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LA MIA VOCE FUORI DAL CORO INTERVISTA A PASQUALE “SQUAZ” TODISCO a cura di Guglielmo Nigro Nelle giornate di lunedì 21 e 28 settembre 2015 ho incontrato Pasquale “Squaz” Todisco a casa sua. Avevo in mente da tempo di condurre con lui una lunga intervista, che ripercorresse tutta la sua carriera di fumettista. Ci siamo quindi presi tutto il tempo, abbiamo sorseggiato delle tisane alla cannella, e ci siamo dedicati a una delle facoltà che piacciono di più all'essere umano, il racconto. In questo caso, il racconto di un pezzo di vita, quella di Squaz, ha seguito cronologicamente la pubblicazione dei suoi lavori, ma ci ha offerto anche l'opportunità di aprirci a diverse considerazioni sul ricordo, sul fumetto, sulla società e la creatività. Per queste ragioni, sono convinto che leggere per intero questa lunga intervista possa essere interessante per conoscere meglio un autore originale, che ha ancora molto da raccontare, e che forse deve ancora riservarci il meglio della sua produzione negli anni a venire.

Intervista a Pasquale Squaz Todisco

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Una lunga intervista a Squaz, un autore e una persona interessante, originale e alla continua ricerca di una sua "voce". Ripercorriamo tutta la sua carriera, con tantissime immagini e una breve storia inedita finale.

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LA MIA VOCE FUORI DAL CORO

INTERVISTA A PASQUALE “SQUAZ” TODISCOa cura di Guglielmo Nigro

Nelle giornate di lunedì 21 e 28 settembre 2015 ho incontrato Pasquale “Squaz” Todisco a casa sua. Avevo in menteda tempo di condurre con lui una lunga intervista, che ripercorresse tutta la sua carriera di fumettista. Ci siamo quindipresi tutto il tempo, abbiamo sorseggiato delle tisane alla cannella, e ci siamo dedicati a una delle facoltà chepiacciono di più all'essere umano, il racconto. In questo caso, il racconto di un pezzo di vita, quella di Squaz, haseguito cronologicamente la pubblicazione dei suoi lavori, ma ci ha offerto anche l'opportunità di aprirci a diverseconsiderazioni sul ricordo, sul fumetto, sulla società e la creatività. Per queste ragioni, sono convinto che leggere perintero questa lunga intervista possa essere interessante per conoscere meglio un autore originale, che ha ancora moltoda raccontare, e che forse deve ancora riservarci il meglio della sua produzione negli anni a venire.

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Squaz (Pasquale Todisco) è fumettista e illustratore nato a Taranto nel 1970, ha collaborato con alcune delle maggioririviste italiane (XL di Repubblica, Frigidaire, Rolling Stone, Inguine Ma(h(gazine, Il Male, Linus, Internazionale, LaLettura). Ha realizzato disegni e copertine per Feltrinelli, Yoox.com e Cohn&Wolfe, e per vari musicisti tra i qualiTsigoti, Daniele Sepe e Caparezza.E’ autore di graphic-novels come “Pandemonio” (su testi di Gianluca Morozzi), “Minus Habens”, “Dimmi La Verità”“Macchina Suprema” (in collaborazione con Gianluca Costantini e Armin Barducci, su testi di Giovanni Barbieri) e“L’Eredità”. Il suo ultimo libro è “Tutte Le Ossessioni di Victor” su testi di Davide Calì. Con il collettivo DUMMY hapubblicato il volume a fumetti “Le 5 Fasi”.

GLI INIZI

Comincerei dall'inizio. Come ti sei avvicinato al disegno e alla narrazione per immagini? Che studi hai fatto?Avevi qualche familiare che già si esprimeva in questo ambito?Non ho avuto nessun esempio in famiglia. Una famiglia normale, di insegnanti che lavoravano nella scuola pubblica.Mi sono avvicinato ai fumetti da lettore.

Con cosa?Mah, i primissimi sono stati i supereroi Marvel, tramite un cugino che ne aveva la casa piena.

Quindi periodo Corno?Si, gli Eterni di Kirby, sono stati tra le primissime cose. Anche se a quel tempo Kirby non mi piaceva molto e l'horecuperato dopo. Gli preferivo Romita che aveva un segno più rassicurante. Che fesso che ero! Poi l'Uomo Ragno,Capitan America, tutto il mondo Marvel… e ancora, tramite l'Editoriale Corno, Alan Ford. Che è stato l'incursione nelgrottesco.

Quindi Magnus?Certo, Magnus. Anche se ho iniziato che Magnus non disegnava più Alan Ford. Alle matite c'era già Piffarerio, che peròriprendeva gli stilemi di Magnus. Poi, a ritroso ho ripreso gli “originali”. Sto tralasciando Topolino. Ma i fumetti che mi hanno fatto venire voglia di disegnare sono stati i supereroi. E ancheLucky Luke del quale ho ritrovato di recente i vecchi volumi con i segni delle tavole ricalcate. Le ricalcavo proprio conla carta copiativa.

Perché hai iniziato a disegnare? Come hai trovato il gusto di studiare e sperimentare?Ma io l'avevo anche un po’ perso il gusto di disegnare fumetti. Forse perché ci sono stati anni in cui non ne ho più letti.C’erano i cartoni animati in televisione e io guardavo (e disegnavo) quelli. Dai 15 ai 18 anni poi non ne leggevo propriopiù. Ero diventato quasi troppo grande per i supereroi e non trovavo qualcosa che fosse adatto alle mie necessità.

C'è un libro di Linda Berry (Picture This), un'artista americana, che harealizzato un lavoro molto artistico dove ripercorre i motivi per cui ibambini smettono di disegnare. Lei sostiene concettualmente che da piccolitutti i bambini hanno voglia di disegnare, poi ci sono tutta una serie dimotivi, soprattutto di tipo educativo, che ti portano a smettere di disegnare.Per esempio mi hai fatto venire in mente che Linda rappresentaironicamente il ricordo di sua madre che la sgridava quando si metteva acolorare le figure. Quindi la mia domanda è, perché non hai smesso didisegnare? Anzi hai ricominciato a farlo?Io ho smesso più che altro di leggerli, e quindi di nutrirmi. Credo che ilpassaggio per cui dal disegno del bambino sia diventato qualcos'altro sia dovutoal fatto che ho avuto sempre dei riscontri di apprezzamento sia in famiglia chefuori, per esempio tra i compagni di scuola. Avevo lo status del bravissimodisegnatore e questo rinforzava la mia identità. Cosa che sta succedendo anchecon mio figlio, peraltro.

Ho visto delle cose che hai pubblicato in coppia con tuo figlio.(Ride) Quello è più bravo di me!Io sono stato incoraggiato in quel senso. Non erano più cose da bambino, e mi sembrava una cosa importante chesapevo fare solo io.

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Allora dove vivevi?A Taranto. Ho vissuto lì fino ai 18 anni.

E che tipo di clima culturale ed educativo c'era allora a Taranto?Taranto era ed è una città di tipo industriale, alcuni dicono a vocazione industriale, ma in realtà lo dicono quelli chel'industria ce l'hanno messa. La vocazione non l'ha mai avuta (ride). Era una città che aveva conosciuto in tempirelativamente recenti il benessere economico perché tutti lavoravano. Ovviamente era monotematico, perché lavoravanotutti o all'ex Italsider ora Ilva, o alla Marina Militare, sia come militari che come civili. Era una città monoculturale daquel punto di vista. Che io ricordi, di spazi artistici non ce n'erano. Non ce n'era la necessità perché tutti sipreoccupavano di dover comprare la lavatrice.

E dei tuoi compagni che ricordi hai?Non lo so, io ricordo che andavamo a casa uno dell'altro a giocare. In genere, sono ricordi felici. Ma ricordo anche dibambini che non avevano proprio nulla. Io ero un privilegiato rispetto a loro. Facevo parte di una famiglia media, diinsegnanti, benestanti e con degli strumenti culturali in più. A volte andavo a casa di compagni che avevano un sologiocattolo e si facevano bastare quello che avevano. Oppure avevano situazioni familiari pesanti, insomma. Mi ricordoil padre di un bambino che mi terrorizzava. Sembrava una persona violenta, mi incuteva paura. Mi confrontavo conmondi diversi da quelli di casa mia. Poi tornavo a casa e tiravo un sospiro di sollievo. Qui da noi, oggi, vedo piùomogeneità. O siamo diventati tutti poveracci allo stesso modo oppure siamo tutti un po' benestanti.

Quando hai ripreso a disegnare fumetti? A che età?Verso i 18 anni. Avevo smesso di leggere, come dicevo. Quindi mi dedicavo più al disegno che alla narrazione.

E cosa disegnavi in quel periodo?Fino agli 11/12 anni io copiavo proprio Magnus. I nasi, i trattini, le orecchie. I vezzi. Le dita tutte della stessa misura,l'indice uguale al medio. Ma anche Topolino. Copiavo tutti perché stavo assimilando. Sono stato uno di quelli che hamandato la lettera a Topolino con il disegno. E l'ho anche citato tempo fa perché proprio mentre stavo facendo uno diquesti disegni ci fu il terremoto dell'Irpinia del 1981. Disegnavo Topolino quando iniziò a tremare il lampadario. Noivivevamo al settimo piano e i palazzi sembravano dei metronomi. Avevo appunto 11 anni. Quindi Topolino me lo sonoportato avanti un bel po'.

Hai sempre avuto interesse solo per i fumetti, o anche per altre forme di disegno?No, sempre legato ai fumetti. L'imprinting è stato quello lì. Non nutrendomi più di fumetti tra i 14 e i 17 anni avevoperso lo stimolo a raccontare per immagini. Mi limitavo a disegnare e basta. Il tratto era sempre fumettistico. A volte,disegnavo le statue e quello che vedevo in giro. Avevo sempre qualcosa con cui disegnare. È sempre stata la mia formadi autogratificazione.

Ti ricordi le prime storie che hai realizzato?Sì, le abbiamo anche messe su internet con Marta Cerizzi sul blog da lei curato, Ciucci, che ha pubblicato i disegnidell'infanzia di molti fumettisti (http://ciucci.blogspot.it/2008/10/squaz.html). Parodie dei supereroi esistenti in storieumoristiche. Avevo nove anni. C'era l'Uomo Bagno contro Bulk, che poi spillavo e vendevo a mia madre. Avevo giàtracciato la strada dell'autoproduzione (ride). Riprendevo un'idea che già la Marvel faceva, con le parodie di pochepagine. Poi ho ricominciato a leggere fumetti con Pazienza, a 18 anni. Era già il 1988. Mi sembra che Pazienza fosse già morto.Ho recuperato Pazienza e lì mi è tornata la voglia di raccontare per immagini.

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E hai copiato anche Pazienza?Eh, a voglia. A riuscirci! (ride)

Che cosa è rimasto di quelle matrici? Di Magnus mi sembra evidente l'influenza, nella linea pulita, nella ricercafortemente iconica del tratto, soprattutto quando era costretto a semplificare e correre per rispettare leconsegne. Mi sembra tu sia interessato più a un tratto iconico che decorativo. Sì, e più passa il tempo e più mi interessa l'essenziale che il bel disegno. Voglio raccontare con meno segni.

In quale momento hai pensato di poter fare davvero l'autore di fumetti?Tardi, perché non avevo nulla da raccontare, prima. Il fumetto ha bisogno di storie e personaggi. A me non venivano inmente. Quindi ho fatto una scuola di illustrazione per vendere i miei disegni e le mie illustrazioni. A 18 sono venuto aMilano per fare l'Istituto Europeo del Design e sono rimasto a Milano da allora. È stata una scelta appoggiata dai mieigenitori che mi hanno pagato il corso e la trasferta. Ho fatto tre dei quattro anni previsti. L'ultimo anno era legato più acome costruire un portfolio e relazionarsi agli editori e ho deciso di non farlo, che avrei potuto imparare da me. Avevo bisogno di imparare le tecniche. E ho fatto l'investimento per costruirmi una professione soprattutto nell'ambitodell'illustrazione. I miei primi anni alla fine della scuola sono stati da illustratore. Ho lavorato per la San Paolo editore,per un semestrale che si chiamava il Millimetro. Facevo le illustrazioni a corredo degli articoli. Poi collaborai perun'altra rivista milanese, tipo rivista di strada, distribuita in modo gratuito. Si parlava di tutto. Focalizzata sulla città diMilano (Milano Magazine).

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Che stile avevi allora?Usavo gli ecoline, i colori ad acqua. Pasticciavo con i pennelli. Stavo cercando uno stile. Non ricordo a cosa guardassiin quel periodo, credo a Folon. Nel tempo ho fatto cose sempre più raffinate e commerciali. Non mi riconosceresti pernulla. Quel lavoro mi ha portato poi a definire uno stile che mi ha permesso di lavorare per il Diario della Settimana diEnrico Deaglio.

Come hai avuto il contatto con Deaglio?Sono andato a Roma, ho presentato il mio book, come ci insegnavano a scuola.Ho lavorato con il Diario per qualche anno. Poi con ditte che avevano bisogno di brochure. Tra l'altro, PaoloInterdonato (http://sparidinchiosto.com) lavorava per una di queste. Lui ha scoperto tempo dopo che i disegni chetrovava sulle brochure erano i miei (ride). Poi sono entrato in contatto con il mondo del fumetto.

I primi contatti quindi quali sono stati? Autori o editori?

Illustrazione professionale con ecoline

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Autori. Gli editori li ho conosciuto tardi. Il primo con cui sonoentrato in contatto è stato Alessandro Staffa (Alepop), incontrato auna festa di Legambiente dove entrambi facevamo i volontari. Inprovincia di Livorno. Conobbi poi Diavù. Insieme stavano facendola rivista Katzivary. Così ho conosciuto la scena underground diMilano, quindi Marco Teatro e Stefano Vandalo e compagnia bella,con i quali è stato realizzato l'Happening Underground nei varicentri sociali, per approdare infine al Leoncavallo. Nel frattempo ionon avevo ancora pubblicato un solo fumetto. E siamo nel 1993, misembra. Quasi contemporaneamente avevo iniziato a fare i miei primiracconti brevi con Interzona, la fanzine di Torino. Il primissimofumetto uscì però con Schizzo del CFAP (Centro Fumetto AndreaPazienza). Interzona ha iniziato a pubblicarmi regolarmente ma eroirriconoscibile.

Adesso sto guardando Entertainment che raccoglie le tue primestorie e vedo uno stile già riconoscibile. Sì, quella raccolta contiene le prime storie che hanno segnato il miocambiamento di stile. Ma non sono le prime in assoluto.

Entertainment è uscito nel 2005. Sono storie che hai realizzatoappositamente per il volume?No, le avevo già realizzate in precedenza, ma di poco. La collanaper cui è uscito Entertainment che si chiamava Nonzi faceva numeri

tematici di collettivi di fumettisti ed era curata da Valerio Bindi e Alessio Spataro. Una storia era già uscita in unnumero di Nonzi. Io avevo realizzato altre storie per futuri numeri che però non uscirono mai.

Quindi il tuo stile nasce intorno al 2003, 2004? E cosa ti ha portato a questa definizione, che in parte è visibileancora oggi? Penso a un certo modo di usare la prospettiva, i baloon ricercati, il segno molto pulito...All'epoca quelli che mi piacevano come disegno erano Charles Burns e Stephane Blanquet. Dei quali però non miinteressava più di tanto riprendere le tematiche. Non cercavo il delirio, ma qualcosa di più fermo e controllato. Alcunecose forse le ho riprese da Igort, Carpinteri e dal gruppo Valvoline. In ogni caso ero stufo dell'indeterminatezza del miotratto e ho fatto scelte chiare.

L'influenza di Charles Burns è sempre molto forte.É un fantasma da cui cerco di liberarmi ogni volta, certo.

E cosa ti ha colpito così tanto di lui? Visto che la definizione del tuo stile è nato intornoai codici visivi di Burns, per certi versi?Quando ho visto Burns ho pensato che stava facendo proprio quello che avrei voluto io.All'inizio io l'ho ripreso completamente. Utilizzavo il suo segno ma raccontavo storiediverse. Avevo però una sensibilità diversa. Quando leggi Burns spesso sembrano fatte daun robot. Sono fredde, come se il fattore umano fosse stato rimosso.

Mi ricorda un po' Martin, come freddezza, come distanza tra i personaggi e il lettore.Sì, in parte è così. Non credo sia del tutto vero che non si crei empatia con il lettore. Ma è unprocesso ambiguo.

Sì, mi sembra ci sia una sorta di ambivalenza. Toccano da un punto di vista anchesimbolico delle parti di noi disturbanti al punto che devi prenderne le distanza. Quindio sono troppo forti o troppo fredde. Poi credo che Burns usi un'essenzialità che fatica a

trasmettere un altro stile o altre forme, magari più decorative. Forse sì. Ma a me interessava poco la freddezza. Le mie storie erano per lo più gioiose. Nonostante un segno così pulitoe forte. Mi interessava l'ordine, la pulizia e che le storie arrivassero in modo molto dritto. Cosa che non mi è riuscitaall'inizio. Perché tendenzialmente io divagherei continuamente. Ci sto lavorando ancora tutti i giorni.

Illustrazione per l'Happening Underground al Leoncavallo di Milano

Charles Burns

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Nella costruzione del tuo stile, mi sono però perso un passaggio. Quando hai iniziato a trovare le idee perraccontare qualcosa di tuo?Avevo bisogno che qualcuno mi trovasse un tema su cui lavorare, come nella rivista Nonzi. Era un bell'esercizio, persuperare l'incubo del foglio bianco.

Credo ci siano due strade. Quella in cui le persone non hanno ancora un proprio stile definito o un disegnomaturo ma hanno molte storie da raccontare...O il processo inverso. Sì, io nasco come disegnatore prima ancora che come narratore.

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IL PRIMO LIBRO, IL PRIMO SUCCESSO

E quindi l'incontro con Gianluca Morozzi per Pandemonio com'è nato?È stato un incontro combinato (ride). Siamo nel 2006. Ho lavorato a Pandemonio per 5 mesi. Pochissimo rispetto aimiei standard. Il libro me lo permetteva. Avevo scelto impaginazione libera, splash page, disegno sintetico.

Magari non c'entra nulla, ma a riguardarloadesso con te mi viene in mente Città diVetro di David Mazzucchelli.Ah, quello ce l'ho avuto sempre in mente. Unodei miei libri preferiti. E ce l'avevo proprio inmente per questo libro qua.

Torniamo all'incontro con Morozzi.All'epoca la Fernandel per cui è statopubblicato Pandemonio aveva creato unacollana di libri a fumetti che ha realizzato unpo’ d i cose . Gianluca Costantini, JamesKotchalka, Phoebe Gleckner. E siccome l'artdirector della collana era Costantini, ha volutocontattare me per avviare una collaborazionecon Morozzi che era uno degli autori di puntadi Fernandel. Volevano inaugurare la nuovacollana con un nome di richiamo (il nome diMorozzi, cioè!).

E come avete lavorato?Benissimo, i nostri scambi sono stati brevi e proficui. Lui mi ha dato i testi definitivi, che erano dei racconti brevi nella forma in cui sono stati pubblicati anche alla fine del libro. Io li hoillustrati. Erano racconti che aveva nel cassetto e da tempo avrebbe voluto farli trasporre a fumetti. Ha creato un filo conduttore, un

pretesto, che è quello del condominio all’interno del quale si svolgono varie storie e me li ha lasciati da fare. Io volevo fare una cosa deragliante, lui mi ha detto ok. E io gli ho detto, “ci penso io” (ride). Ho anche proposto il titolo e via. Tutto è filato via velocemente. Gli ho solo chiesto in una particolare sequenza di trasformare un racconto in forma di dialoghi, anziché di racconto in prima persona.

Qui è già presente una tua caratteristica che torna in altri tuoi lavori, come l'ultimo che hai fatto con DavideCalì, Tutte le Ossessioni di Victor, dove anche qui si parte da racconti.E come sai Tutte le Ossessioni di Victor nasce anche un po’ da Pandemonio perché Calì mi ha coinvolto proprio perquello.

In ogni caso ritorna questa impostazione che è spesso più di tipo letteraria che fumettistica. In Pandemonioutilizzi i balloon ma in chiave di flusso di coscienza, o stratagemma per sviluppare la narrazione, ma non sonodialoghi veri e propri. Insomma hai un trattamento dei dialoghi e della costruzione della narrazione che è pococostruita come normalmente avviene in un fumetto, che sfrutta la “recitazione” e la messa in scena di personaggiche dialogano tra loro mentre si svolge la vicenda. Tra l'altro, a proposito di quello che si diceva prima sullanarrazione calda o fredda, questo è un modo di raccontare che tende a “raffreddare”, perché ti sposta su unpiano più intellettuale, rende la narrazione più statica, ecc. Come mai queste scelte?Non lo so. Può darsi che in questo giochi il fatto che sia nato come disegnatore prima che come storyteller. Tutto quelloche c'è da imparare su montaggio, costruzione dei dialoghi e così via li ho imparati mano a mano e li sto imparandoancora adesso. Fino a quel momento, l’aspetto della recitazione dei personaggi non mi interessava proprio, ad esempio.Cercavo altro.Probabilmente, solo con L’Eredità che è l'ultimo libro da me realizzato in ordine di tempo sono arrivato invece aconfrontarmi con quello che è il fumetto vero e proprio. E forse neanche fino in fondo.

Una pagina di City of Glass di Mazzucchelli e Karasik

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È un approdo, quindi?L’Eredità? No, non credo. Non ancora. All’epoca di Pandemonio poi cercavo ispirazione da altre forme, dalla pitturaalla musica. Probabilmente, più di quanto faccia adesso, non lo so. In Pandemonio per esempio oltre a Città di Vetro hotratto molta ispirazione dalla musica. In particolare, ricordo, pensavo a Bill Laswell. Avevo insomma spesso riferimentiextrafumettistici. Che non è detto che fossero poi evidenti nel mio lavoro, ma c’erano. Mi accompagnavano.

Qual è la difficoltà di raccontare con immagini e dialoghi?Intanto la qualità del dialogo. Chi fa lo sceneggiatore sa che è difficile fare in modo che le due cose si sostengano avicenda. Riuscire a fare in modo che i dialoghi siano freschi, che non appesantiscano troppo il disegno, che abbianoanche il giusto spazio grafico. Sono cose su cui passerei ore e ore. Su L'Eredità ci ho lavorato moltissimo. I dialoghihanno avuto numerose revisioni, limature e riscritture da parte mia. All'epoca di Pandemonio invece ero molto più impostato sull'immagine.

In Pandemonio c'è una buona capacità di raccontare in sequenza, ma meno quella di costruzione di una verasceneggiatura. È vero, anche se io ho ricevuto dei racconti. Non ho voluto farne una trasposizione, ma una fusione efficace con ildisegno, rispettando completamente il testo originale.

Da qui l'espediente per esempio dei balloons che vengono utilizzati in modo improprio, perché non contengonodialoghi veri e propri ma svolgono la funzione più grafica che narrativa di portare avanti il racconto? È unballoon simulato, “posticcio”. Sì, forse è così. Ma il balloon è posticcio per natura, a pensarci.

E come è stato recepito Pandemonio quando è uscito?Molto bene. Critiche molto positive. Premio Micheluzzi al Napoli Comicon che non mi aspettavo proprio.

Quindi lì ti sei illuso di diventare una superstar del fumetto?Sì, iniziavo a regalare champagne (ride)!Però no, mi sembrò un ottimo inizio, visto che era il mio primo vero lavoro lungo.

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Ti va di tornare a Città di Vetro, per un attimo? Anche qui siamo di fronte a una trasposizione di un romanzo,scritto da Paul Auster, realizzata da David Mazzucchelli e Paul Karasic. C'è un trattamento di codiceimportantissimo che per certi versi migliora la fonte originale. Come ha influenzato il tuo lavoro suPandemonio?Le immagini e le sequenze sono scollegate dal testo, non sono didascaliche. Sono piuttosto sequenze che trattano iltema e lo controbilanciano.

È proprio come se Mazzucchelli amplificasseil significato del testo, che tra l'altro è tuttauna grande riflessione sul linguaggio. È unamoltiplicazione di significati. Sì, è un lavoro molto efficace. Espandere ilsignificato del testo con il disegno è proprioquello che ho cercato di fare.

Un approccio formalistico, per certi versi.Intendendo un approccio nel quale la formadel disegno, delle tavole e l'utilizzo dei segni ècurato al punto da moltiplicare il senso diquello che si sta leggendo. Com'è che seidiventato un formalista (ridiamo)? Che è untuo punto di forza e, a volte, può diventareuna debolezza!

Non lo so. È un gioco intellettuale, che può in effetti cadere nell'intellettualismo. Non sei l'unico che me lo dice. Rischiodi non essere capito o di emozionare poco. È vero. D'altra parte la mia reazione per superare questo rischio è stata quelladi andare verso il nonsense. Se non mi capite faccio cose che non si capiscono. Come in Dimmi la verità.

È forse il tuo libro più complesso.Sì, se cerchi di trovarci un contenuto. Altrimenti è un lungo viaggio in diversi temi. C'è dentro di tutto, le barzellette,racconti d'infanzia.

Anche se è la forma meno canonica di narrazione che hai esploratoAssolutamente, io lì ho improvvisato giorno per giorno.

LA FILASTROCCA PER ADULTI DI MINUS HABENS

Pandemonio ha avuto la forza di partire da una storia costruita da un narratore. Tu avevi gli strumenti perraccontare ma un po' ti mancava il cosa. Quindi hai valorizzato questa opportunità. Il formalismo a voltenasconde un vuoto dal punto di vista dei contenuti. La grande attenzione alla forma a volte nasconde lamancanza di idee di fondo. Quindi mi interessa capire come sei passato da un libro come Pandemonio a MinusHabens, ovvero a una tua storia lunga?Mi fai delle domande difficili. Io non so dire da dove nascano le storie. Fatto sta che, a un certo punto, la storia mi è“arrivata”.

Certo, ma cosa è scattato dentro di te? Cosa ha portato alla necessità di raccontare una tua storia lunga? Questopassaggio è interessante, per capire come ci hai lavorato. Io avevo la necessità di trovare una storia mia, dopo Pandemonio. Avevo dimostrato di saper raccontare con leimmagini ma non ancora come autore completo. Quindi ho provato con Minus Habens, che è nato da un disegnino delpersonaggio, Romeo, accanto al quale avevo iniziato a scrivere delle rime. Doveva essere una cosa di poche pagine. Poimi è venuta voglia di ampliarla sempre di più, e ho pensato di poter sfruttare questa opportunità. All'inizio poteva essereuna cosa per bambini, molto semplice. Ma poi mi è cresciuta tra le mani e si è trasformata in una storia forte. In questocaso il testo è venuto molto prima dei disegni. Ho terminato prima tutta la filastrocca, perché la parte facile era la partevisiva, per così dire. Anche tutta la narrazione è uscita mano a mano. Non era stata tracciata prima.

Squaz premiato al Comicon di Napoli, in questa foto accanto a Miguel Angel Martin

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Quindi questo è un po' un tuo metodo di lavoro, che ritorna anche in Dimmi la Verità, per esempio. Evidentemente sì, ma non è un metodo che mi sento di propagandare (ride). Però la trovo una maniera organica dilavorare. Che poi puoi risistemare nel tempo. Finora non ho mai realizzato prima un soggetto e poi uno storyboard ecc. Tutto questo rivela che in qualche modo sono diviso. Da un lato cerco il formalismo e l'ordine, ma dall'altra parte sonomolto guidato dall'improvvisazione. Che però richiede molta preparazione.

Si, se pensiamo per esempio all'improvvisazione jazzistica.Esatto, pensavo proprio a questo. Puoi fare l'improvvisatore se hai molta tecnica. Anche se io tutta questa tecnica devoancora dimostrare a me stesso di averla! (ride) Quindi per certi versi mi sembra di aver fatto il passo più lungo dellagamba. Se lo rifacessi oggi sicuramente sarei più efficace. Lo rifarei perché è un approccio che mi entusiasma. Però seavessi seguito una logica di sviluppo e di maturazione avrei aspettato. Anche nel rapporto con i lettori. Perché forse hochiesto molto a loro e ho cambiato così tante volte approccio che è difficile essere riconosciuto. Capitalizzo poco,diciamo così. Ne parlavo anche con Paolo Bacilieri diversi anni fa. Aveva fatto molti libri diversi, anche folli, e non eraancora abbastanza riconosciuto dai lettori. Se ogni volta cambi, rischi molto, vista anche la situazione economica in cuici troviamo.

UN SALTO IN AVANTI ALL'ULTIMO PREMIO

Senti, è notizia di oggi il premio al TrevisoC o m i c B o o k F e s t i v a l c o m e m i g l i o rsceneggiatura a Davide Calì per Tutte leossessioni di Victor, che è il libro di cui hai fattotutta la parte grafica (per la cronaca, vittoriaex-equo con Roberto Recchioni per Dylan Dog).Intanto, era stato candidato il libro? Comefunziona?Il libro era nelle selezioni. Fanno delle selezioni etra i pochi titoli rimasti scelgono i vincitori.

A microfono spento dicevamo che è un po'particolare il fatto che sia stato scelto comemigliore sceneggiatura il lavoro di Davide che inrealtà non nasce come una sceneggiatura vera epropria.

Si tratta di una successione di racconti, scritti in forma di monologo, che poi tu hai a tutti gli effetti rielaboratoutilizzando il fumetto e il disegno. Ci ho ballato intorno (ride).

Quello che mi interessava capire con te è come si muovono questi concetti, ovvero riconoscere un premio aqualcosa che è tutt'altro, in realtà, come origine. È come se non venisse tenuto presente il tuo lavoro disceneggiatura.Esatto. Questo credo che sia un limite. Nel senso che certe categorie sono applicabili a certi tipi di fumetti e ad altri no.Se parliamo di Bonelli è molto più semplice fare una distinzione di questo tipo, perché c'è già di partenza unadistinzione tra chi sceneggia e chi disegna.

E poi perché le sceneggiature sono molto dettagliateSi. Qui invece c'era la massima libertà di interpretazione, anche nella caratterizzazione dei personaggi. Non ho avutoalcun tipo di indicazione.

Non avevi descrizioni a priori, contestualizzazioni dei personaggi, …No, tutto quello che avevo era il testo. Quello che c'era nel testo era quello da cui sono partito.

Premiazione a Treviso

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In senso tecnico, quindi, non esisteva unasceneggiatura? È stato tutto un lavoro che hairealizzato tu? Avrebbe avuto più senso checome sceneggiatura veniste premiati insieme,quindi?Da un punto di vista strettamente fumettistico, sì.È difficile però dividere in modo netto dov'èl'apporto di uno e dov'è l'apporto dell'altro. Già ilfatto che in copertina ci sia Davide Calì, Squaz,viene interpretato normalmente come uno ha fattouna cosa e uno ha fatto l'altra.

Non voglio sembrare troppo polemico. Ma miinteressa capire questo ragionamento sullecategorie, anche perché credo che ti riguardimolto come autore. Dicevo, secondo te allabase c'è una mancanza di conoscenza di comeè n a t o q u e s t o p r o g e t t o , o p p u r e èsemplicemente dare per scontato che chi hafatto i testi abbia fatto tutto il lavoro disceneggiatura?Ma non escludo che ci siano tutte e due glielementi. Io non so esattamente chi ha stabilito lenomination e come si è sviluppato il tutto. Però lepremiazioni seguono anche altre logiche che nonconsiderano strettamente la qualità o il linguaggiodel fumetto.

Cioè?Nel senso che si cerca di tenere un certoequilibrio tra diversi prodotti editoriali.

Una questione per certi versi “politica”?In un certo senso, ma succedono anche inconsciamente, queste cose.

Da un punto di vista simbolico, quindi, guardato in chiave “politica”, il tuo lavoro accanto a quello di Recchioniche cosa può significare per quello che è il mercato editoriale?Intanto è importante contestualizzare rispetto al festival in cui avvengono le scelte. Quello di Treviso è un festivalabbastanza giovane che sta iniziando adesso ad avere una sua identità, in modo da valorizzare gli autori. Loro sonosempre stati attenti al fumetto per certi versi più artistico. In questo senso sorprende quasi di più che abbiano dato unpremio a Dylan Dog piuttosto che al nostro lavoro. È un festival giovane, che tiene l'attenzione verso il fumetto diversoda quello seriale. O forse è un sintomo che certe barriere sono ormai un po' saltate. Nel senso che mi sembra che lafamosa diatriba tra fumetto di autore e popolare sta ormai cedendo anche nella mentalità degli addetti ai lavori. Anche ilfatto che Recchioni stia chiamando per gli speciali di Dylan Dog tutti autori che non hanno niente a che vedere colfumetto seriale la dice lunga.

E come mai tu non hai ancora in cantiere una storia di Dylan Dog?Non è che devo averla io in cantiere. Non me l'hanno ancora chiesta (ride).

Ma avresti qualche interesse a lavorare su un personaggio come Dylan Dog? C'è qualche personaggio di casaBonelli su cui ti piacerebbe lavorare?Beh Dylan Dog su tutti. È quello su cui mi sentirei più vicino, per forza di cose. È ancora oggi un personaggio atipicodel panorama Bonelli.

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Entrando un po' più nel merito di Tutte le ossessioni di Victor, avevamo parlato di Pandemonio, che ha unanascita molto simile a quest'ultimo lavoro. Uno scrittore ti fa avere un testo in forma di racconto. E tu a partiredalla parola scritta realizzi tutto il resto. Il processo è simile. Il metodo di lavoro che hai utilizzato è stato simile ol'esperienza ti ha fatto muovere diversamente?Come metodo di lavoro è come una versione aggiornata di Pandemonio. Per quanto riguarda le scelte, a partire dalcolore che non c'era in Pandemonio, e altre di tipo grafico, sono legate al tipo di testo che mi è arrivato. Davide rispettoa Gianluca ha uno stile di scrittura differente, quindi ritornano nel trattamento grafico. La prosa e le tematiche di Davidesono più leggere. Quindi ho cercato di dare sostanza a questa leggerezza, per dar loro vita, nel rispetto della suaintenzione.

Che lavoro hai fatto nel suddividere il testo sui disegni? Lo hai fatto mentre disegnavi, o hai creato unasuddivisione prima e poi ha iniziato a lavorarci graficamente? La sfida sta proprio nel trovare il ritmo giusto traimmagine, disegno e il flusso di coscienza del protagonista. E questo caratterizza molto l'accento del libro.Quando abbiamo presentato il vostro lavoro alle Officine Libra di Monza abbiamo detto che i raccontifunzionano anche da soli, letti ad alta voce. E abbiamo fatto questo esperimento e funzionava. Col disegno invececambiano molti aspetti. Il ritmo, l'accento che viene dato a certe parti in cui mi soffermo di più e altre in cui vadovia più veloce. Sì, sono le scelte registiche.

Questa è sceneggiatura.Non so, io dico che è regia. Ne modifica il senso. Il mio lavoro è stato di interpretarlo. Tornando alla tua domanda ho cercato di restituire il ritmo del racconto per come ho letto io i racconti di Davide.Cercavo di mettere l'accento sulle parti che erano secondo me più da valorizzare.

Per esempio all'inizio del racconto a pagina 41, realizzi una vignetta unica che dà molto più spazio al testo. Io una cosa che ho dovuto correggere strada facendo è che mi sono accorto che usavo troppo le didascalie. E ho quindiintrodotto il balloon. Anche per offrire una lettura più piacevole. Perché mettere solo le didascalie oltre ad avvicinarsitroppo all'illustrazione annoia anche di più.

E poi si inserisce meglio graficamente. Sì. Invece nella produzione realizzavo un racconto alla volta e glielo mandavo quando era terminato.

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Hai mai avuto considerazioni in merito, ti ha mai chiesto di modificare qualcosa?No, gli sono sempre piaciuti al primo colpo. Ha sempre visto la versione definitiva dei racconti. Si, ho deciso io poi dilavorarci diversamente, per esempio sul discorso didascalie. Se guardi questo racconto, “Le Crepes”, è stato uno deiprimi che ho realizzato e non ci sono balloons. L'ho tenuta perché comunque mi sembrava che funzionasse. Poi manmano che ho continuato il lavoro ho modificato l'approccio.

Tu lavori molto sui simboli. Per esempio guardando pagina 72 e 73, ci sono una serie di disegni fortementeiconici. Per esempio le silhouette in alto a pagina 72. O il bambino che sta iniziando a nuotare. Che ricerca fai suquesti elementi?Mi piace molto la sintesi. Hanno un gusto molto grafico questi simboli. Volendo sintetizzare molto il tratto, ho cercatodi dare il “massimo con il minimo”.

Fai qualche tipo di ricerca o ti vengono spontaneamente queste scelte?Di solito, spontaneamente.

È qualcosa che hai accumulato nel tempo. Si, è un gusto che ho.

Però per esempio il piatto a pagina 77 da dove saltafuori?È la storia in cui rompe per sbaglio uno dei piatti dellacredenza. È un esempio di quel tipo di piatti che unopotrebbe conservare nella dispensa.

Ma hai fatto qualche tipo di ricerca iconica o haipescato dalla tua memoria?Beh, lì ho fatto una ricerca in internet. Anche per lecredenze e le sedie. Osservo, ricerco e poi adatto a miomodo. Anche nella pagina degli insetti ho fatto lastessa cosa (pagine 80-81). Davide li cita con il nomescientifico e sono andato a cercarli. Ci sono poi deigiochi visivi. Per esempio le labbra del bambino chesaranno poi quelle che mangiano gli insetti.

Fai un lavoro di concettualizzazione, quindi?Diciamo che mi piace molto giocare. Non sempresono cose indispensabili alla narrazione. Lo faccioperché sono stimolanti per me.

L'approccio visivo è molto diverso da quello diPandemonio.Sì, è molto più pop, più pulito, meno “Burns”.

Ti rappresenta di più, oggi?No, diciamo che è una sintesi di quello che mi interessava tre anni fa, quando ho iniziato a realizzarlo. È stato l'ultimopubblicato ma nel mezzo ho realizzato L'Eredità. Victor aveva subito una battuta d'arresto perché non trovavamo un editore interessato. Nel frattempo sonoandato avanti con l'altro progetto e finito quello si è sbloccato anche Tutte le ossessioni di Victor.

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È stato pubblicato da Diàbolo Edizioni, che è una casa editrice piuttosto giovane. Sì, è una casa editrice nata in Spagna di cui esiste da poco anche la parte italiana, diciamo.

Come è avvenuto questo incontro?Davide ha spedito un normalissimo pdf via email e hanno risposto positivamente.

E il lavoro di promozione e sviluppo del progetto come avviene? Che lavoro fa la casa editrice?Intanto in questo caso loro si sono trovati il lavoro fatto e finito. Il loro intervento editoriale è avvenuto solo a lavorofinito. Hanno solo revisionato e stampato il libro. Ma non sono entrati nel merito delle scelte grafiche o narrative.

E poi cosa succede a un libro come questo, dopo che è stato stampato?Per Victor ci sono in ballo ancora presentazioni, mostre. Attualmente le mie tavole sono in mostra a Treviso. Abbiamoin cantiere un'altra mostra con delle sorprese, con altri giri di presentazione. Vedremo.

Ma quindi la scelta di Treviso di esporre le tue tavole come è avvenuta?È nata dalla decisione del festival con l'editore. Non so esattamente chi l'abbia proposta per primo. Però penso che loroavessero un interesse per il libro visto che lo avevano tra le nomination. Quindi il fatto di non aver vinto il premio mache ci fossero le mie tavole esposte è stato comunque un bel riconoscimento.

E infatti le mie considerazioni precedenti sulla sceneggiatura erano più una riflessione tecnica che altro. Io questo premio l'ho interpretato comunque come un premio a entrambi.

Calì lavora tanto in Francia. Lavora tanto. Punto. (ride)

Esiste un'edizione francese?Si. La Diàbolo l'ha pubblicato contemporaneamente in tre paesi. Francia, Spagna e Italia.

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E come sta andando negli altri paesi?Al momento, sappiamo che abbiamo esaurito la metà delle tirature di tutte e tre i paesi. Dalla critica, in Spagna abbiamoavuto molti riscontri, alcuni molto lusinghieri, oppure alcuni con considerazioni critiche, chi ha trovato la prima partepiù interessante della seconda, ecc. Ma nel complesso sembra che incontri il loro gusto. I francesi non si sonominimamente espressi. Credo che per il gusto francese sia difficile che venga apprezzato.

Ma per il tipo di tratto che hai o per le tematiche?Penso più graficamente. Non è un tipo di segno che è moltoapprezzato in Francia. Tra l'altro avevo già avuto questaesperienza francese con una piccola casa editrice che sichiamava La Boite d’Aluminium alla quale avevo vendutoEntertainment con l’aggiunta di altre storie brevi, una nuovacopertina e un nuovo titolo Belli Dentro. Racconti brevi contematiche aggressive. E ai francesi non era piaciuto per nulla.Uno aveva scritto “io non capisco questo umorismo”. Nonl'avevano minimamente apprezzato. Da quanto ho capito, credoabbiano difficoltà ad accogliere anche le raccolte di raccontibrevi. Oppure sono solo io che non gli piaccio!

Tutte le ossessioni di Victor e quella versione diEntertainment sono gli unici tuoi lavori pubblicatiall'estero? Si.

E gli altri libri non li hai mai proposti all'estero?Finora no.

Per concludere su Tutte le ossessioni di Victor, ci racconticome hai lavorato sul colore? Io sul colore ci ho lavorato tanto con l'illustrazione. Inoltre iracconti per XL erano a colori. Durante la lavorazione diPandemonio lavoravo su Rolling Stones e su XLcontemporaneamente. Erano rivali e tenevo i piedi in duescarpe!! (ride) Ed erano a colori. Per Tutte le ossessioni di

Victor volevo un colore e delle immagini molto pulite, quindi ho usato un colore grafico, in digitale. Che poi, i fumettili ho quasi sempre colorati in digitale…

Avevi qualche riferimento in testa? No. Non ti saprei dire. Volevo un approccio molto pop, ma non trovo un autore che lo rappresenti meglio.

Cosa intendi per colore pop?Una colorazione molto sintetica, piatta. Però con tonalità molto calde. Un uso artificiale dei colori mantenendol'omogeneità tra un racconto e l'altro, anche perché il libro era già molto frammentario.

IDENTITÀ, SUCCESSO, RICERCA

Torniamo indietro a Minus Habens, del 2009, che è il tuo primo libro a fumetti completo. Che si tratti di fumetto potremmo parlarne!

Perché? Mi sembra che ci sia una narrazione fumettistica. Almeno una forma tecnica di disegno sequenziale.Si ma se non vedi un personaggio con il balloon che esce dalla bocca c'è chi storce il naso. Anche la sequenzialità e iltratto ci sono.

Si, seguendo la storia solo guardando il disegno riesci comunque a ritrovare un senso compiuto, un movimento,una narrazione vera e propria. Sì, si coglie il senso generale.

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Ricordiamo la forma di Minus Habens. Abbiamo l'illustrazione sulla pagina di destra, e su quella di sinistra,racchiusa da un grosso balloon, c'è la narrazione in forma di poesia. Per certi versi ricorda quei vecchi fumetti ainizio del secolo scorso con il fumetto e la narrazione in rima. Però lì il testo era sotto. Qui invece ho fatto una scelta che volevo che si avvicinasse al film muto.

Sì, racconta bene come è andata. In origine doveva essere un libro di 20 pagine per bambini. Man mano che scrivevo mi venivano in mente situazioni epersonaggi difficili da gestire per un bambino. Quindi mi sono deciso a fare una favola per adulti. È stato come unfiume che scorre e che si sviluppa progressivamente. Un modo di lavorare che non mi era capitato in precedenza.

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C'era anche la sfida di raccontare qualcosa di tuo in forma più lunga e compiuta, per certi versi. Sì, perché fino ad allora come autore mi ero misurato solo col racconto breve. Era la mia prima prova lunga. La storia èstata costruita così perché immaginavo il film muto nel quale hai la didascalia che interrompe le sequenze visive. Poichénon era possibile riprodurlo su carta in modo efficace, l'ho impostato come se ci fosse a sinistra la colonna sonora e adestra la pellicola con le immagini.

Il trattamento e i temi mi fanno venire in mente Frank, di Jim Woodring, lo hai presente?Ho presente Woodring. Sì.

Woodring è molto più surreale nei codici, ma certi trattamenti dellanarrazione, con un continuo gioco al rialzo sempre più grottesco mifanno accostare questo lavoro ai suoi. Ma mi sembra di capire chenon è stato un tuo riferimento.No. Dal punto di vista narrativo certamente no. Dal punto di vista graficomi piace molto. Anche se l’accostamento non mi dispiace per niente. Ilmio obiettivo allora come oggi è quello di... io mi considero ancoraunderground... non so se a torto o a ragione.

Ma cosa intendi? Cosa vuol dire? In cosa ti identifichi?Ma per il fatto che gli autori underground possano parlare di tutto, sianosvincolati da logiche commerciali, e anche graficamente potevanopermettersi tutto.

Ma esiste oggi come oggi qualcosa come un movimento, un gruppounderground?Non mi pare. Mi sento parte del gruppo dei Dummy. Siamo tuttifumettisti. Abbiamo delle affinità di testa. Ma siamo tutti autori

indipendenti. O comunque, con un forte legame con il fumetto indipendente.

I Dummy, ricordiamo, siete tu, Akab, …Officina Infernale, Ausonia, Tiziano Angri, Alberto Ponticelli, e adesso ci sono anche Marco Galli e Dario Panzeri.

Ma state lavorando a qualcosa in questo momento tutti quanti insieme?Tutti insieme no. È difficile da gestire. Ma ci teniamo in contatto. Ci teniamo d'occhio e condividiamo tante cose. Ècome un bar.

Tra l'altro mi viene in mente che di Marco Galli è uscito adesso un nuovo libro che è molto bello. Anche di Tiziano Angri, tutti e due per Coconino.

Entrambi molto interessanti. Dicevo comunque che a me interessa l'underground, ma un underground “pulito”, nel senso che cerco un contrastocome quello di Martin, che parla di tematiche molto pesanti con un tratto molto freddo e distaccato. Mi piacciono questescelte. Piuttosto che sottolineare con il tratto la “sporcizia” di contenuto.

Valorizzi molto l'aspetto simbolico. E puoi colpire ancora di più l'immaginario del lettore. Sì, crei un contrasto che ti spiazza.

Per esempio, in Tutte le ossessioni di Victor il tuo modo di lavorare sulla forma dà in qualche modo spessore,permette di entrare un po' di più in profondità nella leggerezza del racconto di Calì. Mentre forse in MinusHabens c'è un contrasto tra la leggerezza musicale della filastrocca e l'ironia potente del disegno. Anche umoristico.

In Minus Habens è un continuo gioco di contrasti tra i temi molto forti e la forma che tende ad alleggerire edissacrare. Dal punto di vista concettuale è il lavoro più riuscito secondo me.

È anche la tua prima collaborazione con Silvana Ghersetti, che prosegue tuttora, visto che anche L'Eredità, il tuoultimo libro, è stato pubblicato con lei. Parlaci di questa collaborazione. Intanto perché nessuno era davvero interessato a questo libro. Quelli a cui l'ho fatto vedere mi hanno detto è molto belloma non rientra nella nostra linea editoriale. Silvana era perfetta, invece, perché cerca sempre autori diciamo“particolari”.

Frank di Jim Woodring

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Con i cerini dentro alla taschina in quarta di copertina. Di chi è stata l'idea?Di Silvana. Si. È una scelta narrativa, interattiva. Fanno parte della storia. Sono identici a quelli disegnati nella storia.

Che riscontro ha avuto questo libro?Dal punto di vista della critica, molto positivo. Dal punto di vista delle vendite invece, non è ancora stata esaurita laprima tiratura. È stato percepito come una cosa temeraria. Ricordo una recensione su Internazionale di FrancescoBoille, che usava questo aggettivo. Editorialmente era una cosa rischiosa, in effetti. Una favola per adulti a fumetti, inrima. Non andava nella direzione in cui si muoveva il fumetto in quegli anni. Si stava affermando il formato graphicnovel.

Forse è con L'Eredità che ti sei avvicinato a un'idea più tradizionale di graphic novel, dove c'è una storia coninizio, svolgimento e fine. Con un approccio più tradizionale nella trattazione dei dialoghi e che si conchiude inquello che noi abbiamo normalmente in mente come forma di libro a fumetti. Gli altri sono molto divergenti. Inquesto potremmo comprendere il tuo concetto di approccio underground. Si. Però voglio dire che non ho intenzioni rivoluzionarie rispetto al fumetto. Non ho questa pretesa.

E qual è, allora? Visto che le scelte che hai fatto sono anche anti-commerciali per certi versi. Beh, io spero che questi siano i fumetti commerciali del domani.

Quindi è un'idea molto rivoluzionaria! Ti contraddici!(risate) No io mi considero più eccentrico che rivoluzionario. Sto ai margini, mi muovo nelle cose che non vengononormalmente esplorate. Però il centro per me esiste. Esiste un cuore del fumetto.

In che senso?Nel senso che il graphic novel, o il fumetto seriale, o tutte le declinazioni commerciali del fumetto non le vedo comecose da abbattere, semplicemente trovo limitante il fatto che siano considerate come uniche possibilità. Io invece trovointeressante riflettere su quante altre ce ne possono essere intorno a questo centro.

Sì, anche se poi riflettendo sulle graphic novel che hanno venduto di più in Italia, e a chi ha venduto davveromolto con esse... chi abbiamo? Gipi? Poi Zerocalcare (che è un successo di vendite assolutamente unico nel mondodel fumetto italiano)? Che hanno un modo di trattare il fumetto davvero diverso l'uno dall'altro. Se vuoiZerocalcare ha un approccio così informale che si avvicina poco a un certo concetto di graphic novel. Sono categorie labili che lasciano il tempo che trovano. Pandemonio è stato premiato come miglior graphic novel. Chegli andavo a dire alla giuria, guardate che non è una graphic novel, è una raccolta?! È un esperimento narrativo. Nongraphic novel. Ha codici molto diversi!

Infatti. Da un lato ti distanzi dalla forma delle graphic novel che vendono di più oggi, dall'altro in questo mondoci sono idee molto diversificate. E quindi tu dove ti collochi? E questo è il punto. Io non credo si debba avere una collocazione precisa.

Ma per il pubblico? Il pubblico che ti legge e ti vuole ritrovare, dove ti colloca?Io finora questo problema non me lo sono posto. Almeno fino a L'Eredità e Tutte le Ossesioni di Victor non mi sonomai posto il problema di avere un pubblico o una riconoscibilità.

Il design dei cerini di Minus Habens

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Poi ci sono anche altri autori che non si pongono questo problema ma poi incontrano i gusti del grande pubblico.Immagino che Gipi stesso quando ha realizzato i suoi primi lavori inseguisse soprattutto una sua esigenza diesprimersi. E poi il suo stile è arrivato a molte persone. Non so dirti quale sia questa chiave. E diventare riconoscibili. Forse il fatto di avere una voce unica, come Gipi, chericonosci in qualunque cosa lui faccia. La sua voce la riconosci ovunque. Anche quando parla ha questa potenza. E ioquesto non ce l'ho. Ma non mi sono mai posto questo problema. Non sono neppure in sintonia con me stesso.

Però, parlavamo prima del mercato francese, e lì c'è un autore come Manu Larcenet che in questo momento èuno dei più bravi. È uno di successo eppure ogni suo lavoro ha un approccio, uno stile e una voce completamentediversi l'uno dall'altro. Ma, senti, lui sta esplorando ma ha una voce potente. Forse la mia voce non è così forte. Io sono nato come disegnatoree quindi la mia voce la devo ancora trovare, probabilmente. Però devo dire che Larcenet su Blast dà l'impressione diessersi seduto un giorno e aver detto, oggi faccio il mio capolavoro (questa battuta è di Akab).

Sì, ma anche perché è molto potente anche sul piano concettuale. Sembra che abbia deciso di mettere a fruttotutto quanto esplorato fino a quel punto. Tu questa sensazione non l'hai ancora avuta rispetto ai tuoi lavori?No, finora no. Non so nemmeno se mi interessa. Lo stesso Gipi lo aveva detto di Una storia, dicendo che aveva volutofin da subito che il suo nuovo libro fosse “monumentale”. Io no. Ognuno si crea delle aspettative rispetto al propriolavoro. Io salto un po’ di palo in frasca.

Stavo riflettendo sul fatto che ti eri confrontato con Igort a proposito di Tutte le ossessioni di Victor, perCoconino. E qual è stato il suo riscontro?A lui era piaciuto in generale il progetto. Gli aveva scritto Davide. I disegni gli erano piaciuti. Però il trattamento cheavevo fatto non si muoveva nella direzione scelta da Coconino.

In che senso?Ne faceva un discorso sull'aspetto del linguaggio del fumetto. Troppe didascalie e poco fumetto. E poi probabilmente lasua natura frammentaria che non ha il respiro dei libri Coconino. In pratica, gli era parso più legato all’illustrazione cheal fumetto.

Forse sì. Ma pensando ai suoi ultimi lavori, come i Diari Ucraini e Giapponesi sembra un po' unacontraddizione. Però nei suoi libri c’è un respiro che forse qui manca. Volontariamente, però manca. Al di là delle scelte tecnichesull’uso dei balloons o meno, percepisci subito che c’è un’affinità con la forma romanzo.

IMPROVVISAZIONE, ESPRESSIONE, VERITÀ

Arriviamo adesso a Dimmi la verità. Che è un altro libro molto particolare, con un'ulteriore evoluzione del tuoapproccio e che ha una nascita molto particolare. Nasce da una proposta della galleria MioMao di Perugia. Avevano iniziato a raccogliere tavole di autori ai quali eranointeressati, come Bacilieri, Andrea Bruno, Marco Corona, e altri, ad alcuni di questi hanno commissionato dei libri chedovevano essere di natura ibrida. Una storia ma anche una sorta di catalogo per una mostra. Fecero un libro conBacilieri. E poi proseguirono con altri autori. Con me volevano che io realizzassi un libro pensato esclusivamente perloro. Mentre Bacilieri per esempio aveva trovato un filo conduttore per unire materiali diversi, a me chiesero di fare unlavoro più strutturato. In un periodo in cui non avevo un'idea in testa. Anche perché avevo appena finito Minus Habense loro avevano una certa fretta. Quindi a un certo punto ho pensato a una specie di diario e altre ipotesi ma nessuna miconvinceva. Alla fine ho deciso di improvvisare. Ho fatto un libro improvvisato, sviluppandolo tavola per tavola. Avevodelle idee tematiche, ma non sapevo che strada avrebbero preso. E nonostante quei punti fermi ho tolto o aggiunto altrecose, per dare un ritmo efficace, per dargli una coerenza finale.

Da lettore posso dire che Dimmi la verità è quello che tra i tuoi lavori mi è piaciuto di più. Anche se forse è ilmeno immediato. Mi è piaciuto molto come hai affrontato la tematica della genitorialità. E adesso stavoriflettendo un po' sui temi che legano i tuoi diversi lavori. Sicuramente il tema dei legami familiari, c'è anche inuno dei racconti di Entertainment, quallo del ragazzino che vince la partita di pallone... insomma c'è il tema dellegame con l'infanzia e con la famiglia. In Dimmi la verità lo tratti in modi piuttosto forte. Per esempio l'aspettosu cui rifletto come padre del rapporto tra le aspettative di come voglio che i miei figli crescano e la realtà deifatti di crescere e svilupparsi autonomamente.

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Ma intanto ci sono vari livelli di lettura per quel libro. E mi hai fatto venire in mente che uno dei motivi per cui ero acorto di idee era anche per il fatto che ero papà da poco ed ero del tutto immerso in un tipo di vita che non avevo maivissuto fino allora. Tu hai già creato e te ne devi prendere cura quotidianamente. Ti assorbe completamente. Quindi lamia scelta fu indotta anche da quello. Comunque mi ero dato il tema della verità perché volevo mettermi in relazione atanti fumetti autobiografici che imperversavano in quel periodo, che erano diventati anche di maniera, e in realtà eranoper me il massimo della truffa. Come la maggior parte dell'autobiografia in letteratura. Perché è comunque materialeche scegli tu, che decidi tu di collegare, e il ricordo non è mai affidabile.

Non ha un valore di verità in senso assoluto, ma più di testimonianza, forse. Testimonianza, però se rimaniamo in ambito narrativo vedevo che certe cose venivano accolte come se si trattasseveramente della vita di quella persona, anche nelle domande che uno faceva. Io mi dicevo, renditi conto che se uno nescrive c'è dietro un trattamento. Sembrava che quelle cose ti entrassero in casa così com'erano avvenute realmente. Main realtà è un artificio letterario. Forse il principale degli artifici.

Anche perché ci possiamo chiedere perché la tua vita dovrebbe essere più interessante di quella di miliardi dialtre persone.Si.

Quindi era una forma di provocazione?Sì. Mi viene da dire che per ogni libro ho questo approccio. Per come sono fatto io gioco un po' di rimessa. Cerco unaforma di guerriglia in cui ti punzecchio di fianco, piuttosto che combattere la battaglia frontale.

Quindi invece di fare il tuo romanzo autobiografico...… Rompo i coglioni a quelli che lo fanno. (ride)

Con un approccio metanarrativo, potremmo dire. Sì anche. In Dimmi la verità, c'è.

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A partire dall'introduzione. “L'intro, l'intro, c'èpure l'intro,” che introduce poi la vera e propriaintroduzione di Caparezza. Quindi la chiave del libroè mettere in discussione la presunta veritàdell'autobiografia.Si. Detta così suona un po' pomposa.

E assumiti le tue responsabilità!(Ride) Io punzecchio, non affronto le cose direttamente.Comunque, il ruolo dell'artista non è quello di assumersiresponsabilità, è quello di stimolare gli altri. Quindi checazzo volete!? (ride)

Questo mi ricorda la parodia di Bertinotti diGuzzantiSi, noi siamo all'opposizione perché sorvegliamo ilpotere.

“Noi siamo la sinistra, vogliamo divertirci, stavamoper andare a votare la legge di stabilità, poi è uscital'idea del cinema!” (ridiamo)Come hai lavorato su questa idea di punzecchiare leautobiografie?Ho utilizzato dei temi familiari di finzione. C'è la storiadi me e mio figlio che andiamo a Roma per mettere lamano nella bocca della verità. Parliamo della madre.Ecc. Per il resto sono schegge di temi, come a farezapping in televisione, affrontando ogni volta il temadella verità. Con un incontro di boxe, entrando nellacamera di un reality, della nascita.

Raccontaci dell'immagine del seno gigante che esce dall'utero della donna che sta partorendo il secondo figlio.Da dove è uscita questa cosa?Non lo so. Cercavo un umorismo un po' alla Monty Python. Quel tipo di humor dissacrante. Era una trovata umoristicadi puro nonsense. Ci sono barzellette. Storielle divertenti. C'è la stanza del Grande Fratello, dove si pretende che questafinzione sia la verità, ma non può essere visto che c'è una telecamera nascosta da qualche parte.

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In questa tavola invece citi Gianni De Luca (Romeo e Giulietta, ed. Black Velvet)?Sì, mi è stato già detto. Ma io non lo avevo minimamente presente fino ad allora. L'ho apprezzato moltissimosuccessivamente. In realtà qui più che a lui stavo pensando a Mike Allred, che è un fumettista americano che fa anchelui questo tipo di operazioni con Madman.

Però anche il vestito e l'ambientazione sembra richiamare De Luca. Si, è vero.

Può essere l'inconscio collettivo.Può essere. Spieghiamola così. Però no, io pensavo proprio a Mike Allred. Io l'ho visto da lui.

È una tecnica che è stata poi utilizzata da vari autori. Steranko, Miller. Qui inganna la messa in scena chericorda propriamente De Luca. Me lo fecero notare a Bologna, a BilBOlbul, dove era appena stato ristampato un libro di De Luca da Black Velvet.

Dal punto di vista del tratto, che ricerca hai fatto per Dimmi la verità? Minus Habens era più pulito, rispetto aquesto. Sì, in Minus Habens mi ero molto più contenuto. Dovevo sviluppare la storia, rimanere coerente con la storia. Volevoessere molto grafico e pulito. Non volevo nessuna deviazione. In Dimmi la verità invece è una deviazione dall'inizioalla fine.

Per quanto riguarda la commissione del lavoro, quindi, che cosa ne è poi uscito?È uscita la mostra da MioMao, la pubblicazione del libro e poco altro. Una presentazione a BilBOlbul, e poi è sparitonel nulla. Per quello dico che è il mio bambino sfortunato. Anche se poi ogni tanto arriva qualcuno che mi dice che è illibro che gli è piaciuto di più.

Quindi è anche il libro che finora ha avuto meno riscontri?Sì. Non è difficile capire il perché.

Però è stato anche promosso poco?Si. Ero molto impegnato con i bimbi. Era appena nata la mia seconda bimba. Non mi sarei mosso neanche a cannonate.Perché ero preso dai miei problemi familiari.

La tavola di Dimmi la verità che ricorda De Luca

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Ma oggi come oggi, a distanza di 5 anni dalla sua pubblicazione,secondo te, per un libro come questo, ha senso pensare a comeriproporlo, a come dargli nuova vita? Il nostro mercato delfumetto lavora solo sulle novità? Non ci sono più prospettive sulmedio/lungo termine? Sì. Anche le novità durano sempre meno.

Però un libro come questo potrebbe essere interessante riscoprirlo.Si potrebbero fare approfondimenti, anche solo sul temadell'autobiografia. Tu non ti senti promotore del tuo lavoro, diqueste cose?Guarda, ormai bisogna essere anche quello. Bisogna essere disegnatori,grafici, scrittori, promotori di sé stessi, un po' cabarettisti e anchegiornalisti.

Scriviti anche gli articoli da solo. Per la Francia potresti scriveredue o tre recensioni su Tutte le ossessioni di Victor.Con degli pseudonimi. (ride)Però quello che avevo da dire l'ho detto lì, nel libro. Ho semprepreferito concentrarmi sull'aspetto creativo.

Sì. Diciamo che per un libro come Dimmi la verità, che a me piace molto, hai lì un patrimonio di copie e diconcetti che sono fermi. Sì, ma continuano ad andare in giro per le fiere.

Certo, però lo guardo, lo sfoglio, se va bene. Poi mi concentro su quello di cui si parla oggi, e di quello di cui siparla domani. Quindi, o mi ha colpito talmente tanto il tuo lavoro che voglio fare il completista e recupero anchei tuoi vecchi lavori, che per fortuna non sono moltissimi, oppure rischia di rimanere nascosto. Finché nondiventerai strafamoso e quindi ci sarà la corsa ai tuoi vecchi libri (risate).

LE CINQUE FASI E IL GRUPPO DEI DUMMY

Parliamo de Le cinque fasi. Lavoro realizzato con il gruppo dei Dummy. Alberto Ponticelli è stato il promotore inziale di questo lavoro. Ha avuto l'idea portante, ci ha raccolti e poi abbiamoiniziato a confrontarci su internet. Non avevamo neppure una grande confidenza. Dal punto di vista professionaleeravamo tutti molto distanti allora.

Quello che vi accomuna è la voce molto personale e decisa, eppure molto eterogenea. Ha scelto tutti Alberto?In parte sì. Un legame era stato lo Shok Studio. All'inizio dovevano essere Alberto, Ausonia, Akab e Michele Salvador.L'idea di coinvolgere me è stata successiva. Michele è sparito, Ausonia ha deciso di voler fare solo la parte grafica e dinon disegnare a fumetti. Hanno quindi cercato altre collaborazioni. È venuto fuori Officina Infernale e poi me. Perultimo Tiziano Angri.

L'idea di fondo del libro è trattare le cinque fasi del lutto con cinque voci e autori diversi. Come avete lavoratopoi sul trattamento per dargli coerenza e un filo conduttore. Noi sapevamo già che Ausonia avrebbe dato continuità trattando il tutto come un viaggio in treno, e che ogni storia erala fermata a una stazione diversa. L'idea del viaggio da una stazione all'altra.

Che riprende l'idea del lutto come viaggio interiore. Certo. Però era anche un escamotage narrativo per giustificare la diversità di stile e di voci. Abbiamo deciso di usare ununico personaggio, N., con lo stesso nome ma con facce diverse in ogni storia. Ognuno ha trattato il tema come voleva.

La tavola di Gianni De Luca dal suo Romeo e Giulietta

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La scelta delle fasi chi l'ha decisa?Le abbiamo decise insieme. Ognuno ha dato la sua preferenza.Sulla depressione Akab era quello che aveva più esperienza ditutti. (risate). Non c'è stata partita. Ha detto, questa è mia. Ciao.Anche Officina Infernale sulla rabbia era ovvio. Quindi le piùdifficili sono state il patteggiamento (la mia) e l'accettazione (diTiziano Angri).

Come hai lavorato sul patteggiamento?Scendere a patti. È forse quella più ambigua. C'è la presa dicoscienza del problema però non la definitiva realizzazione.Continui quindi a fregare te stesso. Cosa in cui tra l'altro miriconosco piuttosto bene (risate). Mi riconosco. Quindi ho dettoquesta mi assomiglia abbastanza. In realtà non ti saprei spiegare.Perché la mia non è neanche una storia. La storia non è l'aspettocruciale del tutto. Lo è di più l'aspetto grafico, l'atmosfera. Forseper tutti i racconti è lo stesso. Solo Akab credo abbia trovato piùcoerenza tra parte visiva e racconto. Ma anche lì non haraccontato una storia. Ha raccontato un vissuto. Io ho pensato difare una cosa molto destrutturata, per associazioni di idee. C'èun personaggio che ha perso tutto, il lavoro, la donna, la vista.Facendo l'architetto la sua carriera è finita. Metaforicamenteperde la capacità di progettare il futuro. Quindi nella storia il

personaggio tenta un'ultima carta prima di lasciar andare tutto e passare attraverso la depressione e cerca di progettareun grosso progetto da cieco.

Il patteggiamento è un po' quella fase in cui cerchi di superare il lutto senza però esserti concesso la tristezza, ilriconoscimento del dolore che ne consegue. È comunque una compensazione, una fuga. Ma prima o poi latristezza arriva e quindi è un tentativo fallimentare. Esatto.

La cosa più rilevante di questo libro è certamente la parte visiva. Anche per come è stato concepito nel formato.Un prodotto di qualità, di grande formato, con carta patinata. Una scelta anche rischiosa, se vogliamo, in terminidi investimento e di vendita. Ogni copia costava sui 30 euro. È un libro che è andato quasi esaurito. Ne avete voialcune copie ma l'editore l'ha esaurito. Anche questo libro, quindi, muore lì? Non dovrebbe rimanere in stampa?Sì. Ci sono sicuramente molte richieste. Le copie che abbiamo noi e che portiamo alle varie presentazioni vengonospesso richieste. Ci confrontiamo come collettivo con aspettative e desideri diversi. Alcuni tra noi dicono basta, il libroè finito, ha completato il suo ciclo, ha esaurito la sua funzione. Io invece vorrei tentare una ripubblicazione.

Anche in altro formato, volendo. Si, anche se rischia di snaturare il progetto. Ma noi siamo in sei e ognuno ha la propria idea. Finora comunque i pochitentativi fatti non hanno trovato editori interessati in Italia. Potrebbe essere interessante provare all'estero.

Infatti. Io lo vedo come un prodotto che funzionerebbe molto negli Stati Uniti. Anche se è fin troppo artistico forse.

Ci sono nicchie di mercato molto aperte a questo tipo di prodotti. È il mondo di Bill Sienkiewicz, di DaveMaKean, di tanti artisti che hanno sperimentato in una direzione simile a quella di Le cinque fasi. Se pensiamopoi agli stili di Akab e Ponticelli, di Officina Infernale. Certo.

Potrebbe essere una strada da percorrere. Andrebbe studiata la forma editoriale. Potrebbe essere pubblicatoanche in albetti...

Copertina de Le cinque fasi

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In ogni caso, questo mi offre la possibilità di tornare sul tema delle edizioni estere dei tuoi libri. Credo che oggicome oggi se lavori su un libro solo per il mercato italiano restringi infinitamente l'area dei possibili lettori. È una strada impervia, certo.

Mentre sempre di più si lavora per edizioni anche in altri paesi. Tutte le ossessioni di Victor in questo senso ècorretto, perché pubblicato contemporaneamente in tre paesi. Tu non hai mai provato a proporre gli altri tuoilavori all'estero?No. Non ci ho mai provato seriamente. Ci sono dei limiti in alcuni titoli che sono evidenti. Per esempio Minus Habenscon la filastrocca in rima richiede una traduzione ad hoc ed è difficile da piazzare. È difficile per il mercato italianoproporre un libro in rima, figuriamoci per quello estero.

Si. Dimmi la verità non lo so. Percorre una strada di una sperimentazione che non vedo da nessuna parte. Potrebbe essereun problema in altri mercati editoriali.

Però, io conosco piuttosto bene la realtà editoriale statunitense. Nell'ambito indipendente, sia per gli aspettivisivi, dove come dicevamo è forte il richiamo a Burns, sia per le tematiche che tu affronti, e penso anche aPandemonio, io vedo che potrebbero esserci delle possibilità. Per certi versi più che per quello francese.

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Sì, questo è vero. Il problema è quello di dover far tutto tu. Io sono già abbastanza pigro di mio. Mi focalizzo sulprogetto che sto facendo e poi mi aspetto che sia la casa editrice a dover fare il resto. Con Victor questo è avvenuto e nesono felice. E probabilmente in futuro ragionerò ancora in questo modo per i prossimi libri.

Anche Victor è un libro che vedrei bene per il mercato statunitense. Forse. Davide mi aveva obiettato che gli americani secondo lui sono molto fissati sulla rimozione del sesso. Lo vedonoancora come un argomento tabù.

Non nell'ambito delle produzioni indipendenti. In quel settore ci sono tantissimi fumetti che trattano quelletematiche e che hanno trovato il loro spazio. Vedremo. Forse L'Eredità, con gli italo americani potrebbe funzionare. (ride)

Esatto, potresti organizzare un bel tour a Little Italy. Puoi venderlo ai banchetti delle strade preparando quellepietanze! (ridiamo)Mi viene da aggiungere che come sensibilità sei molto vicino al fumetto statunitense. Sì in effetti io mi sono in qualche modo formato leggendo e studiando il fumetto statunitense o italiano che guardavanoall'America come Magnus.

Ecco, credo che sarebbe bello provarci e se mai dirsi, ok, non è andata, piuttosto che non provarci a priori.

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L'EREDITÀ COME NUOVO PUNTO DI PARTENZA

Dopo Le cinque fasi è uscito nello stesso anno Macchina suprema (2011).Pubblicato dalla Giuda Edizioni di Gianluca Costantini, con i disegni di Costantini, tuoi e di Armin Barducci e itesti di Giovanni Barbieri. Anche questo libro ha una genesi particolare. Si, Gianluca aveva iniziato a lavorare al libro all'inizio del 2000, a partire dalla sceneggiatura di Barbieri. È statoprodotto un terzo di quel lavoro che era stato pubblicato a puntate su Inguine Mahgazine. Poi la rivista chiuse, lui avevacambiato segno e ricerca, era diventato molto più asciutto. Ha abbandonato la fase decorativa e lisergica. Si trovavaperò per le mani una sceneggiatura pronta, un terzo del libro già disegnato. Quindi decise di far completare il libro adaltri due artisti. Io ho realizzato il secondo capitolo e Armin il terzo. Tra l'altro senza vedere cosa stava facendo l'altro.La sceneggiatura di Giovanni era particolare. Avevamo la storia e i dialoghi, ma non avevamo altre indicazioni.

Come definiresti le tematiche di Macchina suprema?Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato a una serie tv anni '60 in bianco e nero, tipo la Freccia Nera.

Strano, perché io ne ho una visione molto diversa. Tu avevi già visto il lavoro di Gianluca?Sì, le avevo viste, ma era difficile seguire la storia da quelle tavole. Le parole sembrano quasi decorazioni al disegno.Quindi io la storia non la conoscevo affatto.

A me è sembrata una grande storia sul tema della dipendenza emotiva, collegata poi a una visione esoterica dellarealtà. Dove in effetti queste caratteristiche emergono soprattutto nel lavoro di Costantini, attraverso la suaimponente architettura narrativa. Nel vostro lavoro la storia diventa più tradizionale, e permette di capiremeglio quello che è stato narrato prima. Qui hai usato uno stile con molto tratteggio, cosa che di solito non fai.Come mai?Il fatto che l'abbia interpretata come una storia antica, ho anticato il tratto, in qualche modo. Ho pensato alle stampepopolari, con una grande ricchezza di tratteggi.

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È un altro passaggio di lavoro dove hai disegnato a partire da una storia già data, senza un confronto diretto conlo sceneggiatore. È un po' un tuo tratto caratteristico. Anche quando lavori con uno sceneggiatore, lavori da sololo stesso! (risate)Sì, e credo che mi scelgano anche per questo. Perché c'è fiducia rispetto al mio trattamento.

Che riscontri ha avuto questo libro?È sparito quasi subito nel dimenticatoio. Purtroppo.

È un lavoro che ti piace ancora oggi?Lo vedo come una deviazione dal mio percorso artistico. Ma ogni lavoro lo vedo nello stesso modo. Non so neppurequale sia la mia strada maestra. Credo che sia ancora un bel libro, che ha ancora cose da dire. La storia di Barbieri è molto solida, affascinante, fluida.Sembra un fumetto di avventura esoterico. È molto originale. Poi c'è stata una pausa di un paio di anni. In quegli anni in realtà inizio a collaborare con Action 30, il collettivomultimediale dove c'è Giuseppe Palumbo a fare fumetti che mi ha coinvolto nella performance. È uno spettacoloteatrale sulla figura di Basaglia con attori in scena e i disegni realizzati dal vivo che creavano strati con i video cheandavano su schermo, musica dal vivo e due attori. Siamo stati spesso in Belgio, a Bruxelles, a Liegi.

Come mai a Bruxelles?Perché c'è un'associazione che realizza il Festival de La Libertèdove fanno teatro, cinema, dibattiti, ecc. E noi siamo stati inseritinel cartellone perché avevano prodotto loro lo spettacolo, con ilpatrocinio di un'altra associazione locale che si occupa di igienementale.

Bene. Adesso veniamo al 2014, con la pubblicazione di l'Eredità.L'ultimo libro che hai realizzato. Sì. L'Eredità l'ho fatto in mezzo al lavoro di Victor. Mi ha portatovia un anno circa di lavoro, non particolarmente intenso.

L'Eredità segna un passaggio importante nel trattamento dellasceneggiatura, perché c'è un uso più diretto dei dialoghi e della recitazione dei personaggi. Inoltre riprendi unatematica autobiografica, quasi in contrasto con quanto ci siamo detti per Dimmi la verità. Come ci hai lavorato?L'autobiografia è un pretesto. Ho cercato di creare un archetipo del rapporto madre-figlio. In particolare quando unfiglio si allontana da casa per lavorare altrove.

E quindi metti in scena il contrasto tra una cultura folkloristica, tipicamente del sud, e un altro universo. L'universo di chi va via di casa da giovane e non si riconosce più in quelle origini, perché ha fatto e vissuto altre cose.C'è il contrasto tra un figlio anche molto scettico, che non ha lavoro, ha debiti, minacciato dagli strozzini, e una mammache vorrebbe trasmettergli la sua eredità che lui vede come un tornare indietro.

Mi interessa molto l'uso che fai delle maschere. Ogni personaggio ha sul viso una maschera. Sì, volevo sottolineare da subito il distanziamento dall'autobiografia tradizionale. Puoi vederci lì dentro me e miamamma, ma con la maschera è evidente che vorrei renderli dei personaggi da commedia napoletana.

Quanto questa scelta è anche legata al tuo divertimento nel disegnare?Io mi diverto molto a disegnare le maschere. Tra l'altro quella di Pulcinella è un tormentone. Se mi devo rappresentare lo faccio così. Su Pandemonio mi ero rappresentato così. Su XL ho fatto una storia in cui parlo di un mio amico, e c'è la maschera.

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Le altre maschere cosa sono?Sono delle specie di Pierrot. Mi sono ispirato a delle spillette che avevo fatto in quel modo.

La storia è scandita dalle portate. Abbiamo gli antipasti, iprimi, i secondi e contorni, dolci e liquori. Illustrate da te instile molto tradizionale, ci sono le vere ricette di famiglia. Comele hai recuperate?Sono quelle di mia madre. Ha il suo ricettario. Cose segrete, difamiglia. A ogni ricetta c'è poi magari collegata una storiafamiliare, che collega le generazioni.

Il cibo caratterizza molto la propria cultura di origine. Sì, e poi mi interessava molto il rapporto tra cibo e narrazione. Ogniricetta porta con sé il racconto di quella specifica famiglia. Sonouna sorta di passaparola tra i fornelli. Volevo usare le ricette comealtro tipo di narrazione e metterlo a fumetti.

Come metti insieme il fatto che l'eredità con cui si confronta ilprotagonista è di tipo molto ingombrante con quella del cibo.Anche quest'ultima è una cosa di cui si sente eccessivamenteinvestito, o secondo te col cibo è più facile far passare il legamecon la propria appartenenza del passato?Il problema del personaggio è che non riconosce l'eredità come unasua reale eredità. Lui non gli dà valore.

È come se avesse perso le radici. E quindi il cibo per come lo hai trattato è un modo per il personaggio perritrovare quelle radici? O è solo un pretesto narrativo?Io volevo rappresentare il fatto che nel momento in cui la famigerata crisi economica ha messo tutti con le spalle almuro, magari può essere utile fare un passo indietro per vedere le cose con un occhio diverso, e trovare soluzioni piùefficaci. La madre fa quindi questo tentativo di dono. Il cibo è condivisione. È questo che il personaggio rifiuta. Oltreall'apparato religioso e folkloristico che gli sembra inaccettabile.

È anche un libro più immediato degli altri, come linguaggio?Sì. il mercato del fumetto è cambiato molto. E così l'idea di sperimentazione. Ci sono ormai pochi che fanno fumetto disperimentazione (omissis). Per cui io ho cercato di trovare un'idea che fosse piacevole per me e avesse qualche chancein più verso il lettori.

Un passaggio, quindi nella tua carriera, visto che fino al libro precedente questo problema non te lo eri posto? Si.

E questo solo per mere questioni di vendita, o anche perché vuoi parlare a più persone?Ma sì, per entrambe le ragioni. Forse ho iniziato anche a guardarmi intorno, vedere tanti che raccolgono un po' i frutti dianni di lavoro e tu no. E allora mi sono detto forse è bene che inizi a raccogliere qualcosa in più anche io. Mi vienel'esempio di Iggy Pop, quando il punk ha iniziato a fare tanti soldi, lui è arrivato, ha iniziato a riproporre se stesso perdire, guardate che voi venite da qui. Ora mi ripiglio quello che era mio. E non tanto per competizione. Per un motivopersonale. Non riguarda tanto il confronto con gli altri. E quindi ho deciso di essere un po' più accessibile, pur facendoun lavoro eccentrico. Ha una collocazione comunque non scontata. Ho quindi cercato di salvare capra e cavoli. (risate)

Senti, una volta ne avevamo parlato personalmente in occasione di una tua presentazione. Io ho spesso avutol'impressione che ci sia una sorta di autodifesa nel voler veramente arrivare al cuore di quella che potrebbeessere la tua voce. Le tue sperimentazioni a volte sembra che siano una divagazione per sfuggire un po' a quelloche veramente sei e vorresti esprimere. Fai anche una ricerca molto intellettualistica. Prendi distanza da molteforme consolidate e tradizionali. Nell'insieme, guardare tutto ciò da una particolare prospettiva, può sembrareun allontanarsi dal cuore di quello che senti. È comunque una modalità che mi rappresenta molto!

Ecco. Da lettore è come se ogni volta mi sfuggissi. Se non volessi entrare in sintonia ed empatia pienamente con latua voce. E ogni volta, davanti a un tuo lavoro, penso, OK ci siamo, adesso Squaz fai il salto successivo, arrivadove davvero vuoi. Al cuore. È una provocazione un po' che ti faccio.

Le maschere de L'eredità

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Ah, qui siamo tra provocatori! (ride)Io mi sono chiesto spesso qual è il cuore della faccenda. Il racconto? Mettersi a nudo pienamente? Ma dove sta scrittoche in un fumetto devi metterti davvero a nudo? E qual è diciamo, il modo di fare fumetti nel quale qualcuno davvero sirealizza? Io penso che questo sia frutto della mia reazione a qualcosa che c'è, e di cui riconosco l'esistenza. Per questo miconsidero eccentrico, più che rivoluzionario. Per me il modo di fare fumetti per così dire “standard”, la graphic novel,che è vero che raccoglie di tutto, però è una brutta bestia. Qualcosa in cui non so se ci voglio entrare. È un modo di farefumetto, e parlo di linguaggio non di lettori, che ho sempre trovato un po' una forzatura. Ma già solo il fatto del librolungo a fumetti lo trovo poco connaturato all'idea di fumetto. Per me il fumetto è sintesi, e dovrebbe essere sinteticoanche nel numero di pagine. Averlo allungato tanto vuol dire anche aver riconosciuto la superiorità della letteraturasulle immagini. Ma magari cambio idea tra mezz’ora.

Sì. Dipende molto dai contenuti. È chiaro che se pensi a un fumetto che ha avuto molta fortuna negli USA comeBlankets di Craig Thomson...Che io ho odiato...

… è un fumetto che poteva essere raccontato con la metà delle pagine. Per altri lavori il numero di tavole apparepersino poco rispetto a quello che il tema poteva richiedere. Mi viene in mente l'ultimo lavoro di Tiziano Angri(L'unica voce, ed. Coconino) dove quando arrivi all'ultima tavola ti sorprendi e pensi, ma come, me lo chiudi qui,così? Tanto per usare due estremi. Sì, ma non credo che questo abbia a che fare strettamente con il fumetto. Anche in letteratura hai il Circolo Pickwick oDostoviesky...

Infatti. Perché in fondo credo che il punto non sia questo. Non è solo un ragionamento sulla forma, ma suicontenuti. Per me invece è un fatto di linguaggio. Il fumetto per me dovrebbe essere in forma breve.

E su questo ti seguo. Ma quello dove io ti trovo un po' sfuggente, non è tanto sulla forma che usi, ma suicontenuti. È come se divagassi. Mi chiedo, ma qual è il tuo punto di vista reale sulle cose di cui ci parli?Ma tu ti fai questa domanda sui Monty Python, per esempio?

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Si, ma io non ti collegherei ai Monty Python. Perché loro hanno una capacità di ironizzare senza tralasciare illoro punto di vista sulle cose. Le loro posizioni arrivano molto chiaramente. A volte è come se tu non prendessiposizione su certi contenuti. Ma io non lo so. Credevo di sì. In Dimmi la verità in vari punti mi sembra di farlo. Anche in Minus Habens.

Ecco, citi un buon esempio. In Dimmi la verità prendi posizione ma nel modo meno diretto possibile. Dove chiedisempre molto al lettore. Ma questo è buono!

Certo, ma io non sto dicendo che stai facendo male. Non sto dicendo che stai sbagliando. Dico solo che c'è ilrischio di un'eccessiva distanza tra quello che è poi il tuo pensiero e quello che arriva al lettore. Se tu al lettorechiedi troppo, rischi che lui non abbia il tempo, la voglia e la forza per arrivarci. L'Eredità invece credo abbiapiù equilibrio tra quello che hai in mente e quello che arriva al lettore. L'Eredità e Minus Habens sono quelli che vengono più incontro a chi mi legge. Io non mi sono mai posto il problema diessere sfuggente. Anche perché la mia ricerca è il tentativo di spiazzarti. Come il prestigiatore che cerca di sorprenderti.Per questo ci sono sicuramente dei rischi. Non avevo considerato quello che stai dicendo tu. Il rischio forse è quello distufare, perché ti aspetti sempre la sorpresa.

Oppure per paradosso viene quasi da dire, OK, smettila di giocare, raccontami una storia vera!Ho capito quello che dici tu. Ma mi chiedo perché devo smettere di giocare? Il gioco non è una cosa che ha un valore?

Sì, a meno che il gioco non sia un divagare intorno alle cose. Capisci? Questo è il rischio che io ci vedo. Giraintorno alle cose, ma non arriva al cuore della questione. Non ci ho mai pensato in questi termini. Io non voglio arrivare a nessun cuore. Io non ho nessuna visione da difendere.

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Non intendo difendere. O proporre. E comunque oggi si tratta anche di difendere.

Quindi hai qualcosa da difendere?Certo che sì. Ma non voglio essere portavoce di qualcosa. Non attraverso le mie opere.

Io vedo che fai un'operazione che è intellettualmente forte. Hai una posizione da difendere chiara: non esserescontato, essere stimolante, chiedere al lettore di metterci il suo, che è un aspetto genetico del fumetto. Ci vedoquesto progetto di sfida intellettuale. Forse manca la parte più viscerale, emozionale. Che comunque fa parte delnostro mondo. E che quindi potrebbe rivelare un'altra parte importante del tuo modo di vedere o sentire le cose. Non so se ho una risposta da dare. È anche carattere. D'altra parte mi considero una persona molto razionale, ma cometu ben sai, più sei razionale più hai un inconscio che ti minaccia.

Ma infatti, per esempio, il tuo modo di utilizzare i simboli parla molto alla dimensione inconscia. È come se allafine accedessi a quella dimensione, primaria, energetica, non attraverso la narrazione in sé, ma attraverso isimboli che usi. Io cerco di contenerli, i simboli. Avevo letto una volta una cosa interessante, dove si diceva che il pericolo maggiore perun artista è quello di ritrovarsi a secco, senza più demoni. Ma anche l'altro estremo ti mangia, puoi essere divoratodall'inconscio. Quindi io li tengo sotto sorveglianza speciale, i simboli.

Stavo studiando i tarocchi di Salvador Dalì, che è stato tangenziale al surrealismo. Un lavoro che lui ha fatto sucommissione, per prendere un sacco di soldi. Anche se il lavoro è molto interessante. E pensavo che al di là delfatto che lo stile sia diverso dai surrealisti, hai qualcosa che si avvicina a quel modo di pensare la narrazione el'arte. Tra l'altro con questo concetto che Breton esprimeva nel manifesto del surrealismo: non è più unproblema di trovare codici che fanno accedere all'inconscio al conscio. L'arte non è più la manifestazionedell'inconscio nel conscio, ma il contrario. È l'affermazione dell'inconscio sul conscio. I tuoi lavori mi ricordanomolto questo processo. Io con il surreale in effetti vado a nozze.

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E mi chiedo se oggi come oggi non sia un eccesso di presa di distanza dallarealtà. No, io dico di no. Anche perché sono fresco di lettura di questo libro di MiguelBrieva (Eris Edizioni), che si chiama Cosa mi sta accadendo, è una sorta didiario, dove il protagonista giorno per giorno si ritrova ad accedere a unadimensione sempre più surreale. È un'escalation così. E la quarta di copertinarecita qualcosa tipo, “Nel momento in cui non c'è più niente da fare, l'unica cosapossibile è squarciare il velo della realtà e accedere a questo tesoro nascosto”.

Concordo. Che è un po' anche il cuore di un certo tipo di ricerca esoterica. Lui ne fa anche un discorso politico, sul capitale. Tu dici che gioco, ma in realtàper me è anche un discorso sul capitale. Perché se io ci entro dentro finisco inmeccanismi che temo che non mi appartengono più.

Ecco, questo timore arriva chiaramente al lettore. Noi siamo parte di unsistema capitalistico. Esserne fuori è difficile.Appunto. E torniamo al fatto di essere eccentrico. È un po' una forma perpreservarmi.

A conclusione dell'intervista, Squaz ci ha offerto alcune tavole inedite di un lavoro al momento non ancora completatodal titolo La marcia. Lo ringrazio personalmente, per la disponibilità e le piacevoli chiacchiere.

I tarocchi universali di Salvador Dalì

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Guglielmo Nigro (Milano, 1975) Studia e racconta di fumetti dall'inizio del nuovo millennio. Laureato in psicologia,musicista e musicoterapeuta. ricercatore nell'ambito dei simboli, della meditazione e dei codici dell'inconscio. Dal2004 inizia a collaborare stabilmente con LoSpazioBianco.it. Negli anni, ha accumulato strati sovrapposti di letture,interessi e impressioni che hanno sempre avuto le vignette come filo conduttore. E' stato l'ideatore della 24 Hour ItalyComics, che ha visto la luce per la prima volta nel 2005, dopo appassionanti discussioni in redazione eapprofondimenti con Nat Gertler (allora collaboratore di Scott McCloud per l'organizzatore del 24 Hour Comics Day).Nel 2008 realizza per Coniglio Editore il libro Lezioni di fumetto: Roberto Diso. Ha collaborato stabilmente con il notocritico statunitense Harry Naybors per il blog di critica in italiano harrydice (http://harrydice.blogspot.com) cheriscosse molto successo tra gli addetti ai lavori e gli appassionati di fumetto. Oggi scrive regolarmente su un altroblog, ^Sigh^Comics! (http://sighcomics.blogspot.com).