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Individualismo vecchio e nuovo

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Una società più giusta e più stabile secondo Dewey si fonda su un individualismo capace di sviluppare le personalità individuali. Una distratta superficialità e il rapido cambiamento dei riferimenti simbolici sociali indotte dalla comunicazione di massa ha inibito lo sviluppo dei valori morali e sminuito la capacità dei singoli di comunicare e collaborare assieme. Questo libro fu scritto da John Dewey nel 1929, mentre incalzava la più grave crisi economica americana. La rivista d’avanguardia «The New Republic» pubblicò questi articoli, ancora profondamente attuali. Il pensiero di Dewey si adatta assai bene all’urgenza dei nostri tempi, alterna amarezza e speranza e indaga sulle opportunità da cogliere per una nuova prospettiva morale e sociale. Un nuovo individualismo, che infonda una responsabilità sociale pienamente consapevole della forza dei propri valori e della propria autonomia.

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La Ginestra

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Collana diretta da Ferruccio Andolfi e Italo Testa

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Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Cariparma

Si ringrazianoAnna Zaniboni e l’Archivio Carlo Mattioli di Parma

per la gentile collaborazione

In copertina

Ginestre di Carlo Mattioli

Individualism, Old and New

Traduzioni di Roberto Gronda

ISBN 978 88 8103 776 6

© 2013 Edizioni Diabasisvicolo del Vescovado 12 43121 Parma Italy

telefono 0039.0521.207547 [email protected]

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John Dewey

INDIVIDUALISMO VECCHIO E NUOVO

A cura di Rosa Maria Calcaterra

D I A B A S I S

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John Dewey

Individualismo vecchio e nuovo

Idee da vivere. Filosofia, scienza e democrazia nel pen-siero di John Dewey, Rosa Maria Calcaterra

La Casa divisa contro se stessa

“America” - In formule

Gli Stati Uniti, Spa

Lo smarrimento dell’individuo

Verso un nuovo individualismo

Socialismo capitalistico o socialismo pubblico?

La crisi della cultura

L’individualità ai nostri giorni

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La Casa divisa contro se stessa

Sta diventando sempre più un luogo comune affermare che sebbene nel pensiero e nel sentire, o perlomeno nel lin-guaggio che li esprime, viviamo in un tempo ormai passato, da qualche parte fra il tredicesimo e il diciottesimo secolo, fisicamente ed esteriormente apparteniamo al ventesimo se-colo. Tenendo presente questa condizione contraddittoria, non è dunque affatto sorprendente che i resoconti della vita americana, come ad esempio quello contenuto in Middle-town, indichino spesso come nostro tratto caratteristico una condizione mentale “perplessa” o “confusa”1.

Da un punto di vista antropologico viviamo in una cultura del denaro. Il suo culto e i suoi riti dominano. “Il medium dello scambio basato sul denaro e l’insieme delle attività as-sociate alla sua acquisizione condizionano profondamente le altre attività delle persone”. Naturalmente, tutto ciò è proprio come dovrebbe essere. Le persone non devono forse guada-gnarsi da vivere? E per cosa dovrebbero lavorare se non per denaro? E come dovrebbero procurarsi beni e piaceri se non comprandoli con il denaro, permettendo a qualcun altro di guadagnare ancora di più e, in seguito, di aprire negozi e fab-briche così da dare lavoro ad altri ancora. Di conseguenza, quest’ultimi guadagnano una maggiore quantità di denaro e consentono ad altre persone di guadagnare di più vendendo i prodotti – e così via all’infinito. Fino a questo punto tutto va per il meglio nella migliore delle civiltà possibili: il nostro robusto (o forse logoro?) individualismo.

E se il modello di sviluppo della nostra civiltà fa sì che la società sia divisa in due classi, il gruppo dei lavoratori e il gruppo degli uomini di affari (inclusi i professionisti), con la

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prima classe grande due e volte e mezzo la seconda, con l’am-bizione massima da parte dei genitori appartenenti alla classe dei lavoratori che i loro figli possano salire nella classe degli uomini di affari; tutto questo avviene senza dubbio perché il modo di vita americano offre ad ogni individuo opportunità senza eguali di prosperare secondo i propri meriti. Se pochi operai sanno cosa stanno facendo o conoscono il significato del loro lavoro, e un numero ancora minore sa cosa ne sarà del prodotto delle proprie mani – nella più grande industria di Middletown forse soltanto lo 0,10 per cento della produ-zione viene consumato sul territorio – questo avviene senza dubbio perché abbiamo talmente perfezionato il nostro si-stema di distribuzione che l’intera nazione è ormai una cosa sola. E se la massa dei lavoratori vive nella paura costante di perdere il proprio posto di lavoro, questo avviene senza dub-bio perché il nostro entusiasmo per il progresso, che si mani-festa nel cambiamento delle mode, nell’invenzione di nuove macchine e nella capacità di sovrapproduzione, mantiene tutto in movimento. La nostra ricompensa dell’operosità e della parsimonia è regolata in modo talmente accurato sulla capacità individuale che è considerato naturale e adeguato che i lavoratori guardino con terrore ai cinquanta o cinquan-tacinque anni, quando verranno messi da parte perché inutili.

Tutto questo lo diamo per scontato – lo trattiamo come un lato inevitabile del nostro sistema sociale. Stigmatizzarne il lato oscuro è come bestemmiare contro la nostra religione della prosperità. Ma si tratta di un sistema che richiede una filosofia difficile e faticosa. Se si guarda ciò che facciamo e ciò che avviene e poi si pensa di trovare una teoria della vita che sia in armonia con la situazione effettiva, si rimarrà scioc-cati dalle contraddizioni in cui ci si imbatte. Infatti, lo stato di cose richiede di abbracciare un completo determinismo economico. Viviamo come se le forze economiche determi-nassero lo sviluppo e la caduta delle istituzioni e stabilissero il destino degli individui. Libertà sta diventando un termine

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quasi obsoleto: partiamo, ci muoviamo e ci fermiamo al se-gnale di una grande macchina industriale. Inoltre, il sistema esistente sembrerebbe implicare uno schema di valori distin-tamente materialista. Il valore è misurato dalla capacità di cavarsela o di primeggiare in una competizione economica. “Nel segreto di case sciatte o ambiziose, il matrimonio, la nascita e la crescita dei bambini, la morte e i drammi perso-nali della vita familiare vanno avanti. Tuttavia, non sono tan-to queste urgenze funzionali della vita a determinare quanto favorevole debba essere questa necessità fisica, ma piuttosto la componente estrinseca data dai guadagni del padre”. La filosofia più adatta a una situazione di questo tipo è la lotta per l’esistenza e la sopravvivenza di chi è economicamente adatto. Ci si aspetterebbe che l’attuale teoria della vita, se deve riflettere la situazione concreta, sia il Darwinismo più radicale. E, per concludere, sembrerebbe naturale ritenere che i tratti personali più apprezzati siano la percezione lucida del vantaggio personale e l’ambizione risoluta volta a assicu-rarselo ad ogni costo. Il sentimento e la simpatia sarebbero tenute in scarsissima considerazione.

È superfluo affermare che l’attuale concezione della vita in Middletown, così come in ogni città, non è nulla di que-sto tipo. Niente dà a noi americani un senso di orrore mag-giore che il sentire che un poveretto malaccorto, in un an-golo disgraziato della terra, predica ciò che noi mettiamo in pratica – e mettiamo in pratica molto meglio e in modo più efficiente di qualsiasi altro –, cioè il determinismo economi-co. La nostra intera teoria consiste nel ritenere che l’uomo progetti e usi le macchine per i propri scopi umani e morali, invece di essere condotto là dove la macchina lo porta. Non il materialismo, ma il nostro idealismo è probabilmente la filosofia più “gridata” e praticata che il mondo abbia mai conosciuto. Lodiamo persino i nostri uomini di maggiore successo non per la loro spietata ed egocentrica energia nel primeggiare, ma per il loro amore per i fiori, per i bambini,

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per i cani, o per la loro bontà nei confronti dei parenti an-ziani. Chiunque esorti in modo schietto a una concezione egoista della vita viene disapprovato da tutti. Nel momento in cui la famiglia sta scomparendo e i divorzi sono aumenta-ti in una sola generazione del seicento per cento, assistiamo alla più ampia e sentimentale esaltazione della sacralità del-la famiglia e della bellezza dell’amore duraturo che la storia ricordi. Siamo sovraccaricati di altruismo e bruciamo dal desiderio di servire gli altri.

Queste sono soltanto alcune delle evidenti contraddizio-ni che esistono tra le nostre istituzioni e le nostre abitudini, da un lato, e il nostro credo e le nostre teorie, dall’altro – contraddizioni che un’indagine su una qualsiasi fra le nostre Middletown è in grado di rivelare. Non sorprende che gli abitanti di queste città siano sconcertati, inquieti, senza pace, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e di differente, sol-tanto per trovare, generalmente, le stesse cose in una veste nuova. Si potrebbe forse riassumere quanto detto affermando che in nessun luogo e in nessun tempo la religione è mai stata così tanto rispettabile quanto lo è ora fra noi e, allo stesso tempo, così completamente priva di relazioni con la vita. Ho qualche imbarazzo a soffermarmi su ciò che viene rivelato da questo libro sulla vita religiosa in Middletown. L’esaltazione della religione, che pone il sigillo decisivo di approvazione sul successo economico e fornisce la spinta propulsiva per una lotta più energica per ottenere tale successo, e l’adozione da parte delle chiese dei più recenti stratagemmi del cinema e dell’inserzionista si avvicinano molto all’osceno. L’educazio-ne è sviluppata al punto che un numero di studenti maggiore di quello delle altre nazioni frequenta le scuole superiori; e la metà degli studenti agli ultimi anni della scuola superiore pensa che i primi capitoli delle Sacre Scritture ebraiche of-frano una spiegazione dell’origine e dei primordi dell’uomo più accurata di quanto faccia la scienza, e soltanto un quinto dissente con forza. Se l’indagine fosse stata condotta quando

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un certo questionario venne distribuito fra i nostri studenti, è probabile che la consueta percentuale di giovani avrebbe registrato la convinzione che Harding fosse il più grande uomo al mondo. In altre parole, l’intera situazione si può ri-assumere confrontando ciò che sta effettivamente accadendo alla vita familiare e la completa secolarizzazione delle attività quotidiane con ciò che viene detto dal pulpito, ovvero che “le tre parole più importanti della lingua inglese sono madre, casa e paradiso” – un’osservazione che verrebbe senz’altro accolta in qualsiasi uditorio tipicamente americano.

Fa poca differenza se si scelgono aspetti importanti op-pure di poco conto a proposito della contraddizione fra la nostra vita così come la conduciamo esteriormente e i nostri pensieri e sentimenti – o perlomeno ciò che noi diciamo es-sere le nostre credenze e i nostri sentimenti. La vera doman-da è: qual è la causa di questa divisione e contraddizione? Naturalmente, c’è chi la attribuisce al fatto che, siccome le persone sono in generale imbecilli e fesse, devono recitare la parte che è stata loro assegnata. Questa “spiegazione” non ci porta molto lontano, anche nel caso la si accetti. Le parti-colari forme di questa presunta stupidità sono lasciate quasi completamente prive di spiegazione. Inoltre, più si conosce la storia, più si è portati a credere che le tradizioni e le isti-tuzioni giochino un ruolo più importante nel render conto delle cose di quanto facciano le capacità o incapacità natura-li. È piuttosto evidente che la rapida industrializzazione del-la nostra civiltà ci ha colti alla sprovvista. Dal momento che siamo impreparati sia mentalmente sia moralmente, le nostre vecchie convinzioni si sono radicate. Più ci allontaniamo da queste convinzioni nei fatti, più le declamiamo a gran voce; di fatto, le trattiamo come se fossero delle formule magiche. Ripetendole abbastanza spesso, speriamo di tenere lontani i mali della nuova situazione, o perlomeno speriamo di impe-dirci di vederli. Quest’ultima funzione è svolta con grande efficienza dalle credenze che professiamo.

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Pur avendo un enorme controllo dei mezzi e pur padro-neggiando una tecnologia affidabile, glorifichiamo il passato, legittimiamo e idealizziamo lo status quo invece di chiederci seriamente come dobbiamo utilizzare i mezzi a nostra di-sposizione per creare una società equa e stabile. Questa è la nostra grande rinuncia. Spiega come e perché siamo una casa divisa contro se stessa. La nostra tradizione, la nostra eredità è a sua volta duplice. Contiene in sé l’ideale di uguali possibilità e libertà per tutti, senza alcuna distinzione di na-scita e classe, come una condizione per l’effettiva realizzazio-ne dell’uguaglianza. Questo ideale e lo sforzo per realizzarlo un tempo costituivano l’essenza dell’americanismo, ciò che veniva apprezzato come il marchio di un nuovo mondo. È l’elemento genuinamente spirituale della nostra tradizione. Nessuno può sinceramente affermare che è completamente scomparso. Tuttavia, la sua promessa di un nuovo punto di vista morale e religioso non è stata mantenuta. Un tale punto di vista non è diventato la sorgente di un nuovo consenso intellettuale; non è (nemmeno inconsciamente) la fonte vitale di alcuna filosofia peculiare e condivisa. Dirige la nostra po-litica soltanto in modo intermittente e, mentre ha dato vita a numerose scuole, non controlla i loro scopi o i loro metodi.

Nel frattempo, le nostre istituzioni incorporano un’altra tradizione, più antica. L’industria e gli affari condotti per il profitto economico non sono niente di nuovo. Non sono il prodotto della nostra epoca e della nostra cultura; giungono a noi da un passato lontano. L’invenzione delle macchine, tuttavia, ha dato loro un potere e un’estensione che non han-no mai avuto nel passato da cui derivano. Il nostro diritto e la nostra politica, i rapporti fra le persone dipendono da una nuova combinazione di macchine e denaro, il cui risultato è la cultura monetaria caratteristica della nostra civiltà. Il fatto-re spirituale della nostra tradizione, uguali opportunità, libe-ra associazione e libera comunicazione reciproca, è offuscato e messo da parte. Al posto dello sviluppo delle individualità

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che quella profetizzava, si assiste alla perversione dell’intero ideale dell’individualismo in modo tale da conformarsi alle pratiche di una cultura economico-monetaria. L’individua-lismo è diventato la fonte e la giustificazione delle disugua-glianze e delle oppressioni. Da qui derivano i nostri compro-messi e i conflitti in cui i fini e i criteri sono confusi al di là di ogni possibile riconoscimento.

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LA GINESTRABiblioteca per un individualismo solidale

Da due secoli, di fronte alla crisi delle rassicuranti comunità naturali e all’accelerazione dei processi di individualizzazione, filosofi e pensatori sociali si sono posti il compito di costruire teorie nelle quali la coesione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sé di individui emancipati. La collana La ginestra documenta l’esistenza di questa tradizione di individualismo solidale attraverso i testi di autori classici e contemporanei.

Titoli pubblicati

Georg SimmelFriedrich Nietzsche filosofo moraleA cura di Ferruccio Andolfi

Harry G. FrankfurtCatturati dall’amoreA cura di Gianfranco Pellegrino

Ralph Waldo EmersonSocietà e solitudineA cura di Nadia Urbinati

Gustav LandauerLa rivoluzioneA cura di Ferruccio Andolfi

Pierre LerouxIndividualismo e socialismoA cura di Bruno Viard

Theodor W. AdornoLa crisi dell’individuoA cura di Italo Testa

Zygmunt BaumanIndividualmente insiemeA cura di Carmen Leccardi

Friedrich D.E. SchleiermacherMonologhi. Un dono di CapodannoA cura di Ferruccio Andolfi

Ágnes HellerLa bellezza della persona buonaA cura di Brenda Biagiotti

John DeweyIndividualismo vecchio e nuovoA cura di Maria Rosa Calcaterra

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Questo librodi John Dewey

decimo della collana La Ginestranata dall’amicizia e dal lavoro comune

individuale e solidaletra l’Associazione omonima

e le Edizioni Diabasisviene stampato

nel carattere Simoncini Garamonda cura di PDE Spa

presso lo stabilimento di L.E.G.O. Spa - Lavis (TN)per conto di Diabasis

nel settembre dell’annoduemilatredici

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