30

Il Paese della Vergogna

Embed Size (px)

DESCRIPTION

le grandi stragi che hanno insanguinato l’Italia dal 1944 al 1993

Citation preview

0001

Pamphlet, documenti, storie.

REVERSE

Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani, Caterina Bonvicini, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza, Davide Carlucci, Carla Castellacci, Pino Corrias, Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro, Giovanni Fasanella, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André,Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Stefano Giovanardi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Marco Lillo, Giuseppe Lo Bianco, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Angelo Miotto, Giorgio Morbello, Alberto Nerazzini, Sandro Orlando, Pietro Palladino (corporate identity), David Pearson (graphic design),Maria Perosino, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello (web editor), Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Luca Rastello,Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Matteo Scanni, Marco Travaglio, Carlo Zanda.

chiarelettereAutori e amici di

PRETESTO1 fa pagina 11

“La giustizia e la storianon possono maicedere il passo aniente e nessuno,mentre ancora isuperstiti delle stragi,i parenti dellevittime, io mi augurotutto il popoloitaliano, attendonoche le più alte carichedello Stato...chiedano perdono innome della nazioneche rappresentano.” Dalla Prefazione di Franco Giustolisi

fa pagina 92

PRETESTO2

“Degli assassini, delle loro pistole, di ciò che saràdetto negli anni davanti a giudici e magistrati, dei particolari inesatti, delle troppecontraddizioni, restano tracce indelebili... Quelle che solo a leggerle attentamente sarebberola base accusatoria di un processo mai svolto, di una giustizia mai ottenuta.”

fa pagina 81-82

“La notizia dell’omicidio di via Mancinellifa in breve tempo il giro di Milano.

Via Mancinelli è come un fiume in piena.La strada è invasa da persone,

non si distingue più il selciato. La metropolitana è come un’enorme arca

che porta gente dai quartieri più perifericidella città... Ragazzi e ragazze entrano

dappertutto, e gridano, e urlano a granvoce: Hanno ucciso Fausto e Iaio, hanno

ammazzato due come noi.”

fa pagina 66

Com’era avere vent’anni.“Sergio Ramelli è un giovane militante del Frontedella Gioventù... Viene aggredito da alcunigiovani di Avanguardia operaia... Tenta di difendersi... Urla forte ma viene colpito piùvolte e lasciato a terra esanime. Lo soccorronoalcuni passanti... Muore il 29 aprile 1975.”

© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano

ISBN 978-88-6190-006-6

Prima edizione: giugno 2007

www.chiarelettere.itBLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA

Daniele Biacchessi

Il paese della vergognaPrefazione di Franco Giustolisi

chiarelettere

Daniele Biacchessi, giornalista e scrittore, è anche autore, regista e in-terprete di teatro narrativo civile. Dal 2004 porta i suoi spettacoli intutta Italia, per mantenere viva la memoria delle tante vittime inno-centi spesso dimenticate o letteralmente rimosse da chi fa infor-mazione. E da chi amministra la giustizia. È vicecaporedattore di Radio24-Il Sole24ore, dove ha condotto Gialloe Nero, trasmissione dedicata ai misteri d’Italia, e attualmente conduceStoria, una ricognizione sul nostro passato più recente fatta attraversotestimonianze di uomini delle istituzioni, giornalisti, scrittori. Dal 1975 ha lavorato e collaborato con numerose testate, tra cui Ra-dio Popolare, Radio Lombardia, Telemilano 2, Rete A, Antenna3,«l’Unità», «L’Europeo», «Il Mucchio Selvaggio». È stato direttore dellasede milanese, inviato e cronista parlamentare di Italia Radio dal 1988al 1999. Ha pubblicato numerosi libri d’inchiesta. Ricordiamo La fabbrica deiprofumi (1995), sul disastro ambientale di Seveso, Fausto e Iaio (1996),Roberto Franceschi: processo di polizia (2004), Walter Tobagi. Morte diun giornalista (2005), Una stella a cinque punte. I poliziotti delle inchie-ste D’Antona e Biagi (2007) tutti pubblicati da Baldini Castoldi Dalai.E ancora Un attimo... vent’anni (Pendragon 2001), storia dell’Associa-zione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Ildelitto D’Antona (2001) e L’ultima bicicletta. Il delitto Biagi (2003),pubblicati dall’editore Mursia.

Prefazione di Franco Giustolisi 1

IL PAESE DELLA VERGOGNA

Introduzione 17

Nota al testo 22

Il prezzo dell’ingiustizia 23E pensare che era già tutto scritto e catalogato

Piazza Fontana. E poi... 36Le verità indicibili e il meccano della Giustizia

Senza pietà 55C’è chi semina solo morte

Spari nel buio 63Com’era avere vent’anni

Anni Settanta. In tre storie 73Quando ancora i giovani erano impegnati politicamente

Piovre 97Una storia che parte da molto lontano

Sommario

Prefazionedi Franco Giustolisi

Questo libro parla di stragi nazifasciste, degli anni Set-tanta con terrorismo rosso e nero, di mafia. Retaggi pe-santissimi i cui fantasmi, ma non si tratta solo di fanta-smi, ci portiamo dietro ben più che da una vita. Neuscirà un quadro, io credo, veritiero e crudele, verità ecrudezza date dai fatti. E ci si domanda, se cerchiamodi uscire dal pettegolezzo, dal chiacchiericcio: in chepaese viviamo? La risposta mi è arrivata da una cittadi-na industriale concreta e bella, Correggio, in provinciadi Reggio Emilia. Ero stato invitato lì nei primi mesidel 2006 per la presentazione del mio libro L’armadiodella vergogna, in occasione dell’inaugurazione dellanuova sede della locale Camera del Lavoro. Ricordo chela mattina dopo sulla «Gazzetta di Reggio» vidi un tito-lo, sparato in prima pagina, che mi fece incazzare: «Reg-gio Emilia deve fare i conti con il suo passato». Motivo:uno dei libri di Pansa sui suoi ripensamenti storici. Maquali conti? Per le vendette, per qualche vendetta di chiaveva sparato ai criminali che gli avevano ucciso il pa-dre, il fratello, la moglie? Vent’anni di dittatura e ventimesi, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 fecerosgorgare tanto sangue innocente: civili, non partigiani,bambini, vecchi, donne. Un fiume di sangue, partico-

larmente in Toscana ed Emilia Romagna grazie ai lanzi-chenecchi di Hitler e del Mussolini di Salò. Fare i conticon il nostro passato? Farli noi che siamo stati le vitti-me? Si vuole un pari e patta? Eh, già, questo si sarebbevoluto, e ritengo che lo si voglia ancora, come quandoun senatore di Alleanza nazionale presentò la propostaper equiparare i repubblichini ai partigiani, riscuotendopersino gli applausi, come riportano gli atti delle crona-che parlamentari, dei suoi alleati di coalizione berlusco-niana.

Ho sempre ripetuto, in ogni occasione che mi si èpresentata, e sono state centinaia e centinaia, in giro perl’Italia a presentare L’armadio della vergogna – una neces-sità dato lo sporco silenzio dell’informazione sul temadelle stragi nazifasciste – i concetti di Italo Calvino eNorberto Bobbio. Sto qui a ripeterli nella loro essenzaperché delimitano quel che è stato e quel che è: anche ilpiù feroce, il più ributtante, il più interessato dei parti-giani si batteva per la libertà; anche il più dolce, il piùidealista, il più mite dei repubblichini si batteva per ladittatura. Reggio deve fare i conti con il suo passato? Miero inferocito. Corsi a Carpi, dov’ero già stato in occa-sione di una ricorrenza che riguardava il lager di Fossoliin cui furono massacrati settantadue antifascisti, parlaicon il sindaco, telefonai a quello di Reggio: «Dovete rea-gire, sono gli altri che hanno un conto con voi...». Miassicurarono che avrebbero fatto qualcosa. Non feceroniente.

Il motivo l’ho compreso qualche tempo dopo, e poilo spiegherò. Ora voglio raccontare perché ho legato lavicenda di Correggio al libro di Biacchessi. Poco primadel 27 gennaio, Giorno della Memoria, del 2007, Ren-zo Giannoccolo, uno dei sindacalisti della Cgil, michiese per il loro giornale un articolo. Sono stato ben

4 Il paese della vergogna

felice di farlo e gliel’ho inviato. Qualche giorno dopome lo ha rinviato, nell’ipotesi che avessi voluto apporta-re delle correzioni, con il titolo che aveva preparato: «Ilpaese della vergogna». Questa intestazione gli venneistintivamente leggendo quel che avevo scritto e che inmodo meno sintetico e con altro taglio è ciò che stoscrivendo ora.

La mancanza di reazione, dunque, di fronte a un’of-fesa così pesante: è Reggio che deve fare i conti con ilsuo passato? Perché? La chiave di lettura me la dette l’11aprile 2006 il Presidente della Repubblica Carlo AzeglioCiampi. Era come si ricorderà il giorno successivo alleelezioni vinte, sia pure per un soffio, dal centrosinistra.Ero andato da lui dopo l’esito sconcertante della Com-missione parlamentare d’inchiesta sulle stragi nazifasci-ste, alla quale era stato in un certo senso proprio lui adare il la quando ci ricevette al Quirinale nel febbraiodel 2001. Il «ci» si riferisce al fatto che oltre a me c’eral’allora sindaco di Stazzema, Gian Piero Lorenzoni, e po-chi altri, a nome del neonato Comitato per la Verità, laGiustizia, la Storia e la Memoria. Allora, quella secondavolta, Ciampi non aveva ancora deciso, o se aveva giàdeciso non me lo comunicò, se ripresentarsi o meno perla massima carica di Capo dello Stato. Gli illustrai leconclusioni a dir poco gaglioffe di quella che era statanella precedente legislatura la maggioranza. Addiritturail relatore, che poi era Enzo Raisi di Alleanza nazionale,designato a quel ruolo con assai scarso spirito di elegan-za, aveva messo in discussione il carteggio tra i due mi-nistri di un Governo Segni del 1956, Gaetano Martino,liberale, ministro degli Esteri, e Paolo Emilio Taviani,democristiano, ministro della Difesa. Il primo, al qualesi era rivolto un magistrato militare per chiedere se si po-tevano processare i criminali nazisti che avevano ucciso

Prefazione 5

a tradimento a Cefalonia dai quattromilacinquecento aiseimilacinquecento militari della divisione Acqui, scri-veva al suo collega Taviani che, pur trattandosi di delittiinfami, era meglio mettere da parte la giustizia, se si vo-leva il riarmo della Germania in funzione anti-Urss. Ecosì avvenne, nel nome della Nato, sacro oggetto di de-siderio e di genuflessione. Parole chiarissime che blocca-rono l’inchiesta, anche se poi, paradossalmente, fu fattoil processo a una trentina di superstiti della divisione Ac-qui accusati di aver subornato il comandante, generaleAntonio Gandin, convincendolo a non consegnare le ar-mi ai nazisti: per una singolare deviazione del «paese del-la vergogna» verranno assolti. Taviani mi confermò ilfatto in una lunga intervista, ma Raisi ha affermato negliatti del Parlamento che si trattava di un carteggio «per-sonale», avvalendosi tra l’altro della testimonianza diGiulio Andreotti.

Ricordo a chi non ne fosse a conoscenza che nell’ar-madio della vergogna sono stati rinchiusi per oltre mezzosecolo seicentonovantacinque fascicoli che raccontavanodegli eccidi di cui furono vittime tanti innocenti. E inquattrocentoquindici di questi fascicoli erano già anno-tati dall’immediato dopoguerra i nomi degli assassini. Eallora Martino (padre di Antonio, ministro di Berlusco-ni) scrive al suo collega per esprimere opinioni private?Sembra che si scambino pareri sulle loro preferenze ali-mentari. Martino, siciliano, opta per la pasta alla Norma,quella con le melanzane, Taviani, invece, da buon geno-vese, tifa per le trenette al pesto. Ma questo non spiegaperché quei fascicoli rimasero nell’armadio. Ed ecco checosa afferma, allora, Raisi, con approvazione ben si in-tende degli altri berlusconidi: rimasero lì, quei fascicolicon decine e decine di migliaia di cadaveri resi tali dacentinaia e centinaia di assassini, perché i magistrati mili-

6 Il paese della vergogna

tari dell’epoca pensavano ad altro: dovevano accompa-gnare figli o nipotini a scuola, la moglie a far compere oerano impegnati in lunghi tornei di tressette o di bridge.O, sempre a causa di quella benedetta «noncuranza», sierano addirittura dimenticati di quell’onda di delitti. L’i-neffabile Raisi se n’è uscito su «QN» (il «Quotidiano Na-zionale» che raggruppa «Il Resto del Carlino», «La Na-zione», «Il Giorno», purtroppo non più quello dei tempimiei, cioè gli anni Sessanta) con un lungo articolo dal ti-tolo «L’armadio della vergogna? Un’invenzione della sini-stra». Questo accadeva il 16 gennaio 2007. Gli ho rispo-sto a ruota il 21 gennaio, concludendo così: «Lui è l’e-spressione vivente della falsità della svolta di Fiuggi: fa-scista era e fascista è rimasto». Nella risposta me la pren-devo con Arrigo Petacco per il suo commento, insieme aquello, in tandem, di Nicola Caracciolo su «la Repubbli-ca» sulla strage di Marzabotto: è possibile, si sono do-mandati i due, arrivare a una sentenza dopo così tantotempo? Una sentenza di condanna dopo sessantadue an-ni? Se la son presa persino, facendo passare questo mes-saggio sui due più importanti giornali italiani, con le len-tezze croniche della giustizia, che in questo caso proprionulla c’entrano. E hanno dimenticato, non so se lo sapes-sero o meno, che certi delitti, quelli contro l’umanità,non cadono mai in prescrizione. Qualche lacrimuccia,poi, potevano pur versarla per un’altra categoria di vec-chietti: i superstiti, i familiari delle vittime. E per tuttinoi cittadini italiani, vecchietti e no, che hanno, che ab-biamo scoperto l’armadio della vergogna e relative stragidopo oltre mezzo secolo non perché i giudici militaripensavano ad altro, ma perché un governo di centrode-stra, io sostengo a guida degasperiana, impedì, per Ra-gion di Stato ancora ignota, che venisse fatta giustizia.Probabilmente è questo il motivo dell’ignobile conclu-

Prefazione 7

sione della relazione, clerical-fascista, di quella vecchiamaggioranza: che non venisse neanche sfiorato il sacronome di De Gasperi e, di questo sono ancora più sicuro,affinché non emergesse il vile ruolo dei repubblichini,concorrenti, in quanto a ferocia, delle SS.

Ma non basta: in un aggrovigliato arzigogolare hannocercato di insinuare che l’armadio fosse la prosecuzionelogica dell’amnistia Togliatti. Me ne ero reso contoquando fui sentito in Commissione – la parola esatta èassai più suntuosa: audito. Ero seduto a fianco del presi-dente, posto riservato a tutti i testimoni, ma tra noi duecorreva gelo reciproco. Il motivo: durante un’intervistatelevisiva a una domanda dello sprovveduto giornalistache gli chiedeva di quali partiti fosse la responsabilitàdella sepoltura della giustizia nell’armadio, rispose: «Tut-ti i partiti». Per ogni dove, dove ho potuto e dove mi ècapitato, a voce o per iscritto, ho contestato quell’affer-mazione (nonché la passività dello sprovveduto collegache non chiese chiarimenti). Ho sempre sostenuto che sitratta di un falso, come dimostra una lettera del giugno1947 nella quale si attestava che i processi erano pronti.Ebbene, da un mese e pochi giorni era cambiata la mag-gioranza di governo, dal centrosinistra al centrodestra.Ergo, per sapere chi sia stato l’affossatore si deve cercaretra i governanti dal giugno 1947 in poi, tutti di centro-destra. In quell’occasione, a parte l’ironia sull’armadiodella vergogna del quale tuttavia tutti i testimoni hannoconcordemente confermato l’esistenza, un fascista e undemocristiano – uno dell’Udc, per essere chiaro – si ar-rampicarono sullo specchio del parallelismo tra l’amni-stia Togliatti e l’armadio della vergogna. Rispondo comeavrebbe fatto un qualsiasi ragazzo delle scuole medie chefosse arrivato a certi temi: l’amnistia, discutibile finchési vuole, fu un provvedimento preso alla luce del sole,

8 Il paese della vergogna

discusso e approvato dal Parlamento. L’armadio, invece,rappresentò e rappresenta una violenta ribalderia politi-ca perché furtivamente si privò della giustizia il popoloitaliano.

Ciampi, durante il nostro colloquio, mi fece intende-re che, tuttavia, la relazione della vecchia minoranza eradiversa. Non potei però fare a meno di rilevare che nonaveva indicato chi fu l’autore del mastodontico affossa-mento. Potere o volere? Questione di Ragion di Stato?Del resto la mancanza di vigore, nerbo e possanza secon-do il mio punto di vista, proveniva dalla vecchia idea delvecchio Pci, largamente condivisibile in generale, di cer-care di unire piuttosto che dividere. Giusto. Non si era-no resi conto, quelli dell’opposizione di allora, di chiavevano di fronte? Evidentemente no, se Carlo Carli,non il comico triestino, come informa Internet, bensì ildeputato (ora ex) di Viareggio, capogruppo dei ds inCommissione, si propose come relatore di tutti, mag-gioranza e opposizione. Non si misero a ridere in suapresenza, ma forse tra loro lo fecero, visto quel che ave-vano in animo di dire e lo dissero con la loro relazione.M’era venuto in mente di denunciarli alla Procura dellaRepubblica di Roma perché non sono andati a cercaredove dovevano andare o se ci sono andati lo hanno fattosolo come alibi senza approfondire nulla. Ma mi fu ri-cordato che le opinioni dei politici, e in questo caso,stando ai tecnici del ramo, siamo in tema di opinioni,sono insindacabili. Lo dice la Costituzione, purtroppo,creata in anni in cui la politica, specie quella di sinistra,doveva escogitare tutti i mezzi per difendersi. Comun-que, oggi, su questo punto, visto quel che ci è stato sfor-nato, rimanendo sempre in tema di commissioni, perTelekom-Serbia, per l’affare Mitrokhin e, per ultimo, eaffronto più grave, per le stragi nazifasciste, beh, far ca-

Prefazione 9

pire che anche le fandonie hanno un limite non sarebbemale. Col Presidente Ciampi parlai anche dello stuporeche mi aggredì quando rilevai lo scarso calore della sini-stra dopo che affrontai le prime volte quel tema. Lui, amo’ di spiegazione, mi mostrò il libretto di AlessandroNatta, L’altra resistenza, edito dagli Struzzi.

Ebbene, Natta, fatto prigioniero dai nazisti a Lero erinchiuso in campo di concentramento, nel 1954 portòil manoscritto del suo libro alla casa editrice EditoriRiuniti, allora e sino a pochi anni fa di proprietà delPartito comunista. Natta raccontava la sua esperienzadurissima, e quella di altri circa settecentomila soldatiitaliani: gelo, fame, privazioni di ogni tipo, estrema du-rezza dei guardiani. Ma lui e l’enorme maggioranza de-gli altri non cedettero alle lusinghe che venivano dai na-zisti e dai repubblichini di Salò che promettevano ognicosa a chi fosse passato dalla loro parte. Fu, insomma,l’altra resistenza, non meno forte, non meno dura, nonmeno efficace rispetto a quella dei partigiani. Ma quelmanoscritto gli fu rifiutato. Lui lo rimise nel cassetto elì lo tenne anche quando divenne segretario del partito.Lo presenterà a un altro editore solo quando uscirà de-finitivamente dalla politica. I motivi di quel primo ri-fiuto? L’ideologia della pacificazione: non fare, non di-re, non proporre nulla che possa sapere di provocazio-ne. Idea giustissima, visto il nostro passato, con il fasci-smo prima e con la sua parziale rinascita sotto forma direpubblichetta forte solo dei suoi sgherri in divisa nerache scesero in campo a fianco delle SS contro coloro chesi battevano per la libertà. Idea giustissima, ripeto, spe-cie in quel periodo in cui da destra, non solo fascista, sicercava di attribuire ogni responsabilità (vedi triangolorosso e simili, in questi tempi ripresi da GiampaoloPansa), a chi era stato contro il regime e si era battuto

10 Il paese della vergogna

per la democrazia. Una teoria mai scritta e catalogata,ma che ebbe gran forza e prese il nome di pacificazione.Ma come certe regole, anche opportune, divenne rigidae becera al punto da essere applicata anche contro il fu-turo segretario del Pci che raccontava solo la realtà, esal-tando coloro che non avevano tradito. E ancora più be-cera quando si trattò di chiedere giustizia, verità, storiae memoria sulle stragi nazifasciste. Si parla tanto di unaricerca di memoria condivisa o da condividere. Su qualibasi ciò può accadere? Solo con il pieno riconoscimentodella Carta costituzionale che ha messo fuori gioco i fa-scisti. Se loro la riconosceranno anche su questo puntochiedendo perdono al paese per essersi schierati dallaparte delle dittature, allora sì... ecco la vera svolta, altroche Fiuggi.

Si eliminerebbe così anche il timido, ridicolo e, ri-batto, becero tentativo da parte della sinistra di ficcarela testa sotto la sabbia, come gli struzzi. Comunque, lagiustizia e la storia non possono mai cedere il passo aniente e nessuno, mentre ancora i superstiti delle stragi,i parenti delle vittime, io mi auguro tutto il popolo ita-liano, attendono che le più alte cariche dello Stato, at-tente a una miriade di cose, chiedano perdono in nomedella nazione che rappresentano: perdono a tutti coloroche hanno subìto la violenza fisica e quella non menobrutale del silenzio cinquantennale. E, a proposito disilenzio, è ora di chiedere ragione all’informazione circail suo tacere sull’armadio della vergogna. Dico e ho ri-petuto più volte, e ancora lo ripeto: gli assassini nazifa-scisti sono stati fedeli al loro ruolo di criminali; anchela politica lo è stata trovandosi a paravento la Ragion diStato. Ma i giornalisti? Qual è il loro ruolo se non quel-lo di dar le notizie, senza ometterle per alcuna ragione?Un silenzio se possibile ancor più criminale di quello di

Prefazione 11

coloro che hanno ucciso e di quello di coloro che in se-guito hanno nascosto quei crimini. Non è, forse, quelladell’armadio, la più drammatica vicenda italiana e, senon altro, la più singolare di qualsiasi Stato occidenta-le? Sì, lo è. Allora com’è possibile pensare ad altro, pas-sare ad altro? E tutti o quasi, come se fosse passata sot-terraneamente una sorta di parola d’ordine. Niente dameravigliarsi per quel che riguarda il periodo berlusco-niano, con i fascisti al governo, cioè Mirko Tremaglia,che mai ha rinnegato il suo passato, l’evitare argomenti«caldi» è stato istintivo per una categoria abituata dasempre al servaggio. Ciampi ha sempre ammonito: driz-zate la schiena. Io, più pessimista, ne sostengo l’impos-sibilità dato che i giornalisti italiani sono messi al mon-do senza spina dorsale. Ma dopo? Dovrebbe essere in-tervenuto l’altro tipo di veto, quello degli eredi del vec-chio Pci: pacificazione a ogni costo, quindi ancora si-lenzio. Vi si sono attenuti la gran parte dei giornalisti, ein ciò chi ha ottenuto il massimo fulgore è la miticastampa scritta, presunta di sinistra. Con chi te la vuoiprendere? Beh, un po’ con tutto il mondo, con questopaese della vergogna che ha il timore di rivelare quel chestoricamente è avvenuto appena ieri e cronisticamentesta avvenendo ancora oggi. Comunque alle spalle, sidirà, ci sono le mitiche associazioni i cui gonfaloni sonoappesantiti da varie medaglie: l’Anpi (Associazione par-tigiani d’Italia); l’Anppia (Associazione perseguitati po-litici antifascisti italiani); l’Aned (Associazione naziona-le ex deportati) e tante altre. Dal Congresso nazionaledell’Anpi, tenutosi a Cianciano nel febbraio del 2006, aridosso delle conclusioni della Commissione parlamen-tare d’inchiesta sulle stragi nazifasciste, giungono unaserie di proposte: controbattere in convegni, e tirandoin ballo i politici, quelle conclusioni; promuovere

12 Il paese della vergogna

un’inchiesta a vario raggio per sapere quante furono levittime militari, come a Cefalonia, e civili, ventimila,venticinquemila, trentamila, forse più dato che si van-no scoprendo eccidi che neanche erano finiti nell’arma-dio della vergogna; dedicare monumenti alle vittime,uccise da armi nazifasciste e sotterrate dal tacere deimass-media, nei capoluoghi di regione. La base accolsecon entusiasmo le proposte come certificano le nume-rosissime firme di adesione. Ma la base, come in ognidemocrazia che si rispetti, rimane pur sempre la base:va seguita e incoraggiata solo quand’è d’accordo con ivertici. E questo, con tutta evidenza, non era proprio ilcaso, dato che si sarebbe dovuto contravvenire a un vec-chio diktat e specialmente perché tra loro e le cariatidic’è un acceso e non ancora definito confronto in quan-to a immobilismo. Chi vincerà? Ai posteri, come si sa,l’ardua sentenza. Ma nel frattempo c’è da registrare unamossa, anzi una non mossa a favore dell’Anpi. C’è stataquando Marcella De Negri, figlia di un capitano delladivisione Acqui ucciso a Cefalonia, si è costituita partecivile nel processo a Monaco di Baviera contro uno de-gli assassini nazisti ancora in vita, conclusosi in primogrado con quell’orrida sentenza che ha definito i nostrisoldati «traditori e disertori»? Diciamo che in questaprima fase le vigili antenne anpiane non avevano fun-zionato, nel senso che non avevano captato l’esistenza diquel processo. Ma cosa è successo per l’Appello? La si-gnora De Negri era ancora sola, a sue spese si è nuova-mente costituita parte civile. Dov’era l’Anpi? Dov’eral’Anppia? Dov’era l’Aned? E, soprattutto, dov’era lo Sta-to italiano? Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, erarappresentato sul palco a Milano dal vicesindaco Ric-cardo De Corato, uomo di An acceso e nostalgico. Conlui parlavano cordialmente, come ha notato con un cer-

Prefazione 13

to disgusto Daniele Biacchessi, Giovanni Pesce, pluri-decorato partigiano, ma che forse non sapeva neanchechi gli avessero messo vicino, e il presidente nazionaledell’Anpi, Tino Casali. Se i fascisti chiederanno perdo-no, allora abbracci e baci, anche in bocca. Altrimentiche ognuno rimanga dalla sua parte. Ovviamente daquel palco nessuno ha parlato delle stragi nazifasciste,ma solo di Olocausto degli ebrei. Quello degli italiani,non posso dire dei cattolici, è stato dimenticato. Lo sifa da ben sessantadue anni. Vi pare poco? Altrimentinon saremmo il paese della vergogna.

14 Il paese della vergogna

0001