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Per una Chiesa Viva www.incontroravello.blogspot.com www.chiesaravello.it Anno V- N. 1 – Febbraio 2009 Dal luminoso magistero omiletico del Santo Padre Benedetto XVI traggo alcuni pensieri che ci aiutano a comprendere e a vivere il significato del Natale, dell’Epifania e del Battesimo di Gesù che abbiamo appena celebrato nella prima tappa dell’Anno Liturgico. Il tempo liturgico del Natale ci ha fatto pensare e rivivere nella preghiera la pro- fessione della nostra fede nel mistero dell’Incarnazione cioè di Dio che ha as- sunto un volto umano con la nascita di Gesù annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore luminoso di Dio; ci ha indicato il significato divino e universale di quella nascita col segno misterioso della stella che ha guidato i Magi dall’Oriente fino alla casa di Betlemme; e infine ci ha invitato a guardare il cielo che si apre sul Giordano mentre risuona la voce di Dio: “Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiaci- mento” . Sono tutti segni, afferma il Pa- pa, tramite i quali il Signore ci rievange- lizza su quello che avviene una volta per sempre nel Battesimo. Il Signore non si stanca di ripeterci: “Sì, sono qui. Vi co- nosco e da sempre vi ho voluto. Vi amo ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. C’è un’alleanza perenne cioè una strada che da me viene a voi. E c’è una strada che da voi sale a me”. “Dio creatore ha assunto in Gesù le di- mensioni di un bambino, di un essere umano come noi, con il nostro stesso percorso di crescita fisica e spirituale, per potersi far vedere e toccare”. Al tempo stesso, con questo suo farsi piccolo, Iddio ha fatto risplendere la luce della sua gran- dezza non in modo spettacolare per non costringere: un rapporto così stretto tra Lui e noi non è che un rapporto di amo- re. Così Egli mostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire esse- re Dio che non solo ama ma è Amore. “Il significato del Natale, e più in genera- le il senso dell’anno liturgico che con il farsi liturgicamente presente di Lui Cro- cifisso e Risorto ci rende attuali tutti i momenti della sua fase terrena per assi- milarci a Lui avvicinandoci a questi segni divini, per non solo professarli e cele- brarli nella fede ma per riconoscerli im- pressi negli eventi di ogni giorno, affin- ché il nostro cuore si apra all’amore di Dio, colga dove ci raggiunge con il suo amore per cui il suo regno si fa presente: esso non è un al di là immaginario, posto in futuro che non arriva mai. E se il Nata- le e l’Epifania servono soprattutto a ren- derci capaci di vedere, di aprirci gli occhi e il cuore al mistero di un Dio, di un Tu personale che viene a stare con noi, la festa del Battesimo di Gesù ci introduce nella continuità di una presenza, nella quotidianità di un rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l’immersione nelle acque del Giordano, Gesù rivela non solo di possedere un volto, una natura umana innocente ma che si è unito a noi pecca- tori, mortali, condizionati dal potere di Satana. Il Battesimo è per così dire il ponte che Egli ha costruito tra sé e ogni uomo peccatore, la strada per la quale si rende a noi accessibile; è l’arcobaleno divino sulla nostra vita, la promessa del grande sì di Dio Padre che vuole tutti salvi, la porta della speranza e, nello stes- so tempo l’immergersi nella morte e il risalire nella risurrezione indicandoci il cammino da percorrere in modo attivo e gioioso per rincontrarlo e sentirci da Lui amati, perdonati, liberati.” Tutto questo accade realmente su ogni bambino che è battezzato, è accaduto su tutti noi battezzati. Su di esso si posa il “compiacimento” di Dio Padre che ci ha scelti, pensati e voluti in Cristo dall’eternità: quando il Padre ha pensato e voluto il mistero dell’Incarnazione, il Messia, ha pensato e voluto ciascuno di noi. Con lo stesso atto di pensiero e colla stessa decisione di volontà con cui ha pensato e voluto il Figlio incarnato, ha pensato e voluto ciascuno di noi, singo- larmente presi, predestinandoci a diveni- re figli adottivi, non solo chiamati figli ma veramente figli per opera dello Spiri- to del Figlio. Da quando il Figlio unigeni- to del Padre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi per ogni uomo che ama del suo amore che perdona, e possiamo affidare ogni nuova vita che sboccia subito alle mani di Colui che è più potente dei poteri oscuri del male in agguato. Questo comporta il battesimo: restituiamo a Dio colui che da Lui è venuto e a lui è destinato. Don Giuseppe Imperato Riflessioni sul tempo di Natale alla scuola del Papa P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

Incontro Febbraio 2009

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PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO Anno V- N. 1 – Febbraio 2009 re. Così Egli mostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire esse- re Dio che non solo ama ma è Amore. “Il significato del Natale, e più in genera- le il senso dell’anno liturgico che con il farsi liturgicamente presente di Lui Cro- cifisso e Risorto ci rende attuali tutti i momenti della sua fase terrena per assi- milarci a Lui avvicinandoci a questi segni INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA PAGINA 2

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Per una Chiesa Viva

www.incontroravello.blogspot.com www.chiesaravello.it Anno V- N. 1 – Febbraio 2009

Dal luminoso magistero omiletico del Santo Padre Benedetto XVI traggo alcuni pensieri che ci aiutano a comprendere e a vivere il significato del Natale, dell’Epifania e del Battesimo di Gesù che abbiamo appena celebrato nella prima tappa dell’Anno Liturgico. Il tempo liturgico del Natale ci ha fatto pensare e rivivere nella preghiera la pro-fessione della nostra fede nel mistero dell’Incarnazione cioè di Dio che ha as-sunto un volto umano con la nascita di Gesù annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore luminoso di Dio; ci ha indicato il significato divino e universale di quella nascita col segno misterioso della stella che ha guidato i Magi dall’Oriente fino alla casa di Betlemme; e infine ci ha invitato a guardare il cielo che si apre sul Giordano mentre risuona la voce di Dio: “Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiaci-mento” . Sono tutti segni, afferma il Pa-pa, tramite i quali il Signore ci rievange-lizza su quello che avviene una volta per sempre nel Battesimo. Il Signore non si stanca di ripeterci: “Sì, sono qui. Vi co-nosco e da sempre vi ho voluto. Vi amo ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. C’è un’alleanza perenne cioè una strada che da me viene a voi. E c’è una strada che da voi sale a me”. “Dio creatore ha assunto in Gesù le di-mensioni di un bambino, di un essere umano come noi, con il nostro stesso percorso di crescita fisica e spirituale, per potersi far vedere e toccare”. Al tempo stesso, con questo suo farsi piccolo, Iddio ha fatto risplendere la luce della sua gran-dezza non in modo spettacolare per non costringere: un rapporto così stretto tra Lui e noi non è che un rapporto di amo-

re. Così Egli mostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire esse-re Dio che non solo ama ma è Amore. “Il significato del Natale, e più in genera-le il senso dell’anno liturgico che con il farsi liturgicamente presente di Lui Cro-cifisso e Risorto ci rende attuali tutti i momenti della sua fase terrena per assi-milarci a Lui avvicinandoci a questi segni

divini, per non solo professarli e cele-brarli nella fede ma per riconoscerli im-pressi negli eventi di ogni giorno, affin-ché il nostro cuore si apra all’amore di Dio, colga dove ci raggiunge con il suo amore per cui il suo regno si fa presente: esso non è un al di là immaginario, posto in futuro che non arriva mai. E se il Nata-le e l’Epifania servono soprattutto a ren-derci capaci di vedere, di aprirci gli occhi e il cuore al mistero di un Dio, di un Tu personale che viene a stare con noi, la festa del Battesimo di Gesù ci introduce nella continuità di una presenza, nella quotidianità di un rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l’immersione nelle

acque del Giordano, Gesù rivela non solo di possedere un volto, una natura umana innocente ma che si è unito a noi pecca-tori, mortali, condizionati dal potere di Satana. Il Battesimo è per così dire il ponte che Egli ha costruito tra sé e ogni uomo peccatore, la strada per la quale si rende a noi accessibile; è l’arcobaleno divino sulla nostra vita, la promessa del grande sì di Dio Padre che vuole tutti salvi, la porta della speranza e, nello stes-so tempo l’immergersi nella morte e il risalire nella risurrezione indicandoci il cammino da percorrere in modo attivo e gioioso per rincontrarlo e sentirci da Lui a m a t i , p e r d o n a t i , l i b e r a t i . ” Tutto questo accade realmente su ogni bambino che è battezzato, è accaduto su tutti noi battezzati. Su di esso si posa il “compiacimento” di Dio Padre che ci ha scelti, pensati e voluti in Cristo dall’eternità: quando il Padre ha pensato e voluto il mistero dell’Incarnazione, il Messia, ha pensato e voluto ciascuno di noi. Con lo stesso atto di pensiero e colla stessa decisione di volontà con cui ha pensato e voluto il Figlio incarnato, ha pensato e voluto ciascuno di noi, singo-larmente presi, predestinandoci a diveni-re figli adottivi, non solo chiamati figli ma veramente figli per opera dello Spiri-to del Figlio. Da quando il Figlio unigeni-to del Padre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi per ogni uomo che ama del suo amore che perdona, e possiamo affidare ogni nuova vita che sboccia subito alle mani di Colui che è più potente dei poteri oscuri del male in agguato. Questo comporta il battesimo: restituiamo a Dio colui che da Lui è venuto e a lui è destinato.

Don Giuseppe Imperato

Riflessioni sul tempo di Natale alla scuola del Papa

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Cari fratelli e sorelle! Le parole che l'evangelista Marco riporta all'inizio del suo Van-gelo: "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio com-piacimento" (1,11) ci introducono nel cuore dell'odierna festa del Battesimo del Signore, con cui si conclude il tempo di Na-tale. Il ciclo delle solennità natalizie ci fa meditare sulla nascita di Gesù annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore lu-minoso di Dio; il tempo natalizio ci parla della stella che guida i Magi dall'Oriente fino alla casa di Betlemme, e ci invita a guardare il cielo che si apre sul Giordano mentre risuona la voce di Dio. Sono tutti segni tramite i quali il Signore non si stanca di ripeterci: "Sì, sono qui. Vi conosco. Vi amo. C'è una strada che da me viene a voi. E c'è una strada che da voi sale a me". Il Creatore ha assunto in Gesù le dimensioni di un bam-bino, di un essere umano come noi, per potersi far vedere e toccare. Al tempo stesso, con questo suo farsi piccolo, Iddio ha fatto risplendere la luce della sua grandezza. Perché, proprio abbassandosi fino all'impotenza inerme dell'amo-re, Egli dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio. Il significato del Natale, e più in generale il senso dell'anno liturgico, è proprio quello di avvicinarci a questi segni divi-ni, per riconoscerli impressi negli eventi d'ogni giorno, affin-ché il nostro cuore si apra all'amore di Dio. E se il Natale e l'Epifania servono soprattutto a renderci capaci di vedere, ad aprirci gli occhi e il cuore al mistero di un Dio che viene a stare con noi, la festa del battesimo di Gesù ci introduce, po-tremmo dire, alla quotidianità di un rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l'immersione nelle acque del Giordano, Gesù si è unito a noi. Il Battesimo è per così dire il ponte che Egli ha costruito tra sé e noi, la strada per la quale si rende a noi accessibile; è l'arcobaleno divino sulla nostra vita, la pro-messa del grande sì di Dio, la porta della speranza e, nello stesso tempo, il segno che ci indica il cammino da percorrere in modo attivo e gioioso per incontrarlo e sentirci da Lui amati. Cari amici, sono veramente contento che anche quest'anno, in questo giorno di festa, mi sia data l'opportunità di battezzare dei bambini. Su di essi si posa oggi il "compiacimento" di Dio. Da quando il Figlio unigenito del Padre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi, e possiamo affi-dare ogni nuova vita che sboccia alle mani di Colui che è più potente dei poteri oscuri del male. Questo in effetti comporta il Battesimo: restituiamo a Dio quello che da Lui è venuto. Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Crea-tore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio. Solo se i genitori maturano tale consapevolezza riescono a trovare il giusto equilibrio tra la pretesa di poter disporre dei propri figli come se fossero un privato possesso plasmandoli in

base alle proprie idee e desideri, e l'atteggiamento libertario che si esprime nel lasciarli crescere in piena autonomia soddi-sfacendo ogni loro desiderio e aspirazione, ritenendo ciò un modo giusto di coltivare la loro personalità. Se, con questo sacramento, il neo-battezzato diventa figlio adottivo di Dio, oggetto del suo amore infinito che lo tutela e difende dalle forze oscure del maligno, occorre insegnargli a riconoscere Dio come suo Padre ed a sapersi rapportare a Lui con atteggia-mento di figlio. E pertanto, quando, secondo la tradizione cristiana come oggi facciamo, si battezzano i bambini introdu-cendoli nella luce di Dio e dei suoi insegnamenti, non si fa loro violenza, ma si dona loro la ricchezza della vita divina in cui si radica la vera libertà che è propria dei figli di Dio; una libertà che dovrà essere educata e formata con il maturare degli anni,

perché diventi capace di re-sponsabili scelte personali. Cari genitori, cari padrini e madrine, vi saluto tutti con affetto e mi unisco alla vostra gioia per questi piccoli che oggi rinascono alla vita eterna. Siate consapevoli del dono ricevuto e non cessate di ringraziare il Signore che, con l'odierno sa-cramento, introduce i vostri bambini in una nuova famiglia, più grande e stabile, più aperta e numerosa di quanto non sia quella vostra: mi riferisco alla

famiglia dei credenti, alla Chiesa, una famiglia che ha Dio per Padre e nella quale tutti si riconoscono fratelli in Gesù Cristo. Voi dunque oggi affidate i vostri figli alla bontà di Dio, che è potenza di luce e di amore; ed essi, pur tra le difficoltà della vita, non si sentiranno mai abbandonati, se a Lui resteranno uniti. Preoccupatevi pertanto di educarli nella fede, di inse-gnar loro a pregare e a crescere come faceva Gesù e con il suo aiuto, "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomi-ni" (cfr Lc 2,52). Tornando ora al brano evangelico, cerchiamo di comprendere ancor più quel che oggi qui avviene. Narra san Marco che, mentre Giovanni Battista predica sulle rive del fiume Giorda-no, proclamando l'urgenza della conversione in vista della venuta ormai prossima del Messia, ecco che Gesù, confuso tra la gente, si presenta per essere battezzato. Quello di Giovanni è certo un battesimo di penitenza, ben diverso dal sacramento che istituirà Gesù. In quel momento, tuttavia, si intravede già la missione del Redentore poiché, quando esce dall'acqua, risuona una voce dal cielo e su di lui scende lo Spirito Santo (cfr Mc 1,10): il Padre celeste lo proclama suo figlio predilet-to e ne attesta pubblicamente l'universale missione salvifica, che si compirà pienamente con la sua morte in croce e la sua risurrezione. Solo allora, con il sacrificio pasquale, si renderà universale e totale la remissione dei peccati. Con il Battesimo non ci immergiamo allora semplicemente nelle acque del Giordano per proclamare il nostro impegno di conversione, ma si effonde su di noi il sangue redentore del Cristo che ci purifica e ci salva. E' l'amato Figlio del Padre, nel quale Egli ha

Omelia di Benedetto XVI per la festa del Battesimo

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posto il suo compiacimento, che ci riacquista la dignità e la gioia di chiamarci ed essere realmente "figli" di Dio. Tra poco rivivremo questo mistero evocato dall'odierna solen-nità; i segni e simboli del sacramento del Battesimo ci aiuteran-no a comprendere quel che il Signore opera nel cuore di questi nostri piccoli, rendendoli "suoi" per sempre, dimora scelta del suo Spirito e "pietre vive" per la costruzione dell'edificio spiri-tuale che è la Chiesa. La Vergine Maria, Madre di Gesù, il Fi-glio amato di Dio, vegli su di loro e sulle loro famiglie, li ac-compagni sempre, perché possano realizzare fino in fondo il progetto di salvezza che con il Battesimo si compie nelle loro vite. E noi, cari fratelli e sorelle, accompagniamoli con la no-stra preghiera; preghiamo per i genitori, i padrini e le madrine e per i loro parenti, perché li aiutino a crescere nella fede; pre-ghiamo per tutti noi qui presenti affinché, partecipando devo-tamente a questa celebrazione, rinnoviamo le promesse del nostro Battesimo e rendiamo grazie al Signore per la sua co-stante assistenza. Amen!

MESSAGGIO DEI VESCOVI PER LA GIORNATA PER LA VITA

2009 “La forza della vita nella sofferenza”

La vita è fatta per la serenità e la gioia. Purtroppo può accade-re, e di fatto accade, che sia segnata dalla sofferenza. Ciò può avvenire per tante cause. Si può soffrire per una malattia che colpisce il corpo o l’anima; per il distacco dalle persone che si amano; per la difficoltà a vivere in pace e con gioia in relazione con gli altri e con se stessi. La sofferenza appartiene al mistero dell’uomo e resta in parte imperscrutabile: solo «per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte» (GS 22). Se la sofferenza può essere alleviata, va senz’altro alleviata. In particolare, a chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente dolorose, vanno applicate con uma-nità e sapienza tutte le cure oggi possibili. Chi soffre, poi, non va mai lasciato solo. L’amicizia, la compa-gnia, l’affetto sincero e solidale possono fare molto per rende-re più sopportabile una condizione di sofferenza. Il nostro ap-pello si rivolge in particolare ai parenti e agli amici dei soffe-renti, a quanti si dedicano al volontariato, a chi in passato è stato egli stesso sofferente e sa che cosa significhi avere accanto qualcuno che fa compagnia, incoraggia e dà fiducia. A soffrire, oggi, sono spesso molti anziani, dei quali i parenti più prossimi, per motivi di lavoro e di distanza o perché non possono assumere l’onere di un’assistenza continua, non sono in grado di prendersi adeguatamente cura. Accanto a loro, con competenza e dedizione, vi sono spesso persone giunte dall’estero. In molti casi il loro impegno è encomiabile e va oltre il semplice dovere professionale: a loro e a tutti quanti si spendono in questo servizio, vanno la nostra stima e il nostro apprezzamento. Talune donne, spesso provate da un’esistenza infelice, vedono in una gravidanza inattesa esiti di insopportabi-le sofferenza. Quando la risposta è l’aborto, viene generata ulteriore sofferenza, che non solo distrugge la creatura che custodiscono in seno, ma provoca anche in loro un trauma,

destinato a lasciare una ferita perenne. In realtà, al dolore non si risponde con altro dolore: anche in questo caso esistono soluzioni positive e aper-te alla vita, come dimo-stra la lunga, generosa e lodevole esperienza promossa dall’associazionismo cattolico. C’è, poi, chi vorrebbe rispondere a stati permanenti di soffe-renza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia. Vogliamo ribadire con serenità, ma anche con chiarezza, che si tratta di risposte false: la vita umana è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione. La strada da percorrere è quella del-la ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per combattere e vincere le patologie – anche le più difficili – e a non abbando-nare mai la speranza. La via della sofferenza si fa meno imper-via se diventiamo consapevoli che è Cristo, il solo giusto, a portare la sofferenza con noi. È un cammino impegnativo, che si fa praticabile se è sorretto e illuminato dalla fede: ciascuno di noi, quando è nella prova, può dire con San Paolo «sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24). Quando il peso della vita ci appare intollerabile, viene in nostro soccorso la virtù della fortezza. È la virtù di chi non si abbandona allo sconforto: confida negli amici; dà alla propria vita un obiettivo e lo persegue con tenacia. È sorretta e conso-lidata da Gesù Cristo, sofferente sulla croce, a tu per tu con il mistero del dolore e della morte. Il suo trionfo il terzo giorno, nella risurrezione, ci dimostra che nessuna sofferenza, per quanto grave, può prevalere sulla forza dell’amore e della vita.

Roma, 7 ottobre 2008 La Vita è……

La vita è un'opportunità, coglila. La vita è bellezza, ammirala.

La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala. La vita è un dovere, compilo. La vita è un gioco, giocalo.

La vita è preziosa, abbine cura. La vita è ricchezza, conservala.

La vita è amore, godine. La vita è un mistero, scoprilo. La vita è promessa, adempila.

La vita è tristezza, superala. La vita è un inno, cantalo. La vita è una lotta, accettala.

La vita è un'avventura, rischiala. La vita è felicità, meritala.

La vita è la vita, difendila. Beata Madre Teresa di Calcutta

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Pellegrinaggio al Monte Athos; sono sul traghetto per Dafni, approdo portuale della Santa Montagna, e converso con un monaco anziano, un venerabile ieronda. A un certo punto, non posso fare a meno di confessargli i timori per il futuro del luogo santo che abita. Come reagirà il Monte Athos all’assalto della tecnica, delle automobili, dei motoscafi, dei cellulari che iniziano a squillare anche entro le mura dei suoi monasteri? Lo ieronda mi lancia uno sguardo fermo e penetrante: “Fratello mio, l’Athos è l’Athos. Abbiamo vissuto momenti terribili. Siamo stati perseguitati, torturati, uccisi. Hanno bru-ciato i nostri monasteri, e rubato gli arredi sacri; ma ne siamo usciti ogni volta più forti di prima. Ci pensa la Panaghia, ci pensa. L’Athos è il suo giardino, non lo sapevi?”. La Panaghia è la Tuttasanta, uno dei titoli attribuiti alla Madre di Dio dalla teologia della Chiesa Ortodossa. Il Monte Athos è posto sotto la sua protezione; fu lei stessa a sceglierlo come sua dimora. Secondo la tradizione, la Madonna e Giovanni – l’apostolo prediletto da Gesù – si erano messi in viaggio da Efeso alla volta di Cipro, dove viveva Lazzaro. Durante la navigazione si sollevò una tremenda tempesta, che portò la barca fuori rotta e costrinse la Vergine a rifugiarsi sulla costa della penisola a-thonita. Colpita dalla bellezza del luogo, Maria pregò il Figlio di fargliene dono. Allora si udì una voce dal cielo: “Che questo giardino sia tuo, e sia paradiso tuo e per tutti quelli che qui cercheranno la loro salvezza”. Come io stesso ho potuto constatare, la venerazione che il Monte Athos tributa alla Vergine è qualcosa di commovente. Monasteri, skiti, kellia, hisycastiria, metochia, cappelle, cimi-teri: tutto è colmo della presenza della Panaghia. L’Athos le ha dedicato i due inni più belli, l’Akathistos, (che vuol dire non seduto, perché si canta stando in piedi), e l’Axion Estin, sug-gerito alla Chiesa dall’Arcangelo Gabriele. Mirabile è la narrazione di come quest’ultimo inno fu trasmes-so agli uomini, divenendo, nel tempo, il canto più importante di tutta l’Ortodossia. L’Arcangelo Gabriele si presentò nei panni di un monaco in un piccolo kellion di Kapsala dedicato alla Dormizione della Vergine. Lì fu accolto da un umile hypo-taktikòs (un monaco giovane) perché lo ieronda (la sua guida spirituale) si era recato a Karyes, il capoluogo dell’Athos, per partecipare a una veglia notturna. Levatisi all’ora del mattuti-no, i due monaci iniziarono insieme a cantare; ma al secondo versetto del “Magnificat”, lo straniero elevò alla Vergine un inno sconosciuto: “E’ veramente cosa degna (Axion estin) pro-clamarti beata, o Madre di Dio, tu che sei beatissima, tutta immacolata e Madre del nostro Dio”. L’hypotaktikos pregò l’ospite di mettere i versi per iscritto; questi, in mancanza di carta e inchiostro, incise l’inno su una lastra di pietra col suo stesso dito. Dopo aver pronunciato le parole: “Cantate così, e così cantino tutti gli ortodossi”, il monaco scomparve. Da allo-ra, il kellion onorato dalla visita dell’Angelo fu chiamato A-xion Estin, così come la sacra icona, che fu trasferita solenne-mente nel Protaton, la chiesa più importante del Monte A-thos. Ogni giorno l’Agion Oros inneggia a Maria rendendo

omaggio alla Vergine Kukuze-lissa della Grande Lavra, Esfag-méni di Vatopedi, Portaìtissa di Iviron, Tricherùssa di Chi-landari, Phoverà Prostasìa di Koutloumoussiou, Geròndissa di Pantokratoros, Gorgoepìko-os di Dochiariu, Mirovlìtissa di Aghiou Pavlou, Odigìtria di Xenophontos… Non c’è mo-nastero dell’Athos che non possieda una o più icone tau-maturgiche della Vergine, e innumerevoli sono i miracoli che queste sacre immagini di-spensano ai fedeli. Ma la Madre di Dio è presente ovunque, al Monte Athos: entrando nella capanna di Aga-thangelos, uno degli asceti del deserto athonita, ho pensato che mi trovavo nella dimora più umile del mondo: un letto, un tavolo, una sedia, una cre-denza, uno sgabello, un ripo-stiglio; ma c’era qualcosa, in quell’arredamento essenziale, che lo rendeva caldo, prezioso, santo: tutto era centripeto attorno all’inginocchiatoio sopra il quale guizzava la fiammella che illuminava l’icona della Panaghia. Una sera, ho chiesto a uno dei monaci, padre Nikodimos, di spiegarmi l’amore così profondo per la Vergine. Mi ha dato una risposta insuperabile: “Dio attese per secoli che si trovasse la persona adatta, quella che liberamente avrebbe detto sì alla Sua volontà, cooperando alla salvezza dell’uomo. Maria è la pienezza del tempo, la persona che ha riparato la colpa dei progenitori. E’ l’alleata invincibile, la maestra infallibile. E’ la senza macchia, l’incontaminata, la predestinata da Dio a diven-tare la Madre di Cristo. Ha dato carne al Figlio, divenendo Theotòkos: come non amarla?”. Il teologo Basilio, igumeno del monastero di Iviron, ha scritto: “E’ lei la scala attraverso cui Dio è disceso e il ponte che dalla terra porta gli uomini al cielo. E’ lei il confine tra la natura creata e l’increata; nessuno viene a Dio se non attraverso di lei e il Mediatore nato da lei”. Ma la testimonianza più bella dell’amore per la Vergine è quella di Mosè Aghiorita, che da anni medita la condizione spirituale del monaco in un solitario kellìon del Monte Athos: “Vi era uno ieronda che non appena udiva il nome della Pana-ghia piangeva come un bambino. Vi era un monaco di Kafsoka-lìvia che ogniqualvolta, la notte, si girava nel letto, cantava l’Axion Estin. Vi era un igumeno di Grigoriu che aveva “mangiato”, dai molti baci, l’icona di lei. Vi era un monaco di Iviron che soffriva pene d’amore per la Portaìtissa…” Armando Santarelli

MAESTRA INFALLIBILE, ALLEATA INVINCIBILE

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PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Che c’entra una vecchietta che gira su una scopa e distribuisce regali o carbone con la nascita del figlio di Dio? Per scoprirlo dobbiamo indagare il significato della festività del 6 Gennaio. È, infatti, in questo giorno che Gesù bambino si rivelò come Figlio di Dio ai tre Magi, tre sapienti che provenivano dalle lontane terre d'Oriente. Si erano messi in cammino guidati da un astro splendente che li aveva avvisati che qualcosa di real-mente grande stava per accadere. Così i tre uomini avevano deciso di seguire la singolare stella per rendere omaggio a quel bambino portatore di salvezza. Portavano con sé tre doni sim-bolici: l'oro, l'incenso e la mirra. L'oro perché era il dono che era riservato ai sovrani; l'incenso perché era bruciato solo in onore delle divinità; la mirra che in antichità era utilizzata du-rante le cerimonie funebri e che sarebbe divenuta il simbolo della futura resurrezione di Cristo, il Re che trionfò sulla mor-te. In una povera casa a Betlem trovarono un bambino che era nato da poco. Era accudito dal padre, Giuseppe, e da Maria, la madre più dolce e bella che fosse mai capitato loro di incontra-re. Vedendo l'amore e la concordia che regnavano in quella povera famiglia, nonostante gli stenti e le ristrettezze, i Magi compresero di aver trovato ciò che cercavano e deposero ai piedi del Bambino i loro doni preziosi. Quindi se ne andarono contenti di avere reso omaggio per primi al Salvatore del mon-do. Per questo, ancor oggi, ogni anno il 6 gennaio, la Befana porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi. L'origine orientale di questa solennità è nel suo stesso nome: "Epifania", cioè rivelazione, manifestazione; i latini usavano la denominazione "festivitas declarationis" o "apparitio", col prevalente significato di rivelazione della divi-nità di Cristo al mondo pagano attraverso l'adorazione dei ma-gi. La Befana, (termine che è corruzione di Epifania, per l’appunto manifestazione) è nell'immaginario collettivo un mitico personaggio con l'aspetto da vecchia. Nella tradizione popolare però il termine Epifania, storpiato in Befana, ha as-sunto un significato diverso, andando a designare la figura di una vecchina particolare. Questa festa ha però assunto nel tempo, anche un significato lievemente diverso. Nella cultura italiana attuale, la Befana non è tanto vista come la simbolizza-zione di un periodo ormai scaduto, quanto piuttosto come una sorta di nonna buona che premia o punisce i bambini. I bambi-ni buoni riceveranno ottimi dolcetti e qualche regalino, ma quelli cattivi solo il temutissimo carbone, che simboleggia le malefatte dell'anno passato. Il potere psicologico della Befana sui bambini è quindi molto forte e i suoi aspetti pedagogici non vanno di certo trascurati. Oggi, se s’indossano gli abiti della Befana, si fa per rimpossessarsi del suo ruolo; dispensatrice di regali e di piccole ramanzine per gli inevitabili capricci di tutti. Dopo un periodo in cui era stata relegata nel dimenticatoio, ora la Befana sta vivendo una seconda giovinezza, legata alla riscoperta e alla valorizzazione delle antiche radici, tradizioni e dell'autentica identità culturale.

Raffaele Amato

FESTA DELL’EPIFANIA: Un antico legame tra sacro e profano

NATALE 2008 TRA FEDE E CULTURA

Il Natale 2008 a Ravello è stato senza dubbio un Natale parti-colare, caratterizzato dalla binomia fede e cultura che dovreb-be essere il criterio ispiratore e una costante nelle attività che si svolgono nella Città della musica. Siamo, infatti, fermamen-te convinti che, grazie a questo binomio, si possa favorire la formazione integrale della persona e promuovere iniziative che mirino a un reale progresso di una comunità. Senza fastidiose invasioni di campo, sarebbe opportuno cominciare, per sem-pre, ad avviare una metodologia di lavoro che veda coinvolte le realtà, ecclesiali e non, operanti sul territorio e definire un piano di lavoro condiviso e sostenuto da tutti, al fine di evitare divisioni e campanilismi atavici che, insieme con altre proble-matiche, bloccano, di là dalle cifre sbandierate a destra e a manca, la crescita e lo sviluppo di Ravello.Ma parliamo del Natale 2008 che ha visto il Duomo diventare il cuore di quel binomio fede -cultura cui accen-navo. Ovviamente non si vuole con quest’affermazione sminuire il ruolo che hanno avuto gli altri luoghi in cui si sono tenute le varie manifesta-zioni. Si è comin-ciato sabato 20 dicembre con la presentazione del libro di Lui-gi Buonocore “Ravello celebra san Pantaleone:una secolare tradizio-ne di fede”,a cura dell’Associazione culturale Duomo di Ravel-lo. L’iniziativa ha voluto ricordare,anche nel clima natalizio,il forte legame che la comunità religiosa e civile di Ravello ha con il Martire di Nicomedia e l’ha fatto attraverso la presenta-zione di un testo che mi auguro possa avere un’ampia diffusio-ne perché,guidati dalla competente,ricca e appassionata narra-zione fatta dall’autore e dai risultati degli annuali convegni su san Pantaleone,che si tengono a luglio nell’imminenza della festa liturgica,si conosca sempre più e meglio la figura del no-stro Santo Patrono. Dobbiamo purtroppo costatare con ama-rezza che il nome di san Pantaleone, al pari di quello di santa Trofimena, non compare nella litania dei santi redatta per al-cune celebrazioni dall’Ufficio Liturgico Diocesano e franca-mente, la cosa ci stupisce e indispettisce perché l’omissione non trova alcuna giustificazione, nè di ordine teologico, né di ordine liturgico,né di ordine pastorale, né di ordine storico, nè di ordine culturale.Il riferimento alla Diocesi mi porta a spostare, per un momento, l’attenzione dal Duomo al Santua-rio dei santi Cosma e Damiano dove, la sera di domenica 21 dicembre, Mons. Orazio Oricelli ha finito la Visita pastorale a Ravello e nell’intera diocesi amalfitana-cavense.”Una bella esperienza”l’ha definita il presule nell’omelia; un’esperienza che gli ha permesso di conoscere da vicino le realtà della Dio-cesi, di osservarne pregi e limiti per pianificare il lavoro futu-ro. Continua a pagina 6

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La Visita pastorale di mons.Soricelli si è svolta a Ravello nel corso dell’Avvento ed è stata quindi un altro importante aiuto per la preparazione al Natale le cui celebrazioni sono iniziate con la Messa della notte. Accompagnati dal sempre emozio-nante suono delle zampogne e delle ciaramelle, siamo stati introdotti alla celebrazione del Mistero della nascita del Reden-tore dalla tradizionale processione. Nella Messa della notte come in quella del giorno, in un’atmosfera solenne, dall’Ambone e dal Pulpito, su cui troneggia l’aquila, simbolo dell’evangelista Giovanni, che stringe fra gli artigli il libro con lo incipit “In principio erat Verbum”, è risuonata, speriamo anche nelle coscienze, la Parola del Signore che, attraverso i testi della liturgia, ci ha invitato a riflettere sull’evento che ha

cambiato la sto-ria. Una storia che, nonostante l’intervento di Dio, continua ad avere le sue con-traddizioni e che, a più di 2000 anni dalla nascita di Cristo, è anco-ra caratterizzata da egoismi e vio-

lenze che generano miseria e sofferenza. A ricordarci quindi che il Natale è anche solidarietà sono state due manifestazioni culturali che si sono svolte rispettivamente il 26 e 27 dicem-bre. Nel giorno in cui la Chiesa ha fatto memoria del diacono e protomartire Stefano, è stata inaugurata la Mostra “Estetica per l’Africa: il contributo dei grandi artisti per l’Etiopia”, a cura di Rosalba De Beo, Gennaro Miccio e Rosanna Miglionico, con-clusasi il 3 gennaio, che ha permesso la raccolta di fondi desti-nati al martoriato Paese africano. Sempre all’Africa ma questa volta al Madagascar, sono andate le offerte raccolte nel corso della III edizione del “ Natale di solidarietà: nel segno del frate esemplare “, un’iniziativa in favore dell’Associazione Cielo e Terra, Progetto Madagascar,che si è tenuta sabato,27 dicem-bre,festa di san Giovanni evangelista e,quest’anno,vigilia della Festa della Sacra Famiglia. Con commozione,nel corso della manifestazione,abbiamo ricordato,grazie alla regia di P.Gianfranco Grieco,l’indimenticabile padre Andrea Sorrenti-no,una delle figure più belle e care della storia religiosa e civile della Ravello del secolo scorso. Di padre Andrea abbiamo ria-scoltato la voce,rivisto l’azione pastorale svolta con umiltà e letizia francescana, abbiamo ricordato le “passioni”,in primis il canto liturgico. Sulle note del Cantico delle Creature di padre Stella e dell’Inno al Beato Bonaventura,tante volte suonate dall’indimenticabile frate,del quale è stato scoperto anche un busto nel “Campo dei fratini”,l’iniziativa ha voluto rilevare come proprio il Progetto Madagascar e la solidarietà siano il modo più bello per tenere vivo il ricordo di padre Andrea e onorarne l’opera svolta per tanti anni a Ravello. Il concerto del violinista Stefano Mhanna ha concluso degnamente la manife-stazione. Padre Grieco ha presieduto,domenica 28 dicembre,la

Messa in cui ab-biamo festeggiato le coppie che nel 2008 hanno ri-cordato il 25° e 50° anniversario di matrimonio. E’ stata una ceri-monia intima e affascinante che ha visto sette coppie ringraziare nel giorno della Festa della Santa Famiglia, anche in nome degli assenti, il Signore per il dono della fami-glia e per il traguardo fino a ora raggiunto. A loro il celebrante ha voluto ricordare l’importanza della famiglia e le tante mi-nacce che incombono sull’istituzione familiare a causa di leggi e di comportamenti, che nascono da una mentalità sempre più egoista, dimentica e non rispettosa della legge di Dio, una mentalità alla quale molti cristiani si sono adeguati. Sempre domenica 28, però nella serata, nella Pinacoteca del Duomo c’è stato un altro importante evento culturale. A cura dell’Associazione “Ravello Nostra” si è finalmente cominciata a ricordare la figura di don Giuseppe Imperato sen., a cinque anni dalla scomparsa avvenuta il 24 luglio 2003. La manifesta-zione dal titolo”Don Giuseppe Imperato: storico, cultore e pastore,”Un tributo alla memoria”ha visto al tavolo dei relatori il Sindaco di Ravello, Paolo Imperato, nipote del compianto sacerdote, docenti universitari, Gerardo Sangermano e Alberto White, appassionati e competenti studiosi della storia del Du-cato di Amalfi, il prof. Giuseppe Gargano e la dott.ssa Maria Carla Sorrentino, e tre sacerdoti, Mons.Giuseppe Imperato iun., parroco del duomo di Ravello, padre Gianfranco Grieco e don Angelo Antonio Mansi. Pur nella rapidità dei tempi i relatori hanno saputo tracciare di don Peppino un ritratto a tutto tondo. In particolare mons.Giuseppe Imperato iun. nel suo intervento ha voluto rilevare un aspetto fondamentale della personalità e dell’opera del sacerdote scomparso, ossia la solida formazione teologica che, iniziata negli anni 30, ha saputo ar-ricchirsi e aggiornarsi continuamente. Attraverso interessanti confronti con l’opera di altri sacerdoti ravellesi, il relatore ci ha fatto cogliere l’originalità e la competenza teologica di don Giuseppe Imperato nel trattare temi, ad esempio la figura di san Pantaleone, già affrontati dai suoi predecessori. Don Ange-lo Mansi ,dal canto suo,ha voluto ripercorrere tanti momenti dell’azione pastorale di don Imperato sen. Ha ricordato anche il rimprovero che don Peppino fece dall’altare ai ravellesi che non avevano partecipato ai funerali, celebrati in Cattedrale ad Amalfi, di don Francesco Camera, suo predecessore nella guida pastorale della comunità di Ravello.Chi scrive ha amaramente sorriso ricordando che il 25 luglio 2003 i ravellesi presenti ai funerali di don Peppino non furono certo numerosi. E le ese-quie si svolsero a Ravello! Il 31 dicembre con il canto del “Te Deum” ha voluto ringrazia-re il Signore per quanto ricevuto nell’anno,un anno che,come ha ricordato don Giuseppe Imperato nell’omelia,è stato ricco di eventi che ci hanno richiamato l’importanza della sequela di Cristo sull’esempio dell’apostolo Andrea del quale

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Ravello,come gli altri paesi della diocesi,ha per alcuni giorni potuto custodire e venerare la reliquia del Capo. Sotto lo sguardo materno di Santa Maria Vetrana,abbiamo il 1 gennaio meditato ancora sul Mistero del Natale,contemplando Colei che con il suo “fiat”ha accettato di diventare Madre di Dio e

Madre nostra. Abbiamo pregato per la Pa-ce ,assaporando le parole del messaggio di Benedetto XVI. Con il concerto di Capodanno tenuto a mez-zogiorno nella Pinacoteca del Duomo dal Trio Rhap-sody,la musica e il canto

hanno fatto eco a quanto avevamo celebrato nella Liturgia. Il nuovo anno è iniziato con un’altra bellissima iniziativa cultura-le sempre legata alla storia religiosa di Ravello: la visita a Palaz-zo Episcopio,tornato finalmente a essere patrimonio pubblico. Il dott. Luigi Buonocore e il dott. Salvatore Amato,con la competenza e l’amore per la storia di Ravello che li caratteriz-za,hanno guidato i visitatori all’interno dello stupendo edificio che,seppur bisognoso di restauri necessari per eliminare quan-to ne offende la dignità storica e artistica,fa da pendant al Duo-mo e si erge come vivida testimonianza della storia religiosa e civile di Ravello.Dal Palazzo Vescovile torniamo al Duomo per ricordare che nella Pinacoteca,sabato 3 gennaio, nella mattina-ta, c’è stato un singolare incon-tro dal titolo”Studi sull’acustica dei luoghi di Ravello:il Duomo e il Giardino di Wagner”,a cura del prof.ing. G.Jannace. Un lavoro che ha visto la collabo-razione anche dell’ingegnere ravellese Michele Mirra. Il pomeriggio,sempre nella Pina-coteca,sotto la guida di don Carlo Magna,i catechisti e gli altri operatori pastorali insieme con i cresimandi si sono preparati all’Ordinazione Diaconale di Giuseppe Milo,attraverso un interessantissimo sussidio audio-visivo che,commentato da don Carlo,ci ha fatto capire e vivere in anteprima quello che lune-dì,5 gennaio,avremmo visto e vissuto nella Cattedrale di Amal-fi.Forte di questa catechesi sul Diaconato un nutrito gruppo di ravellesi,in rappresentanza dell’intera comunità,presente anche il Sindaco di Ravello,ha partecipato nei Primi Vespri dell’Epifania alla Solenne Liturgia ad Amalfi nel corso della quale Giuseppe Milo,con altri tre accoliti,è stato ordinato Dia-cono da Mons.Soricelli che ha salutato e ringraziato le comuni-tà in cui i neo diaconi hanno prestato servizio. A Giuseppe Milo è toccato nel giorno dell’Epifania proclamare con il canto dal pulpito del Duomo di Ravello il Vangelo della solennità e dare l’Annunzio della Pasqua. Un inizio singolare del suo mini-stero diaconale: ricordare a noi ravellesi, attraverso l’Annuncio della Pasqua, che la vita e la storia di Ravello di ieri, di oggi e di domani avrà senso solo se noi ravellesi saremo in grado di guardare a Cristo, Signore del tempo e della storia.

Roberto Palumbo

DON GIUSEPPE IMPERATO: STORICO, PASTORE E CULTORE

Un tributo alla memoria

Domenica 28 dicembre 2008, alle ore 18.45, nel Duomo di S. Maria Assunta in Ravello, l’ Associazione Culturale “Ravello Nostra” insieme al al Comune di Ravello ha ricordato, con un incontro di studi, la figura di Don Giusep-pe Imperato senior a cinque anni dalla morte. Il sacerdote ravelle-se, nel suo lunghis-simo servizio di pastore e di stori-co, ha saputo riva-lutare la preziosa miniera di dati ine-diti contenuti nei fondi pergamenacei e cartacei degli archivi delle antiche sedi vescovili costiere. Tuttavia la severità del metodo critico è stata sempre accompa-gnata nelle sue opere da un linguaggio e da uno stile lirico e poetico. Ad esempio, descrivendo in una sua opera la Costiera Amalfitana, ripropose queste immagini: “Dalle cime disuguali dei monti, che si stagliano come guglie dentellate e creste se-ghettate, (la Costa) degrada con collinette sconvolte, promi-nenze ed insenature, cupi burroni e precipitosi dirupi, scoglie-re frastagliate e gole profonde”. Riusciva così ad attirare l’attenzione del lettore sull’asprezza dei luoghi, quasi mostran-doli. Indiscutibili prove dell’autorevolezza di questa polispecia-listica produzione sono i giudizi di storici e critici che ne hanno evidenziato i meriti. Fra gli altri quelli di Ernesto Pontieri: “ha saputo rievocare con viva intelligenza e calda passione le me-morie di codesta gloriosa e meravigliosa zona della Campania”, e di Luigi Einaudi: “gli scritti …rendono testimonianza della diligenza con la quale Ella ha tratto vantaggio dalla meditazione sui documenti serbati negli archivi…”. A questi lusinghieri pareri si aggiungono anche i premi alla cultura ricevuti dal Mi-nistero dei Beni Culturali per la pubblicazione del lavoro sulle bellezze di Ravello e sul commercio di Amalfi. Il programma dell’incontro ha previsto, dopo il saluto istitu-zionale da parte del Sindaco di Ravello, Avv. Paolo Imperato, interventi che hanno focalizzato l’attenzione sui risultati rag-giunti da Don Giuseppe Imperato nei diversi aspetti della sua produzione. Il Professore Gerardo Sangermano (Università degli Studi di Salerno) si è occupato del filone storiografico, evidenziando la capillarità delle ricerche e l’approfondimento dello studio dell’Imperato soprattutto nell’ambito delle fonti; il Professore Alberto White (Università La Sapienza Roma) occupandosi del contributo che Don Giuseppe Imperato ha dato nel campo della valorizzazione e tutela del patrimonio monumentale ravellese ha voluto ricordare la sollecitudine con cui volle l’istituzione del Museo del Duomo, ma anche la tri-stezza, tramutata in pianto, che lo colse di fronte ai furti che spogliarono le chiese cittadine e il Duomo tra gli Settanta e Ottanta. Continua a pagina 7

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L’attività di storico però non si è mai sostituita alla missione sacerdotale e pastorale. Meritava perciò attenzione anche que-sto aspetto. Così don Giuseppe Imperato junior ha analizzato i contenuti teologici della sua opera letteraria e precisamente i saggi dedi-cati al Beato Gerardo Sasso e soprattutto il profilo agiografico su S. Pantaleone, patrono di Ravello. Da quest’ultimo testo in particolare “emergono numerose le motivazioni teologico-pastorali, tra l’altre, richiamate sempre dal sacerdote scrittore nell’introduzione di ogni sua opera”. L’analisi dell’aspetto più strettamente pastorale è stato affidato a Don Angelo Antonio Mansi, la cui vocazione sacerdotale è nata proprio tra la schie-ra dei giovani che Don Giuseppe seguiva. Il Professore Giuseppe Gargano (Liceo Scientifico Ercolano Marini, Amalfi), ha illustrato i filoni di ricerca ancora aperti nello studio della storia della Costa d’Amalfi. A conclusione dell’incontro, come Presidente dell’Associazione “Ravello Nostra”, ho voluto non solo espri-mere la mia gratitudine a Don Giuseppe Imperato senior per aver aperto nella nostra comunità ecclesiale e civile la scia allo studio serio della storia locale, ma ho anche ricordato che pro-prio la ricerca storica, in un contesto territoriale come la Co-sta d’Amalfi, aiuta a comprendere come oggi possiamo consi-derarci la sintesi di un fortunato incontro di due mondi, quello occidentale e quello orientale. Incontro favorito dal ruolo cen-trale di Amalfi e del suo Ducato nel Mediterraneo medievale. Un ruolo che non si ridusse ai soli traffici commerciali, ma anche al confronto con diverse culture. Questa grande eredità dei nostri progenitori deve spingerci oggi a favorire sempre più un dialogo tra le sponde di questo mare, crocevia di civil-tà, affinché si parli sempre più di incontro e non di scontro.

Maria Carla Sorrentino

Sambuco: in scena la quinta edizione del Presepe Vivente

Si è rinnovata anche quest’anno a Sambuco, frazione di Ravello, la tradizionale rappresentazione del Presepe Vi-vente. La manifestazione, che si è svolta domenica 11 gennaio nel caratteristico borgo per celebrare la Reposi-zione del Bambino Gesù, ha visto impegnata tutta la co-munità di Sambuco che, per giorni, ha lavorato incessan-temente per mettere in scena questa straordinaria rap-presentazione del Presepe Vivente, attirando centinaia di visitatori provenienti dai paesi limitrofi e non solo. Realizzato per la prima volta nel 2005, di anno in anno è stato ampliato e arricchito con nuovi particolari, ed è ormai giunto alla sua quinta edizione, divenendo un e-vento irrinunciabile, non soltanto per i tanti fedeli che accorrono in visita, ma soprattutto per coloro che parte-cipano attivamente alla realizzazione e all’organizzazione di questa straordinaria rappresentazione del Presepe Vi-vente, curata sin nei minimi dettagli. Infatti, per gli abi-

tanti di Sambuco, tutto il periodo natalizio è dedicato all’organizzazione e alla lunga preparazione del Presepe, evento questo tra i più importanti offerti da Ravello e atteso ormai da quasi tutti i paesi della Costiera Amalfita-na. Domenica 11 gennaio Sambuco, per alcune ore, è ritor-nata indietro nel tempo rivisitando le botteghe delle arti e degli antichi mestieri, inscenate lungo la via principale del paese illuminata solo dalla fioca luce delle fiaccole. I visitatori si sono così ritrovati im-mersi in una sug-gestiva atmosfera tra il calzolaio e il fabbro, tra il fale-gname e il panet-tiere, tra il cera-mista e il mugna-io, tra le lavan-daie e le sarte. Un’atmosfera mista tra il magico e il sur-reale che per qualche istante ha fatto rivivere in tutti i fedeli uno tra i momenti più importanti della cristianità: la venuta al mondo del Messia con il suo riconoscimento come Dio da parte dei Re Magi. Come ogni anno, la processione del Bambino Gesù per le vie del paese, accompagnata dalle musiche tradizionali delle zampogne, il celebre lancio della stella che annuncia l’arrivo dei Re Magi con i loro doni, oro, incenso e mir-ra, e a conclusione la Santa Messa, celebrata per l’occasione da sua Eccellenza l’Arcivescovo Orazio Sori-celli. Al termine della serata, l’immancabile e tanto atte-sa degustazione dei dolci natalizi della tradizione locale, le gustosissime zeppole, preparate da alcune esperte mas-saie della frazione.

Elena Ruocco

Ciao Gesù…

“Arriva la Befana e tutte le feste porta via…” vero, ma solo in parte. Anche quest’anno è arrivato il sei gennaio: la Befana, i dolcetti, i regali, i Re Magi…E’ passato il sei gennaio: fine delle ferie, ritorno a scuola, via il presepe, via l’albero di Na-tele, gli addobbi per le feste, le luci si cominciano a spegne-re…ma, non del tutto. Giorno sette, infatti, la Parrocchia del Lacco era ancora tutta illuminata, addobbata a festa, e lo è stata per quasi tutto il mese, fine all’ultima domenica di gen-naio quando, per tradizione consolidata, c’è stata la “levata del Bambino”. Pastore di questa giornata e, ci auguriamo di tutti i giorni a fianco di Monsignore Giuseppe Imperato, è stato Don Pasquale che, durante la Celebrazione Eucaristica, spiegando le letture e il Vangelo, ci ha proposto l’interessante percorso del tempo liturgico dedicato alla prima parte della vita di Ge-sù, dalla nascita alla prima chiamata degli Apostoli. Quante volte abbiamo recitato e cantato in questo tempo “Gesù si è

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fatto carne, uomo tra gli uomini…”, solo che forse non ci abbiamo mai pensato veramen-te. Nel suo “farsi uomo”, Egli, ha accettato le debo-lezze, le sofferen-ze, i dolori di tut-ti. E’ nato in una grotta al freddo; i primi a credere in Lui sono stati dei pasto-relli, poveri e presumibilmente ignoranti; gli hanno reso omag-gio tre grandi Re, portandogli sì Oro, ma anche Incenso e Mir-ra; il Re Erode lo voleva ammazzare a pochi giorni di vita; non ha vissuto nel lusso e non sappiamo se almeno nell’agiatezza;…Quale uomo sarebbe disposto a ciò, o anche solo a parte di questo, sapendo poi che è tutto un percorso che porta alla morte, non per la propria salvezza, bensì per quella altrui? Bella domanda…risponderò con i versi di un canto liturgico “Risposta non c’è, o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà…” Qualcuno che ci ha creduto, però, già all’epoca c’è stato, i Primi Apostoli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. La-sciato tutto, Lo seguirono senza aver ricevuto denaro o altro, ma solo qualche parola “Venite dietro di me, vi farò diventare pescatori di uomini”. Si potrebbe affermare che i quattro sono andati proprio a fiducia, quella che spesso manca all’uomo mo-derno: in se stesso, negli Uomini, in Dio. Don Pasquale parla piano e sottovoce, e fa bene, questo ci costringe, infatti, a fare silenzio, ad ammonire il nostro vicino se ciarla, e anche a tene-re buoni i bimbi, se vogliamo capire qualcosa, e silenzio c’è stato dall’inizio alla fine della Celebrazione Liturgica. A causa delle avverse condizioni metereologiche, non è stato possibile allestire “l’incendio del Monte”, ma questo non ha sminuito né la festa, né il suo senso. Seppur sotto la pioggia, sacerdote e ministranti sono usciti percorrendo il perimetro della piazzetta antistante la Chiesa: processione doveva essere, e processione è stata, solo un po’ ridotta.; i membri del Comitato Festa, sotto l’acqua, sono usciti a sistemare i fuochi pirotecnici che hanno colorato il cielo della Parrocchia; ordinatamente, in fila, abbia-mo reso omaggio a Gesù Bambino; dopo la Celebrazione c’è stata l’estrazione della lotteria con a premio una Natività e un momento di condivisione con i dolci offerti dai parrocchiani stessi. In questa serata ci hanno tenuto compagnia anche le zampogne, come da tradizione, ora, bisognerà aspettare il ven-tuno di novembre per riudire il loro suono in Chiesa. Di qual-cuno non ho parlato, ma non me ne sono dimenticata…Il Bambinello era lì, ai piedi dell’Altare, al centro della Chiesa, tutti ci ha guardato, così come penso faccia ogni giorno a di-spetto nostro che forse l’abbiamo guardato solo questa dome-nica, perché era di fronte a noi. Uscendo dalla Chiesa un bam-bino si è girato, e rivolto verso la Statuina gli fa fatto “ciao” con la manina alzata. Ciao, è quello che diciamo a chi incontriamo per strada, a chi conosciamo, a chi sappiamo che ci risponderà, a chi rivedremo presto. Non sarebbe male dire anche a Gesù “ciao”, in fondo, cammina a fianco a noi, lo incontriamo nel prossimo per strada, in chi conosciamo, attraverso le Sue isti-

tuzioni ci risponde sempre, e poi se vogliamo, lo vediamo spesso, è, in noi stessi. Non facciamo “la levata” del Bambino anche da noi stessi, cerchiamo anzi di guardarlo più spesso, magari l’anno prossimo a Natale, non avremmo bisogno di “ri”-metterlo al suo posto, perché non lo abbiamo tolto, c’è già.

Elisa Mansi

La realtà e la speranza Piove, piove, piove…Sono due mesi che siamo quasi costante-mente innaffiati da questa pioggia e anche domenica 25, piove-va…Eppure il cancello del Monastero Redentorista Femmini-le, di buon mattino era già aperto, per quanti avessero voluto accettare l’invito all’incontro di Pastorale Giovanile Vocazio-nale, dal tema: “La realtà e la speranza”. Non è stato necessario chiamarci: chi a piedi, sotto l’acqua; che con un passaggio, chi con la macchina, e chi si è fatto accompagnare, alle 10:00 era-vamo riuniti nel salone in giardino, questa volta anche il parro-co è potuto essere presente, e con Padre Alfonso ci siamo im-mersi nel clima di raccoglimento delle Lodi Mattutine. Al loro termine, ha avuto luogo la lettura del Vangelo scelto per l’incontro, dal titolo “Il giovane ricco”, (Mt19,16-22). La bre-

ve lettura ci è scivolata addosso, proprio come la pioggia di questi giorni, niente di nuovo che ascol-tare come un altro giovane, non avesse capito la chiamata del Signore, restan-done “triste”.

Questo tipo di situazione, è frequente nella narrazione del Nuovo Testamento, e anche oggi non si scherza, basti pensare alla crisi vocazionale, dovuta, più al “non ascolto” che alla “non chiamata”…Padre Alfonso, però, durante la riflessione biblica, ha saputo indirizzare il nostro pensiero laddove non pensavamo di farlo giungere, cominciando ad analizzare una parola del testo sacro: “tale”. Non c’è un’altra indicazione per sapere chi quell’uomo fosse, è trattato dapprima come un’ombra, “un non si sa chi”, poi si scopre che è “il giovane”, perché Dio, ci conosce, uno per uno, e ci chiama per nome. Non ci ha stupi-to, invece, la tendenza a rispondere ad una domanda con un’altra, tipica di Gesù quando veniva interrogato, ma, una cosa è curiosa. Gesù risponde al tale di osservare i comanda-menti elencandogli solo quelli dal quarto al decimo, e il resto? Il Pastore conosce le sue pecore, Gesù sa che il tale non è pronto all’osservanza dei comandamenti che riguardano l’Amore indiscusso verso il Padre e il prossimo (dal primo al quarto) e lo provoca, elencandogli solo quelli che riguardano i rapporti tra gli uomini, spingendo, l’adesso “giovane”, a chie-dere ancora cos’altro gli mancasse per avere la vita eterna. E’ così, che si sente rispondere: ” se vuoi essere perfetto, và, ven-di quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cie-lo; poi vieni e seguimi”. Continua a pagina 10

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Sappiamo che la parola “perfetto” significa proprio “per fare”, tuttavia non è sul senso della perfezione che cade l’attenzione, bensì su quel “và” che, sta anche per “andare”, ma soprattutto, per “liberarsi da se stessi”. Il Vangelo non parla ancora delle ricchezze del giovane, come invece farà in seguito, sottoline-ando l’atteggiamento triste con il quale il giovane lascia Gesù, (poiché aveva molte ricchezze), eppure il giovane si sente dire di vendere quello che possiede, e soprattutto di lasciarsi alle spalle la propria esteriorità per una vita nuova. Non se lo a-spettava di certo, forse aveva una speranza diversa da quella che è invece stata la realtà delle risposte al suo interrogativo, e questo, oggi, è quotidianità. Tutti i giorni ci sono speranze, qualche volta si traducono in realtà, molto più spesso vengono da questa schiacciate e ben lo sapevano già gli antichi, di cui è il detto “chi di speranza vive, disperato muore”. Non perché non debba esserci una speranza, ma perché ci sia una giusta speranza. Un po’ intontiti da questa nuova chiave di lettura data al Vangelo, ci siamo recati in Chiesa e, nel raccoglimento che il sacro luogo richiede, abbiamo avuto il nostro momento di deserto, ideale per riflettere, con l’aiuto di domande guida, sul modo di vivere e la nostra capacità di discernere dal nostro io. Per la condivisione ci siamo divisi in due gruppi e nel grup-po “degli adulti”, c’è stata una sorpresa. Ciascuno di noi, ha dato una risposta diversa al significato della parola crescere, dal punto di vista del giovane ricco (obbedire alle regole; esse-re curioso di sapere; aver riconosciuto in Gesù un “Maestro”;…); di Gesù (donarsi; saper scegliere tra bene e male; liberar-si non solo di tutto materialmente, bensì anche delle proprie stereotipate convinzioni,…); e ovviamente personale (fare del bene; aiutare gli altri; essere responsabili per se stessi e per gli altri, imparare a perdonare…). Ciascuno di noi, si è interro-gato su cosa sia espressione di felicità (gli affetti, i traguardi raggiunti, la preghiera,…); su cosa poter fare per imparare a distinguere ciò che è vero ed essenziale (con la ragione; andan-do a sbattere il muso in ogni cosa; chiedendo consiglio,…); e su come si possono prendere le distanze dal “tutto e subi-to”( con l’educazione, con la conoscenza di se stessi, con l’auto-imposizione del “no”,…). Nessuno di noi, però, si è sentito in grado si condannare il giovane ricco per la sua tri-stezza. L’Evangelista non rivela esplicitamente quello che l’interlocutore di Gesù alla fine sceglie, ci comunica solo che se ne và ed è triste. Anche noi ci siamo sentiti tristi, tristi co-me lui, perché in lui, abbiamo riconosciuto noi stessi: le no-stre paure, il nostro perbenismo, la nostra curiosità e buona volontà di sapere, e di applicare? Forse anche Gesù si sarà sen-tito triste per quel rifiuto, e/o si sente triste per tutti i rifiuti che da duemila anni riceve…Dopo la condivisione, silenziosa-mente, ci siamo avviati verso il salone, abbiamo pranzato e continuato a discutere tra noi confrontandoci sulle nostre e-sperienze, la realtà nella quale viviamo e quella in cui speria-mo. Nel pomeriggio le Suore ci hanno proposto una diapositi-va che, sulle note del canto “Dall’aurora al tramonto”, proiet-tava immagini del creato, della Via Crucis, di preghiera, esem-pi d’impegno nel sociale, ed il testo (n.b. lo si riporta solo in parte) “E’ tempo di vivere, qui, ora, adesso,

dall’aurora al tramonto”. Al termine della proiezione, lo scorrere delle immagini è stato fermato su un veliero in mare, e lo stesso veliero, però ancorato e spoglio c’è stato proposto come attività formativa. Abbiamo riempito le parti vuote del veliero: l’albero maestro, il ponte, la stiva,…e l’ancora, iden-tificandole con le persone e le situazioni della nostra vita quo-tidiana. La più interessante è stata proprio la parte dell’ancora: ciascuno aveva il suo cartoncino con sopra disegnata questa ancora e dietro abbiamo scritto quel che più spesso ci tiene fermi, bloccati, e tutti i cartoncini sono stati affissi ad una ta-voletta di legno, “offerta” al Signore durante la Celebrazione Eucaristica. I giorni sono sempre troppo brevi, soprattutto se facciamo qualcosa che ci piace, e così anche quest’incontro, con la Messa, si è concluso. In molti pensano che passare un giorno dalle Suore, “chiusi dentro”, sia una perdita di tempo, ma dipende da come lo si vive. Ogni incontro ci mette una pulce nell’orecchio, motivo di riflessione, aiutandoci nel no-stro cammino di formazione cristiana. Sant’Alfonso diceva: ”Il tempo vale, quanto vale Dio”, e se per ognuno di noi il tempo vale qualcosa, allora anche Dio vale quel qualcosa, ed è su quel qualcosa, che si può fondare una speranza sicura, che nessuna realtà schiaccerà, perché è fondata sulla roccia.

Elisa Mansi

Lettera alle Famiglie Benedici la vita!

Febbraio 2009 Cara famiglia,

con la stessa vicinanza spirituale ed immutata stima mi rivolgo a te , in questi primi giorni del nuovo anno. Ogni tuo mem-bro, all’interno di te stessa, vive una stagione particolare della vita … e la vita, ogni vita, in ogni sua fase o momento, è un dono che non va sciupato, né disprezzato e offeso. Se è al tuo interno che essa sboccia, germoglia e si sviluppa, allena i tuoi componenti a considerarla sempre, anche quando essa comin-cia a sfiorire, un dono, attimo dopo attimo, da accettare e da condividere. Se la saprai valorizzare al tuo interno, ne sarai capace anche all’esterno, nella società in genere, scoprendone il senso in ogni sua espressione, a ogni livello e in ogni conte-sto. Ama la vita di tutti e scoprirai il senso della tua! Con la mia benedizione.

+ arcivescovo Orazio Soricelli

Carissimi, con la presente lettera vengo di nuovo a bussare alla porta del vostro cuore per invitarvi a proseguire il Cammino Pastorale da tempo iniziato per realizzare tra noi autentiche relazioni fraterne . In preparazione alla Celebrazione della Giornata della vita che celebreremo il 1° Febbraio, come battezzati, anche noi vogliamo riflettere su questo grande dono di Dio . Lo scopo del nostro incontro è quello di ravvivare le grandi certezze sul significato e sul valore che la vita ha , in ogni sta-gione , e sul dovere di ciascuno di benedire il Signore, fonte e datore della vita.

Il Parroco

SEGUE DA PAGINA 9

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PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Il 15 gennaio sembrava una giornata come tante: la placida quotidianità di una Ravello invernale, sonnolenta, trascor- reva tra lo stormire delle foglie e i lenti rintocchi delle cam-pane quando, improvvisamente, Eleonora Gambardella, dopo una vita lunga e laboriosa, ha raggiunto la meta del suo pelle-grinaggio terreno. Donna generosa, materna, rotta al sacrificio, “Nora”,operatrice attenta e solerte, dallo spiccato senso dell’ospitalità, apparteneva a quella generazione di ravellesi operosi, che hanno consentito la crescita turistica della nostra città. La sua passione per la caffetteria nasce negli anni Trenta quando, appena tredicenne, la “piccola Nora” iniziò a muovere i primi passi nel “Bar Moka”, di proprietà del padre Gaetano, tra le tradizionali macchine del caffè a leva, che la giovanissi-ma barista riusciva ad azionare solo grazie all’ausilio di una vecchia cassetta di birra Peroni, utilizzata, per l’occasione, a mo’di sgabello. Quella sarebbe stata la sua strada, percorsa con impegno e orgoglio: dopo anni di esperienza, nel 1953, Eleonora rilevò il ”Bar Moka” insieme al marito Luigi Buonocore, che, con il fratello Vincenzo, aveva affinato l’arte della pasticceria presso lo storico albergo Quisisana di Capri. Nel contratto, con cui veniva sancito il passaggio di proprietà, come curiosa clausola, il padre Gaetano si riservava, però, “il diritto a due caffè al giorno, vita natural durante”. Da quel momento Nora e Luigi scrissero le pagine più dolci di una Ravello d’altri tempi. Nel laboratorio delle delizie veniva-no preparati babà, pasticciotti, brioche, zeppole, pastiere così come sorbetti e gelati che conoscevano punte di eccellen-za nelle famose “cassate”, con pan di spagna, gianduia e crema cassata, preparate, con puntualità, in occasione della solennità di San Pantaleone. Probabilmente, tra queste brevi righe, qualcuno sarà ancora capace di ritrovare un’emozione, una dolcezza e, forse, di sentire “una tristezza non amara”, per usare un gioco di parole. Con grande spirito imprenditoriale “nonna Nora”, pioniera di quella “ravellesità” laboriosa, però, non si fermava e, nel 1961, inaugurava una seconda attività di somministrazione, a pochi passi dal Convento dei Frati Minori Conventuali: il “Bar San Francesco”. La vita, però,oltre alle grandi soddisfazioni, familiari e lavora-tive, avrebbe riservato al suo cuore di moglie e di madre co-centi spine, la perdita improvvisa del marito Luigi e del figlio Pippo, alcune a cielo aperto, altre, invece, chiuse nel suo ani-mo e nel suo silenzio. “Siamo tentati di tacere e di pregare soltanto di fronte a una vita avversata da momenti tragici: mu-ta nel suo dolore, Nora ha attinto la rassegnazione cristiana, rassegnazione che le ha fatto scoprire il senso e il calore della preghiera, in cui includeva i suoi cari”. Dopo la cessione del “Bar Moka”, negli anni della grande crescita economica di Ra-vello, Nora continuò la sua attività presso il Bar San Francesco, divenendo un punto di riferimento per l’intero rione. Fermarsi da lei per un caffè, o un té, rigorosamente preparato con le selezionate miscele importate dall’Inghilterra, che

riscuotevano l’unanime consenso deituristi, diventava quasi un rito. Per tutti Nora aveva una parola, un consi-glio, un sorriso. Quelle piccole attenzioni per clienti e amici, come il tradizio-nale pacchetto natalizio o pasquale, con i dolci tipici, preparati ancora secondo le ricetta del caro Luigi, sono state coltivate fino a quando il peso degli anni glielo hanno consentito. Chi ha avuto la gioia di entrare in colloquio intimo con lei non può che ricordarne la serenità, la semplicità, la bontà d’animo che le permetteva di “andare oltre”, di gioire per una nuova rosa sbocciata nel suo roseto, di assaporare appieno una lumi-nosa giornata d’inverno nel Viale dell’Immenso dell’amata Villa Cimbrone durante la passeggiata pomeridiana. “Come corre una cerva assetata al torrente a lungo cercato, così a te la mia anima anela, o Dio, che sei sorgente di vita. Di quest’acqua ha sete il mio cuore, di una fonte gorgogliante in eterno; quando finirà la mia corsa e il tuo volto potrò contem-plare?”. Questo salmo riesce ad esprimere, nel modo più com-pleto, i sentimenti di una donna che ha vissuto intensamente quel dono straordinario, la vita, senza, però, dimenticare la vera meta del pellegrinaggio terreno. “Pochi giorni fa mi sono trovato accanto a lei, nella sua stan-za, seduta in poltrona, vigile e presente, presa dal suo hobby preferito (le parole crociate), che ha subito interrotto, per farmi notare, tra l’altro, che era contenta di posare lo sguardo, attraverso la finestra della sua stanza, sul busto marmoreo di Padrea Andrea”, ha ricordato Padre Francesco Capobianco nell’omelia della messa esequiale. “Padre Andrea mi guarda. Fra non molto lo raggiungerò”, diceva, mentre, sola, nel silenzio rotto dal rimembrare i tristi eventi, dal suo animo affiorava con serena umiltà la fiducia e l’abbandono filiale alla misericordia divina. Ora “nonna Nora” è tornata alla casa celeste, realtà ineffabile e misteriosa verso cui tutti siamo incamminati. Nell’autentico “Viale dell’ Immenso” ha ritrovato in pienezza il suo cuore di moglie, di madre, ma soprattutto di figlia, che si abbandona teneramente nella braccia del vero Padre. Da quel-la realtà sovrumana e divina oggi Nora avvolge tutti con il suo spirito.

Luigi Buonocore

Un piccolo, dolce, ricordo...

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI FEBBRAIO La Messa Vespertina nei giorni festivi (sabato e domenica) sarà celebrata alle ore 18.00 e nei giorni feriali alle 17.30.

DOMENICA 1 FEBBRAIO—IV DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-18.00: Sante Messe

LUNEDI’ 2 FEBBRAIO—PRESENTAZIONE DEL SIGNORE (CANDELORA) Chiesa di Santa Maria delle Grazie

Ore 18.00– Santa Messe e Processione MARTEDI 3 FEBBRAIO—Memoria Liturgica di San Biagio

Ore 17.30 Santa Messa GIOVEDI 5 FEBBRAIO – S. Agata

Ore 17.30 Santa Messa e Adorazione Eucaristica Sabato 7 FEBBRAIO

Ore 18.00 – Nella Pinacoteca del Duomo: Mini-convegno a cura del MOVIMENTO PER LA VITA

DOMENICA 8 FEBBRAIO -V DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-18.00: Sante Messe

MERCOLEDI 11 FEBBRAIO Memoria della B.V. di Lourdes

Ore 18.00 Santa Messa per gli Ammalati GIOVEDI’ 12 FEBBRAIO

Ore 17.30 Santa Messa e Adorazione Eucaristica DOMENICA 15 FEBBRAIO—VI DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 08.00-10.30-18.00: Sante Messe GIOVEDI’ 19 FEBBRAIO

Nella Chiesa di Santa Maria del Lacco — GIORNATA EUCARISTICA Ore 8.00 Santa Messa-Esposizione dell’Eucaristia per l’Adorazione Continua

Ore 18.30 Celebrazione del Vespro e Benedizione Eucaristica DOMENICA 22 FEBBRAIO -VII DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 08.00-10.30-18.00: Sante Messe MERCOLEDI’ 25 FEBBRAIO– MERCOLEDI’ DELLE CENERI

Ore 18.00 Santa Messa e rito delle Ceneri GIOVEDI’ 26 FEBBRAIO

Ore 17.30 Santa Messa e Adorazione Eucaristica SABATO 28 FEBBRAIO

Ore 18.00: Messa Vespertina (I DOMENICA DI QUARESIMA)

FEBBRAIO '09 Candelora Gesto con cui si vuole far emergere il valore: Candele con i nomi dei bambini nati nell'anno. Cosa si vuole raggiungere: Attraverso il gesto dell'accensione delle candele con i nomi dei nuovi nati, i battezzati fanno esperienza della benevolenza nei confronti dei bambini e della responsabilità personale e comu-nitaria affinché la luce della fede rimanga sempre accesa. Motivazioni: La realtà che viviamo: all'interno delle nostre comunità serpeggiano sentimenti come invidia, malevolenza, gelosia che ci impediscono di accorgersi della ricchezza dell' altro che ci è accanto, come della bellezza e soprattutto della grazia di una nuova vita. L’ideale che vogliamo: una comunità attenta all'altro, capa-ce di ringraziare del dono di una nuova vita come grazia e bene-volenza del Signore verso l'intera società. La conversione che ci viene chiesta: accettare ogni vita

come un dono prezioso e non come una proprietà personale, prendere coscienza della sacralità della vita in tutte le sue fasi e del rispetto ad essa dovuto. Proposta su come realizzare il gesto: Attraverso la rete dei messaggeri viene portata alle famiglie, insieme ad un messaggio, una candela che verrà riportata in Chiesa durante la celebrazione del 2 febbraio. Alle famiglie con bambini nati nell'anno verrà consegnata una candela con il no-me del bambino. Durante la celebrazione la comunità parroc-chiale, insieme alle famiglie dei bambini, ringrazierà il Signore per il dono della vita. A livello diocesano si potrebbe organizzare un convegno dal tema: "Benedire la vita" (insieme: Pastorale Familiare e Associazione medici cattolici e Movimento per la vita) Il parroco preparerà un breve commento al significato del gesto che sarà letto da un membro dell'EPAP prima dell'attuazione del gesto.