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Faculteit Letteren & Wijsbegeerte Charlotte Van Den Bossche Il sogno e la visione nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso Masterproef voorgelegd tot het behalen van de graad van Master in de taal- en letterkunde Engels - Italiaans 2013 Promotor Prof. dr. Mara Santi Vakgroep Letterkunde Copromotor Prof. dr. Claudio Gigante

Il sogno e la visione nella Gerusalemme Liberata di ... · genere epico in senso cattolico operata da Tasso, influisce sull’uso del sogno e della visione. Prima di avviare l’analisi

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Faculteit Letteren & Wijsbegeerte

Charlotte Van Den Bossche

Il sogno e la visione nella Gerusalemme

Liberata di Torquato Tasso

Masterproef voorgelegd tot het behalen van de graad van

Master in de taal- en letterkunde

Engels - Italiaans

2013

Promotor Prof. dr. Mara Santi

Vakgroep Letterkunde

Copromotor Prof. dr. Claudio Gigante

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Faculteit Letteren & Wijsbegeerte

Charlotte Van Den Bossche

Il sogno e la visione nella Gerusalemme

Liberata di Torquato Tasso

Masterproef voorgelegd tot het behalen van de graad van

Master in de taal- en letterkunde

Engels - Italiaans

2013

Promotor Prof. dr. Mara Santi

Vakgroep Letterkunde

Copromotor Prof. dr. Claudio Gigante

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Ringraziamenti

Questa tesi è il coronamento di un percorso di studio intensivo e talvolta impegnativo

all’Università di Gand. Lungo questo percorso ho potuto approfondire la mia conoscenza

dell’inglese e dell’italiano, nonché delle rispettive culture e letterature. Sono molto

soddisfatta di poter finire i miei studi con una tesi su uno dei maggiori capolavori italiani

che, anche se si colloca in tempi ormai lontani, pure continua a fare appello

all’immaginazione.

Anzitutto vorrei ringraziare la mia promotrice, professoressa Mara Santi, che mi ha

assistito con i suoi consigli e il suo sostegno. Durante la stesura mi ha spinto nella direzione

giusta, ed è stata sempre pronta ad aiutare in caso di dubbi o di difficoltà. Con gratitudine,

ripenso alla sua decisione di accompagnarmi in questo viaggio.

Vorrei anche ringraziare il mio co-promotore Claudio Gigante per i suoi suggerimenti e

le sue raccomandazioni concernenti la bibliografia di base.

Infine, vorrei aggiungere che questo lavoro non sarebbe stato possibile senza il sostegno

dei miei genitori Caroline Van Delsen e Geert Van Den Bossche – cui sono molto grata di

avermi sempre motivato e incoraggiato – e neanche senza l’appoggio del mio fratello

Maarten che mi ha confortato e stimolato continuamente, sempre tirando fuori il meglio di

me.

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Elenco delle Figure

Figura 1 Le cinque tipologie di sogni – Macrobio 130

Figura 2 Classificazione della rappresentazione letteraria - Macrobio 130

Figura 3 Classificazione delle visioni – Sant’Agostino 131

Figura 4 Classificazione medievale dei sogni in base alle loro origini 131

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Indice

Introduzione 7

I. Il sogno tra teoria e letteratura .................................................................................... 13

1. «Il sogno come luogo dell’arte» ...................................................................................................... 13 1.1 Il sogno e la visione: sviluppo teorico .............................................................................. 13 1.2 Il somnium fictum .................................................................................................................. 19

2. L’universo onirico della Gerusalemme Liberata .............................................................................. 28 2.1 Il tema della religione ......................................................................................................... 28 2.2 Il sogno come espressione poetica ................................................................................... 35 2.3 Il tema politico ..................................................................................................................... 39 2.4 Il sogno di Goffredo ............................................................................................................. 41 2.5 Il sogno di Argillano ............................................................................................................ 42 2.6 Il tema dell’amore ............................................................................................................... 44 2.7 Il tema della magia .............................................................................................................. 48 2.8 Conclusioni ........................................................................................................................... 49

II. Analisi tematica del sogno e della visione: Erminia, Arsete, Tancredi ..................... 52

1. «La bella Erminia» ............................................................................................................................. 52 1.1 La Teichoskopia ovvero una «visione dall’alto delle mura» ........................................... 52 1.2 Il desiderio di Erminia ........................................................................................................ 57 1.3 L’insomnium di Erminia e le sue caratteristiche epiche ................................................. 66 1.4 Il rifugio idilliaco ovvero un sogno d’evasione .............................................................. 72

2. L’ «Infausto annunzio» ovvero il destino di Clorinda preannunciato ...................................... 79 2.1 L’insonnia di Clorinda ......................................................................................................... 79 2.4 Il sogno di Clorinda ovvero un sogno accennato ......................................................... 100

3. «Qual l’infermo talor ch’in sogno scorge»: i sogni di Tancredi ................................................. 102 3.1 Il sogno consolatore .......................................................................................................... 104 3.2 La selva di Saron ovvero un episodio onirico ............................................................... 112

III. Conclusione .................................................................................................................. 121

Bibliografia 125

Figure 130

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Introduzione

Il lavoro qui presentato è uno studio dell’uso letterario del topos del sogno e della visione

nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. In particolare, lo studio concerne le visioni

oniriche della vergine Erminia (G.L., VI, VII), dell’eunuco Arsete (G.L., XII) e del cavaliere

Tancredi (G.L., XII). L’idea della ricerca è nata durante il lavoro sulla tesina di Bachelor

riguardante la magia e l’alchimia nella Liberata1 in cui è maturata un’iniziale osservazione di

una dimensione onirica ben presente nel testo poi confermata dalla critica, poiché esiste

una tradizione di studi sulla Liberata che concorda sulla rilevante presenza di elementi

sovrannaturali nell’opera: in particolare sogni, visioni, e fantasmi. Inoltre, l’autore

medesimo manifesta un particolare interesse per l’arte dell’«onirocritica»2, che gli deriva

dalla rinnovata attenzione alla tradizione ermetico-platonica tipica del periodo umanistico-

rinascimentale3.

Il nucleo della ricerca consiste nel vedere se e come il trattamento del sogno e della

visione nella Liberata devia dal tradizionale trattamento dei due motivi nella letteratura

epica nonché in quella religiosa. Entrambe le letterature si caratterizzano per l’uso del

sogno e della visione come mezzo letterario per motivare cambiamenti strutturali e scelte

dei personaggi e per rendere espliciti concetti o posizioni teoriche4, perciò ci sembra

1 Charlotte VAN DEN BOSSCHE, Il tema della magia nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Un'analisi della

simbologia magico-alchemica nel canto XIII, Università di Ghent, 2011-2012. 2 Si veda il saggio di Giovanna SCIANATICO, La crisi del personaggio regale, in Ead. L’armi pietose, Venezia,

Marsilio, 1990. 3 Maria Luisa Rondi CAPPELLUZZO, Il giardino di Armida, momenti magici ed ermetici in Torquato Tasso, 1990,

Parma, Libreria Palatina, 1990, p. 21. 4 Le fonti della letteratura visionaria sono molteplici e varie: i libri dei Profeti nell’Antico Testamento,

l’Apocalisse (96) di Giovanni di Patmos, Omero e Virgilio, i Vangeli apocrifi, i testi gnostici; quindi tutta la linea

mistica, sia quella cattolica (…), sia quella dei pensatori del Rinascimento laico, fautore della nuova scienza,

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interessante esaminare in qual modo Tasso utilizza gli stessi motivi nella Liberata che si

rende interprete di esigenze particolarmente sentite nel mondo cristiano dell’epoca5.

Benché alcuni critici abbiano messo in discussione l’aspetto religioso dell’epica tassiana in

quanto formalistico o insincero6, tuttavia in Tasso sono individuabili delle posizioni

strettamente legate al dibattito teologico del periodo7, tanto che nella Liberata l’aspetto

sovrannaturale assume delle connotazioni cristiani fondamentali che vanno a costituire il

nucleo profondo del poema8. Vale dunque la pena indagare come la trasformazione del

genere epico in senso cattolico operata da Tasso, influisce sull’uso del sogno e della visione.

Prima di avviare l’analisi tematica, occorre necessariamente definire i concetti di sogno e

di visione in modo che possiamo analizzare il loro funzionamento nel genere epico e, più

specificamente, nella Liberata. Il Dizionario dei temi letterari (DTL) distingue tra una

definizione di base e nove significati particolari del sogno, di cui ci interessano prima di

tutto il secondo, che offre una classificazione dei tipi di sogni, e il terzo che specifica il tipo

di sogno prevalentemente usato nell’epica:

L’attività psichica che si attua spontaneamente durante il sonno (gr.Ypnos, lat. Somnus,

fr. Sommeil, ingl. Sleep, ted. Schlaf) produce nella mente di chi dorme una sequenza di

immagini e sensazioni a cui diamo il nome di sogno. […] Forme particolari di sogno

sono quello angoscioso, accompagnato da un senso di oppressione e soffocamento […]

in it. Incubo […], o, all’estremo opposto, il sogno a occhi aperti, la fantasticheria: in fr.

Rêverie9. [...]

2. Phantasma (allucinazione), Ephiàles (incubo), Ònar (sogno profetico e oscuro), Hòrama

(visione chiara) e Chrematismòs (sogno oracolare). Questa classificazione sarà ripresa

da Marobio nei suoi Commenti al Sogno di Scipione (sec. IV d. C.: i termini latini da lui

scelti sono rispettivamente: phàntasma, insomnium, somnium, visio e oraculum) e avrà

un’enorme influenza sulle rappresentazioni letterarie del sogno fino alle soglie della

modernità. [...]

che fa capo a Giordano Bruno, sia quella dei mistici protestanti (…) fino alle tradizioni ermetiche e occulte.

Cfr. Remo CESERANI (a cura di), GDE. Dizionario dei temi letterari, Torino, UTET, 3 voll., vol. 3, p. 2654. 5 Erminia ARDISSINO, La Gerusalemme Liberata ovvero l’epica tra storia e visione, in «Chroniques Italiennes», n. 58-

59, 1999, p. 15. 6 DE SANCTIS, DONADONI. Citati in Thobias GREGORY, Tasso's God: Divine Action in "Gerusalemme Liberata", in

«Renaissance Quarterly», vol. 55, n. 2, 2002. 7 Guiseppe SCAVIZZI, Gerusalemme liberata e Controriforma, in «Quaderni d’italianistica», vol. 9, n. 2, 1988, p. 199. 8 T. GREGORY, Tasso's God…cit., p. 560. 9 R. CESERANI, GDE...cit., vol. 3, p. 2278.

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3. Nell’epica, per esempio, gran parte dei sogni sono conformi alla tipologia della visio

o dell’oraculum (nel quale un personaggio autorevole, defunto o divino, enuncia senza

ambiguità eventi futuri). Il sogno, insomma, spesso ribadisce il carattere

provvidenziale dell’azione militare, veicolando talvolta i contenuti politici propri del

genere (DTL)10.

A questa definizione fornita dal DTL vanno aggiunti gli usi secondari del termine

suggeriti da Salvatore Battaglia nella terza, quinta e sesta definizione specifica della nozione

sogno nel Grande dizionario della lingua italiana (GDLI):

3. Apparenza fallace; creazione della fantasia che inventa un mondo alternativo e

diverso, nel bene e nel male, nel presente o nel futuro rispetto a quello reale, con cui

lo integra o a cui spesso lo contrappone come ideale da raggiungere; ipotesi

fantasiosa; […]

5. ciò che si desidera fortemente o da lungo tempo per la propria esistenza;

aspirazione intensamente perseguitata. […]

6. Situazione tanto felice o piacevole da parere impossibile; circostanza propizia che

giunge inattesa […]

– Di sogno (con valore aggett.): incantevole, affascinante (una persona, il visio, anche

un paesaggio, una località)11.

Per quanto riguarda la visione, essa va intesa come:

[la] componente tematica, struttura formale, organizzazione discorsiva, o dimensione

semantica di un testo letterario, [avente] una vasta fenomenologia: la visione

profetica, il sogno e la rêverie, il mito e la leggenda, la follia, la trance, l’allucinazione,

il delirio,, l’effetto dell’uso di droga, la scrittura automatica. Le sue forme espressive

sono tipicamente frammentarie: aforismi, detti proverbiali, oppure manifesti, da un

lato, e dall’altro, visioni mistiche e fughe magiche che deviano il discorso razionale,

viaggi mentali che possono concludersi in scene naturalistiche o urbane facilmente

identificabili o, viceversa, in transizioni improvvise, combinazioni impossibili,

giustapposizioni di bello e brutto, virtuoso e osceno, concepibile e assurdo (DTL)12

.

10 R. CESERANI, GDE...cit., vol. 3, p. 2279. Per una discussione più elaborata sulla classificazione dei sogni e la

relativa discriminante, cfr. il libro di Marco HAGGE, Il sogno e la scrittura: saggio di onirologia letteraria, Firenze,

Sansoni, 1986 in particolare pp. 9-16. 11 Salvatore BATTAGLIA (a cura di), Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 1961- 2004, 21 voll., vol.

19 , pp. 294-295. 12 R. CESERANI, GDE...cit., vol3. p. 2645.

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3. Percezione visiva di immagini o eventi non reali che si verifica in stato di estasi, di

allucinazione, di sonnambulismo o, anche, in sogno – anche: immagine onirica o,

comunque, di carattere irreale.

In partic. Apparizione di persone o entità appartenenti al mondo soprannaturale,

divino o , comunque, alla sfera del sacro

Rappresentazione letteraria della realtà ultraterrena (GDLI)13

Come mostrano le citazioni, la visione non sempre si distacca nettamente dal sogno per

cui è spesso difficile non sovrapporre i due termini: la visione copre infatti una serie di

fenomeni che vanno dal sogno in senso stretto al delirio. Rispetto al sogno la visione può

avere due valori o accezioni: da un lato, e in particolare nella classificazione onirica classica,

essa viene differenziata da o opposta al sogno laddove si caratterizza per qualità profetiche

e designa un’apparizione veridica. In questo caso, visione può essere utilizzata al posto di

sogno per sottolineare la veridicità di quello che si vede in sogno. Inoltre, mentre il sogno «si

fa» (o «si vede in sogno»), le visioni generalmente «si vedono» non soltanto durante il

sonno, ma a volte anche in stato di veglia o in altri stati intermedi al di fuori del sonno

(svegliandosi, addormentandosi, etc.). Dall’altro lato, sogno e visione possono essere sinonimi

nei casi in cui ci si riferisce con il termine visione a quello che si vede in sogno senza accenno

alla relativa veridicità14, o quando si allude alla capacità della visione di alterare

illusionisticamente la realtà15.

Nella Liberata l’interesse di Tasso per il fenomeno onirico si esprime nella presenza di

visioni profetiche che appartengono alla tipologia della visio. Già nel primo canto Dio

comunica la propria volontà al pio Goffredo, leader del campo cristiano, tramite un

messaggero (l’arcangelo Gabriele) che «gli apparì da l’oriente» (G.L., I, ott. 15, v. 8)16. Sempre

a Goffredo appare in sogno l’anima del compagno d’armi Ugone (G.L., XIV, ott. 1-20), il quale

gli offre una visione profetica degli avvenimenti futuri della guerra e gli impone di

richiamare Rinaldo, giovane cavaliere a cui spetta il compito di eseguire i piani congegnati

13 S. BATTAGLIA (a cura di), Grande...cit., vol. 21, p. 920. 14 Cfr. Carla MARCATO, 'Sleep' - 'Dream' - 'Vision': Some Signifiers and designata in Latin and the Romance Languages,

in «Quaderni d’italianistica», n. 1, 2003, p. 78 e p. 85. 15 M. HAGGE, Il sogno... cit., p. 89. 16 Tutte le citazioni dalla Gerusalemme Liberata sono tratte dall’edizione seguente: Torquato TASSO, Gerusalemme

Liberata, a cura di Franco TOMASI, Milano, Rizzoli-BUR, 2009.

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da Goffredo: la combinazione delle loro forze è indispensabile per la conquista della Città

Santa. Altra visio inviata da Dio, è il sogno consolatore di Tancredi (G.L., XII, ott. 91) in cui

l’immagine della donna amata (Clorinda) appare a consolare il cavaliere in sogno. Accanto

alla visio, appaiono altri tipi di sogni e visioni sparsi nella Liberata: l’insomnium o sogno vano

di Erminia causato dal suo desiderio amoroso per Tancredi la tormenta fino a spingerla ad

abbandonare Gerusalemme e recarsi nel campo cristiano (G.L., VI, ott. 65-66); la furia Aletto

ispira una visione falsa in Argillano, uomo impetuoso e incline alla faziosità politica, allo

scopo di creare discordia tra i crociati (G.L., VIII, ott. 57-62); Pietro l’Eremita, colto in una

specie di rapimento estatico, profetizza «le cose altrui ch’indi verranno» (G.L., X, ott. 73-78);

l’immagine di San Giorgio si rivela per due volte all’eunuco Arsete, incitandolo a battezzare

Clorinda (G.L., XII, ott. 36-37 e 39); e infine, «S’offerse a gli occhi di Goffredo» (G.L., XVIII, ott.

92, v. 1) la miracolosa visione delle milizie celesti e dei crociati caduti che ora stanno in

Paradiso.

In base al terzo significato specifico della nozione sogno data da Battaglia, anche i prodigi

e i fantasmi che animano la Selva di Saron (Canto XIII) e i luoghi magici17 rientrano tra i

fenomeni onirici, poiché si tratta appunto di apparenze fallaci e creazioni della fantasia. La

quinta definizione dello stesso elenco, invece, lega il sogno al desiderio, e ne consegue che

pure il desiderio amoroso, diffusissimo nell’opera, appartiene all’universo onirico. L’amore

della maga pagana, Armida, la spinge ad incantare il cavaliere cristiano Rinaldo per farlo

innamorare, e infine, facilita la sua conversione al cristianesimo. Anche la principessa

pagana, Erminia opera in funzione del proprio desiderio per il cristiano Tancredi. In questo

caso, il desiderio non soltanto si esprime in azioni temerarie per raggiungere l’oggetto

d’amore, ma si esprime anche in sogni d’amore o rêves d’amour che inevitabilmente risultano

sogni vani o insomnia (vedi sopra). Inoltre, sempre nello stesso elenco, la sesta definizione

implica che una condizione piacevole in apparenza impossibile si associ alla nozione di

sogno, per cui si potrebbe affermare che la fuga idilliaca di Erminia assume propriamente le

connotazioni di un’esperienza onirica.

Per contestualizzare teoricamente l’analisi tematica dei sogni in questione, in primo

luogo verrà proposta una rassegna introduttiva del sogno e della visione come tema

letterario. In secondo luogo offriremo un esame panoramico degli studi che hanno indagato

17 Mar Morto (Canto X), la selva di Saron (Canto XIII), l’isola dell’Oronte (Canto XIV), e infine il giardino di

Armida (Canto XVI). Cfr. Bortoio Tommaso SOZZI, Il magismo nel Tasso, in «Studi Tassiani», n. 3, 1953, pp. 25-50.

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l’universo onirico nella Gerusalemme Liberata. Dopo questo approccio preparatorio,

tenteremo, in una seconda parte, un’analisi tematica e intertestuale dettagliata delle visioni

oniriche di Erminia, Arsete e Tancredi, il che ci consentirà di trarre delle conclusioni

riguardanti la loro posizione rispetto al topos del sogno.

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I. Il sogno tra teoria e letteratura

In questa parte introduttiva presenteremo una panoramica delle teorie relative al sogno e

alla visione sviluppatesi fino all’epoca di Tasso. Dalle teorie procederemo ad una rassegna

degli usi letterari del sogno e dei cosiddetti dream genres, dopodiché ne preciseremo gli usi

nell’epica, nonché nella tradizione cristiana. Infine, presenteremo un quadro d’insieme

degli studi riguardanti l’uso dei fenomeni onirici nella Gerusalemme Liberata di Tasso.

1. «Il sogno come luogo dell’arte»18

La seguente sezione, tutt’altro che rappresentare una discussione esaustiva sull’argomento,

serve a delimitare il funzionamento e lo sviluppo generale del fenomeno onirico, il che

fornirà la base teorica necessaria per avviare l’analisi tematica. Data la complessità e la

varietà inesauribile dell’oggetto di studio, ci proponiamo di percorrere i grandi momenti

teorici selezionandone solo le nozioni più rilevanti nell’ambito della nostra tesi.

1.1 Il sogno e la visione: sviluppo teorico

Fin dai tempi antichi, la curiosità umana in merito al suo futuro ha fatto fiorire numerosi

metodi di divinazione e rivelazione, tra cui vanno annoverate anche le interpretazioni dei

18 Francesco FIORISTA, Il sogno come luogo dell’arte, in «Rivista La ca’grande», anno XLIII, n. 2, 2002, pp. 30-37.

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fenomeni onirici. Siccome si è sempre creduto nella forza rivelatrice del sogno, non

sorprende l’esistenza di parecchi sistemi per interpretare e classificare l’esperienza onirica.

Di particolare interesse sono le teorie che stanno alla base del processo di interpretazione e

di classificazione dei sogni, poiché ciascuna di queste teorie è il prodotto diretto di un

assetto culturale specifico. Al tempo stesso però anche i sogni sono condizionati dalla

cultura di colui che songo, come sottolinea Dodds19:

molti tipi di struttura onirica dipendono da schemi di credenze trasmessi per il

tramite della società, i quali non ricorrono più quando tali credenze scompaiono. Non

solo la scelta di questo o quel simbolo, ma la natura stessa del sogno, sembra

conformarsi a rigidi schemi tradizionali20.

L’evento onirico si definisce dunque rispetto agli elementi culturali e storici e risulta

fondamentalmente concepito in base ad essi21. D’altro canto è possibile ricavare dalle opere

letterarie la prova di evoluzioni nelle credenze popolari riguardanti il processo e la natura

del sognare.

La storia della teoria onirica viene contrassegnata da tre fasi di teorizzazione, di cui la

prima, quella antica, conosce la sua prima grande manifestazione nella tradizione greca22: a

partire da Democrito vengono proposte varie teorie sull’origine dei sogni che vanno

dall’influsso di «simulacra» o «eidola»23, fino alla visione neoplatonica della collaborazione

dei sensi nel generare un sogno o una visione, la cui veridicità dipende in primo luogo da

fattori digestivi e temporali24. Passaggio fondamentale all’interno di questo sviluppo è la

convinzione che i sogni siano causati da stimoli interni piuttosto che esterni, convinzione

19 M. HAGGE, Il sogno… cit., p. 19. 20 Eric C. DODDS, I greci e l’irrazionale, Firenze, La Nuova Italia, 1959, p. 144. 21 Giulio GUIDORIZZI elenca delle «categorie oniriche che sembrano dipendere da particolari schemi di cultura :

[…] i sogni di metamorfosi o di trasformazione; o anche quelli relativi a teatro, danza, spettacolo; o di

alienazione fisica o psicologica; o di rapporti di ogni genere con figure divine […] o, ancora, la grande rilevanza

che hanno i sogni edipici, di rapporti sessuali con la madre». Cfr. Giulio GUIDORIZZZI, L'interpretazione dei sogni

nel mondo tardoantico: oralità e scrittura, in AA.VV., I sogni nel medioevo: seminario internazionale Roma 2-4 ottobre

1984, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 149-170. 22 Manfred WEIDHORN, Dreams in Seveneenth Century English Literature, Parigi, Mouton, 1970. Di notevole

importanza il capitolo I, Major Theories of the Dream from Homer to Hobbes, p.13. 23 «Un’ombra simile a quelle dei defunti – inviata al dormiente e che penetra nella sua camera da porte,

finestre o fessure». Cfr. R. CESERANI, GDE...cit., vol. 3, p. 2279. 24 M. WEIDHORN, Dreams...cit., p. 28. Aristotele, dicendo che i sogni più chiari si verificano nella mattina

quando lo stomaco è privo di cibo e la mente meno occupata dai pensieri, getta le basi per il topos della

veridicità del sogno mattutino, ampiamente diffuso nella tarda antichità che persiste fino al Rinascimento.

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che trasforma la nozione del sogno da fenomeno mistico e oggettivo a evento psicologico e

soggettivo. Analogamente, l’interpretazione del sogno nella cultura antica procede da una

fase arcaica in cui l’evento onirico si distingue per la sua rilevanza in ambito sociale, non

limitato alla sfera individuale ma capace di rivelare una conoscenza incontestabile relativa

all’ambito della collettività, ad una fase più soggettiva in cui il sogno fornisce all’uomo una

chiave di lettura della propria posizione presenta e futura25. Oltre a riflettere sull’origine dei

sogni e delle visioni, si discute anche la relazione tra sogni divini, di capacità rivelatoria, e

sogni umani in sé insignificanti e perciò non degni di interpretazione e una tale distinzione

tra divino e umano si attesta ripetutamente negli scritti dei pensatori sia greci che latini:

non solo in Aristotele e Cicerone ma anche in figure come Platone, Artemidoro e Lucrezio

che partecipano al dibattito sul significato e l’origine dei sogni26. Quest’ultimo, nel quarto

libro del De rerum natura, elabora una teoria secondo la quale i sogni rispecchiano ed

elaborano quello che occupa (o preoccupa) i nostri pensieri quotidiani, per cui il sogno, in

quanto tale, si avvicina alla nozione di «wish-fullfilment».

Le teorie greco-latine vedono la loro continuazione e trasformazione nella tradizione

tardo-antica, dove acquistano maggior rilievo il Commentario al Somnium Scipionis di

Macrobio e il Commentario al Timeo di Platone di Calcidio, autori neoplatonici che scelgono un

approccio intermedio nel trattare il fenomeno del sogno27. Benché entrambi gli scrittori

teorizzino due tipi opposti di sogni – divino e mondano, vero e falso – conformemente alle

teorie più diffuse, nessuno dei due rappresenta un semplice dualismo e, al contrario,

integrano la struttura binaria con delle suddivisioni interne, modificando così il topos antico

delle Due Porte, fonti dei sogni28. A questo punto, è utile accennare al fatto che la

distinzione greca tra phantasma, ephiàles, ònar, hòrama e chrematismos, che rende il sogno

profetico soltanto un tipo di sogno tra gli altri, viene ripresa da Macrobio, che nei suoi

commenti al Somnium Scipionis distingue tra cinque categorie di sogni, due falsi e tre veri

(cfr. Figura 1). Dalla visio al phàntasma c’è una riduzione di affidabilità del sogno e di influsso

sullo stato vigile dell’adormentato. L’incubo (insomnium) e l’allucinazione (phàntasma) hanno

la loro origine nella mente stessa del sognatore: mentre il primo riflette le sue angosce e

25 Rosa SORIANO, Sogno e Visione nella Letteratura Latina, Napoli, Fratelli Ferraro, 2008, p. 12 e p. 79. 26 Steven KRUGER, Il sogno nel Medioevo, Milano, Vita e pensiero, 1996, p. 41. 27 Ivi., p. 43. 28 Nella mitologia greca, «i sogni si dividevano in due categorie: veridici, quelli che uscivano dalla porta di

corno; fallaci, quelli che uscivano dalla porta di avorio». Cfr. F. FIORISTA, Il sogno come …cit., p. 31.

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inquietudini quotidiane, le allucinazioni sono piuttosto giochi della mente a riposo. Visioni

profetiche, sogni oracolari e sogni enigmatici, invece, rientrano nell’ambito della

divinazione e si situano in alto nella scala di attendibilità. Sia la visio che l’oraculum portano

una conoscenza superiore al sognatore, ma mentre l’oraculum è una profezia diretta, fatta in

prima persona da una figura che proviene dal mondo divino, la visio non necessariamente

riguarda eventi vicini nel tempo e, spesso, il messaggio trasmesso è ambiguo e oscuro, per

cui le istruzioni, a differenza di quello che accade per l’oraculum, non vengono fornite in

maniera diretta29. Tuttavia, solo nel caso del somnium, il messaggio viene comunicato in

maniera simbolica e richiede necessariamente l’interpretazione da parte di un interprete

specialistico. L’originalità di Macrobio consiste nel porre l’accento soprattutto sul sogno

allegorico, il che, secondo Amat, è segno della sua religiosità greca30. La classificazione

proposta da Calcidio nel suo Commentario al Timeo assomiglia per molti aspetti a quella di

Macrobio: come già detto, anche Calcidio respinge una rigida struttura basata su

opposizioni, e tenta di conciliare i due estremi – sogni veri e falsi, divini e mondani31 –

complicando la dicotomia con le categorie dell’admonitio, dello spetaculum, della revelatio.

In età cristiana, le teorie del sogno e della visione della tarda antichità vengono riprese e

approfondite dai Padri della Chiesa che, per la narrazione di esperienze oniriche, si lasciano

ispirare dal neoplatonismo, soprattutto da quello di Macrobio e di Calcidio. Vengono però

introdotti dei mutamenti fondamentali, tra cui sembra di notevole importanza, anzitutto, la

trasformazione dei sogni da «demonici» in «demoniaci»: viene elaborata difatti la

sostituzione degli immortales animi – i mediatori tra un Dio e l’uomo – con Satana e i suoi

discepoli, i demoni. Così, il sogno si fa luogo del contrasto tra Dio e Diavolo32. Il sogno viene

spesso affiancato o sostituito dalla visione, il che viene testimoniato dalla predominanza

della visione nelle opere storiografiche, nell’epistolografia, nelle biografie, nonché dal fatto

che i pensatori cristiani, a differenza di quelli pagani, elaborano teorie incentrate sulle

29 S. Kruger, Il sogno…cit., pp. 48-49. 30 Jacqueline AMAT, Songes et visions: l’au-delà dans la littérature latine tardive, Parigi, Études augustiniennes, 1985,

p. 28. 31 Per una discussione più elaborata sulla teoria onirica di Calcidio e la sua differenza da quella di Macrobio si

veda S. KRUGER, Il sogno…cit., pp. 50-63. 32 Paolo SINISCALCO, Pagani e cristiani antichi di fronte all’esperienza di sogni e di visioni, in AA.VV., I linguaggio del

sogno, Vittore BRANCA, Firenze, Sansoni, 1984, p. 154.

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visioni33. Al proposito vanno citati gli scritti di Sant’Agostino che elabora una teoria della

visione che assomiglia per molti aspetti alle teorie neoplatoniche, distinguendo tra tre tipi

di visione umana e due tipi di sogni (celesti e terreni) (cfr. Figura 3). Anche in questa

catalogazione, viene indicata una gerarchia in cui, dalla visione corporale alla visione

intellettuale, c’è un crescendo nella chiarezza della visione che corrisponde a una

conoscenza crescente34. Come già Macrobio, dunque, anche Sant’Agostino evidenzia il

legame tra sogno e conoscenza, ma, mentre per Macrobio il sogno agisce come tramite in

virtù del quale ci avviciniamo a una fonte inesauribile di informazioni, per Agostino il sogno

celeste è piuttosto una specie di «visione» che ci concede talvolta di avvicinarci a verità

spirituali35. Nondimeno, l’aspetto più innovativo della teoria di Sant’Agostino è il rendere la

visione umana congruente alla prospettiva cristiana: la percezione visiva si fa indice del

progresso spirituale dell’uomo e, conseguentemente, diviene possibile integrare le visioni

nel processo di redenzione36. I pensatori cristiani non si limitano, però, a considerare il

rapporto tra sogno e coscienza, ma prendono in considerazione anche la connessione

problematica tra verità e falsità, gli aspetti morali dell’esperienza onirica (la purezza

dell’anima del sognatore), collocandoli «al di fuori del sogno, nella sua causa e nei suoi

effetti successivi, nel modo in cui il sogno ha avuto origine e nel modo in cui il singolo

sognatore risponde alle suggestioni oniriche»37.

Negli scritti medievali si impongono le teorie tardo-antiche del sogno e della visione e

l’interesse rispetto ai fenomeni onirici attraversa tutta la cultura e la letteratura del periodo

senza mai sparire38. Poiché i teorici medievali – per la maggior parte medici, filosofi,

astrologi e teologi – sono tutti eredi della tradizione patristica e aristotelica, dimostrano

concordia nelle teorie divulgate39, per cui è lecito azzardare una sintesi complessiva della

teoria medievale dei sogni e delle visioni. Una tale sintesi viene esposta da Walter Curry40

33 P. SINISCALCO, Pagani e…cit., p. 144. 34 Carolly ERICKSON, The Medieval vision: essays in history e perception, New York, Oxford University Press, 1976,

p. 38. 35 S. KRUGER, Il sogno… cit., p. 80. 36 C. ERICKSON, The Medieval…cit., p. 38. 37 Ivi., p. 82. Per una più elaborata discussione delle cause e degli effetti successivi, si vedano pp. 83-90. 38 S. KRUGER, Il sogno…cit., p. 207. 39 M. WEIDHORN, Dreams…cit., p. 31. 40 Walter C. CURRY, Chaucer and the Medieval Science, New York, Barnes & Noble Books, 1962, pp. 203-208.

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che suddivide la teoria medievale in tre categorie – quella medica, astrologica e teologica –

la cui rispettiva rilevanza dipende dalla relativa disciplina dello scrittore41.Così, i medici

giudicano la validità dell’evento onirico in base alle origini dei sogni e delle visioni, mentre

gli astrologi, pure utilizzando una classificazione somigliante (somnium naturale, somnium

animale, somnium coeleste o divina), ascrivono l’origine dell’esperienza onirica all’influenza

planetaria. Nondimeno, entrambi i gruppi si concentrano soprattutto sul somnium animale e

sulla sua psicologia. I teologi, anche se accettano le definizioni dei medici e degli astrologi,

divergono da essi perché si interessano anzitutto alla revelatio e al somnium coeleste42(cfr.

Figura 4). Nel Medioevo, inoltre, la Chiesa impone una censura all’oniromanzia, limitando

l’interpretazione dei fenomeni onirici ad una ristretta élite di ecclesiastici all’altezza di

distinguere i sogni inviati dalla Providenza da quelli inviati dal demonio43. L’atteggiamento

di rigore ostentato dalla Chiesa ufficiale si spiega come reazione alle eresie che attraverso

l’«onirocritica», eludono la mediazione ecclesiastica nel rapporto del devoto con Dio44.

Nei secoli successivi (XIII- XV) le teorie oniriche più risalenti servono da base per

sviluppare e rafforzare spunti di ricerche innovative, per cui la teoria del sogno subisce

delle trasformazioni particolari. Rispetto al Medioevo, gli autori mettono in discussione più

seriamente la trascendenza e l’attendibilità dei sogni45. Inoltre, le teorie risentono delle

opere aristoteliche e mediche allora in voga: diventano possibili delle indagini più

approfondite dei processi psicologici e fisici legati all’attività onirica46. Si verifica dunque un

atteggiamento di elaborazione e di rinnovamento che vede la sua continuazione nei secoli

sedicesimo e diciassettesimo.

Infatti, il Cinquecento e il primo Seicento da un lato continuano ed elaborano le teorie

già disponibili e dall’altro lato anticipano la riflessione esistenziale che caratterizza

l’onirocritica moderna e contemporanea. Scrittori come Ludovico Ariosto, Torquato Tasso e

William Shakespeare, inoltre, riprendono sia le tendenze classiche, sia quelle cristiane nelle

41 M. WEIDHORN, Dreams…cit., p. 31. 42 Ivi., p. 32. 43 Herman BRAET, Rêve, réalité, écriture. Du référentiel à la sui-référence, in AA.VV., I sogni nel Medioevo: seminario

internazionale Roma 2-4 ottobre 1984, Tullio GREGORY, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 11-23. 44 Sergio ZATTI, «I levi sogni erranti». L’epica moderna fra profezia politica ed evasione romanzesca, in Id. Le

metamorfosi del sogno nei generi letterari, Silvia VOLTERRANI, Firenze, Le Monnier, 2003, p. 35; e S. KRUGER, Il

sogno…, pp. 19-22. Si vedano anche pp. 23-26. 45 S. KRUGER, Il sogno…cit., p. 200. 46 Ibidem.

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loro rappresentazioni oniriche47. La cultura del Cinquecento, inoltre, «fa una duplice

operazione»48 che si esprime secondo Battisti nel discrimine tra due mondi dei sogni: da un

lato quello ordinato, specifico, corredato di regole; dall’altro lato il mondo che si lascia

trasportare dai piaceri e che vive «la vita come sogno»49. Questa divisione viene sostenuta

da Volterrani, secondo la quale essa implica a sua volta una duplice lettura dell’esperienza

onirica: da una parte una lettura ermetica, neoplatonica che va intesa come «momento

privilegiato di conoscenza, come possibilità di elevazione spirituale, di liberazione dello

spirito e dell’immaginazione»50; dall’altra parte una lettura negativa del sogno come

contenitore di significati simbolici deprecabili, nel momento in cui si afferma la

Controriforma.

1.2 Il somnium fictum51

Nel mondo letterario incontriamo numerosi esempi di «sonno», «sogno» e «visione»: già nel

mondo antico l’universo onirico viene usato come espediente testuale capace di alterare la

realtà, motivare dei cambiamenti, rappresentare eventi non possibili nella quotidianità,

nonché di svolgere delle determinate funzioni strutturali (anticipazioni, dilatazioni, etc)52. I

sogni che «ficta sunt a poeta», inoltre, dimostrano delle tendenze generali che dipendono

da un codice onirico: oltre a fornire delle informazioni interne al testo, offrono degli indizi

sulla realtà mentale e culturale dello scrittore. Di contro, l’assenza di fenomeni onirici

nell’universo letterario può assumere dei significati particolari o, nel caso in cui essi

vengono sostituiti da mezzi alternativi – lacrime, svenimenti, follia – si può trattare di

pseudo-assenza. In tempi di mentalità pre-razionalistica, ad esempio, troviamo una grande

quantità di personaggi che piangono per le ragioni più diverse, che svengono, impazziscono

o che corrono il rischio di farlo per motivi anzitutto amorosi. La rappresentazione letteraria

47 Rosa SORIANO, Sogno e Visione nella Letteratura Italiana, Napoli, Fratelli Ferraro, 2008, p.14. 48 Francesco GANDOLFO, Il “dolce tempo”. Mistica, Ermetismo e Sogno nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1978, p. 9. 49 Ivi., p. 11. 50 Silvia VOLTERRANI, Le metamorfosi del sogno nei generi letterari, Firenze, Le Monnier, 2003, p. 51. 51 Il paragrafo seguente è basato sul capitolo IX di M. HAGGE, Il sogno…cit., pp. 169-188. 52 M. WEIDHORN, Dreams…cit., p. 9.

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della follia, quella che Hagge indica come «incubo prolungato», ha tra i modelli

fondamentali quella di Orlando nell’Orlando Furioso: gli stimoli psicologici che provocano

delle immagini false si trasformano in idea fissa e causano il crollo della ragione. Inoltre,

«quelli che non sognano» sostituiscono l’onirico con la fantasticheria, ovvero i sogni ad

occhi aperti («la rêve éveillé»), i quali assomigliano per molti aspetti al sogno stesso: «la

libertà delle associazioni fantastiche, la mancanza di limiti e regole […], l’individualismo

invocato dai devoti di questa esperienza»53. Infine, non manca la presenza di allucinazioni e

fantasmi, per lo più causati da incantesimi e sortilegi: una selva incantata animata da spiriti

diabolici che producono delle apparenze fallaci, un giardino fatato dove si rischia

inevitabilmente di perdersi.

1.2.1 Funzione

Il somnium fictum serve a supportare certi significati all’interno del testo letterario che

vengono veicolati soltanto dalla sua presenza o meno. Per quanto riguarda il valore di

questo tipo di sogno, esso deriva dalla semplificazione o stilizzazione di determinati motivi

del sogno reale. Da un lato, i sogni che vengono inviati dalle divinità – ostili o meno al

sognatore – causati dai daimones, dal diavolo stesso o dai defunti, servono «per evocare i

morti ed il passato; ad introdurre informazioni necessarie al proseguimento della

narrazione; a filtrare stati amnestici, ipermnestici, o comunque di allitterazione della

coscienza»54. Dall’altro lato, il sogno, in quanto mezzo comunicativo, può essere usato, come

dice Hagge, come «cornice Retorica»55, in questo caso in assume quattro funzioni distinte.

La funzione primaria, è quella di fornire delle informazioni che si trasmettono in modo assai

più persuasivo e amplificato attraverso l’evento onirico rispetto alla loro introduzione nella

forma di uno stato d’animo – desiderio, timore, previsione, etc. – o tramite l’intervento del

narratore in prima persona. In secondo luogo, il sogno letterario può servire a distanziare il

narratore da quello che sta raccontando56. Inoltre, le esperienze oniriche possono motivare

le azioni e le scelte irrazionali di qualche personaggio, creare un’atmosfera di suspense o

timore. Infine, l’uso del somnium fictum come cornice può funzionare come situazione

53 M. HAGGE, Il sogno…cit,. p. 157. 54 Ivi., p. 172. 55 Ibidem. 56 Ivi., p. 173.

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privilegiata a cui agganciare l’enunciato, grazie alla forza che al somnium deriva dall’avere

carattere di evento: il sogno è utile per trasmettere degli incitamenti morali, muovere

rimproveri, o per incontrare i defunti57. Insomma, la specificità del somnium fictum è

1.2.2 La struttura del sogno

Nella tradizione letteraria, il sogno è stato riprodotto ripetutamente con moduli costanti

per quanto riguarda il carattere dei sogni (angoscioso, consolatorio, etc.), le circostanze in

cui il sogno si manifesta e i soggetti che sognano. C’è infatti una ripresa di motivi e di

rappresentazioni che sfocia secondo Braet in «un fixité formelle incontestable» del sogno

letterario58.

La struttura generale del sogno, ovvero la sua organizzazione narrativa, corrisponde alla

«séquence élémentaire»59: inizio – svolgimento – fine. Analogamente, le componenti del

fenomeno onirico sono in sostanza tre: in primo luogo, il preludio («il prélude»), dove la

«périétie onirique» viene annunciata e presentata; in secondo luogo, l’esposizione

(«l’exposition») che identifica e precisa i luoghi d’azione e i partecipanti; in terzo luogo, il

topos dell’angoscia o quello della difficoltà del personaggio nel passaggio tra veglia e sonno

che spesso conclude la sequenza onirica60. Questa tripartizione, che vale per il sogno

generale, va distinta dalla quadripartizione dei sogni epici che è stata individuata da

Kessels. Egli ha identificato infatti quattro parti propri del sogno omerico:

1) Le circostanze del sogno,

2) L’arrivo dell’immagine onirica (Dio od ombra di un defunto)

3) Il sogno vero e proprio, vale a dire principalmente il discorso dell’apparizione

onirica,

4) La sparizione della figura onirica e il risveglio del sognatore.61

57 Ibidem. 58 H. BRAET, Rêve…cit., p.18. 59 Claude BREMOND, La logique des possibiles narratifs, in «Communications», n. 11, 1968, p. 60. 60 H. BRAET, Rêve…cit., p. 18. 61 Antonius H.M. KESSELS, Studies on the Dream in Greek Literature, Utrecht, H.E.S. Publishers, 1978, p. 93. Citato

in Jean BOUQUET, Le songe dans l’épopée latine d’Ennius à Claudien, Bruxelles, Éditions Latomus, 2001, p. 20.

[Traduzione nostra]

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Per quanto riguarda l’organizzazione narrativa, dunque, il sogno si articola in maniera

diversa a seconda del genere letterario. Il codice letterario influenza non solo la funzione e

la struttura del sogno, ma anche il suo andamento, il suo contenuto e infine, il suo stile. In

quanto segue prendiamo in considerazione alcune costanti dell’articolazione del sogno nel

genere epico e nella tradizione cristiana.

1.2.3 Il sogno e la visione nel genere epico

Nel genere epico i fenomeni onirici presentano alcune costanti strutturali individuate da

Zatti62. Se l’epica, sia quella moderna che quella antica, abbonda di personaggi che sognano,

il sogno non si offre a ognuno di loro, ma sognano solo certi personaggi e lo fanno solo in

luoghi specifici del testo. Inoltre il sogno appare tutt’altro che casuale o spontaneo: esso

conferisce al sognatore una conoscenza privilegiata63.

Anzitutto, il sogno «svolge la funzione di canale privilegiato di comunicazione»64, il che

deriva dal suo ruolo di mediatore tra due piani distinti di azione: quello terreno e quello

soprannaturale. Il sogno epico trasmette significati in modo unilaterale e molto spesso

prescrittivo: è il sognatore a ricevere delle informazioni da un altrove e non vice versa.

Tuttavia, come detto, non è dato a tutti di sognare. Solo coloro che fanno parte di un’élite

ristretta per fama e autorità godono di tale privilegio. Da qui la prevalenza di sogni inviati a

capitani, re o altri personaggi di maggior rilievo, specie protagonisti, di cui l’autore

sottolinea in tal modo l’importanza e la posizione sociale65. I somnia publica dei sovrani, tra

cui dominano delle figure esemplari come ad esempio Carlo Magno, riguardano gli interessi

di un’intera comunità66. Per quanto riguarda poi l’emittente del messaggio, esso «è di

norma il dio che parla attraverso il sogno», sia direttamente, sia attraverso mediatori

(angeli, martiri, santi)67. Esistono, però, anche dei sogni ingannatori o menzogneri che

62 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»… cit., pp. 30-40. 63 Ivi., p. 30. 64 Ibidem. 65 Ibidem. Viene citato l’esempio de La Chanson de Roland in cui è il solo Carlo Magno a essere il titolare di

quattro sogni raccontati. Si veda anche H. BRAET, Rêve...cit., p. 18. 66 H. BRAET, Rêve…cit., p. 18. 67 Raul MANSELLI, Il sogno come premonizione. Consiglio e predizione nella tradizione medievale, in AA.VV., I sogni nel

Medioevo, a cura di Tullio GREGORY, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 219- 244.

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vengono ispirate dalle forze demoniache con lo scopo di ostacolare i disegni divini; costante

che secondo Nisticò si «si riverserà pari pari nella cultura cristiana, sempre incline a

distinguere fra le intenzioni del Maligno e i disegni divini»68.

All’interno del testo, il fenomeno onirico «ha una sua modalità di accadimento e di

situazione sostanzialmente fissa»69. Secondo Zatti è la precisa semiotica testuale a segnalare

una tale impostazione, vale a dire che ci sono delle soglie narrative molto circoscritte, vere

e proprie delimitazioni degli eventi narrati, nonché la ricorrenza di topoi come «la

visitazione all’alba, l’assunzione in cielo, il risveglio di soprassalto»70. Mentre la visitazione

all’alba, in linea con la tradizione classica, implica la veridicità dei sogni e delle visioni, il

brusco risveglio spesso spinge il sognatore a compiere una missione militare, svolgere una

ricerca o, come spesso accade nell’agiografia cristiana, una conversione religiosa71.

Data la sua dislocazione testuale, il sogno epico non a caso si colloca in posizioni

strategiche, di cui l’incipit è vero momento privilegiato. Da Omero in poi, il topos del

«prologo in cielo» o della divinità che dall’alto osserva le vicende umane, assume una

funzione programmatica e generativa, dato che introduce il piano provvidenziale della

divinità che attraverso il sogno rivela i propri disegni agli uomini esecutori della volontà

divina72. Una tale anticipazione della prospettiva ideologica degli eventi, viene enfatizzata

nel corso del racconto, conferendolo una struttura tipicamente prolettica e teleologica.

Questo meccanismo prolettico influenza la tipologia del sogno, nel senso che esso si orienta

quasi esclusivamente sul futuro, assumendo un carattere premonitore o profetico. Così, il

sogno orienta il presente narrativo rispetto al futuro: da una parte funziona da «dopo

intertestuale» che annuncia o presagisce gli esiti finali dell’azione; dall’altra parte presenta

una visione storica, ossia una proiezione al di fuori dei limiti del racconto, molto frequente

nei discorsi encomiastici che celebrano le vicende di una nazione, un popolo, una dinastia73.

Il funzionamento prolettico dell’epica postclassica determina anche il suo carattere

68 Renato NISTICÒ, Tradizione e antitradizione del sogno: appunti su Petrarca e Calvino, in AA.VV., Attraverso il sogno.

Dal tema alla narrazione, Elena PORCIANI, Catanzaro, Iride, 2003, p. 341. 69 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…cit., p 30. 70 Ivi., p. 31. 71 Ibidem. L’autore riporta gli esempi di Sant’Agostino e dell’imperatore Costantino, di cui un sogno è al centro

della conversione. 72 Guido BALDASSARRI, Il sonno di Zeus. Sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica,

Roma, Bulzoni, 1982, p. 88. 73 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…cit., p. 32.

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fatalistico, che però, nell’insistere sull’ineluttabilità dell’ordine degli eventi, si trasforma in

Provvidenza cristiana.

Il sogno, in quanto strumento anticipatorio si collega ad altre forme (profezia, visione,

ekphrasis) che pure appartengono al «sistema delle anacronie», che sovverte l’ordine della

successione degli avvenimenti diacronici in modo tale che le vicende del presente narrativo

vengono ascritte a un piano provvidenziale che annulla, sul piano storico, la loro

accidentalità74. Soprattutto nel poema epico tardocinquecentesco, le anacronie si collocano

in coincidenza con i nodi narrativi, il che determina l’intersezione di livelli temporali

diversi75.

1.2.4 Il sogno e la visione nella tradizione cristiana

Nella tradizione mistica e soprattutto cristiana, la visione acquista uno statuto particolare.

Infatti, tra sogno e visione, il primo si colloca in posizione inferiore, per cui va sempre

affrontato con sospetto e viene addirittura rifiutato dalla Sacra Scrittura76. In tal senso Le

Goff ritiene che sia necessario escludere le visioni in stato di veglia («vision à l’état de veille»)

dal campo del sogno, il quale appartiene ad un'altra categoria dell’antropologia religiosa: il

sonno («le sommeil»)77.

Differenza importante – e secondo le Goff sorprendente – dalla letteratura pagana è che

nei sogni biblici non compaiono defunti o demoni: rifiutando la concezione omerica, la

tradizione cristiana respinge l’idea del sogno come mezzo di contatto con le animi morti78.

Nella tradizione biblica, inoltre, c’è una tendenza a considerare il sogno come un’illusione

pericolosa perché esistono dei «lanceurs du songes», ingannatori che ispirano dei sogni

ingannevoli o illusori («les songes sons des mensognes») che conducono all’eresia o

rappresentano delle prove e delle tentazioni79. È proprio il riconoscimento della

74 Ivi., p. 33. 75 Ibidem. 76 M. HAGGE, Il sogno…cit., p. 92. 77 Jacques LE GOFF, Le christianisme et les rêves (IIe-VIIe siècles) in AA.VV., I sogni nel Medioevo, a cura di Tullio

GREGORY, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, p. 172. 78 J. AMAT, Songe et…cit., p. 48. 79 Ibidem.

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«fenomenologia del Tentatore»80 che costituisce un quesito fondamentale all’interno della

letteratura religiosa, il che viene testimoniato dall’avvertimento della Didaché, del Pastore di

Erma, a guardarsi dai falsi profeti («faux prophètes»)81. Molto famoso in questo ambito di

riflessione è Jacopo Passavanti che nel suo trattato Della scienza diabolica propone la seguente

concezione: il Diavolo può influenzare solo i sentimenti esterni dell’uomo; Dio, invece, può

conoscere i suoi pensieri e affetti segreti, interni. A differenza di Dio, dunque, il Diavolo è

capace soltanto di trasmutare la fantasia dell’uomo, facendolo sognare, rappresentandogli

le apparenze più svariate, cioè tentazioni, per indurlo a peccare82. Nella prospettiva

cristiana, si verifica dunque un passaggio da sogno veridico vs falso a visione vs tentazione83.

Eppure, esistono dei casi in cui, all’opposto, la visione divina si verifica appunto in sogno.

Una tale deviazione deriva dal fatto che le rivelazioni divine giungono a coloro che si

trovano in uno stato di pace che, a volte, si verifica soltanto in sonno, per cui esso diventa

l’unico possibile momento di rivelazione. La valutazione della rivelazione fatta in sogno si fa

in base alla qualità della visione: se dà forza e rischiara, è divina; in caso contrario, la visione

non è mandata da Dio84.

Nel cristianesimo individuiamo una tendenza a considerare la visione come la vera

strada alla verità, fenomeno che conduce poi attraverso vari gradi all’estasi. A tale

proposito, Hagge nota che «tanto i sogni quanto le visioni che li sostituiscono non vanno

confusi con la contemplazione che, culminando nell’estasi, costituisce la massima

esperienza di Dio da parte di un vivente»85. L’estasi viene, difatti, considerata un excessus

mentis che, pure in armonia con la ragione, consente all’uomo di contemplare Dio e se stessi.

Tuttavia, il sogno rimane presente nella letteratura mistica, specialmente agiografica, in

quanto mostra l’intervento della Provvidenza in maniera più comprensibile per il devoto

medio rispetto all’estasi. Quindi da un lato l’esperienza onirica, intesa come

rappresentazione simbolica, viene ammessa per i fedeli, specie i meno colti; dall’altro lato

80 M. HAGGE, Il sogno…cit., p. 95. 81 Ibidem. Vedi anche J. AMAT, Songes et…cit., p. 44-45; e J. LE GOFF, Le christianisme…cit., p. 174. Indica: «Yahvé

révèle a Jérémie que de faux prophètes répandent en son nom des visions mensongères : Et dixit Dominus at

me:/ Falso prophetae vaticinantur in nomine meo». 82 M. HAGGE, Il sogno…cit., p. 96. 83 Ivi., p. 102. 84 Ivi., p. 92. 85 Ibidem.

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essa viene subordinata alla visione e naturalmente all’estasi propria solo dei santi86. Inoltre,

esistono delle sfumature tra i due termini che li distinguono nella letteratura cristiana e che

non derivano dal semplice fatto che i sogni si verificano in sonno e le visioni in stato di

veglia. Nel sogno, come indica Siniscalco, il «carattere di rivelvazione indiretta sembra

essere più accentuato che non nella visione: in esso il nucleo intellettuale è più remoto e

richiede infatti generalmente un interprete per essere colto»87. La visione, di contro, è

unicamente riservata ai devoti che, per scelta divina, sono destinati a svolgere un ruolo

speciale in ambito religioso. Lo scopo è quello di illuminare il profeta sul significato delle

cose che stanno per succedere e che riguardano il popolo eletto, in quanto collettività88. Da

cui il carattere specifico delle esperienze oniriche che, come nell’Antico e Nuovo

Testamento, non solo segnano il destino del veggente, ma quello di un intero popolo (si

pensi a Isaia, Ezechiele, etc.). Spiccano alcune costanti precise che accompagnano i sogni e

le visioni nella letteratura cristiana:

si tratta di fenomeni eccezionali ritenuti d’origine divina e doni di Dio; essi segnano il

compimento di una chiamata, l’inizio di una missione o l’autenticazione delle tappe di

un viaggio verso la santità, si riverberano sull’intera comunità e comportano la

testimonianza della vita di chi ne è tramite89.

1.2.5 Conclusioni

Avendo discusso il sogno e la visione nel genere epico e nella tradizione cristiana, possiamo

concludere in generale che le loro caratteristiche sembrano corrispondere abbastanza bene.

Sia nell’epica che nella tradizione cristiana, il sogno viene considerato un fenomeno

eccezionale, inviato generalmente da Dio a quelli che si qualificano indicato (élite o fedele

comune) per rispondere alle azioni imposte, specie il compimento di una missione (militare

o meno) o una conversione. In entrambe i generi, il sogno (e/o la visione) si caratterizza per

86 Ivi., p. 100. 87 Paolo SINISCALCO, Pagani e cristiani antichi di fronte all’esperienza di sogni e di visioni, in AA.VV., I linguaggio del

sogno, Vittore BRANCA, Firenze, Sansoni, 1984, p. 155. 88 Eugenio CORSINI, Proposte per una lettura della «Passio Perpetuae», in AA.VV., Forma Futuri. Studi in onore del Card.

Michele Pellegrino, Torino, 1975, p. 493. 89 Ivi., p. 155.

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la sua ambiguità, cioè la possibilità che esso inganni se lanciato dal maligno. A prescindere

dall’epica classica, che ha concezioni religiose diverse, il fatto che il sogno segnala

l’intervento della Provvidenza cristiana delinea un’altra somiglianza tra epica e tradizione

religiosa, sia pure una somiglianza che assume funzioni diverse: laddove nell’epica il sogno,

nell’insistere sull’ineluttabilità degli eventi, serve come meccanismo prolettico, la

tradizione cristiana considera il sogno, quale espressione della Provvidenza divina,

funzionale a trasmettere in modo comprensibile la volontà divina ai devoti meno colti. Ciò

comporta, per quanto riguarda la tradizione religiosa, una distinzione tra il sogno e la

visione, il secondo di cui viene considerato superiore. Lo scarto fondamentale tra i due

generi consta nel fatto che i sogni epici, nel recupero delle concezioni omeriche, non

escludono l’idea del sogno come mezzo di contatto con le animi morte, mentre nei sogni

religiosi non compaiono né defunti, né demoni.

Posto il quadro d’insieme del topos del sogno e della visione in letteratura, ci proponiamo

di offrire nella parte seguente, una visione d’insieme degli studi svolti nell’ambito dei

fenomeni onirici nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso.

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2. L’universo onirico della Gerusalemme Liberata

L’interesse per il soprannaturale nella Liberata è stato messo in rilievo da numerosi studi che

ne hanno indagato le varie manifestazioni: la magia, le visioni, i fantasmi, gli interventi

divini, nel contesto di analisi volta a volta destinate ad approfondire aspetti diversi

dell’opera di Tasso. Nel percorso qui presentato attraverseremo uno scenario onirico che,

per via di pattern di allusioni, si mostra strettamente legato a questi fenomeni meravigliosi,

nonché al disegno strutturale dell’opera che è notoriamente incentrato sui temi della

religione, della politica, dell’amore, della magia.

2.1 Il tema della religione

Nel libro Interpretazione del Tasso, Getto analizza l’elemento religioso della Liberata, di cui

sottolinea l’edonismo estetico tale per cui l’opera registra al proprio interno per la prima

volta nella poesia italiana una «religione, sentita come spettacolo e liturgia»90. Sottolinea

l’importanza della rappresentazione di Dio che osserva dall’alto del cielo le vicende umane

(Canto I), della visione dell’arcangelo Gabriele che appare in sogno a Goffredo (Canto I, ott.

6-18) e, più in avanti, dell’apparizione dell’arcangelo Michele che scaccia le forze infernali

(Canto IX, ott. 63-66)91. Tuttavia, Getto individua un duplice atteggiamento di fronte al tema

religioso: da un lato le visioni di Dio e del suo «stuolo» rimangono «sul piano inferiore di

una barocca mitologia, che mal si concilia con la spiritualità del cristianesimo e

l’intellettualistica teologia cattolica»92; dall’altro lato, il tema, laddove vengono presentate

delle ampie prospettive celesti, rispetta la dignità della spiritualità religiosa e cattolica.

Quindi il sogno di Goffredo nel canto I esprime anzitutto il primo atteggiamento di fronte al

tema religioso. L’influsso del mondo mistico e religioso sulla Liberata è anche stato indagato

90 G. GETTO, Interpretazione…cit., p. 391. E continua: «da questa intuizione era rimasta lontano Dante, […] e

lontano rimane il Petrarca». 91 Ivi., p. 395. 92 Ivi., p. 396.

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da Noero che analizza le «inquadrature notturne» del poema tassiano93. Lo studioso

individua un vero e proprio «racconto notturno» che, partendo dall’episodio del furto

dell’immagine sacra nel canto II, si sviluppa nel corso dell’opera per poi concludersi, dopo

un iniziale vantaggio pagano, a favore dei cristiani94. I personaggi che animano questo

racconto notturno, esprimono le loro passioni diurne attraverso le azioni notturne: non solo

Tancredi, ma anche Erminia attua il proprio sogno amoroso nell’oscurità della notte. Anche

se Noero ritiene che sia necessario rifarsi per l’interpretazione degli scenari notturni ai

modelli letterari cui Tasso si ispira, quali i «versetti biblici, i testi liturgici e i formulari

ascetici correnti durante il Cinquecento»95, limita la propria analisi agli influssi sul poema

del mondo religioso contemporaneo. Noero riconduce, tra l’altro, il sogno come nunzio

divino, alla tradizione biblica, agiografica e, in senso più lato, religiosa96. Lo studioso,

avvalorando in parte la conclusione di Getto ma senza esprimersi sulle sfumature di

atteggiamento di fronte al tema religioso, sostiene che l’epica tassiana risenta molto della

cultura e del clima religioso coevo97. Quindi, Noero considera il sogno come messaggero

divino che fa parte del racconto notturno della Liberata.

Di recente, Boillet ha affermato l’importanza del quadro notturno nella Liberata nel suo

studio sul tema del sogno e del sonno nell’Orlando Furioso98. La studiosa prende il sogno di

Orlando come punto di partenza per analizzare l’associazione di tre motivi fondamentali

nell’universo onirico, cioè lamento, sogno, notturno. L’ultimo dei tre viene studiato in

maniera particolare «nel racconto tassiano della veglia inquieta e/o in quello del sogno»99.

Boillet riconosce i tre motivi nell’incipit dei canti XII e XIV, dove l’evocazione della calma

notturna viene associata rispettivamente alla veglia di Clorinda (1-2) e al sogno di Goffredo

(1-3)100. Nel canto XII, l’ordine della sequenza viene sconvolto nel senso che il motivo del

sogno (36-40) segue alla veglia inquieta di Clorinda (notturno), per cui la descrizione di essa,

pur essendo ampiamente disgiunta dal sogno, non costituisce un insieme narrativo

93 Carlo NOERO, Il notturno nella Gerusalemme Liberata, in «Studi tassiani», nn.14-15, 1964-65, pp. 35-39. 94 C. NOERO, Il notturno…cit., p. 35. 95 Ivi., p. 37. 96 Ivi., pp. 38-39. Tra gli altri, vengono menzionati l’Apocalisse, i Salmi, le lettere paoline. 97 Ivi., p. 39. 98 Danielle BOILLET, A proposito del sogno di Orlando nell’Orlando furioso, in AA.VV., Le metamorfosi del sogno nei

generi letterari, Silvia VOLTERRANI, Firenze, Le Monnier, 2003, pp. 21-29. 99 Ivi., p. 25. 100 Ibidem.

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autonomo. La visione di Goffredo nel canto XIV, invece, è strettamente legata alla matrice

lirica del sogno: Boillet, difatti, individua qualche punto di contatto con i sonetti del

Canzoniere per la situazione temporale (sonetto XXXIII), nonché per l’organizzazione della

visione (sonetto CCCLIX)101. Inoltre, il passaggio dal quadro notturno (G.L., XIV, ott. 1-2) alla

descrizione delle due porte dei sogni (G.L., XIV, ott. 3), oltre a segnare il passaggio dalla

notte all’aurora, rappresenta il trionfo e la sconfitta della notte. Questo doppio movimento

si rispecchia poi nel doppio movimento di salita (vv. 1-4) e di discesa (vv. 5-8) del sogno

nell’ottava 3 dello stesso canto. Tuttavia, la studiosa ritiene che l’esempio più interessante

della fusione dei tre motivi si abbia nelle ottave in cui viene narrato il lamento di Tancredi

(G.L., XII, ott. 74-84) e in quelle successive che riguardano il suo sogno consolatore (ott. 89-

93). Le ottave in questione passano dal quadro diurno, che accoglie il lamento, al sonno vero

e proprio durante il quale si verifica il sogno, per culminare nella visione di Clorinda

all’alba, momento che garantisce la veridicità della visione102. Quindi, gli eventi onirici della

Liberata discussi da Boillet rappresentano, sia pure in ordine rovesciato, tutti e tre i tre

motivi (lamento, sogno, notturno) fondamentali dell’universo onirico.

Partendo dalle osservazioni di Tasso nei Discorsi riguardanti il romance, Fichter analizza il

processo per cui l’autore trasforma l’anarchia del motivo amoroso nella Liberata, inteso

come creazione della fantasia autoriale, in un’epica religiosa che si rende veicolo del

mistero cristiano103. Lo studioso esamina i sogni e le visioni come prove della difettosità del

romance, concentrandosi sulla struttura del poema, sulla morte dell’eroe cristiano e,

soprattutto, sulla redenzione del mondo umano. Per illustrare la struttura simmetrica della

Liberata, cita la visione di Goffredo nel canto XIV come momento in cui viene censurato

l’aspetto interiore, tipico proprio del romance, e per offrire una visione onirica

dell’esistenza umana concepita come prigiona104. Il canto VIII introduce il concetto della

morte dell’eroe cristiano: il racconto di secondo grado della morte del re Sveno nasconde al

proprio interno i temi della visione, della testimonia, del sogno e della loro problematica

interpretazione. Il racconto della morte di Sveno conosce un’evoluzione parallela, sia pure

parallelo fallace, nell’annuncio della presunta morte di Rinaldo105. Secondo Fichter, i sogni

101 Ibidem. 102 Ivi., p. 27. 103 Andrew FICHTER, Tasso’s epic of deliverance, in «PMLA», 93, n. 2, 1978, pp. 265-274. 104 Ivi., p. 268. 105 Ivi., p. 270.

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falsi di Argillano, ispirati dalla furia Aletto, testimoniano non tanto la forza di un essere

demoniaco, quanto il fallimento della percezione umana, il che porta all’errore morale106.

Ciò conduce lo studioso a osservare che nell’illustrazione tassiana della povertà

dell’intelletto umano in campo spirituale, risuona la sua voce contro-riformistica. Inoltre, il

canto dimostra l’impossibilità della tesi esposta all’inizio del saggio, nel senso che i sogni

vanno contro la volontà di Tasso «to see romance enchantment and magic completed in

Christian mystery»107 : nel caso del sogno falso di Argillano i misteri vengono ricondotti a

errori, nel caso della visione di Goffredo invece è la rivelazione cristiana che viene

ricondotta a incubi. Alla luce di queste osservazioni, Fichter analizza la trasfigurazione di

Rinaldo al Monte Olivieto come il complemento cristiano della visione onirica perversa e

parodica di Argillano108.

Weidhorn, nella sua analisi dei sogni letterari nella letteratura occidentale, individua il

sogno di Goffredo come una rappresentazione cristiana del sogno escatologico109. Secondo lo

studioso questo sogno si colloca in una posizione strutturalmente significativa, nel senso

che è d’importanza immediata per lo sviluppo del racconto: il sogno, difatti, include vari

temi di cui è anzitutto il consiglio relativo all’urgenza di richiamare e di perdonare Rinaldo

a essere decisivo. Weidhorn stabilisce che per la costruzione della visione, Tasso si è ispirato

alla tradizione classica e medievale del sogno come guida divina dell’eroe110. Nella categoria

del sogno ingannevole, lo studioso rubrica quello ispirato dalla furia Aletto nel guerriero

cristiano Argillano allo scopo di creare discordia nel campo cristiano111. Seguendo i modelli

disponibili, Tasso utilizza il motivo del sogno ingannevole per giustificare l’irrazionale, ma

al tempo stesso cambia la fonte del sogno: dagli dei pagani alle creature infernali e, in tal

modo, dal sogno demonico al sogno diabolico112. Insomma, i sogni di Goffredo e di Argillano

vengono indicati come delle esperienze oniriche che da un lato riprendono la tradizione

classica e dall’altro lato subiscono l’influsso della tradizione cristiana.

Come già Weidhorn, anche Hagge studia i sogni della Liberata in funzione di una

discussione più ampia, quale quella del sogno nella letteratura di tutti i tempi. In primo

106 Ibidem. 107 Ivi., p. 271. 108 Ivi., p. 274. 109 M. WEIDHORN, Dreams…cit., p. 49. 110 Ibidem. 111 Ivi., p. 63. 112 Ibidem.

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luogo, sottolinea la coerenza dei fenomeni onirici con l’architettura del poema, poiché

rispondono a requisiti testuali «posti dalle esigenze narrative da una parte e da quella della

committenza dall’altra parte»113. Per le donne protagoniste, ad esempio, i fenomeni onirici

operano in funzione della loro conversione: essendo cristiano l’esercito invasore, esse non

possono essere che pagane, ma dovranno cambiare religione. In secondo luogo, Hagge

considera i sogni tassiani, specie quelli veritieri, come delle forme di comunicazione

privilegiata, ovvero momenti di contatto con il divino114. Così funzionando i sogni «non

possono venire che da Dio»115. Sia il sogno di Goffredo (Canto XIV, 1-20), che quello di Arsete

rivela gli ordini divini, ma a causa della differenza in fede dei destinatari, i rispettivi sogni

differiscono di natura: sereno quello di Goffredo, minaccioso quello di Arsete. Inoltre, Hagge

dice che nel caso di Arsete, Dio si serve del sogno come «arma psicologica», poiché il balio di

Clorinda rimane troppo fedele alla sua fede pagana per ubbidire agli ordini divini116. Lo

studioso, quindi, considera l’uso dei sogni nella Liberata come degli espedienti narrativi che

funzionano in coerenza con la struttura e l’ideologia dell’opera.

2.1.1 Intermediazione onirica: santi, arcangeli, demoni

Scavizzi, nella sua indagine del rapporto di Tasso con la religione della sua età, discute come

i sogni riflettono i temi religiosi ricorrenti all’epoca117. Ritiene che l’apparizione di San

Giorgio in sogno ad Arsete nel canto XII dimostri una consonanza con «la letteratura

cattolica delle immagini»118. Infatti, Arsete riconosce il santo perché questo somiglia alla sua

raffigurazione nella letteratura cattolica. Lo studioso individua nell’episodio «un’eco delle

storie narrate dai padri di Nicea di santi che compaiono esattamente com’erano dipinti nelle

immagini»119, eco che considera un segno dell’influsso delle immagini miracolose sulla

113 M. HAGGE, Il sogno…cit., p. 227. 114 Ibidem. 115 Ibidem. 116 Ibidem. 117 Giuseppe SCAVIZZI, Gerusalemme liberata e Controriforma, in «Quaderni d’italianistica», vol. 9, n. 2, 1988, p.

207. 118 Ivi., p. 207. 119 Ivi., p. 208.

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Gerusalemme120. Inoltre, Scavizzi afferma che gli interventi di San Giorgio siano esempi di

eventi miracolosi che mettono l’uomo in contatto con il divino o, in senso più lato, il

soprannaturale. Secondo lo studioso l’opera tassiana è coerente con la letteratura teologica

coeva, nel senso che Tasso distingua gli eventi miracolosi o interventi divini dalle opere di

Satana, che può solo ingannare e far comparire delle cose fallace121. In seguito, Scavizzi

discute il concetto cattolico di «intermediazione»122, il che si presenta nella Liberata come un

senso gerarchico del cosmo e delle forme intermedie (santi, angeli, etc.)123. Infatti, nel

poema gli ordini umani e soprannaturali sono rigidamente gerarchizzati: gli uomini

vengono presentati in ordine della loro importanza (si veda ad esempio la processione dei

fedeli nel canto XI), la corte celeste viene caratterizzata da un ordine scalare che va dal

Padre Eterno agli angeli124. Secondo Scavizzi, l’interferenza di forze intermediarie si

esprime, tra l’altro, in apparizioni oniriche (sogni) che trasmettono messaggi provenienti da

Dio125. Lo studioso conclude a favore del carattere contemporaneo dell’opera, ma a

differenza di Getto sostiene che «la spiritualità, la poetica, i temi dell’opera del Tasso s[iano]

completamente, perfettamente uniti e integrati nella cultura cattolica degli anni ’60»126. Quindi,

i sogni vengono discussi come espressioni di una religiosità coeva a Tasso.

Squarotti, a sua volta, ha fornito nel libro Il sogno e l’epica delle osservazioni rilevanti

riguardante il concetto d’intermediazione, considerandolo come un mezzo correttore di

fronte agli errori umani127. Per quanto riguarda la Liberata individua, nel capitolo Corte e

religione128, «due motivi abbastanza antitetici»129: il motivo delle armi e quello dell’errore. Tra

questi due motivi si pone il tema religioso, che si esprime nell’assistenza divina data

all’esercito crociato. Talvolta, Dio manda sogni, intermediari, collaboratori (santi, angeli,

etc.) per dare consiglio ai cavalieri cristiani o per impedire l’intervento delle forze

120 «La storia più ripetuta era quella delle immagini dei SS. Pietro e Paolo mostrate a Costantino da papa

Silvestro». Cfr. G. SCAVIZZI, Gerusalemme…cit., p. 208. 121 Ivi., p. 210. 122 Ivi., p. 213. L’idea che ci sia in ambito religioso una stretta gerarchia ecclesiastica e celeste con vari gradi

intermedi (gli angeli, i santi, la vergine). 123 Ibidem. [I corsivi sono nostri] 124 Ivi., p. 214. 125 Ibidem. 126 Ivi., p. 219. 127 Giorgio BÁRBERI SQUAROTTI, Il sogno e l’epica, Torino, Genesi, 1993, pp. 97-120. 128 Ivi., p. 97. 129 Ivi., p. 98.

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demoniache. Così operando, la divinità tassiana somiglia, secondo lo studioso, alla divinità

classica che solo nei momenti decisivi agisce sul mondo umano130. Difatti, come nel canone

epico, il Dio tassiano interviene nei momenti di maggiore difficoltà per salvaguardare il

compimento dell’impresa eroica131. Tuttavia, le motivazioni interiori dei personaggi tassiani,

che si esprimono in sogni di piacere e di amore, costituiscono una novità rispetto al canone

epico. Queste motivazioni interiori rientrano secondo lo studioso nel motivo dell’errore e

rappresentano in modo tale un ostacolo fondamentale alla vittoria finale132. In seguito,

Squarotti afferma che il carattere cristiano della Liberata sia collegato a esigenze del genere:

individua nel tema religioso un senso di decoro che esprime la volontà tassiana di

ingrandire e rinnovare il genere epico133. Questa ricerca di grandiosità nell’ambito religioso

si esprime secondo lo studioso, tra gli altri, nei discorsi e nel ritratto dell’arcangelo Gabriele

che trasmette i decreti divini attraverso sogni134. La conclusione più rilevante per quanto

riguardano i sogni risulta il legame tra il tema religioso e l’ecezzionalità degli interventi

divini (apparizione di angeli, arcangeli e santi)135. Lo studioso precisa che questo legame è

immerso «in un‘atmosfera di miracolo che sospende la verosimiglianza storica e poetica per

un passaggio a ciò che è preternaturale in quanto dotato di valore esemplare»136. La visione

di Goffredo nel canto XVIII (ott. 92-96) viene identificata come un evento che, essendo di

carattere miracoloso, riesce a sublimare il racconto epico: la visione infatti viene ingrandita

sia in senso qualitativo, che in senso quantitativo137. I sogni, in questa prospettiva, sono

degli espedienti che da un lato funzionano da intermediari che trasmettono la volontà

divina, e dall’altro lato dimostrano l’insistenza di Tasso sulle immagini di decoro in ambito

religioso.

Costa invece discute gli intermediari (demoni, arcangeli) nella sua indagine del La

sublimità ermetica di Tasso138. Lo studioso non si concentra sul tema religioso, ma cerca di

dimostrare come in Tasso si registra un sublime magico-ermetico. A tale scopo, richiama

130 Ivi., p. 108. 131 Ivi., p 102. 132 Ibidem. 133 Ivi., p. 105. Per una discussione più elaborata del sublime si veda Gustavo COSTA, Il sublime e la magia da

Dante a Tasso, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994. 134 Ivi., p. 108. 135 Ivi., p. 112. 136 Ibidem. 137 Ivi., p. 115. 138 Gustavo COSTA, Il sublime e la magia da Dante a Tasso, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994.

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l’attenzione sul Messaggiero, un dialogo «scritto secondo la dottrina de’ Platonici»139. In

primo luogo, identifica come una delle fonti del Messaggiero il commento di Macrobio al

Somnium Scipionis, opera che riconosce la validità del sogno profetico sul piano della

divinatio. In secondo luogo, spiega la concezione cosmologica (platonica) del dialogo,

concezione che sta alla base della poetica di Tasso: il mondo è animato da spiriti immortali

che funzionano da intermediari tra Dio e l’uomo, l’ultimo di cui si colloca in una posizione

mediana140. Costa poi esamina la descrizione dello spirito che appare nel Messaggiero,

concentrandosi soprattutto sui significati simbolici dei colori (bianco, azzurro). Aggiunge

che la descrizione dello spirito fa pensare all’arcangelo Gabriele che appare nel canto I della

Liberata: la descrizione di Gabriele, infatti, assomiglia quella dello spirito sia per quanto

riguardano i colori («chiari, dorati e lucidi»141), sia dal punto di vista dell’età. («tra giovene e

fanciullo età comprese»142). Quindi, la presenza degli intermediari nella Liberata viene

discussa anzitutto come una manifestazione della gerarchia platonica.

2.2 Il sogno come espressione poetica

Benfell si occupa dell’autorità narrativa nella Gerusalemme Liberata, suggerendo che Tasso

cerca di equiparare Dio al poeta con lo scopo di aumentare l’autorità del poema143. Individua

in Dio il primo istigatore della crociata verso la Gerusalemme, poiché in apertura del poema

Dio manda l’arcangelo Gabriele a Goffredo per mettere in moto l’impresa militare. Inoltre,

nel corso del poema Dio interviene tramite sogni e prodigi per assicurare il successo

finale144: grazie all’aiuto divino, il duello tra Argante e Raimondo nel canto VII si conclude a

favore di Raimondo; nel canto IX, l’arcangelo Michele scende sulla terra per impedire

l’intervento delle forze demoniache. Secondo Benfell, Tasso s’ispira alla tradizione epica per

rappresentare quest’operazione divina, ma la trasforma in modo tale che sia coerente con la

139 T. Tasso, Dialoghi, a cura di E. Mazzali, Torino, 1976, I, pp. 3-4. Citato in G. COSTA, Il sublime…cit., p. 128. 140 Ivi., p. 133. 141 Ivi., p. 142. 142 G.L., I, ott. 13, v. 7 143 Stanley V. BENFELL, Tasso's God: Narrative Authority in the "Gerusalemme Liberata", in «Modern Philology», vol.

97, n. 2, 1999, pp. 173-194. 144 Ivi., p. 182.

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tradizione cristiana145. Inoltre, sostiene che l’incertezza di fronte agli interventi divini sia

proprio soltanto dei pagani o dei cristiani infedeli146. Mentre il pagano Arsete è indeciso sul

da farsi quando San Giorgio gli appare in sogno, Tancredi, da cristiano, riconosce il carattere

divino del sogno giuntogli147. Nella prospettiva di Benfell, quindi, i sogni, le visioni e gli

interventi divini sono dei mezzi con cui il Dio tassiano assicura l’ordine degli eventi, nonché

la fine riuscita dell’impresa.

Ardissino esamina i sogni nella sua analisi della riflessione teorica di Tasso148. La studiosa

ritiene che al racconto epico venga attribuita un ruolo esemplare, per cui «la poesia

acquista una dimensione profetica, offre dei modelli da sostituire a quelli superati»149. In

questa prospettiva, la Liberata deve svolgere il compito di promuovere l’unità del popolo

cristiano. Tuttavia il poema tassiana è, secondo la critica, anzitutto una storia di «erranza»

in cui le azioni non sono sempre esemplari: Rinaldo si svia a causa dei suoi intenti erotici,

Tancredi privilegia il suo amore per Clorinda al dovere morale150. Questa erranza, continua

Ardissino, viene inclusa nel progetto unificatore della Liberata che accoglie dunque

contemporaneamente i concetti dell’unita e dell’erranza151. Emblematico di questi due

concetti sono i sogni e le visioni. A differenza di Benfell, dunque, Ardissino interpreta i

sogni e le visioni divini in maniera duplice: come mezzi per riunire i cristiani e ricondurli

all’impegno guerresco da una parte (unità); come occasioni di sviamento dall’altra parte

(erranza). Il poema si apre difatti con un annuncio che suggerisce il progetto unificatore:

l’arcangelo Gabriele appare a Goffredo e gli rivela gli ordini divini. Ardissino, invocando

Gigante (vedi infra)152, ritiene ancora più importante la visione onirica di Goffredo nel canto

XIV perché essa «pone le azioni terrestri nella prospettiva del fine celeste»153. La visione

non solo indica le decisioni da prendere, ma rammenta anche l’esito ultimo dell’impresa

guerresca154. Secondo la critica, la scelta del sogno e della visione come punti correttivi degli

145 Ivi., p. 187. 146 Ibidem. 147 Ivi., p. 190. 148 Erminia ARDISSINO, La Gerusalemme Liberata ovvero l’epica tra storia e visione, in «Chroniques Italiennes», n.

58-59, 1999. 149 Ivi., p. 15. 150 Ivi., p. 16. 151 Ivi., p. 17. 152 Claudio GIGANTE, Il sogno di Goffredo, in «Studi Tassiani», anno XLIII, 1995, pp. 7-30. 153 E. ARDISSINO, La Gerusalemme…cit., p. 18. 154 Ibidem.

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smarrimenti umani è tutt’altro che casuale visto che essi costituiscono degli spazi liminari,

luoghi di contemplazione e meditazione che «consentono la percezione di una dimensione

sacrale»155. Viene formulata dunque un’altra volta l’interpretazione dei sogni e delle visioni

come forme di comunicazione con Dio. Entrambe le visioni di Goffredo (Canto I e Canto XIV)

segano, secondo Ardissino, delle svolte, offrono dei momenti di preveggenza e prospettano

lo sviluppo della storia156. Inoltre, il sogno offre delle possibilità di «identificazione

proiettiva» con gli eroi onorati dalla memoria di una nazione157. Passando poi dall’unità

all’erranza, la studiosa oppone i sogni che provengono dalla «cristallina porta in Oriente»

(G.L., XIV, ott. 3, v. 2) a quelli che provengono dalle forze infernali. Letta in chiave

psicologica, quest’opposizione si fonda sul sentire del sognatore: una mente preoccupata è

aperta a sogni inquietanti, mentre una mente serena lascia aperta la possibilità

dell’illuminazione divina158. Il sogno fallace di Argillano infusa dalla furia Aletto, ad esempio,

dimostra come un soggetto preoccupato (Argillano) si rende suscettibile a un sogno infuso

dalle forze infernali (Aletto)159. Infine, Ardissino individua, accanto al sogno, due forme

alternative di conoscenza divina: quella inglobata da Pietro l’eremita, portavoce dello

Spirito Santo, e quella insita nella scienza naturale del mago di Ascolano. Entrambe le figure

dimostrano come il volere divino si qualifica l’unico mezzo in grado di rimediare l’erranza

umana160. Per questo, Ardissino conclude che la guida divina, in forza della sua funzione

corettiva, orienta le vicende della crociata nella direzione della vittoria finale161. I sogni,

dunque, riflettono i due concetti su cui si fonde l’epica tassiana: l’unità e l’erranza.

È importante segnalare come, per quanto riguarda la Liberata, gli studiosi

soprammenzionati (Benfell, Ardissino) abbiano indagato l’azione divina soprattutto alla luce

delle convinzioni poetiche espresse da Tasso nei Discorsi dell’arte poetica. Sulla stessa linea si

muove Gregory, il saggio del quale offre una revisione dell’azione soprannaturale – celeste e

155 Ibidem. 156 Ibidem. 157 Ibidem. 158 Ivi., p. 19. 159 Ibidem. Di più, Ardissino nota che l’ottava quarta del canto XIV della Conquistata contiene l’osservazione di

Tasso che «la purezza dell’anima è garanzia di corretta conoscenza, mentre il peccato è via di travisamento

perché ogni immaginazione è ambigua e necessita di una interpretazione». 160 Ivi., p. 20. 161 Ivi., pp. 21-22.

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infernale162. Il suo studio consiste di tre parti che trattano rispettivamente le riflessioni

tassiane sull’epica cristiana, gli interventi divini e le forze infernali. Citiamo le osservazioni

circa il soprannaturale più rilevanti per la nostra tesi. Innanzitutto, Gregory sostiene che

Tasso nella Liberata propone una divinità classica cristianizzata secondo «la mutazion de la

religione e de’ costumi»163. Ribadisce quindi l’osservazione di Squarotti e di Benfell. Tasso

utilizza, infatti, nella sua descrizione dell’operato divino dei topoi della tradizione classica:

egli rappresenta un Dio che manda emissari alla terra, che infonde dei sogni e dei pensieri

negli uomini. Tuttavia, Gregory asserisce che il Dio tassiano sia investito di una vivacità non

posseduta dalle divinità classiche, le quali nella Liberata vanno considerate delle mere figure

retoriche164. In seguito, lo studioso rifiuta l’idea del Deus absconditus165 ed esplora il carattere

classico di vari interventi divini: l’annuncio dell’arcangelo Gabriele in sogno (Canto I),

l’angelo custode a difesa di Rinaldo (Canto VII), la pioggia purificatrice (Canto XIII). Osserva

che Tasso, nella rappresentazione del soprannaturale divino, riesce a mantenere una

correttezza teologica. Nella raffigurazione delle forze infernali invece, Gregory rileva una

progressiva umanizzazione che già anticipa la complessità psicologica di un’opera quale

Paradise Lost166. Le azioni di queste forze infernali, essendo circoscritte da Dio, si limitano alla

suggestione, all’illusione e all’infiltrazione della mente di soggetti influenzabili167. Il critico

si muove dunque sulla stessa linea di Ardissino che già sottolineava la predisposizione del

sognatore. L’interpretazione di Ardissino fornita riguardante il sogno falso di Argillano

viene sostenuta da Gregory che discute l’esperienza onirica del cavaliere come un caso

esemplificativo dei processi diabolici. Il sogno delude «le interne sue virtù» (G.L., VIII, ott.

59, v. 5), convincendolo dell’errata origine divina. In questo modo il sogno di Argillano

dimostra, secondo lo studioso, «a counter-factual state of affairs» che induce Argillano a

fare «an infernally inspired mistake»168. Come Ardissino, Gregory tende verso una lettura

allegorica dell’operato infernale come una forza centrifuga che minaccia l’unità cristiana.

Ciò nonostante, egli non esclude una lettura non-simbolica secondo la quale i demoni

162 Tobias GREGORY, Tasso's God: Divine Action in "Gerusalemme Liberata", in «Renaissance Quarterly», vol. 55, n. 2,

2002, pp. 559-595. 163 Ivi., p. 564. 164 Ivi., p. 566. 165 Dio appare nei canti I (ott. 7-12), VII (ott. 79), IX (ott. 55-59), XIII (ott. 72-74). 166 Ivi., p. 581. 167 Ivi., p. 584. 168 Ivi., p. 585.

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operano necessariamente sui bersagli facili169. Un’altra osservazione interessante di Gregory

concerne la funzione mitigante delle visioni oniriche e dei sogni celesti; una funzione che

tocca solo ai cristiani. Infatti, è solo ai crociati che vengono offerti dei sogni che

compensano la morte con la promessa di beatificazione. Per i pagani invece, la morte

significa dannazione eterna170. Gregory conclude che una tale differenza tra cristiani e

pagani dimostra come l’universo epico delle Liberata diverge da quello classico: nell’epica

classica non vengono offerte delle prospettive, ma vi è solo sofferenza umana171. Stando allo

studioso, quindi, i sogni esercitano una funzione diversa a seconda della fede e della

disposizione mentale del sognatore.

2.3 Il tema politico

Un altro approccio pertinente è quello che studia i fenomeni onirici dal punto di vista

politico. Un tale approccio viene appena suggerito da Baldassarri nella sua analisi dello

sviluppo del tema del viaggio e della navigazione nei poemi cinquecenteschi:

i non frequenti luoghi dei poemi cinquecenteschi destinati al resoconto di navigazioni

e di viaggi […] ambiscano a qualificarsi come sequenze narrative dotate di una propria

autonomia [..] [come] quella totalmente miracolosa e provvidenziale del XV stavolta

della Liberata, approda poi, al di là delle differenze pur sostanziali, a una

rifunzionalizzazione analoga in chiave moderna, cinquecentesca, del tema del viaggio

[..] proprio in virtù di una ideologia religiosa e politica insieme172.

Tuttavia è Quint che nel saggio Political Allegory in the Gerusalemme Liberata discute i sogni

all’interno di una lettura politica della Liberata173. Come indica il titolo, lo studioso indaga le

allusioni politiche del poema attraverso uno studio di tre episodi in cui i sogni occupano un

169 Ivi., p. 586. 170 Ivi., p. 591. 171 Ivi., p. 593. 172 G. BALDASSARRI, Il sonno di...cit., pp. 90-91. 173 David QUINT, Political Allegory in the Gerusalemme Liberata, in «Renaissance Quarterly, 41, n. 1, 1990, pp. 1-29.

Questo saggio elabora Argillano’s Revolt and the Politics of the Gerusalemme Liberata, in «Renaissance Studies in

Honor of Craig Hugh Smyth», Firenze, 1985, pp. 455-464.

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ruolo fondamentale: la ribellione di Argillano nel canto VIII, la ribellione di Rinaldo nel

canto V e la riconciliazione di quest’ultimo con Goffredo nel canto XVIII. Nel primo

episodio, il sogno funziona come istigatore: la ribellione di Argillano viene provocato dal

sogno falso che gli viene ispirato dalla furia Aletto. Inoltre questo sogno contiene, per una

serie di allusioni topiche e rinvii letterari, significati politici contemporanei174: l’immagine

del corpo smembrato si riferisce non solo alla chiesa minacciata dallo scisma eretica, ma

contiene anche una possibile polemica anti-protestante. Una tale lettura politica implica,

secondo lo studioso, anche l’identificazione di Goffredo con l’autorità papale175. Infatti, è Dio

stesso che, tramite l’annuncio in sogno dell’arcangelo Gabriele, designa Goffredo come

leader dei cristiani176. Per quanto riguarda il secondo episodio, è il sogno di assumere la

leadership, erroneamente attribuito a Rinaldo, che offre lo spunto per la ribellione del

giovane cavaliere. Quint asserisce che sia possibile individuare un’analogia tra Argillano e

Rinaldo, nel senso che tutti ribellano contro Goffredo con lo scopo di evitare la

sottomissione politica177. Letta in chiave politica, la relazione dei due personaggi riflette un

conflitto contemporaneo tra gli Este e il papato178. Nel terzo episodio, il sogno assume di

nuovo la funzione di istigatore: una visione celeste rivela a Goffredo la necessità di

richiamare Rinaldo, il quale è l’«esecutor soprano» (G.L., XIV, ott. 14, v. 4) dei suoi ordini.

L’importanza della visione celeste si spiega, secondo Gregory, dal fatto che la riconciliazione

dei due cavalieri è determinante per lo sviluppo del poema. Vista in prospettiva politica, la

riconciliazione rappresenta una variante fittizia dell’alleanza storica tra gli Este e il papa179.

Insomma, i sogni costituiscono la causa di episodi che riflettono conflitti politici coevi.

Zatti, nel suo studio delle caratteristiche dei sogni epici, ribadisce il carattere politico

dei sogni di Goffredo (Canto I e Canto XIV) e di Argillano (Canto VIII)180. Afferma che si tratti

di tre sogni che funzionano «in coincidenza con gli snodi strutturali della trama, innescando

[...] la peripezia»181. Si distingue da Quint perché non svolge una lettura allegorica dei sogni,

ma mette in rilievo la loro collocazione strategica all’interno della Liberata. Il primo dei tre

174 D. QUINT, Political…cit., p. 4. 175 Ivi., pp. 9-10. 176 Ivi., p. 9. 177 Ivi., p. 11. 178 Ivi., p. 12. 179 Ivi., p. 22. 180 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…op cit. 181 Ivi., p. 31.

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sogni, quello che offre una visione celeste a Goffredo, si colloca in esordio del poema (ott.

13-17) e, secondo Zatti, ha la funzione di stimolare l’azione militare dopo le discordie

dilatanti all’interno dell’esercito cristiano. Il secondo sogno di Goffredo (Canto XIV, ott. 2-

20) gli trasporta in cielo dove Ugone gli rivela gli eventi futuri, nonché la sua gloriosa

discendenza. Strutturalmente la visione segna, secondo lo studioso, la fine della suggestione

diabolica182. Aggiunge che la visione è illustrativa della tecnica del mise en abîme, perché

Ugone riproduce, sia pure con deviazioni minime, la formula programmatica del poema183.

Zatti sostiene che i due sogni di Goffredo segnino ambedue delle svolte, nel senso che

preparano un nuovo corso delle vicende. Il sogno di Argillano, invece, è una premessa per le

discordie che si diffondono nell’esercito crociato. Inoltre, si colloca in una posizione

equidistante tra i sogni di Goffredo (I, VII, XIV). Zatti conclude che i tre sogni politici, che

occupano una posizione narrativamente strategica, riprendono l’impostazione strutturale

dell’intera epica tassiana (unità e varietà). Conforta dunque l’osservazione di Ardissino

riguardante il valore emblematico dei sogni. Lo studioso affronta anche il problema

ermeneutico della verità che secondo lui attraversa i sogni di Argillano e di Goffredo:

benché le modalità operative dei sogni siano uguali, solo quello di Goffredo risulta

profetico184. Infine, viene accennato brevemente alla regressione romantica di Rinaldo che è

tutta «avvolta nell’involucro del sogno»185. Quindi, Zatti considera i sogni di Goffredo e

Argillano come esemplificativi delle caratteristiche tipiche dei sogni epici.

2.4 Il sogno di Goffredo

Come già indicato sopra, la critica ha analizzato soprattutto i fenomeni onirici in margine di

un argomento diverso. Il numero di saggi dedicati unicamente ai sogni tassiani e, più

specificamente, ai sogni di Goffredo è assai limitato. Per questo, ci concentreremo su uno

studio sviluppato da Gigante che si concentra primariamente sul sogno di Goffredo nel libro

182 Ivi., p. 32. 183 «Il ciel gli diè favore, e sotto a i santi/ segni ridusse i suoi compagni erranti» (G.L., I, ott. 1, vv. 7-8) ; «Così al

fin tutti i tuoi compagni erranti/ ridurrà il ciel sotto i tuoi segni santi» (G.L., XIV, ott. 18, vv. 7-8). 184 Ivi., p. 35. 185 Ivi., p. 39.

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XX della Gerusalemme Conquistata186. Benché non sia la Conquistata il centro della nostra

indagine, riteniamo importante citare questo saggio perché offre una serie di osservazioni

pertinenti sul tema del sogno e della visione nella Liberata. Gigante individua in Tasso un

interesse per il tipo di sogno profetico che prevede l’incontro con un defunto, il che si

riscontra nell’apparizione di Ugone a Goffredo nel canto XIV della Liberata. La visione consta

di tre sequenze – «l’apparizione», il «tentativo di abbraccio», il «dialogo» – che ricordano

quelle del sogno consolatorio giunto a Tancredi nella Liberata187. Rispetto alle visioni

presenti nella Liberata, la Conquistata offre una dimensione onirica più elaborata, nel senso

che viene offerto anche il racconto del sogno di Clorinda, appena accennato nella Liberata e

arricchito dall’ispirazione cristiana e dall’allegoria188. Gigante suggerisce un’interpretazione

della visione celeste di Goffredo che si basa sullo sviluppo intellettuale e religioso di Tasso,

nonché sull’influsso della trattatistica dell’epoca: la visione, che costituisce una sorta di

pendant della visione infernale di Araldo e Ruperto nel libro XII, viene ampliata e riveduta

per essere arricchita di motivi biblici e teologici189. Questi motivi si riscontrano nella

descrizione delle due città (celeste e terrena), nonché nella vasta gamma di riferimenti a

testi profani, sacri, antichi e moderni. Inoltre, Gigante analizza la visione di Goffredo

secondo lo schema onirico di Macrobio, individuandone le modalità dell’oraculum e della

visio, seppure organizziate in maniera più complessa190. Insomma, lo studioso discute il

modo in cui Tasso, nel sogno di Goffredo, ha refunzionalizzato i modelli classici per farli

conformare ai modelli cristiani.

2.5 Il sogno di Argillano

Conviene far notare che alcuni studiosi sopraelencati si siano soffermati brevemente sulle

esperienze oniriche del personaggio Argillano, limitandosi a indicare la disposizione

186 C. GIGANTE, Il sogno di...op cit. 187 Ivi., pp. 8-9. 188 Ivi., p. 10. 189 Ivi., pp. 13-17. 190 Ivi., p. 19.

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mentale del personaggio o l’importanza strutturale del suo sogno191. A questo tipo di studio

si oppone D’Alessandro: il suo saggio offre un’analisi più dettagliata dei sogni di Argillano192.

Lo studioso intende dimostrare che il sogno di Argillano (Canto VIII) assomiglia quello di

Goffredo nell’essere modellato sul Somnium Scipionis di Macrobio. Ritiene che le categorie

dell’insomnium e del visum siano alla base sia dell’esperienza onirica, che della disposizione

mentale del personaggio193. Infatti, Argillano, preoccupato per la sorte di Rinaldo, vede in

sogno un’apparizione caratteristica dell’incubo (insomnium): si tratta della furia Aletto che

gli «figura un gran busto» (G.L., VIII, ott. 60, v. 1). Lo studioso attribuisce particolare

attenzione al verbo figurare che appare nella descrizione dell’apparizione. Questo verbo

suggerisce, secondo D’Alessandro, che l’apparizione è una sorta di ombra o idolo,

immaginatosi da quelli con «appetiti» come la cupidità e l’ambizione194. Sostiene che

l’appetito dell’ambizione sia tipico del personaggio di Argillano che si rivela nel corso del

poema molto preoccupato a farsi onore195. Suggerisce che Tasso s’ispira a Macrobio per

esplicitare la falsità della visione poiché è tipico dell’incubo che il sognatore crede di essere

sveglio: Arsete infatti dichiara di aver visto Rinaldo in persona196. In seguito, D’Alessandro

afferma che la differenza tra la visione celeste di Goffredo e quella falsa di Argillano sia

indicativa di una opposizione quasi ironica tra gli stessi personaggi. Specifica che

differiscono in termini di capacità oratoria, di armamento bellico e di eroismo197. È proprio

in questo eroismo che, secondo D’Alessandro, si situa l’opposizione tra Argillano e Clorinda:

il battesimo della guerriera trasforma il suo eroismo da pagano a cristiano198. Conclude che

l’uso del sogno nella Liberata esprime il desiderio di definire il vero eroe cristiano e, in

questo modo anche la volontà di creare l’epica cristiana ideale.

191 Ricordiamo in questa sede: A. FICHTER, M. WEIDHORN, E. ARDISSINO, T. GREGORY, D. QUINT, S. ZATTI. 192 Mario D'ALESSANDRO, Type, Antitype, Figure, and the Exemplum: Dream and Vision in Tasso's Epic Poetry, in

«Quaderni d’italianistica», n. 1, 2003, pp. 61-73. 193 Ivi., p. 62. 194 Ivi., p. 63. D’Alessandro nota che è Tasso stesso a scrivere nel dialogo Il Cataneo overo degli idoli: «E ciascun di

questi appetiti, i’dico l’amore, la cupidità d’avere ambizione, si divide in molti altri; e tutti si svolgono ad un

obietto particolare il qual s’imprime ne la fantasia» (192) 195 Ivi., p. 65. Vengono citate le ottave 65 e 68 del canto VIII. 196 Ibidem. 197 Ivi., pp. 67-70. 198 Ivi., p. 71.

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2.6 Il tema dell’amore

Anche il motivo amoroso stimola l’immaginazione dei personaggi che talvolta si

abbandonano ai loro desideri e sfuggono in veri e propri «rêves d’amour». Prendiamo in

considerazioni le storie d’amore più rilevanti nell’ambito della nostra tesi: quella di

Tancredi e Clorinda; quella di Erminia e Tancredi.

2.6.1 Tancredi e Clorinda

Getto, nella sua analisi della poetica di Tasso, osserva che una propensione all’illusione si

esprime nella vicenda amorosa di Tancredi e Clorinda. L’apparizione di Clorinda agli occhi

del cavaliere (Canto III, ott. 21) lo rende smarrito, anzi lo strappa dalla realtà della guerra

per lasciarlo in disperazione isolata199. Infatti, dopo aver ucciso Clorinda, Tancredi cade in

uno stato di patetica disperazione fin quando gli giunge una visio angelicata dell’amata che

lo consola. Squarotti invece interpreta lo smarrimento di Tancredi a causa dell’amore come

una dimostrazione delle forze centrifughe e seduttive. Per quanto riguarda il motivo

dell’errore, abbiamo già detto che lo studioso sostiene che le motivazioni interiori dei

personaggi si esprimono in sogni di piacere e sogni d’amore (cfr. 2.1.2). Bisogna aggiungere

che egli dedica un capitolo a Il duello fra Tancredi e Clorinda200, in cui interpreta la vicenda

amorosa degli amati come una manifestazione esemplare non solo del sogno d’amore, ma

anche della dimensione metaletteraria del poema: sostiene che l’episodio sia il tramite di

una riflessione fatta da Tasso intorno alla trattazione e ai modi della poesia epica201 . Inoltre,

ritiene rilevante che l’episodio rimanga quasi inalterato nella Conquistata. Infatti, Tasso solo

aggiunge una descrizione più elaborata del sogno di Clorinda, il quale Squarotti considera

una reduplicazione manierista del sogno premonitore di Arsete202. Tasso avrebbe elaborato

questo particolare per rendere esplicito il processo d’anima di Clorinda, scossa

profondamente dalle rivelazioni del suo vecchio tutore. Per di più, il sogno vale, secondo

199 G. GETTO, Interpretazione ...cit., p. 398. 200 G. BÁRBERI SQUAROTTI, Il sogno…cit., pp. 159-178. 201 Ivi., p. 165. 202 Ivi., p. 177.

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Squarotti, a rivelare «il passaggio di livello e di modi dall’epica classica all’epica cristiana» e

in modo tale «segna la fine dell’epica classica come modello»203. Per quanto riguarda il sogno

amoroso, esso è destinato a rimanere impossibile poiché si tratta di un amore che non

troverà mai compimento204. Oltre all’amore, anche la natura assume spesso un carattere

onirico: nella descrizione della selva demoniaca (Canto XIII), ad esempio, Tasso fa

riferimento a incubi, visioni spaventose, sogni demoniaci205. Questi prodigi hanno secondo

Squarotti la stessa irrealtà del sogno amoroso perché sono le forze demoniche a

determinarli, a renderli innaturali206. Ne conclude che anche l’episodio di Tancredi nella

Selva di Saron contiene un significato metaletterario: segna la fine della «splendida finzione

dell’Aminta» in cui l’amore trionfa207. Da questo punto di vista, la Liberata contiene varie

manifestazioni oniriche (amore, natura) che spesso si riallacciano a una funzione

metaletteraria.

Anche Cerbo ha indagato l’episodio di Tancredi nella selva di Saron (Canto XIII),

affermando che la descrizione dei prodigi e delle allucinazioni rivela «la profondità

psicologica [...] del personaggio». Adotta dunque un punto di vista piuttosto psicologico per

analizzare i sogni nella Liberata208: sostiene che le esperienze oniriche rappresentino degli

esempi di «ritorno del rimosso», di «traslazione» e di «coazione» psichica209. L’impresa di

Tancredi nella selva, ad esempio, raffigura secondo Cerbo una discesa nella propria psiche,

popolata da ombre e di apparenze che rappresentano le preoccupazioni mentali dell’eroe 210.

Afferma che Tasso cerchi di esternare gli spazi interiori dei personaggi che sono, tra l’altro,

la fonte di sogni turbati: a Tancredi, turbato per la morte di Clorinda, si offre un sogno

consolatore di cui il senso delirante e allucinante viene aumentato dalla propria colpa211.

Successivamente, la sua preoccupazione mentale si concretizza nella visione allucinatoria di

Clorinda, fonte di suggestione diabolica. L’ossessione di Arsete con il battesimo di Clorinda

203 Ibidem. Va notato che questo intento rimane in fondo lo stesso di quello della Liberata. 204 Ivi., p. 167. 205 Ivi., p. 260. 206 Ibidem. 207 Ivi., p. 261. 208 Anna CERBO, Ombre e abissi interiori: modernità tassiana. Pubblicato online sul sito dell’Associazione degli

Italianisti Italiani, Roma, 2009, ultima verifica 15-04-2012.

(http://www.italianisti.it/FileServices/Cerbo%20Anna.pdf) 209 Ivi., p. 6. 210 Ivi., p. 7. 211 Ivi., p. 9.

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si esprime nel succedersi di sogni minacciosi (Canto XII). Lo stesso pensiero poi ossessiona

Clorinda, che soffre un sogno analogo a quello di Arsete212. Cerbo giunge a confortare la tesi

di Squarotti nel dire che la modernità dell’opera tassiana sta nella sua riproduzione dello

stato psichico e interiore dei personaggi. Caruth, sulla scorta di Cerbo, adotta un punto di

vista psicologico nel suo studio delle rappresentazioni letterarie di esperienze

traumatiche213. Nell’introduzione del libro sostiene che l’episodio di Tancredi nella selva di

Saron sia un esempio del modello di sofferenza elaborato da Freud: è un modello che

prevede la ripetizione fisica e involontaria di eventi rimossi 214. Secondo Caruth, l’uccisione

di Clorinda da parte di Tancredi diventa conoscibile al cavaliere solo al momento in cui

viene ripetuta fisicamente. Infatti, Tancredi ripete l’uccisione quando ferisce il fantasma di

Clorinda nella selva di Saron215. Quindi, Caruth ripete l’osservazione di Cerbo, secondo la

quale i sogni sono delle forme di ritorno del rimosso.

2.6.2 Erminia e Tancredi

Corrigan, nel suo studio della storia amorosa di Tancredi ed Erminia, discute il sogno

d’amore in termini del desiderio216. Sostiene che il personaggio di Erminia si sviluppi nel

corso del poema lungo due «pattern» narrativi contrassegnati dal desiderio: la volontà di

curare l’amato Tancredi da un lato, l’aspirazione di essere accolta nell’esercito cristiano

dall’altro lato217. Innanzitutto, Corrigan mette in rilievo l’inclinazione amorosa di Erminia.

Quest’inclinazione si esprime secondo la studiosa in proiezioni fantastiche e lamenti

affettuosi. Afferma che le fantasie del personaggio abbiano un esito variabile: da un lato

divergono dalla realtà, dall’altro lato si realizzano effettivamente. Infatti, la fantasia di

morire alle mani di Tancredi si rompe, mentre il desiderio di curare l’amato si realizza. Per

quanto riguarda questo secondo desiderio, Corrigan osserva che Tasso compie la sua

212 Ivi., p. 8. 213 Cathy CARUTH, Unclaimed Experience: Trauma, Narrative, and History, Baltimore, John Hopkins University

Press, 1996. 214 Ivi., p. 2. 215 Ivi., p. 4. 216 Beatrice CORRIGAN, Erminia and Tancredi: The Happy Ending, in «Italica», vol. 40, n. 4, 1963, pp. 325-333. 217 Ivi., p. 326.

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realizzazione attraverso la tecnica stilistica delle frasi echeggiate218. In seguito, la studiosa

osserva che il desiderio di entrare nel campo cristiano dimostra ambedue gli esiti poiché

viene impedito nel canto VI per poi realizzarsi nel canto XIX219. Quindi, per Corrigan, i sogni

si rivelano anzitutto dei desideri che si esprimono in proiezioni fantastiche e azioni

precipitose.

Hagge a sua volta ha discusso i sogni di Erminia nel suo studio del sogno letterario. Come

già detto, lo studioso ritiene che i sogni della Liberata operino in coerenza con la struttura e

l’ideologia del poema. Bisogna aggiungere che termina il sogno di Erminia un enypnion o un

sogno vano220. Egli sottolinea ancora una volta l’inclinazione amorosa del personaggio che si

lascia convincere dai presagi percepiti in sogno. Convinta della veridicità di questi presagi,

Erminia decide di recarsi nel campo cristiano per consolare Tancredi e per calmarsi essa

stessa221. In seguito, afferma che la presenza dell’enypnion nel poema tassiano sia segno di un

universo onirico ampiamente ridimensionato rispetto a quello dei predecessori: infatti, la

Liberata contiene «non solo il taglio dell’enypnion sessuale, ma anche […] tutto ciò che può

qualificarsi come sogno vano»222. Migiel a sua volta ha fornito delle osservazioni interessanti

riguardante i desideri del personaggio di Erminia223. La studiosa propone una lettura diversa

della storia di Erminia, secondo la quale il personaggio resiste l’integrazione nell’universo

epico. Suggerisce che il desiderio di Erminia la rende un’osservatrice particolarmente

percettiva: descrive in dettaglio i cavalieri cristiani poiché è innamorata di uno di loro

(Tancredi)224. Da narratrice si trasforma poi in scrittrice quando, nell’episodio idilliaco, il

nome dell’amato «in mille piante incise» (G.L., VII, ott. 19, v. 6). Tuttavia l’atto di scrittura si

rivela secondo Migiel incapace di esaudire i desideri di Erminia225. Continua che il desiderio

minaccia i codici interpretativi del poema poiché i sentimenti della donna sono mascherati

218 Ivi., pp. 329-330. «ben ne avresti tu gioia e diletto/ se la pietosa tua medica mano/ avicinassi al valoroso

petto» (G.L., VI, ott. 76, vv. 2-4); «Tu chi sei, medica mia pietosa?» (G.L., XIX, ott. 114, v. 2). 219 Ivi., p. 331. 220 M. HAGGE, Il sogno…cit., p. 227. 221 Ivi., p. 226. 222 Ibidem. 223 Marilyn MIGIEL, Tasso’s Erminia: Telling an Alternate Story, in «Italica», vol. 64, n. 1, 1987, pp. 62-75. 224 Ivi., p. 64. 225 Ivi., p. 67.

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linguisticamente226. Migiel, dunque, rileva il lato positivo dei desideri di Erminia, nel senso

che potenziano le sue capacità di osservazione e di narrazione.

Nella sua discussione del valore dell’idillio nella Liberata, Squarotti interpreta la fuga

idilliaca di Erminia come un sogno evasivo227. Ritiene che il luogo pastorale sia una

dimensione alternativa e «autre», rispetto alla guerra e al dovere religioso228. Da questa

prospettiva, l’idillio si qualifica come una pausa di vita, come naturale e semplice. Lo

studioso studia anche l’entrata di Erminia nel luogo idilliaco. Precisa che l’ingresso è

«dovuto alla pura casualità della corsa del cavallo»229 e che avviene attraverso il sonno

inteso come momento di rigenerazione. Inoltre, afferma che il sonno consenta il

ribaltamento dei luoghi: da «antica selva» (G.L., VII, ott. 1, v. 2) con «ombrose piante» (G.L.,

VII, ott. 1, v. 1), agli «alberghi solitari de’ pastori» (G.L., VII, ott. 5, v. 6)230. Nella dimensione

solitaria e altra, il desiderio di Erminia, che è irrealizzabile nella realtà, può essere

vagheggiato e immaginato. Tuttavia, lo studioso evidenzia che la sosta idilliaca è destinata a

terminare cosicché tutto il «décor» dell’idillio alluda a un senso di precarietà231. Per Squarotti

dunque, il luogo dell’idillio è sogno evasivo, nel senso che rappresenti un luogo precario e

altro rispetto all’impresa bellica.

2.7 Il tema della magia

Concludiamo con alcune osservazioni di Sozzi, il saggio del quale si concentra sul Magismo

nel Tasso232. Il tema della magia percorre tutta l’attività letteraria dell’autore, ma raggiunge la

sua più riuscita espressione nella Liberata. Il critico ascrive la presenza del motivo magico a

un «concorso di ragioni estrinseche e di ragioni sostanziali»233. Vale a dire, la presenza di un

226 Ivi., p. 64 e p. 69. 227 G. BÁRBERI SQUAROTTI, Il sogno…cit., pp. 179- 228. 228 Ivi., p. 179. 229 Ibidem. 230 Ivi., p. 181. 231 Ivi., p. 167. 232 B. T. SOZZI, Il magismo... cit., pp. 25-50. 233 Ivi., p. 34.

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soprannaturale cattolico (intervento di Plutone e i suoi discepoli, di Dio e i suoi angeli) è il

risultato di principi estetici che stanno alla base del poema eroico («meraviglioso

verisimile»). In seguito discute i personaggi magici della Liberata, il che lo porta a

distinguere tra magia nera, magia naturale e magia bianca. Attribuisce l’ultimo dei tre tipi di

magia a Dio e i suoi messaggeri: la divinità agisce sulle vicende umane tramite fenomeni

fantastici e meravigliosi, tra cui sogni e visioni234. La conclusione più rilevante per quanto

riguardano i sogni e le visioni è dunque la loro appartenenza alla categoria della magia

bianca.

2.8 Conclusioni

Quel che riteniamo importante notare, sulla scorta degli studi soprammenzionati, è che il

tema del sogno e della visione nella Liberata raramente costituisce l’argomento centrale

dello studio: appare volta a volta come espressione collaterale dell’oggetto studiato. Anche

se tutti gli studi affrontano, in un modo o l’altro, i fenomeni onirici, si divergono tra di loro

per le rispettive prospettive assunte. In realtà, possiamo distinguere gli studiosi che

esaminano in modo sommesso i sogni come parte di uno studio dedicato alla Liberata e

quelli che discutono i sogni della Liberata all’interno di uno studio non legato al poema

tassiana. Nel secondo gruppo ricordiamo i libri e i saggi che sviluppano una discussione sul

sogno letterario e che citano i sogni tassiani per illustrare un particolare tipo di sogno

letterario o per completare una rassegna storica degli usi letterari del sogno.

Alla domanda di sapere quali tipi di sogno sono presenti nella Liberata, gli studiosi hanno

formulato risposte diverse: le loro denominazioni divergono a seconda delle prospettive

adottate e a seconda delle teorie usate. Distinguono i sogni seguenti: il sogno escatologico,

profetico o la visione celeste (Goffredo), il sogno falso o ingannatore (Argillano), i sogni

minacciosi o ammonitori (Arsete), il sogno politico (Goffredo e Argillano), il sogno amoroso

o vano (Tancredi e Erminia), il sogno evasivo (fuga idilliaca).

Vari studiosi hanno notato l’importanza strutturale dei sogni, sia per quanto riguarda la

loro collocazione all’interno del poema, sia per quanto riguarda la loro organizzazione

234 Ivi., pp. 39-41.

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interna. I critici sopraelencati ripetutamente affermano che i sogni segnano delle svolte,

soddisfano delle esigenze testuali e funzionano in coerenza con i nuclei narrativi del poema.

In generale, i critici hanno prestato attenzione soprattutto alla collocazione strutturale dei

sogni in relazione a Goffredo, Argillano e, in misura minore, a Tancredi. Finora, la posizione

strutturale dei sogni di Arsete e di Erminia non è ancora esaminato in modo esauriente.

La tendenza a privilegiare le esperienze oniriche di Goffredo e Argillano si riscontra

anche negli studi che adottano un punto di vista politico o che denominano i sogni di questi

due personaggi come sogni politici. In quest’ambito è stato notato il funzionamento del

sogno di Goffredo e Argillano secondo le caratteristiche tipiche del sogno epico. Tuttavia,

manca uno studio approfondito delle caratteristiche epiche del sogno in rapporto a Erminia,

Arsete e Tancredi: si tratta in altre parole di una lacuna che cercheremo di colmare nella

nostra tesi. Inoltre, data l’influsso dell’ambiente religioso sull’opera sarebbe interessante

anche indagare le caratteristiche religiose di questi sogni.

Per di più, i fenomeni onirici si sono rivelati un oggetto d’interesse per i critici che hanno

indagato il tema religioso della Liberata. Benché non smentiscano le fonti classiche

dell’opera tassiana, gli studiosi dimostrano una tendenza a considerare la Liberata un’epica

che subisce molto dell’influsso della teologica cattolica. A proposito, gli studiosi dimostrano

un duplice atteggiamento: possiamo distinguere quelli che ritengono le manifestazioni

soprannaturali privo di una spiritualità cattolica e quelli che le considerano perfettamente

integrate nella cultura cattolica coeva. In genere però la critica considera il sogno come un

mezzo d’intermediazione tra Dio e l’uomo, in cui appaiono per lo più santi, arcangeli o

demoni.

Per quanto riguardano i sogni amorosi, la critica si è concordata sul loro carattere

irrealizzabile e deviatore rispetto al dovere morale. Di questi studi, quelli che discutono la

vicenda amorosa di Tancredi prestano attenzione all’ambito psicologico. Cerbo e Caruth,

come abbiamo indicato, interpretano l’episodio di Tancredi nella selva di Saron come un

ritorno del rimosso e visto che il rimosso ritorna nei sogni, possiamo concludere che i

fenomeni onirici hanno un lato psicologico.

Il sogno vano di Erminia, invece, viene analizzato all’insegna dei desideri che lo

generano. Questi desideri portano il personaggio a rifugiarsi temporaneamente in un luogo

idilliaco considerato altro rispetto al tema della guerra. Siccome gli studi, per quanto

riguardano le vicende amorose, si concentrano sul sogno quale creazione della fantasia, ciò

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che si desidera fortemente, si può difatti concludere che nella Liberata sia presente l’uso

secondario del sogno.

Il percorso finora esplorato ha cercato di offrire una base per avviare all’analisi tematica.

In primo luogo abbiamo offerto uno sviluppo teorico, partendo dalle teorie oniriche e le

caratteristiche tipiche dei sogni epici e biblici. In seguito, abbiamo indagato l’interesse della

critica per l’universo onirico della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Da questa

rassegna iniziale progrediremo verso uno studio dettagliato di alcuni sogni finora meno

studiati, cioè quelli di Erminia, Arsete e Tancredi, soggetto del secondo capitolo. In

particolare, cercheremo di stabilire il loro rapporto con il topos del sogno e della visione

nella letteratura epica e religiosa.

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II. Analisi tematica del sogno e della visione: Erminia,

Arsete, Tancredi

Il nucleo del presente discorso consiste nell’analisi dei sogni e delle visioni di Erminia. Oltre

alle nozioni del sogno e della visione, valuteremo un’altra nozione, strettamente legata alle

precedenti, cioè quella del desiderio, che occupa una posizione fondamentale all’interno del

sistema onirico. Partendo dalla teichoskopia del personaggio, tenteremo di analizzare le

articolazioni dei suoi desideri, l’impostazione del suo sogno e della sua fuga idilliaca,

facendo attenzione alla loro oscillazione rispetto al topos.

1. «La bella Erminia»

Ho condotto a fine la favola d'Erminia, come ha voluto la musa se non come avrebbe voluto l'arte. TORQUATO TASSO, Lettere, 1, 180

1.1 La Teichoskopia ovvero una «visione dall’alto delle mura»

Come si è visto nell’introduzione, la visione quale articolazione letteraria si definisce come

una dimensione semantica, una struttura formale, o una componente tematica, avente un

arsenale di espressioni diverse. Benché la teichoskopia venga definita «visione dall’alto delle

mura», sosteniamo che essa prende nella Liberata la forma di una sorta di sogno quale

rappresentazione di un mondo diverso nel male rispetto a quello reale, con cui si integra.

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Gli ordini diede, e poscia ei si ritrasse

Ove sorge una torre infra due porte,

Sì ch’è presso al bisogno; e son più basse

Quindi le piaggie e le montagne scorte.

Volle che quivi seco Erminia andasse,

Erminia bella, ch’ei raccolse in Corte

Poi ch’a lei fu da le cristiane squadre

Presa Antiochia, e morto il re suo padre. (G.L., III, ott. 12, vv. 1-8)

Si tratta di una teichoskopia, tecnica narrativa che Tasso mutua dall’Iliade di Omero, e, in

particolare, dall'episodio in cui Elena indica a Priamo gli eroi greci dalle mura di Troia235. Nel

grande scontro militare tra musulmani e cristiani, questa teichoskopia contribuisce a creare

un intreccio di focalizzazione, che virtuosisticamente miscela punti di vista diversi e

rappresenta il riverbero emotivo degli eventi sulle rispettive prospettive: quello che segue

da vicino il groviglio delle armi, quello che guarda dall’alto e che consente una visione più

pacata e rappresentativa del tumulto bellico e, più in avanti, quello di Goffredo. Il secondo

punto di vista, quello che ci offre la teichoskopia, guarda da lontano gli eventi e perciò ci

presenta l’osservatrice come separata dalla realtà guerresca, coinvolta in una pausa

descrittiva che lascia intravedere i suo sentimenti profondi. In questo quadro, è utile

indicare che il sogno si caratterizza per esser un fenomeno di totale coinvolgimento, ossia

un'attività solipsistica che rappresenta una discontinuità rispetto al flusso temporale del

racconto236.

Rispetto all’Iliade, la visione viene funzionalizzata al racconto e caricata di un’intensità

lirica e patetica del tutto nuove237. Lo sguardo di Erminia, segretamente innamorata di

Tancredi, ha lo scopo di introdurre i principali cavalieri dell’esercito cristiano che, data la

sua passione amorosa, viene descritto mediante un linguaggio insieme lirico e metaforico. Il

personaggio «nasconde/ sotto il manto de l’odio altro desio» (G.L., III, ott. 19, vv. 1-2), cioè

quello amoroso che si contrappone al sentimento simulato dell’odio, talché la visione

dimostra la volontà di Tasso di mettere insieme una combinazione apparentemente

impossibile: il tema dell’amore con quello delle armi.

235 Iliade, III, 191-319. 236 R. CESERANI, GDE…cit., vol. 3, pp. 2278-2286. 237Torquato TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco TOMASI, op cit., p. 175.

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Poi gli dice infingevole, e nasconde

sotto il manto de l’odio altro desio:

-Oimè! Bene il conosco, ed ho ben donde

fra mille riconoscerlo deggia io,

che spesso il vidi i campi e le profonde

fosse del sangue empir del popolo mio.

Ahi quanto è crudo nel ferire!a piaga

ch’ei faccia erba non giova od arte maga

Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero

Mio fosse un giorno! E no ‘l vorrei già morto;

vivo il vorrei, perch’in me desse al fero

desio dolce vendetta alcun conforto».

Così parlava, e de’ suoi detti il vero

da chi l’udiva in altro senso è torto;

e fuor n’uscì con le sue voci estreme

misto un sospir che ‘ndarno ella già preme. (G.L., III, ott. 19- 20)238

Giocando sul doppio significato delle parole, Erminia chiama Tancredi «crudo nel ferire»

(G.L., III, ott. 19, v. 7), non riferendosi esclusivamente alle ferite inferte in battaglia.

Espressioni militari come «oh prigioniero/ mio fosse un giorno!» (G.L., III, ott. 20, vv. 1-2) e

«in me desse al fero/desio dolce vendetta alcun conforto» (G.L., III, ott. 20, vv. 3-4) rivelano

attraverso un gioco di allusioni dei topoi lirici «da chi l’udiva in altro senso è torto» (G.L., III,

ott. 20, vv. 5-6). A livello testuale la visione va quindi intesa quale dimensione semantica in

cui troviamo ambiguità lessicale dovuta al sapore lirico-erotico del linguaggio. L’ambiguità

lessicale, dovuto al linguaggio metaforico, aumenta la densità semantica del racconto e crea

plurime possibilità di interpretazione, poiché le descrizioni di Erminia si presentano

appunto diverse e, apparentemente più crudeli rispetto a quelle reali. In altri termini, si

tratta di una proiezione fantasiosa e romantica che si integra col mondo reale.

Inoltre, la visione dall’alto delle mura è una tecnica narrativa di fondamentale

importanza per il poema epico dato che consente «all’eroismo di affermarsi quale modo di

vedere il mondo in funzione della sua narrabilità postuma»239. In questo senso, la visione di

Erminia si connette ad una qualità fondamentale dell’epica, ossia quella di essere poema

238 I corsivi sono nostri. 239 Antonio SCURATI, Guerra: narrazioni e culture nella tradizione occidentale, Roma, Donzelli, 2003, p. 151.

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della memoria e della conquista che promuove una prospettiva di durata storica240 – una

qualità che si connette, a sua volta, al sogno massimo della ragione imperialistica propagato

dal poema eroico241.

Le forze di osservazione di Erminia la rendono un personaggio molto percettivo e perfino

degno di essere nominato narratrice. La donna riesce infatti a descrivere in dettaglio i vari

cavalieri coinvolti in battaglia: dopo aver individuato Tancredi, riconosce Rinaldo (Canto III,

ott. 37-39), Dudone, Gernano, Gildippe e Odoardo (ott. 39-40); continua con la descrizione di

Goffredo (ott. 58-59), Baldovino, Guelfo e Boemondo (ott. 61-63). È stato notato come i

cavalieri individuati da Erminia vengano già descritti in altri luoghi del poema242: nel canto I

vengono introdotti – prima dal punto di vista di Dio, poi da quello del narratore – Goffredo,

Baldovino, Tancredi, Boemondo, Rinaldo, e Guelfo (ott. 8-10); Dudone, Gernando, Gildippe e

Odoardo (ott. 37-64). Va notato che Erminia descrive i cavalieri con termini affini a quelli

del narratore, individuando, in maniera analoga, i loro attributi e vizi particolari243. Da

questa prospettiva il valore della visione di Erminia si ricollega alla tradizione classica e, in

particolare, all’Iliade siccome l’opera è indicativa di un sistema culturale in cui non viene più

data prevalenza allo sguardo onnipotente del Dio dei cristiani - capace di vedere l’aspetto

interiore degli uomini - ma è sufficiente lo sguardo di un semplice uomo o perfino di una

donna sventurata244. Il sistema eroico permette in tal modo ad Erminia di qualificarsi come

osservatrice privilegiata e di collocarsi allo stesso livello del narratore, che offre quello

sguardo divino in apertura del poema. Inoltre, la ripetizione più o meno analoga della

caratterizzazione dei cavalieri conferisce alla visione lo statuto di un racconto nel racconto,

che riproduce en abîme il discorso descrittivo del narratore, sia pure con una potenziale

ambiguità interpretativa.

Erminia riappare poi nel canto VI, quest'ultimo bipartito strutturalmente in due parti

che si oppongono e si richiamano l’una all’altra per i rispettivi temi, per la dimensione

temporale, e per l'atmosfera sentimentale: da un lato il tema bellico, la luce del sole e

l’esuberanza estrema; dall’altro lato il tema dell’amore non corrisposto, la notte e la

240 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»… cit., p. 33. 241 Sergio ZATTI, Il modo epico, Bari, Laterza, 2000, p. 99. 242 Marilyn MIGIEL, Tasso’s Erminia: Telling an Alternate Story, in «Italica», vol. 64, n. 1, 1987, p. 64. 243 Guelfo: «uom ch’a l’alta fortuna agguaglia il merto;/ conta costui per genitor latino/ de gli avi Estensi un lungo ordine e certo./ Ma german di cognome e di dominio ne la gran casa de’Guelfoni è inserto» (G.L., I, ott. 41, v. 2-6) - «V’è Guelfo seco, e gli è dopre leggiadre/ emulo, e d’alto sangue e d’alto stato» (G.L., III, ott. 63, vv.1-2) 244 A. SCURATI, Guerra: narrazioni...cit., pp. 101-102.

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dedizione amorosa. È proprio nella seconda parte che domina la figura patetica di Erminia

che, dall’alto di una rocca, guarda il duello tra Argante e Tancredi, svoltosi nella prima parte

dello stesso canto. I due campioni, entrambi feriti, si vedono costretti a sospendere lo

scontro per il sopraggiungere della notte e viene stabilito che l’azione bellica venga ripresa

dopo sei giorni. A questo punto viene introdotta la storia retrospettiva delle vicende di

Erminia, storia segnata dal desiderio e dalla speranza, seguita da una seconda teichoskopia

che però diverge da quella precedente tanto nell’impostazione, quanto nel contenuto.

Nel palagio regal sublime sorge

antica torre assai presso a le mura,

da la cui sommità si scorge

l’oste cristiana, e ‘l monte e la pianura.

Quivi, da che il suo lume il sol ne porge

In sin che poi la notte il mondo oscura,

s’asside, e gli occhi verso il campo gira

e co’ pensieri suoi parla e sospira. (G.L., VI, ott. 62, vv. 1-8)

A differenza della prima teichoskopia, qui Erminia, essendo coinvolta in un monologo, non

è più costretta a nascondere il proprio dolore attraverso la creazione di un mondo

alternativo, ma può invece sfogare liberamente i suoi sentimenti. Il contenuto altamente

drammatico di ciò che vede annulla la distanza ontologica tra spettatrice e spettacolo,

talché la visione diventa di carattere reciproco e partecipativa per cui «chi vede e chi

racconta sono la stessa persona, così come chi racconta e chi vive gli effetti diretti della

visione»245. La drammaticità della visione spinge Erminia ad immedesimarsi fisicamente con

l’amato, tanto da sentire nel proprio corpo i colpi della spada che «il pagan mosse» (G.L., VI,

ott. 63, v.7) sul corpo di Tancredi. Conviene nuovamente ribadire che una delle

caratteristiche fondamentali del sogno è appunto quella di essere un’attività solipsistica di

totale coinvolgimento. Con una sorta di parentesi retrospettiva, viene ricordato lo stato

d’animo di Erminia che, durante il duello «’l cor nel petto sentì tremarsi» (G.L., VI, ott. 63,

vv. 1-2) per la sorte dell’amato, cosicché «d’angoscia piena e di sospetto» (G.L., VI, ott. 63, v.

5) sente i colpi nel momento che si abbattano sull’amato. Le parole echeggiate «sempre che»

245 Ivi., p. 152.

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ci ricordano il duello svoltosi nella prima parte del canto (ott. 48, v. 3) e dimostrano la

coincidenza tra il vedere e il sentire di Erminia. Il suo sguardo diventa così uno sguardo

compassionevole, per cui la visione segnala un destino comune246.

Si noti come nel passo citato l’inquietudine di Erminia sfocia in un monologo

preoccupato, che segnala la ricerca di una libertà solitaria, nella quale non dovrà

dissimulare i propri sentimenti amorosi247. I sospiri di Erminia (v. 8), tipici del suo

comunicare, mitigano l’asprezza della battaglia e, in quanto tali, dimostrano la sua

inclinazione al rifugio pacifico e alla fuga liberatrice. Viene dunque già anticipata la fuga

idilliaca di Erminia nel canto VIII, quando la guerriera potrà vivere pienamente la propria

passione amorosa.

1.2 Il desiderio di Erminia

Fin dalla sua prima comparsa, il personaggio di Erminia ci viene rappresentato sotto

l’insegna del desiderio («desio»), che la spinge ad inseguire la passione amorosa, seppur

complicata da contrattempi, che ne impediscono la realizzazione. Occorre notare che il

sogno viene appunto definito un desiderio fortemente contrastato per cui è utile indagare la

polisemia della voce desiderio. Salvatore Battaglia nel Grande Dizionario della Lingua Italiana

distingue tra una definizione di base e nove significati specifici, di cui riportiamo solo il

quinto:

Desidèrio (ant. disidèrio, desidèro, disdèro), sm. Moto intenso dell’animo, che fa

avvertire una mancanza, un’assenza, una privazione (fisica, sentimentale,

intellettuale) e fa sperare nel conseguimento o nel possesso o nella solidarietà

affettiva di cose, persone, eventi, risultati, che si stimano cari e indispensabili. [...]

5. Senso di mancanza, di privazione, di bisogno (di un bene ritenuto necessario o

perduto); nostalgia, aspirazione, attesa impaziente; rincrescimento, rimpianto;

compianto (per l’assenza o la dipartita di una persona)248.

246 Ivi., p. 153. 247 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 395. Questo monologare preoccupato e ricerca di una solitudine vengono segnalate dai versi 7 e 8. 248 S. BATTAGLIA, Grande...cit., vol. 4.

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La definizione di base esprime una nozione capace di mettere in moto una narrazione: un

personaggio, avvertendo una mancanza, comincia a sperare nel possesso dell’oggetto

desiderato, che si presenta nelle forme di una cosa concreta, come, ad esempio, una

persona, un evento. Nel caso di Erminia si tratta di una mancanza insieme sentimentale e

fisica, che la fa sperare non solo nel possesso di Tancredi, ma anche nel conseguimento del

privilegio di curare il cavaliere medesimo.

...oh prigioniero

Mio fosse un giorno! E no ‘l vorrei già morto;

vivo il vorrei, perch’in me desse al fero

desio dolce vendetta alcun conforto». (G.L., III, ott. 20, vv. 1-4)249

La «dolce vendetta» che Erminia dichiara desiderare nasconde, infatti, dietro un

linguaggio lirico-allusivo il desiderio di possedere Tancredi («mio fosse un giorno») e si

estende fino all’opposizione amato-nemico (Tancredi-Argante), l’ultimo di cui, sia pure

brevemente, ella desidera avvelenare per mettere al rischio la vita dell’amato:

Ella l’amato medicar desia,

e curar il nemico a lei conviene

pensa talor d’erba nocente e ria

succo sparger inlui che l’avelene,

ma schiva poi la man vergine e pia

trattar l’arti maligne, e se n’astiene.

Brama ella almen ch’in uso tal sia vòta

Di sua virtude ogn’erba ed ogni nota. (G.L., VI, ott. 68, vv. 3-8)

Erminia, con il cuore carico di pensieri angosciosi e incessanti, crede ormai che Tancredi

sia stato ferito in battaglia da Argante: i colpi dell’arma da lui subiti è come se penetrassero

il corpo della donna (vedi sopra), aggravando la sua tranquillità d’animo fino a condurla ad

una specie di delirio passionale. Secondo lo stesso Battaglia la nozione di «delirio»

corrisponde a una delle manifestazioni della visione che può prendere la forma non solo di

uno «stato di confusione mentale […] che provoca comportamenti irragionevoli», ma,

estendendosi, pure di uno «stato di straordinario turbamento che nasce dalla violenza di

una passione» e, in senso figurato, ad un’«esaltazione della fantasia», del «desiderio cieco,

249I corsivi sono nostri.

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sfrenato»250. L’agitazione per la condizione dell’amato porta Erminia ad uno stato di

profonda perturbazione, che ispira sogni turbati e che la spinge a fantasticare che Tancredi

«vicino a morte/ giaccia oppresso languendo» (G.L., VI, ott. 66, vv. 7-8). Tanto che ella

desidera ansiosamente curarlo con le erbe medicinali delle quali conosce i segreti. Va notato

che questo desiderio preannuncia il disegno che muoverà la vicenda insensata e spavalda di

Erminia nell’ultima parte del canto VI e all’inizio di quello successivo. Il rapimento emotivo

della donna, che le ispira l’idea insensata di avvelenare Argante, diventa meno delirante

quando «schiva poi la man vergine e pia trattar l’arti maligne» (G.L., VI, ott. 68, vv. 5-6),

dando luogo alla brama più sensata che, curando Argante, siano prive di efficacia le sue arti

mediche.

L’atto insensato di Erminia, ovvero quello di rubare i vestiti di Clorinda per recarsi nel

campo cristiano allo scopo di curare l’amato, viene preceduto da un duello tra Onore e

Amore, con cui Tasso avrebbe voluto spiegare le ragioni e le modalità della fuga notturna e

romanzesca della donna. Il sentimento dell’amore è la pulsione reale che «dal molle seno

sgombra […] ogni paura» (G.L., VI, ott. 70, vv. 1-2) e che induce Erminia a muoversi nella

direzione «dove il desio» (G.L., VI, ott. 74, v. 1) le spinge ad andare. Nello scontro oratorio

Amore si serve di un linguaggio simulato che riesce a toccare le pulsioni più profonde

dell’anima della donna, rappresentando in tal modo l’immaginario esaudimento dei suoi

desideri. In un crescendo lusinghevole di illusioni, lo stesso Amore crea l’immagine

attraente del proprio esito felice, profetizzando nel corso del ragionamento il destino di

Erminia, cioè quello di curare Tancredi.

La profezia è strutturalmente funzionale al disegno ideologico dell’opera perché getta

le basi di un nuovo corso delle azioni, nel senso che costituisce il motore principale delle

azioni successive di Erminia. Queste ultime, del tutto prive di considerazioni morali o

religiose,comportano l’errare di Tancredi, che ha abbandonato il campo cristiano per

cercare Clorinda. Vuol dire che la profezia, nello spingere Erminia ad abbandonare i suoi

impegni, riprende i termini romanzeschi della varietà, componente indispensabile della

dialettica unità/erranza, che sorregge le fondamenta dell’intero poema. In questo modo, la

profezia di Amore, anche se sottrae gli eventi alla mera fortuna per inserirli dentro lo

schema teleologico del poema, devia da quello propriamente epico che generalmente

funziona soltanto a favore dell’unità. A un livello più specifico la profezia si colloca sul

250S. BATTAGLIA, Grande...cit., vol. 4, pp. 156-157.

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piano della storia interiore dell’anima, dando letteralmente voce alla passione terrena

dell’amore, forza antagonista per eccellenza rispetto alle facoltà razionali. L’offuscamento

di tali facoltà, dovuto allo stato delirante, rendono la donna molto suscettibile a simili forze

deviatrici, per cui non può che trionfare Amore. Si noti anche come il duello oratorio tra

Onore e Amore esteriorizza un'opposizione interna che ben si inserisce nella logica bipolare

del poema.

In senso più generale va ricordato che Onore e Amore sono «i due agenti primari

dell’antropologia culturale tassiana, nei quali si reincarna l’iniziale dibattito tra desiderio e

realtà»251. Nell’episodio citato è amore che «somma felicitate a [Erminia] figura» (G.L., VI,

ott. 78, v. 2), sollecitandola a inseguire il suo desiderio. Si potrebbe dunque dire che la

creazione fantastica, ovvero il sogno della grande felicità, ispirato da Amore, ingloba un

valore relazionale che mette in evidenza il rapporto (oppure la distanza) tra desiderio e

realtà. In altri termini, la mediazione offerta dal sogno attraverso il veicolo del desiderio,

rende quest'ultimo una sorta di ideale da raggiungere, sia pure irrealizzabile.

In ogni caso è possibile affermare che l’uso del verbo «figurare» nel verso sopra citato,

suggerisce come l' happy end dipinto da Amore sia una sorta di idola od ombra, come Tasso

sostiene nel dialogo Il Cataneo overo degli idoli, ossia una creazione della mente incline agli

appetiti252. Che Erminia sia soggetta alla passione amorosa viene evidenziato sin dalla sua

prima comparsa sulla scena nel canto III, dove viene rappresentata con la connotazione del

desiderio amoroso (vedi sopra). Questa descrizione rispecchia quella del canto VI, laddove il

narratore descrive come il personaggio «restò presa d’Amor, che mai non strinse laccio di

quel più fermo onde lei cinse» (G.L., VII, ott. 57, vv. 7-8). Le azioni successive della

principessa sono ugualmente mosse dal suo amore per Tancredi, per cui possiamo

considerare Erminia un personaggio molto predisposto all’appetito di Amore.

Il quinto significato identificato da Battaglia, invece, esprime un senso di bisogno o

rincrescimento per la perdita o assenza di una cosa, non necessariamente concreta,

considerata necessaria. Più specificamente questa accezione equivale a «nostalgia,

251Claudio SCARPATI, Tasso, i classici e i moderni, Padova, Editrice Antenore, 1995, p. 27. 252Torquato TASSO, I Dialoghi di Torquato Tasso, a cura di Cesare GUASTO, Firenze, Le Monnier, 1858-59, pp. 225-226. Tasso, sotto il suo solito nome di Forestiero Napoletano, asserisce che: «gli amanti [..] sono quasi idolatri e formatori de gli idoli [..] e ciascun di questi appetiti, (i’ dico l’amore, la cupidità d’avere e l’ambizione), si divide in molti altri; e tutti si volgono ad un obietto particolare, il qual s’imprime ne la fantasia. Dunque, l’anima affettuosa è quasi un tempio d’idolatria; e la nostra imaginazione è la pittura ne la quale sono empressi gli idoli e adorati non altramente che fosser dei terreni».

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aspirazione, attesa impaziente»; compianto (per l’assenza o la dipartita di una persona)».

Occorre prestare attenzione alle due parti della definizione, altrettanto importanti: da una

parte il rinvio alla volontà di raggiungere qualcosa sia nel passato, sia nel futuro; dall’altra

parte lo stato infelice per la perdita di una persona cara. Ambedue le parti trovano infatti

espressione nella storia di Erminia.

In primo luogo, viene evocato un senso di nostalgia per la reclusione sperimentata in

precedenza, considerata una condizione talmente felice da innescare il desiderio di essere

rivissuta. Mediante un racconto retrospettivo ci vengono narrate le vicende di Erminia

prima della sua comparsa nel canto III. La seconda entrata in scena della principessa si fa

progressivamente esplicita attaverso una modalità narrativa che procede dall’indistinto al

precisato per lasciare il lettore in attesa. Viene esplicitato che la figlia del re di Antiochia fu

rispettata e trattata con cortesia dal «cavaliero egregio», i.e. Tancredi, che vorrebbe

ritornare a quella situazione vissuta. I campi semantici dell’onore e della cortesia mettono a

fuoco il trattamento riservato a Erminia dal cavaliere: la donna «onorata fu […] come reina»

(G.L., III, ott. 56, vv. 7-8) da Tancredi che «l’onorò, la servì, di libertate dono le fece» (G.L., III,

ott. 57, vv. 1-2) e le lascia «gemme e gli ori e ciò ch’avea di pregio» (G.L., III, ott. 57, vv. 3-4).

L’immagine creata da Erminia è quella di una «prigion diletta» (G.L., III, ott. 58, v. 4), una

condizione felice tutta circondata da un’atmosfera onirica che presenta il passato come un

sogno piacevole:

Così se ‘l corpo libertà riebbe,

fu l’alma sempre in servitute astretta.

Ben molto a lei d’abbandonar increbbe

Il signor caro e la prigion diletta. (G.L., III, ott. 58, vv. 1-4)

Dalla citazione emerge un senso di nostalgia per una condizione dilettevole perduta:

ricuperata la sua libertà, Erminia rimpiange la sua felice prigione253, rimpianto che ripete, a

ruoli invertiti, il desiderio di imprigionare Tancredi.

Abbiamo già accennato al fatto che il sospiro di Erminia esprime il suo desiderio di

trovare uno spazio di solitudine dove non è costretta a dissimulare i propri sentimenti (vedi

253 Per una discussione più elaborata sulla prigione romantica si veda Ezio RAIMONDI, Il senso della letteratura,

Bologna, il Mulino, 2008, pp. 125-168 e Victor BROMBERT, La prison romantique :essai sur l'imaginaire, Parigi,

Corti, 1975.

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sopra). Occorre però aggiungere che la comunicazione di Erminia tramite sospiri e lamenti

contribuisce a rendere un’aspirazione intensa, che coincide non solo con il quinto

significato del termine desiderio, ma anche con il significato di sogno come «ciò che si

desidera fortemente […], da lungo tempo»254. Infatti, dal racconto retrospettivo succitato

diventa molto chiaro che i sentimenti amorosi di Erminia hanno una lunga storia che

precede le vicende narrate nel poema tassiano: una storia che, dato l’inquadramento del

tutto positivo, prende la forma di una «situazione tanto felice o piacevole da parere

impossibile»255.

In secondo luogo, viene espressa un’aspirazione intensa con riferimento al futuro, quella

di entrare nel campo cristiano e curare l’amato. Spinta dalla passione amorosa, Erminia

pensa di travestirsi con le armi di Clorinda per poter uscire dalla città di Gerusalemme, dove

si trova in quel momento ad indugiare. Mentre sta riflettendo sullo stratagemma per

lasciare la città, Erminia svolge un monologo interiore in cui esprime, in successione,

l’invidia per Clorinda (ott. 82), l’espressione della propria infelicità e il desiderio di

mutamento (ott. 83), sino a culminare nell'immagine erotica di se stessa come giovane

guerriera battuta e colpita a morte da Tancredi, tutta circoscritta dal lessico militare-

amoroso:

E tra sé dice sospirando: (G.L., VI, ott. 82, v. 1)

[…]

da la sua destra il fianco

sendo percosso, e riaperto il core,

pur risanata in cotal guisa al manco

colpo di ferro avria piaga d'Amore:

ed or la mente in pace e 'l corpo stanco

riposeriansi: e forse il vincitore

degnato avrebbe il mio cenere e l'ossa

d'alcun onor di lagrime e di fossa. (G.L., VI, ott. 85, vv. 1-8)

Il sogno compensatorio mutua l’amore non corrisposto in una scena bellica dove la

morte per mano di Tancredi corrisponde alla pacificazione del combattimento amoroso. Si

254 S. BATTAGLIA, Grande...cit., vol. 19, pp. 294-295. 255 Ibidem.

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tratta a ben vedere di una «fantasticheria» luttuosa di cui Erminia presto riconoscerà la

vanità:

Ma lassa! i’ bramo non possibil cosa,

e tra folli pensier in van m’avvolgo; (G.L., VI, ott. 86, vv. 1-2)

A differenza del sognatore comune, in difficoltà a discernere tra realtà e immaginazione,

Erminia, che non si lascia trascinare dal sogno, trova nel riconoscimento della vanità della

visione lo spunto per rompere gli indugi e per convincere se stessa a passare all’azione. In

altri termini, è proprio la sua negazione del desiderio che porta quest’ultimo a trasformarsi

in un’azione reale, spingendo il personaggio ad azzardare l’uscita dalla città.

Nonostante la negazione del sogno, la principessa ritornerà alla stessa fantasticheria,

seppure con variazioni minime, nel canto VII, dove immagina Tancredi intento a rendere

omaggio alla sua tomba:

Forse avverrà, se 'I Ciel benigno ascolta

affettuosa alcun prego mortale,

che venga in queste selve anco tal volta

quegli a cui di me forse or nulla cale;

e, rivolgendo gli occhi ove sepolta

giaceri questa spoglia inferma e frale,

tardo premio conceda a' miei martìri

di poche lagrimette e di sospiri: (G.L., VII, ott. 21, vv. 1-8)

Onde, se in vita il cor misero fue,

sia lo spirito in morte almen felice, e

'l cener freddo de le fiamme sue

goda quel ch'or godere a me non lice. (G.L., VII, ott. 22, vv. 1-8)

A provocare una tale cedimento è il lamento elegiaco di Erminia lanciato durante l'attesa

della guerra, cioè prima di entrare nel campo cristiano: se ciò dal punto di vista patetico

rappresenta lo sfogo libero delle emozioni che ravviva la sua passione amorosa; dal punto di

vista narrativo provoca una «catastrofica inversione degli eventi» 256. In questo caso, la

vanità dell’aspirazione diventa chiara nel momento in cui il desiderio non corrisponde più

256 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 421.

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agli eventi reali, ossia quando Tancredi renderà omaggio alla tomba di Clorinda e non a

quella di Erminia. Per questo quello di Erminia rimarrà un desiderio frustrato, ovvero un

desiderio che si esprime nel poema in sogni ad occhi aperti o fantasticherie (rêverie).

In terzo luogo, il desiderio equivale a un rimpianto per la dipartita di una persona,

ritenuta cara. Da questa prospettiva il desiderio si connette ai lamenti evocati nel poema e,

in particolare, al momento in cui Erminia, in procinto di raggiungere Gerusalemme, incappa

in Tancredi moribondo. Le parole disperate della principessa innescano un lamento rivolto

all’amato, ormai considerato morto, e condotto all’insegna della perdita:

«In che misero punto or qui mi mena

fortuna? a che veduta amara e trista?

Dopo gran tempo i' ti ritrovo a pena,

Tancredi, e ti riveggio e non son vista:

vista non son da te benchè presente,

e trovando ti perdo eternamente. (G.L., XIX, ott. 105, vv. 3-8)

Misera! non credea ch'a gli occhi miei

potessi in alcun tempo esser noioso.

Or cieca farmi volentier torrei

per non vederti, e riguardar non oso.

Oimè, de' lumi gia si dolci e rei

Ov’è la flamma? ov'è il bel raggio ascoso?

de le florite guancie il bel vermiglio

ov'è fuggito? ov'è il seren del ciglio? (G.L., XIX, ott. 106, vv. 1-8)

Dalle due ottave citate emerge chiaramente un tono tragico, che evoca il rimpianto di

Erminia per la presunta perdita di Tancredi, sottolineato dalla serie di domande che

indicano la sparizione di quello che prima c’era («ov’è»). Si noti come l’episodio insista sulla

dimensione visiva, offrendo a Erminia una «veduta» triste del corpo dell’amato disteso sulla

terra, che risulta «esser noioso» (G.L., XIX, ott. 106, v. 2) agli occhi della donna, tanto da

spingerla ad accecarsi. Il rapimento doloroso di Erminia si conclude con la consapevolezza

che, persino da morto, Tancredi rimane un oggetto di desiderio in grado di sollecitare in lei

delle «voglie audaci» (G.L., XIX, ott. 107, v. 3.):

ma che? squallido e scuro anco mi piaci.

Anima bella, se quinci entro gire,

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s’odi il mio pianto, a le mie voglie audaci

perdona il furto e ‘l temerario ardire:

da le pallide labra i freddi baci,

che più caldi sperai, vuo’ pur rapire;

parte torrò di sue ragioni a morte,

baciando queste labra essangui e smorte. (G.L., XIX, ott. 107, v. 1)257

Se il desiderio di possedere l’amato viene impedito dalla sua (presunta) morte, ciò non

impedisce che in Erminia si generino altri desideri ardenti: quello di rubare un bacio dalle

labbra pallide di Tancredi e quello di seguire il defunto nella direzione presa: «Raccogli tu

l’anima mia seguace,/ drizzarla tu dove la tua se ‘n gio» (G.L., XIX, ott. 109, vv. 1-2)258.

L’episodio si svolge proprio secondo i riti funerari cristiani e antichi, recuperando il

cadavere vivente e il lamento per la rottura dello sguardo reciproco come segni tipici della

morte, con una sfumatura leggermente erotica 259. La donna, inizialmente inconsapevole del

risveglio del cavaliere, continua a lamentarsi e a gemere per colui che crede defunto, finché

scopre che Tancredi non è morto, bensì moribondo. A questo punto vengono messi da parte

i desideri coltivati mentre Erminia era convinta della morte dell’amato e si riattiva il

desiderio di curare l’amato, anzi salvarlo, nel momento in cui questo’ultimo può realizzarsi

effettivamente:

mira e tratta le piaghe e, di ferute

giudice esperta, spera indi salute (G.L., XIX, ott. 111, vv. 7-8)

In altri termini, il desiderio rivela una delle sue caratteristiche tipiche, cioè quello di

essere mutevole, di mutuare l'oggetto. Nel caso di Erminia le cose desiderate sono

molteplici: il possesso dell’amato, la volontà di curare l’amato, o ancora di baciarlo, di

condividere la sua stessa sorte, l’aspirazione ad entrare nel campo cristiano.

Dall’analisi fin qui svolta su Erminia emerge un personaggio trasportato dal desiderio

amoroso, il quale permea non solo il suo modo di vedere, cioè la teichoskopia, ma anche il suo

257 I corsivi sono nostri. 258 Ernesto De Martino caratterizza come Planctus il momento «nel quale si desidera di assomigliare al defunto». Ernesto DE MARTINO, Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Torino, Bollatti Boringhieri, 1958. Citato in Giovanni CARERI, La fabbrica degli affetti: la Gerusalemme liberata dai Carracci a Tiepolo, Milano, Il Saggiatore, 2010, p. 92. 259 Ivi., p. 93.

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modo di agire e pensare. Proprio quest’inclinazione la spinge a inseguire il proprio sogno

amoroso, che però non la porta al possesso di tutte le cose desiderate, soddisfacendo in

questo modo solo parzialmente il desiderio. Mentre l’amore della donna è destinato a

rimanere inappagato, essendo la regola del poema che «nessun amore possa avere felice

compimento»260, la sua speranza di salvare l’amato – scopo della sua missione notturna nel

canto VI – si realizza nel canto XIX quando «gli fasce/ le sue ferite» (G.L., XIX, ott. 112, vv. 3-

4).

1.3 L’insomnium di Erminia e le sue caratteristiche epiche

Qual è colui […] che sognando desidera sognare. Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno XXX

Si è già accennato al fatto che il personaggio di Erminia è incline all’appetito amoroso e che

questa inclinazione risulta nella propensione per scene immaginarie e per creazioni

fantastiche. La predisposizione alla fantasticheria deriva dall’amore non corrisposto, che

suscita dei desideri ardenti e talvolta irrealizzati, come abbiamo finora dimostrato. Altra

nozione da prendere in considerazione, strettamente legata alla nozione del desiderio, è

quella che definisce il sogno appunto come veicolo di mediazione del desiderio. In questo

lavoro sosteniamo che il trattamento del sogno da parte di Tasso sia basato in parte sulla

ricezione di Macrobio, la cui teoria si riflette non solo dell’impostazione del sogno di

Erminia, ma anche nella disposizione mentale del personaggio.

con orribile imago il suo pensiero

ad or ad or la turba e la sgomenta,

e via più che la morte il sonno è fero,

sì strane larve il sogno le appresenta.

Parle veder l’amato cavaliero

Lacero e sanguinoso, e par che senta

Ch’egli aita le chieda; e desta intanto,

260 Claudio GIGANTE, Tasso, Roma, Salerno, 2007, p. 193.

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si trova gli occhi e ‘l sen molle di pianto. (G.L., VI, ott. 64, vv. 1-8)261

Come già l’immaginaria felice conclusione designata da Amore, anche il sogno di Erminia

trae origine dalla sua sofferenza amorosa, che, secondo Macrobio, è una delle cause

principali dell’incubo o dell’insominum (gr. Enypnion). Egli precisa che l’insomnium viene

causato da affanni del corpo, dall’angoscia per il futuro, o da preoccupazioni di spirito, come

avviene, tra gli altri, con il sogno dell’amante che «sogna di possedere o di essere privo

dell’oggetto amato»262. Inoltre, Macrobio asserisce che simili sogni, derivanti «da una

condizione di spirito che aveva preceduto e quindi turbato il riposo del dormiente,

spariscono insieme al sonno, e ugualmente, svaniscono» 263.

La preoccupazione mentale di Erminia viene illustrata dalla parentesi retrospettiva sul

proprio stato d’animo nel corso del duello tra Argante e Tancredi:

Così d’angoscia piena e di sospetto

Mirò i successi de la dubbia sorte,

e sempre che la spada il pagan mosse,

sentì ne l’alma il ferro e le percosse. (G.L., VI, ott. 63, vv. 5-8)264

Questi versi ci ricordano la preoccupazione di Erminia per la sorte di Tancredi, rimasta a

questo punto ancora tutto confinato nell’interiorità del suo mondo sentimentale. Inoltre,

viene precisato che Erminia non si preoccupa tanto per timori di un «futuro danno» (G.L.,

VI, ott. 66, v. 1), quanto per lo stato di salute presente di Tancredi: il che elimina la

possibilità che il sogno sia causato da angosce per il futuro. Ad Erminia pare di vedere

Tancredi, «lacero e sanguinoso» (G.L., VI, ott. 65, v. 6), e di sentirlo chiedere aiuto. In altri

termini, il suo è proprio un sogno in cui si sogna di perdere l’amato a causa delle sue ferite.

Per quanto riguarda il risveglio, si noti come Erminia «si trova gli occhi e ‘l sen molle di

pianto» (G.L., VI, ott. 64, v. 8), mentre quello che ha visto in sogno è frattanto sparito.

Sempre secondo Macrobio il sognatore soggetto all’incubo crede di essere solo in un

sogno nel momento in qui vede lo spettro o lo spirito265. Si noti come Erminia non si esprima

261Ibidem. 262Ambrosius A.T. MACROBIO, Commento al Somnium Scipionis, a cura di Mario Regali, Pisa, Giardini, 1983, p. 47. 263Ibidem. 264I corsivi sono nostri. 265A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., p. 47.

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mai direttamente sulla veridicità della visione. Ma nell’ottava seguente diventa chiaro che

le dicerie riguardanti il duello arrivano a convincerla della verità della visione:

e i fallaci romor, ch’intorno vanno,

crescon le cose incognite e remote,

sì ch’ella avisa che vicino a morte

giaccia oppresso languendo il guerrier forte. (G.L., VI, ott. 66, vv. 5-8)266

Ormai Erminia crede veramente che Tancredi sia ferito, languido e vicino alla morte.

Dall’altra parte, Tasso ripete la parola «pare» per sottolineare la dimensione dell’apparenza

che prevale nel sogno, evidenziando la doppia illusione, visiva e uditiva. La falsità del sogno

viene anche evidenziata dal fatto che le arriva in un momento di grande turbamento e

inquietudine, quando il sonno è percepito essere più «fero» della morte. In questo quadro,

occorre ricordare che il «cheto sogno» è la condizione per il sogno veritiero di Goffredo nel

canto XIV, che gli fa godere una visione celeste di ispirazione divina. Da questo punto di

vista, il sogno di Erminia è l’antitesi del sogno veritiero di Goffredo, nel senso che non viene

ispirato in un momento di riposo pacifico.

Altro aspetto da valutare è la corrispondenza del sogno di Erminia con le

caratteristiche tipiche del sogno nell’epica, secondo quella serie di costanti già rilevate nel

primo capitolo. In primo luogo, la caratteristica dell’epica di mettere in relazione il piano

soprannaturale con quello terreno conferisce generalmente al sogno lo statuto di canale

privilegiato, cioè strumento di mediazione tra questi due piani distinti267. Il sogno di

Erminia, invece, non gode di un tale statuto poiché essendo un incubo è privo di ogni

valenza informativa. Ne consegue che anche le categorie dell’emittente e del destinatario

sono diverse da quelle tipiche del sogno epico. Mentre è di norma Dio o un suo emissario

che manda il sogno, quello di Erminia scaturisce da una condizione di spirito, in grado di

presentarle una visione del cavaliere amato che sembra chiedere aiuto. Anche se lo scambio

comunicativo rimane unilaterale, nel senso che è l’amato a monopolizzare il discorso, quello

che viene (si potrebbe dire che sembra essere) detto non è né prescrittivo, né di importanza

informativa, ma è piuttosto una riflessione sullo stato interiore e sull’immaginazione del

sognatore. Quanto poi al destinatario, esso appartiene di norma a «una élite ristretta per

266I corsivi sono nostri. 267S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…cit., p. 30.

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prestigio e autorità»268. Questa caratteristica non è completamente contrapponibile alla

posizione di Erminia che, essendo la figlia del re di Antiochia, gode in un certo senso di una

qualche autorità. Tuttavia, all’interno della logica bipolare della Liberata, la sua stirpe regale

risulta meno importante della sua femminilità e della sua fede religiosa: è una donna pagana

coinvolta in una quête personale, la cui presenza muove la dinamica del racconto non senza

conseguenze importanti sul piano generale del poema. Fino al canto VI, però, la donna

rimane confinata all’atto di guardare, caratterizzandosi in tal modo per la sua passività, il

che la predispone a ricevere un messaggio onirico. Questa passività della sognatrice viene

ribadita dalle espressioni usate nel testo: «sì strane larve le appresenta» (G.L., VI, ott. 65, v.

4)269, dove il verbo «appresenta» viene tradotta, difatti, dal verbo vedere.

In secondo luogo, il sogno epico occupa una posizione strutturalmente strategica e

presenta uno schema fisso: viene segnalato da soglie narrative precise, da una specifica

semiotica testuale e da topoi ricorrenti270. Il sogno di Erminia si colloca all’interno di una

pausa narrativa, sottratta al tempo reale, in cui vengono descritti i sentimenti nascosti e le

preoccupazioni mentali. In questo scenario di isolamento, vengono rispettate le tre

componenti principali del sogno letterario, mentre lo schema omerico risulta sconvolto. Il

preludio prende avvio con la formula d’introduzione «e via più che la morte il sonno è fero»

(G.L., VI, ott. 65, v. 3), che annuncia lo stato di sonno, e quindi, contiene la descrizione delle

circostanze del sogno. Benché sia presente l’esposizione che introduce i fantasmi visti in

sogno – il cavaliere amato, Tancredi – mancano entrambe il secondo modulo omerico e il

terzo modulo che specificano rispettivamente l’arrivo e il discorso della figura onirica.

L’aspetto sanguinoso del cavaliere provoca uno stato di crisi nella donna, tanto che la

sequenza onirica si conclude con «gli occhi e ‘l sen molle di pianto» (G.L., VI, ott. 65, v. 8),

cioè con un senso di angoscia per la condizione di salute di Tancredi. Se un tale risveglio

corrisponde al topos di angoscia con cui è solita concludersi la sequenza onirica, Tasso vi

trasgredisce parzialmente, nel senso che il risveglio, pur essendo di carattere piuttosto

pacifico, conduce ad un’azione precipitosa, senza dubbio spavalda, cioè quella di entrare nel

campo cristiano per curare Tancredi, creduto vicino alla morte a causa della visione onirica.

Per questo, ci sembra di poter affermare che il sogno talvolta vada considerato «une

268 Ibidem. 269 I corsivi sono nostri. 270 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…cit., p. 31.

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anticipation coercitive, hypothéquant définitivement le récit à venir»271. Quanto fin qui

discusso svela anche la posizione strategica del sogno, nel senso che esso opera in

coincidenza con i snodi strutturali dell’intreccio, innescando in questo caso la peripezia. Il

sogno in questione ha il compito di fondare, attraverso la rappresentazione di un’immagine

suscettiva, un nuovo corso delle azioni, che da quel momento in poi, condurranno verso lo

smarrimento non solo di Tancredi (il quale abbandona il dovere morale per ricercare colei

che pensa essere Clorinda), ma anche di Erminia, la quale si rifugia in uno spazio idilliaco

che sospende l’urgenza dell’azione eroica272. Risulta dunque evidente che il sogno assume

una centralità semantica, che deriva dal suo collocamento narrativamente strategico, ma

anche dalla ripresa della componente della varietà, alla base della logica bipolare dell’opera

tassiana.

Abbiamo già accennato al fatto che lo stato di turbamento di Erminia al momento in

cui le giunge il sogno evidenza la falsità della visione onirica. Occorre aggiungere che anche

il momento o il tempo del sogno contribuiscono a sottolinearne la falsità, nonché a

rilevarne l’alterità rispetto al sogno epico. A questo punto conviene ripetere che, di norma, i

sogni mattutini vengono ritenuti veritieri, per cui l’alba diventa il momento privilegiato

della veridicità del sogno. Al contrario di un Goffredo che, conformemente al topos, viene

visitato all’alba, Erminia non riceve il sogno in quel momento topico. Siccome il sogno si

colloca nella seconda parte del canto che, come detto, si svolge sullo sfondo di un quadro

notturno, non stupirà ritenerlo non veritiero. Inoltre, la posizione del sogno, verso la metà

del canto, è prova del suo accadimento all’inizio della notte, essendo seguito dalla

fuoriuscita di Erminia da Gerusalemme e dalla sua fuga notturna. Il primo rinvio diretto

all’alba si ha poi nel canto successivo quando la donna «si destò fin che garrir gli augelli/ […]

sentì lieti e salutar gli albori» (G.L., VII, ott. 5, vv. 1-2).

In terzo luogo, il carattere prevalentemente profetico o premonitore del sogno epico è

in parte contrapposto alla natura del sogno di Erminia. Al momento in cui le arriva il sogno,

Tancredi non è moribondo, bensì ferito. Sono anzitutto i «fallaci romor, ch’intorno vanno»

(G.L., VI, ott. 66, v. 5) a far crescere la gravità dei fatti, al punto che Erminia arriva a credere

che l’amato stia «languendo» e sia vicino alla morte. Il sogno viene dunque interpretato da

Erminia a partire dall’ottica della sua valenza nel presente. Se però prendiamo in

271 H. BRAET, Rêve…cit., p. 19. 272 S. ZATTI, Il modo...cit., p. 100.

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considerazione il valore del sogno all’interno dell’intero poema, badando agli eventi futuri

e, in particolare, a quelli del canto XIX, ci sembra lecito affermare che il sogno presenti un

valore premonitore. Interrotto nel canto VI, il duello tra Tancredi e Argante viene ripreso e

concluso nel XIX con la vittoria del primo, che però rimane moribondo a causa delle grave

ferite. Il fantasma apparso nel sogno di Erminia sembra prendere delle dimensioni reali

quando farà riferimento, almeno per due volte, allo stato lacero e sanguinoso del cavaliere:

una volta quando «il cader dilatò le piaghe aperte,/ e il sangue espresso dilagando scese.»

(G.L., XIX, ott. 25, vv. 1-2) e dopo aver ucciso Argante, «lasciato di forze ha quasi vòto/ la

sanguigna vittoria il vincitore» (G.L., XIX, ott. 28, vv. 3-4). Va notato che la realizzazione del

sogno offre ad Erminia l’opportunità di curare Tancredi, così concludendo l’azione che lo

stesso sogno aveva innescato. Quest’interpretazione del sogno premonitore di Erminia va

contro le asserzioni di Macrobio, il quale considera l’incubo privo di valore divinatorio e

perciò non degno di alcuna spiegazione273. Abbiamo dimostrato che quello di Erminia

coincide con un incubo o insomnium stando alla classificazione proposta da Macrobio, ma,

contrariamente a quanto sostiene quest’ultimo, in questo lavoro ravvisiamo che l’incubo di

Erminia non presenta alcun potere divinatorio, bensì costituisce una prefigurazione

implicita di eventi da venire.

A livello cronologico è individuabile un nesso tra il sogno e altre forme (vaticinio,

visione, profezia), che insieme compongono il sistema di anacronie dell’epica274. Nella storia

di Erminia questo nesso si concretizza nella forma di un legame tra sogno (considerato

premonitore) e profezia: il sogno causato dal turbamento provoca nel personaggio un

desiderio ardente che, a sua volta, porta ad un duello interiore tra Onore e Amore, con

quest’ultimo che profetizza il destino di Ermina. Questo destino si realizza nel canto XIX

quando verrà sodisfatto il desiderio della principessa di curare l’amato. Insomma, il sogno di

Erminia nel canto VI prefigura la condizione sofferente di Tancredi nel canto XIX, che a sua

volta porterà alla realizzazione della profezia.

Infine, occorre stabilire dove si situa il sogno di Erminia in termini di densità

semantica. Per il sogno epico ciò «Può variare fra gli estremi del messaggio esplicito (è il

caso della visione) e dell’oscurità allegorica, da decifrare non senza margini di ambiguità e

273 A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., pp. 47-49. 274 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…cit., p. 33.

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di inganno»275. Da un lato il sogno discusso non è un messaggio esplicito, nel senso che non

viene comunicata alcuna informazione verbale; dall’altro lato è esplicito nel senso che viene

offerta un’immagine diretta di una persona ferita, il che potenzialmente (agli occhi di

Erminia) comunica la richiesta di aiuto da parte dell’amato. Il circolo ermeneutico non è

inserito nel testo stesso e non richiede l’interpretazione di un interprete specialista, giacché

sembra molto chiaro ad Erminia il significato della visione onirica.

1.4 Il rifugio idilliaco ovvero un sogno d’evasione

Illusioni e delusioni sempre, perché la verità di questa vita è l’altra vita. GIOVANNI GETTO, Struttura e poesia nella “Gerusalemme Liberata”

La propensione alla fantasticheria e al sogno è una caratteristica distintiva del personaggio

di Erminia, la quale spesso si ritira all’interno del proprio mondo sentimentale, si perde in

rêverie, in deliri, o sogna l’amato irraggiungibile. Nel canto VI, questa propensione la spinge

a uscire da Gerusalemme per recarsi nel campo cristiano. Inseguita da due giovani cavalieri

è costretta a darsi alla fuga, per approdare, dopo un lungo vagare, ad un idilliaco luogo

pastorale. Anche questo luogo idilliaco acquista il valore di «sogno» inteso come «situazione

tanto felice o piacevole da parere impossibile; circostanza propizia che giunge inattesa»276.

Ambedue le parti della precedente definizione sono nuovamente altrettanto importanti ai

fini della nostra ricognizione: da una parte si si rinvia ad una condizione favolosa che

sembra utopica, dall’altra parte si indica una situazione assieme piacevole e inaspettata.

Entrambe le dimensioni così richiamate rimandano ad uno stato situazionale: tanto l’utopia,

quanto la situazione propizia necessitano infatti di un luogo adatto per suscitare un senso di

letizia. Nelle peripezie di Erminia la fuga idilliaca assume il significato di sogno dato che

rappresenta quasi tutte le caratteristiche della nostra classificazione, proposta nel primo

capitolo.

275 Ibidem. 276 S. BATTAGLIA, Grande...cit., vol. 19, pp. 294-295.

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A preannunciare l’episodio idilliaco è la similitudine venatoria con cui Tasso dà inizio

alla fuga notturna di Erminia. Le descrizioni, di ariostesca memoria, evocano una sorta di

caccia in cui la donna, impaurita «sì come cerva» (G.L., VI, ott. 109, v. 1)277, viene

perseguitata da cani al punto da essere costretta ad abbandonare «’l suo desir primo» (G.L.,

VI, ott. 110, v. 7), cioè quello di raggiungere Tancredi, e darsi la fuga, spronando «’l suo

destriero» (G.L., VI, ott. 111, v. 1), sino ad approdare «infra l’ombrose piante/ d’antica selva»

(G.L., VII, ott. 1, vv. 1-2) nel canto successivo. Occorre notare che la selva, tradizionalmente

legata ad episodi magico-ermetici, rappresenta nella letteratura onirica il luogo dello

smarrimento e dell’alterità in cui il personaggio è solito smarrirsi278. Conformemente a

questo topos, Erminia «si raggira» (G.L., VII, ott. 1, v. 5), ovvero si smarrisce nell’«antica

selva» (G.L., VII, ott. 1, v. 2)279, senza sapere dove andare finché non cade stremata sulla

terra. È stato notato che l’ingresso di Erminia nel luogo dell’alterità appare dovuto alla pura

accidentalità della corsa del cavallo, il quale ha preso il controllo nel momento in cui la

mano tremante della donna «né più governa il [suo] fren» (G.L., VII, ott. 1, v. 3). L’assenza di

volontà e di iniziativa nella scelta di direzione riducono la donna ad uno stato passivo che

non le permette di sentire né vedere nient’altro che i propri lamenti disperati e le proprie

lacrime, per cui la dimensione idilliaca le si presenta appunto come un’epifania. Per di più,

Erminia giunge al luogo bucolico attraverso il sonno, «placido e cheto» (G.L., VII, ott. 4, v. 6.),

che viene identificato, come nella mitologia greco-latina, con un giovane con le ali:

Cibo non prende già, ché de’ suoi mali

Solo si spasce e sol di pianto ha sete;

ma ‘l sonno, che de’ miseri mortali

è co ‘l suo dolce oblio posa e quiete,

sopì co’ sensi i suoi dolori, e l’ali

dispiegò sovra lei placide e chete;

né però cessa Amor con varie forme

la sua pace turbar mentre ella dorme. (G.L., VII, ott. 4, vv. 1-8)

277 Secondo COSENTINO, «il cervo è spesso il sostituto simbolico per la donna amata». Cfr. P. COSENTINO, Sogni tragici…cit., p. 101. 278 P. COSENTINO, Sogni tragici…cit., p. 101. Si veda anche Adelia NOFERI, Il bosco: traversata di un luogo simbolico, in «Paradigma, n. 8, 1988, pp. 35-66. 279 Si veda ARIOSTO, Orlando Furioso, canto I, ott 33, vv. 1-2: «fugge tra selve spaventose e scure,/ per lochi inabitati, ermi e selvaggi» e canto XVIII, ott. 192, vv. 1-2: «era a quel tempo ivi una selva antica/ d’ombrose piante spessa…».

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Oltre a rievocare il topos del sonno personificato e pacificatore, l’ottava citata sottolinea

ancora una volta l’entrata involontaria di Erminia nello spazio idilliaco. Essendo il sonno

definito «uno stato di riposo fisico e psichico, accompagnato dalla sospensione completa o

parziale della coscienza e della volontà»280, esso indica la passività della donna nel momento

di ingresso, portata dall’arbitrio della corsa folle del cavallo. Si noti anche come l’ottava

finisce proprio con la parola «dorme», sottolineando che il modo in cui entra nel luogo

bucolico, ossia attraverso lo stato dormiente. In questo modo, l’entrata nella dimensione

idilliaca rappresenta doppiamente l’aspetto inatteso sotteso al sesto significato della

nozione di sogno: da un lato la corsa del cavallo che si mette a capo della fuga, dall’altro lato

il sonno che depriva Erminia dalla sua volontà.

Annunciato dall’immagine del giovane con le ali, il sonno viene segnalato da una precisa

soglia narrativa o formula d’introduzione, che non solo introduce i sogni che turbano

Erminia «mentre ella dorme» (G.L., VII, ott. 4, v. 8), ma consente anche il ribaltamento del

contesto naturale che la circonda durante la pausa di rigenerazione. La differenza vistosa

con il sogno nel canto VI consiste nel fatto che non viene precisato il contenuto delle «varie

forme» (G.L., VII, ott. 4, v. 7) con cui Amore tormenta la donna, per cui manca l’esposizione,

ossia la parte centrale della sequenza onirica che di solito introduce i partecipanti e

l’ambientazione. Per quanto riguarda il momento in cui si presenta il sogno, non è chiaro se

si tratti di sogni mattutini o di sogni notturni – in verità è solo possibile escludere un sogno

ad occhi aperti, visto che viene esplicitamente indicato lo stato di addormentamento. Però,

dal punto di vista della collocazione narrativa, potrebbero essere dei sogni mattutini perché

preceduti da una descrizione elaborata del tramonto prima e del sonno dopo, e seguiti

direttamente dal momento dell’alba, per cui la distanza narrativa tra l’introduzione della

notte e i sogni sembra superare quella tra sogni e alba.

Mentre manca la parte centrale della sequenza, la conclusione è presente nella forma di

un risveglio altrettanto pacifico dal sogno stesso. Ciò vuol dire che non vengono rispettati

né il topos del risveglio di soprassalto, che ispira un’azione improvvisa, né quello del

risveglio angoscioso. Invece di svegliarsi di soprassalto o pieno d’angoscia, il personaggio

apre gli occhi in armonia con la natura, il che spesso indica «un momento di ritorno della

280 R. CESERANI, GDE…cit., vol. 3, pp. 2297.

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capacità di cogliere i diversi aspetti della realtà con partecipe meraviglia, di una interna

vitalità e consapevolezza, della collocazione del sé nel mondo»281.

Dopo la fuga disperata, vissuta da Erminia come una sorta di trance che la rapisce,

portandola alla completa alienazione dal mondo intorno a sé, il sonno, con la sua forza

liberatrice e rigeneratrice, costituisce un momento di rinnovamento e trapasso. Tanto che il

successivo risveglio segna un cambiamento di cornice, in cui è possibile il ritorno delle

facoltà visive e uditive precedentemente offuscate dall’angoscia. In questo nuovo contesto

idilliaco, i lamenti d’amore man mano diventano impercettibili, essendo sommersi dal canto

dei pastori:

ma son, mentr’ella piange, i suoi lamenti

rotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene,

che sembra ed è di pastorali accenti

misto e di boscareccie inculte avene. (G.L., VII, ott. 6, vv. 1-4)

L’avversativa con cui inizia l’ottava citata segna proprio un mutamento totale di

ambiente e di prospettiva: vedendo i pastori, Erminia diventa consapevole del fatto che la

sua armatura non è adatta al mondo pastorale, talché si sbriga a togliere il suo

camuffamento e a respingere un’identità che non le appartiene. In altri termini, la

principessa si avvede della propria collocazione nel mondo pastorale, togliendosi l’abito

della guerriera con cui aveva partecipato al mondo delle armi.

Nonostante il carattere pacificatore del sonno, Amore continua a tormentare Erminia

con sogni turbati che, a prima vista, derivano dalla condizione di spirito del personaggio.

Stando a Macrobio, però, gli incubi non derivano soltanto da affanni di spirito, ma anche da

quelli del corpo o da quelli legati alla condizione sociale282. Sosteniamo che in questo caso le

forme che turbano Erminia nel suo sogno siano causate dalla combinazione dei tre tipi di

affanni individuati da Macrobio. Certo, nel poema viene detto che è Amore a tormentare

Erminia con i più diversi sogni (v.7), ma fondandoci sui versi precedenti (vv. 1-2) e sulla

connotazione del luogo idilliaco, ci sembra lecito supporre piuttosto uno spettro di

influenze. Secondo Macrobio il corpo è turbato quando ci si trova in una condizione di

sazietà o, alternativamente, di fame, per cui i rispettivi sogni riflettono il desiderio di

281 Ibidem. 282 A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., p. 47.

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liberarsi di ciò che appesantisce o di procurarsi nutrimento283. Effettivamente Erminia non

assume cibo e non beve, nutrendosi solamente dei suoi «mali» e del suo «pianto». Queste

immagini elegiaco-patetiche non solo conferiscono un senso di dolore profondo, che

annulla i bisogni corporali, ma indicano anche l’assenza di cibo reale e nutriente. In questo

modo emerge uno stato di fame che non ispira tanto il sogno di nutrirsi, semmai di

procurarsi nutrimento sentimentale. Per questo, provoca la condizione necessaria per

causare sogni turbati, ossia la disposizione d’anima.

Si turba la propria condizione sociale quando, desiderando cariche e onori, si sogna «o

di accrescerli come si desidera o di perderli come si teme»284. Nel caso del sogno di Erminia

l’affanno della propria condizione è presente in un modo molto particolare. Di fronte ad

Onore, Erminia privilegia Amore, come peraltro conferma il contenzioso quasi politico tra

questi due duellanti (vedi sopra). Tuttavia, è Amore che poi spinge Erminia a desiderare il

compito di curare Tancredi, carica che assume un senso affettivo più che politico. Non meno

rilevante in questo quadro si rivela il valore che acquista il rifugio pastorale nell’universo

epico e, in particolare, nella Liberata. In linea generale lo spazio evasivo dell’idillio sospende

l’azione eroica e rappresenta un’«evasione dai doveri della missione epica»285.

Analogamente, la dimensione dell’idillio del poema tassiano si presenta come autre rispetto

alle armi e rispetto al furore della macchina bellica, come un luogo tanto piacevole, quasi

magico, da parere impossibile, talché induce Erminia a meravigliarsi della possibilità che il

luogo pastorale sia rimasto intatto di fronte alla guerra:

«O padre, or che d’intorno

D’alto incendio di guerra arde il paese,

come qui state in placido soggiorno

senza temer le militari offese?» (G.L., VII, ott. 8, vv. 1-4)286

Lo spazio proietta Erminia in un modo di essere contrapposto alla vita di corte,

offrendole una possibilità per scappare dai doveri e rifugiarsi nella sobria vita contadina,

esaltata dal pastore:

283 Ibidem. 284 Ibidem. 285 S. ZATTI, Il modo…cit., p. 101. 286 I corsivi sono nostri.

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...a me sì cara

che non bramo tesor né regal verga,

né cura o voglia ambiziosa o avara

mai nel tranquillo del mio petto alberga. (G.L., VII, ott. 10, vv. 1-4)

La citazione mostra come, dal punto di vista del personaggio, il luogo pastorale

costituisce una fuga da ricchezze, onori, ambizioni e altre brame secolari. L’episodio

presenta in questo modo un sogno evasivo, in cui l’assenza di onori o di cariche viene

apprezzata anziché accrescerne il desiderio o innescare il timore della loro perdita. Che

l’idillio equivalga ad un sogno quale «situazione tanto felice da parere impossibile» viene

provato anche dalla sua provvisorietà: per Erminia non è neppure concepibile il rifugio

permanente tra i pastori, ma

Dopo molto pensar, consiglio prende

in quella solitudine secreta

insino a tanto almen farne soggiorno

ch’agevoli fortuna il suo ritorno. (G.L., VII, ott. 10, vv. 1-4)287

Per quanto riguarda il rapporto tra i sogni e la loro articolazione tipica nell’epica, ciò

che diverge è la descrizione del risveglio e la mancanza dell’esposizione nella sequenza

onirica. Essendo assente il contenuto dei sogni, nonché lo stesso il ricevente, non ci sembra

utile discutere il carattere, né la densità semantica dei sogni. Spicca però una grande

compattezza del tempo dedicato alla loro narrazione, per cui è lecito parlare di una

«menzione onirica» più che di un racconto onirico. Anche l’emittenza è contrapponibile a

quella tipica, visto che i sogni, definiti incubi, sembrano causati da un misto di affanni del

corpo, dello spirito e della condizione sociale. Ciò che converge verso il topos invece è la loro

coincidenza con uno snodo strutturale dell’intreccio e il fatto che l’evento onirico viene

segnalato da precise soglie narrative, il che rimanda alla tipica modalità di accadimento

dello stesso evento nell’epica.

Insomma, a questo punto si può affermare che il sonno di Erminia nel canto VII,

origine dei suoi sogni, abbia una collocazione strutturale strategica, che serve ad introdurre

un nuovo episodio nella storia, un ambiente diverso e un autre. Si può dunque parlare di un

287 I corsivi sono nostri.

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sogno d’evasione che interrompe il flusso temporale e offre un’ alternativa romanzesca al

dovere epico. In questo modo, ci sembra lecito aggiungere che il sogno costituisce di per sé

una soglia narrativa, rappresentando una cerniera di demarcazione narrativa.

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2. L’ «Infausto annunzio» ovvero il destino di Clorinda

preannunciato

Sogni, sempre sogni! E più l’anima è ambiziosa e delicata, più i sogni l’allontanano dal possibile. CHARLES BAUDELAIRE, I fiori del Male

Esaminando l’universo onirico della Liberata, spiccano, accanto a Erminia, altri due

personaggi segnati da desideri intensi – Clorinda e Tancredi – che si esprimono non solo in

sogni e visioni, ma anche in momenti di veglia. Nel canto XII si incontrano varie attività

oniriche su cui ci soffermeremo: anzitutto quelle di Clorinda e del suo balio Arsete. Partendo

dalla veglia inquieta di Clorinda, tenteremo in un secondo momento di analizzare i sogni

dell’eunuco Arsete e la loro posizione rispetto al topos. Continueremo il nostro discorso con

un breve accenno al sogno di Clorinda, dopodiché passeremo alla discussione dei sogni di

Tancredi.

2.1 L’insonnia di Clorinda

Era la notte, e non prendean ristoro

co ‘l sonno ancor le faticose genti:

ma qui vegghiando nel fabril lavoro

stavano i Franchi a la custodia intenti, (G.L., XII, ott. 1, vv. 1-4)

[…]

Curate al fin le piaghe, e già fornita

De l’opere notturne era qualcuna;

e ralltentando l’altre, al sonno invita

l’ombra omai fatta più tacita e bruna. (G.L., XII, ott. 2, vv. 1-4)288

288 I corsivi sono nostri

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Il canto XII costituisce un lungo e suggestivo quadro notturno, annunciato dall'incipit,

dove predomina la calma notturna, dapprima associata ad una fase di intensa preparazione

per l’imminente battaglia, poi al motivo della veglia di Clorinda. Quest'ultima, avendo

«l’alma d’onor famelica e digiuna» (G.L., XII, ott. 2, v. 6), non cede al sonno riposante, il quale

sembra invece indurre altri uomini ad addormentarsi289.

Pur non accheta la guerriera ardita

L’alma d’onor famelica e digiuna,

e solecita l’opre ove altri cessa. (G.L., XII, ott. 2, vv. 5-7)

Mentre sta riflettendo sulle vicende appena trascorse (Canto XI), la guerriera si lamenta

per la posizione quasi marginale da lei occupata nel conflitto, nonostante sia intervenuta

come arciere nella battaglia contro i cristiani:

Io (questo è il sommo pregio onde mi vante)

D’alto rinchiusa oprai l’arme lontane,

saggittaria, no ‘l nego, assai felice.

Dunque sol tanto a donna e più non lice? (G.L., XII, ott. 3, vv. 5-8)

Il «protratto digiuno» stimola Clorinda a continuare i lavori nottetempo quando altri

desistono invece a causa della fatica e, al tempo stesso, suscita in lei il desiderio di un’azione

militare che sfocia nella progettazione di un attacco alla macchina bellica dei cristiani. La

sua ambizione, quella di ottenere la gloria militare, la tiene sveglia, inquietando la sua

mente, già da molto tempo occupata ad escogitare qualcosa «d’insolito e d’audace» (G.L., XII,

ott. 5, v. 2). Nonostante la convinzione, Clorinda si rende conto del pericolo insito nel

progetto, considerando incerto il proprio ritorno, che la morte potrebbe impedire. Va

notato che, a questa altezza, Clorinda non è ancora stata informata degli ordini divini che la

riguardano, per cui esprime profondi dubbi sul proprio destino (ott. 6). Difatti,

l’inquietudine circa la riuscita del piano progettato spinge la guerriera ad affidare la cura

del suo vecchio tutore Arsete ad Argante, insistendo sull’età avanzata del primo:

ma s’egli averrà pur che mia ventura

nel mio ritorno mi richiuda il passo,

289 Il tema del riposo universale si deve a Omero. Cfr. J. BOUQUET, Le songe…cit., p. 23.

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d’uom che n’amor m’è padre a te la cura

e de le care mie donzelle io lasso. (G.L., XII, ott. 6, vv. 1-4)

Possiamo affermare che Clorinda sia turbata da angosce sul futuro (il proprio destino e

quello di Arsete), nonché da affanni di spirito (essendo Arsete molto caro alla guerriera), i

quali, come abbiamo visto, vengono individuati da Macrobio come le cause principali

dell’incubo o dell’insomnium. Invece di esprimersi in sogni turbati, impediti dall’assenza di

sonno, le preoccupazioni di Clorinda prendono la forma di una veglia inquieta, metafora

della sua agitazione e preludio sinistro dell’esito della missione.

Peraltro, l’atmosfera sinistra viene rinforzata dal presagio del colore mutato della sua

armatura. Conviene ricordare che Erminia aveva rubato i vestiti bianchi di Clorinda per

poter uscire da Gerusalemme e recarsi nel campo cristiano, obbligando quindi Clorinda ad

indossare delle armi «ruginose e nere»:

Depon Clorinda le sue spoglie inteste

d’argento e l’elmo adorno e l’arme altere,

e senza piuma o fregio altre ne veste

(infausto annunzio!) ruginose e nere,

però che stima agevolmente in queste

occulta andar fra le nemiche schiere. (G.L., XII, ott. 18, vv. 1-6)290

Il narratore annuncia l’esito infelice dell’episodio («infausto annunzio!»), e al contempo

riporta le considerazioni di Clorinda, che crede di potersi lanciare più facilmente nella

mischia occultandosi fra i nemici. Si noti l’uso del verbo «stima», che sembra sottolineare la

vanità dei pensieri della guerriera.

Il presagio e il racconto della veglia inquieta collaborano a creare un’atmosfera sinistra

intorno al personaggio di Clorinda, che nel corso del canto XII acquista una vera e propria

vita autonoma. Il racconto retrospettivo di Arsete, infatti, provvede a rivelare le vere origini

di Clorinda, annunciando insieme il destino funesto della guerriera. Ci soffermeremo su

questo racconto, analizzando nei paragrafi seguenti i prodigi soprannaturali (2.2) e il motivo

del sogno (2.3).

290 I corsivi sono nostri.

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2.2 Visioni miracolose ovvero l’intercessione di San Giorgio

Mentre Clorinda si prepara all'impresa bellica, indossando delle armi «rugginose e nere»

(G.L., XII, ott. 18, v. 4), il veccchio tutore Arsete la implora di non avviare la missione:

Vede costui l’arme cangiate, ed anco

del gran rischio s’acorge ove ella già,

e se n’affligge, e per lo crin che bianco

in lei servendo ha fatto e per la pia

memoria de’ suo’ offici instando prega

che da l’impresa cessi; ed ella il nega. (G.L., XII, ott. 19, vv. 3-8)291

Dopo questo fallimentare tentativo di dissuadere Clorinda dalle sue intenzioni, Arsete

decide di rivelare le vere origini della fanciulla, nata cristiana e principessa. Nella racconto

retrospettivo l’eunuco rivela che la madre di Clorinda è la moglie del re di Antiochia, molto

devota a San Giorgio, tanto che l’immagine del santo adorna le mura della stanza regale. Va

notato che il nome di San Giorgio non viene esplicitato da Arsete, essendo egli stesso

mussulmano, ma sono le descrizioni del santo che rivelano ai lettori la sua identità.

Ispirandosi alle Etiopiche di Eliodoro, Tasso riprende l’influenza degli affreschi con storie

sacre sulla nascita di Clorinda, che, a differenza della sua madre, mostra la pelle bianca. Per

non scatenare la rabbia del marito, la madre decide in un primo momento di nascondere la

neonata, poi di sostituirla da una bambina con la pelle bruna e, infine, di affidare Clorinda,

ancora non battezzata, al proprio fedele servitore Arsete, facendogli promettere di allevare

la figlia secondo i principi della fede cristiana. In seguito, la regina prega San Giorgio di

proteggere la neonata e di concederle la salvezza: una preghiera che si rivela «veramente

taumaturgica»292 , dato che San Giorgio interviene più di una volta per difendere la bambina

da vari pericoli: la protegge da una tigre dell’aspetto agghiacciante, facendole allattare e

accarezzare la bambina (ott. 30-31); le salva la vita quando viene colta da un vortice

impetuosissimo (ott. 35). Questi interventi costituiscono dei veri e propri prodigi, per cui

possiamo considerarli come visioni di sapore onirico o comunque di carattere irreale, che si

291 I corsivi sono nostri. 292 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 755.

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manifestano di solito durante uno stato di estasi o di allucinazione293. In questo caso, però, il

carattere irreale o irrazionale delle visioni non si deve ad uno stato allucinatorio o

delirante, ma si spiega piuttosto nella loro causa divina, essendo esse il risultato

dell’intercessione di San Giorgio per salvare la fanciulla. In entrambi i casi, difatti, si coglie

in filigrana il piano divino che accompagna la crescita di Clorinda, per cui le visioni entrano

nel sistema provvidenziale che trasmette l’ordine divino.

Facendo parte di una storia retrospettiva, le visioni rientrano nel sistema delle anacronie

su cui si struttura il poema epico e costituiscono una variante dell’ekphrasis che evoca la

storia fantasiosa e profetica della crescita di Clorinda. La loro funzione è quella di sottrarre

le vicende alla mera accidentalità storica per ascriverle ad uno piano provvidenziale,

creando un’impressione di ineluttabilità sequenziale. Tuttavia, l’assegnazione di un

carattere profetico o, comunque, divino agli eventi non avviene né al momento del loro

accadere, né al momento della loro narrazione, visto che, per esempio, Arsete tace la natura

divina degli eventi per lasciare gli ascoltatori (e lettori) in suspense. Come parte del sistema

delle anacronie, le visioni trasformano dunque il racconto in una teologia narrativa.

2.3 I sogni ripetuti di Arsete

I sogni di Arsete si collocano all’interno del racconto retrospettivo, avviato dallo stesso

personaggio allo scopo di dissuadere Clorinda ed avviare una missione pericolosa, cioè dare

alle fiamme la macchina bellica dei cristiani. Si tratta di due sogni di carattere minaccioso in

cui appare San Giorgio che, tramite vari interventi, riesce a salvare la guerriera nei

momenti di maggior pericolo (2.2).

2.3.1 Il sogno ammonitore e rivelatore

Il primo sogno narrato da Arsete, giuntogli subito dopo il secondo evento soprannaturale,

dimostra come «le zone di competenza e le modalità di operazione del divino» nel poema

tassiano talora appaiono confuse: da un lato il sogno, laddove riproduce le caratteristiche

tipiche del sogno epico, può essere collocato nella categoria classica dell’oraculum; dall’altro

293S. BATTAGLIA, Grande...cit., vol. 21., p. 920.

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lato, in ragione della sua deviazione dal topos, esso problematizza la questione della

veridicità. Anche in questo caso, dunque, il trattamento del sogno verrà da noi indagato

sulla base della teoria onirica di Macrobio, cioè tentando di classificare il sogno per poi

discuterne le caratteristiche tipicamente epiche.

L’eunuco racconta come, nel cuore della notte, venga visitato in sogno da San Giorgio che

lo minaccia e gli comanda di eseguire gli ordini della madre, cioè battezzare Clorinda:

E poi nella notte, quando

Tutto in alto silenzio eran le cose,

vidi in sogno un guerrier che minacciando

a me su ‘l volto il ferro ignudo pose.

Imperioso disse: “ Io ti comando

Ciò che la madre sua primier t’impose:

che battezzi l’infante; ella è diletta

del Cielo, e la sua cura a me s’aspetta. (G.L., XII, ott. 36, vv. 1-8)294

Io la guardo e difendo, io spirito diedi

Di pietate a le fère e mente a l’acque.

Misero te s’al sogno tuo non credi,

ch’è del Ciel messaggiero”. E qui si tacque.

Svegliaimi e sorsi e di là mossi i piedi

Come del giorno il primo raggio nacque;

ma perché mia fé vera e l’ombre false

stimai, di tuo battesmo non mi calse, (G.L., XII, ott. 37, vv. 1-8)

Dalla prima ottava qui citata emerge chiaramente il carattere ammonitore del sogno,

evidenziato anche dall’aspetto imperioso del «guerrier», i.e. San Giorgio, la cui fierezza

militare appare in contraddizione con la sua mimica («imperioso») e con le parole («ti

comando»), che creano piuttosto un’atmosfera di urgenza e gravità295. La seconda ottava

invece testimonia la natura rivelatrice del sogno, che svela ora l’origine divina dei prodigi,

precedentemente ignota ad Arsete. Occorre notare che la rivelazione riguarda soltanto gli

eventi passati, il che devia dal solito carattere premonitore dei sogni epici che sono

proiettati quasi esclusivamente nel futuro.

294 I corsivi sono nostri 295 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 760.

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Per quanto riguarda San Giorgio, è stata osservata la somiglianza tra la sua immagine

nella Liberata e quella proveniente dalla letteratura dogmatica - una convergenza che

rivelerebbe come le immagini miracolose riflettano le sembianze dell’originale e siano

ispirate dalla volontà divina296. Oltre a dimostrare la ricezione da parte di Tasso della

tradizione iconografica su San Giorgio297, una tale osservazione sottolinea il carattere divino

della visione onirica, nel senso che il ritratto fedele del santo apparso in sogno è prova della

sua ispirazione divina. In questo senso, il sogno rispetta una delle caratteristiche

fondamentali del sogno epico, cioè quella di svolgere la funzione di canale privilegiato di

comunicazione tra il piano soprannaturale e quello terreno298. Questo suo ruolo di

mediazione riflette l’organizzazione gerarchica della Liberata, dato che il sogno viene

definito «del Ciel messaggiero» e la trasmissione del contenuto avviene per via di un

mediatore mandato dal capo celeste, i.e. Dio: le forze supreme spingono quelle inferiori

all’azione. Non sorprende dunque il carattere unilaterale dello scambio, né la sua precipua

natura prescrittiva: è San Giorgio, in quanto mediatore di Dio, a determinare la direzione e

l’impostazione dello scambio di informazioni, il che si manifesta nella prescrizione di

battezzare la figlia e nell’avvertimento di credere alla verità del messaggio, essendo

entrambe le azioni articolazioni della volontà divina.

Gli aspetti onirici fin qui menzionati ci consentono di considerare il sogno di Arsete

conforme alla tipologia dei sogni epici, cioè l’oraculum. Al riguardo Macrobio osserva che:

ci fornisce il potere divinatorio. L’oracolo si verifica proprio quando nel sonno un

genitore o un altro personaggio venerabile e importante come un sacerdote o anche

un Dio rivela esplicitamente che qualcosa accadrà o non accadrà, si dovrà fare o non

fare299.

Oltre agli elementi già discussi, quali il mediatore («personaggio venerabile») e il

carattere prescrittivo («si dovrà fare»), si constata come l’oracolo trasmette il messaggio

onirico senza ambiguità e, soprattutto, come reca un contributo alla divinazione. Benché in

296 G. SCAVIZZI, La Gerusalemme…cit., p. 208. 297Tasso avrebbe «potuto leggere nel Viaggio in Etiopia di Francisco Alvarez che ancora nel periodo

rinascimentale le immagini di san Giorgio erano molto diffuse». Cfr. David QUINT, Epic and Empire: politics and

generic form from Virgil to Milton, Princeton, PUP, 1993, pp. 234-247. 298 S. ZATTI, «I levi sogni erranti»…cit., p. 30. 299 A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., p. 49.

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realtà si tratti di un sogno oracolare, l’apparizione di san Giorgio ha la chiarezza

dell’epifania, dato che il messaggio divino è di particolare importanza e deve essere ben

compreso dal destinatario. Una tale chiarezza, insieme a creare un senso di precisione, è

segno dell’alta densità semantica del microtesto onirico, che rappresenta l’estremo opposto

all’oscurità allegorica, non essendo necessaria la decifrazione. Per questo, la narrazione del

sogno, che generalmente serve a penetrarne il senso, non assume questa sua funzione

generale, ma viene rifunzionalizzato per convincere Clorinda a deporre le armi. In altri

termini, il sogno ha una referenzialità onirica, nel senso che viene trasmesso un messaggio

che, nella sua chiarezza, risulta perfettamente comprensibile al dormiente.

Occorre notare che il contenuto del sogno non consiste né nella prefigurazione di

qualcosa che accadrà nello stesso modo in cui la si è vista - che qualificherebbe il sogno

come una visio -, né rappresenta sotto enigmi il vero significato, escludendo in questo modo

anche la tipologia del somnium. Anche se il sogno prende la forma di un racconto nel

racconto, essendo una narrazione di secondo grado, esso non serve quindi a esplicitare il

tentativo di interpretarne il contenuto, ma diventa mise en abîme testuale, nel senso che il

suo contenuto riguarda l’ordine provvidenziale del poema: Clorinda «è diletta del Cielo» e il

suo destino fa parte di un piano divino di cui il sogno rammenta l’ineluttabilità. Tuttavia, a

differenza di un Ugone che nella sua profezia riproduce perfino quasi letteralmente la

clausola incipitaria del poema, San Giorgio condensa l’ordine divino in un comando conciso

e lapidario, sintomatico dell’urgenza della sollecitazione onirica che in un primo istante non

riesce a creare l’ effetto mirato, ovvero il battesimo di Clorinda.

La mancata realizzazione del battesimo è un’espressione del problema ermeneutico

che attraversa la visione stessa: vera o falsa? Dal punto di vista del personaggio, è molto

chiaro che l’apparizione del sogno viene giudicata falsa e vana, come ci svela lo stesso

Arsete alla conclusione dell’evento onirico («l’ombre false/ stimai»). Ci sono però vari indizi

che potrebbero spingerlo a credere nella verità della visione onirica. In primo luogo, si

rivela un fattore convincente l’autorità del santo, che si presenta da emissario di Dio (sia

pure quello cristiano) e da protettore della sovrana a cui fa da servitore Arsete. Benché

l’eunuco non espliciti mai il nome di san Giorgio, Arsete lo riconosce come il «guerrier»,

protagonista non solo della storia sacra che adornava le mura della stanza regale (ott. 23),

ma anche destinatario delle preghiere della madre di Clorinda, volte a chiedere protezione

per la figlia (ott. 28). Ambedue le occasioni segnalano la familiarità di Arsete con il

personaggio di san Giorgio e costituiscono una possibile ragione per credere alla verità del

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sogno. In secondo luogo, sono le parole stesse del santo ad offrire un ulteriore indizio, dato

che, ricordando la supplica della madre di Clorinda, rivelano la causa divina dei prodigi che

hanno salvato la vita alla fanciulla e ribadiscono in tal modo l’ispirazione divina del sogno.

Ciò nonostante, questi accadimenti non riescono neanche a convincere Arsete della verità

della visione onirica. Nell’ottica del personaggio la fede musulmana è preponderante e la

sua tendenza a preservare alle proprie convinzioni lo spinge a considerare falso un sogno

veritiero: il che porterà l’eunuco ad ignorare le ammonizioni di San Giorgio per arrivare al

mancato battesimo. Questa sua incapacità di riconoscere l’origine divina degli interventi,

così come la sua ignoranza circa la verità della visione onirica, ci pare esemplificare

l’asserzione che sono soltanto i cristiani fedeli a poter cogliere nei prodigi la mano

provvidenziale300.

Dal punto di vista del lettore sono anzitutto il contenuto del messaggio onirico e la

venerabilità del santo - che incarna gli attributi tipici del messaggero e dell’oraculum – a

segnalare come probabilmente questo sogno sia di ispirazione divina, vale a dire veritiero. A

tal proposito conviene ricordare che Macrobio colloca l’oraculum nella categoria dei sogni

veri, capaci di rivelare senza ambiguità ciò che si deve fare. È proprio quest'ultimo il fattore

esterno che maggiormente pesa sulla valutazione del sogno come veritiero.

La questione della verità del sogno viene tuttavia complicata da altri fattori che

appartengono alle modalità di accadimento. Si segnala da una precisa semiotica testuale, la

quale ben distingue le tre componenti del sogno letterario: il preludio (ott. 36, vv. 1-2),

l’esposizione (ott. 36, vv. 3-8; ott. 37, vv. 1-4), la fine o, in questo caso, il risveglio (ott. 37, vv.

5-6). La quadripartizione del sogno epico, invece, viene rispettata parzialmente. La prima

parte, le circostanze dell’evento onirico, si situa in apertura dell’ottava («e poi la notte») e

indica letteralmente il tempo notturno, specificandone l’«alto silenzio». In altri termini, si

tratta del cuore della notte, di una demarcazione cronologica che, pur essendo in sintonia

con i sogni descritti nei poeti epici latini301, non corrisponde al topos della visitazione

all’alba, momento indicatore della verità della visione. Tasso associa poi al quadro notturno

(«notte») il motivo del riposo universale («tutte in alto silenzio eran le cose»302) che ci lascia

intuire – non essendo evocato direttamente il sonno – che probabilmente il sogno giunge

300 G. BENFELL, Tasso's God…cit. 301 Antonio GRILLONE, Il sogno nell’epica latina: tecnica e poesia, Palermo, Andò, 1967. 302 I corsivi sono nostri.

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Arsete in un momento di tranquillità, il che, come abbiamo già visto, è la precondizione per

i sogni veritieri di Goffredo.

La calma notturna viene seguita da un sogno inquietante che sembra invaso dal senso del

mistero, prova della sua natura divina, nonché favorito dalla predisposizione psicologica

latente del dormiente. Il senso di angoscia conferisce al sogno un carattere inquietante, che

si accompagna all'assenza di descrizioni relative al luogo e alle modalità dell'apparizione

onirica. Ciò deriva anzitutto dalla descrizione dell’aspetto esteriore del santo, di cui viene

sottolineato in particolare il carattere minaccioso e serio, aggiungendo, in questo modo,

un’atmosfera di ulteriore gravità. In altri termini, manca la seconda parte del sogno epico,

cioè l’arrivo della figura onirica. Si noti come le parole che designano il santo rimangano

piuttosto imprecisate, persino vaghe: Tasso evoca soltanto l’espressione minacciosa

(«minacciando»), la spada sguainata («ferro ignudo») posta sul volto di Arsete. Inoltre,

nell’allocuzione diretta dell’apparizione al sognatore ritornano, secondo l'uso tipico dei

poeti latini, i tempi verbali al modo finito («comando, impose, battezzi, credi»), che, stando

a Grillone, non solo «rendono bene l’immagine, presentandoci quasi come realmente

esistenti quelle ombre»303, ma riescono «mettere in evidenza l’origine divina»

dell’apparizione onirica304. Il senso di mistero, che conferisce al sogno la provenienza divina,

ci pare accompagnato da un carattere psicologico che si presenta come una «mirabile

fusione virgiliana» di causa divina e natura psicologica del sogno305. Questa fusione va

spiegata, come ci conferma il fatto che al primo sogno ne segue un secondo che riecheggia il

primo in vari aspetti (cfr. 2.3.2). Infatti, il momento dell’allontanamento della bambina dalla

madre è molto emozionante per Arsete, come dimostra anche il climax di pahtos crescente:

piangendo a me ti porse, e mi commise

chi’io lontana a nudrir ti conducessi.

Chi può dire il suo affanno, e in quante guise

lagnossi e raddoppiò gli ultimi amplessi?

Bagnò i baci di pianto, e fur divise

303 A. GRILLONE, Il sogno nell’epica latina...cit., p. 100. 304 Ivi, p. 114. 305 Ivi., p. 10. Il carattere psicologico è stato notato da Anna CERBO, Ombre e abissi…cit.; Si veda anche Marilyn

MIGIEL, Clorinda’s Father, in «Stanford Italian Review», n. 10, 1991, pp. 93-121. Per la ripetizione del rimosso si

veda Cathy CARUTH, Unclaimed Experience: Trauma, Narrative, and History, Baltimore, John Hopkins University

Press, 1996, esp. pp. 1-3.

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le sue querele da i singulti spessi. (G.L., XII, ott. 26, vv. 1-6)

A questo punto si potrebbe dire che la separazione viene vissuta da Arsete come un vero

dramma, ancor più perché successivamente la madre pregherà Dio con grande pathos,

chiedendo a San Giorgio di proteggere la neonata. Proprio la richiesta della madre di

battezzare la figlia in un momento così tragico non può che lasciare qualche traccia nella

mente di Arsete, per cui possiamo considerare quest'ultima agitata. Non va dunque escluso

che i sogni siano il risultato degli affanni di spirito, ossia quelli che provengono da una

mente ossessionata dalla richiesta della madre. Non meno rilevante è il fatto che il sogno gli

giunge subito dopo due momenti di angoscia e perturbazione per la sorte della fanciulla. La

prima vicenda spaventosa lo lascia «timido e confuso,/ come uom faria novi prodigi

orrendi.» (G.L., XII, ott. 31, vv. 5-6), la seconda gli presenta la morte de visu. In verità, è

possibile rilevare nel sogno echi delle vicende traumatiche legate alla mancata promessa.

Nella formula d’introduzione («vidi in sogno un guerrier»), Arsete riproduce – si potrebbe

dire quasi inconsciamente – la definizione di «guerrier», il che, oltre a segnalarci che si

tratta ancora di San Giorgio, è un calco preciso di quella usata precedentemente dalla madre

di Clorinda per invocare il santo. Per di più, l’immagine di San Giorgio che pone la spada sul

volto di Arsete è perfettamente riconoscibile, tenendo conto delle storie sacre che adornano

la stanza regale e che raffigurano la storia del santo che uccide il drago, colpendolo con la

lancia:

D’una pietosia storia e di devote

figure la sua stanza era dipinta.

Vergine, bianca il bel volto e le gote

vermiglia, è quivi presso un drago avinta.

Con l’astra il mostro un cavalier percote:

giace la fèra nel suo sangue estinta. (G.L., XII, ott. 23, vv. 1-6)306

Nel sogno ammonitore Arsete si proietta nella posizione del drago, che si trova dinanzi la

spada sguainata. Infine, il modo identico in cui si chiudono entrambe le preghiere della

madre e il discorso di San Giorgio, è prova dell’associazione dei due eventi nella mente di

306 I corsivi sono nostri.

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Arsete307. Tasso poi, nel presentare una seconda apparizione dello stesso santo, sembra

ribadire quanto forte sia l’ossessione di Arsete, nel senso che il personaggio viene esposto

ancora una volta ai rimproveri di San Giorgio come una sorta di ritorno del rimosso. Però,

non essendo la prospettiva psicoanalitica il nucleo centrale del presente discorso,

preferiamo lasciarlo per uno studio futuro.

Quanto al destinatario, Tasso ricorre all’espressione tipica «vedere in sogno» («vidi in

sogno»), sottolineando così non solo lo stato dormiente del sognatore, ma anche la sua

passività, che, in questo caso, deriva anzitutto dall’unilateralità del messaggio: Arsete non

interrompe il discorso del santo, ma ascolta soltanto ciò che viene ordinato. È interessante

osservare però come lo stato passivo e incosciente, di norma associato alla donna308, sia qui

attribuito ad Arsete, giustificato, si potrebbe dire, non solo dal fatto che l’eunuco non può

che subire passivamente la visione e ricevere il messaggio, ma anche dalla natura stessa del

personaggio, creatura né maschile, né femminile, eppure in ogni caso debole309. In questo

modo Arsete sembra possedere una natura adatta a «vedere» o ricevere un messaggio

onirico, come conferma la già citata espressione («vidi in sogno») che qualifica quello di

Arsete come un sogno esterno, ovvero il sogno omerico per eccellenza310. Benché di natura

idonea, Arsete si differenzia dai tipici destinatari dei sogni epici in quanto non appartiene a

nessuna élite ristretta per autorità o prestigio, essendo un semplice servitore pagano, che

non presenta alcuna qualità particolare, tranne quella di essere il balio di Clorinda. Avendo

l’incarico di allevare la bambina, Arsete assume il ruolo di padre («servo insieme e padre»

(G.L., XII, ott. 38, v. 7), ma solo apparentemente poiché la vera figura paterna si rivela San

Giorgio, che, come si è detto, la proteggerà nei momenti di maggiore pericolo. Inoltre, egli

non riesce neanche a convincere Clorinda ad abbandonare la missione pericolosa né sulla

base della sua «stanca età» (G.L., XII, ott. 20, v. 3), né in virtù «de suo’ uffici» (G.L., XII, ott. 19,

v. 7) svolti per lei. Questa sua debolezza e posizione poco influente lo rendono quindi un

307 «Qui tacque» (G.L., XII, ott. 28, v. 27); «E qui si tacque.» (G.L., XII, ott. 37, v. 4) 308 P. COSENTINO, Sogni epici…cit., p. 98. 309 Valeria FINUCCI, Maternal Imagination and Monstrous Birth: Tasso’s Gerusalemme liberata, in AA.VV., Generation

and Degeneration: Tropes of Reproduction in Literature and History from Antiquity to Early modern Europe, Valeria

Finucci e Kevin Brownlee, Durham, Duke University Press, 2001, pp. 41-77. 310 Questo termine viene solitamente usato nella letteratura epica per indicare un tipo di sogno che abbiamo

chiamato oracolare: «Le message que trasmet le rêve externe est parfaitement claire et comprensibile pour le

rêveur, d’ordinaire il peut se résumer dans une formule du type: ‘tu feras’ ou ‘Tu ne feras pas’ telle ou telle

chose […] c’est le rêve homérique par excellence.». cfr. J. BOUQUET, Le songe…cit., p. 7.

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personaggio piuttosto marginale, a cui normalmente non è concesso di sognare. Dall’ottica

cristiana la posizione comune di Arsete non sarebbe problematica se non per il fatto che egli

aderisce alla religione opposta e viene quindi considerato infedele311. Nondimeno, ci pare

che l’intervento della divinità tramite i sogni giunti ad Arsete sia giustificabile perché i

sogni trascendono l’interesse personale del sognatore e toccano il destino di Clorinda,

destinata alla conversione, ossia ad un destino grandioso comparabile, sia pure in senso

cristiano, a quelli dei personaggi di Omero e Virgilio.

Come già l’arrivo della figura onirica, neanche la sua sparizione viene descritta poiché è

l’indicazione del silenzio a segnalare la fine repentina dell’evento onirico e ad introdurre di

conseguenza l’ultima componente della sequenza onirica, cioè il risveglio (ott. 37, vv. 5-6).

In altri termini, viene segnalata parzialmente l’ultima componente del sogno epico: mentre

è assente la sparizione del santo, viene descritto il risveglio. La fine dell’esperienza onirica

prende così la forma di una concatenazione di parole che traducono il progressivo ritorno

alla realtà diurna: gli eventi si susseguono a catena senza interruzione e senza dare

l’impressione del senso di angoscia che solitamente accompagna il risveglio312:

Svegliami e sorsi e di là mossi i piedi

Come del giorno il primo raggio nacque; (G.L., XII, ott. 37, vv. 5-6)

In questo senso la fine dell’evento onirico risulta ben circoscritta da una soglia narrativa

che tuttavia si differenzia dal topos del risveglio di soprassalto, ribaltandolo completamente.

Come appena detto, la serrata catena lessicale cela ogni sentimento che potrebbe rivelare

l’influenza del contenuto su di Arsete, conveniente si potrebbe dire, visto che non solo

manca ogni dubbio sulla falsità del sogno, l’eunuco non si trova nemmeno combattuto tra il

desiderio di obbedire agli ordini del santo e tra le proprie considerazioni. La sua tendenza a

giudicare vera solo la sua fede musulmana risulta antitetica sia all’effetto comune creato dal

sogno ammonitore; sia all’azione che normalmente ne ne discende: non c’è né angoscia, né

l’inizio di una nuova azione. Si noti come Tasso affianchi al momento di risveglio la

comparazione, di ascendenza virgiliana, al giorno rinascente ovvero il sorgere dell’alba

(«come del giorno il primo raggio nacque»), senza che questa assuma quei significati

311 Dio «può usare i momento del sonno per comunicare con i profeti o i comuni fedeli (il sonno profetico di

Abramo, che ha la visione della terra promessa in Genesi)». Cfr. R. CESERANI, GDE…cit., vol. 3, p. 2297. 312 J. BOUQUET, Le songe…cit., p. 75.

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simbolici che spesso accompagnano un risveglio di un io narrativo in sintonia con la

natura313.

La mancata azione rende quello di Arsete un tipico sogno ammonitore che turba il

dormiente senza orientare il suo comportamento e senza peraltro creare degli effetti

successivi, in modo che non possiamo neanche dire che influisce direttamente sul corso

degli eventi («di tuo battesmo non mi calse»). Per questo ci sembra sostenibile che il motivo

del sogno in questo caso funziona come tecnica narrativa, che serve a mettere in evidenza

l’ineluttabilità del piano provvidenziale, insistendo sulla vanità di ignorare gli ordini divini.

Si tratta difatti di un sogno proiettato nel futuro che apre una sorta di finestra dentro il

presente narrativo, colto in un momento d’impasse (essendo interrotta la battaglia dallo

scendere della notte in apertura del canto XII) e di sospensione dell'azione (di cui è

sintomatica l’insonnia di Clorinda). Né le preghiere, né l’intervento divino riescono a

spingere il personaggio all’azione poiché è lecito supporre che Arsete avesse libera scelta,

che il sogno non avrebbe una forza condizionante sulla narrazione. Lo aveva già notato

Macrobio nel Somnium Scipiones: l’uomo rimane padrone del proprio destino poiché può

scegliere liberamente la direzione presa314. In realtà, anche se al momento del primo sogno

non sia presente un tale determinismo, Tasso ben presto fornisce un correttivo nella forma

di un secondo sogno, che annulla l’idea di libera scelta o, comunque, che si oppone al piano

provvidenziale, orientando il presente narrativo ancora una volta verso un esito stabilito

per volontà divina. Il fatto che questo sogno ritorni, sia pure con varianti minime, per

assicurare il corso degli eventi, è prova della ferma volontà di Tasso di creare un' epica

organizzata secondo un ordine provvidenziale cristiano.

2.3.2 Il sogno premonitore

Benché ancora di carattere ammonitore, il secondo sogno devia dal primo, nel senso che è

apertamente premonitore, rivelando, sia pure in modo velato, il destino di Clorinda:

Crescesti, e in arme valorosa e ardita

vincesti il sesso e la natura assai:

313 R. CESERANI, GDE…cit., vol. 3, p. 2302. 314 H. BRAET, Rêve…cit., p. 19.

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fama e terre acquistasti, e qual tua vita

sia stata poscia tu medesma il sai;

e sai non men che servo insieme e padre

io t’ho seguita fra guerriere squadre. (G.L., XII, ott. 38, vv. 3-8)

Ier poi su l’alba, a la mia mente oppressa

d’alta quiete e simile a la morte,

nel sonno s’offerì l’imago stessa,

ma in più turbata vista e in suon più forte:

“Ecco,” dicea “fellon, l’ora s’appressa

che dée cangiar Clorinda e vita e sorte:

mia sarà mal tuo grado, e tua fia il duolo”.

Ciò disse, e poi n’andò per l’aria a volo. (G.L., XII, ott. 39, vv. 1-8)

La prima ottava lascia intuire che tra il primo e il secondo sogno sono trascorsi parecchi

anni, durante i quali Clorinda è cresciuta, superando in modo spettacolare «il sesso e la

natura», senza peraltro essere mai informata della sua vera fede. Si nota come dall’

espressione «vincesti il sesso e la natura assai» traspaia lo statuto particolare della donna,

che dopo una prima menzione nel sogno rivelatore («diletta del Cielo») e una serie di

indicazioni suggestive, viene confermato pienamente nel sogno premonitore.

L’inizio della seconda ottava, che contiene esplicitamente la descrizione dell’evento

onirico, specifica il momento del sogno, direttamente antecedente all’insonnia di Clorinda.

Si potrebbe dunque dire che il racconto della veglia inquieta di Clorinda prepara il sogno, il

quale, logicamente, sarebbe la conseguenza di ciò che accade prima, cioè dell’agitazione

notturna. Però, la sequenza logica viene rovesciata poiché il sogno, facendo parte di un

racconto retrospettivo, non è posteriore, bensì anteriore all’insonnia della guerriera. Da

questo punto di vista, i due momenti risultano quasi autonomi e potrebbero essere disgiunti

nell’ordine della loro esposizione per corrispondere all’ordine della loro successione reale:

prima la narrazione dei sogni di Arsete, poi il racconto dell’insonnia di Clorinda. Dall’altra

parte, l’ordine inverso viene giustificato dal fatto che è anzitutto la veglia inquieta di

Clorinda e la decisione che ne deriva a offrire lo spunto per la narrazione dei sogni vissuti, i

quali a loro volta, sembrano sì derivare dall’agitazione mentale di Arsete stesso (vedi sopra).

Avendo un carattere premonitore, la visione onirica va collocata all’interno della

categoria dei sogni che recano contributo alla divinazione, cioè i quelli veritieri che secondo

Macrobio possono essere ricondotti a tre tipologie: l’oraculum, la visio, il somnium. Per cui

possiamo sostenere che il secondo sogno di Arsete abbraccia due delle suddette tipologie di

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sogni, che sono in grado di fornire dati affidabili, cioè l’oraculum e il somnium, l’ultimo dei

qual viene descritto come segue:

ciò che copre con figure e vela con enigmi il significato, incomprensibile se non viene

interpretato, di quello che mostra. Non è necessario definirne la qualità perché con

l’esperienza ognuno la può conoscere315.

Per quanto riguarda le caratteristiche dell’oraculum, si noti come a parlare sia lo stesso

venerabile personaggio già apparso nel primo sogno, San Giorgio, il quale però non rivela

esplicitamente ciò che si deve fare, trasmettendo con una formula perentoria ciò che

accadrà. In altri termini, il dormiente viene portato a conoscenza di eventi futuri e

imminenti, ma il modo in cui gli arriva l’informazione richiama un’altra categoria di sogno,

cioè il somnium. Infatti, senza svelare troppo dettagli, San Giorgio annuncia il destino di

Clorinda (ott. 39, v.6), che, a quest’altezza del poema, rimane appunto enigmatico: si

avvicina infatti l’ora in cui Clorinda dovrà passare dalla vita terrena a quella eterna e dalla

fede presente, cioè quella musulmana ad un'altra fede perché la guerriera morendo

ripudierà la falsa religione di Arsete restituendosi a quella vera dei genitori. In questo modo,

il sogno assume un carattere premonitore, quantunque oscuro ed enigmatico, svolgendo

una funzione prolettica che ben esemplifica che «ce qui est connu par voie de révélation

surnaturelle n’est pas toujours lumière immédiate»316. Così funzionando, il sogno instaura

un rapporto particolare con il lettore e le sue aspettative: il preannuncio suscita curiosità

nel lettore, stimolando l’immaginazione con la promessa di un avvenimento sensazionale di

cui però non vengono date dettagli precisi. Questa reticenza narrativa, che consiste nel

lasciar i fatti indistinti, consente a Tasso di evitare una eccessiva prevedibilità della

narrazione e compare sovente nei momenti in cui è un personaggio a raccontare un

racconto. Si veda, ad esempio, la storia retrospettiva di Erminia.

A livello strutturale, l’evento onirico è ancora costituito dalle tre componenti generali: il

preludio (ott. 39, vv.1-2), l’esposizione (ott. 39, vv.3-7), la fine (ott. 39, v.8). Per quanto

riguardano le quattro parti del sogno epico, il secondo sogno rappresenta pure qualche

particolarità che lo differenzia dal primo. Si noti, ad esempio, come la descrizione

dell’evento sia molto più concisa rispetto al primo sogno, coprendo solamente un’ottava.

315 A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., p. 49. 316 Publius VERGILIUS, Eneide, a cura di Jacques PERRET, Parigi, Belles Lettres, 1977, p. 172, note 3 e 7.

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Anche il tempo dell’accadere, con cui prende avvio il preludio, differisce: il sogno non

avviene nel cuore della notte, ma si situa nel momento topico dell’alba. La visita all’alba

rende meno complicato il problema ermeneutico della verità, dato che garantisce la verità

della visione onirica. Con riferimento alle circostanze dell’evento onirico, emerge anche una

descrizione dello stato addormentato, i.e. il sonno, di cui vengono specificate la profondità e

la somiglianza alla morte, alla luce dell’intertestualità virgiliana317. Come il topos dell’alba,

anche la profondità o la tranquillità del sonno di norma garantiscono la veridicità del sogno,

escludendo così la sua appartenenza alla categoria dell’apparizione, che si verifica durante

uno stato d'insonnia. Nella tradizione biblica Dio spesso provoca «un sonno profondo negli

uomini per agire su di loro»318 o per comunicare loro delle informazioni fondamentali. Si

tratta dunque di un calco virgiliano che racchiude al suo interno un potenziale riferimento

all’operato divino cristiano, come se si trattasse di un’abile mossa da parte di Tasso,

creatore di un poema epico capace nel contempo di rappresentare in filigrana delle

sfumature cristiane. Per quanto parlare di quest’espressione stratificata come una scelta

volontaria del poeta sia una evidente forzatura, non è da escludere che Tasso abbia potuto

risolversi verso alcune scelte espressive perché guidato da considerazioni che vanno ben al

di là delle cosiddette 'pretese' stilistiche.

Il passaggio al preludio avviene per via di una ripetizione dell’atto di dormire, che fa qui

da sfondo alla descrizione della stessa apparizione. Vengono di nuovo omesse le indicazioni

di località e le descrizioni dell’apparizione del santo, il che viene segnalato dalla forma

verbale riflessiva «s’offerì». È la prontezza con cui viene segnalata quest’apparizione onirica

che dà il tono all’intero episodio, la cui l’impostazione decisa appare funzionale ad

aumentarne la gravità. Tasso, nel presentare questa seconda apparizione, insieme a

indicarne la similarità rispetto a quella già aveva vista Arsete nel primo sogno, si limita a

osservare l’aspetto più corrucciato e la voce più forte del santo. L'autore mantiene dunque

vaghi i termini descrittivi allo scopo di conservare il peso dell’elemento divino, elemento

che, data la brevità dell’episodio, appare spoglio delle informazioni che circondano

l’avvenimento. Ciò nonostante, il sogno preannuncia effettivamente degli eventi futuri

(«l’ora s’appressa/ che dée cangiar Clorinda e vita e sorte») che Arsete non poteva

prevedere e che lo rendono possessore di una informazione privilegiata. Così funzionando,

317 Aen. VI, 522: «dulcis et alta quies placida eque simillima morti». 318 R. CESERANI, GDE...cit., vol. 3, p. 2297.

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il sogno svolge il ruolo di espediente comunicativo che mette in relazione il piano divino

con quello terreno, rispettando al contempo il carattere prevalentemente premonitore o

profetico solitamente associato ai sogni epici. Per questo, svolge una funzione simile a

quella del primo sogno, che però si differenzia per il suo carattere solamente ammonitore e

rivelatore.

Rispetto al primo sogno, il messaggio onirico risulta più rigoroso e deciso. La formula con

cui il santo introduce il suo discorso («ecco»), pur sempre unilaterale e prescrittiva,

dimostra quanto sia più intensa questa seconda ammonizione, la quale richiama Arsete

all’ordine per non aver recato ascolto agli ordini divini, denominandolo infedele o, anche,

traditore («fellon»). Dato questo suo atto di insubordinazione, non stupisce che la

formulazione dei rimproveri venga ripresa per renderla più vigorosa, più stringente. Infatti,

il messaggio evoca una particolare energia nella scansione delle parole sia per via delle

allitterazioni («che… cangiar Clorinda»), sia per la ripetizione di suoni omofonie (si noti in

particolare la a e la o). Anche l’uso di verbi, specie quelli che indicano certezza, o futuro

(«deve cambiare, sarà»), contribuisce a sottolineare l’ordine immutabile degli eventi.

Insomma, la brevità della visione assieme all’impostazione rigorosa del messaggio

rinforzano il senso costrittivo dell’ordine, mentre la vaghezza dell’episodio assieme al

carattere enigmatico del messaggio riesce a trattenere quel senso di mistero che rivela la

sua provenienza divina.

Dopo aver preannunciato il destino di Clorinda, San Giorgio sparisce, e con la sua

scomparsa si interrompe improvvisamente anche il sogno, nonché il racconto retrospettivo

di Arsete. La brusca interruzione dell’episodio viene evidenziata dal punto finale che pone

fine alla narrazione, dopodiché è l’indicazione temporale ora («Or»), con cui inizia l’ottava

seguente, a riportare il lettore al presente. Si noti come al posto del solito risveglio del

dormiente, Tasso colloca il volo sinistro nell’aria della figura («n’andò per l’aria a volo»),

concludendo in questo modo la sequenza onirica con una nota di minaccia che risuona nel

presente narrativo319. In altri termini, il carattere più urgente del secondo sogno determina

una modificazione dell’ultimo modulo epico: viene descritto la sparizione del santo, mentre

manca il risveglio. Si noti come questa modificazione è l’esatto contrario di quella del primo

sogni, in cui è sì presente il risveglio ma manca la sparizione (cfr. 2.3.1).

319 Si veda il sogno di Turnus nell’Eneide di Virgilio, alla fine di cui viene descritto il volo della furia Allecto nella

notte: «Protinus hinc fuscis tristis dea tollitur alis». Cfr. J. BOUQUET, Le songe…cit, p. 46.

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Rispetto al primo sogno, il secondo presenta una forza condizionante, nel senso che

determina lo sviluppo della storia, insieme sottolineando l’ineluttabilità dell’ordine

provvidenziale cristiano degli eventi, e annullando il fatalismo epico. Ci pare che questa

funzione condizionante del sogno rappresenti un espediente tipicamente epico, che fa da

contraltare alle motivazioni interne dei personaggi, che rappresentano uno degli aspetti

innovativi del poema tassiano. Infatti, nonostante la decisione di Clorinda di ignorare i segni

divini, le premonizioni di San Giorgio sono destinate a realizzarsi:

Ma ecco omai l’ora fatale è giunta

che ‘l viver di Clorinda al suo fin deve. (G.L., XII, ott. 64, vv. 1-2)320

[…]

virtù ch’or Dio le infonde, e se rubella

in vita fu, la vuole in morte ancella. (G.L., XII, ott. 65, vv. 7-8)

Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona

Tu ancora, al corpo no, che nulla pave,

a l’alma sí; deh! Per lei prega, e dona

battesmo a me ch’ogni mia colpa lave. – (G.L., XII, ott. 66, vv. 1-4)

Nella prima citazione il narratore ci dice che è giunta l’«ora fatale» in cui Clorinda deve

morire, il che non solo è un indizio della realizzazione del presagio, ma costituisce anche un

preciso richiamo intratestuale («l’ora s’appressa/ che…») che fa coincidere il sogno con la

realtà. Per di più, si noti come la ripetizione del verbo «dovere» e la metafora che descrive

la vita di Clorinda come un debito321, riescono insieme ad evocare la pretesa di San Giorgio,

creando la stessa atmosfera autoritaria che già caratterizzava i sogni di Arsete. Il secondo

passo citato, riprendendo il concetto della pretesa, dimostra come ora si avverrà quanto è

stato preannunciato nella storia di Arsete. La terza citazione invece rappresenta la

realizzazione della seconda parte del presagio, vale a dire il cambio di sorte poiché descrive

la richiesta di battesimo da parte di Clorinda. Questa sua conversione in punto di morte,

benché componente tipica del repertorio canonico della tradizione cavalleresca, qui si

riallaccia al destino futuro del personaggio, assumendo così un significato più profondo (la

320 I corsivi sono nostri. 321 «L’ora è debitrice, la vita di Clorinda, il debito; e il fino, o la morte, il creditore». cfr. Torquato TASSO, La

Gerusalemme Liberata, a cura di Giulio GUASTAVINI, Pavia, Bartoli, 1592, p. 251.

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si vede pure dalla formula «e vita e sorte», che rimanda rispettivamente alla morte e alla

conversione)322. Nella logica della Liberata ciascuno dei personaggi deve sconfiggere i propri

demoni interni, il che comporta sovente una ridefinizione del loro codice etico. Nel caso di

Clorinda questa trasformazione avviene attraverso la conversione in punto di morte, evento

richiamato sia nelle preoccupazioni di Arsete, sia nelle sue esperienze oniriche. In questo

modo i sogni rientrano nel disegno complessivo del poema, vale a dire vengono

funzionalizzati al fine religioso del racconto che permette la trasformazione dei personaggi

da semplici guerrieri a veri e propri «milites Christi»323.

Rispetto al primo, il secondo sogno assolve alla funzione di correttore poiché rimprovera

Arsete per non aver eseguito gli ordini divini imposti nel primo sogno. È interessante

osservare come Tasso crei, attraverso la ripetizione, una dinamica narrativa che si potrebbe

denominare di ripetizione-variazione: la reazione sconveniente di Arsete (si potrebbe dire

'mancata') porta alla ripetizione del sogno che, come abbiamo visto, assomiglia al primo per

vari aspetti. Potremmo dunque considerare il secondo sogno come una variante più

energica del primo. Tuttavia, la ripetizione di questo motivo in sé non è un dato innovativo,

essendo persino adottato da Virgilio nell’Eneide o da Ovidio nelle Metamorfosi, i quali, accanto

ad altri espedienti consueti nell’epica, sfruttavano il motivo del sogno fino a fondo324. Oltre

a creare una dinamicità, la ripetizione del sogno ci pare ribadirne l’aspetto psicologico che

si fonde con la sua provenienza divina. Già i poeti latini ponevano progressivamente più

attenzione all’aspetto psicologico del dormiente, per cui il sogno «bien qu’il vienne de

l’extérieur et s’impose à un dormeur passif, est d’ordinaire adapté aux préoccupations de

celui che le reçoit»325. Lo ha notato anche O’Hara, che osserva come il contenuto psicologico

del sogno (esterno) è particolarmente sentito, ad esempio, nell’Eneide:

the dream will address and gives advice that confirms or complements what the

person already knows, and so could be said to push the persona long the path of his

own natural inclinations326.

322 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 779. 323 Ivi., pp. 16-17. 324 Rispettivamente: Le apparizioni di Anchise ad Enea (Eneid., IV, 351-53); I sogni di MIscelo in cui è Ercole che

appare per due volte, con la prima di origine divina e la seconda dovuta alle preoccupazioni dell’eroe (Met.,

XV, 21-33). 325 J. BOUQUET, Le songe…cit., p. 22. 326 James O’HARA, Death and the Optimistic Prophecy in Virgil’s Aeneid, Princeton, 1990, pp. 67-68. Citato in J.

BOUQUET, Le songe…cit., p. 22.

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Le due citazioni elencano vari aspetti che si applicano al sogno fatto da Arsete: l’eunuco è

un dormiente passivo («dormeur passif») a cui vengono dati degli ordini che aveva già

ricevuto dalla madre di Clorinda («advice that confirms […] what the person already

knows»). La prima parte della frase, «est d’ordinaire adapté aux preoccupations de celui che

le reçoit», mette in luce come il sogno esterno viene adattato alle preoccupazioni del

personaggio, mentre la seconda («could be said to push the persona») evidenzia un effetto

di compulsione: la conferma di quello che è già noto spinge la persona ad un’azione che si

allinea alle sue inclinazioni naturali. Si è già osservato come Arsete aveva ricevuto l’ordine

di battezzare Clorinda, ordine che il personaggio, essendo un servitore, dovrebbe essere

inclinato a eseguire. Tanto più che questo comando viene ripetuto per due volte in sogno da

un personaggio venerabile, protettore del suo superiore, che trasmette la parola divina. Per

questo ci sembra lecito supporre che i sogni abbiano una forza di compulsione da cui

generalmente è impossibile fuggire.

Si potrebbe dunque giustamente parlare di una collocazione strutturalmente strategica

dei sogni poiché insieme servono ad indicare una svolta, nel senso che se il primo sogno

suggerisce non solo un ragionamento o una reinterpretazione del passato, ma anche una

chiarificazione degli ordini divini, il secondo prospetta invece il corso degli eventi,

ascrivendoli alla Provvidenza cristiana. Non a caso i sogni si collocano in un momento di

impasse, al di fuori dell’azione bellica. È in questi momenti di assenza di conoscenza che si

collocano tutte le informazioni chiarificatrici e rivelatrici. Inoltre, i sogni collaborano a

creare un’atmosfera funesta e tragica che compatta l’azione epica, orientandola verso la

realizzazione di una sorte sventurata. Insomma, i due sogni assieme alla storia del vecchio

tutore Arsete offrono una sorta di meditato preambolo narrativo allo sviluppo della storia,

nonché alla trasformazione del personaggio di Clorinda, che avverrà nella seconda parte del

canto.

In un primo momento abbiamo osservato dunque che i due sogni di Arsete, per quanto

classificabili rispettivamente nella categoria dell’oraculum e in mezzo alle categorie

dell’oraculum e del somnium, rappresentano delle particolarità che da un lato deviano dal

topos e dall’altro lato lo rispettano, dimostrando così l’ambiguità del funzionamento di

questo motivo nella Liberata. In un secondo momento, abbiamo evidenziato che i sogni,

nella loro fusione di aspetti classici e psicologici, assumono un ruolo duplice: da un lato

contribuiscono a creare un’atmosfera funesta che circonda tanto le imprese belliche future,

quanto il destino di Clorinda, ascrivendoli al piano provvidenziale e promuovendone la

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realizzazione; dall’altro lato chiariscono la profondità dell’ossessione di Arsete, di cui il

sogno tradisce la mente preoccupata. Dunque, più di essere una mera ripetizione di sogni, si

tratta di una sequenza di appelli del divino che, dal primo al secondo sogno, diventano più

urgenti e più apertamente perentori.

2.4 Il sogno di Clorinda ovvero un sogno accennato

Al termine del discorso di Arsete entra in scena Clorinda, di cui viene narrata la reazione

turbata. La guerriera pensa con timore ad una visione simile a quella appena narrata dal suo

tutore. Oltre alla sua evocazione, l’episodio stesso del sogno non compare nel poema,

cronologicamente precede la storia retrospettiva di Arsete. Quest’ultimo, finito il flash back,

si trova a piangere, altro presagio sinistro dell’esito infelice che si inserisce nell’elenco di

annunci già discussi (tra cui la veglia inquieta, il cambiamento del colore dell’armatura, i

sogni).

Qui tace e piagne; ed ella pensa e teme,

ch ‘un altro simil sogno il cor le preme. (G.L., XII, ott. 40, vv. 7-8)327

Si accenna ad un altro sogno di cui però non conosciamo il vero contenuto, ma di cui

viene specificato anzitutto l’effetto sconvolgente: il sogno opprime l’anima di Clorinda che

si trova combattuta tra gli stimoli divini e i suoi ideali o desideri cavallereschi, dato che

l’impresa soddisfarebbe la volontà di dimostrare il proprio eroismo. Tuttavia, il dubbio non

rimane se non per un breve istante: il che è testimoniato dalla velocità con cui Clorinda

esamina le sue posizioni e respinge la richiesta di Arsete:

Rasserendo il volto, al fin gli dice:

«quella fé seguirò che vera or parmi,

che tu co ‘l latte già de la nutrice

sugger mi fèsti e che vuoi dubbia or farmi;

né per temenza lascierò, né lice

a magnanimo cor, l’impresa e l’armi,

327 I corsivi sono nostri.

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non se la morte nel più fer sembiante

che sgomenti i mortali avessi inante». (G.L., XII, ott. 41, vv. 1-8)

Dal passo citato emerge la netta determinazione di Clorinda, la cui purezza di carattere

viene messa in evidenza dal fatto che rimane ferma di fronte al timore e ai dubbi

profondamente sentiti. Insomma, l’annuncio funesto di San Giorgio non basta per

convincere Clorinda che, pur avendo ricevuto una visione simile, tiene fede con risolutezza

ai propri intenti, nonché alla propria religione, quantunque falsa.

Questo suo «simil sogno», proprio perché accostabile a quelli di Arsete, potrebbe

essere considerato il terzo di una serie di tre sogni, tra loro somiglianti, tutti rivolti al futuro

e provocati dall'intercessione divina. Poiché il sogno di Clorinda rappresenta una variante

dei due precedenti, collabora a creare quella dinamica narrativa che abbiamo considerato

un effetto della ripetizione-variazione dello stesso espediente. Conseguenza diretta della

sua ripetizione è che si aumenta ancora una volta quel senso di urgenza e di inevitabilità,

già risultante nei sogni di Arsete sotto forma di ripetizione. Inoltre, essendo inviato un

analogo sogno a un altro personaggio, si aumenta la credibilità dei sogni di Arsete, nella

logica secondo la quale uno stesso sogno sognato da più persone, accresce la sua verità.

Concludiamo con una breve osservazione rispetto alla classificazione del sogno di

Clorinda, traendo spunto dalla sua narrazione nella Conquistata. Consegnato ad un accenno

nella Liberata, il sogno di Clorinda viene elaborato nella Conquistata, dove spicca soprattutto

il suo carattere allegorico. Tenendo in mente le osservazioni di Gigante rispetto

all’apparizione della fontana, della pianta e del gigante, allegorie rispettivamente del

battesimo, della croce e di Cristo, ci permettiamo di classificare il sogno nella categoria del

somnium.

In conclusione, il sogno di Clorinda, appena accennato nella Liberata, è un altro accenno

all’esito funesto della missione militare progettata e contribuisce a creare quell’atmosfera

sinistra che, a partire del canto XII, adombra la storia della guerriera.

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3. «Qual l’infermo talor ch’in sogno scorge»: i sogni di Tancredi

… Le désir d’un désir ou le rêve d’un rêve. ANDRÉ FONTAINAS, Le IIe Livre des masques

Sin dal momento del primo incontro con Clorinda nel canto III (ott. 22), il cavaliere Tancredi

si presenta come un infermo di amore, incapace di restituire i colpi.

Percosso, il cavalier non ripercote,

né sì dal ferro riguardarsi attende,

come a guardar i begli occhi e le gote

ond’Amor l’arco inevitabil tende. (G.L., III, ott. 24, vv. 1-4)

Il desiderio amoroso di questo personaggio, rivolto a Clorinda, lo distoglie più di una

volta dal dovere morale e militare. Già nel canto III, la passione amorosa gli fa dimenticare

la battaglia che infuria attorno a lui. Poi, nel canto VI, estasiato dalla visione dell’amata, il

cavaliere risulta addirittura pietrificato, dimenticando completamente il duello con Argante

che gli era stato ordinato da Goffredo. È proprio nel canto VI che Tancredi decide di

abbandonare l’impresa guerresca per inseguire colei che pensa essere Clorinda in fuga. Il

suo inseguimento continua nel canto VII, dove si perde in una selva «da le piante orride e

spesse/ nera e folta così l’ombra dechina» (G.L., VII, ott. 23, vv. 3-4), un luogo topico dello

smarrimento onirico328. Tancredi viene successivamente intrappolato da Armida che,

attraverso la magia nera, evoca un’oscurità emblematica dell’amore cieco del cavaliere329. In

quest’atmosfera buia viene ancora una volta sottolineata l’impotenza di Tancredi, che

«muove dubbio e mal securo il piede» (G.L., VII, ott. 45, v. 4) Nella sua prigionia, fatta di

328 Adelia NOFERI, Il bosco: traversata di un luogo simbolico, in «Paradigma», n. 8, 1988, p. 43. Si veda anche

Giovanni BAFFETTI, Foresta, in «Luoghi della letteratura italiana», Milano, Mondadori, 2003. 329 Beatrice CORRIGAN, Erminia and Tancredi: The Happy Ending, in «Italica», vol. 40, n. 4, 1963, p. 327.

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oscurità, Tancredi si lamenta per la perdita dell’amata, che crede non rivedrà più. Una volta

liberato da Rinaldo (Canto X), Tancredi si riunisce all’esercito cristiano allo scopo di

rilanciare la missione militare. Tuttavia il cavaliere è destinato a scontrarsi con Clorinda in

uno spettacolare duello tragico (Canto XII), al termine del quale Tancredi uccide, senza

saperlo, la donna amata. Quando Clorinda chiede il battesimo, viene riconosciuta dal

cavaliere, che si affligge e si tormenta per averla uccisa. Si tratta di un evento traumatico

che sconvolge a fondo la psiche di Tancredi talché «disperato di morir desio» (G.L., XII, ott.

83, v. 4).

La volontà di morire è da legare ai lamenti di Tancredi, che prendono la forma di deliri

erotico-luttuosi:

Io pur verrò là dove sète; e voi

meco avrò, s’anco sète, amate spoglie.

Ma s’egli avien che i vaghi membri suoi

stati sian cibo di ferine voglie,

vuo’ che la bocca stessa anco me ingoi,

e ‘l ventre chiuda me che lor raccoglie:

onorata per me tomba e felice,

ovunque sia, s’esser con lor mi lice». (G.L., XII, ott. 79, vv. 1-8)

Oh bella destra che ‘l soave pegno

D’amicizia e di pace a me porgesti!

Quali or, lasso!, vi trovo? E qual ne vegno? (G.L., XII, ott. 82, vv. 1-3)

[…]

Or corra, dove

Nega d’andare il pianto, il sangue mio». (G.L., XII, ott. 83, vv. 1-2)

Le due ottave rivelano il desiderio di Tancredi di raggiungere l’amata post mortem e

prendono, come appena detto, la forma del delirio inteso quale «stato straordinario di

turbamento che nasce dalla violenza di una passione»330. Questo stato di turbamento

mentale può provocare delle azioni irragionevoli, «incorreggibili da ogni argomentazione

razionale»331. Mosso dal desiderio di morire e riunirsi all’amata, il cavaliere tenta il suicidio

330 S. BATTAGLIA, Grande...cit., vol. 4, pp. 156-157. 331 Ibidem.

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squarciando le bende che coprivano le sue ferite. Fallito quest’atto estremo, il cavaliere

viene trovato dal pio Goffredo, che tenta di ricondurlo alla ragione con «grave ammonir»

(G.L, XII, ott. 84, v.7) e «pregar dolce» (G.L, XII, ott. 84, v.7). È lo stesso scopo di Pietro

l’Eremita, che rimprovera il cavaliere per la sua cecità, chiedendogli:

… e qual nuvol sì spesso

Di cecità fa che veder non puoi? (G.L., XII, ott. 86, vv. 3-4)

Nonostante i rimproveri e i consigli di Goffredo e Pietro l’Eremita, il desiderio di morire

del cavaliere rimane solo parzialmente attenuato. Ma è soprattutto l’apparizione di Clorinda

in sogno a portare conforto al cavaliere.

3.1 Il sogno consolatore

L’apparizione dell’amata raggiunge Tancredi in un momento di grande sofferenza,

contrassegnato da lamenti e pianti funebri:

Che in miserabil canto afflitte e sole

piange le notti, e n’empie i boschi e l’òra.

Al fin co ‘l novo dì rinchiude alquanto

i lumi, e ‘l sonno in lor serpe fa ‘l pianto. (G.L, XII, ott. 90, vv. 5-8)

In altre parole, il cavaliere si lamenta durante le notti finché riesce a chiudere gli occhi al

sorgere del nuovo giorno. E proprio in quel momento lo sopraffà il sonno.

Ed ecco in sogno di stellata veste

Cinta gli appar la sospirata amica:

bella assai più, ma lo splendor celeste

orna e non toglie la notizia antica;

e con dolce atto di pietà le meste

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luci par che gli asciughi, e così dica:

«Mira come son bella e come lieta,

fedel io caro, e in me tuo duolo acquieta. (G.L., XII, ott. 91, vv. 1-8)332

La descrizione fornita nell’ottava (cfr. i corsivi) rimanda alle opere di Dante (Commedia) e

Petrarca (Rvf), in cui propongono delle visioni paradisiache rispettivamente di Beatrice e di

Laura333. Nelle ottave successive continuano le allusioni dantesche: «mortal mondo» (G.L.,

XII, ott. 92, v. 2), «in grembo a Dio fra gli immortali e divi» (G.L., XII, ott. 92, v. 3), etc.; e

petrarchesche: «ove al gran Sole e ne l’eterno die» (G.L., XII, ott. 92, v. 6), «de’ medicanti a la

discreta aita» (G.L., XII, ott. 94, v. 2), etc. La visione diventa, grazie al recupero del lessico e

delle immagini paradisiache, un incontro post mortem di sapore lirico.

In questa visione paradisiaca possiamo riconoscere le tre componenti generali del sogno:

il preludio (ott. 90, vv. 7-8), l’esposizione (ott. 91, 92, 93, vv. 1-6), la fine (ott. 93, vv. 7-8).

Mentre le quattro componenti del sogno omerico vengono adattate all’episodio proposto. Le

circostanze del sogno vengono evocate nei due versi che segnalano il sonno del cavaliere

(ott. 90, vv. 7-8) e ci sembrano indispensabili per stabilire il momento in cui gli giunge il

sogno. Infatti, l’espressione «co ‘l novo dì» (G.L., XII, ott. 90, v. 7) ci indica che la visita di

Clorinda avviene all’alba, lo stesso momento in cui San Giorgio era apparso ad Arsete nel

sogno premonitore (cfr. 2.3.2). Come nel caso del sogno di Arsete, l’alba garantisce anche al

sogno di Tancredi la veridicità della visione.

Nell’ottava seguente (ott. 91) Tasso introduce il secondo modulo epico, annunciando

l’arrivo della figura onirica (Clorinda) (vv.1- 2) e descrivendone l’aspetto brillante (vv.1, 3-

6). Usando l’avverbio ecco, Tasso segnala «l’improvviso interrompere di un nuovo evento

narrativo»334, e, contestualmente, il carattere inaspettato della visione onirica. Tuttavia non

viene precisato la modalità con cui appare la figura onirica: Tasso si limita al solo verso «gli

appar la sospirata amica». (G.L., XII, ott. 91, v. 2). L’uso del verbo appar è tutt’altro che

casuale, dato che rinvia alle precedenti ammirazioni terrene rivolte da Tancredi alla donna,

mettendone in evidenza la differenza335. L’ apparizione in sogno è infatti caratterizzata da

una maggiore chiarezza e chiarità, dato che Clorinda si mostra davvero brillante nella

332 I corsivi sono nostri. 333 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 796. 334 Ivi., p. 794. 335 Cfr. I, ott. 47, v.2; III, ott. 21, v. 8; VI, ott. 26.

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«stellata veste/cinta» (G.L., XII, ott. 91, vv. 1-2). Lo splendore paradisiaco («splendor

celeste»), inoltre, abbellisce i tratti terreni della donna cosicché la visione in sogno appare

più bella. Va notato che la chiarità della figura, derivante dall’abito stellato, richiama i

colori «chiari, dorati e lucidi»336 propri dell’arcangelo Gabriele. La descrizione evoca quindi

un’atmosfera luminosa che conferisce alla visione il carattere dell’epifania.

Molto significativo risulta anche il richiamo ai tratti terreni («notizia antica») di

Clorinda. Già nel canto III viene evidenziato il carattere luminoso della donna che, in piena

battaglia, perde l’elmo lasciando così intravedere «le chiome dorate» (G.L., III, ott. 21, v. 7).

In seguito, si insistite sui suoi occhi lampeggianti e sul suo sguardo folgorante: «Lampeggiàr

gli occhi e folgoràr gli sguardi» (G.L., III, ott. 21, v. 7). La descrizione fisica nel canto VI

sottolinea la brillantezza e la bianchezza del suo aspetto: «Bianche via più che neve in giogo

alpino/ avea le sopraveste» (G.L., VI, ott. 26, vv. 5-6)337. Mediante queste descrizioni Clorinda

sembra assumere un aspetto coloristico, che privilegia soprattutto il biancore338. Tutti

questi aspetti, che appartengono al ritratto della guerriera, vengono evocati attraverso il

verbo appar che, come appena detto, accompagna sempre le apparizioni terrene di Clorinda.

Da questo punto di vista la visione onirica di Clorinda si presenta come «la più veritiera e

chiara»339 dell’intero poema.

Secondo Bouquet il pallore dell’anima rimanda, nei sogni latini, all’evanescenza o alla

decomposizione, contribuendo a creare un’atmosfera di orrore soprannaturale. Nel caso di

Clorinda il colorito niveo non va inteso come pallore mortale, bensì come biancore celeste.

Questa differenza si deve al carattere divino e consolatorio del sogno, che mira ad evocare

un quadro macabro, ma che vuole anzitutto offrire una tregua al dolore del cavaliere. Ciò

viene peraltro confermato dalle azioni dell’anima: Clorinda compie nel sogno un «atto di

pietà» (G.L., XII, ott. 91, v. 5), che consiste nell’asciugare gli occhi del cavaliere.

336 Scritti d’arte del Cinquecento, Paola BAROCCHI (a cura di), Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi, 1971-1977, 3 voll.,

vol. 2, p. 2268. 337 I corsivi sono nostri. 338 Si veda anche Fredi CHIAPPELLI, Vicende e aspetti di un personaggio: Clorinda. Pubblicato online sul sito Critica

letteraria, Luigi de BELLIS, 2001, ultima verifica 11-04-2013.

(http://spazioweb.inwind.it/letteraturait/analisi/cinquemino/vicende.htm) 339 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 796.

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Il terzo modulo del sogno epico è molto più elaborato e copre la maggior parte

dell’episodio onirico (14 versi). Oltre a rivelare il carattere divino del sogno, il discorso di

Clorinda contiene un auspicio opposto ai deliri di Tancredi (cfr. 3).

Tale i’ son, tua mercé: tu me da i vivi

Del mortal mondo, per error, togliesti;

tu in grembo a Dio fra gli immortali e divi,

per pietà, di salir degna mi fèsti.

Quivi io beata amando godo, e quivi

Spero che per te loco anco s’appresti,

ove al gran Sole e ne l’eterno die

vagheggiarai le sue bellezze e mie. (G.L., XII, ott. 92, vv. 1-8)

La donna, dopo aver asciugato le lacrime che offuscano la visione del cavaliere, lo invita

ad ammirare la sua bellezza e la sua felicità, dicendo «Tale i’ son, tua mercé». In apertura del

discorso, dunque, Clorinda focalizza l’attenzione sulla sua immagine, che dovrebbe placare

l’animo di Tancredi. Se è per opera di Tancredi che ella non appartiene più al mondo

terrestre, al medesimo anche deve la sua accoglienza in Paradiso. Tasso mitiga il carattere

crudele delle due azioni (l’uccisione e il battesimo), inserendo tra parentesi le rispettive

cause prime, ovvero l’errore («per error») e la buona volontà («per pietà»). Si noti anche

come l’autore stabilisce una perfetta simmetria tra le coppie di versi (1, 2 e 3, 4), che

disegnano un passaggio duplice: «dall’errore alla pietà di Tancredi, dalla morte terrena alla

vita celeste di Clorinda»340. Non meno significativo risulta il fatto che Clorinda ora si trova

in paradiso tra i beati e gli angeli («immortali e divi») e che si colloca in tal modo nel regno

soprannaturale. Essendo Tancredi parte del mondo terreno, il sogno svolge così la sua

funzione tipica, quella di mettere in relazione il piano soprannaturale/divino con quello

terreno/mondano. La visione trasmette inoltre delle informazioni che riguardano la

collocazione paradisiaca di Clorinda, nonché la sperata pace celeste, comune agli amanti. Da

questa prospettiva la visione offre una speranza diversa da quella espressa nei deliri di

Tancredi, in cui si progettava un ricongiungimento post mortem di sapore luttuoso ed

erotico. Si tratta di un’opposizione significativa, soprattutto se si tiene conto del fatto che la

340 Ivi., p. 797.

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riunione celeste è il fine nobile e ultimo dell’amore terreno, inteso quale via di salvezza

dell’anima e mezzo di perfezionamento spirituale341.

L’espressione di una speranza fa rientrare la visione onirica di Clorinda alla categoria dei

sogni proiettati nel futuro. Secondo Zatti questo tipo di sogno, in quanto meccanismo

prolettico, orienta il presente narrativo verso gli esiti ultimi dell’azione. Quest’osservazione

concorda con la visione consolatoria di Tancredi, che orienta il presente narrativo non alla

conquista del santo Sepolcro (esito ultimo della Liberata), bensì all’esito ultimo dell’amore

terreno, ovvero il ricongiungimento celeste.

Il discorso prende in esame le condizioni che, se rispettate, porteranno all’amore

dell’amata:

Se tu medesmo non t’invidii il Cielo

e non travii co ‘l vaneggiar de’ sensi

vivi e sappi ch’io t’amo, e non te ‘l celo,

quanto più creatura amar conviensi». (G.L., XII, ott. 93, vv. 1-4)

Spiccano in quest’ottava i verbi nel modo finito (cfr. i corsivi) che, stando a Grillone,

conferiscono non solo una grande vivacità alla visione, ma ne evidenziano l’origine

divina342. Nonostante le condizioni poste, Tancredi non viene minacciato con una punizione

in caso di disobbedienza, per cui il sogno mantiene intatto il suo carattere pacificatore e

consolatore. Va specificato che l’apparizione onirica è talmente cara a Tancredi che il suo

venir meno alle condizioni poste da essa, sarebbe comunque una severa punizione perché

comporterebbe la perdita dell’amore della donna amata. Non viene dunque specificata una

vera e propria minaccia, bensì una promessa sommessa, che implica il rischio di un

desiderio mancato (amore). Ciò conferma di nuovo la tesi che il sogno sia proiettato nel

futuro. Il cavaliere può meritare l’amore di Clorinda solo attraverso l’aggiustamento delle

sue azioni future, ossia evitando il cammino del peccato, orientandosi verso Dio e verso la

salvezza. In altri termini, Tancredi deve dare prova di una religiosità che si unisce ai suoi

doveri militari.

Al termine del discorso viene descritto lo sguardo fiammeggiante della figura onirica, che

precede la sua sparizione:

341 Ibidem. 342 A. GRILLONE, Il sogno…cit, p. 144.

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Così dicendo, fiammeggiò di zelo

per gli occhi, fuor del mortal uso accensi;

poi nel profondo de’ suoi rai si chiuse

e sparve, e novo in lui conforto infuse. (G.L., XII, ott. 93, vv. 5-8)343

Ambedue le parti dell’ottava, quella che descrive gli occhi (vv. 5-6) e quella che descrive

la sparizione dell’anima (vv. 7-8), sottolineano la luminosità della visione. Si tratta di una

luce straordinaria che viene collegata all’ardore della fede («fiammeggiò di zelo») e che ben

aderisce al momento topico della visitazione. Anche la veloce sparizione avviene all’insegna

della luce («nel profondo de’ suio rai»). Rispetto al secondo sogno di Arsete, la sparizione

non viene descritta per creare un’atmosfera minacciosa, bensì per instillare il conforto nel

sognatore. Il raggio di speranza, inoltre, si oppone alla cecità amorosa di Tancredi, svoltosi

nell’oscurità della notte, e assume, in tal modo, un significato simbolico. La visione luminosa

infatti offre una correzione allo smarrimento del cavaliere e lo induce a riprendere la giusta

via. Per cui la visione notturna occupa una posizione strutturalmente significativa, nel

senso che riconduce Tancredi alla ragione e al dovere militare. Da questo punto in poi,

infatti, Tancredi agirà per portare a compimento la conquista del Santo Sepolcro, così da

eseguire gli ordini divini. Si noti anche come la visione modifica l’idea del ricongiungimento

post mortem con Clorinda. Le parole con cui il cavaliere evoca la fine desiderata non

rimandano più a quel senso di erotismo macabro, ma rivelano ormai una concezione più

pacifica:

E amando morrò: felice giorno,

quando che sia; ma più felice molto,

se come errando or vado a te d’intorno,

allor sarò dentro al tuo grembo accolto. (G.L., XII, ott. 99, vv. 1-4)

Secondo Bouquet il ruolo esiziale dell’anima del morto implica una sua forza particolare

che manca nelle concezioni omeriche, secondo le quali lo spirito indebolito e tagliato fuori

dal mondo dei vivi non ha più nessun potere su di esso. In questo caso, però, l’anima di

Clorinda ha una qualche forza sul mondo terrestre, nel senso che indirizza Tancredi sulla

343 I corsivi sono nostri.

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retta via. In un certo senso la donna impone la sua volontà a Tancredi e, così facendo,

determina il suo futuro cammino di vita.

Infine, si passa alla descrizione del risveglio:

Consolato ei si desta e si rimette

de’ medicanti a la discreta aita,

e intanto sepellir fa le dilette

membra ch’informò già la nobil vita.

E se non fu di ricche pietre elette

la tomba e da man dedala scolpita,

fu scelto almeno il sasso, e chi gli diede

figura, quanto il tempo ivi concede. (G.L., XII, ott. 94, vv. 1-8)344

La ripresa di coscienza assume un significato altrettanto simbolico: esso rappresenta un

«risveglio spirituale, una profonda metamorfosi interiore dopo un lungo detergo»345. Se il

risveglio è limitato soltanto a un breve «si desta», sono piuttosto le azioni successive di

Tancredi a segnalarci la metamorfosi avvenuta. Tasso non offre delle indicazioni precise

sull’atto di risveglio («si desta»), ma il precedente aggettivo «consolato» ci indica che il

cavaliere si sveglia con l’anima placata. Da un lato si potrebbe dunque affermare che il

risveglio non concorda con il topos del risveglio di soprassalto; dall’altro lato non manca la

conseguenza prevista dal topos, cioè un’azione innescata.

A questo punto ci sembra quindi lecito affermare che il sogno-consolatore di Tancredi

rispetta lo schema onirico, che però viene adattato in funzione delle dinamiche narrative.

Breve la descrizione delle circostanze e dell’arrivo dell’anima, assai elaborati invece il

discorso e la descrizione dell’aspetto luminoso del sogno.

Per quanto riguarda il sognatore, potremmo dire che egli appartiene a una élite

ristretta per prestigio. Sono anzitutto le caratteristiche storiche del personaggio a

sottolinearne l’autorità. Tancredi fu uno dei capitani della prima crociata, divenuto signore

di Antiochia. Benché Tasso modifichi la fisionomia del personaggio, adattandolo alle

dinamiche del poema, sono tuttavia presenti alcune delle sue caratteristiche storiche. È

344 I corsivi sono nostri. 345 R. CESERANI, GDE…cit., vol. 3, p. 2297.

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Tasso stesso a scrivere, nel corso della revisione romana, che Tancredi «fu per altro

cavaliero di somma bontà e di gran valore»346. Tuttavia, facendo parte dei «compagni

erranti» (G.L., I, ott. 1, v. 8), Tancredi dimostra delle imperfezioni e degli interessi fuorvianti:

si smarrisce a causa della passione amorosa per Clorinda;…. Nonostante ciò il prestigio del

personaggio viene ribadito nel corso dell’intero poema. È soprattutto la seconda descrizione

del cavaliere, nel canto I, a precisare le sue qualità positive:

Vien poi Tancredi, e non è alcun fra tanti

(tranne Rinaldo) o feritor maggiore,

o più bel di maniere e di sembianti,

o più eccelso ed intrepido di core. (G.L., I, ott. 45, vv. 1-4)

Queste qualità (capacità militare, raffinatezza dell’aspetto, eleganza, audacia e

magnanimità) qualificano Tancredi come un uomo valoroso, membro dell’ élite della

Liberata. Non sorprende quindi che gli sia concesso di sognare.

Guardando alle qualità del cavaliere, si potrebbe affermare che il sogno è conforme

alla tipologia dell’oraculum, che si caratterizza per l’apparizione di una figura importante

(Clorinda), per il suo carattere esplicito («rivela esplicitamente»347), per le condizioni poste

(«ciò che si dovrà fare o non fare»348). Secondo Macrobio l’oracolo rivela anche

esplicitamente se «qualcosa accadrà o non accadrà»349. Nel caso del sogno di Tancredi

quest’ultima caratteristica deterministica è sfumata nel senso che si allude a qualcosa che

potrebbe accadere o non accadere. Dopo la descrizione della propria dimora celeste,

Clorinda esprime la speranza che anche Tancredi sia accolto in paradiso. La speranza è

chiaramente proiettata al futuro ma, a differenza di quanto indica la definizione,

sosteniamo che essa rivela un avvenimento ipotetico. Questa natura ipotetica si riallaccia

alla funzione del sogno che, come abbiamo detto, serve a correggere l’atteggiamento del

cavaliere.

Tuttavia, il sogno di Tancredi contiene ugualmente un carattere psicologico

incontestabile, che si lega alla condizione mentale di chi ha ucciso l’amata. Non sorprende

346 Torquato TASSO, Lettere Poetiche, a cura di Carla MOLINARI, Parma, Guanda, 1955, XXXVIII, pp. 12-20. 347 A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., p. 49. 348 Ibidem. 349 Ibidem.

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che un uomo turbato dal senso di colpa per un simile delitto, sogni la felicità e la natura

intatta della donna amata. Non meno rilevante si rivela il fatto che è l’amore di Clorinda per

Tancredi a spingerla ad apparire in sogno. Si tratta, secondo Bouquet, di un tema comune

tra i poeti latini: «l’âme du mort qui manifeste sa bienveillance et sa protection à l’égard du

survivant»350. Analogamente, nella visione di Tancredi, la defunta Clorinda dimostra la sua

natura benigna di fronte al superstite. In questo senso la visione costituisce una specie di

canale di comunicazione privilegiato tra gli amanti che desiderano riunirsi in paradiso.

Insomma, il sogno rappresenta la tipica fusione virgiliana tra provenienza divina e carattere

psicologico351.

La visione lascia Tancredi solo parzialmente appagato, tanto da portarlo a visitare con

mestizia la tomba della donna:

Giunto a la tomba, ove al suo spirito vivo

Dolorosa prigione il Ciel prescrisse,

pallido, freddo, muto, e quasi privo

di movimento, al marmo gli occhi affise. (G.L., XII, ott. 96, vv. 1-4)

Durante la visita alla tomba Tancredi rimane ancora una volta paralizzato dalla visione di

Clorinda. Il suo dolore quindi non è completamente sparito, ma continua ad attanagliare la

sua anima.

In ogni caso è lecito affermare che il sogno di Tancredi si discosta dal quello biblico,

dal momento che si manifesta l’anima di un defunto. Come detto nel primo capitolo, i sogni

biblici respingono la tradizione omerica, limitando i personaggi onirici a santi, angeli,

arcangeli.

3.2 La selva di Saron ovvero un episodio onirico

La selva di Saron, evocata per la prima volta nel canto III, occupa un ruolo fondamentale

nella prima parte del canto XIII, dove si presenta come un luogo infernale popolato da

presenze fantasmatiche e da demoni. È stato il mago Ismeno a incantare la selva,

350 J. BOUQUET, Le songe…cit., pp. 22-23. 351 A. GRILLONE, Il sogno…cit., p. 10.

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trasformandola, grazie all’uso della magia nera, in un luogo ostile e oscuro. La foresta si

rivela infatti impenetrabile ai cavalieri cristiani, che non riescono a procedere per

procurarsi il materiale necessario alla costruzione di nuove macchine belliche. È proprio

questo lo scopo di Tancredi che, dopo il tentativo degli artigiani e di Alcasto, azzarda

l’entrata e affronta gli incanti della selva stregata, come messo in luce da Raimondi:

‘L’analogo della silva dei morti’ di virgiliana memoria, uno spazio che – ai fini della

espugnazione finale della città santa – i crociati devono esorcizzare compiendo una

catabasi di espiazione e rinascita in tutto parallela a quella di Enea352

.

In riferimento all’Eneide di Virgilio, alcuni studiosi hanno osservato la possibilità di

leggere il viaggio di Enea nell’oltretomba come un sogno353. Michaels, ad esempio, sostiene

che il viaggio di Enea, situato a metà dell’epica, vada interpretato come un sogno basato

sulle teorie oniriche di Epicuro.

Cerbo osserva tuttavia come la catabasi del canto XIII della Liberata assume delle

connotazioni diverse: se l’impresa di Enea nel regno dei morti serve a fortificare l’eroe nella

sua missione, non si può dire lo stesso per l’episodio di Tancredi nella selva di Saron.

Tancredi non discende negli Inferi, ma si cala nella profondità della propria psiche, animata

da simulacri e «larve», che producono degli effetti potenti nell’animo del cavaliere fino a

bloccare il compimento della sua missione354. In quest’ottica, l’episodio nella foresta

andrebbe letto in chiave psicologica poiché porta alla luce le debolezze e le angosce più

intime dei personaggi che tentano l’entrata (artigiani, Alcasto, Tancredi).

Altrettanto significativa si rivela la tesi secondo cui i prodigi nella selva demoniaca, in

quanto scena teatrale, assumerebbero la valenza di sogni355. Secondo Bárberi Squarotti la

rappresentazione teatrale che si svolge di fronte agli artigiani, ad Alcasto, a Tancredi, a

Rinaldo sarebbe un sogno di diabolica origine che, pur essendo irreale, mantiene il suo

fascino profondo. L’episodio di Tancredi nella selva diventa nelle parole del critico il sogno

di un infermo a cui si presentano dei «torbidi sogni» (G.L., XIII, ott. 25, v. 4), popolati da un

«fantasma orrendo» (G.L., XIII, ott. 25, v. 5).

352 Ezio RAIMONDI, Poesia come Retorica, Firenze, Olschki, 1980, p. 102. 353 Di notevole importanza Agnes K. MICHELS, Lucretius and the sixth book of the Aeneid, in «The American Journal

of Philology», vol. 65, n. 2, 1944, pp. 135-148. Si veda anche Shawn MCNEELY, Vergil’s Dreams, Kingston, Queen’s

University, 1977. 354 A CERBO, Ombre…cit., p. 6. 355 G.BÁRBERI SQUAROTTI, Il sogno…cit., p. 260.

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Tenendo in mente l’analogia tra l’episodio di Enea e di Tancredi, ci sembra lecito

considerare l’episodio nella selva di Saron come un sogno. Vi spiccano infatti molti elementi

onirici ricorrenti (il cipresso, i fantasmi, etc.). Tuttavia, poiché scopo di questa tesi è quello

di indagare la posizione dei sogni della Liberata rispetto al topos, ci limitiamo a segnalare il

tipo di sogno, i moduli onirici, la collocazione strutturale. Benché non esuli da questo

lavoro, l’interpretazione degli elementi onirici nella prima parte del canto XIII rimane uno

studio molto interessante, che meriterebbe di essere approfondito.

Occorre anzitutto stabilire di che tipo di sogno si tratta. Ci riferiamo al testo tassiano per

ricordare lo stato d’animo di Tancredi:

Era il prence Tancredi intanto orto

a sepellir la sua diletta amica,

e benché in volto sia languido e smorto

e mal atto a portar elmo o lorica,

nulla di men, poi che ‘l bisogno ha scòrto,

ei non ricusa il rischio o la fatica,

ché ‘l cor vivace il suo vigor trasfonde

al corpo sì che par ch’esso abbonde. (G.L., XIII, ott. 32, vv. 1-8)

Qui il cavaliere appare poco pronto a recarsi nella foresta, essendo ancora convalescente

dopo il duello con Clorinda. Si noti come la nuova entrata sulla scena del personaggio di

Tancredi sia accompagnata da Clorinda, quasi fosse un segno della sua ossessione per la

morte dell’amata. Seguendo la teoria di Macrobio la preoccupazione mentale del cavaliere

sarebbe decisiva per classificare il sogno come un insomnium o incubo. Tenendo in mente le

osservazioni di Cerbo, secondo cui l’episodio di Tancredi va letto come una discesa nella

propria psiche, un confronto con le proprie debolezze, possiamo in effetti dire che il sogno

di Tancredi è una riflessione sulla sua unica debolezza, cioè il «vano amor» (G.L., I, ott. 9, v.

4) che «l’ange e martira» (Ibidem). La sua condizione di spirito provoca delle immagini

oniriche che «prendono l’aspetto non di nemici visibili, bensì di fantasmatiche e occulte

presenze provocate dall’inconscio»356, come, ad esempio, le fiamme (ott.34, 36), le larve (ott.

36).

356 C. VAN DEN BOSSCHE, Il tema...cit., p. 24.

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Tuttavia, l’episodio sembra nel contempo abbracciare la categoria di apparizione o

phàntasma che, secondo Macrobio è uno stato in cui sembra di vedere delle immagini che ci

si assalgono o «che vagano da una parte all’altra, differenti da creature naturali per

grandezza e forma, e varie situazioni ora piacevoli, ora burrascose»357. Nel caso di Tancredi

si tratta di immagini irreali che prendono la forma di prodigi tenebrosi quali, «la città del

fuoco» (G.L., XIII, ott. 33, v. 8) di dantesca memoria, o il «nuvol denso» (G.L., XIII, ott. 36, v.

6), entrambe caratterizzate dalla loro natura assalitrice e vagante. I prodigi infatti assalgono

improvvisamente Tancredi, che rimane sbigottito perché le immagini, appena toccate,

spariscono per essere sostituite da altre. Si tratta dunque di una situazione burrascosa in cui

Tancredi, seppur stupito, non perde il suo coraggio. Egli si addentra ancora nella foresta,

dove scorge un cipresso di grandezza innaturale, che si innalza superbo in mezzo di «un

largo spazio in forma [...] d’anfiteatro» (G.L., XIII, ott. 38, vv. 1-2), quasi come una grande

piramide. La selva diventa, nelle parole di Noferi, un «groviglio» o un’immagine degli abissi

profondi della propria psiche dove i riflessi si confondono senza dare certezza di direzione o

di movimento358. È interessante osservare come i geroglifici incisi nel tronco del cipresso

evocano, a mo’ di epigrafe, l’idea della foresta come oltretomba. Si vedano, in tal senso, le

espressioni «chiostri de la morte» (G.L., XIII, ott. 39, v. 3), «secreta sede» (G.L., XIII, ott. 39, v.

6).

A questo punto comincia a prendere forma il prodigio che paralizzerà Tancredi:

fremere intanto udia continuo i vento

tra le frondi del bosco e tra i virgutli,

e trarne un suon che flebile concento

par d’umani sospiri e di singulti,

e un non so che confuso instilla al core

di pietà, di spavento e di dolore. (G.L., XIII, ott. 40, vv. 3-8)

In altri termini, Tancredi sembra sentire delle voci umane che emergono dalla pianta.

Nonostante questi suoni suscitino spavento nel cuore del cavaliere, egli percuote la pianta

con la spada:

357 A.A.T. MACROBIO, Commento…cit., p. 49. 358 Adelia NOFERI, Il bosco: traversata di un luogo simbolico (II), in «Paradigma», n.10, 1992 , p. 67.

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Pur tragge al fin la spada, e con gran forza

Percote l’alta pianta.

[…]

Allor, quasi di tomba, uscir ne sente

un indistinto gemito dolente, (G.L., XIII, ott. 41, vv. 1- 2, 7-8)

che poi distinto in voci: «ahi! Troppo» disse

«m’hai tu, Tancredi, offeso; or tanto basti.

Tu dal corpo che meco e per me visse,

felice albergo già, mi discacciasti:

perché il misero tronco, a cui m’affisse

il mio duro destino, anco mi guasti?

Dopo la morte gli aversari tuoi,

crudel, ne’ lor sepolcri offender vuoi? (G.L., XIII, ott. 42, vv. 1-8)

Clorinda fui, né sol qui spirto umano

Albergo in questa pianta rozza e dura, (G.L., XIII, ott. 43, vv. 1-2)

Tancredi viene messo a confronto con il fantasma di Clorinda, imprigionato nell’albero. È

vero che la rappresentazione della pianta parlante non è un caso eccezionale in Tasso, visto

che si tratta di un topos epico molto diffuso, in particolare nell’episodio di Polidoro

nell’Eneide (III). Eppure, Tasso si distacca dai modelli letterari in virtù della sua

interpretazione moderna: il dolore di Tancredi è generato dalla preoccupazione della

coscienza; per cui la visione del cavaliere non è reale, ma viene prodotta da un’illusione

diabolica359.

Non meno rilevante è il fatto che la descrizione di Clorinda si oppone a quella offerta

dalla visione paradisiaca nel canto precedente (XII, ott. 91-93). Il fantasma di Clorinda

ricorda a Tancredi che l’ha uccisa non per consolarlo, ma per risvegliare i turbamenti

interni appena sopiti del cavaliere. In altre parole, lo spirito demoniaco (fantasma di

Clorinda) influenza i sentimenti esterni di Tancredi nel senso che produce delle apparenze

false, e lo fa sognare allo scopo di impedire la sua missione. Come abbiamo visto nel primo

capitolo, nella prospettiva cristiana, il Diavolo si distingue da Dio perché può influenzare

l’uomo tramite la manipolazione della fantasia. Ma Tancredi sembra riconoscere la falsità

della visione:

359 A. CERBO, Ombre…cit., p. 9.

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Qual l’infermo talor ch’in sogno scorge

Drago o cinta di fiamme alta Chimera,

se ben sospetta o in parte anco s’accorge

che ‘l simulacro sia non forma vera,

pur desia di fuggir, tanto gli porge

spavento la sembianza orrida e fera,

tal il timido amante a pien non crede

a i falsi inganni, e pur ne teme e cede. (G.L., XIII, ott. 44, vv. 1-8)

E, dentro, il cor gli è in modo tal conquiso

Da vari affetti che s’aggiaccia e trema, (G.L., XIII, ott. 45, vv. 1-2)

Così quel contra morte audace core

Nulla forma turbò d’alto spavento,

ma lui che solo è fievole in amore

falsa imago deluse e van lamento. (G.L., XIII, ott. 46, vv. 1-4)

Benché Tancredi si accorga che si tratta di «falsi inganni», l’apparizione onirica lo

rapisce e lo opprime, facendolo soffrire come un malato, che non ha più il controllo sulle

sue facoltà. A differenza di un Argillano, che crede nella verità del sogno ingannatore,

Tancredi non si lascia ingannare da ciò che si manifesta per sollecitazione diabolica. Ciò

nonostante l’apparizione gli incute un’angoscia profonda. L’elaborazione della paura,

narrata da Tasso, ci appare di grande modernità: non è l’apparizione del fantasma a

sconvolgere Tancredi, ma il ricordo del suo amore perduto e il groviglio dei sentimenti del

proprio inconscio. Mentre il riconoscimento della falsità del sogno è tipico della categoria

dell’insomnium, la capacità del sogno di influenzare il cuore del cavaliere è tipica

dell’apparizione. Possiamo dunque concludere a questo punto che l’episodio onirico di

Tancredi si qualifica allo stesso tempo come insomnium e phàntasma, entrambi appartenenti

alla categoria dei sogni falsi. Ne consegue che il sogno non è né premonitore, né profetico o,

comunque, non proiettato nel futuro.

Per quanto riguarda i moduli onirici, Tasso in questo caso sembra di nuovo rispettare lo

schema omerico. Va specificato che, poiché il sogno occupa un intero episodio, i singoli

moduli coprono più spazio narrativo, o vengono ripetuti varie volte. Il primo modulo ci

sembra coincidere con la descrizione della foresta che, per via delle operazioni magiche del

mago Ismeno, si trasforma in un luogo maledetto e oscuro (ott. 1-11). Viene evocato un

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quadro notturno che fa da sfondo all’intero episodio onirico, finché il sole ritorna alla fine

del canto dopo la pioggia purificatrice (XII, ott. 80). Ciò significa che il sogno si colloca in

mezzo alla notte, un tempo che ne sottolinea la falsità. Il secondo modulo si ripete varie

volte (almeno tre volte nel corso dell’episodio), a cominciare dalla «città del fuoco» (G.L.,

XIII, ott. 33, v. 8) che s’innalza improvvisamente di fronte a Tancredi.

Occorre notare che è solo l’ultimo prodigio (la pianta parlante) ad intercettare il terzo

modulo, nel senso che è l’unico a emettere un discorso vero e proprio: con parole che

sembrano essere delle «vere e proprie stiletatte»360, lo spirito maligno si rivela essere

Clorinda e accusa Tancredi di essere un assassino. La natura minacciosa del discorso si

spiega con il fatto che non è la vera Clorinda a parlargli – cosa di cui Tancredi è peraltro

consapevole – ma uno spirito diabolico evocato da Ismeno allo scopo di spaventare l’eroe. In

questo caso il sogno non svolge il ruolo di canale privilegiato tra il piano terreno e il piano

divino. A differenza del mondo eroico di Virgilio, il sogno- catabasi non sempre mette in

relazione l’uomo con i dei.

Il quarto modulo si presenta sotto forma modificata. Da un lato non viene precisata la

sparizione della figura onirica, essendo essa assente dopo il brusco interrompersi del

discorso. Dall’altro lato è presente il risveglio, ma in modo molto ambiguo. Tenendo in

mente l’interpretazione psicologica dell’episodio, potremmo affermare che il risveglio

coincide con una ripresa di coscienza dopo una discesa nella realtà intricata dell’inconscio,

quindi con un risveglio in senso psicologico. Questo significato simbolico diventerà chiaro a

Tancredi una volta uscita dalla selva:

Giunto al sommo duce unio

Gli spiriti alquanto e l’animo compose (G.L., XIII, ott. 47, vv. 3-4)

In altre parole, il cavaliere ritorna in sé e riprende il controllo sulle sue facoltà,

precedentemente offuscate.

Data l’importanza strutturale del canto XII, ci pare lecito affermare che il sogno abbia

una collocazione narrativamente strategica. Per dirla con le parole di Raimondi:

360 T. TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi, op cit., p. 835.

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Al centro del poema si profili l’immagine di un cosmo negativo e ostile, quasi che il

cammino verso il sacro non sia altro che un’iniziazione attraverso ciò che lo

contamina e una battaglia contro gli uomini o i mostri che lacerano l’unità della

coscienza e del regno di Dio361

.

Il sogno di Tancredi, in quanto parte dell’episodio della foresta di Saron, segna un punto

di svolta nel poema: proprio quando le sorti dei cristiani sembrano compromesse, a causa

dei nuovi rancori contro il pio Goffredo, l’intervento di Dio pone fine alle sofferenze delle

milizie, provate da un’orrenda arsura. Si impone in questo modo «un nuovo ordine di cose»

(G.L., XIII, ott. 73, v. 1), a partire dal quale le forze divine prendono il sopravvento. Per dirla

ancora con Zatti, la collocazione della catabasi in mezzo del racconto è tutt’altro che

casuale, ma è pensata per rafforzare lo schema narrativo bipartito del poema.

Infine, la preoccupazione mentale di Tancredi permette un’interpretazione psicologica

della ripetuta visione di Clorinda. Come già nel caso di Arsete, i sogni di Tancredi riflettono

la sua preoccupazione per qualcosa confinato nella propria psiche: rispettivamente il

battesimo e l’uccisione di Clorinda. Freud, infatti, evoca l’episodio di Tancredi nella selva

per illustrare il concetto di «nevrosi traumatica»362, cioè il fatto che un’esperienza

traumatica si ripete contro la volontà della vittima. È interessante osservare in Tasso l’uso

del verbo «guasti», che rimanda al significato originale di trauma, cioè di ferita inflitta al

corpo363. Allo stesso tempo però la ferita inflitta a Clorinda sembra già riflettere l’uso

moderno della parola trauma, nel senso che l’uccisione della donna amata lascia delle tracce

nell’inconscio di Tancredi, tracce che ci si presentano poi all’improvviso sotto l’aspetto di

apparenze fantasmatiche. Potremmo dunque concludere che, dal punto di vista psicologico,

c’è un nesso evidente tra le due visioni di Tancredi.

L’episodio di Tancredi nella selva di Saron può essere accostato ad un sogno, in quanto

rappresenta una catabasi nella propria psiche. Più specificamente si tratta di un sogno che

rappresenta, contemporaneamente, le caratteristiche dell’insomnium e del phàntasma: il

cavaliere riconosce il carattere ingannatore della visione, ma ne rimane comunque

361 E. RAIMONDI, Poesia ...cit., p. 130. 362 Sigmund FREUD, Al di là del principio di piacere, a cura di C.L. MUSATTI, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, vol.

9, p. 198. Si veda anche Sigmund FREUD, Il delirio e i sogni nella Gradiva di W. Jensen (1906), in Opere, Torino,

Bollati Boringhieri, 1972, vol. 5. 363 C. CARUTH, Unclaimed…cit., p. 4.

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impaurito. Colpisce la moderna elaborazione di Tasso, che conferisce ai prodigi una natura

psicologica innovativa. Dall’episodio traspare un’ottica tutta cristiana nell’interpretazione

delle operazioni del diavolo. Ciò non vuol dire che si tratti di un trattamento

completamente nuovo: Tasso rispetta sempre lo schema omerico, rappresentando, seppur

con variazioni minime, i quattro moduli onirici.

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III. Conclusione

Si può concludere dall’analisi tematica appena svolta che le visioni oniriche di Erminia,

Arsete e Tancredi hanno delle caratteristiche particolari che da un lato deviano dal topos

nella letteratura epica e religiosa e dall’altro lato ne concordano. È però necessario

sottolineare che questi tre personaggi non sono certo gli unici a sognare nella Liberata e che

le interpretazioni proposte non intendono essere esaurienti. In ogni caso, è incontestabile

l’interesse di Tasso per i fenomeni onirici che già nell’epica classica costituivano un

espediente narrativo abbastanza comune. Le conclusioni principali dell’analisi tematica

sono le seguenti.

In primo luogo, la teoria onirica di Macrobio, ritenuto alla base dei sogni di Goffredo, si è

rivelato utile alla classificazione delle visioni oniriche dei tre personaggi in questione. Data

la preoccupazione mentale del personaggio di Erminia, le sue esperienze oniriche prendono

la forma d’ insomnia o di phàntasma, entrambe ritenute false. Quelli di Arsete, invece,

appartengono alla categoria dell’oraculum, sia pure con caratteristiche aggiunte che sono

propri del somnium, e rappresentano la tipica fusione virgiliana del carattere psicologico

dell’evento onirico con un senso di mistero che conferisce al sogno l’origine divina. La

densità semantica del secondo sogno dell’eunuco, inoltre, si aderisce ai modelli letterari

(Virgilio, Ovidio, etc.) non solo perché vengono date una serie di ordini, ma anche per il

carattere enigmatico e oscuro degli eventi annunciati. Il sogno consolatore di Tancredi,

infine, si rivela di tipo oracolare, seppure con una sfumatura ipotetica. Colpisce, anche in

questo caso, una predisposizione psicologica che giustifica la classificazione del sogno.

Secondo le categorie assegnate, possiamo distinguere due funzioni diverse dei sogni

analizzati: da un lato, le visioni oniriche, laddove appartengono alla categoria dell’insomnia

(e/o phàntasma), non stabiliscono un contatto con il piano divino, semmai con il piano

diabolico; dall’altro lato, quando i sogni si qualificano come oraculum, assumono la funzione

di canale di comunicazione con il divino. Si osservi come anche la veridicità e l’origine dei

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sogni siano sostenute dalla categoria del sogno: falso e di provenienza diabolica nel caso

dell’insomnium, vero e di origine divina nel caso dell’oraculum. Nonostante che le categorie

classiche tornino utile per identificare quello che dovrebbe essere un sogno veritiero,

talvolta la questione ermeneutica della veridicità risulta complicata a causa di differenze in

fede. È il caso del primo sogno di Arsete che, in quanto servitore pagano, giudica falso quello

che è un sogno veritiero. In questo senso, Tasso, nell’evidenziare la potenziale ambiguità dei

sogni riprende una costante tipica non solo nei tempi premoderni, ma anche nella cultura

cristiana.

L’organizzazione narrativa dei sogni indagati corrisponde alla sequenza onirica classica.

Solo nel caso di Erminia, il sogno non rispetta il disegno omerico, nel senso che mancano il

secondo e terzo modulo. A prescindere da questa divergenza tutti i sogni che si verificano in

uno stato addormentato elaborano, pure con adattamenti particolari, i quattro moduli della

sequenza omerica. Nei sogni di Arsete, ad esempio, Tasso insieme a specificare la sparizione

della figura onirica, mantiene vaga la descrizione di essa, evidenziando così rispettivamente

la provenienza divina e il carattere ammonitore dei sogni. Nella visione paradisiaca di

Tancredi invece, l’autore sottolinea l’origine divina del sogno attraverso una descrizione

dettagliata dell’aspetto luminoso e delle azioni dolci dell’apparizione.

Anche le tecniche linguistiche atte a contraddistinguere i sogni discussi, corrispondono

con quelle applicate dai poeti epici che, nel trattare i sogni, erano spinte da considerazioni

personali e poetiche. Sia Tasso, che i suoi modelli letterari, adoperano delle espressioni

linguistiche che rivelano l’origine divina del sogno (verbi al modo finito), indicano la

passività del sognatore («vedere in sogno») o conferiscono un carattere particolare

all’evento onirico (urgente, consolatore, etc.).

Al contrario dei modelli classici, Tasso non sempre sceglie sognatori appartenenti a una

élite ristretta per autorevolezza o prestigio, in quanto non è legato a un’epica con un solo

protagonista e una sola fila narrativa. Invece, desidera scandire il racconto in modo da

creare un «picciolo mondo» popolato da personaggi proteiformi. Per esempio il personaggio

di Arsete, che in quanto servitore pagano non si qualifica sognatore tipico della tradizione

classica (élite), equivale comunque al (in)fedele comune cui è dato sognare nella tradizione

biblica.

La funzione dei sogni si allinea a quella tipica dei sogni epici, nonché biblici. Mentre

riguardo al primo sogno di Arsete siamo costretti a concludere che esso non determina

l’azione, possiamo affermare invece che gli altri sogni analizzati incidono sul corso delle

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vicende del poema, così rispettando il trattamento tradizionale del sogno. Per vedere la

posizione strutturale strategica degli eventi onirici, basta osservare che Tasso con un sogno

dà inizio alle peripezie di Erminia (VI), e con un sogno vi offre un’interruzione (VII). Con

una visione onirica poi reca conforto a Tancredi, facendo sì che egli ritorna al suo dovere

militare (XII). Sono anche sogni che orientano il destino di Clorinda verso una fine

sventurata (XII); dagli stessi sogni deriva poi ad Arsete la preoccupazione per la sorte della

stessa guerriera (XII). Sotto l’aspetto di un sogno, infine, Tasso riproduce il topos della

catabasi (XIII), investito da sovrasensi psicologici e collocato a metà del poema. Oltre a

segnare delle svolte, gli eventi onirici segnalano l’intervento della Provvidenza cristiana.

Inserendo profezie e presagi, Tasso ribadisce il fine religioso del poema e insiste

sull’ineluttabilità dell’ordine degli avvenimenti. Ne consegue che gli eventi onirici, nel

ribadire l’assetto teleologico cristiano, annullano il fatalismo tipicamente epico. Allo stesso

tempo, i sogni, laddove esprimono i desideri, passioni, e preoccupazioni mentali dei

personaggi, concretano una situazione esistenziale che varca i limiti della realtà storica

cinquecentesca. Costatazione da noi menzionata brevemente, ma che si offre a uno studio

psicologico (e/o psicoanalitico) più approfondito.

Caso particolare si presenta l’episodio di Tancredi nella selva di Saron, che si lascia

interpretare come un episodio onirico e, più specificamente, come un sogno appartenente

alle categorie dell’insomnium e del phàntasma. Per di più, rispetta i quattro moduli omerici e

si colloca in una posizione narrativa strategica. Siccome soltanto le costanti strutturali

dell’episodio sono state discusse, con questo studio si è offerto solo un primo spunto per

un’analisi più approfondita degli elementi onirici presenti. Anche se non è dato collocare la

fuga idilliaca di Erminia in una categoria netta, possiamo concludere che anch’essa si

qualifica episodio onirico, ossia sogno di evasione. In questo caso è soprattutto la natura

inaspettata dell’entrata e la dimensione autre che rappresenta il luogo idilliaco, a facilitare

un’interpretazione in chiave onirica.

La deviazione fondamentale dal topos nella tradizione cristiana è che nei sogni di

Tancredi appaiono rispettivamente l’anima della donna amata e uno spirito maligno, due

apparizioni (defunto e demonio) assenti nei sogni biblici.

Infine, le due teichoskopie di Erminia si prestano ad un’analisi come fenomeni onirici

proprio perché esse si presentano come delle condizioni di totale coinvolgimento che, nel

offrire una prospettiva di durata storica, si connettono al sogno massimo propagato

dall’epica. Come sogno si qualificano anche i desideri frustrati del personaggio che si

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esprimono in creazioni fantastiche (profezia di Amore), fantasticherie (o sogni ad occhi

aperti), deliri, etc. Tutti, però, ostacolate da contrattempi che ne complicano la

realizzazione.

Così, l’analisi ha evidenziato che l’uso del sogno nella Liberata risente molto dalla

tradizione epica, che però viene arricchita da sfumature cristiane e innovative, funzionali al

disegno particolare del poema tassiana, nonché alla vita interiore dei numerosi personaggi.

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Figure

1 Visio

(gr: hòrama)

visione profetica «vero (rivelazione attraverso una

visione di eventi mondani)»

2 Oraculum

(gr: chrematismos)

sogno oracolare «vero (rivelazione da parte di una

figura autorevole di un altro

mondo)»

3 Somnium

(gr: ònar od oneiros)

sogno enigmatico «vero, ma espresso in forma di

finzione»

4 Insomnium

(gr: ephiàles o enypnion)

incubo «falso (mondano)»

5 Phàntasma o visum

(gr: phàntasma)

allucinazione/

apparizione

«falso (spettrale)»

Figura 1 Le cinque tipologie di sogni – Macrobio364

1 Favole che tentano in modo empio di avvicinarsi alla sfera di Dio e della Mente

2 Narrationes fabulosae, che presentano «una concezione decorosa e degna di verità

sacre»

3 Narrationes fabulosae, che presentano «argomenti abietti e indegni di divinità»

4 Favole in cui «sia l’ambientazione che l’intreccio sono inventati»

5 «favole che promettono soltanto di gratificare l’dito»

Figura 2 Classificazione della rappresentazione letteraria - Macrobio365

364 Carolly ERICKSON, The Medieval vision: essays in history e perception, New York, Oxford University Press, 1976,

p. 38 e S. Kruger, Il sogno…cit., p. 50. 365 S. KRUGER, Il sogno…cit. p. 220.

verità

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1 visione intellettuale

(visio intellectualis)

Percezione che «tende all’astrazione: idee ‘viste

nell’anima’»

2 visione spirituale o

immaginativa

(visio spiritualis o

imaginativa)

«Percezione di immagini che si presentano ‘nel corso

normale della nostra vita quotidiana’»

3 visione corporale

(visio corporealis)

«Percezione di oggetti materiali»

Figura 3 Classificazione delle visioni – Sant’Agostino366

1 Somnium naturale «ogni turbazione nel bilancio delle condizioni e degli umori fisici

viene registrata nella mente come un sogno»

2 Somnium animale « angosce della mente sveglia vengono registrate

nell’immaginazione, e le loro impressioni vengono riprodotte nel

sonno»

3 Somnium coeleste o

divina

«quando la mente è a riposo, degli spiriti la permeano con

immagini di eventi futuri»

Figura 4 Classificazione medievale dei sogni in base alle loro origini367

366 Ivi, p. 72. 367 Ibidem. [Traduzione nostra]