviso, che può risultare un elementoattrattivo per il crimine''. In particolare, la relazione evidenzia nelle province diVerona, Vicenza, Treviso e Belluno la presenza di esponenti di origine calabrese atti-vi in settori dell'imprenditoria, come edilizia pubblica e locali notturni, ma anche neltraffico di stupefacenti. In queste province sono stati scoperti sodalizi criminaliimpegnati nella gestione del traffico di stupefacenti importati da Napoli. E' stataaccertata anche la presenza attiva di alcuni pregiudicati ritenuti affiliati a contesti cri-minali pugliesi, collegati anche ad elementi autoctoni. Se questa “robaccia” attec-chisce in queste province il nuovo Nordest potrebbe esserne compromesso.

Ma torniamo all’istruzione: negli Stati Uniti, dagli anni Sessanta ad oggi, il livelloculturale degli scolarizzati medi è diminuito. Non solo, ma secondo i dati delNational Science Foundation i diplomati scientifici americani sono passati dai circa200.000 all’anno a metà degli anni Ottanta ai circa 150.000 nel ’90-’91. In Europa il sorpasso sugli Usa avviene nel 1988 e nel 1992 sono stati diplomati inmaterie scientifiche oltre 200.000 giovani.Nel Nordest, invece, nel 2003, si iscrivono all’università anche i trentenni comeaccade a Udine: i diciotto-diciannovenni continuano ad essere la componente pre-valente (56,6%), i neo-iscritti di oltre 21 anni sono aumentati di circa il 40% dal1993-94 al 2002-03 e l’aumento della percentuale di matricole con età superiore ai30 anni è di oltre il 150% (passando dal 2,7 nel 1993-94 al 6,9% nel 2002-03). I dati emergono dai risultati del questionario che ogni anno il CentroProgrammazione, sviluppo e valutazione dell'Ateneo udinese sottopone alle matri-cole. Il cambiamento del profilo degli immatricolati emerge anche da altre risposte.Aumenta, ad esempio, il numero di coloro che pensano di mantenersi agli studi uni-

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versitari “con il mio lavoro” o “con i risparmi accumulati quando lavoravo”, cosìcome quello di chi intende abitare “nella casa di proprietà” e di chi si iscrive per“miglioramento, aggiornamento, approfondimento professionale” o “cambiamentodi condizioni lavorative”. I neo-iscritti fra i 21 e i 30 anni, a fronte di una media di Ateneo pari al 29%, sonopiù numerosi nelle facoltà di Lettere (46%), Lingue (35%), Scienze della formazio-ne (34%) e nei corsi di laurea interfacoltà (35%). Il 78% risiede in Friuli-VeneziaGiulia (12% nella città di Udine e 41% nel resto della provincia). Nei corsi interfa-coltà la percentuale dei residenti nella provincia di Udine sale dal 53% dell’interoAteneo al 76%: la differenza è determinata dal corso in Educatore professionale, incui la percentuale di immatricolati della provincia di Udine raggiunge l’86%, segnoche il corso di laurea risponde alle necessità del territorio e che gli iscritti sono giàimpegnati in attività lavorative come educatori. Le facoltà che attraggono più imma-tricolati da Gorizia e Trieste sono Lingue, Lettere, Agraria e Veterinaria, ma ancheGiurisprudenza. I cittadini stranieri sono il 2,3% e si iscrivono soprattutto a Linguee Veterinaria. Per quanto riguarda la carriera scolastica, in 10 anni, la percentuale deiliceali è passata dal 33 al 40%. Restano marcate le differenze fra maschi e femmine sulla scelta della facoltà: i primipreferiscono Ingegneria (80%), Scienze (85%) e Agraria (62%), mentre le donnenon amano soltanto gli studi umanistici (Lettere, Lingue e Scienze della formazio-ne), ma anche Medicina (63%). Rispetto all’anno precedente è notevolmente dimi-nuita la percentuale di donne immatricolate a Scienze della formazione, mentre èaumentata la componente femminile a Giurisprudenza, passando dal 55 al 61%.Chi influenza la scelta? Lo sappiamo già: i genitori. L’attività del padre o dellamadre, infatti, risulta decisiva: a fronte di una media di Ateneo pari al 2,3%, le matri-cole con padre agricoltore iscritte a Veterinaria sono il 9,8% e quelle ad Agraria il6,5%. Le matricole con padre imprenditore, professionista o dirigente prediligonoinvece le facoltà di Giurisprudenza, Economia o Ingegneria.Perché i giovani scelgono una laurea invece che un altra? Non certo perché li orien-ta il mercato!Motivo numero uno – il 64% - si lascia guidare dall’interesse personale (a Lettere eScienze questo motivo raggiunge addirittura l’80%). Il 35% (soprattutto iscritti aMedicina, Giurisprudenza e Scienze della formazione) considerano la laurea neces-saria per le attività future, mentre il 24% (soprattutto chi sceglie Economia eScienze) un modo più semplice per trovare lavoro. Le matricole sembrano piuttostosicure della loro scelta: il 91% non cambierebbe idea nemmeno se a Udine fosseropresenti tutte le facoltà. Una curiosità? Questi giovanotti e giovanotte, nel 45% dei

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casi, vanno a lezione in automobile. In sintesi: l’età all’immatricolazione si staalzando; ovvero le fasi di apprendimento si stanno già allungando e i soldi, pubbli-ci e privati, spesi per l’orientamento agli studi sono soldi buttati!4

Le economie sono la risultante di sistemi antropologici e dei movimenti interni dilivelli di cultura. La mentalità stirpe finora ha agito nel senso dell’accumulazionedei fattori di produzione e dell’esportazione più che dell’importazione. Si è prodot-to per consumare ma anche perché altri consumassero in cambio di materie primee moneta. Il paradosso, però, ci avverte che se tutte le bilance commerciali dovessero andarein eccedenza non ci sarebbe più domanda e quindi sarebbe inutile aver prodotto. Mase sempre le stesse vanno in deficit non ci saranno più soldi da incassare.Il sistema individualista, basato sulla mobilità sociale, deve produrre anche legamitra consumatori, consumatori e produttori, luoghi comuni e simbologie condiviseper poter comunicare. Gruppi, associazioni, sette, partiti devono poter collaboraretra loro per cercare il massimo guadagno dalla relazione interna e produrre, per l’e-sterno, l’idea di un gruppo omogeneo e affidabile. Il sistema politico deve far appa-rire che tutto cambi anche se non cambia niente. Lo scontro simbolico è tenutobasso. La sostituzione del personale politico non comporta nessuno stress per ilsistema e, anzi, la sostituzione avviene con una certa frequenza. Il capitalismo del tipo nordestino, invece, è più differenziato, meno ancorato al rap-porto consumatore-produttore, e quindi più proiettato all’esterno e più strutturatoall’interno. La piccola impresa e l’artigianato sono espressione delle famiglie e delvicinato, la grande impresa è acquisita dallo Stato o dall’esterno e quando è internaè, comunque, famigliare. La retribuzione, la qualificazione, l’adozione di nuove tec-nologie sono il frutto di una trattativa interna abbastanza lunga. Il sistema è lentonella scelta di nuovi modelli, ma quando li adotta accelera velocemente. In un siste-ma così la politica tende a far apparire il tutto immobile, mentre tutto cambia conti-nuamente. Lo scontro simbolico è tenuto alto e il personale politico cambia lenta-mente e viene tenuto sotto controllo anche dall’apparato burocratico.Una certa superiorità e differenziazione viene tramutata nella superiorità della pro-duzione e quindi dell’esportazione. Se fosse vera la teoria del libero scambio e della

4. Quanto a quelli che vanno all’università in auto è meglio rallegrarsene. Quando ci andavo io c’eragià qualcuno che aveva l’auto. Erano pochi. Oggi quei pochi fanno professioni di alto livello e gua-dagnano, sicuramente, più di me. Dunque se aumenta il numero di studenti che hanno già l’auto puòanche essere un buon segno di processo di uguaglianza. Altro che cattiverie sui giovani!

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mano invisibile quando una moneta si apprezza dovrebbero aumentare anche leimportazioni e viceversa. Ebbene nel Nordest la svalutazione della lira ha accelera-to le esportazioni negli anni Novanta, ma l’introduzione dell’euro, più forte, non haaffatto accelerato le importazioni se non per il gioco dei cambi. Non c’è nessun equi-librio naturale. In una economia complessa nessun paese si specializza nella produ-zione di certi beni e altri paesi in altri. Una regione o un paese a capitalismo stirpe, di conseguenza, avrà una tendenzaquasi naturale al protezionismo: tende a comprare poco e vendere molto, tende aconquistare i mercati più che i consumatori che, a loro volta, concepiscono il rispar-mio come valore e quindi l’investimento più del consumo. La preferenza sarà versol’acquisto di beni e servizi autoprodotti, di marchi e brevetti propri, di limitare l’e-sterofilia che, al massimo, può essere imposta solo in beni simbolici. Studi storici esociologici dimostrano come miti e simboli statunitensi dal dopoguerra ad oggisono stati acquisiti nei paesi europei, in particolare Francia e Italia, soltanto dopouna revisione di adattamento, trasformazione e assimilazione locale5. Dunque i sistemi si proteggono anche se alcuni sistemi ideologici cercano di impor-re la propria rappresentazione dei meccanismi economici.

L’eredità come pensione?

Una delle imprese simbolo del Nordest, la Marzotto, proprio nel 2003 cambiagestione: dal primo giugno viene estromesso dalla guida Pietro Marzotto. Non sitratta né di un’incursione di multinazionali, né di “Opa” ostile. E’un nuovo patto disindacato tra gli eredi: Andrea Donà dalle Rose, Matteo e Gaetano Marzotto, pro-muovono un accordo tra 13 parenti – tutti di età tra i 32 e 56 anni – che prendonoin mano l’azienda. All’accordo partecipano tre rami della dinastia di Valdagno arri-vata alla sesta generazione. Pietro Marzotto resta con il 17,6% e ora “i cugini” hannoin tutto il 27,09%. L’accordo, tra l’altro, prevede la clausola di non vendere pacchetti azionari al difuori della famiglia “né in Borsa né fuori Borsa”. Per decidere sul da farsi dovran-no trovarsi tutti e votare a maggioranza dell’80%. Pietro Marzotto, per la secondavolta, come aveva fatto il padre, si è ritirato a vita privata. Nel passaggio genera-zionale, più che indicatori economici o sondaggistici, andrebbero considerati con

5. Si veda Ariès-Duby – La Vita Privata, Il Novecento – Laterza, 1988.

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più attenzione gli indicatori demografici. Se nel passato si ereditava nel pieno dellavita attiva, oggi l’eredità rischia di arrivare quando si è raggiunta l’età delle pensio-ne. Se si allunga la speranza di vita il patrimonio resta incollato alla generazione deinonni che possono continuare a gestirla fino a quella dei nipoti, scavalcando, ognivolta, quella dei figli. La mediazione autoritaria, gestita in passato dalla generazio-ne di mezzo, finirebbe per restare fissata, invece, sulla generazione più anziana. Per certi aspetti l’aumento della speranza di vita potrebbe favorire, culturalmente,proprio la famiglia stirpe che, manterrebbe uno statuto più alto di autorevolezza, masarebbe costretta, dovendo gestire il patrimonio tra gli eredi col capostipite ancorain vita, a trovare meccanismi più egualitari. Il sistema delle donazioni, delle distri-buzioni degli incarichi nelle aziende o delle parziali gestioni del patrimonio potreb-bero favorire questa tendenza. Dunque un futuro più autorevole con una maggioremediazione tra le generazioni, ma una più lunga presenza di quella più anzianadurante la maturità delle successive, e una necessaria alzata del livello di ugua-glianza tra i possibili eredi che dovranno mediare più a lungo, o combattere, colcapostipite, la suddivisione del patrimonio in funzione, anche, del contributo attivoapportato per accrescerlo. L’aumento dell’uguaglianza tra gli eredi comporta una maggiore legame tra loro euna più forte tensione per la democrazia delle decisioni. La maggioranza devediventare qualificata per non essere continuamente sottoposta a cambio di regole ea turbamenti continui. Ma per questo motivo diventa anche più rigida e lenta.La Borsa, invece, turba e spersonalizza. Se la Borsa italiana è asfittica, la Borsa delNordest – di cui si parlava ogni giorno sui quotidiani a fine anni Novanta – non èmai decollata perché non risponde alle necessità di un sistema che non raccoglie lìi propri capitali e non vuole metterli in gioco proprio lì. Caso mai è l’aumento delleineguaglianze che disarticola i redditi e li differenzia molto – come avviene negliStati Uniti – o che scolla le aziende dal proprio territorio costringendo a creare fontidiverse di scambio del denaro. I Marzotto dicono: “né in Borsa, né fuori Borsa”… ma tra noi!Il denaro per la famiglia stirpe ha molta importanza, ma è correlato soprattutto alfiglio cadetto o alla dote della figlia più che all’erede. Chi eredita acquisisce beniduraturi: la terra, l’azienda, la casa, lo studio professionale; ovvero la clientela fida-ta e i fornitori sicuri. Chi non eredita riceve la dote o il denaro che può essere inve-stito, associato a quello di un ereditiere, speculato. Il denaro utilizzato come ripara-tore di ingiustizia diventa opportunità di rientrare: chi ha denaro, si dice, sta scalan-do verso la vetta. Ma di quale montagna?Quella dell’equità e della giustizia. Solitamente il fratello erede è incaricato anche

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di sostituire il padre nelle accortezze verso i fratelli cadetti: l’azienda di famigliaresta, in qualche modo, patrimonio comune nel caso si rendesse necessario. Uncerto tipo di welfare primordiale, ma anche di autarchia, è ascritto, dunque, nel siste-ma imprenditoriale stirpe.

Delocalizzare: la libertà in Russia

Se, ad un certo punto, il sistema guarda alla delocalizzazione, non è per andare a cer-care manodopera più disponibile, che tra l’altro dovrebbe essere qualificata e avere“un certo gusto personale” cosa che, a priori, è impossibile trovare in quanto devecorrelarsi con il proprio6. Non è questo il problema di questo capitalismo che puòbenissimo alzare i tassi di fecondità, abbassare i tassi di età al matrimonio o assimi-lare immigrati tutt’al più ghettizzandoli. Si delocalizza per cercare maggiori spazi di libertà.L’azienda del Nordest cresce in tutto il Novecento in ragione di una sistematica ine-guaglianza tra fratelli. L’imprenditore-operaio, non distinguendo a pieno i ruoli,abbassa i livelli di lotta, e crea margini piuttosto per investire in macchinari e capan-noni, qualità dei prodotti, sistemi di vendita. Risparmio e investimento sono strettamente connessi all’idea di un futuro, al prose-guio del proprio lignaggio, cosa che in altri sistemi non accade in modo così strin-gente dove si sviluppano processi consumistici più accentuati.Nel sistema della famiglia stirpe i processi produttivi passano in secondo piano, losfruttamento del lavoro è compensato dal prestigio dello scambio dei ruoli.L’ineguaglianza sostanziale è accettata come motore della crescita sociale ed eco-nomica: la scalata della montagna è apparentemente solitaria, ascritta all’individuo,ma, sostanzialmente, frutto della verticalità dei rapporti famigliari e di una tipicaorganizzazione produttiva. Dunque la delocalizzazione parte perché si riducono gli spazi di libertà d’azione peruna mentalità in evoluzione che, più acculturata e attenta all’ambiente e alla salute,esige maggiori divisioni di ruoli e di responsabilità. Negli anni Ottanta, quando

6. La frequentazione tra imprenditori italiani e la Romania – ci sono professionisti che, ormai, lavo-rano stabilmente tre giorni nel Nordest e tre giorni in Romania – è dovuta alla somiglianza del tipo difamiglia. La Romania e la Polonia, infatti, hanno una maggioranza di famiglia di tipo nucleare egua-litario differenziata da quella tipica dell’Est Europa che è autoritaria/egualitaria produttrice endogenadel comunismo.

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nasce la Lega nascono anche i Verdi e la pressione delle nuove generazioni sui pro-blemi dell’inquinamento, della salute e della distruzione del territorio diventanopatrimonio culturale comune. Bolzano e Trento, per salvaguardare il territorio e leproprie strutture antropologiche, etniche, spingono molte imprese verso il veronese.Cacciate come è stato cacciato il fascismo che le aveva volute per annacquare la ger-manicità del Sud Tirolo, ma se ne sono anche andate di spontanea volontà, comedice Oswald Zuegg perché “manca lo spazio, manca la forza lavoro e soprattuttomanca una cultura industriale.” Sono sparite la Alumix, la Magnesio, la Falk, la Siderland e oggi le Acciaierie diOltrisarco sono sotto scacco continuo per la faccenda delle polveri: 15.000 bolzaniniseguono giorno per giorno dichiarazioni, dati, polemiche e si confrontano con gli ammi-nistratori locali, i dirigenti e anche con gli operai. Dopo la pausa estiva la GiuntaComunale di Bolzano ha aperto proprio con la faccenda delle Acciaierie. Il sindacoGiovanni Salghetti Drioli: "Mi spiace - ha detto - che alcuni proseguano nella disinfor-mazione e vogliano guastare un evento assai significativo per l'intero quartiere. Ho lettoattentamente lo studio del dottor Guido Maccacaro, primario del Servizio Multizonaledi Medicina del Lavoro, sulla qualità dell'aria ad Oltrisarco e seguo con grande attenzio-ne con il direttore dell'Agenzia Provinciale per l'Ambiente Huber, tutte le migliorie chesono state apportate dalle Acciaierie in particolare al reparto scorie per quanto riguardail contenimento delle polveri. I dati che riguardano la quantità media relativa alla pol-verosità, rientrano nei valori di qualità previsti dalla normativa. Anche i controlli medicisugli abitanti di Oltrisarco residenti in un raggio di 100-200 metri dal reparto scorie delleAcciaierie e quelli di altri quartieri eseguiti su base volontaria, nei valori assoluti, nondestano particolari preoccupazioni da un punto di vista tossicologico.” L’azienda va bene, il lavoro va bene, ma le polveri e il cancro non vanno più bene,per niente, e lo sanno anche gli operai! ”Noi abbiamo deciso di puntare sull’ambiente – spiega Luis Durnwalder, Presidentedella Provincia di Bolzano – e su un’industria solo compatibile. In Friuli il 30%della popolazione ha abbandonato le zone di montagna, in Austria il 17%, inGermania il 20%: da noi solo lo 0,6%. E’ un grande successo.” Ma per l’imprenditore darwinista Christoff Amonn, già presidente degli industrialialtoatesini, questo significa, semplicemente, che “è saltato completamente uno deicardini su cui ruota un’economia sana basata sulla libera concorrenza: non c’è piùla crudeltà della selezione”, dice.Mario Marangoni, il Pirelli trentino, gommista figlio di gommisti, la dice ancora piùgrossa: “con tutti i soldi che abbiamo non è stato fatto niente per le infrastrutture. Iosono trentino e amo il Trentino ma non posso più sopportare certe cose. Qui per anni

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se chiedevi un finanziamento ti dicevano: i soldi te li diamo, però tu devi assumeretot persone o rinunciare al tale tipo di ristrutturazione. A un certo punto gli ho rispo-sto: attaccatevi i vostri soldi alle palle, ma in casa mia comando io. E allora via, siva a Verona.” Anche Zuegg, con quel bel cognome tedesco, se ne era andato a Verona. Potrà essereutile a costoro aggrapparsi a Luigi Einaudi quando scrive: “Così è in una società.Accanto agli uomini che ubbidiscono, i quali compiono degnamente il lavoro ad essiassegnato, adempiono scrupolosamente all’ufficio coperto, vi debbono essere gli uomi-ni di iniziativa, i quali danno e non ricevono ordini, compiono un lavoro che nessuno haad essi indicato, creano a se stessi il compito al quale vogliono adempiere. La societàideale non è società di gente uguale l’una all’altra; è composta di uomini diversi, i qualitrovano nella diversità medesima i propri limiti reciproci. La società ideale si componedi gente che comanda e di gente che ubbidisce, di uomini al soldo altrui e di uomini indi-pendenti. La società non vivrebbe se accanto agli uni non vi fossero gli altri.” Certo, è questione di autorità, ma è anche questione di uguaglianza e di vivibilità.Nel vicentino le concerie della Valle del Chiampo7 abbassano la presenza già daglianni Ottanta e vanno in sud America o in Russia. I russi se li ricordano ancora i con-ciari: lì, dicono, “ci hanno perso Napoleone e Hitler, ma molti soldi anche i concia-tori italiani”.Negli anni Settanta le aziende sono spinte fuori dalle città, poi fuori dalle zone piùprogredite e comincia il periodo itinerante: prima Sud Italia, poi resto del mondo.Tutto questo non ha niente a che vedere con processi economici o di mercato, macon evoluzioni della mentalità collettiva. Non si va in un posto dove puoi perderetutto come un Napoleone qualsiasi. Se i conciari andavano in Russia era perché sta-vano cercando… la libertà. In Russia!

7. Dal sito internet della Rino Mastrotto Group: “La tradizione conciaria del Rino Mastrotto Grouprisale ad oltre 40 anni fa quando Arciso Mastrotto, padre di Rino, con i figli Angelo, Bruno, Santo eMario acquisirono con un altro socio la Conceria Aurora ed il 17 agosto 1958 iniziarono a conciarepelli. L’attività coinvolse gradualmente tutti i figli che svilupparono competenze nei diversi settori diattività. In particolare Rino, dopo aver maturato una buona conoscenza dell’intero ciclo di lavorazio-ne, si dedicò alla delicata attività dell’approvvigionamento della materia prima (…) Rino MastrottoGroup ha spaziato con i suoi investimenti in tutte le direzioni: dal Nord-Est del Brasile, dove ha datovita in brevissimo tempo alla Conceria Bermas Ltda, realtà produttiva di più di 30.000 metri quadriin continua espansione, alla Russia.”

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Manodopera e mano-libera

La società vuole più salute, più ambiente, ha più istruzione e si terziarizza: è uneffetto della controrivoluzione industriale che crea la globalizzazione. Gli imprenditori, di conseguenza, restano senza manodopera perché non la coltiva-no più, infatti, non è sul serbatoio di forza lavoro che stanno progammando il futu-ro, smantellano il serbatoio del contoterzista e robottizzano e meccanizzano il lavo-ro. Piuttosto, se serve manodopera e mano-libera, esportano reparti d’azienda o tuttal’azienda. E se chiedono “più manodopera” a gran voce è perché vogliono pubblicizzare i costidella ristrutturazione o della conversione e tenere sotto controllo i salari.Un certo ritardo sulle applicazioni tecnologiche e sulla ricerca deriva proprio daltentativo di equilibrare questi due processi. Una forte accelerata su ricerca e inno-vazione spingerebbe fuori dal mercato del lavoro fasce ancora troppo ampie di atti-vi. La tenuta sotto tono della ricerca è una scelta collettiva: nessuna società esprimegeni se non decide di produrne. Quando il Nordest ha voluto “geni” li ha prodotti:durante il Rinascimento, nel ‘700 veneziano, negli anni Sessanta del Novecento:Palladio, Goldoni, Faggin, Rubbia. Tanti scrittori e intellettuali giusti, al momentogiusto!Oggi sono tutti ancora in laboratorio.Mentre, sempre gli imprenditori, per poter restare nelle zone più avanzate, senzadubbio con la disponibilità di servizi qualificati e di infrastrutture più avanzate(nonostante le tasse) e poter puntare anche sulla socializzazione dei costi devonofare pressione su un sistema di valore; quello dell’offerta di lavoro. Per giustificare la presenza di fabbriche devono poter offrire lavoro e lo fanno chie-dendo manodopera qualificata: cioè formata con denaro pubblico. “Dar lavoro” è come dar da mangiare: è una giustificazione per fare accettare allacollettività il ruolo dell’impresa, magari anche un pò inquinatrice. Non potrà regge-re ancora a lungo e lo stesso presidente dei piccoli e medi imprenditori di Vicenza,la provincia più industrializzata, quella che esporta tanto quanto la Grecia, FiorenzoSbabo dice, sorprendentemente: “Credo che il dibattito sviluppatosi in queste ulti-me settimane, incentratosi prevalentemente sulla domanda dazi sì, dazì no, sia fuor-viante. La realtà è che come sempre, da buoni italiani, da buoni veneti, ciascuno dinoi sta cercando di trovare una risposta, una soluzione, ad un problema che, comemolti altri che ci stanno affliggendo, dovrebbe invece vedere uniti gli sforzi. Occorreragionare, come in parte si sta cercando di fare, sia a livello nazionale sia locale, sualcuni dati di fatto, in primis su quello che siamo imprenditori e agiamo in base alle

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regole del mercato. In tal senso, ritengo che le prime regole messe a punto dalConsiglio dell’Unione Europea, con l’introduzione del cosiddetto “Scudo commer-ciale”, approvato il 28 gennaio scorso, possano essere un discreto deterrente. Si trat-ta, naturalmente di introdurre la loro conoscenza presso le piccole e medie impreseitaliane, ma soprattutto di farle applicare con l’aiuto dello Stato. Così come si trattadi attivare tutte le misure necessarie, come stanno facendo gli Stati Uniti, affinchévi sia la tutela del copyright, la protezione del marchio, l’introduzione del certifica-to d’origine e magari anche il controllo sull’etica della produzione. E’evidente, tut-tavia, che questo è un problema che va affrontato a 360 gradi, perché se oggi è laCina a fare la parte del “diavolo”, domani la stessa potrebbe essere interpretata daun altro dei Paesi emergenti e magari fuori dalle regole del Wto. Per questo credosia giunto il momento di interrogarci su una serie di fenomeni che stanno caratte-rizzando, in particolare, il sistema industriale veneto, quali la delocalizzazione, lamanodopera extracomunitaria, la denatalità, il passaggio generazionale nelle azien-de, la carenza di infrastrutture, la richiesta di nuove aree industriali, solo per farealcuni esempi. Non vi è qui lo spazio per approfondire in modo serio ciascuno diquesti argomenti, ma è ormai chiaro a tutti che si tratta di molteplici fattori che, uni-tamente ad una crisi economica che molti esperti leggono come strutturale delnostro sistema, stanno di fatto mutando il modo di “fare impresa”. La domanda daporsi, - dice ancora Sbabo - non è se fare o meno guerra alla Cina, ma se preserva-re o meno, e nel primo caso, come, alcune caratteristiche del cosiddetto “ModelloVeneto”, fino a ieri vincente e oggi pericolosamente in bilico.La nuova legge regionale sui distretti ha costretto, forse per la prima volta, gliimprenditori, le categorie economiche, gli enti, le camere di commercio, a fare siste-ma, ancora non sappiamo, considerando il recentissimo varo del provvedimento,con quale risultato. Crediamo, tuttavia, che la strada imboccata sia quella giusta,quella che da tempo, da anni, la nostra associazione va propugnando, cioè quel ten-tativo di fare squadra, spesso disatteso da molti dei protagonisti che in passato lohanno invocato. Si può discutere allora su progetti come il tentativo di creazione diun distretto veneto in Cina, o su iniziative come quella di un padiglione cinese allaprossima fiera dell’oro di Vicenza, ma a poco servirà, se non ci daremo pochi e chia-ri obiettivi: la richiesta allo Stato italiano di comportarsi, come avviene nel resto delmondo, e cioè come partner commerciale delle imprese, affiancandole, sostenendo-le e, se necessario, difendendole, nei loro sforzi di penetrazione dei mercati; analo-ga richiesta al sistema bancario, di fare un salto di qualità, come esso stesso chiedealle imprese, nel garantire determinate condizioni di credito e assistenza a livellointernazionale; la richiesta alle istituzioni e, ancora agli istituti di credito, di aiutare

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le aziende sul piano della finanza speciale, per favorire quella crescita dimensiona-le altrimenti impossibile; la richiesta di incentivi e agevolazioni per la ricerca e l’in-novazione tecnologia. Su questo, e altro ancora, credo dovrebbe essere incentrato ildibattito a tutti i livelli: nazionale, regionale e locale. Il rischio, viceversa, è quellodi vedere nel breve volgere di pochi anni, la trasformazione di quella che è ancoraconsiderata un’area industriale tra le prime al mondo, in un’area in declino.Insomma - conclude Sbabo - potrebbe essere che se anche il passaggio generazio-nale avrà successo i nostri figli si troveranno a gestire non più aziende di produzio-ne, ma di commercializzazione. Il che non è necessariamente un male. Purché siauna scelta e non una necessità”.L’imprenditore-operaio del Nordest inconsciamente sa già che la strada obbligata èquella dell’innovazione e della qualificazione. Sa anche che questa non si adeguapiù, semplicemente, alla richiesta di flessibilità. Sa anche che ha bisogno di piùStato, ma per il momento deve riorganizzarsi, chiarirsi le idee, e quindi prendetempo e cerca di pubblicizzare i costi o moralizzare l’attività. Al massimo deloca-lizza quello che si può delocalizzare. Alla fine anche l’imprenditore del Nordest sce-glierà la qualificazione e abbandonerà i temi della flessibilità e del costo del lavoro.Anzi, a sentire Sbabo, lo stanno già facendo. Già nel primo rapporto dellaFondazione Nordest, nel 2000, gli imprenditori sostenevano che sono la burocrazia,il fisco e la viabilità i motivi primari per i quali decidevano la delocalizzazione. Ilcosto del lavoro veniva soltanto dopo (54,3%). Negli anni successivi in questi tipidi sondaggi saranno aggiunte anche domande sulla disponibilità dei terreni, sullamentalità delle forze lavoro, sulla criminalità o la prossimità geografica tanto da farrisalire a livelli più alti l’indicatore della ricerca di manodopera qualificata o il costodel lavoro. Ma questo è solo un artificio sondaggistico per sostenere la pubblicizza-zione dei costi e la difesa dell’azienda durante la contro-rivoluzione industriale inatto. Fare azienda non è soltanto una questione di singolare intraprendenza8.

8. Luciano Gallino, nel suo ultimo libro: La scomparsa dell’Italia industriale, (Torino, Einaudi, 2003)dimostra la fine, quasi totale, dell’industria italiana dell’aeronautica civile, di quella chimica, di quel-la delle telecomunicazioni, della metalmeccanica high tech, fino alla crisi grave e forse irreversibiledella nostra industria automobilistica. Il sociologo del lavoro torinese - dopo aver mostrato il crollodella grande industria - denuncia il "piccolo è bello" incapace di ricerca e innovazione e mostra i dati:74 domande italiane di brevetto per milione di abitanti nel 2000, a fronte delle 366 svedesi, 337 fin-landesi, 309 tedesche, 242 olandesi, 211 danesi, 174 austriache, 151 belghe, 145 francesi, 133 delRegno Unito. Ma che senso ha brevettare in un’economia aperta e in continua trasformazione? E nonè questa un’antica forma di protezionismo?

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La cassa rurale psicologica

Che i mutamenti economici siano non strettamente correlati o causa di andamentisociali ce lo dice anche la strutturazione del risparmio. Nel 1911 l’Unione econo-mico-sociale dei cattolici italiani sforna una statistica secondo la quale le casse rura-li e popolari sono più numerose a Padova, (123) e Verona (91) mentre in tutte le altreprovince venete (divise territorialmente per diocesi) sono in una variabile tra 20 epoco più di 50: ad Adria, in polesine, ce ne sono 52. La strutturazione e la distribu-zione delle casse, dunque, dipende non da fattori di ricchezza ma, evidentemente,dalla percezione del pericolo. Le province di Padova, Verona e Rovigo di allora sono quelle con la più alta pre-senza di sfruttamento agricolo e di bracciantato e quindi la presenza delle casse rura-li rispondono più ad una esigenza psicologica che economica.Il mercato del credito gestisce denaro proveniente dalle più svariate attività e inatti-vità e quindi si muove con logiche anche sconnesse da quelle dell’economia realeo comunque legati a progetti, prospettive, percezioni, fomentazioni. Alla fine del ’98 in Trentino-Alto Adige si contano 150 banche, di cui, 127 di cre-dito cooperativo. La rete distributiva è capillare: 857 dipendenze, di cui 466 in pro-vincia di Trento e 391 in provincia di Bolzano, media di abitanti per sportello 1064,inferiore alla metà del corrispondente dato nazionale. In una decina d’anni sonostate accorpate la Banca di Trento e Bolzano, diventate partner del BancoAmbrosiano Veneto, e la Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, passata sotto ilcontrollo di Unicredito. Il Credito Fondiario di Trento è stato formalmente incor-porato nella Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Restano la Banca Popolaredel Trentino ed il Mediocredito del Trentino Alto Adige. “Se il controllo del credito passa in mani extraregionali - scrive Cinzia Fedrizzi,democratica di sinistra - su Società Aperta, un sito internet trentino - è prevedibileche il Trentino-Alto Adige diventi un mercato in cui solo l’opportunità economicadell’investimento guiderà le scelte tralasciando altri importanti fattori (sociali, poli-tici, ecc.) che vengono attualmente considerati. In questa prospettiva, il controllo delle banche locali, oltre che il presupposto dellosviluppo economico, diventa anche una premessa fondamentale per il manteni-mento di una vera autonomia… Non si può, dunque, accettare passivamente il pro-gressivo spossessamento del sistema creditizio, considerandolo un fenomeno inevi-tabile o come un sacrificio necessario da fare sull’altare della globalizzazione.”Fatto è che la globalizzazione nasce grazie allo spossessamento e non viceversa. Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredito, al CUOA, prendendo

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il master honoris causa in banca e finanza dice: “Negli ultimi quindici anni il pano-rama finanziario internazionale ha subito cambiamenti epocali (…) è aumentatasignificativamente, nelle economie sviluppate e nei paesi emergenti, la quota di pro-dotto nazionale intermediata dal settore privato. E’cresciuto enormemente il balan-ce sheet delle famiglie: sono aumentati da una parte gli asset – grazie al risparmioed alla progressiva privatizzazione dei sistemi pensionistici – e le liabilities, graziealla crescita dei mutui residenziali e del credito al consumo. Sono aumentati inmodo spettacolare l’ammontare e la complessità delle transazioni finanziarie, ed inparticolare di quelle cross-border.” Sono cresciuti i prodotti derivati ed è cresciuta“la capacità di calcolo e nelle telecomunicazioni, è cresciuta la capacità di analizza-re, gestire, trasferire rischi finanziari a livello globale.”A che serve tutto questo? “A garantire la distribuzione ottimale dei rischi”, rispon-de Profumo. La banca non funziona più da deposito e prestiti, ma da gestore del rischio d’im-presa. Non attenua più le ansie ma, caso mai, le crea.Il rapporto col risparmiatore, però, nel frattempo è andato deteriorandosi e sempreProfumo, indirettamente, conferma: “L’impressione che l’innovazione del sistema,fatta di privatizzazioni prima, ristrutturazioni poi, aggregazioni negli ultimi anni,abbia prevalso fin qui sull’innovazione nel sistema, dove alla prova è la relazionepiù minuta, fra banca e impresa, banca e risparmio, è un’impressione non priva difondamento (…) Se ricorriamo ad una categoria teorica, il nostro è un sistema carat-terizzato prevalentemente dal cosiddetto relationship banking, per certi versi simileall’esperienza tedesca, piuttosto che dal transaction banking, tipico dei paesi anglo-sassoni.” La vera riduzione del rischio, ammette Profumo, viene attraverso il “network direlazioni, conoscenze, interazioni ripetute che creano un rapporto di fiducia e ridu-cono i rischi, in maniera significativa, sia pur poco quantificabile”.Dunque il rischio non è quantificabile perché è il tipo di relazione tra risparmiatore-investitore con lo sportello che la qualifica. La banca non è più come la cassa depo-siti e prestiti che, in sostanza, doveva offrire sicurezza. La banca, oggi, parla una lin-gua complicata e più che sicurezza offre ansia. L’ansia richiede, per essere placata,piuttosto il mutuo che un deposito sicuro. Il denaro non può più essere tenuto fermo:l’accelerazione aumenta la massa circolante. L’ansia degli americani, oggi, è alle stelle visto che ormai, in quel sistema, il debitodelle famiglie, proprio con le banche, supera abbondantemente il reddito. E l’ansiaspinge ad azioni e reazioni inconsulte. Secondo Merrill Lynch, il rapporto tra debi-to e reddito famigliare, negli Usa, ha raggiunto il 111% partendo dal 102% del 2001.

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Oggi gli statunitensi non hanno scelta: o si mettono a girare all’impazzata (e vannoin Iraq, ad esempio) o se si fermano devono mettere in conto una riduzione drasti-ca del tenore di vita del 20-30% con tutte le conseguenze sociali che ne derivano.Nei sistemi di capitalismo stirpe come Germania, Giappone, Israele e nord est ita-liano, invece, persiste il tentativo di tenere l’ansia sotto controllo. Le verifiche sul campo dimostrano che la durata e l’ampiezza della relazione banca-impresa sono solitamente associate a tassi di interessi inferiori e maggiori disponi-bilità del credito e minori richieste di garanzie accessorie. Obiettivo finale? Lo dice ancora l’amministratore delegato di Unicredito: “Questomodello di relazione, basato sulla relazione localistica e sul multiaffidamento, rendetranquille le imprese, più che in situazioni diverse, sulla continuità dei rapporti nellabuona o nella cattiva sorte.” Nel 2000, l’amministratore delegato di una delle più grandi banche del nostro paese,Alessandro Profumo, spiega come un nordestino si rappresenta la propria banca esu cosa devono essere fondate: sullo stesso principio delle casse rurale di ieri!Alleviare il panico nei confronti del futuro e assicurarsi una certa tranquillità. Che spetti alla banca, poi, incentivare l’innovazione, scoprire i talenti imprendito-riali o il business, è un mito non perché la banca non possa farlo ma perché questolo decide il grado di cultura di una popolazione che è indipendente dal mercato delcredito. Quando parliamo del Nordest stiamo parlando di circa 500.000 imprese per un tota-le di circa 2.000.000 di addetti: significa una media di circa 4 addetti per impresa(compresi l’imprenditore stesso e i collaboratori famigliari, oltre ai dipendenti)….Ovvero una famiglia media di trent’anni fa. Nessuna organizzazione sarà in grado,da sola, di poter influenzare strategicamente i trend che la struttura antropologicaesistente modella.L’innovazione verrà e la nuova impresa anche. Nel bellunese l’imprenditoreAntonino Comis che produceva montature per occhiali fino all’anno scorso oggiproduce “speck per vip”. Se non è conversione questa! Il consiglio degli esperti di fronte a qualche dato economico, tra l’altro già previstoanni fa? Accrescere il numero di dipendenti per impresa: ma è come suggerire difare altri due figli ad una donna in menopausa. Meglio lo speck!

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Invecchia la popolazione, ma gli immigrati non servono

La popolazione attiva, da qui al 2050, secondo una previsione fatta su unmodello multistrato basato su processi markoviani9 rivela che tra cinquant’anni“i tassi di attività maschili non presentano modificazioni significative rispettoall’anno1998 fatta eccezione per la fascia di età 50-60 in cui aumentano inmedia di circa 14 punti percentuali a causa, per lo più, di un inasprimento deirequisiti minimi di accesso al pensionamento. I tassi di attività femminili pre-sentano, invece, un incremento significativo a decorrere dal venticinquesimoanno di età. Nella fascia di età centrale 30-50 il tasso di attività risulta media-mente superiore di circa 21 punti percentuali rispetto all’anno base. Tale incre-mento si smorza gradualmente nelle età successive.”10

La previsione media dell’Istat, ci dice che il Nordest, nel 2020 avrà una popolazio-ne maggiore di quella attuale: 6.854.068 abitanti. Certo ci saranno molti anziani inpiù e molto meno giovani, ma ci saranno anche molte più persone adulte e mature. L’ipotesi “bassa”, quella peggiore, prevede qualche centinaia di migliaia di personein meno delle attuali. Dunque nessun panico se guardiamo l’insieme. Se guardiamo le variazioni medie annue nell’ultimo secolo e mezzo troviamo, cer-tamente, sempre segni positivi almeno fino al 1991 e forse questo ci ha abituati aconsiderare la crescita della popolazione come scontata. Le impennate si sono veri-ficate nel decennio tra il censimento del 1911 al 1921, ma poi è arrivato il fascismo.Impennate si registrano nel censimento del 1951, ma era appena stata combattutaun’altra guerra mondiale. E poi ancora una forte crescita negli anni Sessanta: decen-nio di grandi mutamenti. Dal punto di vista sociale, dunque, le impennate di popolazione possono portareanche più guai di quanti ne risolvono. Una società giovane è certamente più turbo-lenta, più violenta, più avventata ed è probabile che almeno per il prossimo venten-nio non vi sarà più tanta voglia di far casino.Un calo drammatico della popolazione è comunque relativo perché tutti i paesi, oggianche quelli del Terzo Mondo, stanno progredendo verso un massiccio controllodelle nascite.

9. I processi Markoviami sono processi stocastici che modellano situazioni in cui la transizione trastati non è deterministica, ma probabilistica, ed è caratterizzata dal fatto che la probabilità di transirein uno stato successivo dipende esclusivamente dallo stato attuale. Ovvero non si tiene conto della sto-ria.10. Aprile Rocco - RGS (Ragioneria Generale dello Stato) e De Persio Paolo e Lucarelli Annalisa –CONSIP (Concessionaria Servizi Informativi Pubblici) su proiezioni della popolazione italiana.

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11. Rapporto 2000 Fondazione Nordest – pag. 118 Tabella 9, fonte Unioncamere.

Ci sarebbe quindi un livellamento in basso e un effetto molto relativo nell’equilibriodei pesi demografici. Piuttosto sarebbe da tenere in considerazione l’effetto contrario: ovvero il livella-mento verso il basso delle nascite nei Paesi in via di sviluppo e in quelli arretrati.Quanto agli immigrati non servono solo per sostenere la produzione – che è già aldi sopra delle necessità, basta guardare quanto esportiamo – ma potrebbero servireper aumentare o sostenere i consumi che saranno, questi sì, veramente stagnanti.Meno aumento della popolazione, infatti, significa meno consumi e per sistemicome quello del Nordest questo può significare dover cercare degli adattamentiimportanti e dei livellamenti consistenti della bilancia commerciale. La provincia di Vicenza che esporta quanto la Grecia (sic!) non sarà più un mitoanche perché l’accelerazione dei consumi è innescata da una certa disinibizione che,per ora, non mi sembra sia attivata. A livello internazionale non si capisce, quindi,come governi e amministrazioni moraliste, influenzate addirittura da sette religioseultrafondamentaliste, come ad esempio avviene negli Stati Uniti col governo Bushjunior, possano contribuire ad innescare questi comportamenti di spesa. Nel Nordest lo statuto femminile è nonostante tutto abbastanza progredito e gene-ralmente bilaterale. Per le deviazioni si nota che le province più ricche economi-camente sono anche quelle dove è più alta la presenza di eros center e annunci diprestazioni private sui quotidiani. Indicatori “critici” che più che di liberazionesessuale ci parlano di malesseri di coppia o di un tentativo liberatorio nei rappor-ti tra uomini e donne. Statisticamente in Friuli-Venezia Giulia ci sono molte piùdonne per ogni 100 uomini che non in Trentino-Alto Adige. Nel mondo nelle areedove ci sono più donne i processi bilaterali e di parità sono più avanzati e i rap-porti tra i sessi più liberi. Comunque sia il rilancio dei consumi non potrà non passare da una nuova e più sod-disfacente relazione maschio-femmina.

Si cercano le professioni che nessuno sa più fare

Alla domanda: che tipo di forza lavoro vi serve e assumerete tra il 1999 e il 2000?Le imprese rispondono11 che sono a caccia soprattutto di operai specializzati e diconduttori di impianti (circa 38%) mentre i servizi cercano soprattutto professioni-

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sti della vendita e servizi alle famiglie. Ma mentre le imprese che effettivamentecercano operai specializzati si concentrano nelle dimensioni tra 1 e 50 dipendenti iservizi sono uniformemente distribuiti. Sia le grandi agenzie di servizi che le picco-le cercano prevalentemente venditori, anzi le grandi più delle piccole, e soprattuttoin Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Le grandi aziende, invece, quellesopra i 250 dipendenti, non hanno neanche più bisogno di manodopera specializza-ta; anche loro cercano più venditori e tecnici intermedi e più in Friuli-Venzia Giuliache in Veneto. Dunque siamo alla conferma anche di quanto andavamo dicendoriguardo la propensione alla conquista di quote di mercati: le aziende piccole emedie sono ancora in fase di esecuzione, non inventano e attendono l’evoluzionechiedendo aiuti. Le grandi aziende, invece, hanno definito già i prodotti e i proces-si ma stanno ragionando sui mercati e i nuovi sbocchi, mentre il sistema dei serviziè in progressione generale in tutto il Nordest e particolarmente nelle province a piùalta e diffusa scolarizzazione secondaria superiore e universitaria. In tutte queste province, infatti, le variazioni, negli ultimi anni, del numero degliaddetti alle industrie sono con il segno meno, tranne, appunto, Vicenza, Belluno eTreviso. In Friuli-Venezia Giulia, invece, il 37% degli occupati attivi è distribuito traagricoltura (3%) e settori manifatturieri, mentre il resto è tutto terziario e i redditisono alti (nel 2000, dai 38 ai 43 milioni di Lire pro-capite).

L’imprenditore-venditore

Il venditore può affiancare l’operaio-imprenditore perché è distribuito tra tutti i gradidi istruzione: tra la licenzia media e la laurea breve. La professione ha una distribu-zione uniforme, non solo, è accentuata nella forza lavoro femminile piuttosto chemaschile. Si tratta di una professione che può essere esercitata sia da dipendente cheda indipendente e alle più diverse condizioni di flessibilità. Non solo il venditore ènel mezzo, in quanto a distribuzione dei titoli di studio, ma è anche a metà per ladistribuzione del lavoro femminile: sostanzialmente le qualifiche inferiori sono amaggioranza maschile, mentre quelle superiori hanno equilibri più consistenti omaggioranze femminili. Questo significa che a mano a mano che si alzano i livelli di istruzione vengonoabbandonati i lavori nei quali prevalgono le necessità di scolarizzati bassi e si pro-ducono sistemi di lavoro, prodotti e servizi, adeguati alla nuova mentalità. In questianni il venditore è stato, indubbiamente, il lavoratore più strategico sia per le indu-strie che per i servizi. Acquisti e vendite, nel mercato nordestino, cominciano ad

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essere importanti e anche molte aziende, banche, centri commerciali stranieri appro-dano in queste regioni.Pensiamo, ad esempio, al business di internet. Alla fine degli anni Novanta assiste-vamo a scene disorientanti anche nel Nordest. APalazzo Bonin-Longare, a Vicenza,sede dell’Associazione industriali, imprenditori e professionisti si scagliavano con-tro le decisioni di alcune start-up di limitare la quantità di azioni acquistabili al col-locamento in Borsa. Troppo poche! Sergio Luciano, ex giornalista di Repubblica che avvia l’unico giornale esclusiva-mente on line d’Italia, Il Nuovo, con una campagna pubblicitaria miliardaria, devedare spiegazioni delle decisioni di E-Biscom, che è il suo editore, di limitare ilnumero di azioni al lancio in Borsa. L’imprenditore-operaio nordestino è furioso pernon poter riuscire a farsi spazzolare con più forza i propri risparmi.I compratori non sapevano neppure di che aziende si trattasse o del tipo di prodottie servizi offerti, ma i venditori erano stati bravissimi: c’era chi acquistava solo start-up del Nuovo Mercato!!!La new-economy degli anni Novanta non è stato altro che un business della vendi-ta: venivano collocate sul mercato delle idee attraverso il lavoro di abilissimi ven-ditori della generazione più scolarizzata. Il fatto che molti amministratori delegati -in una società di vecchi - avessero sotto i trent’anni non insospettiva nessuno, anziera garanzia di novità e freschezza.Virgilio Degiovanni, inventore di Freedomland, girava il Nordest con una specie distruttura ambulante che montava nei palazzetti dello sport dove mostrava delleimmagini tratte da video-cassette (non da internet!) simulando che cosa si sarebbefatto da lì a qualche mese con la rete attraverso un televisore. Un’idea che attiravamigliaia di spettatori che, poi, diventavano acquirenti di un decoder e promotori, aloro volta, dell’idea. La maggior parte non sapeva neppure spiegare, tecnicamente,di cosa si trattasse.Era in vendita ancora solo un’idea. Migliaia di nordestini la sposavano e si improv-visavano, a loro volta, venditori. Perfino nei paesini di montagna c’è ancora qual-cuno che ha il decoder di Freedomland e che può consolarsi almeno per il fatto diessere riuscito a “piazzarlo” anche al vicino di casa.Era già accaduto in passato: Douglas Casey, in un libro uscito in Italia nel 1981, daltitolo “Come salvare i propri soldi in periodo di crisi” scrisse: “Fino a poco tempofa, due uomini con un paio di transistor in un garage potevano autodefinirsi societàdi elettronica e movimentare milioni in offerte pubbliche. Nei primi anni Sessanta,ogni compagnia che nel suo prospetto usava generosamente la parola ‘tecnologia’enel suo nome il suffisso ‘onica’o ‘ex’poteva manovrare multipli di 1000 a 1 di gua-

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dagno sui prezzi, anche se i suoi profitti erano solo un trucco contabile. Un pò piùtardi arrivò la mania dei conglomerati, e la parola ‘sinergismo’ acquistò un nuovosenso e servì a indicare che sette od otto compagnie legate solo dal comune recorddi insuccessi potevano essere combinate in una grossa società finanziariamentesana. Il 1972 ebbe le sue emissioni nel campo dei microprocessori. Il 1973 e il 1974videro una speculazione sfrenata sui valori auriferi, molti dei quali poi perserodall’80 al 95% del loro valore. Il 1975 fu segnato dall’ascesa e dalla caduta delleazioni delle radio ricetrasmittenti. Il 1976 vide movimenti esplosivi delle azioniminori ‘sottovalutate’ (tutto è relativo, immagino). – E poi Casey continua – “Il1977 ci dette le azioni delle società cinematografiche. Il 1978 vide tornare nel mer-cato dentisti e tassisti a comperare azioni speculative. Ma dal 1974 la speculazionevera e propria si è mossa sul mercato ufficiale delle opzioni. Se consideriamo a chepunto è arrivata oggi questa speculazione, il 1929 e il 1968 non sembrano, al con-fronto, particolarmente turbolenti.”Insomma niente di nuovo: la tecnica di vendita degli anni Novanta è consistita nelcambiare il suffisso alle società-idea che si mettevano sul mercato: da “onica” oppu-re “ex” a “.com” oppure “net”. Di fatto c’è che la professione di venditore è quella che garantisce i maggiori sboc-chi anche per i diplomati o coloro che hanno la laurea breve. Si tratta del lavoro piùflessibile in relazione al titolo di studio acquisito. Per ora il primo obiettivo del ven-ditore è costruire nuovi compratori.

Nel frattempo chi sta per essere rimodellato investe sui figli e chiede protezione, ocome si vuol chiamare, protezionismo.Secondo un’indagine commissionata dagli artigiani veneti e pubblicata dalla casaeditrice Nuova Dimensione di Portogruaro, dal titolo: “La staffetta generazionalenell’impresa artigiana veneta”, nel giugno 2003 risulta che nei prossimi 10 anni piùdel 20% degli artigiani prevede un passaggio generazionale, ma il 12,2% prevedeanche di cessare l’attività. Chi cessa lo fa per “mancanza di successori” nel 17,8%dei casi, ma soprattutto perché i “successori non sono disponibili” (54,8%). I moti-vi per cui i successori non sono disponibili a subentrare? Perché “è impegnato inaltre attività esterne” (66,3%), “studia per svolgere altre attività professionali”(60,0%), “ha scarso interesse per l'azienda” (18,8%), “vede scarse prospettive perl'azienda” (5,0%) e “non condivide il modello di gestione del titolare” (2,5%). Lapiccola azienda e l’azienda artigiana, dunque, si chiude non perché manchi di pro-spettive economiche, ma perché padri e figli hanno idee nuove sul futuro.Piuttosto apre l’impresa artigiana con titolare l’extracomunitario: il Nordest, secon-

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do un’indagine Cna, ha la percentuale più alta di imprese artigiani con titolari citta-dini stranieri: 35,9%. Complessivamente i titolari immigrati sono il 25%; la mag-gioranza in Veneto. L’erede dell’artigiano, nella maggior parte dei casi, studia, siprepara ad altre professioni o e già impegnato in altre attività. E’ già tutto deciso. Quanto alla preoccupazione maggiore, invece, per le successioni già stabilite, èquella del “mantenimento del patrimonio”. A verifica del sondaggio leggiamo gliiscritti all’Inps tra gli artigiani: dal 1997 al 2001 la classe di età fino a 24 anni è dimi-nuita del 31%, quella appena sopra fino a 34 anni del 6,4%. Ed è diminuita anchequella dai 45 ai 49 anni. Si abbandonerà l’attività artigianale nell’abbigliamento,servizi, legno e autotrasporti. Traduzione: l’abbigliamento è già in via di smantella-mento e anche il Gruppo Benetton è orientato su molteplici altri settori (per nonsapere ancora bene cosa fare si è buttato sulle autostrade, se non altro per fare liqui-dità) e come abbiamo detto, nell’ultimo anno, ha sfilato dal mercato indotto 38.000posti di lavoro. I Marzotto hanno deciso di passare la mano alla nuova generazione.I servizi stanno passando alle medie e grandi agenzie e a strutture più complesse conprofessionalità più alte. Il legno e l’autotrasporto non possono più reggere alla men-talità di salvaguardia dell’ambiente e di protezione che ne deriva e dovranno evol-versi fortemente.Non solo ma se nel distretto bellunese degli occhiali il titolo di studio più richiesto èquello di licenza elementare (39,5%) e c’è anche una buona richiesta di diplomati(33,4%) che fa supporre una tenuta importante, non vale, invece, lo stesso discorso peril distretto veneziano e trevigiano della calzatura che è basato sull’82,3% di richiestadi titolo di studio di licenza media e così anche per le vetroceramiche, il legno e ilmobile. Al contrario le industrie dell’elettronica ed elettrodomestici chiedono il diplo-ma superiore per quote tra il 44,3 e il 77%. L’elettronica, poi, vuole soprattutto diplo-mati. AVicenza, l’oreficeria-gioielleria, ha dovuto spingere sulle qualifiche professio-nali e la formazione professionale (36,5%) così come è accaduto anche per le conce-rie (29,9%) e ora questi settori sono in una fase molto critica. In sostanza là dove ildistretto è abbastanza esclusivo e non ha grande competizione nelle province adiacentialle famiglie è bastato investire fino alla formazione professionale o alla qualifica pro-fessionale creando, però, i presupposti per un cedimento nei prossimi decenni. Mentrelà dove le imprese hanno dovuto fare i conti con una certa concorrenza nell’istruzio-ne della forza lavoro, anche tra distretti simili, e anche nel ritmo di espansione, larichiesta e quindi l’investimento collettivo sul titolo di studio tende a differenziarsi traprovincia e provincia12.

12. Da elaborazioni statistiche di Veneto Lavoro - 2002

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Il ciclo inventivo

E’ accaduto sempre così: quando Venezia era all’apice della sua potenza mentale eculturale trainava anche l’economia. La produzione di panni grezzi o rifiniti nascelì. Poi Venezia progredisce sviluppa imprese tipo l’Arsenale e la “vecchia” industriatessile si sposta nella terraferma che produce anche molti… braccianti e oggi tantistagionali per le aziende alimentari veronesi e i complessi turistici. Nell’Ottocentola meccanica comincia ad espandersi nelle province più alfabetizzate e nel frattem-po Venezia, durante il fascismo, torna ad essere il centro culturale del Nordest e aprele porte alla chimica, alle grandi imprese, agli agglomerati internazionali, e aiMarzotto, ai Rossi, si affiancano i Volpi, i Cini, così come solo a Trieste, Gorizia eVenezia, oggi, c’è un accenno avanzato di elettronica avanzata o di industria aero-spaziale. Verona si specializza nel farmaceutico e nel settore alimentare, utilizzandopraticamente la stessa manodopera del passato; gli stagionali perché i pandori, lecolombe e le uova di Pasqua è su questo che si basano, mentre le biotecnologie stan-no concentrandosi nuovamente là dove è in via di smantellamento l’industria metal-meccanica e tessile. Nell’agosto 2000 in Friuli-Venezia Giulia sono 76 le aziende che hanno seminatomais Ogm: 24 in provincia di Pordenone, una nel goriziano e 51 in provincia diUdine (di cui 22 nella Bassa friulana). Sul montare delle polemiche per questo chei Verdi definiscono “inquinamento” l’oncologo Umberto Tirelli, primario delCentro di Riferimento Oncologico di Aviano, dice: "Gli Ogm vanno assumendo ungrande rilievo sul fronte della salute pubblica. Tutte le sperimentazioni e i controllifatti dagli organismi internazionali, comprese l'Organizzazione Mondiale dellaSanità e la Fao confermano che non c' è alcun grado di tossicità negli Ogm vegeta-li in commercio. Negli Stati Uniti, dove gli Ogm sono usati da diversi anni, non siè riscontrata alcuna malattia nei consumatori nuova rispetto all' Europa, dove inve-ce gli Ogm non sono presenti. Tutti gli alimenti che noi abitualmente abbiamo nellanostra dieta sono il risultato di secoli di selezioni, incroci, ibridizzazioni compiutesu animali e piante. Sono esattamente gli stessi fenomeni cui danno luogo gli Ogm,solo che in quel caso sono avvenuti naturalmente. Oggi la biotecnologia riesce soloa fare in maniera molto più corretta e molto più efficace quello che naturalmente èun processo avvenuto nei secoli. Questa è la realtà delle cose". Intanto a Treviso una ventina di imprenditori agricoli si sono ''laureati'' in omeopa-tia per bovini grazie ad un corso promosso dalla Coldiretti. Dicono di aver appresole modalità per curare in modo alternativo le malattie delle vacche applicando allebestie discipline terapeutiche sempre più diffuse tra la popolazione umana. Con l'o-

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meopatia, secondo i responsabili del corso, si possono infatti curare le malattie delbovino da carne che riguardano malformazioni, sindromi intestinali, malattie infet-tive e del metabolismo nonchè intossicazioni di vara natura. ''Che in natura esistanodelle cure alternative ed efficaci non è certo una novità di questo secolo - ha osser-vato il direttore di Coldiretti Treviso, Andrea Crestani - e valorizzare e sensibilizza-re i consumatori su questo argomento è per Coldiretti una mission che appartiene alpresente e al prossimo futuro''.Ma in Friuli-Venezia Giulia la Federazione degli Industriali, nell’estate 2003, pensaancora solo all’export: "Qualche segno di miglioramento rispetto ai risultati delprimo trimestre (che erano stati fortemente negativi soprattutto nel confronto conl'ultimo trimestre del 2002) comunque c' è ma non sufficiente per far presagire abreve prospettive di ripresa". Particolarmente significativo – spiegano gli impren-ditori friulani - è stato l' andamento delle vendite che risultano positive e in crescitasul mercato interno, ma ancora negative sui mercati esteri. Come la spiegano? Con la tautologia: "Il rafforzamento dell'euro sul dollaro conti-nua a penalizzare le esportazioni della nostra regione che trova nell' area americanauno dei suoi principali mercati di sbocco". La nomea di un percorso impossibile, piùdi ogni altra considerazione, rende quel percorso veramente impossibile. Chi sposa le teorie di un’economia liberoscambista anglosassone senza nazioni sirifà alla scolastica medievale dove la realtà veniva dedotta dalla teoria. Adam Smithviene ridotto a puro liberoscambista e le nazioni diventano entità astratte così comei fattori di produzione perdono ogni qualità intrinseca. Paul Krugman e MauriceObsfeldt, ad esempio, che producono manuali di economia per gli universitari sta-tunitensi e le business school di tutto il mondo, associati al pensiero unico anglo-sassone, scrivono 790 pagine per l’Internation Economics edito da Harper Collins,ma minimizzano i problemi della redistribuzione dei redditi e smentiscono l’abbas-samento dei salari reali dovuti proprio alla deregolamentazione dei mercati. E gliimprenditori friulani ci cascano! Insomma gli imprenditori nordestini sperano ancora, dopo due anni di rimandi, chegli Stati Uniti si riprendano e che comperino quanto loro hanno previsto di produr-re. Ma perché se le famiglie statunitensi sono più indebitate di tutte le altre messeinsieme e nessuno più presta loro i soldi per indebitarsi ancora?

Proteggere la contro-rivoluzione

Paolo Petiziol, fondatore e presidente dell’Associazione culturale MittelEuropa e

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Console onorario della Repubblica Ceca per il Triveneto, Presidente della FinestS.p.A., la società finanziaria regionale per assistere le aziende del FriuliVeneziaGiulia, del Veneto e del Trentino nella loro espansione all’Est dirà alla Padania che“sotto l’aspetto culturale è davvero il Nordest il tramite per questi Paesi (est Europa),e il Friuli-Venezia Giulia in particolare ne è il crocevia storico-culturale secolare.Non dimentichiamoci infatti che il Friuli orientale e Trieste sono sempre appartenutianche politicamente all’area danubiana fino al 1918. Appare quindi in tutta la suaevidenza come queste terre rappresentino ancor oggi un potenziale enorme di con-giunzione tra l’economia mediterranea e quella centro-europea, quindi persone tec-nicamente preparate e culturalmente formate in quest’area possono rappresentaredelle opportunità di grandissimo interesse per l’intero Paese. Va da sé che, se poi siconsidera anche quanto rilievo economico rappresentino, e ancor più rappresente-ranno negli anni a venire, le economie centro-europee nel contesto della nostraEuropa, quest’azione strategica assume ancor più significato... Alcune scadenze,peraltro, sono alle porte: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca stanno per entrare apieno titolo nell’Unione Europea; è una svolta decisiva per l’Italia, ma soprattuttoper il Nord e il Nordest (…) La Regione Veneto - dice ancora Petiziol - invidia oggi l’alta autonomia dallo Statocentrale del Friuli-Venezia Giulia, che è una Regione a statuto speciale, mentre ilFriuli continua a temere il Veneto per la sua enorme potenza economico-finanzia-ria, nonché per le sue elevate potenzialità industriali. Basti pensare che la Provinciadi Vicenza vanta un impresa ogni 7 abitanti, neonati compresi, e che Treviso eVicenza insieme esportano più di tutta la Repubblica d’Argentina! (…) Il Venetodeve poter contare sulle capacità delle genti di confine - molte azioni specifichedevono esser gestite insieme in Finest. Uniti Veneto, Friuli, Trentino e Trieste costi-tuiscono una massa critica produttiva, intellettuale e mercantile che può competere,come numero di abitanti e numero di imprese, con tutti gli Stati dell’Europa centro-orientale, con l’area danubiana e con quella balcanica.”Non è il libero scambio, dunque, che produce lo sviluppo del commercio interna-zionale, ma, al contrario, il dinamismo interno che perfeziona le potenzialità di cre-scita in un determinato periodo storico, programma gli investimenti, soprattuttoumani, per il futuro e si relaziona con i movimenti delle altre popolazioni. Un mercato globale è un mercato che si fermerebbe perché tenderebbe al livella-mento globale dei salari, dei prezzi, della produzione e del consumo. E’ la dinamica interna di ogni singolo paese, in rapporto alle altre, che crea il mer-cato e quindi è la dinamica interna che deve essere, in qualche modo, “protetta” perpoter continuare ad esplicare i propri effetti. La diversa distribuzione delle materie

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prime sulla Terra e nella Terra è un bene in sé così come la diversa distribuzione dipopolazione e mentalità. Emmanuel Todd già nel 1998 scriveva: “La definizione di un protezionismo intel-ligente, che va al di là della flessibilità monetaria, sarà il grande dibattito del prossi-mo decennio. Le società non possono indefinitivamente vivere sotto la tensione diadattamento in un contesto di deficit della domanda globale. Se le società naziona-li non arriveranno a definire la via nuova di un protezionismo economico che assi-curi il mantenimento delle protezioni sociali, la stabilità delle infrastrutture materia-li e dei sistemi educativi, noi possiamo prepararci a vivere dei fenomeni di regres-sione di massa: dei conflitti di classe violenti o il ritorno puro e semplice a certeforme di barbarie. Una riflessione economica deve essere aperta, mettendo in piaz-za dei concetti generali, ma deve incentrarsi sui dettagli amministrativi e settoriali.Il quadro definito da List di un’economia protetta sul versante estero, ma liberale ecompetitiva sul versante interno, resta senza dubbio valida. Contrariamente a quan-to affermano gli ultraliberisti l’apertura commerciale non è indispensabile al man-tenimento della concorrenza. Questo soprattutto se il livello culturale continua adalzarsi. Noi dobbiamo fuggire alla credenza magica sulle cause del dinamismo eco-nomico che piazza fuori dall’uomo le forze del progresso.” Insomma una concor-renza tra analfabeti, impauriti e imbarbariti non servirà a nessuno e non produrrànessun progresso, meno che meno economico. Non è il libero scambio che produce lo sviluppo del commercio internazionale ma,al contrario, il dinamismo interno che produce crescita e quindi importazione edesportazione. Se questo dinamismo non viene protetto o coltivato le economie nonpossono che collidere, globalizzandosi. Una delle teorie che, ad oggi, appare piùazzeccata, divulgata da Ravi Batra, dice che fino a quando la crescita dei salari realisegue da vicino la crescita della produttività e dei profitti, si registra una fase di svi-luppo accelerato. Quando la politica economica mira a massimizzare l'export, con-trollando la domanda interna e quindi i salari, l'economia inizia a balbettare, anchese, per lungo tempo, si gonfia una bolla speculativa alimentata dal credito e dalbasso costo del denaro accumulato. Eccoci qua.L’11 agosto a Cortina, ad una tavola rotonda con Pietro Marzotto, Tiziano Treu,Massimo Calearo (presidente degli industriali vicentini) e il sindaco di Padova,Giustina Destra, si dibatte con una platea di imprenditori sul tema se sia o meno fini-to il mito del Nordest. Pensiero comune che ha tenuto insieme pubblico e relatori èche per far crescere il Nordest (ma, veramente, tutta l’Italia) bisogna conquistarenuovi mercati! Un imprenditore, produttore di finestre, sostiene che ormai impiega solo il 15%

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delle risorse per pagare la forza lavoro ma non riesce più a vendere. Un altro diceche se guardiamo al passato non possiamo non essere ottimisti: lui lavora, i figlilavorano nella sua azienda e girano in Porsche. Alla fine rivela che è un imprendi-tore comasco. Uno del Nordest, infatti, avrebbe omesso in pubblico il narcisismodella Porsche.Un dato per tutti: il Friuli-Venezia Giulia nel 2002 ha diminuito sia le esportazioniche le importazioni. Ma mentre le esportazioni sono diminuite del 3,5% rispettoall’anno precedente, le importazioni sono diminuite dell’8,4%. Le esportazioni, neiprimi sei mesi del 2003, hanno segnato contrazioni nel Veneto del 6,3% e nel Friuli-Venezia Giulia del 3,1%. Viceversa il Trentino-Alto Adige ha registrato una varia-zione positiva (+2,1%): in particolare la crescita delle vendite ha riguardato i pro-dotti alimentari, bevande e tabacco, i prodotti dell’agricoltura e della pesca e le mac-chine ad apparecchi meccanici. Insomma un modello è difficile da cambiare, anzi, probabilmente rimane sem-pre uguale a se stesso anche se si modulano in modo diverso i tanti fattori chelo compongono.Per produrre, ormai, basta pochissimo: il problema è produrre per chi?

L’imprenditore inventato

Nel 1987 uno storico, non un economista, propone la teoria secondo la quale “nes-suno dei due passi decisivi che privarono i lavoratori del controllo sul prodotto e sulprocesso: 1) lo sviluppo della dettagliata divisione del lavoro che caratterizzò ilsistema a domicilio e 2) l’affermarsi dell’organizzazione centralizzata che caratte-rizza il sistema di fabbrica – fu imposto dall’evidenza della loro superiorità tecnica.Queste innovazioni nell’organizzazione del lavoro non furono introdotte tanto perottenere una produzione maggiore con i medesimi investimenti, quanto per con-sentire al capitalista di arraffare una fetta più grossa della torta a spese del lavorato-re; è soltanto la crescita successiva delle dimensioni della torta che ci impedisce dipercepire l’interesse di classe alla radice di quelle innovazioni. La funzione sociale dell’organizzazione gerarchica del lavoro non sta nell’efficien-za tecnica ma nell’accumulazione” 13.

13. David S. Landes, a cura, Ache servono i padroni? – Bollati Boringhieri. Si veda soprattutto i capi-toli scritti da Stephen A. Marglin. Per disimparare qualche altro luogo comune o slogan si consiglia lalettura delle opere di Karl Polanyi.

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Paul Samuelson ha molto criticato questa ricostruzione storica, sostenendo la neu-tralità della concorrenza perfetta. Il nodo del problema, secondo Samuelson, stanella domanda: chi e cosa impedisce all’operaio di farsi capitalista? Se il modello fosse, realmente, neutrale e concorrenziale, assolutamente niente. Difatto non lo è. Adam Smith ci insegna che per essere concorrenziale un produttore deve essere tec-nologicamente efficiente e suggerisce la divisione del lavoro. Per Smith incremen-tano la produttività “l’aumento della destrezza di ogni singolo operaio”, il “rispar-mio del tempo che comunemente viene perso passando da una specie di lavoroall’altro” e “l’innovazione di un gran numero di macchine che facilitano e abbre-viano il lavoro mettendo in grado un uomo di fare il lavoro di molti”. Ma questo nonrisponde ancora alla nostra domanda del perchè l’operaio non si faimprenditore.Per inciso: secondo un’indagine della Fondazione Nordest (2001) il 43,2% ha sem-pre fatto l’imprenditore e di questi il 32,7% ha ereditato l’azienda mentre il 57,5%l’ha avviata. Il restante 56,8% prima di avviare l’impresa faceva l’operaio (64%),l’impiegato o insegnante tecnico (26,1%) o il dirigente (4,4%).

A questo punto dovrebbe essere chiaro anche ai “classici” liberoscambisti, che l’au-mento della produttività è una questione che ha poco a che fare con l’economia mapiuttosto con la vita sociale, con l’istruzione, con il sistema antropologico nel qualesi nasce e si vive. Il risparmio del tempo è importante: paradossalmente per lavorare 40 ore la setti-mana basterebbe lavorare, ininterrottamente, per poco meno di due giorni di segui-to, compreso la notte. Si risparmierebbe molto tempo e in una settimana ci potreb-bero stare altre 120 ore di lavoro! Peccato che anche qui bisogna fare i conti con la struttura fisica e psichica degliuomini e delle donne attivi. Comunque anche questo è un ambito culturale perchéci sono uomini che lavorano 35 ore la settimana, ma altri 40, 60 e anche 90 o 100. Nel ‘700 inglese e nell’800 da noi le mansioni di un operaio sono ancora talmentesemplici che non si spiega la necessità delle divisione del lavoro. E su questo, biso-gna dire, che il Nordest non fa una vera e propria scelta capitalista classica: l’ope-raio del Nordest, infatti, diventa anche imprenditore. Il motivo per cui si spinge sullaspecializzazione è perché senza la specializzazione il capitalista non avrebbe avutoalcun ruolo. Il lavoro a domicilio del primo capitalismo ha in sé l’opportunità di sce-gliere tra un sistema con l’operaio-imprenditore e un sistema con la divisione piùnetta dei ruoli. Ma perché l’operaio-imprenditore è minoritario o, addirittura assente?

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Perché l’organizzatore, o il capitalista, avrebbe dovuto, una volta diventato ancheproduttore, scindersi e accontentarsi del salario e non avrebbe più ottenuto il profit-to o avrebbe dovuto reinvestirlo quasi per intero. Frapporsi tra produttori e compra-tori è, invece, molto più remunerativo. Se oggi, lo dice anche un piccolo imprendi-tore nordestino, serve solo il 15% di risorse per produrre, tutto il resto può esserepensato come profitto. Il capitalista, così concepito, esplica la propria autorità frap-ponendosi e mantenendo a sé la risorsa della conoscenza dei mercati e, successiva-mente, organizzando la conoscenza tecnica. Il fordismo non è altro che la creazione, da parte dell’imprenditore, di una catego-ria di nuovi lavoratori; i tecnici, in grado di regolare i processi produttivi in concor-renza con gli operai specializzati. Fino ad allora solo gli operai più esperti, i piùanziani, quelli di più alta capacità gestivano, con i propri colleghi, i turni e i carichidi lavoro. L’imprenditore doveva relazionarsi col capo del reparto degli operai. Lacreazione, invece, di quella che John Kenneth Galbraith chiamerà “tecnostruttura”e Thorstein Veblen identifica con la classe degli ingegneri, servirà a rompere il bloc-co del sapere monopolistico tecnico degli operai. La creazione, nel Nordest, di una serie di derivati universitari per la formazione ditecnici, di business school e di corsi tutti associati “alle esigenze dell’impresa” etutte sostenute dalle associazioni imprenditoriali sono la controprova della necessitàdell’imprenditore di una qualifica intermedia per il controllo della fabbrica. Insostanza non c’è così tanto bisogno di tecnici se non per controllare il sistema ver-ticale aziendale e dividere il più possibile i blocchi produttivi. Più i blocchi sonodivisi, meglio l’imprenditore si posiziona e controlla e a questo scopo è utile anchela delocalizzazione. Il sistema nordestino ha, invece, mantenuto anche l’opzioneoperaio-imprenditore – motivo per cui sociologi, economisti, esperti vari, politici,sostengono che si tratti di un modello che deve essere cambiato – dove le media-zioni interne sono meno importanti mentre diventano fondamentali quelle esterne. “Fare sistema” è, infatti, la parola d’ordine più diffusa e, appunto, meno praticata.La contro-rivoluzione industriale renderà sempre meno necessario questo apparatodi controllo e il sistema si realizzerà con altre specializzazioni più di comunicazio-ne che tecniche. E su questo il Nordest è già avvantaggiato.L’operaio-imprenditore se assicura una certa stabilità e una bassa conflittualitàall’interno del sistema produttivo e industriale perde però la capacità di poter otte-nere altissimi profitti e quindi di far da solo nella conquista dei mercati. L’operaio-imprenditore vince nel mercato più ristretto e per ottenere vantaggi in quelli globa-lizzati deve poter associarsi o collaborare con grandi imprese. Paradossalmente,spiega Marglin, “il controllo esercitato dal capitalista dipendeva in buona parte dal

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suo apporto di capacità organizzativa, conseguenza di un patrimonio di doti e dicaratteristiche individuali – dalla straordinaria avidità alla straordinaria intelligenza– che lo distinguevano dai comuni mortali”. Questo non contraddice la smentita che il lavoro dell’imprenditore è raro, produtti-vo, e quindi viene remunerato, anzi, “l’ottimizzazione paretiana del criterio concor-renziale dei prezzi non dipende soltanto dalla scarsità e dalla produttività dei beni edei fattori, ma anche dal loro essere beni puramente ‘privati’, nel senso che se unapersona ne possiede di più, di necessità, un’altra ne possiederà di meno.” Ma se sono i grandi aggregati a creare coloro che si distinguono io tradurrò così: neimacro aggregati la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne vuole vive-re in tranquillità, serenamente e godendo della vita. Esclusi gli inabili per i più diver-si motivi, a coloro con più “corazze caratteriali” viene, di volta in volta attribuito unruolo, di utilità pubblica, quindi con il consenso sociale generalizzato, e affidato l’o-nore e l’onere di distinguersi. Il capitalista è uno di questi. La capacità di lavorare, come ci ha spiegato anche Smith, è necessaria per il pro-gresso, ma questa è un bene pubblico, non un bene privato. La “conoscenza” è unbene pubblico e, tra l’altro, quando passa di mano chi la offre non la perde. Dunquese tutto il lavoro è conoscenza il prezzo del lavoro, di chiunque, tenderà a zero conil passaggio della conoscenza, a parità di capitali. Motivo per cui serve inventarestrumenti “pubblici” o regole esogene al mercato per creare una certa rarità dellaconoscenza come il prestigio sociale.Non solo ma l’altro espediente per mantenere rara la conoscenza è quello di fide-lizzare la propria clientela. Il risultato della mia conoscenza, ovvero la qualità deimiei prodotti, è diversa da quella di altri prodotti. Ma tutto questo non può bastare,e non basta neppure a livello internazionale… non si può andare, infatti, a dire a ungiapponese o a un cinese o a un coreano: “tu non devi sapere, o saper fare, quelloche so io e che faccio io!”.Dunque a questo punto si rende necessaria, per tutti, la creazione della divisione dellavoro e di uno che ne tenga le fila. Dividendo il lavoro si rende sempre più diffici-le la possibilità di copiarlo e si affida all’imprenditore, remunerandolo, l’attività diorganizzare, o contribuire a creare, un mercato della forza lavoro.Se è la divisione del lavoro a limitare il mercato, soprattutto quello della forza lavoro,creando così il capitalismo, avremo che là dove, come nel Nordest, l’imprenditore-operaio è più diffuso la divisione del lavoro sarà meno praticata: una sola persona sioccuperà di più operazioni insieme e prenderà più decisioni. Là le conoscenze passa-no anche prima possibile da una generazione all’altra, dal padre al figlio, ai parenti col-laboratori, e passano meno al di fuori del circuito istituzionale scolastico. La cono-

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scenza viene trasmessa, diciamo così, in privato piuttosto che in aule pubbliche. Si trat-terà di una conoscenza meno sofisticata, più pratica che teorica, per certi aspetti “piùelementare”, ma funzionale a quell’azienda o a quel distretto. La divisione del lavoro più bassa produrrà, di conseguenza, una disoccupazione piùbassa. La conoscenza, dunque, non è una merce vera e propria, ma molto di più: èun rapporto sociale di produzione che nel Nordest viene gestita prevalentemente infamiglia. L’imprenditore-operaio del Nordest più che il capitale mette a frutto moltomeglio una certa possibilità e capacità organizzativa. Il modello Nordest non dipende, quindi, dal luogo o dalla contiguità dei luoghi,ma dall’interazione sociale che viene espressa in quel luogo e che interagisceanche con il luogo. L’imprenditore-operaio, però, ostacola l’espansione della produzione e l’acquisizio-ne dei mercati, in quanto i limiti di controllo individuali sono, a loro volta, moltoalti. L’imprenditore-operaio, poi, deve poter avere una certa mano libera, anchesostenuta dalla mentalità generale, nell’esercitare le proprie capacità organizzativee produttive. Deve poter disporre. Chi meglio del padre della famiglia stirpe ha que-sta possibilità? Quello che appare, ad una prima osservazione, un contesto di indi-vidualisti è, in realtà, un conteso nel quale la produzione di individui in grado diavere un consenso collettivo per comportamenti autoritari è dato ed, eventualmen-te, mediato con l’atteggiamento “paternalistico”. L’impresa del Nordest, quindi, perforza di cose deve essere piccola perché è figlia di un sistema verticale famigliareche fa capo ad un “padre”. Se cambia la mentalità l’autoritarismo personalizzatodella generazione precedente diventa astratto nella generazione futura, ma sempreautoritarismo resta. In sostanza si applica la “furbata” suggerita da Einaudi: il risul-tato deve essere lo stesso. Suggerire ai nordestini di fare imprese più grandi significa soltanto dimostrare diaver studiato molta teoria e soprattutto solo di derivazione anglosassone.

Per i politici: costruire tanti Berlusconi

Il sistema non potrà vivere in un’economia globalizzata stagnante con le grandimonete occidentali troppo alla pari nonostante le diversità reali. Il dibattito su unprotezionismo intelligente, su un libero scambio non mitologico o sulla deficienzadella domanda globale deve essere aperto prima possibile anche a Nordest. Le ten-sioni che potrebbero innescarsi per il finanziamento delle infrastrutture, per laregressione dei sistemi educativi, per l’apertura della forbice delle ineguaglianze –

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non solo dei redditi - potrebbero portare a scontri sociali – più o meno simbolici –molto forti. Ricordo che, da giovane, mi piaceva molto leggere i libri divulgativi di PieroAngela. In uno di questi, erano gli anni Settanta, c’era scritto che con la clonazionesaremmo diventati quasi immortali perché avremmo potuto – è scritto – costruire unaltro sé stesso, privo di coscienza, e tenercelo a disposizione per trapiantarci gliorgani a mano a mano che saremmo invecchiati14.Quando si sono alzate le polemiche, successivamente, dagli anni Novanta, perchéla clonazione non era più soltanto pensata ma era stata messa realmente in pratica,questa eventualità di utilizzo è stata resa immorale e lo stesso Piero Angela, presoda pudore, mi disse che quello del libro era soltanto un esempio di un possibile uti-lizzo non un’ipotesi praticabile. Questo per dire che ogni idea deve comunque fare i conti con la realtà e molto spes-so è più facile fare passere idee “pesanti” attribuendo loro obiettivi caritatevoli. Sediciamo che la clonazione è ammessa per motivi medici e per salvare vite umanenon incontriamo obiezioni e non ne incontreremo. Se diremo che l’imprenditore dàlavoro ai padri di famiglia, liberiamo l’imprenditore da vincoli che altrimenti nesoffocherebbero l’iniziativa. Se diremo che il protezionismo serve a salvare la nostraeconomia, ma anche quella degli altri, non avremo difficoltà, almeno, ad aprire ildibattito.Dunque, con le dovute accortezze, o furbizie di comunicazione, è il momento diprendere il toro per le corna e cominciare. Il Giappone degli anni di gloria funzio-nava così: concorrenza tra le aziende per il mercato interno, ma accordi, e protezio-ni statali nei confronti dei mercati esteri. Il libero scambio non è necessario per ilmantenimento della concorrenza internazionale perché il livello culturale è inaumento in quasi tutto il mondo e la diversificazione dei prodotti sarà sempre piùalta e le necessità intellettuali e simboliche sempre più differenziate. Non esiste nessun progresso, nessuna dinamica eccellente nelle astrazioni econo-miche: abbiamo già testato le economie centraloparanoiche, liberoschizoidi e sado-monetarie e ne siamo usciti e ne usciamo conciati male. Win Duisenberg, ex presi-dente dalla Banca centrale europea ammette che “la politica monetaria non è suffi-ciente a generare crescita e occupazione durevoli”.Ma in quel momento, forse, erano le soluzioni migliori per le condizioni che si pre-sentavano. Ora è il momento di saggiare un’economia emancipatrice, aderente allarealtà, consapevole della condizione umana. Se proteggere quanto abbiamo acqui-

14. Piero Angela – L’uomo e la marionetta - Garzanti

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sito significa una chiusura nella propria identità non per questo si devono aggrediregli altri che faranno e fanno altrettanto. Un mercato protetto potrebbe livellare verso il basso la produttività? Se guardiamo al settore dell’agricoltura che, tuttora, in Europa, è fortemente protet-to, dobbiamo dire che è avvenuto l’esatto contrario. Negli ultimi ‘50 anni l’agricol-tura è stata praticamente rivoluzionata e una minoranza di forza attiva impiegataproduce quantità di prodotti che, addirittura, per sostenere i mercati devono sotto-stare a quote programmate15. Un mercato protetto dall’invasione dei prodotti deve, però, diventare un mercatoattrattivo dei capitali se è vero che i capitali si muovono in tempo reale. Chi non riesce ad entrare dalla porta entra dalla finestra, ma deve accettare di farloinvestendo, producendo, prima di tutto, lavoro e benessere per le persone. Il siste-ma diventa in questo modo nuovamente dinamico perché innesca cicli produttivi,ma anche cicli di consumo e monetari reali. Oggi chi riesce a distinguere una fuga di capitali all’estero da un investimento? Eche cosa se ne fa il paese di destinazione del capitale che gli viene accordato? Lospende per comprare beni che noi produciamo o lo investe per proporci beni chenon possiamo più acquistare? L’inasprimento delle condizioni economiche realiviene ammortizzato da una serie di comportamenti reali, ma alla lunga produce unoscontro di classe più aspro, uno scontro tra popoli, e una flessione dei servizi comu-ni. Per i prossimi dieci, quindici anni, il dibattito reale verterà sulla scelta tra liberoscambio e protezione: non c’è alternativa a questa grande sfida. Attaccare il costo del lavoro durante una flessione generale dei consumi è un non-senso, uno stare fuori dalla realtà. E’ evidente che il liberoscambista è colui che ha, in realtà, una maggiore protezio-ne nel mercato interno. Liberoscambista è chi ha o pensa di avere risorse finanzia-re sufficienti per poter sostenere una concorrenza, nel mercato del lavoro o dell’im-presa, essendo, in realtà, protetto all’interno. Chi più di un imprenditore di un impero televisivo nazionale può trovarsi in questasituazione ottimale? Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio è proprietario di

15. A Bolzano i contadini e gli allevatori, grazie a Informatica Alto Adige Spa possono collegarsi adun sito internet per consigli e consulenze di qualsiasi tipo. L’assessore all'Agricoltura Hans Berger hadetto: "Negli ultimi anni la rete ha fatto il suo ingresso anche nei masi di montagna: ora, con la nuovawebsite di consulenza, i contadini che hanno bisogno di consigli ed informazioni per la loro attivitàpotranno ricevere entrambi in modo veloce e comodo, senza spostarsi da casa". E il contadino se nesta in salotto.

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Mediaset (e non solo) è, per logica, ultra-liberale perché la sua azienda non ha con-correnza nel mercato interno. Nel sistema finanziario uno come Berlusconi puòmuovere ingenti capitali in tutto il mondo; fare affari, creare alleanza, ottenere divi-dendi e altri capitali, ma il suo core business è protetto. Protetto dalla lingua, dalladimensione assicurata dalle leggi e non dal mercato, protetto da se stesso in quantonel doppio ruolo, conquistato e voluto, di capo di azienda e Presidente delConsiglio16. Direi che Berlusconi in persona è l’esempio personalizzato dell’im-prenditore italiano del futuro: azienda protetta in patria e possibilità di influenzainternazionale attraverso la potenza che viene espressa nel paese di origine.Gestione e amministrazione diretta o affidata a figli e figlie e amici di famiglia pro-tetti, a loro volta, da leggi sull’eredità e dalla vicinanza al Governo nazionale. I nor-destini, nel 2001, hanno sicuramente contribuito molto ad eleggere un loro prototi-po, ora dovranno metterlo in pratica anche in casa propria.Allora se l’ultra-liberista a parole e un protezionista nei fatti abbiamo dall’altra parteche chi non è protetto non può permettersi di essere liberoscambista. Chi è sottopo-sto, e lo sarà sempre di più, alla pressione dei mercati a salari bassi, dalle monetesvalutate a causa della supervalutazione interna, dall’inflazione che lentamente sialza, viene sottoposto a tensioni che potrebbero diventare non più sopportabili.Questi sono coloro i quali hanno creduto all’esistenza reale del libero scambio fin-gendo di non accorgersi che un certo sviluppo – anche del Nordest – dipendevadalla svalutazione della Lira, dalla predazione di materie prime, dalla finanza psi-chica che gonfiava solo idee o dallo sprofondamento di alcune bilance commercia-li. In contesti come questi anche la guerra può diventare necessaria! Mentre per glieuropei cercare l’allargamento a oltranza può diventare un’illusione di conquista dinuovi mercati! La presa della realtà passa dalla definizione di tanti nuoviBerlusconi.

In concreto se analizziamo chi è più protetto e chi no, nel Nordest, non possiamonon accorgerci che il rischio è abbastanza alto perché i non protetti sono più nume-rosi. Ebbene se consideriamo soprattutto la famiglia dobbiamo convenire che unacoppia adulta ha una certo grado di sicurezza quando entrambi i coniugi hanno unlavoro stabile e uno stipendio o un salario sicuro. In senso oggettivo questa è la con-dizione più tranquilla e quando la coppia non ha neppure figli la solidità finanziaria

16. Mediaset è riuscita ad ottenere il controllo di Telecinco in Spagna soltanto nel dicembre del 2002dopo l’acquisto del 12% del gruppo Correo. Berlusconi è diventato Presidente del Consiglio dal mag-gio del 2001.

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può essere considerata al massimo livello. Non fare figli diventa un vantaggio non indifferente!Mediamente, nel Nordest, con Trento e Bolzano sovrappesati nel settore pubblico,abbiamo una suddivisione che ci mostra una netta prevalenza di persone occupatenel settore privato. Operai, conduttori di macchine e personale non qualificato, inVeneto, superano il 50% nel gruppo dei dipendenti privati. Nel pubblico tecnici eintellettuali superano, a loro volta, il 50%. I venditori sono trasversali in tutti i set-tori e in una percentuale simile: per il Veneto 12,2% nel settore privato e 11,2% nelpubblico. La maggioranza di venditori è indipendente. Nel complesso, per rendere le osservazioni più efficaci, ci basti sapere che il perso-nale non qualificato è più numeroso nel settore pubblico così come i tecnici e gliintellettuali. Mentre i dirigenti e imprenditori sono più numerosi tra gli indipenden-ti, come i conduttori di macchine e infine, tra i dipendenti, nel settore privato gli ope-rai sono più numerosi. Per le donne il settore pubblico, istruzione e sanità, è il piùattrattivo. In Trentino-Alto Adige oltre l’80% delle donne lavora nel terziario, inFriuli-Venezia Giulia il 76,5%, in Veneto il 67,1%. Un’analisi più dettagliata delladistribuzione delle professioni tra uomini e donne rivela che le donne impiegate neiservizi domestici e le impiegate sono molto più numerose degli uomini impiegatinello stesso ambito, mentre tra gli operai e gli indipendenti lo sono soprattutto gliuomini. E’ chiara la decisione di fare in modo che, nonostante la necessità di lavo-rare di entrambi i coniugi, la divisione delle professioni tenda ad una messa in equi-librio delle possibilità di rischio. La donna viene dirottata in professioni e in situa-zioni come quella di dipendente pubblico, nella scuola o nella sanità, ad esempio,dove alcuni diritti formali, uguali comunque per tutte, vengono, di fatto, meglioesercitati per tutta una serie di fattori: massa di occupati, grado di sindacalizzazio-ne, femminilizzazione, parcellizzazione del lavoro, sostituibilità ecc. ecc. I maschi,invece, tendono ad essere più numerosi nelle professioni più rischiose, meno garan-tite, ma con più possibilità di guadagno17. Logicamente la coppia i cui partner hanno una combinazione di lavori tali da ren-derli insicuri, sia per il salario/stipendio, sia per la stabilità del lavoro stesso, tenderà

17. Un’indagine di Bankitalia rivela che nella ripartizione delle attività finanziarie il “pensionato”,tranne per le passività finanziarie, è sopra tutte le altre categorie. Il 51,4% di titoli di Stato sono inquota al “pensionato”. Tra dipendenti e autonomi, invece, chi ha la maggior quota di passività finan-ziarie è il cosiddetto “altro autonomo” distinto dall’imprenditore e dal professionista che, però, sonosecondi in classifica. L’impiegato è, infine, colui che ha distribuito omogeneamente depositi, titoli diStato, fondi, altre attività. L’operaio ha una discreta quota di depositi bancari e postali e anche unadiscreta quota di… “passività finanziarie”.

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ad essere più debole e quindi anche più turbolenta. La vedova, single, pensionata èall’estremo opposto di questa coppia se non nel periodo in cui vengono messi indiscussione gli istituti pensionistici.Ma se sui diritti acquisiti è molto difficile intervenire appare, dunque, evidente chela coppia tipica nordestina è in una certo stato di insicurezza. La coppia marito-moglie di piccoli negozianti, di artigiani, della piccola impresa oanche la coppia operaio/operaia di imprese private in settori discendenti, in un siste-ma inutilmente distruttivo e liberoscambista, subisce i contraccolpi più gravi allapropria identità e sicurezza anche perché è tendenzialmente meno scolarizzata. Eper quello che ha significato per il Nordest questo aggregato di persone merita diessere difeso.L’azione sindacale di salvaguardia e di ammortamento dell’impatto nel periodo diespulsione dal lavoro (casse integrazioni, prepensionamenti ecc.) è soltanto un inter-vento che arriva alla fine di un periodo di grande stress e di lotta. Nel frattempomolto è stato distrutto e i tentativi di autodifesa di queste famiglie hanno portatoall’inasprimento di ingiustizie sociali gravi. Dall’altra parte la coppia con distribu-zione di lavoro in ambiti più sicuri tenderà ad ammortizzare all’interno eventualicontraccolpi esterni. Una certa alzata dei numeri dei divorzi e dei secondi matrimoni potrebbe nascon-dere il tentativo di affinare proprio questo risultato: ovvero cercare un partner conmaggiori sicurezze o con reddito più alto del precedente. Dall’altra parte la famiglia con donna casalinga può vivere tensioni altissime o gran-de tranquillità in base al lavoro del marito. Se l’imprenditore-operaio del Nordestpuò subire delle crisi, la moglie di questo può compensare con attività di solidarietà,di interventi caritatevoli, di vicinanza al volontariato come forma di protezione futu-ra. E’ come se si investisse nell’eventualità che possa accadere di cadere in disgra-zia. Oggi l’attività del volontariato, infatti, non viene più giustificata in senso mora-le: sono buoni e fanno del bene e conquisteranno il Paradiso. Oggi il volontariato èdiventata una vera e propria attività di mutuo soccorso, con tanto di bilancio e diprospettive. E’ sempre più un luogo di sicurezza affettiva per il futuro e pertantodeve essere gestita con doppia contabilità… mica ti regalo i miei soldi per niente!La San Vincenzo mestrina, ad esempio, sforna il bilancio 2002 e nel comunicato dipresentazione scrive testualmente: “Cinquecentrotrenta volontari della SanVincenzo (compresi quelli nelle parrocchie) d’età compresa fra i 18 ed i 75 annihanno dedicato lo scorso anno circa 98.000 ore in servizi di utilità sociale.Considerando il solo costo della manodopera contenuto ad 11,36 euro l’ora, il valo-re di queste ore ammonta a 1.113.280 euro.”

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”Vi presentiamo il nostro bilancio del 2002 – scrive nel “Prossimo” il presidentedella San Vincenzo, Stefano Bozzi - non per dirci 'Come siamo bravi!' ma per ras-sicurare i nostri benefattori che la loro fiducia è ben riposta: tutto ciò che ricevia-mo cerchiamo di convertirlo in immediati aiuti concreti. Vogliamo segnalare –aggiunge Bozzi - come anche nella Mestre 'benestante' crescano ogni anno i biso-gni e i bisognosi. A fronte di un apparente calo di un certo tipo di povertà si affac-ciano o si espandono altre realtà di emarginazione. Come vorremmo chiudere unanno con tutte le voci di bilancio in calo! Prima ed al di là dei numeri, però, cisono le persone, gli incontri, migliaia di volti, nuovi o consueti, in cui vorremmoaver cancellato, almeno per un attimo, le rughe scavate dalla solitudine e dall’e-marginazione". Uhmm!Tra il 1993 e il 2001 l’operaio, il piccolo artigiano e il commerciante perdono illavoro: “Nella Mestre benestante crescono i bisognosi”. Nelle province di Belluno,Verona, Venezia, Rovigo e Trento aumentano gli stagionali non solo nell’agricoltu-ra ma anche nel turismo, trasporti e industria alimentare. Il 66% delle casalinghe sidice disposta a lavorare purché si possa riuscire a combinare le esigenze del lavorocon quelle della famiglia. Insomma la struttura logica della famiglia del Nordest è in una posizione più criti-ca del passato quando si è scelto di lavorare tutti, maschi e femmine, a qualsiasi con-dizione, pur di progredire ed emanciparsi. Oggi quella famiglia è in uno stato di maggiore insicurezza e di più bassa protezio-ne - rispetto al recente passato - perché le risorse pubbliche sono già destinate aisalariati dipendenti pubblici. Il condono fiscale, il condono edilizio, il mutuo age-volato non sono altro che interventi tampone come quelli che arrivano dopo l’e-spulsione dal lavoro per il lavoratore dipendente.Il peggio è stato fatto prima. La famiglia complessa ha una capacità di resistenza molto più alta delle altre. La dif-fusione di legami più ravvicinati, anche quotidiani, fisici, stabili può contribuire adammortizzare le crisi e scaricarle attraverso tutte le generazioni presenti, ma, allostesso tempo, scarica lungo tutte le generazioni inquietudine e malessere. Un nonnonon è felice se il nipote non trova o perde il lavoro anche se a lui rimane la pensio-ne sicura. Indubbiamente, nel Nordest, chi è entrato per scristianizzazione e deindustrializza-zione nella zona di insicurezza ha liberato lo stress in un voto che rappresentava larichiesta protettiva: il voto etnocentrico è autoprotettito per antonomasia, almeno insenso simbolico. In questo contesto lo Stato diventa sempre meno influente nelledinamiche reali perché è un agente troppo attivo sul mercato del lavoro. Lo Stato è

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il più sicuro datore di lavoro in quanto, essendo a sua volta dipendente dalla volontàdei lavoratori stessi, è costretto a rispettare gli accordi. Licenzia con lentezza e piuttosto implode!Il contratto nazionale dei dipendenti pubblici è stato rinnovato nell’estate del 2003senza dibattiti cruenti o ore ed ore di sciopero. Per il contratto dei metalmeccanicila trattativa è diventata scontro aperto e i sindacati si sono anche divisi sull’accordo.Ma è anche vero che gli indici di reddito degli impiegati pubblici sono, general-mente, più bassi di quelli dei dipendenti delle industrie.Considerato come agente condizionatore dello sviluppo lo Stato, gli enti pubblici,sono invece diventati soltanto riferimento organizzativo. Lo Stato centralizzato checon le monarchie assolute e poi il fascismo e il comunismo sovietico avevano indot-to molti a pensare che fosse un agente attivo è, in realtà, un’invenzione di brevedurata e di scarsissimo successo. Lo Stato è un mezzo, una grande impresa… ditutti, che dà molto lavoro e ne darà sempre di più a prescindere dall’efficienza.Coscientemente o meno uno Stato tende a spostare le risorse verso le zone più attar-date, per motivi egualitari, ma così facendo apporta capitali o macchinari là dovenon esistono livelli culturali adeguati per utilizzarli e ne riduce l’apporto là dove,invece, potrebbero essere meglio utilizzati. L’equilibrio tra questi due obiettivi:uguaglianza e allocazione di risorse non viene mai ottenuto neppure dagli stati auto-ritari. Uno Stato, però, dà lavoro sicuro anche ai lavoratori meno efficienti.

Le nuove ineguaglianze

Il Nordest, soprattutto Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia ha già imboc-cato la strada dell’alta scolarizzazione generalizzata equilibrata. Nel Veneto, comeabbiamo già visto, c’è ancora un certo rallentamento dovuto ad una maggiorediversificazione dei percorsi nell’ambito dell’istruzione professionale e una for-bice più ampia tra scolarizzazione bassa e laureati. Il lavoro pesante, manuale, staper essere completamente abbandonato, l’impresa dovrà essere più accogliente ea misura d’uomo, ma anche, soprattutto a misura di donna. Una certa flessibilità,infatti, richiesta dagli imprenditori potrebbe essere assicurata proprio dall’impie-go delle donne se queste trovassero motivazioni sufficienti per conciliare tutti gliambiti della vita. Dove sta la differenza della donna impiegata part-time in unnegozio da quella impiegata part-time in un’azienda? Nel luogo di lavoro, nel tipodi lavoro. Se l’azienda rispondesse a questa domanda potrebbe ottenere molta piùflessibilità e molta più disponibilità. La nuova mentalità, produttrice anche di

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31 - Il Terziario (1998)

Percentuale del valore aggiunto al costo dei fattori

più del 65%

tra il 55 e il 65%

tra il 50 e il 55%

fonte: Istituto Tagliacarne

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nuove tecnologie, accelera già la deindustrializzazione posizionando i più alfabe-tizzati in posti di lavoro più sicuri e in ruoli più remunerati. Chiaramente il ritmonon è uguale per tutti: le province più industrializzate si muovono più lentamen-te e per un periodo più lungo conteranno fasce numerose di persone che si collo-cheranno tra il lavoro e il non-lavoro. Si tratta di pensionati, studenti, casalinghe,pseudo-disoccupati, sostituti, che permetteranno di sperimentare ipotesi di transi-to possibili dal secondario al terziario. Non sono e non saranno le tecnologie a inne-scare questi processi, come abbiamo visto anche per il passato, ma la contro-rivoluzio-ne industriale in atto. I sindacati non difenderanno più soltanto gli operai, ma i dipendenti in genere. IlSindacato sarà un luogo di compensazione generale perché al proprio interno potràmediare, in modo non istituzionale, il rapporto tra associato-dipendente pubblico-dipen-dente privato-cittadino. La tensione interna potrebbe innescare meccanismi di scissioni,ma il movimento complessivo non cambierà. Se è per questo conviene tenere i sindaca-ti divisi più che pensare all’unione. In una stessa persona, infatti, negli attuali sindacatiitaliani può racchiudersi troppa varietà di ruolo. Più sindacati gestiranno questa varietà-in-uno facendola apparire diversità o si specializzerano, come in parte già lo sono. Il Sindacato e l’associazionismo sono una strategia di sicurezza irrinunciabile per l’indi-viduo che deve stare nel mercato del lavoro. Il Nordest dimostra un processo lento nelladeindustrializzazione, ma alcune province hanno già accentuato il passaggio per gli anniprossimi. Venezia , ad esempio, sta puntando, nuovamente, su poli artistici e attività dipunta: la Telecom a San Salvador ha aperto un polo avanzato di nuove tecnologie e aSant’Elena è attivo l’incubatore comunale “Progetto Venezia Distretto dell’economiaimmateriale”; ovvero formazione e ricerca, patrimonio culturale, nanotech, copyright esistemi assicurativi e finanziari. La Biennale ha messo insieme Nicola Tognana, AndreaIlly, Giannola Nonino, Giorgio Poulides, Franz Maier, Giuliano Segre, Francesco DeDomenico e Gilberto Benetton per un club di “Amici” che vorranno sfruttare le costan-ti impennate di visitatori alle mostre d’arte. Il battesimo degli “Amici della Biennale” èstato festeggiato con una cena blindata all’hotel Monaco e una madrina d’eccezione: ilcommissario europeo Viviane Reding. AVenezia è sempre stato così, no?

Piano piano, forte forte

L’alta dinamica culturale può permettere una equilibratura tra la dinamica econo-mica e sociale e questo, finalmente, potrebbe portare ad una stabilità delle bilancecommerciali con mercati interni dinamici.

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Se la famiglia stirpe ha dimostrato una certa resistenza all’industrializzazione oggidimostra una certa resistenza alla terziarizzazione. Se ci sono investimenti pubblici,il privato si muove con più sicurezza, ma questo rallenta l’innovazione. Per chi nonvolesse crederci basti ricordare che dal 1839 al 1866 il Veneto è il più lento di tuttia costruire ferrovie: 11 chilometri all’anno contro i 33 del Piemonte e i 16 dellaLombardia. Nel 1955 l’editore Einaudi pubblica una monumentale panoramicasulle regioni italiane di Ferdinando Milone: a pagina 291 il capitolo 16 è intitolato:“Cause del debole grado d’industrialità delle tre Venezie”. Oggi il titolo potrebbeessere: “Cause del debole grado di terziarizzazione del Nordest”! Sono sicuro che20-30 anni si scriveranno libri sul modello avanzato di terziario nel Nordest!Dal censimento del 1951 risulta, infatti, che Rovigo rimaneva di gran lunga la provinciapiù agricola del Veneto (Veneto 43%, Rovigo 60%). Rovigo, poi, sarà penalizzata dallealluvioni e agli inizi degli anni Sessanta sarà l’unica provincia che avrà perso ancorapopolazione. Treviso era ancora prevalentemente agricola (50%), ma le industrie passa-vano ad oltre il 30%, aumentando di 12 punti rispetto al 1936. Ametà degli anni Trentasoltanto Vicenza, Trieste e Bolzano avevano una percentuale di popolazione attivaimpiegata nell’agricoltura al di sotto del 50%. Padova e Verona devono aspettare, appun-to, il secondo dopoguerra per arrivare allo stesso risultato. Il crollo percentuale degliaddetti al primario a Belluno, più che a un sviluppo dell’attività industriale, era ancoralegato agli spostamenti della popolazione attiva e allo sviluppo di settori tradizional-mente poveri. Le “aggressioni” esterne, poi, porteranno al trauma del Vajont dell’iniziodegli anni Sessanta che per decenni ha inciso sulle prospettive di quella provincia.Doveva essere “una Tennessee Valley”, scriveva il Corriere della Sera di allora, e inve-ce “investimenti di miliardi non hanno rallentato la depressione e la decadenza.”18

18. Scrive Alberto Cavallari sul Corriere della Sera: “Questo è un tema serio che i cattolici dell’Alto Venetodevono affrontare: l’agricoltura come industria. Per anni essi hanno difeso il mondo contadino in sfacelo, ebisogna rendergliene atto. Ma s’è trattato d’una difesa conservatrice, per evitare che il contadino andasseverso la fabbrica, concepita come diavolo, come elemento di scristianizzazione, e verso la tecnica, conce-pita come cultura avversa al mondo cattolico delle campagne. Loro è invece il compito di trasformare lacampagna per non perdere quel tesoro che essa può significare come industria-base. Il Veneto non può ridur-si ad una sola esplosione di microindustrie. Dietro l’industrializzazione, va mantenuta anche l’industria difondo della terra. Ed è consolante vedere che certi cattolici l’hanno capito sulla scia del sindacalismo catto-lico rurale francese. Scendendo da Belluno, nelle campagne di Treviso, s’incontrano fenomeni nuovi, posi-tivi, proprio nel Veneto più cattolico. Sono le scuole fondate intorno a Castelfranco dal democristianoDomenico Sartor per l’educazione tecnica dei contadini e le cooperative C.E.C.A.T. che hanno un parcomacchine d’un valore che supera i due miliardi. La cooperativa concepita come fabbrica, il contadino edu-cato per essere un tecnico di questa fabbrica agricola, sono i punti fermi del movimento rinnovatore. Così,la campagna non vive più di sola parrocchia o di sola famiglia, ma tenta d’avere i suoi operai, per non scri-stianizzarsi ed anche per non fallire.”

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Vicenza e Venezia, nel ’51, avevano perso relativamente poco di forza lavoro agri-cola essendo il settore di minor peso già prima. Ciò significa che se quantitativamente non esiste più la famiglia stirpe e complessa delpassato rurale esistono, comunque, trasmissioni di valori che si rifanno alla famigliastirpe e che vengono veicolati dalla società nel suo complesso. I figli cadetti che hannoricevuto una compensazione di eredità avviano nuove attività imprenditoriali, o pro-fessionali, non più legate alle vecchie economie. I figli cadetti, non ricompensati, inve-ce alimentano la manodopera per le grandi aziende. E gli ereditieri evolvono nelle tra-dizionali attività della famiglia d’origine.Dunque il Nordest deve ancora completare la deindustrializzazione e in futuro saràancora più pesante, ma contemporaneamente, crescerà la terziarizzazione. Oggi lepercentuali degli addetti esclusivamente della Pubblica amministrazione sugli attivivaria da un 24,9% nel triestino a 9,9% nel trevigiano: le province di Vicenza,Treviso, Verona e Padova sono ancora intorno al 10%. Tutte le altre hanno supera-to il 13/14% mentre Bolzano è all’8,8% e Gorizia al 17,8%. Le vecchie industrie hanno più operai e meno impiegati. Le nuove hanno più impie-gati e meno operai. Si affievolisce il mito dell’imprenditore- operaio - categoria cheha avuto ed ha una forte coscienza di classe - e con essa anche il dualismo ope-raio/borghese e si afferma quello tra lavoro dipendente/autonomo, tra lavoro sicu-ro/insicuro, stabile/instabile. Tutto questo si racchiude nella dicotomia protetto/nonprotetto. Le classi medie, salariate, diventano più numerose degli operai e soprattutto piùnumerose degli imprenditori-operai. Anche le donne che lavorano sono quelle indi-pendenti che hanno un’età tra i 40 e 49 anni e un livello di istruzione medio-basso.Sono impegnate mediamente per 40-45 ore la settimana con la massima flessibilità.Le loro figlie stanno scegliendo altre modalità. Chi ha 40-49 anni oggi, ed è arti-giana o artigiano, ha cominciato ad avere paura alla fine degli anni Settanta-inizianni Ottanta, alla prima crisi alla quale ha assistito, ovvero quando è cominciata laflessione della Democrazia cristiana e l’ascesa della Lega. Il prossimo decennio sarà decisivo per il destino di grandi categorie di lavoratori delNordest e i mutamenti politici che si vedranno saranno consistenti. Il crollo delleideologie ha fatto riemergere il temperamento locale ma la strutturazione di un’e-conomia va comunque relazionata a quella nazionale e a quella internazionale e inquesto contesto le nozioni di disciplina/indisciplina e di opportunità/tempestivitàsaranno fondamentali. Per ora l’etnocentrismo ha funzionato da architrave per reggere la paura della disin-tegrazione e la globalizzazione consumistica ha attenuato la fase di passaggio.

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L’Europa economica si fa per questo motivo: per evitare la disintegrazione e percreare un obiettivo comune che giustifichi il sacrificio. L’illusione di un grande mer-cato interno – creato artificialmente – con la realtà di una moneta comune che haazzoppato i più deboli.Ma la stagnazione non può essere nascosta a lungo: piccoli imprenditori, operi divecchie industrie, commercianti, artigiani, artigiani-immigrati, servizi alle personeirregolari, avranno un futuro difficile e stanno già avendo un brutto momento pre-sente. Il sentimento di inutilità che può prendere, non più compensato da religione,ideologia o dal nazionalismo deve cercare altre soluzioni se il localismo fallisce el’europeismo diventa sadismo. Per le classi medie salariate e avanzate i problemisono meno pressanti ma se tutti gli altri sono minacciati da disoccupazione e perdi-ta di potere economico anche questi, che si sentono più al sicuro, diverranno deiminacciati... se non altro dai primi. Aumenta la disuguaglianza (più disoccupazione, diverse opportunità) e aumentanole ore di sciopero. Aumenta l’insicurezza e aumentano i partiti più autoritari. Gliinsegnanti, classe intellettuale che agganciando gli operai proponevano la rivolu-zione da sinistra, ora si sganciano dalla dinamica sociale per arroccarsi nella dipen-denza pubblica più sicura. Gli operai sposano, allora, la tesi del mercato – che alme-no dà lavoro, se non dà la dittatura del proletariato – ma il mercato, nel frattempo,si terziarizza. A Nordest resta l’imprenditore-operaio che dispone di capitali ma nonpiù di prospettive sui prodotti e di figli, neanche più tanti. Si producono, allora, piùvenditori per sondare nuovi mercati: la new-economy funziona ma per poco e fagirare solo il capitale che si era accumulato (e poi lo brucia!) mentre gli informaticisono ancora “in costruzione”. Il venditore elettronico, l’e-commerce, non è ancoraperfettamente funzionante ed è in stallo a causa della insicurezza delle transazioni.L’unica vera prospettiva nuova è aumentare gli anni di istruzione e fare come hannofatto i nonni e i bisnonni: prima sapere e poi saper-fare. La percentuale alta di uni-versitari che, negli ultimi anni, ha scelto di studiare “Formazione” mi pare indicati-va di questo passaggio. Non solo formazione, ma formatori professionali per conti-nuare a fare formazione. Se un mercato di questo tipo viene protetto, si ottiene unanuova strutturazione privata durante l’ammortizzazione delle insicurezza attraversoil pubblico e la formazione di una nuova classe media tra 15-20 anni. Se, invece, lafalsa coscienza che pervade la classe intellettuale, prevalentemente gli insegnanti,va a maturazione prima grazie alla mancanza di scolari (oggi nel Nordest siamo amedie intorno ai 12 allievi per insegnante, la media Ocse è di 17,7) e al rallenta-mento dell’istruzione generale pubblica per gli effetti della stagnazione, allorapotrebbe esserci una saldatura con il gruppo degli “insicuri” e quindi turbolenze ma

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anche l’accelerazione delle riforme strutturali. Il fatto, però, che in Italia l’insegnante è soprattutto donna potrebbe comportaredelle complicazioni in quanto la persistenza della falsa coscienza degli insegnantipotrebbe anche affiorare ma essere ammortizzata già in famiglia. Se il marito perdeil lavoro la moglie insegnante può essere indotta a resistere. Quindi potrebbe ancheesserci una saldatura “di classe” ma privata.19

Che l’intellettuale viva un profondo stato di falsa coscienza lo si vede chiaramente.Emmanuel Todd fa l’esempio francese del passaggio di giornalisti da una giornaleall’altro senza più nessuna limitazione. Un tempo nessun direttore de Le Figaro,giornale di destra, poteva neppure pensare di andare a dirigere Le NouvelObservateur di sinistra. Oggi è possibile. E lo è anche in Italia: fino a qualche annofa i direttori de L’Unità erano uomini di partito o giornalisti comunisti. Oggi L’Unitàè diretta da Furio Colombo. Non solo ma fino a qualche decennio fa un dirigente diun partito comunista non poteva permettersi di comprarsi uno yatch, neppure incomproprietà, o rilasciare interviste sui colori dei propri calzini e delle proprie cra-vatte; oggi lo fanno.Per ora è in corso la gestione delle asimmetrie tra aspettative generate dall’istruzione ecompetenze richieste, ma la problematica delle asimmetrie riguarda, in realtà, alcuneprofessionalità particolari. Inoltre le asimmetrie del mercato del lavoro nordestino riguar-dano soprattutto le donne. Il problema delle professionalità introvabili è un pò una vulgata perché, in realtà, dai datidi Excelsior-Unioncamere risulta che le figure professionali più difficili da reperire nel2002 sono gli operai addetti all’edilizia, le hostess e gli assistenti a terra del trasportoaereo, gli addetti ai carburanti, gli idraulici, i conduttori di macchine a terra, i gioiellieri,gli orafi, i disegnatori artistici, i riparatori di strumenti ottici i progettisti e i fototecnici.Quindi professioni che vanno apprese e che non sono rintracciabili sul mercato come, adesempio, i rifinitori nell’edilizia o gli idraulici. Ma poi ci sono professioni che presup-

19. Da un’indagine Censis del 2000 risulta che la maggior parte dei docenti della scuola primaria esecondaria (oltre il 70%) ritiene che il prestigio e la considerazione sociale della professione docentesiano diminuiti nel corso degli ultimi dieci anni. Inoltre il corpo docente più del complesso della popo-lazione tra i 15 ed i 64 anni di età che la scuola stia migliorando. Tra i docenti tale convinzione vieneespressa dal 40% degli intervistati mentre sul totale della popolazione non supera il 24%. Infine men-tre i docenti rifiutano il principio del merito come criterio di sviluppo della carriera, nel corpo socialeè ampiamente diffusa l’opinione che per migliorare il sistema scolastico sia necessario arrivare ad unadifferenziazione degli stipendi sulla base di criteri di merito. Il 61,2% della popolazione di oltre 18anni si esprime infatti in tal senso, mentre il rimanente 38,8% ritiene che bisogna aumentare gli sti-pendi in base alla anzianità di servizio.

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pongono un gusto, una mentalità, una padronanza della lingua, una particolare affidabi-lità e una identità per la creazione di quel “gusto personale” di cui parlava il vecchioGaetano Marzotto alla Commissione ministeriale. Quelle professioni non sono imme-diatamente copribili da un flusso di immigrati extracomunitari e neppure da giova-ni autoctoni di bassa scolarizzazione: quindi mancheranno… sempre. Anzi, non ci sono proprio più.E fortunatamente sappiamo che è una vulgata anche l’idea che i giovani del Nordestabbandonano presto la scuola. Non è vero: uno studio sui giovani 15-18 del bellu-nese e del trevigiano ha dimostrato che la metà sono, effettivamente, transitati nelmercato del lavoro ma per periodi estivi, in modo occasionale o stagionale. Nonsolo, ma a guardare bene scopriamo che il Nordest, a livello nazionale, si incaricadi istruire la maggior parte degli extracomunitari che arrivano nel nostro Paese. Sela sinistra e una parte della destra è diventata riferimento dei “sicuri” tutto l’altrospazio politico diventa terreno fertile per chi si occupera degli “insicuri”. Nelle elezioni del 2001 è emersa una netta divisione sociale: hanno votato per il cen-tro-sinistra i protetti dal sistema statale (grandi impresa, apparati pubblici, ceto poli-ticizzato, intellettuali di editoria, media, università, i non-competitori) e hanno vota-to centro-destra o Lega Nord coloro che non sono protetti (nuovi ricchi, professio-nisti, piccola e media impresa, commercianti, nuovi poveri, lavoratori giovani osommersi ecc.).Probabilmente ancora una volta il Nordest dovrà fare a modo suo. Se la fine del cat-tolicesimo è stata la fine della solidarietà tra agricoltori e borghesia-rendita. Se lafine del comunismo è originata dalla rottura tra insegnanti e operai. La fine dell’at-tuale assetto politico sarà la rottura tra imprenditore-operaio “sicuri-insicuri” e cate-gorie divenute “insicure” che avranno, nel frattempo, generato un nuovo modelloeconomico e quindi una nuova rappresentanza.

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Quando la badante era ebrea

Alla fine del Seicento quasi tutti gli ebrei d’Italia sono ormai rinchiusi nei ghetti. Ilpiù antico è quello di Venezia. I portoni del ghetto si aprono all’alba, al suono della“Marangona”, la campana di San Marco, e si chiudono al tramonto, sorvegliatidurante la notte, da guardiani cristiani pagati dalla Comunità ebraica. Le truppenapoleoniche scardineranno i portoni, ma già Giuseppe II, l’imperatore austriaco,influenzato proprio dagli illuministi francesi, aveva emanato il famoso Editto diTolleranza (1781-1784), che esonerava gli ebrei austriaci dall’obbligo di portare larotella gialla e di vivere segregati nei ghetti. All’epoca Trieste, Gorizia, Gradisca e Mantova erano dominazione austriaca. ATrieste la comunità ebraica avvia il porto e viene riconosciuta ufficialmente nel1746 dall’imperatrice Maria Teresa, madre di Giuseppe II. Il padre di Maria Teresa,l’imperatore Carlo VI, aveva fondato nel 1719 ad Anversa la Compagnia delleIndie, che poi dovette cedere all’Inghilterra; pensò allora di fare di Trieste il portodell’Austria e un grande emporio per i commerci con l’Oriente, che potesse fareconcorrenza ai porti dell’Europa settentrionale; e concesse alla piccola città adriati-ca il porto franco. Già dal 1753 gli ebrei triestini possono abitare anche fuori del ghetto (il nuovo ghet-to è quello di via Beccherie occupato dopo l’abbandono del vecchio ghetto di CorteTrauner) e così molti ebrei affluiscono a Trieste verso l’emancipazione dallaRepubblica Veneta (San Daniele del Friuli) dopo il 1777. Il porto di Trieste, dunque,prima che un concorrente commerciale e industriale di quello di Venezia diventa ilmoderno simbolo della tolleranza. Se nei secoli precedenti, la persecuzione religio-sa, aveva spinto i toscani proprio nel veneziano ora erano gli ebrei veneziani cheandavano a sviluppare Trieste.Il 3 giugno 1796 le truppe napoleoniche occupano Verona; le porte del ghetto sono

Capitolo 6

Dall’ebreo all’extracomunitario

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divelte. I Francesi, avanzando, occupano ancora Padova e Rovigo. Il 16 maggio1797 è la volta di Venezia. Conquista facile per i Francesi, perché la gloriosaRepubblica si arrende. L’ultimo Doge disse: "Stanote no semo sicuri gnanca nelnostro leto". A far parte del nuovo Consiglio comunale entrano tre ebrei. Nel ghetto veneziano piantano l’Albero della libertà; le porte erano già state levatedai cardini e bruciate: d’ora in poi per la strada circolerà anche il “cittadino rabbi-no” e le gondole smetteranno di fare la ronda. Fino ad allora nessun ebreo poteva abitare fuori del ghetto, né uscire dalla cintasenza il "segno giudaico" (rotella gialla o bianca e rossa, o cappello a pari di zuc-chero giallo, o con nastri gialli; per le donne: velo giallo che copre a guisa di man-telletto testa e spalle; come accadeva anche per le prostitute). Poteva andare in viag-gio solo con un permesso speciale, e solo la Repubblica Veneta permetteva agliebrei di passaggio di girare tre giorni senza il segno giudaico.La società del ghetto ha quasi ovunque, in Italia, la stessa fisionomia: banchieri, cen-ciaioli e sussidiati. Alcune Comunità ebraiche del tempo sono organizzate in modoesemplare; molti ghetti diventano centro di studi, ai quali gli ebrei si dedicano lamattina presto e la sera tardi, prima e dopo la giornata di lavoro, nelle jeshivòth peradulti. Al tempo dei ghetti gli ebrei italiani eccellono fra gli ebrei d’Europa per glistudi ebraici: Livorno viene chiamata "la piccola Gerusalemme" (titolo dato inseguito anche a Gorizia) e anche lì, gli ebrei costruiscono il porto; a Ferrara vive eopera Isacco Lampronti, famoso medico e talmudista, autore dell’opera PáchadItzchak; a Padova il cabbalista Moshè Chajim Luzzatto, che fa anche parte delTribunale rabbinico di quella città. La condotta a Venezia veniva rinnovata ogni dieci anni; e nel 1777, allo scaderedella condotta, questa viene rinnovata a dure condizioni: agli ebrei è permesso diesercitare il solo mestiere di cenciaioli (la cosiddetta strazzaria). In seguito a talerestrizione, gli ebrei di Padova non possono più dedicarsi all’industria degli argen-tieri. Gli ebrei non possono risiedere dove non esiste un ghetto. Naturalmente, nes-sun nuovo ghetto veniva istituito e le comunità minori, come quella di San Danieledel Friuli, disperse. Da questa Comunità molti ebrei passano allora entro il vicinoterritorio austriaco, ingrossando le già esistenti Comunità di Trieste, Gorizia eGradisca. Degli appartenenti a queste tre Comunità (Johel Pinckerle di Gorizia,Mosè e Giacobbe Marpurger di Gradisca e Ventura Parente di Trieste) avevano otte-nuto dall’imperatore Ferdinando II, quale riconoscimento dell’aiuto da loro presta-to nella guerra contro i Veneziani, tutti i privilegi che venivano concessi ai Hof-juden dell’Impero (diritto di viaggiare per tutti i territori dell’Impero senza "segnogiudaico" , divieto di essere espulsi e poi richiamati con l’obbligo di sborsare forti

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somme, diritto di abitare a Vienna, di fare indisturbati i loro commerci nelle lorocase o botteghe). Questo decreto fu inviato a tutti i principi secolari e religiosi. Lapergamena originale, in data: Vienna, 12 marzo 1624, munita del sigillo imperiale,si trova nell’archivio della Consulta Israelitica di Gorizia. In tutte le Comunità italiane si notano, dall’Ottocento, sintomi di decadenza; “tresecoli di vita nel ghetto hanno prodotto anche decadenza fisica: l’ebreo è basso distatura, nevrotico, più superstizioso e più povero.” E’ scritto proprio così nel volu-me pubblicato nel 1961 dall’Histadruth Hamorìm (Associazione Insegnanti Ebreid’Italia) e che raccoglieva gli atti di un seminario organizzato nel 1959 a Vigo diCadore. Uno dei campi professionali più redditizio per gli ebrei sarà quello delle assicura-zioni (le Assicurazioni Generali di Trieste, società che ha filiali in tutto il mondo,sono state fondate da tre ebrei). Nel Veneto vi sono famiglie ebree che portano tito-li nobiliari e un blasone: li hanno conseguiti per lo più all’epoca napoleonica, e sonostati riconosciuti dall’Austria. Gli ebrei tutti prendono parte alla vita politica, mili-tando in tutti i partiti e particolarmente in quelli di sinistra. Il veneziano LuigiLuzzatti (1841-1927), professore di diritto costituzionale, fu Presidente delConsiglio dopo essere stato Ministro delle Finanze. Il triestino Salvatore Barzilai(1860-1939) fu soprannominato "il deputato di Trieste al Parlamento italiano". Nel1861 al Parlamento italiano c’erano 6 deputati ebrei; dieci anni dopo erano 11, nel1874 se ne contavano 15. I ghetti erano stati, definitivamente, chiusi. Anche nelladifferenziazione dei ghetti gli ebrei hanno sempre coltivato gli studi: nel 1861 inItalia il 64,5 % è analfabeta; fra gli ebrei erano solo il 5,8 %. Non dimentichiamo, però, neppure quanto ci racconta Michele Luzzati (nel sitointernet dell’associazione Menorah) sulle giovani ebree, convertite, cacciate dallaBaviera cattolica e ospitate all’asilo delle fanciulle israelite di Padova, nel 1853,dove lo statuto fissava lo scopo dell’attività con queste parole: “l’obiettivo è quellodi allevare buone madri di famiglia fra le fanciulle, ebree, prive di beni e fortuna,avvezzarle per tempo al lavoro e farle maestre, istitutrici e cameriere.” Scopo fon-damentale di questo pio istituto era quello di formare personale di servizio: le badan-ti di allora, insomma.

Dentro e fuori dal ghetto

In nessun paese d’Europa il contributo dato dagli ebrei alla cultura nazionale è cosìgrande come in Italia; è il Nordest non è da meno. Ricordiamo il patriota triestino

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Giuseppe Revere (1812-1889), che partecipò alle lotte risorgimentali a Milano,Venezia e Roma, fu giornalista, poeta e scrittore. Morto a Roma, è ora sepolto nelcimitero ebraico di Trieste. Il fiorentino Enrico Castelnuovo (1839-1915), vissutoquasi sempre a Venezia, fu apprezzato romanziere: il suo capolavoro, "I Moncalvo”,è un romanzo psicologico di ambiente ebraico italiano. Giglio Padovan (1836-1896), triestino, fu poeta vernacolo e traduttore di Shakespeare. Fra i cultori di scien-ze letterarie il goriziano Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), glottologo illustre, cuisi deve la pubblicazione dell’"Archivio glottologico italiano". Fu proprio Ascoli,seppure con molte polemiche, a proporre il nome di Venezia Giulia alla regione,ancora irredenta, in cui nacque. Altri irredenti famosi furono Adolfo Mussafia(18341905), dalmata, per quasi mezzo secolo professore all’Università di Viennache al Parlamento austriaco difese sempre i diritti delle minoranze italianedell’Austria e il triestino Salomone Morpurgo (1859-1942), bibliotecario dellaNazionale di Firenze. E poi ancora il triestino Samuel David Luzzatto (Shaddal,1800-1865) direttore del Collegio Rabbinico di Padova (fondato nel 1829), esegetae traduttore della Bibbia, un pioniere della moderna scienza del giudaismo.Interessante anche il suo Epistolario, dove si trova, tra l’altro, una lettera cheShaddal indirizzò ad Alessandro Manzoni sul processo per omicidio rituale diTrento, e che rimase senza risposta. I goriziani Isacco Samuele Reggio ed EudeLolli. Cugina di Shaddal è la poetessa triestina Rachele Morpurgo. Al CollegioRabbinico di Firenze (trasferito da Roma per opera di Margulies) insegnò H.P.Chajes, rabbino a Trieste e Vienna, animatore del movimento sionistico. A Trieste i matrimoni misti sono frequenti. Cecil Roth, ad un certo punto scriverà:"E’ triste incontrare uomini che portano illustri nomi ebraici e sono completamentedigiuni di cultura ebraica". L’assimilazione, ormai, era cosa fatta.Gli ebrei triestini eccellono non solo nel campo delle lettere e delle scienze, ma sidistinguono anche come patrioti (la scuola ebraica di Trieste è la prima scuola ita-liana della città); e questo loro atteggiamento si accentua quando entrato il Veneto afar parte dell’Italia, rimasta Trieste isolata e senza un’università italiana e gli ebreidi Trieste divisi dagli ebrei del Regno, la lotta irredentistica entra nella sua faseepica. L’irredentismo triestino è l’ultima fase del Risorgimento e ne ha tutte le carat-teristiche; e per le stesse ragioni per cui gli ebrei italiani hanno preso parte alle lotterisorgimentali. Quella di Trieste è per popolazione la terza d’Italia. Dopo la parentesi della guerra,nel 1920, su 350 deputati, 19 sono ebrei.Dunque l’altro, in una regione cattolica segnata dalla Controriforma, viene, storica-mente, ghettizzato. Questo è il comportamento della famiglia stirpe incompleta del

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Nordest. L’ebreo veneziano deve portare il segno della differenza formale, anche se,sostanzialmente, le misure restrittive sono meno repressive che altrove. Già ilSenato di Venezia risponde a Carlo V che chiedeva l’espatrio dei protestanti:“Quanto alli luterani et eretici el stato e dominio nostro è libero et non podemodevedàrli.” Nel triestino e goriziano le idee illuministe di uguaglianza arrivano anche prima e sisedimentano. Il diverso è assimilato, ma resta distinto. Nel Veneto, Venezia Tridentina e Venezia Giulia-Zara, nel 1931 la distribuzionedegli ebrei italiani era rispettivamente di 6,5%, 2,7% e 14,4%. Sommati tra lorosono i più numerosi di tutta Italia; un pò come gli immigrati di oggi1.La percentuale di popolazione ebraica nelle tre regioni varia da 70,3 ebrei ogni 10.000abitanti in Venezia Giulia e Zara a 19,6 nella Venezia Tridentina e 7,5 in Veneto. Gliebrei, prima delle leggi razziali, sono distribuiti soprattutto a Trieste, Venezia, Padova,Verona e Bolzano. Poco o nulla era cambiato dall’inizio del secolo.Agli inizi degli anni Trenta gli ebrei, ogni 10.000 abitanti, sono 3,75 a Bolzano, 0,36a Trento, 0 a Belluno, 1,66 a Padova, 0,27 a Rovigo, 0,77 a Treviso, 5,71 a Venezia,1,78 a Verona e 0 a Vicenza. A Fiume vi erano 13,5 ebrei ogni 10.000 abitanti, aGorizia 3,6, a Pola 0,17, a Trieste 9.91, a Udine 0,47 e a Zara 0,912.Indubbiamente la presenza degli ebrei nel Nordest appare tollerata sia dalla famigliastirpe più autoritaria che da quella più egualitaria. Dunque, se è vero che qui c’è stata la sagrestia d’Italia, è anche vero che nella sagre-stia hanno trovato una certa accoglienza anche coloro che si riferivano ad un credodiverso da quello cattolico. Certamente la protezione-ghettizzazione dellaRepubblica di Venezia è all’origine di questa tolleranza, ma la Repubblica diVenezia, a sua volta, è l’origine del tipo di famiglia tipica del Nordest. Motivo percui qui troveremo piuttosto un’ansia di differenziazione, ma non l’intolleranza ol’aggressione che conduce allo sterminio.Il diverso il Nordest lo integra nel lavoro, nella relazione culturale o sociale, ed èeventualmente su questi stessi ambiti che fa leva per differenziarlo. Le differenzefondamentali, di religione o di razza, vengono diminuite.Ritengo il massimo grado di tolleranza quello in cui il diverso non viene percepitocome tale. L’universalismo vuole gli uomini tutti uguali e quindi il colore della pelle,

1. Anche la discriminazione sessuale assume forme simili, in un’indagine del 2002 di "Goletta Gay"Venezia e Trieste sono le città del Nordest che meglio di altre assommano capacità di tolleranza eaccoglimento.

2. Fonte: http://www.palazzochigi.it/Presidenza/DICA/beni_ebraici/PAG301_320.pdf

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32 - Presenza ebraica negli anni Trenta

Residenti ogni 10.000 abitanti

più di un ebreo

fino ad un ebreo

nessuna presenza

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o la religione, o il sesso sono indifferenti per lo status di un individuo. Se si è vera-mente universalisti non si possono vedere le differenze reali o inventate che siano.A gradi inferiori di questo comportamento troviamo la differenziazione - quandononostante la tolleranza una qualche differenza viene comunque marcata - o trovia-mo il multiculturalismo quando si ottiene lo stesso effetto differenziante attraversol’alibi del rispetto delle diversità. Se l’etnocentrista differenzia per marcare la differenza, il multiculturalista differen-zia per rispettare la differenza. Il risultato è lo stesso. Nel Nordest, a mio avviso, que-sto della differenziazione è l’atteggiamento più diffuso e caratteristico, il primo delladestra e della Lega Nord, e il secondo delle sinistre e delle organizzazioni di acco-glienza sia cattoliche che laiche. Minoritari sono i comportamenti razzisti o di uni-versalismo indifferente.Se il ghetto è l’invenzione del differenzialismo nordestino nel Cinquecento, le caseper gli extracomunitari sono i ghetti degli anni Novanta/Duemila.Nell’ottobre 2002 gli industriali trevigiani organizzano una gita per i sindaci aStrasburgo. Il quotidiano nazionale La Repubblica scrive: “Programma: breve salu-to delle autorità locali e, soprattutto, visita guidata al centro d'accoglienza per immi-grati della città francese, esempio europeo di integrazione degli extracomunitari emulticulturalismo.” Hanno portato dei trevigiani in Francia!La scolaresca è composta da 79 sindaci (su 95) della provincia, accompagnati pertre giorni "alla scoperta delle best practices europee sui temi dell'immigrazione,della gestione del territorio e dello sviluppo eco-compatibile". Quota di partecipa-zione: nessuna, è tutto gratis. Il sindaco leghista, Giancarlo Gentilini, che propone“vagoni piombati” per gli extracomunitari raccogliendo, quasi sempre, centinaia dicolonne di giornali di commenti e indignazioni con tanto di foto, non accetta di par-tecipare al tour gratuito. Ne ha dette troppe: "Io difendo la razza Piave", vuole pren-dere le "impronte del naso e dei piedi" oppure: "Murerei vivi i frati che portano damangiare agli extracomunitari". Non ci va Gentilini ma ci manda ugualmente duerappresentanti del comune. “Non c'è niente di male - dirà - a vedere che fanno glialtri, anche se una cosa deve essere chiara: gli industriali devono assumersi le lororesponsabilità. Se vogliono gli extracomunitari, poi devono trovargli una casa e nonscaricare tutto sugli enti locali".Gli amministratori di sinistra, poi, non vedono l’ora di avere gli industriali dalla loroparte e contro Gentilini e si imbarcano quasi tutti. E anche quelli di centrodestrastanno al gioco. "Dobbiamo avvicinarci in fretta alle soluzioni europee. Le aziendechiedono manodopera, e qui manodopera vuol dire immigrazione", racconta

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33 - Stranieri (1998)

Presenza ogni 10.000 abitanti

da 300 a 500

da 100 a 300

da 0 a 100

fonte: Ministero Interni

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Floriano Zambon, sindaco polista di Conegliano. "Una volta fissate le regole con-tro la clandestinità, non bisogna chiudersi troppo. Anche perché, se riusciamo aimpostare politiche serie di mediazione culturale e integrazione, le imprese prospe-rano. E paure e resistenze si superano senza difficoltà".”Uno studio condotto dall’ORIV – l’Osservatorio sulle integrazioni nelle città -avanza una prima analisi osservando la distribuzione della popolazione veneta estraniera e le linee di tendenza demografica in relazione alla convivenza sul territo-rio. Cerca d’individuare se si va enucleando un modello di segregazione spazialeosservando la distribuzione degli abitanti secondo due parametri: la presenza neicentri abitati (intesi come Sistemi Lavorativi Locali ovvero distretti economici-abi-tativi) suddivisi in piccoli, medi e grandi e la ripartizione fra centro e periferia, inseno ai medesimi.Il confronto sul primo parametro rivela che gli immigrati, rispetto alla popolazionetotale, hanno una concentrazione:- simile agli italiani nei centri di piccola dimensione- inferiore nei sistemi medi (dai 26.000 ai 105.000 abitanti), eccetto Arzignano (Vi)- superiore nei sistemi grandi (oltre i 105.000 abitanti).Circa la distribuzione fra centro e periferia, l’analisi è più complessa perché i com-portamenti abitativi degli immigrati sono condizionati da una serie di fattori che gliitaliani non hanno.Tendenzialmente gli autoctoni tendono a fuggire dai centri maggiori per risiederenelle aree periferiche, contribuendo comunque a favorire la loro crescita demogra-fica. La preferenza per risiedere in centro si mantiene nei piccoli insediamenti, seb-bene la tendenza maggiore sia fuggire verso gli agglomerati di media dimensione.Gli immigrati s’insediano maggiormente sia nelle periferie dei piccoli centri che neicentri delle aree metropolitane. In altre parole la tendenza demografica fra i duegruppi di popolazione è divergente nel rapporto centro-periferia e per l’insediamen-to fra piccoli e medi sistemi lavorativi locali.” 3

Insomma si formano i ghetti automaticamente nonostante le gite a Strasburgo.Gino Zanni, direttore della Cgil del Veneto, spiegherà che le strategie degli impren-ditori per tentare di costruire o ristrutturare case di proprietà pubblica in concessio-ne da destinare agli extracomunitari – trattenendo già in busta paga anche l’affitto –è un tentativo di abbassare il livello dei diritti dell’individuo. “Si finisce per esserelegati ad un imprenditore – dice – non solo per il lavoro, ma anche per la casa. Una

3. Il sistema veneto tra globalizzazione e cooperazione internazionale: Lvia – Acli – Centro Toniolo -CeSPI, versione on line.

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debolezza del lavoratore che potrebbe essere pagata con la perdita di diritti fonda-mentali.” Traduzione: la capacità di ricatto del datore di lavoro sul lavoratore diven-terebbe insostenibile e ne potrebbe risentire anche la sindacalizzazione.Comunque le distribuzioni di abitazioni popolari sono un dato sensibile dei rappor-ti di uguaglianza più che un indicatore economico. Se analizziamo soltanto il Venetonotiamo che gli immigrati del rodigino (e del veneziano), infatti, sono trattati conpiù uguaglianza di altri come è logico attendersi dalla modulazione del sistemafamigliare. Nel rodigino le domande di case popolari di nordestini che sono stateammesse con assegnazione sono il 6,1%, nel 1997, mentre per gli extracomunitarile assegnazioni sono state l’8,5%. In tutte le altre province i dati sono invertiti: gliautoctoni in percentuale ricevono, sempre, più soddisfazione. A Venezia e Padovale differenze sono basse: tra 1 e 2%, mentre a Treviso, Belluno, Verona e Vicenza ledisparità variano dal 3 al 5%4. E ancora: se definiamo il rapporto tra le domande di regolarizzazione dopo la Bossi-Fini (su dati elaborati dall’Osservatorio sull’immigrazione del Veneto) e il numerodei permessi di soggiorno al dicembre 2002 come “tasso di irregolarità”, in quantocorrispondente approssimativamente alla percentuale di presenza di irregolari chevogliono emergere, troviamo una distribuzione per province che conferma tutte lenostre teorie. Padova, Venezia e Rovigo hanno manifestato, rispettivamente, il 61%di tasso di irregolarità, il 55% e il 44,5%. Sono le province a maggiore modulazio-ne egualitaria del Veneto; quelle più accoglienti. Verona ha un tasso di irregolari del35%, Treviso 33%, Vicenza 31% e Belluno 28%.L’ipotesi del ghetto che si riproduce: gli extracomunitari possono uscire durante ilgiorno, lavorare, interagire, ma poi devono ritirarsi. Non c’è proprio niente dinuovo. Il positivo di tutta questa storia è che il ghettizzato non verrà perseguitato e,nel tempo, potrà contare su una sostanziale assimilazione, pur non diventando maieguale. Non solo ma “l’extracomunitario” è un’invenzione recente: non più vecchia del-l’invenzione della Comunità europea!Meglio essere ghettizzati che inquisiti, comunque, o sterminati. Quando Napoleonedisse: "io non voglio più Inquisizione, non voglio Senato, sarò come un Attila perlo Stato Veneto", si sbagliava di grosso. Dimenticava che lo Stato Veneto non esi-steva quasi più e l’Inquisizione era altrove. Se l’Inquisizione veneziana cattura Giordano Bruno, la messa al rogo avviene a

4. Su questo si veda l’elaborazione Coses su dati Ater-Regione Veneto nel: “Rapporto finale, la pre-senza immigrati nelle regioni adriatiche. Il caso Veneto – 2001”

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Roma, ed è sempre Venezia che difende Galileo Galilei. Dunque se fuori c’èl’Inquisizione nel “vecchio” Nordest c’è il ghetto. Se fuori c’è il razzismo nelNordest c’è “soltanto” la drammatizzazione simbolica.

Assimilato meglio che altrove

Il Dossier Statistico Immigrazione 2001 della Caritas produce “Indici statistici deimodelli di integrazione”. Ebbene il Nordest è quello dove i valori positivi sono piùnumerosi che altrove soprattutto per acquisizioni di cittadinanza, per presenza diconiugati, per motivi famigliari, per la presenza di coniugati con prole, di minori, diminori a scuola. Nel Nordest ci sono anche molti meno anziani immigrati e una rela-tiva stabilità di residenza. Tra le regioni il Friuli-Venezia Giulia dimostra maggioreintegrazione di Veneto e Trentino-Alto Adige. Il Frili-Venezia Giulia, nei dati spic-ca, ma se valutiamo anche la provenienza dell’immigrato scopriamo che qui è moltoalta la differenziazione tra immigrati africani e immigrati dall’Europa dell’Est.Evidentemente l’integrazione avviene per vicinanza e il dato di differenziazionegenerale si attenua perché è più basso nei confronti di popolazioni contigue. Nel tre-vigiano, invece, la prevalenza di magrebini rende più evidente le differenziazioni.Anche per i matrimoni misti il Nordest si differenzia: le donne sono le più dispostead affrontare un matrimonio misto mentre gli uomini scelgono straniere provenien-ti da Paesi a maggioranza sia ortodossa (Romania, ex Urss) sia cattolica (Brasile,Polonia, Repubblica Dominicana). In un matrimonio misto lei/italiana-lui/islamico(se ne stimano 1.100-1.200 l’anno in Italia), circa il 40% è registrato nel Nordovest,il 13% nel Nordest, il 20% nel Sud e il 7% nelle Isole. Lavoro sì, casa anche, ma matrimoni misti molto meno. Se è per questo in Alto Adige anche i matrimoni misti tra “italiani” e “tedeschi” sonopochi e pure in discesa: nel 1981 erano il 7% del totale, dieci anni dopo erano pocopiù della metà (3,9%).Considerando l’incidenza della popolazione straniera sul totale della popolazioneresidente, il Friuli-Venezia Giulia già agli inizi degli anni Novanta è ai vertici dellagraduatoria nazionale: gli stranieri al 31 dicembre 1994 rappresentavano il 2,46%della popolazione complessiva regionale, un valore alquanto significativo se si con-sidera l’incidenza nelle regioni del Nord (1,86%) e la media nazionale (1,62 %).Certo contano molto le posizioni di frontiera di Trieste e Gorizia e la guerra che hasconvolto l’ex Jugoslavia. Ma in quelle zone, l’abbiamo visto, la tolleranza è sem-pre stato un valore stabile.

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All’interno dell’area del Nordest, che accoglie quasi un quarto di tutti gli immigra-ti soggiornanti in Italia, il Friuli-Venezia Giulia è la regione dove sono più numero-si i fattori che attestano l’avanzamento del processo di inserimento stabile (quali adesempio, l’alto numero di ricongiungimenti familiari, acquisto di cittadinanza,matrimoni misti e così via). Il Friuli-Venezia Giulia è anche la regione italiana dovel’immigrazione cristiana è la più alta in percentuale (68,5), mentre in Veneto questogruppo è già sotto il 50% e in Trentino-Alto Adige è intorno al 57%. La maggio-ranza di immigrazione musulmana, invece, si colloca nelle regioni d’Italia più scri-stianizzate (al Sud e in Emilia-Romagna).

Lo status dell’immigrato, dunque, a Nordest è tranquillo. Nel lungo periodo è pre-vista l’assimilazione, ovvero la rottura delle caratteristiche più distintive dei costu-mi dei paesi di origine, e l’immissione di quelli tipici italiani o – se si vuole – delNordest. Sulla popolazione delle tre regioni la presenza di stranieri si aggira intornoal 3%, quindi con una rilevanza minima rispetto al peso elettorale della Lega Nordche esprime il più forte dissenso all’immigrazione.Appare evidente come il fenomeno immigrazione non è la causa della protesta, macaso mai, il pretesto della protesta. Le lighe nascono alla fine degli anni Settanta perevoluzione della scristianizzazione e per gli effetti dell’industrializzazione. L’ansiatrovava, anche allora, un’espressione etnocentrica (“fora i terroni”, “forza etna”) maanche questa era in ritardo rispetto alla massiccia emigrazione interna dal Sud chenon aveva nel Nordest il punto di approdo, ma caso mai nel Nordovest. Anche il“terrone” era solo un capro espiatorio.La reazione all’immigrazione nasce in ritardo ma si incolla sulle ansie etnocentristi-che: nel Nordest le province con più extracomunitari sono quelle con più voto leghi-sta. Dunque o i leghisti non riescono ad avere nessun intervento reale sulla propriarealtà (cosa che appare impossibile visto i larghi suffragi ottenuti dagli amministrato-ri leghisti locali nell’ultimo decennio) oppure la discriminazione verbale è soltanto infunzione simbolica: predicare male ma razzolare bene. I leghisti sono più forti aTreviso, Vicenza, Verona, Pordenone e Udine e gli extracomunitari sono prevalente-mente a Vicenza (37.376 pari al 26,8% del totale regionale), Verona (31.879 pari al22,8%), Treviso (29.776 pari al 21,3%), per il Veneto e a Udine e Pordenone per ilFriuli-Venezia Giulia. Trieste, come abbiamo visto, è un caso a sé come anche ilTrentino-Alto Adige dove l’etnocentrismo si esprime in altre forme più storicamentedeterminate. Non c’è nessuna correlazione tra la nascita del leghismo e l’immigrazio-ne: i due fenomeni sono disgiunti e hanno cause diverse. La presenza degli extraco-munitari nelle stesse province leghiste potrebbe, oggi, far apparire la correlazione, ma

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il ritmo di crescita dei due fenomeni, invece, ci dice che non è così. Nel Nordest il fenomeno ripete quello della collocazione degli ebrei che venivano per-cepiti più per la collocazione nelle attività produttive che per la religione diversa. Casomai la religione poteva servire da pretesto per difendere un certo mercato del lavoro oper avviare o sostenerne di nuovi a bassi costi. La differenziazione viene fatta a vallepiù che a monte e da lì si risale all’origine. “Lavori in fonderia perché sei un immi-grato” è diverso da “Sei un immigrato perché lavori in fonderia”. Ma agli effetti pra-tici si ottiene lo stesso risultato: l’immigrato lavora in fonderia! ''Il Nordest ha bisogno di 50 mila immigrati? – Si chiede il veneziano, europarla-mentare forzista, Renato Brunetta, e si risponde: - Li avrà, nessuno potrà dirvi di no.Però è necessaria una selezione per etnia ed altre capacità, il che non è razzismo. Perfare strade, ad esempio, sono bravi i pakistani, come infermieri gli indiani. Quindiè necessaria una selettività per etnia, in ragione della produttività. Fino ad oggi,invece, i flussi non sono mai stati organizzati in questo modo''. La famiglia stirpeporta, in estremo, al “differenzialismo d’esplusione”, ma questo accade là dove ilsistema famigliare è maggioritario. In Italia la famiglia nordestina è fortementeminoritaria e l’angoscia del diverso viene amministrata nella semplice opzione dif-ferenzialista che non si traduce in persecuzione. Il ghetto è il risultato dei gruppichiusi, della modulazione degli accessi ai sistemi di appartenenza. In Germania ilderagliamento paranoico ed economico crea il lager. Nel Nordest la tensione indu-striale e l’ansia collettiva si associano al concetto di differenziazione e quindi larichiesta di espulsione o di difesa razziale diventa fortemente simbolica, politica,mentre il comportamento reale, date le dimensioni demografiche, è di assimilazio-ne, e anche delle migliori. E mentre il sindaco leghista di Treviso, Gentilini, le sparagrosse o si rifiuta di accettare il tour gratuito offerto dagli imprenditori, i donatori disangue dell’Avis di Treviso vanno in polemica con il Gazzettino in merito alle dona-zioni da parte di popolazione immigrata.Il 30 luglio 2003 il Gazzettino titola: “Sangue, la domanda cresce più dell’offerta magli immigrati non possono donare”. Il motivo, spiega il giornalista, è perché occorre-rebbe fare troppi controlli preventivi sul loro stato di salute. Maurizio Bonotto, presi-dente regionale dell’Avis, il giorno dopo convoca in tutta fretta una conferenza stam-pa per rettificare e sottolinea come gli stranieri siano considerati potenziali donatori disangue “alla stregua degli italiani - circostanza confermata dall'iscrizione all'Avis, nellaMarca, di alcune decine di extracomunitari - con l'unica differenza dell'esigenza dimaggiori margini di cautela.” Praticamente ripete quanto aveva scritto il giornale dimostrando che le “ragioni di san-gue” qui sono ancora forti. Bonotto spiegherà che gli immigrati rimpatriano almeno

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una volta l'anno e quindi, come per ogni iscritto, è imposta una pausa di sei mesi nelledonazioni dopo ogni viaggio all'estero. Insomma la terra, la lingua, il sangue riman-gono archetipi di riferimento che, anche se in modo più o meno evoluti, fanno da anco-raggio ancora al nordestino del 2000. Il blasonato veneto è tipico e anche una certaossessione, appunto, per il sangue… blu5. Non a caso la società rurale esprimeva unapiccola nobiltà pullulante più che una vera e concentrata aristocrazia. Secondo unarecente ricerca delle università adulti-anziani del Veneto conta sul suo territorio4.500 edifici superstiti riconducibili alla “villa”. “Nella ricerca condotta quest’annodalle 16 università adulti-anziani del vicentino legate all’istituto Rezzara - spieganoi ricercatori - si voleva dimostrare come la villa abbia rappresentato un innesto feli-ce della cultura urbana nella cultura rurale, provocando una straordinaria spintainnovativa nell’agricoltura.” E il “capo” della villa, guarda caso, è sempre un conte!Il sistema a differenziazioni interne si riproduce nei secoli e si sedimenta nelledistinzioni professionali, di appartenenza, di associazionismo. E anche gli storici“anziani” del 2000 vanno a dimostrare “l’innesto felice” della villa. A quanto l’immigrato blasonato? Un arabo, discendente di un qualche marajà, con-corderebbe anche l’eurodeputato Brunetta, sarebbe adatto a portare titoli nobiliari!

Statuti famigliari a confronto

Ovunque, in un modo o nell’altro, si riscontra una predominanza della società diarrivo che reagisce all’immigrato, al diverso, o con la segregazione o con l’assimi-lazione a seconda del sistema di valori legato alle strutture famigliari. Nel Nordestquesto sistema è particolarmente differenzialista anche se molto tollerante. Va anche tenuto conto che si tratta di una relazione e quindi in gioco ci sono anchei diversi sistemi famigliari di cui sono portatori gli immigrati. Di fatto i magrebinihanno più difficoltà perché devono passare ad un equilibrio tra il loro sistema pre-valentemente endogamico e quello nordestino (occidentale) che è esogamico. La tendenza a sposarsi in ambiti parentali da noi è assolutamente negata. Forse la

5. Non va dimenticato neppure un motivo superstizioso che anche prima della Controriforma era dif-fusa: il sangue dei cristiani, si dice nel processo a Trento per il piccolo Simone, avrebbe avuto per gliebrei un profumo gradevole, purificherebbe lo stomaco, darebbe al volto un colorito fresco e infinepreserverebbe le donne da un parto prematuro. Il 23 marzo 1475, giovedì santo per i cattolici e iniziodi Pesach per gli ebrei, a Trento scomparve un bambino di due anni, Simone, di cui pochi giorni dopovenne ritrovato il cadavere nei pressi dell'abitazione di un esponente della comunità ebraica di Trento.Questo fu il pretesto per la persecuzione.

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pressione sarà minore per quanto riguarda la patrilinearità e il sistema autoritario,ma sullo statuto della donna i magrebini, e gli islamici in genere, avranno difficoltànotevoli. Sarà molto più semplice per gli immigrati provenienti dai paesi dell’Estportatori di sistemi famigliari più simili e, anzi, già presenti in Italia. Addirittura lostatus della donna est europea è, per molti aspetti, anche più avanzato di quello dellacoetanea italiana e non va dimenticato che in quei paesi la presenza di donne rispet-to agli uomini e tra le più alte del mondo. E’ stato, infatti, proprio lo statuto forte-mente bilaterale della donna dell’est Europa a produrre una delle dinamiche che piùhanno contribuito all’implosione del regime comunista dell’Unione Sovietica. Non credo sia neppure casuale il dato che vuole tra le minorenni il 60% delle denun-ciate per vari reati provenienti dai paesi dell’est Europa. Per le altre nazionalità leminorenni sono in bassissime percentuali se non nulle, compreso le marocchine. Laparità maschio-femmina ha anche i suoi punti deboli, no?“Il diritto alla differenza”, quindi, che viene scambiato, generalmente e soprattuttoa sinistra, per uno stadio avanzato, è nient’altro che il mantenimento delle differen-ziazioni. La società antropologica del Nordest produce, quindi, lo stesso impiantovaloriale e gli stessi atteggiamenti di fondo sia negli appartenenti a gruppi politici didestra sia a quelli di sinistra o di centro. E’ il rapporto con il diverso che si manife-sta e origina il comportamento non l’appartenenza politica.La posizione ottimale, penso, sia l’indifferentismo o se si vuole l’universalismo: segli uomini sono tutti uguali allora dove sta la differenza? Se c’è una qualche diffe-renza allora ammettiamo che non siamo tutti uguali! E’ tutto qui. Il resto è solo unproblema di ritmo di integrazione e di lotta di potere.Ad un vecchio immigrato magrebino padovano o trentino o pordenonese alla pen-sione, fra qualche decennio, non resterà che constatare l’abbandono da parte dei figlidella propria cultura d’origine e contemporaneamente l’inadeguato adattamento allacultura italiana. I figli di immigrati andranno errando in una sorta di terra di nessu-no antropologica se non ci si renderà consapevoli di quanto sta accadendo. Il sistema stirpe, come ad esempio quello tedesco, tende inoltre a differenziare ancheall’interno dei gruppi immigrati6. In Germania i turchi sono rimasti circoscritti nelleproprie comunità nonostante siano il gruppo più numeroso. Gli ex jusoslavi, inve-ce, sono stati completamente assimilati. Nel Nordest avvengono processi simili: ilgruppo ex jugoslavo viene assimilato con più facilità e si pone anche in una posi-

6. Anche nel ghetto di Venezia gli ebrei di origine tedesca predominarono per numero se non per censoo per importanza, fino all’età di decadenza della Comunità. Si veda: Cecil Roth, Gli ebrei in Venezia,Cremonese, Roma, 1932

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zione interessante dal punto di vista economico per i sempre più forti legami di delo-calizzazione prodotti dalle aziende. Il gruppo magrebino, invece, è fortemente ghet-tizzato. Non credo sia per una questione di pelle o… di sangue!Semplicemente è per una questione antropologica: il sistema famigliare dell’estEuropa è più ancorabile al nostro nonostante qualche differenziazione sullo statusdelle donne.E’ dimostrato che l’ideologia del diritto alla differenza, da qualunque parte venisse,non ha permesso la preservazione di nessuna cultura di immigrati, ma ha largamentecontribuito al disorientamento psicologico e sociale della seconda generazione degliimmigrati. Negli Stati Uniti, addirittura, l’assimilazione di tutte le cittadinanze viene“pagata” fortemente dalla ghettizzazione dei neri. Il colore della pelle, lì e anche inGran Bretagna, fa ancora la differenza. Negli anni Venti e Trenta, negli Stati Uniti,oltre 60.000 immigrati e neri sono stati addirittura sterilizzati, segregati o fatti ogget-to di leggi razziali.Qui il colore della pelle non è un problema, ma ritardando l’adesione ai valori dellasocietà di accoglienza da parte degli adolescenti si creano spunti di anomia cheavranno maggiore visibilità soprattutto nei centri più urbanizzati. Dunque sia le ipotesi di accoglienza che quelle di repulsione rischiano di ottenere lostesso effetto: quello di non integrare serenamente le giovani generazioni immigra-te. Un marocchino nato in Italia, o che ha iniziato qui la scolarizzazione, da adultonon potrà non sentirsi - fortemente e degnamente - un cittadino del Paese che lo haaccolto ed educato. Spinto in un ghetto, costretto a mediare, da solo, tra i genitori oi nonni o gli zii nei quali vivono ancora i costumi d’origine, e i compagni di scuo-la, gli enti di socializzazione locali che, invece propongono altre modalità si troveràin un turbinio di soluzioni, di possibilità e, soprattutto, di sofferenze. Risparmiarequeste sofferenze a tutta una generazione di giovanissimi e giovanissime dovrebbeessere un nuovo comandamento portato nel bagaglio di ognuno a prescindere dalleideologie e micro-ideologie di appartenenza. Il fomentatore razzista aizza la folla proiettando sul capro espiatorio immigrato l’im-magine della propria angoscia, della perdita delle proprie certezze passate. Il crollodella mente di fronte al panico blatera parole schifose, denigranti, offensive. Ma dal-l’altra parte un’altrettanta volontà di potenza rischia di spingere l’immigrato versorigurgiti fondamentalisti, verso accentuazione folkloristiche o di costume, di auto-ghettizzazione. La spinta verso un’identità che nel proprio paese, magari, viene in secondo piano esi è già affievolita in un paese straniero assume risvolti fondamentalisti. Il fomentatore e il capro espiatorio finiscono per combattersi aggrappandosi ad un

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passato che entrambi hanno, di fatto, disconosciuto e abbandonato. Sono entrambinel panico ma entrambi vogliono sopravvivere e vivere meglio di prima. La lottapuò diventare cruenta se non capiranno che l’uno è il doppio dell’altro, il proprioriflesso. Un incontro consapevole tra emancipati e adulti avrebbe, invece, comerisultate una relazione di reciprocità e di arricchimento. Il Nordest deve definire al più presto lo statuto dell’immigrato per gli anni futuri ese appare impossibile il più alto grado di “indifferentismo” sarebbe, almeno, oppor-tuno ripiegare sulla più evidente assimilazione. Su questo il protestante Illy si è giàspinto avanti e non appena diventato Presidente del Friuli-Venezia Giulia ha deli-berato l’estensione dell’assegno di maternità anche alle immigrate. Mettere almondo un figlio, almeno, rende uguali tutte le donne.Cosa succede o succederà ad una diciassettenne magrebina, nata a Verona, che siinnamorerà di un coetaneo veronese ma che i genitori di lei hanno già promesso alcugino fratello del padre? Non pretenderemo mica che debbano essere solo i sog-getti interessati, magari degli adolescenti, a risolvere il dilemma? Non vorremo mica assistere a nuovi drammi alla Giulietta e Romeo?

Non tutti gli italiani hanno lo spirito fascista

La storia del Trentino-Alto Adige è più complessa, ma la trama appare simile.L’intervento autoritario del fascismo ha reso cruenta la vita di generazioni fino alterrorismo degli anni Sessanta. Ma gli stessi altoatesini, come lo storico GiorgioDelle Donne, ammettono che “non tutti gli italiani sono venuti qui con lo spiritofascista. E’ il caso di molti italiani della Bassa Atesina, soprattutto quelli di originetrentina, che ormai, come dicono molti, guardano “Colpo Grosso” alla TV e vota-no S.V.P.” Insomma assimilati tanto da ritenersi tedeschi. In realtà la differenziazione non esce dal sistema e in Alto Adige, volendo, si puòfare la storia degli “italiani fascisti”, degli “italiani diventati tedeschi”, “degli italia-ni trentini” e anche di quelli che “non vogliono essere né fascisti né trentini né tede-schi”. E’ sempre Giorgio Delle Donne che in una storia del Trentino-Alto Adigescrive: “Molto spesso non solo l'S.V.P., il P.P.I. o il P.A.T. del Trentino, per legge-rezza o per scelte deliberate ignorano la presenza degli italiani in Alto Adige, maanche organizzazioni di sinistra commettono tale errore, anche quando si parla diprospettive di convivenza. Nelle occasioni di dibattito svolte in Tirolo si parla dinordtirolesi, sudtirolesi e trentini, mentre gli altoatesini di lingua italiana vengonoconfusi con i trentini. C'è anche una ragione storica di questo fatto. Evidentemente

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i trentini sono presenti da sempre nel territorio, come i sudtirolesi ed i nordtirolesi,mentre gli italiani della provincia di Bolzano sono presenti solamente da 70 anni.Inoltre sono arrivati con le baionette, quindi siamo condannati a pagare queste colpedei padri, come se gli altri fossero immuni da comportamenti poco democratici.”Quando si era pensato di riuscire a fare le riforme costituzionali con una sempliceBicamerale tutto andò in stallo sugli statuti delle regioni e due emendamenti ven-nero proposti rispettivamente dal popolare Paolo Palma e da Natale D'Amico, diRinnovamento: volevano far votare la Camera sull'abolizione del regime specialeper tutte le regioni che già godono dell'autonomia, con l'eccezione del Trentino-AltoAdige. Un’evidenza del fatto che se c’è una differenza radicata, indiscutibile, forte,questa è nel Nordest e tutta l’Italia non può non riconoscerla.Non solo ma le caratteristiche etnico-linguistiche dei gruppi presenti nella provinciadi Bolzano sono altrettanto presenti. “Tra San Michele all'Adige e Salorno, salendoda sud rispettivamente l'ultimo comune del Trentino ed il primo dell'Alto Adige, cisono solo una decina di chilometri; entrambi i paesi fanno parte del medesimo statonazionale e della stessa regione, della stessa provincia ma - a livello politico -mostrano delle differenze macroscopiche. Tensioni diverse, esigenze diverse, aspet-tative diverse, partiti diversi, slogan diversi. E la situazione si ripropone, e diventaparadigma, tra Bolzano e Trento, i due capoluoghi di provincia.” La differenziazione, dunque, vale verso lo straniero, ma vale anche in casa propria.E’diverso anche il proprio vicino di casa. Nel Nordest, infatti, si parlano molte “lin-gue” minoritarie.Il censimento bolzanino, ad esempio, è fondato sul fatto che ogni cittadino obbliga-toriamente è tenuto a firmare una dichiarazione di appartenenza (o aggregazione alfine del godimento dei diritti collegati), che ha un’evidente valenza politica, a livel-lo personale e per il proprio gruppo di appartenenza. Senza la dichiarazione etnica,infatti, in Alto Adige non si ha il lavoro. Questo vale per l’amministrazione delloStato, ma anche per gli enti locali. Ed ora, la pratica utilizzata dal pubblico si staestendendo anche ad enti privati. Ci sono banche, per esempio, che nei requisiti diconcorso richiedono il possesso di patentino. E per ottenere il patentino occorre ladichiarazione etnica. La dichiarazione etnica serve poi per poter candidarsi alle ele-zioni. Alexander Langer alle elezioni comunali del 1995 fu escluso dalla candidaturaa sindaco di Bolzano perché “obiettore etnico”, cioè non appartenente ad uno dei tregruppi etnici ufficiali. La Corte di Cassazione nel novembre 1999 ha accolto il ricor-so di un candidato, sempre dei Verdi, escluso dalle elezioni regionali del 1993 “per nonaver reso la dichiarazione di appartenenza linguistica al censimento del 1991”. LaCorte ha ribadito che “il diritto di elettorato passivo è diritto politico fondamentale che

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la Costituzione riconosce e garantisce con i caratteri dell’inviolabilità”, e che può esse-re limitato “soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali del pari fonda-mentali e generali”. La Corte, pertanto, nel caso specifico ha ritenuto valido la “dichia-razione ad hoc” rilasciata dal candidato al momento delle elezioni. Nonostante que-sta sentenza, l’impostazione politica precedente è rimasta immutata. In Trentino, inve-ce, questo stesso problema “etnico” è stato risolto, politicamente, con la ridefinizionedelle circoscrizioni elettorali rese più aderenti alla presenza di minoranze sul territorio.In questo modo dovrebbe essere, almeno teoricamente, più facile eleggere consiglieriprovinciali rappresentanti le minoranze. Che poi queste minoranze si attivino real-mente è un altro discorso.Gli immigrati, così come il verde Langer, diventano portatori di una richiesta diuguaglianza, di universalismo ma in un sistema autoritario/inegualitario sono porta-tori di tensione anche se non necessariamente di richiesta di libertà. I paesi di emigrazione, infatti, sono tutti tendenzialmente basati su sistemi autorita-ri, patrilineari, e dunque di prevalente strutture famigliari verticali. Gli immigrati provengono, però, tutti da paesi nei quali negli ultimi anni è cresciu-ta costantemente l’alfabetizzazione e si sono abbassati i tassi di fecondità. In Indiail tasso di natalità è sceso al 2,9% mentre il tasso di mortalità è crollato allo 0,9%negli ultimi 50 anni. Le previsioni ONU al 2025 ipotizzino che la fecondità dei paesimeno sviluppati declini da 3,83 figli per donna (1985-90) a 2,45 (2020-25) e la spe-ranza di vita cresca nello stesso periodo da 60,5 a 71,3 anni. Dunque l’emigrazionenon è – come è stato anche per il Nordest tra Ottocento e Novecento – solo un feno-meno di povertà, ma è stato ed è un segnale di un processo di crescita e di progres-so. A muovere masse di persone più che lo sfruttamento è la ricerca dell’autoaffer-mazione; la consapevolezza che anche se c’è una promessa per l’al-di-là, l’al-di-quàè meglio viverselo con più audacia e con più soddisfazione. L’alfabetizzazione amplia le panoramiche, le prospettive, spinge a cercare soluzio-ni anche fuori dal proprio mondo. Gli immigrati non vengono qui per farsi sfrutta-re, ma per trovare un’identità più forte, più stabile, un qualche Paradiso in Terra.Credo, per questo, che anche le ipotesi di fondamentalismi, di qualsiasi origine,accentuati e diffusi siano profondamente sbagliate nel medio e lungo termine e fun-zionali soltanto ai fomentatori di tutte le estrazioni. E’ vero che i paesi musulmani sono i più attardati sia sull’alfabetizzazione che sulcontrollo delle nascite, ma è anche vero che sono in quella direzione. L’Iran haormai quasi tutte le donne alfabetizzate, ha un forte controllo delle nascite; è unPaese pronto ad un nuovo passaggio storico. Questo non significa che le democra-zie degli altri paesi debbano necessariamente essere come quelle occidentali: la Cina

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ha elaborato una via diversa al comunismo che non somiglia affatto a quella russae neppure a quella cubana. La Russia dopo il crollo del muro è rientrata, lentamen-te, nel novero dei paesi avanzati anche se non possiamo dire che la risultante politi-ca sia il modello occidentale di democrazia. Questo non significa che ogni paesenon possa trovare una propria dimensione equilibrata, nuova e originale, di rispettodei diritti fondamentali e di amministrazione pubblica e il discorso vale anche per iPaesi musulmani. Gli immigrati non hanno soltanto il compito di trovare una soluzione per sé e per ilproprio futuro, ma anche quello di contribuire al futuro dei propri concittadini e del-l’intera umanità. La quantità di rimesse nella madre patria gioca un ruolo fondamentale sia nel Paesedi arrivo sia in quello di partenza. L’uguaglianza che, eventualmente, si raggiungenel Paese ospitante non è mai perfetta proprio perché una consistente parte del red-dito deve essere destinata a chi è rimasto; a chi ha il compito di preparare il paesedi origine all’eventuale rientro. Dal 1992 al 2001 gli immigrati nel Nordest hanno spedito a casa milioni e milionidi euro: agli inizi degli anni Novanta dal Trentino-Alto Adige escono 4.706.000 dieuro, dal Veneto 12.682.000 e dal Friuli-Venezia Giulia 3.886.000. Agli inizi del2000 gli immigrati spediscono 9.000.000 di euro dal Trentino-Alto Adige,40.214.000 dal Veneto e 9.995.000 dal Friuli-Venezia Giulia. In un decennio lerimesse sono più che raddoppiate in Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige epiù che triplicate in Veneto. Generalmente si tratta di un quinto dello stipendio di unsingolo immigrato. Denaro, questo, che arriva prevalentemente in Europa comuni-taria (Germania), in Estremo Oriente, in America settentrionale e nel Nord Africa.I dati provinciali mostrano anche come la diminuzione delle rimesse degli extraco-munitari sia un segnale della crisi generale, per tutti, degli anni seguenti. La rimes-sa è un dato economico sensibilissimo per l’andamento di un’economia.Che l’immigrazione-emigrazione non sia soltanto un fenomeno per piagnucolosi lodice anche il dato sugli scolarizzati. Secondo il Ministero degli Interni, che forse esagera un pò, il 48% degli extra-comunitari che lavorano regolarmente nel Nordest possiede un diploma supe-riore: il 17,3% ha la licenza media, il 13,4% una laurea e il 12% una formazio-ne professionale.L'identikit dell'immigrato nelle province di Trento, Verona, Vicenza, Treviso,Pordenone e Udine arriva da due ricerche condotte per il Cnel e presentate a Romadal trevigiano Maurizio Sacconi. Il Nordest dice il vice ministro del Welfare “con-trariamente al Sud che rappresenta la garanzia della sopravvivenza, appare agli

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immigrati un evidente miglioramento della qualità della vita. “Non è un problematrovare un lavoro regolare, dichiarano i lavoratori, anche se spesso a tempo deter-minato e non adeguato a capacità e ad attese economiche. Mentre secondo il 72%dei datori di lavoro l'inserimento degli immigrati nelle imprese è positivo, vige lalegge che ‘è integrato chi lavora’, molto complesso invece è il percorso integrativocon i residenti. E’ difficile potersi integrare con uno stipendio di 1.600.000 lire,secondo il quale il fattore economico incide profondamente sulla mancata coesionesociale lì dove la presenza degli immigrati arriva al 10% sulla popolazione locale.” Tra le priorità ricordate dal sottosegretario “c'è innanzitutto quella di ‘poter gestire iflussi’ non solo a livello quantitativo ma soprattutto qualitativo attraverso un per-corso legislativo fatto di diritti e di ordine.” Assai utili in questo senso, dice Sacconi,si stanno dimostrando gli enti bilaterali che, con le regioni e le varie associazioni divolontariato, danno buoni risultati. Alloggio e lingua sono i due principali ostacoli sentiti non solo dai lavoratori, maanche dagli imprenditori stessi che, secondo l'altra ricerca, costituiscono i due fatto-ri che incidono maggiormente sulla qualità del lavoro svolto. Da notare come ladimensione dell'azienda determini la metodologia di selezione: quelle con più di 50dipendenti ricorrono alle imprese interinali, mentre le più piccole all'intermediazio-ne fiduciaria.” E a questo punto Sacconi vede una correlazione tra settori ed etnie, per cui “in agri-coltura, edilizia e servizi alle persone ci lavorano gli immigrati dell'Est, nell'agroa-limentare i maghrebini, nel meccanico, chimico e nel legno gli africani, mentre nelpellame e nell'alberghiero gli asiatici.” La cultura della differenziazione agisce nei settori produttivi. In realtà il sistemaagricoltura, edilizia e servizi alle persone ha bisogno di sistemi valoriali più simili aquelli nordestini e una capacità più alta di apprendimento della lingua… latina. Gli agricoltori e gli edili nordestini, infatti, fanno molta fatica a parlare italiano men-tre gli immigrati dell’Est si adattano facilmente anche al dialetto!I magrebini, in ragione della loro più accentuata ghettizzazione, finiscono per faregli stagionali nelle zone dove il bracciantato o l’industrializzazione aveva inciso dipiù. Nelle altre industrie gli altri africani (ghanesi, senegalesi, nigeriani, eritrei) enon mancano alcune particolarità come le accentuazioni matrilineari ad alta scola-rizzazione (indiani) o monoteistici come i sikh. Nel vicentino, ad esempio, i sicksono impiegati soprattutto nelle industrie del pellame e, folcloristicamente, sonoassurti alla cronaca per non voler indossare il casco quando circolano in motorino. Nel 2000 il casco è diventato obbligatorio ma i sikh avevano già il turbante, obbli-gatorio.

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Ne sono nati dibattiti e polemiche. I sindaci di Vicenza e Treviso, provocatoria-mente, hanno chiesto l’intervento del Ministero dei Lavori Pubblici, e così le ragio-ni dei sikh sono state sfruttate in senso strumentale per dimostrare la loro mancataassimilazione. "Per certi aspetti – rispose l’allora sottosegretario, il vicentino, MauroFabris dell’Udeur di centro-sinistra - c'è un'analogia con il chador per i musulmani,e con il dibattito che è nato in Francia, dove sono numerosi gli immigrati islamici.Io però ai sindaci ho raccomandato di far applicare scrupolosamente la legge; quan-do un italiano va in territorio sikh per rispettare le loro norme non beve whisky; noichiediamo che anche loro facciano altrettanto e rispettino le leggi italiane". La politica non farà niente di più e dei sikh vicentini non si è più parlato7. I sikh, alpari degli induisti credono nella reincarnazione e portano come segno di apparte-nenza alla comunità; un cognome comune “Singh”, che significa “Leone” (dellaFede), il caratteristico turbante e le “Cinque K”, cioè: 1)Kés (barba e capelli maitagliati, questi ultimi raccolti nel turbante); 2)Kanghâ (pettine in legno); 3)Kirpân(un piccolo pugnale che i Sikh annodano fra i capelli); 4)Karâ (un braccialetto diferro); 5)Kaccha (pantaloni corti alle ginocchia).

7. Il sindaco vicentino, rieletto, Enrico Hullweck, forzista, ci riprova subito con un’ordinanza spetta-colare che cerca di collocare i mendicanti a distanze prestabilite. Settembre 2003: non mostrare ''defor-mità ributtanti'', lasciare almeno un metro di marciapiede per il transito dei pedoni, mendicare a distan-za di almeno 200 metri l'uno dall'altro: sono alcune delle disposizioni emesse dal sindaco vicentino inun'ordinanza che disciplina la mendicità sul territorio comunale. Pena: sanzioni da 25 a 500 euro. Leregole prevedono anche che chi chiede l'elemosina lo faccia ad almeno cento metri da manifestazio-ni di carattere economico, sportivo, politico o da mercati e fiere. Richiesta dalle ''numerose lamenteleespresse ripetutamente da cittadini residenti'' ed emessa in considerazione di ''alcuni gravi episodi dimolestia nei confronti di cittadini'' e di litigio tra gli stessi mendicanti, l'ordinanza è motivata anche''dall'opportunità di non consentire in talune particolari vie o piazze la mendicità per motivi di deco-ro''. In particolare, il divieto di accattonaggio vige in Corso Palladio, in Piazza dei Signori e nelle altrearee pedonali del centro storico. Il Vescovo Pietro Nonis si è limitato a dire che ''i questuanti non sipossono spianare con misure di legge o di disciplina forzata'' e che ''in particolare fra loro esistono per-sone innocue, miti, non pericolose''. Il capogruppo Ds in consiglio comunale, l’ex Dc, ex Verde, LuigiPoletto, dice più del Vescovo: ''E' un'ordinanza ridicola e vergognosa: la mendicità viene derubricatada problema sociale della società opulenta a questione estetica'', riferendosi al testo che vieta ''la men-dicità invasiva aggravata mostrando nudità, piaghe, amputazioni o deformità ributtanti''. Il direttoredella Caritas diocesana vicentina, don Giovanni Sandonà, rileva pacatamente che ''elemosina ed accat-tonaggio non sono un modo serio di fare promozione umana, non mirano a rimuovere la situazioneche crea precarietà, anzi sappiamo che dietro a un determinato accattonaggio può esserci davvero unaforma di sfruttamento delinquenziale, particolarmente odioso quando vengono usati minori''. Tuttavia,afferma la Caritas, ''non è liberando la vetrina del centro storico che si risolve il problema: nel ricove-ro notturno dell'ultimo inverno la Caritas diocesana ha ospitato 376 persone, di cui 70 italiani, pari al18,6% del totale. Il problema c'è''.

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Ora passi per il pettine di legno, il braccialetto e anche il piccolo pugnale, ma neces-sariamente i sikh immigrati concessioni sui pantaloni alle ginocchia negli inverninordestini le hanno già praticate autonomamente. Anche qui la storia dimostra chele differenziazioni fanno leva sia tra chi accoglie, sia tra chi arriva. In altri paesieuropei gli stessi sikh per non incorrere in multe per il mancato uso del casco, macontemporaneamente, per non abbandonare completamente la propria religione,hanno finito per radersi a zero i capelli in modo da potersi comunque distinguere. Ecosì non è stato più necessario indossare il turbante… sotto il casco.

La donna-bambina immigrata

L’immigrato, poi, non appare dal punto di vista antropologico, come una soluzioneai problemi di invecchiamento delle popolazioni autoctone. E anche se fosse il pro-cesso è lentissimo, secolare. I tassi ancora così bassi e differenziati di matrimonimisti, e la forte percentuale di sposalizi tra un italiano e una sposa proveniente daipaesi in via di sviluppo, con la differenza di età tra i coniugi vicina ai 10 anni ( 37,9anni lui, 29,7 lei), rafforzano, invece, l’idea che l’immigrazione possa favorire unpersistente maschilismo che non trova più corrispondenza tra le italiane e che si tra-sferisce sulle extracomunitarie. La donna-bambina-sposa è la manifestazione chiara di un tentativo di resistenzaall’equilibrio tra i sessi. Per questo credo che notizie come quella di una coppia difidanzati - lui vicentino di 65 anni, lei marocchina di 36 - che, a fine agosto 2003,ha presentato una istanza al Tribunale del capoluogo berico per imporre all'ufficia-le di stato civile, sulla base dei dettami della Costituzione italiana, di procedere allepubblicazioni delle nozze, nonostante la mancanza del nulla osta al matrimonio daparte dell'ambasciata marocchina, siano da leggere con più circospezione. Per otte-nere questo documento, ha spiegato l'avvocato che assiste i due promessi sposi,l'ambasciata avrebbe richiesto come condizione inderogabile la conversione del-l'uomo alla religione islamica. Ma il vicentino si sarebbe opposto a qualunque ipo-tesi di conversione e da qui la mancata concessione del nulla osta. L’istanza egua-litaria principale, secondo me, dovrebbe affiorare nella vicinanza delle età dei pro-messi sposi prima che nello scontro tra ambasciate e tribunali. Dall’altra parte unfatto come questo dimostra un indiscutibile avanzamento della nostra cultura di tol-leranza: la nostra famiglia è certamente più aperta di quella musulmana, e su que-sto i musulmani devono, decisamente, essere invitati a riflettere.Fenomeni, questi, che comportano comunque la persistenza di forme di differen-

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ziazione e che non lasciano presupporre che sia la ricerca del ringiovanimento dellapopolazione il motivo dell’immigrazione-emigrazione o di una sua accettazione.Piuttosto questa può essere una ragione politica per tentare di far scegliere tra duetensioni che sembrano correlate: morirete di vecchiaia – sembrano dire esperti epolitici multiculturalisti - se non accettate gli immigrati! Ma che si muoia di vec-chiaia deve essere una speranza, più che una minaccia! Molte ricerche dicono chesarebbero soprattutto le donne a decidere l’emigrazione e questo significa che nelpaese d’origine la donna, alla prima alfabetizzazione, dimostra subito il migliora-mento del proprio statuto sociale. La donna è un terminale sensibilissimo dei cambidi mentalità se non proprio l’agente primario. La donna alfabetizzata riesce a control-lare meglio le nascite grazie ad una maggiore liberazione sessuale e quindi richiedeanche degli standard di qualità della vita più alta per sé e i propri famigliari. RossellaPalomba ricercatrice IRP, Istituto Ricerche Popolazione del Consiglio Nazionale delleRicerche scrive: “Molte extracomunitarie sono partite per soddisfare obblighi morali chela struttura tradizionale della famiglia esige nel loro paese di origine, come far studiare ifratelli più piccoli o acquistare la casa per i genitori, un negozio al fratello, un "jeepney"(il minibus che funziona da taxi collettivo nelle Filippine) al marito. Le donne migrantidiventano così il perno principale della strategia di sopravvivenza familiare, eventual-mente preparando il terreno per l'immigrazione di altri membri della famiglia.Emigrando in Italia riescono a guadagnare 30-40 volte di più che nel loro paese, garan-tiscono una fonte importante di denaro per i loro parenti, si costruiscono un nuovo ruolofamiliare e sociale nel paese di provenienza. Si sono così formati gruppi etnici in cui que-ste sono la maggioranza e reticoli sociali atipici esclusivamente femminili (sorelle cugi-ne, amiche) che si conoscono, si frequentano, spesso vivono insieme, si sostengono avicenda.” Le famiglie matrilineari africane o orientali, le famiglie anomiche filippi-ne e quelle sudamericane e le famiglie comunitarie dell’est europeo con il migliorestatus femminile sono quelle che hanno generato, più di altre, le emigrazioni fem-minili. Comunque il Nordest, al contrario di quanto si pensi, è già molto avanti sul-l’integrazione e lo dimostra anche l’indice statistico di esclusione sociale8.

8. Il dato si riferisce all’applicazione per la misura dell’esclusione sociale sulla base della metodolo-gia elaborata dalle Nazioni Unite proposta da S. Castellani (1999). L’Indice di esclusione sociale (IES)si riferisce alla popolazione residente nelle regioni italiane ed è costruito a partire da cinque variabili:disoccupazione, soddisfazione personale, partecipazione alla vita sociale, spese per consumi, crimi-nalità. L’indice globale è ottenuto come media aritmetica non ponderata degli indici parziali. InGiornate di studio sulla popolazione Università di MilanoBicocca - Milano 20-22 febbraio 2001 -Misure e implicazioni demografiche dell’esclusione sociale: Raimondo Cagiano de Azevedo,Alessandra Garbero, Cristina Giudici.

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A scuola, ad esempio, gli alunni stranieri tendono ad accumulare più ritardo degliitaliani per motivi linguistici ma anche per non parificazione degli studi. A Vicenzauno studio ha mostrato che, su 1.971 alunni stranieri, si trovavano almeno un annoindietro il 31% di quelli delle elementari, il 66,7% di quelli delle medie, e ben 71,4%degli alunni delle superiori, tra i quali il 34,2% aveva almeno 2 anni di ritardo. Le statistiche italiane, poi, ci dicono che scelgono i licei solo il 18,4% degli stranie-ri, (e addirittura solo il 10,4% degli africani), contro il 28,8% degli italiani.Decisamente maggiore è l'afflusso agli istituti professionali, scelti dal 40,6% di tuttigli stranieri (e dal 55,4% degli africani) e solo dal 27,1% degli italiani. In questocaso, però, le comparazioni fatte su scala nazionale fanno completamente fuori stra-da se ci riferiamo alla scala locale. Nel Nordest, infatti, dove arriva la più alta per-centuale di stranieri, anche gli autoctoni scelgono più gli istituti professionali e sifermano di più dopo i tre anni di superiori che non nel resto d’Italia. Dunque seanche gli extracomunitari si comportano allo stesso modo vuol dire che la scuola delNordest funziona con una buona assimilazione. Dal punto di vista della mentalitàoserei dire che l’immigrazione, nel Nordest, è evidente soltanto nel Veneto. In Friuli-Venezia Giulia, se consideriamo solo i maschi, abbiamo che tra jugoslavi, albanesi ecroati (le prime tre cittadinanze) si arriva al 47% di tutti gli immigrati nella regione.Ovvero siamo nella stessa situazione di inizio Novecento quando la gran parte dei friu-lani emigrava in Austria o Germania. Se escludiamo anche l’immigrazione transfrontaliera proporrei, allora, di non parlarepiù di un fenomeno immigrazione in Friuli-Venezia Giulia anche perché la vicinanzatra il nostro Paese e i confinanti si esprime in una vicinanza di sistemi famigliari e valo-riali di base nonostante le apparenti differenze ideologiche. In Veneto c’è una vera immigrazione che è soprattutto marocchina, ma anche ghane-se. In Trentino-Alto Adige, infine, la situazione è come quella del Veneto, ma più equi-librata tra cittadini marocchini e balcanici con anche tunisini e pakistani. In Trentino-Alto Adige va considerata anche una consistente immigrazione dallaGermania (!) che per i maschi significa il terzo gruppo di cittadinanza straniera pre-sente dopo marocchini e jugoslavi, ma per le donne il primo gruppo (15% sul totaledelle immigrate). Le province più differenzialiste sono proprio quelle di frontiera men-tre Trento, Belluno, Treviso, Padova e Rovigo hanno tutte una prevalenza di immigratidi provenienza marocchina, ma con una forte presenza anche di altri gruppi di stranierisoprattutto albanesi. Se valutiamo la “coppia” di testa degli immigrati abbiamo tedeschi/albanesi aBolzano; jugoslavi/croati a Gorizia e Trieste; albanesi/jugoslavi a Udine e Venezia;marocchini/albanesi a Trento, Belluno, Treviso, Padova e Rovigo; marocchini/ghane-

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si a Verona, jugoslavi/marocchini a Vicenza e albanesi/ghanesi a Pordenone.Dunque nel Nordest se c’è una questione immigrazione questa va considerata conuna certa attenzione nel rapporto con gli africani – che non sono tutti uguali, anchese può sembrare – e con i gruppi confinanti. In totale tutti gli africani sono circa65.000 nell’intero Nordest; ovvero l’1% dell’intera popolazione. Se questo è un pro-blema! Fare di questo una questione grave appare eccessivo e frutto di un certo annebbia-mento delle menti. Sostanzialmente si tratta di rapporti tra vicini (che ci sono dasempre, e anche molto stretti, come dimostrano i dati sui figli illegittimi!) con i qualiè possibile un’altissima mediazione proprio grazie alla vicinanza dei sistemi fami-gliari e dei valori che ne derivano e che, anche storicamente, si sono determinati.Coloro che provengono dai paesi dell’est non dell’Unione e residenti nel Nordestsono circa 90.000.Per quanto riguarda, invece, gli africani non c’è dubbio che un’assimilazione chia-ra e consapevole, accettata da entrambe le parti, potrà portare, sicuramente, le gene-razioni future ad un adattamento più sereno e stabile in quanto sarà chiaro che sia ilPaese d’origine della famiglia che quello di accoglienza o di nascita gli garantisco-no la piena emancipazione e anche la piena opportunità di poter essere un cittadinoa pieno titolo. Ai pochi Abdullah o Abdellaziz, e anche ai tanti Josef, nati a Bolzanonegli ultimi anni, dobbiamo una spiegazione e dobbiamo offrire una opportunità diriconoscimento reciproco. Gli immigrati di seconda generazione non sono piùimmigrati, ma sono italiani! Il mantenimento della “jus sanguinis” metterà in crisiil nostro codice di nazionalità e si dovrà mettere mano anche al diritto al voto.Il Nordest, l’Italia, ma anche questi uomini e donne che ci onorano di scegliere ilnostro Paese come Paradiso in Terra in cui migliorare la propria condizione e quel-la dei loro più cari affetti, non possono non concordare sul fatto che fare dei lorofigli degli italiani a pieno titolo significa ipotecare un futuro di pacificazione e quin-di di vero sviluppo per tutti. E siccome, anch’io, sono un “terrone immigrato”, posso aggiungere tranquillamen-te che se poi si riuscirà a fare dei loro figli e delle loro figlie anche delle nordestineallora non potremmo, tutti, non esserne orgogliosi.Il resto è solo fondamentalismo folkloristico.

Link:http://www.bartlebynel900.org/maurilio/ALTO ADIGE.htm

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34 - Comunità straniere prevalenti (2001)

nazionalità

Albanesi

ex Jugoslavi

Marocchini

Tedeschi

fonte: Istat

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35 - Popolamento nel Novecento

Anni di inizio

dal 1921

dal 1951

dal 1871 e ripresa della crescita dal 1971

fonte: Istat

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Oggi per domani

Sappiamo ciò che è stato eppure non è detto che sia stato proprio così, figuriamocile grossolanità che si possono dire su ciò che non è ancora. Tutt’al più, leggendo l’oggi, possiamo azzardare, delle ipotesi. I paesi oggi definiti sviluppati contenevano il 32,1% della popolazione del mondonel 1950, il 18,5% nel 1996 e si prevede solo il 14,8% nel 2025. Il peso dell’Africa,che era pari all’8,9% nel 1950 e al 12,8% nel 1996, salirà al 18,1% nel 2025, inver-tendo la traiettoria dell’Europa (21,7% nel 1950, 12,6% nel 1996 e 8,7% nel 2025). Gli altri continenti resterebbero stazionari. Cina, India e Stati Uniti resteranno neiprimi tre posti, ma Russia e Giappone scenderanno sotto Pakistan e Indonesia. Dei seipaesi europei nei primi venti posti, a metà del secolo scorso, nel 2025 rimarrà solo laGermania. Cambieranno, quindi, i pesi delle nazioni, ma se consideriamo l’Europacome un’entità politica unica, allora niente di tutte queste classifiche sarà vero.Dunque il mondo segue una grande logica che finora si realizza nel progresso men-tale, nell’emancipazione sempre più diffusa, nella pacificazione generale nonostan-te le potenzialità distruttive. Nel 1865 l'economista inglese Stanley Jevons scrisse un libro allarmante, "La que-stione del carbone", che rappresenta il primo invito a porre dei "limiti alla crescita"dei consumi di una materia prima strategica. Negli anni Settanta del Novecento il Club di Roma, animato da Aurelio Peccei, parlòdi limiti dello sviluppo prevedendo la fine di una discreta varietà di materie prime. Di fatto succede che il rapporto tra riserve che possono essere sfruttate con profittoeconomico dati i prezzi correnti e produzione - che esprime la durata di tali riserve coni tassi correnti di estrazione - è andato aumentando e non diminuendo durante gli ulti-mi decenni per i maggiori minerali. Inoltre i prezzi reali delle materie prime sono sto-ricamente diminuiti nonostante l’aumento della produzione mentre il progresso tecni-co ha permesso un alto grado di sostituibilità delle risorse non rinnovabili.

Capitolo 7

Che succederà?

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L’agricoltura di questo è un esempio lampante: sempre meno terra coltivabile, sem-pre meno contadini, ma sempre più produzioni. Lo studioso americano Joel Cohen ha raccolto e analizzato 93 stime delle capacitàdi popolamento della terra fatte da studiosi dal ‘600 ad oggi: di queste 17 danno unacifra inferiore ai 5 miliardi, 28 tra i 5 e i 10 miliardi, 24 tra i 10 e i 25 miliardi e 24più di 25 miliardi. Insomma ce n’è per tutti i gusti e ognuno può vedere ciò che vuole.Oggi, per i dati di cui disponiamo, non possiamo dire altro che i tassi di natalità sonogeneralmente in ribasso, i tassi di alfabetizzazione in rialzo e che il Nordest, da qui avent’anni, sarà tendenzialmente più vecchio. Ma un signore di 70 anni, d’oggi, inbuona salute del Nordest non vi sembra tranquillamente paragonabile ad un signoredi 50 anni degli anni Cinquanta? E, dunque, cosa di così catastrofico potrà mai succe-dere? Che non vorranno lavorare in un’azienda a ripetere la stessa operazione permilioni di volte consecutivamente? Ma ci sono già i robot che nel 2020 giocherannoanche a calcio tra di loro! In diversi paesi europei - scrive il demografo Antonio Golini- la vita media si è infatti di molto avvicinata o ha superato i ‘limiti biologici’ (73,8anni per i maschi e 80,3 per le femmine) che Jean Bourgeois-Pichat aveva indicato nel1978, revisionando una sua precedente stima. “La fase transizionale della mortalità -spiega Golini - sembra perciò non essere ancora terminata e si può anzi ragionevol-mente ritenere che una vita media di 90 anni sia alla portata dei paesi più sviluppati intempi relativamente brevi. Se poi nella popolazione si riuscirà a tenere sotto controllomedia e variabilità dei principali fattori di rischio, allora la vita media potrebbe anchesfiorare i 100 anni e raggiungere i 110 se si riuscirà a controllare anche in piccola partei processi di invecchiamento cellulare; ma questi traguardi sembrano conseguibili solonel giro di qualche generazione. Se quindi per ancora due e tre generazioni l’incre-mento di vita media nel passare dalle madri alle figlie dovesse risultare dell’ordine del15-20%, allora l’obiettivo di fecondità necessario per mantenere l’ammontare dellapopolazione in una condizione di stazionarietà (e non anche la struttura), o in un suointorno, può essere rivisto. Non occorrerà infatti che la discendenza finale netta si atte-sti sul valore di 2 figli per donna, ma basterà che essa si aggiri intorno a 1,7.” Sappiamo anche che la famiglia stirpe del Nordest può fare molto: è organizzata,coesa, solidale, attenta alle risorse economiche e finanziarie e anche – una volta con-vinta – portatrice di un sicuro cambiamento. Certo è una famiglia che crea anchemolta ansietà, che se regredisce troppo produce una certa disorganizzazione menta-le, ma su questo si può intervenire e incrementare una prevenzione ben strutturata. La famiglia stirpe è anche grande produttrice ed esportatrice: alterna produzione dimanodopera che, in senso di export, è emigrazione, alla produzione di manufatti alla

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fine del XX secolo. Le famiglie si nuclearizzano, diminuisce il numero medio deicomponenti, ma rimangono le strutture mentali che vengono ricollocate sia al suointerno sia nelle prime agenzie di socializzazione. Questo passaggio andrebbe megliostudiato, ma appare impossibile negare che là dove nascono i figli, la famiglia, siaanche il luogo dove, prima di altri, vengono trasmessi valori e atteggiamenti. Cosìcome è statisticamente certo che nel Nordest nonostante la nuclearizzazione vediamoanche una più forte resistenza e una più diffusa presenza della famiglia complessa. Lasocietà rurale rendeva più evidente questi sistemi, quella urbanizzata li sottintende. Lastessa accelerazione verso il figlio unico può essere letta come gestione totale dellenascite e quindi decisione alla fonte della scelta dell’unico “figlio erede”.Inoltre è sostanzialmente avviata una contro-rivoluzione industriale per cui le per-sone saranno sempre più istruite, ma anche sempre più differenziate tanto che, giàoggi, viene difficile anche agli esperti confrontare i dati, i percorsi e la qualità dellascuola superiore e universitaria. Un’indagine sui laureati e il mercato del lavoro del2001 rivela che esistono già delle discriminanti anche sullo stesso voto di laurea. “Igiovani con voti di laurea più alti si mostrano più selettivi degli altri nei confronti dellavoro e spesso preferiscono continuare la propria formazione rimandando il momen-to dell’inserimento nella vita attiva. Si osserva, infatti, che all’aumentare del voto dilaurea diminuisce il tasso di occupazione (da 65,5% nella classe 66-99, a 58,6% inquella 110 e 110 e lode) ed, in particolare, aumenta la percentuale di quanti pur nonlavorando non cercano lavoro (il 12,7% dei giovani con un voto compreso tra 66 e 99contro il 21,9% di quelli con 110 o 110 e lode), mentre rimane più o meno stabile laquota di quanti cercano lavoro (10,1% per la classe 66-99, 9,9% in quella 110 e 110 elode). Quando il successo raggiunto negli studi è considerevole i giovani sono dispo-sti a posticipare l’inizio di un’attività lavorativa se questa non corrisponde alle loroaspettative.” Il livello di istruzione di un individuo, per ascendere, e anche per non discendere nellascala sociale, deve crescere nel tempo. Ma il prolungamento della scolarità imponeanche un costo crescente per il tempo di apprendimento, per l’investimento in denaroe per la persistenza nella marginalità sociale. Tutto questo per un beneficio che è sem-pre aleatorio (motivo per cui, ad esempio, la formazione continua tende ad essere sem-pre un costo sociale e a produrre professionisti dell’insegnamento specializzato maanche “professionisti dell’apprendimento” rimborsati dai fondi sociali europei!).Appare quindi evidente che chi ha più investito in istruzione tenda a tenere alto il prez-zo del proprio impiego e anche a differenziarlo. L’aumento dell’istruzione è un benecollettivo che aumenta la qualità della vita in generale, ma il suo costo è prevalente-mente privato. Dove persistono le diseguaglianza le opportunità relative restano,

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comunque, più rigide e la felicità di ciascun individuo, nonostante lo sforzo, tende arestare costante. Va anche detto che una struttura sociale inegualitaria, riguardo l’i-struzine, non esclude una forte mobilità sociale così come l’aumento dei tassi di sco-larità non escludono una stagnazione della mobilità sociale. Allora quando gli opera-tori economici chiedono più ricerca e know-how di cosa, realmente, parlano? Se noninterpreto male cercano di socializzare i costi dell’istruzione tentando, allo stessotempo, di mantenere il più possibile rigida la struttura sociale che li vede avvantag-giati. Flessibilità e formazione, infatti, non sono perfettamente conciliabili e anche l’e-sperienza degli Stati Uniti ce lo insegna: meno scuola più flessibilità, più scuola emeno flessibilità. In realtà solo chi avrà investito in istruzione, e quindi in mobilitàsociale, sarà capace di produrre innovazione. I due interessi, nel breve periodo, potreb-bero divergere più che convergere. Come già avviene con il ritardo nell’inserimentonel mondo del lavoro dei giovani laureati con i voti più eccellenti.Il professor Lorenzo Bernardi, nel Rapporto Nordest 2003, scrive che “Il nuovo qua-dro dell’assetto universitario si può difficilmente conoscere e rappresentare: si parla dioltre 3.000 corsi di laurea triennali, dai titoli più variopinti, entro le 42 classi di ordinidi studio che dovrebbero rappresentare una prima mappa dell’organizzazione deisaperi; non è ancor dato immaginare invece fino a dove si spingerà la fantasia acca-demica nel costruire le successive lauree specialistiche triennali entro le 104 classi peresse proposte. Come è stato con l’unità d’Italia: si è fatta l’Italia ma non gli italiani cosìora, si farà l’Europa ma non gli europei.” 1

Già, precisamente, così.

1. 40 milioni di cittadini dell’Unione Europea usano regolarmente una lingua minoritaria o regionale,nella stragrande maggioranza dei casi assieme alla lingua ufficiale o alle lingue ufficiali dello Statorispettivo; con l’allargamento, nel 2004 tale cifra aumenterà di circa 6 milioni di persone. Ma nono-stante ciò non esistono ancora delle disposizioni giuridiche a livello comunitario sulle lingue europeemeno diffuse e regionali. È quanto ha denunciato il Parlamento Europeo, approvando la relazione, ela-borata da Michl Ebner (PPE/DE,I), contenente raccomandazioni alla Commissione sulle lingue euro-pee regionali meno diffuse - le lingue delle minoranze nell’UE - in considerazione dell''allargamentoe della pluralità culturale. Il Parlamento aveva introdotto negli anni ‘80 una linea di bilancio per sostenere le lingue regionali eminoritarie, ma la Commissione non è riuscita a utilizzare i crediti a causa di una sentenza della Cortedi giustizia del 1998 in base alla quale non vi è una base giuridica appropriata per tale politica. Peruscire dall’impasse, i deputati chiedono ora che la Conferenza intergovernativa, che dovrà negoziareil progetto di Costituzione proposto dalla Convenzione, includa tra le disposizioni sulla politica cul-turale dell’Unione un riferimento esplicito alla promozione della diversità linguistica, comprese le lin-gue regionali e minoritarie, quale espressione di diversità culturale.

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Sempre contro la “sofferenza di massa”

Verso la fine del XX secolo tutto sembra compiuto: le grandi costruzioni dellamente, le città di Dio e poi quelle ideali degli uomini sono state vagliate dalla sto-ria. Non incidono più come un tempo. Ciò che viene deciso dai grandi aggregatiumani (diviso per regioni, nazioni, continenti, tutto il Mondo) non può non essere,in quel dato periodo storico a quelle complesse condizioni, la cosa più ragionevoleda fare. Scandalizzo qualcuno se dico che in questo vi entra anche la guerra? E siscandalizza qualcuno se, studiando la storia, ma anche guardando anche all’attua-lità, incontriamo anche la guerra? E’ indubbio che qualche ragione ci deve esserealla guerra, così come ci sono ragioni che fanno della pace non solo un sentimentoma una pratica sempre più diffusa.Non c’è più la “sofferenza di massa” sulla quale si appoggiavano soprattutto le reli-gioni e poi le ideologie… di massa. Il consumo di massa ha fatto piazza pulita ditutto l’armamentario ultraterreno. E’ stato un sostituto alle angosce per la perditadelle certezze: almeno un frigorifero e una lavatrice ce la potevano avere tutti. Il panico per la morte onnipresente teneva tutti aggrappati alle speranza dopo lamorte. La fine della morte è stata anche la fine del mondo dei morti.L’emancipazione di sempre più persone è anche la fine delle idee megalomanichedi Paradiso in terra ad opera di quella o quell’altra ideologia.I tassi di mortalità infantile sono, in un secolo, crollati quasi a zero. Il doloreè diventato personale. La morte, altrettanto. Il culto del morto è finito e chi hadato ha dato…Mettere a rischio la vita in una fabbrica malsana, in un comportamento illegale, inuna insistente sovralimentazione diventa, semplicemente, stupido, suicida. La fab-brica deve diventare pulita e accogliente, quasi un ufficio da terziario. Il terziariodiventa, nel frattempo, il mondo delle donne perché si presta meglio alla salvaguar-dia della salute e alla gestione più flessibile. Gli uomini seguiranno.La crescita, paradossalmente, c’è sempre, ed è costante. Quando la mentalità è inevoluzione e la rappresentazione del mondo comincia ad appartenere alle nuovegenerazioni si ha una stasi economica. Quando, poi, si definiscono nuovi assettipolitici, organizzativi, istituzionali si ha l’impressione di sconvolgimenti sociali, maè solo la preparazione ad un nuovo ciclo economico. Così, ad esempio, gli anni dal 1975 al 1988 sono anni di cambiamento e di crescitae non anni di flessione. Se si considerano non i tassi di crescita del Prodotto lordoma dei movimenti di alfabetizzazione, tassi di mortalità e fecondità (in calo) ci sirende perfettamente conto di questo. Le fasce di popolazione che vanno ai margini

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sono portatrici della crisi; i loro ambiti, la loro professione, la mentalità non è piùadeguata, ma tutti gli altri hanno la netta percezione di raggiungere un nuovo obiet-tivo del Paradiso in Terra. Nella società di primaria alfabetizzazione “le parole sono cose”. L’alfabetizzazionesecondaria, invece, spinge ad una relativizzazione della cultura scritta, alla com-prensione di scienza e tecnica e matematica che relativizzano la scrittura e il testo.Si prolunga il periodo di apprendistato fino all’adolescenza: anni di autoafferma-zione e anche di ribellione. E dunque definire lo stadio della scuola secondaria èmolto più difficile che misurare il semplice saper leggere-e-scrivere. I percorsi sidiversificano pur apparendo uguali. La posizione culturale che ne deriva agiscepesantemente sulla definizione delle ideologie e delle economie. L’alfabetizzatodisoccupato si muove ed emigra. L’acculturato diplomato o laureato disoccupatonon emigra più; esige altre soluzioni. Tutti i meccanismi sono perfettamente com-plementari: dagli anni Novanta del secolo appena passato misuriamo un “boulever-sement” generale di tutti gli indicatori culturali e sociali. Poi seguiranno a ruotaquelli politici-istituzionali e quelli economici. Oggi dove siamo? All’inizio di mutamenti politici-istituzionali considerevoli. Equello che comunemente intendiamo come boom economico non tornerà prima del2010-2015. Diffiderei, nel frattempo, di quelli che di sei mesi in sei mesi continua-no, da due anni a questa parte, a posticipare la così tanto agognata ripresa economi-ca. Avremo alti e bassi, ma la prossima euforia è un pò più avanti.

Diplomati e laureati

La famiglia stirpe del Nordest ha un tasso di fecondità più basso delle altre perchétende, nell’epoca moderna, al figlio unico. Per l’Italia, nel suo complesso, il tasso èancora più basso per l’evoluzione dello statuto della donna che si è accavallato.Pochi figli, dunque, molta educazione, prossima stagnazione. Diminuiranno i diplo-mati e i laureati? No, perché sappiamo bene che o si decide per una stagnazione cul-turale o per una stagnazione demografica. Sembra dimostrato infatti che se l’inve-stimento diventa massiccio sull’educazione è perché la decisione di fare un solofiglio ha come prospettiva un aumento del livello di istruzione programmato.Dunque, di conseguenza, si produce una stagnazione demografica. Al contrario l’abbassamento del livello d’istruzione – come è avvenuto negli StatiUniti negli ultimi 20 anni – produce una crescita demografica e una maggiore atti-vità economica. A livello delle singole famiglie tutte sono impegnate nell’educazio-

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36 - Il Nordest o i Nordest

Grafico suggestivo della distribuzione provinciale dei sistemi prevalenti di trasmissione dei valori

sistema complesso

sistema tipico Alto Adige/Südtirol

sistema semplice

libertà

eguaglianza

ineguaglianza

autorità

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ne dei figli, ma al livello macro-sociale diventa impossibile andare oltre uno sforzomassimo generalizzato. “Questo investimento individuale aggregato – spiega Todd– definisce il potenziale di tutta una società: il prodotto del numero di giovani perl’intensità dei loro studi”. Ogni società ha uno stock intellettuale (prodotto delnumero degli uomini per la formazione media di ciascun individuo) che se rallentae se è associato all’abbassamento del tasso di fecondità rivela l’incapacità di unpaese ad andare oltre certi limiti. Il sogno americano di un progresso illimitato si èimbattuto in questo limite e, finora, soltanto la Svezia ha dimostrato di poter soste-nere uno dei limiti più alti del livello culturale associato ad un’alzata del tasso difecondità. Anche se la Svezia è poi ritornata a tassi più bassi2.Il tasso di fecondità, poi, è strettamente associato al tipo di famiglia che caratteriz-za una società … e che altro fa una famiglia se non bimbe e bimbi? Con la differenza che alla famiglia può bastare anche un unico figlio mentre lasocietà, per riprodursi, ne ha bisogno almeno di due. Finora.

C’era un capannone e una parrocchia ad ogni angolo di strada

Le aziende nordestine saranno sempre meno, sempre più produttive e sempre piùconcentrate in territori con servizi intermodali. Dovranno risparmiare l’ambiente,curare meglio i dipendenti, osservare regole sociali e cedere parte della libertà diazione e di intrusione. Altre diventeranno mobili, nomadi e seguiranno le traiettorie– andata e ritorno – della già avviata delocalizzazione. Aziende come troupe circensio teatrali: piccole, scomponibili e ricomponibili, multinazionali in miniatura. Cosìcome la General Electric è la sola impresa di oggi che risultava presente nell’IndiceDow Jones alla fine dell’Ottocento così sarà anche fra cinquant’anni: molte impre-se saranno completamente sparite o avranno cambiato settore. Occorrerà rivedere lo status della donna e quello dell’immigrato e aggiornarlo pervalori che devono superare le barriere, rendere più equilibrata ed egualitario il rap-porto tra esseri umani qualsiasi siano le caratteristiche specifiche o di genere.Andiamo verso una società tranquilla dove il Friuli-Venezia Giulia e Trentino-AltoAdige, regioni più concentrate, più riflessive e programmabili, spingeranno ilVeneto. I partiti politici sapranno capire le caratteristiche profonde, consce e incon-sce, del Nordest nel suo insieme e delle singole province. Gli stessi partiti potrannoottenere l’onore di rappresentare una collettività che, nel tempo, ha sempre saputo

2. Autori vari: Famiglia, figli e società in Europa – Edizioni Fondazione Agnelli - 1991

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trovare soluzioni soddisfacenti e, nonostante tutto, distribuite con una certa equità.I legami famigliari, in un certo senso, hanno obbligato i nordestini a inventare unmodello che pur afferendo all’autorità paterna ha mediato e modulato le regressio-ni con espressioni di uguaglianza abbastanza diffuse e generalizzate. La posizionesulla linea di confine tra latinità e germanicità ha favorito anche una commistionedi mentalità che ha effetti moderatori verso qualsiasi eccesso. Non bisogna forzare la mano sulla centralizzazione ma sulla coordinazione.Occorre fare sistema, come dicono molti, ma bisogna avere il coraggio di aggiun-gere che bisogna prima di tutto lasciare che ognuno possa comandare in casa pro-pria. Se in passato le influenze esterne sull’alfabetizzazione dipendevano anchedalla collocazione geografica che accelerava o ritardava il fenomeno oggi le tecno-logie di comunicazione hanno raso al suolo quasi tutte le montagne di mentalità maper certi aspetti, in questo modo, hanno reso ancora più incisivo il sistema famigliaresulla formazione. Non è un caso se tanti studiosi della famiglia trovano proprio que-sto scoglio leggendolo come contraddizione: la famiglia si nuclearizza ma alla fami-glia viene chiesto sempre un maggiore intervento educativo, di controllo delladevianza, e di presenza sociale. E’ proprio così: il sistema famigliare, in un mondoa educazione multilivello e multimediale, assume un ruolo centrale di coordina-mento e di decisione. Lo è sempre stato e lo è ancora di più come necessario anco-raggio per i percorsi formativi sempre più differenziati. Se i genitori sono diploma-ti o laureati potranno tranquillamente partecipare all’orientamento scolastico e pro-fessionale dei figli. E parteciperanno, allegramente, anche alla propria formazionepermanente, purchè abbiano già un lavoro.L’alzata generale dei tassi di alfabetizzazione fa prevedere, per il futuro, un pro-gresso generalizzato, anche un “ritorno” all’istruzione, e un progresso anche politi-co e istituzionale che dovrà ancora passare per altre rivoluzioni o cambiamentianche violenti, ma ciò significherà che l’umanità aspira alla maturità.Una popolazione attiva e fortemente istruita troverà comunque e sempre il modo dianimare un’economia efficace.

Saper perdere per poter influenzare i governi

Il Nordest ha la tendenza a generare incoerenze piuttosto che sintesi. Le élites nor-destine fanno fatica a trovare una visione unificata e, a mio avviso, dovrebberorinunciare. Le classi dirigenti affette più da ipnotismo che da autoritarismo non sisono ancora rese conto che è molto più sano accompagnare i processi collettivi che

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cercare di incistarli sulle proprie rappresentazioni ideali. Paradossalmente, in certiperiodi, bisognerebbe anche rinunciare a vincere per influenzare di più. Ma biso-gnerebbe avere le idee chiare!E’ la realtà che va governata non ciò che ci si rappresenta di quella realtà. Per otte-nere un esame di realtà corretto l’unica strada è quella del confronto continuo conchi non fa parte del proprio gruppo, del proprio partito o della propria famiglia. Seil nordestino, quindi, tende all’incoerenza le élites dovrebbero agire nella consape-volezza di queste incoerenze e gestire, simbolicamente, le incongruenze per favo-rirne l’emancipazione. Le opposizioni coerenti e programmate possono dettare,sempre, l’ordine del giorno. Per capirci: il ruolo di un sindaco come quello diTreviso, mi riferisco a Giancarlo Gentilini, va in questa direzione e produce l’evi-denza di una corazza caratteriale. Accompagnare i tanti “gentilini” sulla strada dellareciprocità significa capire che si tratta della rappresentazione di una profonda incer-tezza, di un panico sociale, di un forte disorientamento. Se Gentilini fa buttar già lecase, pericolanti, che ospitano gli immigrati questi troveranno sempre rifugio o nelDuomo del vescovo o in una Camera del Lavoro perché l’autorità, residuale, dellaChiesa e lo spirito d’uguaglianza dei lavoratori sono più forti della regressione etno-centrista. Ma, a questi livelli, lo scontro è inutile per tutti. A questi livelli quello cheserve è protezione per tutti: un Duomo o una Camera del Lavoro, laici, che possa-no ospitare, soprattutto, chi è del posto e ha una paura fottuta non di non poter gua-dagnare per il domani ma di perdere tutto, proprio domani!

La scuola di base: saper leggere scrivere e far di conto e quella elementare ha pro-dotto anche l’industrializzazione degli anni ’60 e degli anni ’90. La scuola superio-re aiuta soprattutto lo sviluppo degli anni ’90, ma serve anche per il futuro e avvia-re il terziario del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia e quindi delVeneto. Il terziario, però, è particolarmente una produzione o sovrapproduzione loca-le: non è esportabile o lo è difficilmente. Il terziario è un insieme di servizi alla perso-na, amministrazione, istituzione, sanità. E’ legato a tradizioni, a costumi, ad una lin-gua, al paesaggio. E’ femminile ed è anche momentaneo e di supporto alla produzio-ne di beni. Il terziario che verrà dovrà essere legato alla scuola di eccellenza: univer-sità e master serviranno per produrre terziario immateriale esportabile ed internazio-nale. Lo penso, ad esempio, per il giornalismo che oggi è legato ai media nazionalio locali; parlati in italiano, confezionati e gestiti soltanto per un pubblico limitato.Questo giornalismo non potrà crescere più di quanto non lo sia stato negli ultimianni. Ma il giornalismo on line, quello su internet, è appena nato, ha una platea mon-diale, non è più legato alla lingua, al luogo d’origine, agisce su fonti e contesti nazio-

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nali e internazionali contemporaneamente. Questo sarà un giornalismo più adegua-to al prossimo livello di scolarizzazione. I manipolatori di simboli, soprattutto sta-tunitensi, che producono rappresentazione della realtà, e la esportano abbondante-mente, non a caso guadagnano più di tutti in questo ambito. I miliardi di ingaggiodei giornalisti o degli attori o di alcuni scrittori sono nient’altro che il risultato diquesto processo per cui non si produrranno soltanto manufatti o servizi ma anchepiù simbologie, verità preconfezionate, manipolazioni aggreganti o disgreganti.Cosa c’è di più improduttivo di un programma di intrattenimento televisivo eppure,con accordi tra le televisioni, si riescono a sfornare dati di ascolto, percentuali, e suquesto si creano dei mercati miliardari. Ma anche nel 2000 le ricerche più avanza-te, ad esempio nel campo della pubblicità, ci confermano che il sistema più perfet-to di comunicazione persuasiva è il “ppp – passa parola personale”. Cosa che si sadal tempo dei re che guarivano la scrofola con il solo tocco delle mani: funzionavagià allora il passa parola e, per di più, funzionava anche la credenza che, appunto,quel tocco facesse guarire. Con uno spot, invece, non è mai guarito nessuno, maarricchito sì.

Il terziario, vero, immateriale e internazionale è quello della ricerca, della vendita, deisupporti alle imprese, della scienza e della tecnologia. Dunque è prevedibile il crollodell’export di manufatti, almeno nei paesi in via di deindustrializzazione e una ulte-riore impennata del terziario. Ovunque il tasso di sciopero si abbasserà con l’alzatadell’istruzione. Piuttosto ci saranno contrapposizioni selettive, mirate, strategiche.Decisioni, ad esempio, di tenere alto il livello di scontro con le controparti per rag-giungere obiettivi di valore più che economici. Gli alti redditi saranno sempre più datidall’efficacia economica ma anche dal potere sociale (per quantità degli interessati eper qualità). Passare dal guadagnare 2, a 3, a 4 milioni al mese a 5 può essere un obiet-tivo perseguibile e da sostenere ma chi si angoscia per guadagnare centinaia di milio-ni al mese (e guarda un pò: calciatori, giornalisti tv, intrattenitori, capi d’imprese nazio-nali che passano nel giro di pochi mesi dall’una all’altra, manager ecc.) saranno daconsiderarsi psicologicamente malati e inutili per la produzione nazionale.L’accumulazione di denaro non sarà più indice di successo perché non è indice di equi-librio. Il Nordest già non produce niente o poco di tutto questo: le squadre di calcio delNordest non sono tra le prime di Serie A, non abbiamo grandi presentatori o giornali-sti televisivi, cantanti, attori, non vi sono che alcune star nazionali, non siamo in un ter-ritorio di spreco e di ingiurie. Non lo saremo neppure nei prossimi decenni.La società del Nordest è generalmente sana e per questo va protetta!

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Ci sono ancora le classi sofferenti?

Ora dobbiamo imparare a vivere in una civiltà cristiana senza chiese. Il tentativofatto con l’accentuazione ultraliberista appare alquanto fallimentare: anzi il liberomercato incondizionato crea sempre più oligopoli e monopoli. Annullare le nazionio le zone antropologiche è un passo falso. Di fatto saranno accentuate le contraddi-zioni tra localismo e globalismo fintanto che la Nazione – insieme di lingua comu-ne, terra, simboli, appartenenze - sarà simbolicamente ed economicamente vilipesa.La costruzione monetaria dell’Europa dovrà essere, quanto prima, capovolta ediventare solo una conseguenza dell’unione degli uomini e delle donne europee. E’un processo lungo, millenario. Nel frattempo ne viviamo tutte le contraddizioni:aumentano le ineguaglianze tra paesi e al loro interno, l’istruzione alta che corri-sponde a reddito alto e anche a produzione bassa deve fare massa e allearsi con gliistruiti alti degli altri paesi e cercare di imporre direzioni e proposte simboliche pertutti: europeismo, libero scambio, moneta unica. Così, oggi, accettare passivamente il libero scambio significa accettare l’inegua-glianza. Accettare l’Europa dei trattati tra i governi e non quella dei referendumsignifica accettare l’Europa delle élites e non dei popoli. Solo quest’ultima potràessere una bell’Europa.Gli alfabetizzati del Nordest scrivono in italiano, non tutti lo parlano quotidiana-mente, il dialetto è ancora molto praticato nonostante tutto. Ebbene tutti dovrebbe-ro parlare anche l’inglese? Difficile. C’è una classe ricca, acculturata, di tutte leestrazioni che gira il mondo per lavoro o per piacere, che naviga in internet, che siorganizza con riferimenti internazionali, ma c’è una classe, di massa, che non sa lelingue, non gira il mondo, non ha riferimenti internazionali e alcuni neppure nazio-nali. Non si può fingere che non sia così. Fare sparire le nazioni, fare sparire le regio-ni o le province o i comuni è un’operazione illusoria, e soprattutto tragica. Il crollo delle economie, la stagnazione che proseguirà, sarà in funzione di questoottundimento delle classi dirigenti. Questo non vuol dire l’accentuazione dell’etno-centrismo e delle differenziazioni, ma, al contrario la comprensione e la valorizza-zione delle peculiarità, dei ritmi diversi, che possono rendere, invece, dinamiche leproduzioni e i mercati. Il pensiero omogeneizzatore liberoscambista ha interessi diclasse e soltanto dei più ricchi e acculturati di una certa, nuova, nomenklatura. Se l’alfabetizzazione generale mette tutti verso un tragitto di uguaglianza e di unminimo comune denominatore, l’alta istruzione, invece, separa, accentua le inegua-glianze, apre la forbice tra chi può stare nella concorrenza senza confini e chi puòsoltanto soccombere. Quanti sono coloro che possono svolgere la propria profes-

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sione, indifferentemente, nel Paese d’origine o in un paese straniero? Dissociare l’e-conomia dalla cultura significa creare un “carnaio industriale”. L’interazione tramovimento del livello culturale, capacità di assorbimento della domanda ed evolu-zione delle grandezze delle categorie professionali è ciò che ci fa capire le reali ten-denze dell’equilibrio o disequilibrio sociale. Questa interazione è fortissima in unanazione, ma non esiste se non in linee superficiali tra nazioni diverse.Il mercato del lavoro europeo non esisterà a breve e i movimenti demografici se èvero che vanno tutti nella stessa direzione è anche vero che ci vanno a ritmi diversie quindi avremo situazioni diverse in ogni paese. Cosa succede a nazioni differenti,con strutture antropologiche differenti, unite soltanto dall’euro? Vediamo un abbassamento del livello di vita verso la media dei paesi e non trainoverso chi è più avanzato, alzata dei prezzi ma tenuta dell’inflazione ovvero salarireali più bassi, aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, stasi ulterioredelle nascite… così, almeno, si abbasserà il potenziale dei disoccupati. In Italia, poi, abbiamo aggiunto anche un pò di furbizia e i prezzi sono lievitati colsemplice passaggio all’euro e con la sempre più diffusa permanenza dei giovaninella famiglia di origine.Una fermata generale, quindi, dei consumi che si drammatizzerà quando nei pros-simi anni se ne evidenzieranno ancora di più gli effetti nel commercio e nella pro-duzione. Il capitale industriale, soprattutto quello volto all'esportazione, non potràpiù giocare sulle differenze di cambio esistente fra i vari paesi europei. Le aziendedel Nordest sono ad un passaggio critico. Ciò comporterà, per tutta una serie di benie servizi un livellamento verso il basso, spingendo le aziende a delocalizzare la pro-duzione verso paesi dove sono migliori le condizioni quadro. Si può dire che tuttociò faccia parte delle leggi ferree del capitale, ma certo non si può credere che l'u-nificazione monetaria, senza politiche di bilancio comuni, possa uniformare effetti-vamente un mercato, del lavoro anzitutto, superando non tanto le frammentazioniinterne (garantiti, precari, ecc.), ma soprattutto le disuguaglianze territoriali-regio-nali-nazionali, in un breve lasso di tempo e senza sconvolgimenti strutturali. Piuttosto, nella rincorsa al ribasso continueranno a rimanere forti differenze (salario,condizioni generali, welfare, fiscalità, ecc.) che il sistema finanziario potrà sfruttarea proprio vantaggio, accrescendo la concorrenza fra lavoratori, precari, disoccupatidi diverse "zone" europee. I servizi pubblici che, piaccia o no, finora si strutturanoancora solo su scala nazionale, ossia secondo una divisione territoriale fondata sugiurisdizioni politiche diverse. E da qui occorre (ri)partire. Per costruire uno sgan-ciamento dalle condizioni, anzitutto materiali (ma non solo), che fondano la con-correnza tra classi lavoratrici di paesi diversi.

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Accettando supinamente (o magari facendo di necessità virtù, come sta facendo unconfuso "neoliberismo di sinistra") lo smantellamento delle conquiste sociali e deidiritti dei lavoratori in nome dell'Europa correremo il rischio di una forte regressio-ne sociale. Negli ultimi 5 anni sono stati sottratti dalle tasche dei lavoratori, dipen-denti e indipendenti, circa 200 mila miliardi con i tagli alle pensioni, alla spesa sani-taria, a tutti i servizi sociali, con l'aumento della pressione fiscale sui salari e l'au-mento delle tasse su gran parte dei beni primari. Contemporaneamente si sonoavviate trasformazioni nell'organizzazione di servizi essenziali come la sanità ed itrasporti, che hanno ridotto questi bisogni collettivi a merci, ed è stata operata unaforte riduzione del reddito reale dei lavoratori. Il Trattato di Maastricht (1992) sta in questo: debito pubblico non più del 60% delPil, rapporto deficit/Pil 3% e un'inflazione che non ecceda più dell'1,5% quella deitre paesi che l'hanno più bassa. A novembre 2003 i maggiori paesi europei nonhanno un solo parametro a posto e la disoccupazione ha nuovamente sfondato il 9%.Alla fine l’adattamento continuo alla concorrenza estera distrugge la doman-da interna e quindi, sommando le domande interne in flessione, si distruggedi conseguenza la domanda mondiale! Ed ecco la stagnazione globale. Questa è la vera globalizzazione!Nel 1995 le imprese del centro-nord hanno ottenuto profitti da record mal-grado i consumi degli italiani siano aumentati solo dell'1,2%, grazie ad unaumento del 14% delle esportazioni. Finora ha pagato il dollaro forte, mad’ora in poi chi pagherà? Pagheranno i più deboli e l’imprenditore-operaio delNordest rischia di non riuscire più a creare le forze produttive come in passatoe a gestire il proprio territorio e la mentalità che lo distingue. Il quotidiano La Repubblica, il 27 agosto, appena dopo la visita del cancellieretedesco Schroeder a Verona pubblica un’intervista. Domanda: “Come può lasinistra convincere i suoi elettori che la riforma del welfare è necessaria, senzaperdere la propria anima né appunto il consenso degli elettori? Risposta: "Questo è proprio il compito essenziale. Troppo a lungo tutti noi demo-cratici europei - noi di sinistra come i conservatori - abbiamo creduto che i proble-mi legati alla crescita debole e al cambiamento della struttura generazionale dellenostre società, sarebbero stati risolvibili con un ritorno a fasi di crescita robusta. Cisiamo sbagliati tutti. Dobbiamo dire alla gente che ci troviamo in una situazioneeconomica mondiale cambiata, sullo sfondo della globalizzazione e di una concor-renza inasprita. Non vogliamo gettare alle ortiche lo Stato sociale, ma che sullosfondo di questi cambiamenti dobbiamo decidere che cosa possiamo ancora per-metterci, e che cosa no. E dobbiamo mobilitare risorse per i compiti del futuro: pun-

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tare su istruzione, ricerca e sviluppo tecnologici, strutture per l'infanzia (asili nido,ecc), che anche in nome dei diritti delle giovani madri e delle giovani famiglie sonole priorità di questo decennio. Conservare la giustizia sociale e insieme investire nelfuturo: a questa politica non c'è alternativa, ne sono convinto". Il nuovo welfare, dunque, consisterebbe nel finanziare asili per bambini e bambineche non ci sono? Ancora sacrifici, insomma.

Il bellunese della Banca centrale d’Europa, Tommaso Padoa-Schioppa, sostiene chesolo sei anni fa “Francia e Germania si autoiscrivevano con sussiego al nucleo deiPaesi in regola su tutto: inflazione e bilancio, direttive europee e stabilità politica.”La Germania godeva di alti prezzi, alta qualità dei prodotti e periodiche rivalutazio-ni del marco. La Francia svaluta nel 1983, controlla con accanimento i salari e nonsvaluta più. Alla fine degli anni Novanta i due Paesi si ritrovano a terra. E ora toccaall’Italia. La soluzione di Padoa-Schioppa? “Non restano che le riforme strutturali –scrive sul Corriere del 26 agosto 2003 – eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudichiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitandol’intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dallapubblica compassione”. Ma cosa c’è di più contraddittorio che invitare a varare riforme strutturali – ovverointerventi pesanti dello Stato sul destino dei cittadini presenti e futuri – e poi citareEinaudi e la mano invisibile? E’ una mostruosità logica. Padoa-Schioppa si ritrovaa scrivere che l’unico principio guida della classe dirigente deve essere quello di“attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hannoprogressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza delvivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qua-lità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono delSignore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, rico-noscimento di un merito; il titolo di studio o l’apprendistato di mestiere, costosoinvestimento. Il confronto dell’uomo con le difficoltà della vita era sentito, come daantichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna.” Già, il famoso mondo della sofferenza di cui abbiamo scritto. E il banchiere bellu-nese è consapevole che tutto questo “è sempre più divenuto il campo della solida-rietà dei concittadini verso l’individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del model-lo europeo”. E cosa propone? Lacrime e sangue perchè quello della solidarietà “èanche – scrive sempre Padoa-Schioppa – degenerato a campo dei diritti che un acci-dioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica allo Stato”. Capito? I milioni di disoccupati prodotti in questi venti anni, la frenesia produttiva

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dell’imprenditore-operaio del Nordest, le corse tra gli impegni di famiglia e le oredi lavoro delle artigiane venete, friulane o trentine e altoatesine sono state soltanto“accidia” e d’ora in poi andranno corrette con “determinazione”. I sacerdoti della sadomoneta unica, inflessibilmente, fanno il loro mestiere, ma lavita e la morte sono più potenti. Uomini e donne non stanno scegliendo e non sce-glieranno la regressione: il lavoro non è più soltanto una necessità, la buona salutenon è più un dono del Signore, la cura del vecchio è un diritto, la promozione in uffi-cio una opportunità, il titolo di studio un necessario investimento. Abilità e fortunasono state mitigate da trasmissione del sapere e opportunità e su questa strada si ècostruita una lunga pace e una sempre meno diffusa sofferenza umana. E si potràcostruire anche una bell’Europa. Altro che accidia!

L’europeista convinto è il più protetto

Abbiamo visto che i livelli antropologici sono incoscienti e potenti, quelli culturalisubcoscienti e quelli economici coscienti e misurabili. Abbiamo cercato di capiresoprattutto la collocazione e il profilo del Nordest e fatto qualche cenno sul ritmo dievoluzione, sulla storia. Abbiamo incontrato il figlio erede tentativo, già in passato,di figlio unico per poter concentrare le risorse, sempre scarse, culturali ed economi-che e non disperderle. La famiglia stirpe incompleta, del Nordest ha elaborato stra-tegie, nello spazio e nel tempo, per mantenere e accrescere questo patrimonio e,all’inizio del 2000, può dire di esserci riuscita. La pubblicistica corrente degli ulti-mi cinquant’anni non ha fatto altro che raccontare questo successo. Ma questo suc-cesso nasconde anche il panico che il ricordo delle sofferenze, delle privazioni, deisacrifici fa, invece, affiorare. Sono state scelte dolorose; decidere il destino di unfiglio diverso da un altro, è un atto importante cosciente o incosciente che sia. Se c’èstata un’espressione di autorità è stata necessaria e se c’è stata un’accentuazione diineguaglianza, questa è stata altrettanto obbligata. Tutto quello che è stato acquisi-to, però, oggi va difeso.Veniamo continuamente bombardati da concetti liberoscambisti ma ci troviamo acombattere, ogni giorno, con politiche monetarie ultrainterventiste. Governatori dibanche nazionali ed europea che usano la chiave dei tassi di interesse come noi usia-mo quella del rubinetto dell’acqua. Un mostro logico. Così le classi che vivono sulmercato nazionale, sono le meno produttive, particolarmente protette e diventanoeuropeiste (politici, funzionari pubblici, insegnanti, giornalisti, intellettuali, univer-sitari ecc.). Le classi che, non avendo strumenti qualificati, ma sono costrette a stare

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sui mercati internazionali per vendere o comprare beni e servizi si trovano, invece,esposte alla concorrenza più spietata: le piccole e medie aziende, l’artigianato,l’informatica, i trasporti. Una minoranza, certamente, che però nel Nordest è anco-ra maggioranza.E poi queste benedette pensioni, squisita questione di ogni nazione: ma non sono unproblema perché è vero che si invecchia, ma si invecchia sempre meglio e si può anda-re in pensione più tardi. E non possiamo non ammettere che, in termini di economiareale, e al nostro livello di sviluppo, basta accelerare la produttività fisica. Anzi, que-sto, in parte già avviene. Il professore udinese, Carlo Pelanda, che è editorialista del Gruppo Athesis, di ForzaItalia e protagonista di una scazzottata televisiva con l’esponente islamico AdelSmith, ha scritto, nel 1999, attaccando la sinistra su flessibilità e fisco:“Impossibilitati ad assumere nuovo personale, molti imprenditori stanno esploran-do la possibilità di impiegare sistemi tecnologici molto avanzati che permettono ditenere basso il numero degli addetti ed allo stesso tempo aumentare il volume d'af-fari dell'azienda. Se il lavoro fosse flessibile e poco costoso non ci sarebbe un taleincentivo alla modernizzazione competitiva. Ho di recente visitato per motivi pro-fessionali quattro aziende, nel nord. Stanno acquistando macchinari da fantascien-za. Un imprenditore mi dice, ridendo: "devo ringraziare la sinistra perché senza diessa mai avrei avuto lo stimolo a girare le università americane per trovare nuovetecnologie e mai avrei chiesto ad un geniale ingegnere toscano di trasformarle nelprocesso industriale che mi serve". “Soprattutto, - scrive sempre Pelanda - con un rapido calcolo, viene fuori che lenuove macchine equivarranno al lavoro di circa 200 operai su tre turni. Il che signi-fica che l'azienda non dovrà temere la concorrenza per costi minori che viene daicompetitori asiatici. Sopratutto potrà crescere e continuare a restare fatta di duesocietà con meno di 15 dipendenti ciascuna, limite sotto il quale si può licenziaresenza troppi vincoli e dove non ci sono i sindacati (operai felici perché si prendonobei fuoribusta).” Guardate cosa è stata l’agricoltura degli ultimi cinquant’anni. Dal 1963 la produ-zione agricola pro-capite è aumentata del 27% e il prezzo dei prodotti è sceso del50%. La produzione di cereali è cresciuta di 2,6 volte e il prezzo reale del granodiminuito di tre quarti. Non solo, ma l’aumento di carbonio nell’aria, l’aumentodelle precipitazioni e della temperatura contribuiscono ad incrementare il rendi-mento dei raccolti. Obiettivo alquanto semplice, dunque, in una società automatiz-zata come la nostra decidere di aumentare la produttività giustificandola come sivuole. Non solo, ma c’è un buon 10% di popolazione attiva in tutto il Paese che non

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viene fatta lavorare o lavorare in chiaro. Se tutti questi tornassero a lavorare, se sispingesse sulla produttività di quel tanto, il problema delle pensioni per la popola-zione che invecchia diventerebbe una favola. Discorso chiuso. Discorso chiuso anche sulla flessibilità, però.Questo, come altri, è solo un problema di distribuzione di risorse pubbliche, ovve-ro di superamento dell’intontimento simbolico antistatalista e liberoscambista aoltranza. L’adesione generale al liberoscambismo, alla deificazione monetaria,alle bolle borsistiche della classe dirigente e intellettuale è un bel fenomeno difalsa coscienza: loro stessi sono in una posizione privilegiata del sistema. Nonpossono vedere la condizione di chi è finito in una posizione di instabilità. Se c’èuna crisi è di obnubilazione, negazione della realtà, non consapevolezza di ciò cheaccade. Uno dei più geniali economisti contemporanei, Geminello Alvi, dice: “C’è unasproporzione talmente palese tra quanto di impressionante sta accadendo e i pro-clami di progresso conditi di quotidiani numeretti sul Pil e le borse. Si assume chel’economia comunque spieghi sempre tutto, come neppure Marx avrebbe prete-so. Scivoliamo, infine, tutti in questo fiume asettico di rivoluzioni tecnologiche,borse, mercati da rendere flessibili. E nessuno che mai s’arrischi a ragionare altri-menti, a scombinare questi schemi... Cronicità della fretta, nervosismo, lusso dimassa, ipnosi delle mode, plebi cosmopolite, dionisismi, etiche solo umanitarie,confusioni erotiche: tutti i sintomi, da sempre, indubbi di una civiltà in regresso,o che perlomeno si disgrega.” E il tipico capitalismo individualista statunitense,alle soglie del 2000, si ritrova con una posizione debitoria sull’estero, ovvero ladifferenza tra i capitali che deve al mondo e quelli che possiede, stimata in 1900miliardi di dollari, pari al 19,2% del Pil e, nel 2003, con 471 miliardi di dollari dideficit della bilancia commerciale.L’individuo solo è prevalentemente un consumatore, ma anche uno che muore d’an-sia e molto presto. L’individuo del Nordest, invece, ha un gruppo consistente difamiglie, e quindi di legami, di gruppi, ancora forti e in grado di reagire o spingerel’ansia verso la produzione più che verso il consumo; alla conquista di mercati. L’effetto è lo stesso: l’ansia per tutti, ma la forma delle soluzioni non è indifferente. Il liberoscambismo attecchisce promettendo la cura dell’ansia con una vendita faci-le, produzioni e consumi illimitati in un mercato dove tutti sono allo stesso livello ecompetono ad armi pari. In realtà non è così; i paesi vivono a velocità diverse, anchenei paesi occidentali gli andamenti demografici vanno a velocità diverse, e così icompetitori non interagiscono allo stesso livello e le economie più potenti tendonoa monopolizzare le risorse. L’ansia consumatrice prevede la violenza, l’aggressio-

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ne, mentre l’ansia protettrice prevede la reciprocità, una maggiore compensazione.In grande scala le diversità delle popolazioni e quindi delle economie nazionali, for-tunatamente, producono protezioni di fatto e quindi più reciprocità che violenze. La delocalizzazione, ad esempio, è uno dei risultati più evidenti di un protezionismonato dalla mentalità ambientalista e alfabetizzata dei paesi più ricchi e dalle esigen-ze protezioniste dei paesi in via di sviluppo. Un’indagine di Confindustria rivela chesu 150 paesi che esportano verso l’Unione europea a tasso zero ve ne sono soltanto22 verso i quali l’Unione europea, a sua volta, esporta alle stesse condizioni. 40paesi esportano verso i paesi dell’Ue a tassi ridotti (non più del 20%) contro i 168verso i quali i paesi del vecchio continente esportano pagando dazi dal 15% al 70%.Qual è, dunque, la reciprocità protezionista che si può innescare, di fatto, date que-ste condizioni? La delocalizzazione, appunto. E, infatti, questo è ciò che avviene. In base ai dati Wto, 36 paesi membri hannoimpegni per un totale di 1370 quote individuali in agricoltura: l’introduzione dellequote non fa altro che creare flussi bilaterali di import-export che implicano il coin-volgimento dei rispettivi stati nazionali generando rendite che creano, da entrembele parti, esigenze protezioniste. Un’eventuale forzata liberalizzazione di quei mer-cati provocherebbe la perdita delle rendite di posizione soprattutto per i paesi cheesportano. Questo esempio è la dimostrazione che anche la liberalizzazione ‘altrui’produce perdita di benessere per la maggior parte dei paesi perchè fa alzare i prez-zi delle importazioni e fa perdere le posizioni di rendita legate alle quote.Queste dinamiche mentalità/dazi-reciproci costringe i paesi più ricchi a spostare leproprie aziende nei paesi con mercati potenziali. Ma in questo modo i più ricchi, perespandere i mercati, devono contribuire alla creazione e allo sviluppo delle forzeproduttive e del capitale sociale dei paesi dove delocalizzano. Questa è una tipicadinamica protezionista realizzata dallo stato di fatto e dalla potenza delle relazionitra le diverse popolazioni più che da scelte politiche consapevoli. Interventi piùstrutturati, in questo ambito, potrebbero evitare sprechi di risorse, scelte sbagliate dizone antropologiche troppo diverse e favorire, invece, più stabili reciprocità, espan-sioni di mercati e interventi su specifici settori industriali. Nel 2003, dopo anni diribassi, la Germania è tornata a superare gli Stati Uniti, di oltre il 7%, proprio sulmercato dell’export. Il paese più tipico di capitalismo stirpe ha ripreso a muoversiproprio su ciò che sa fare meglio: conquistare mercati nuovi - in est Europa ed estre-mo Oriente - e lo fa proprio attraverso la delocalizzazione innescata anche dal pro-tezionismo. Non a caso l’imprenditore bellunese Leone Lauri dice: “Sono convintoche la delocalizzazione rappresenti una grande opportunità di sviluppo per le nostreaziende, che possono in questo modo conquistare e presidiare i mercati esteri.

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Delocalizzazione che non riguarda solo le attività a basso costo di manodopera, mache tocca anche i settori di altissimo contenuto tecnologico. A questo punto, però,non posso sottrarmi dal porre una domanda; in che modo possiamo coniugare delo-calizzazione e occupazione? Che senso ha parlare di delocalizzazione quando sap-piamo che la provincia di Belluno sta facendo i conti con un fenomeno di calodemografico significativo? E’ questo, in fondo, il vero problema”. Ma è un falso problema proprio perchè se è vero che la popolazione giovane dimi-nuisce, diminuiranno anche coloro che cercano lavoro. La delocalizzazione è logica.

“Sono stato educato come gli altri englishmen a rispettare il free trade non sola-mente come dottrina economica, ma anche come parte della legge morale”, scrive-va John Maynard Keynes nel 1933, eppure “la protezione degli interessi esteri di unpaese, la conquista di nuovi mercati, il progresso dell’imperialismo economico sonoelementi non eludibili dello stato delle cose... Simpatizzo perciò con quelli cheridurrebbero al minimo, invece che con quanti massimizzerebbero gli intrecci eco-nomici tra le nazioni. Le idee, la conoscenza, l’arte, l’ospitalità, i viaggi, queste sonocose che dovrebbero per loro natura essere internazionali. Ma lasciamo che le mercisiano fatte in casa, nel caso in cui sia ragionevole e convenientemente possibile; esopratutto rendiamo la finanza un affare primariamente nazionale”.Interessante anche la polemica, nel 2003, tra gli economisti Francesco Giavazzi eRenato Brunetta. Giavazzi loda il commissario europeo Mario Monti che vuoleliberalizzare gli ordini professionali e Brunetta si trova costretto a puntualizzarespiegando che le questioni sono molto più complesse delle teorie mutuate dai col-leghi anglosassoni: “Se Giavazzi avesse fatto un pò di politica come me si sarebbereso conto della realtà e non penserebbe solo a modelli economici astratti, adatti amondi ideali che non esistono. Peraltro, non essendo chiamato a rispondere a nes-suno delle sue idee se non alla scienza economica, può continuare liberamente aprofessarle, ma non speri che esse siano acriticamente applicate. Il liberismo ed ilmercato non sono concetti astratti. Il mercato, come Giavazzi sa bene, funziona sevi è la giusta dose di regole, che varia da settore a settore, da Paese a Paese.” E anche Romano Prodi, economista e Presidente della Commissione europea, su untema delicato come le pensioni, scrive: “Ipotizzare misure e politiche uniformi pertutti i paesi europei proponendo, com’è stato detto da qualcuno, una ‘Maastricht perle pensioni’ è due volte sbagliato. E’ sbagliato da un punto di vista economico, per-chè i dati di partenza e le situazioni di fondo differiscono talmente da paese a paeseda escludere una singola ricetta valida per tutti. Ed è sbagliato dal punto di vista poli-

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tico, perchè i sistemi previdenziali vanno talmente al cuore del contratto sociale pro-prio delle singole comunità che una imposizione dall’esterno sarebbe vista comeun’inaccettabile interferenza.”La potenza dello stato, antropologico, delle cose, dunque, non può più essere valu-tata come variabile dipendente dall’economia e il libero mercato dimostra, semprepiù, di aver bisogno di regole, in primis della pace mondiale. Il liberoscambio impo-sto dai paesi più forti, a sua volta, accentuando le ineguaglianze può, invece, spin-gere verso rapporti di forza per la conquista o la difesa dei mercati. Friedrich List, originario di Württemberg, esiliato per le sue idee liberali soggiornòa lungo negli Stati Uniti e una volta tornato in patria divenne acceso sostenitore del-l’unione doganale (Zollverein) dei piccoli stati tedeschi; scrisse a metà Ottocento,“Il sistema nazionale di economia politica”. Nel libro List fa una critica forte all’in-dividualismo, uno dei presupposti del pensiero classico anglosassone, e contrappo-ne la propria teoria delle “forze produttive” alla teoria classica dei “valori”. “La capacità di creare delle ricchezze - scrive l’economista tedesco - è infinitamen-te più importante della ricchezza come tale; essa garantisce non soltanto il possessoe la moltiplicazione dei beni già acquisiti, ma anche la ricostruzione di quelli già per-duti. Se ciò è valido per i privati lo è ancora di più per le nazioni, che non possonovivere di rendita. La Germania è stata devastata in ogni secolo dalla peste, dallecarestie, da guerre interne ed esterne, ha però sempre salvato gran parte delle sueforze produttive, e così ha sempre raggiunto una certa prosperità; mentre la Spagna,ricca e potente, ma calpestata dai despoti e dai preti, in pieno possesso della paceinterna, è caduta in una miseria e in una povertà sempre più profonde (...) Chi vor-rebbe cercare la ragione e rendersi conto del perchè una nazione si sia elevata dallapovertà e dalla barbarie alla prosperità e alla civiltà e come un’altra nazione dallaricchezza e dalla fortuna sia caduta in miseria e povertà, alla risposta che il lavoro èla causa della ricchezza e la pigrizia quella della povertà (un’osservazione che, delresto, il re Salomone aveva già fatto tanto tempo prima di Adam Smith), farà sicu-ramente seguire un’ulteriore domanda: qual è dunque la causa del lavoro e qualequella della pigrizia?”Ebbene per List la risposta a questa domanda è un pò ciò che hanno fatto i norde-stini in quest’ultimo secolo: lo spirito che anima gli individui, l’ordine sociale, gliaffetti, il buon esempio per i più giovani, l’educazione, l’intelligenza; insommaquello che abbiamo definito come ‘sistema famigliare’. La forza produttiva, dunque, viene prima del valore di scambio. Ed è pesante la cri-tica di List a Smith che “giunse a considerare improduttivo persino il lavoro intel-lettuale” tanto era preso dalla “ricchezza - materiale - delle nazioni”.

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E per finire non si può non citare, a titolo di chiarezza, l’esempio che lo stesso Listfa del buon padre di famiglia che somiglia al profilo del padre di famiglia delNordest. “La differenza - scrive List - fra la teoria delle forze produttive e la teoria dei valo-ri potrà essere spiegata meglio con un esempio tratto dall’economia privata. Se didue padri di famiglia entrambi proprietari terrieri, entrambi in grado di risparmiareannualmente mille talleri ed entrambi con cinque figli, uno investe i propri risparmie manda i figli a svolgere un lavoro manuale, l’altro impiega i suoi risparmi per faredi due dei suoi figli degli agricoltori intelligenti e per preparare gli altri tre all’eser-cizio di una professione conforme alle loro attitudini, il primo opera secondo la teo-ria dei valori, il secondo invece secondo la teoria delle forze produttive. Al momen-to della sua morte il primo sarà più ricco del secondo in valori di scambio, ma perciò che riguarda le forze produttive le cose staranno assai diversamente. La proprietàdel secondo padre si troverà divisa in due parti, e ciascuna di esse, grazie ad una col-tivazione migliorata, fornirà un provento netto pari a quello che prima si ricavavadalla proprietà intera; nel contempo gli altri tre figli trarranno larghi mezzi di sussi-stenza dalle loro attitudini personali. La proprietà del primo invece si troverà divisain cinque parti ed ogni parte verrà coltivata nello stesso modo nel quale è stato col-tivato finora il complesso. Nell’una famiglia viene risvegliata e sviluppata una quan-tità di forze intellettuali diverse e di attitudini che si moltiplicano di generazione ingenerazione; ogni generazione seguente possiederà più forza per ottenere ricchezzemateriali della antecedente. Nell’altra famiglia invece aumenterà l’ignoranza e lapovertà, nella stessa misura nella quale aumenta il frazionamento del terreno. Cosìil proprietario di schiavi aumenta, per loro tramite, la somma dei suoi valori di scam-bio, ma rovina la forza produttiva delle generazioni future. Ogni spesa fatta per l’i-struzione della gioventù, per l’amministrazione della giustizia, per la difesa dellanazione ecc. è una distruzione di valori di scambio a favore delle forze produttive.La maggior parte dei consumi di una nazione va a vantaggio dell’educazione dellegenerazioni future e delle cure per la futura forza produttiva nazionale. Il cristiane-simo, la monogamia, l’abolizione della schiavitù e della servitù, la monarchia ere-ditaria, l’invenzione della stampa, della posta, della moneta, dei pesi e delle misure,del calendario e degli orologi, la polizia di sicurezza, la liberalizzazione della pro-prietà fondiaria, e i mezzi di trasporto sono ricche sorgenti di forze produttive.”Ora, agli inizi del 2000, per gli effetti liberoscambisti spinti all’estremo di fattoabbiamo vendite bloccate e consumi depressi, culture vilipese e forze produttivedisorientate. Qui a Nordest, dove le indicazioni di List sono antropologicamente ee anche inconsciamente più sostenute, la reazione etnocentrica, a questo punto,

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diventa lo sbocco naturale. Il Nordest, nel cuore dell’Europa dei popoli, non ha nes-sun’altra strada possibile se non acquisire una maggiore consapevolezza della pro-pria identità e del proprio capitale sociale ed economico, di quello che in parte inrealtà già fa, per contribuire a creare un nuovo equilibrio tra le nazioni e, quindi,mercati sempre più prosperosi e degni. E in Friuli-Venezia Giulia, come in Trentino-Alto Adige/Südtirol è anche arrivatol’etno-socialismo. Il neo Presidene della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, Riccardo Illy, nelledichiarazioni programmatiche ufficiali, non a caso dirà: “Qui, in quest’Aula, voglio,pertanto, riaffermare il mio personale impegno che l’azione di questo governo saràsempre guidata dall’idea principale che la nostra vera ricchezza è la diversità nel-l’unità (…) L’unico obiettivo è e rimane ‘il servizio nel governare’, avendo ben pre-sente che alla fine della nostra giornata abbiamo il dovere etico di dar conto delnostro operare. Alla nostra gente, ma anche alla nostra coscienza. Con la certezza dicontribuire ogni giorno per il ruolo che ci compete ad adoperarci fattivamente affin-ché la nostra Regione possa - memore della sua storia, delle sue tradizioni e dei suoivalori culturali - svolgere quel ruolo internazionale per essere faro e centro dellanuova Europa.” Ora il Nordest è in una posizione di forte instabilità, attesa e preoccupazione. Ma èanche in attenuazione la drammatizzazione del panico. C’è della ricchezza accu-mulata e nei prossimi anni si dovranno prendere decisioni di protezione di quanto èstato ottenuto finora e di riorganizzazione per quanto si vorrà fare nei prossimidecenni non dimenticando che alla base di tutto ci sono, sempre, gli uomini e donnee gli anni che passano, i-ne-so-ra-bil-men-te. Un futuro ci sarà sempre, ma un corretto e consapevole esame di realtà ci dice chesolo il presente esiste, e questa, almeno, è una verità!

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE E ON-LINE

Per la bibliografia essenziale rimando alle note di seguito. Mentre per una bibliografia dettagliata e in progress ho previsto la pubblicazione di apposite paginenel sito dedicato al libro in @Nordest – www.anordest.itNel sito saranno pubblicati anche gli aggiornamenti, i dibattiti e le notizie inerenti le tesi contenute nellibro e saranno linkate altre indagini che riterremo interessanti sul Nordest.Stessa soluzione anche per i link. Qui sono stati proposti soltanto quelli ritenuti indispensabili; tutti glialtri sono riportati nel sito e, soprattutto, tenuti aggiornati.

Per contattare l’autore si può utilizzare l’indirizzo di posta elettronica: [email protected]

Di Emmanuel Todd si consiglia la lettura:

- "La chute finale. Essai sur la décomposition de la sphère soviétique" – Ed. Robert Laffont, 1976 - "Le fou et le prolétaire", Robert Laffont, 1979 - "L'invention de la France". Scritto con Hervé le Bras - Hachette-Pluriel, 1981- "La troisième planète, Structures familiales et systèmes idéologiques" - Le Seuil, 1983 - "L'enfance du monde, Structures familiales et développement" - Le Seuil, 1984 - "La nouvelle France" - Le Seuil, 1990 - "L'invention de l'Europe" - Le Seuil, 1994 - "Le destin des immigrés" - Le Seuil, 1994 - "L'illusion économique". Essai sur la stagnation des sociétes développées – Gallimard, 1998 - "Dopo l’impero - La dissoluzione del sistema americano", Marco Tropea Editore, 2003

Di Davide Lopez:

- "Analisi del carattere ed emancipazione" - Jaka Book, 1972- "E Zarathustra parlò ancora" - Essai, 1973- "Al di là della saggezza, al di là della follia" - Guaraldi, 1976- "La psicoanalisi della persona" - Boringhieri, 1983- "Libertà e amore" scritto con Silvia Corbella - Boringhieri, 1986- "La via nella selva" - Raffaello Cortina,1987- "Dalla depressione al sorgere della persona", con Loretta Zorzi - Raffaello Cortina Editore, 1990- "Il mondo della persona (Aforismi)." - Raffaello Cortina, 1991- "La psicoanalisi della consapevolezza" - Edizioni Scientifiche Italiane Napoli, 1997- "La sapienza del sogno", con Loretta Zorzi - Ed. Masson, 1999- "Terapia psicoanalitica delle malattie depressive" con Loretta Zorzi - Raffaello Cortina, 2003

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“Il nuovo Nordest” supplemento a @Nordest - www.anordest.itProgetto editoriale: Francesco Brasco

Finito di stampare nel mese di novembre 2003da Global Print - Gorgonzola (Milano)

per conto della Ergon Edizioni - Vicenza

@Nordestwww.anordest.it

“Il nuovo Nordest” è un prodotto dell’infoweb