8
© Massimo Ghimmy 31 ronstadt k periodico mensile Numero 31 Mercoledì 21 Marzo 2007 Costruiamo una nuova lotta contro la dittatura del presente Il prodotto estetico del mattino, offerto oggi, dopodomani sarà fondo di scarto non più commerciabile e da trasferire in archi- vio: in attesa del momento favorevole per tirarlo fuori ancora una volta, magari fra dieci anni, a titolo di “ritorno” sentimentale. (…) Educando all’avanguardia la clientela che vuole essere ser- vita con “le ultime novità” e che reclama il futuro come un be- ne di consumo, si realizza il principio della non-contemporaneità del contemporaneo. (Questioni di dettaglio, H. M. Enzensber- ger, PEM, 1998). Il ‘900 è stato un secolo che ha saputo più volte ricostruire una propria identità. Non sono mancati conflitti che hanno prodotto determinanti motivazioni in tal senso. La risposta alla domanda del titolo è pre- sto data: perchè veniamo da decenni di tale riflusso morale, sociale, politico e intellettuale a livello collettivo che il ri- chiamo all’avanguardia non so se è più una necessità o una speranza. Ma per parlare del senso dell’avanguardia nella conteporaneità dobbiamo subito sgom- brare il campo da un rischio: la ripetizio- ne epigonale dei modelli avanguardistici del passato. Nulla farebbe più orrore ai padri nobili delle avanguardie novecen- tesche, se potessero venirne a conoscen- za, che vedere la loro opera divenire una scolastica. Le avanguardie artistiche, let- terarie, filosofiche, politiche, tutto posso- no aver rappresentato eccetto il tentativo di fondare nuove, rigide scuole formali. Il manierismo avanguardista, la ripre- sa pedissequa dei modelli, la trasforma- zione della spinta sovversiva in retorica compositiva, della ricerca instancabile in effetto, la riduzione della novità in stile, dello scandalo in senso comune, hanno sempre rappresentato il massimo rischio di degenerazione delle avanguardie, la loro morte cerebrale, la loro soppravvi- venza parodistica in stato comatoso. Se si vuole fare avanguardia oggi si deve partire da una pietosa eutanasia di que- sti ipercorpi vegetativi. È forse, questo, il primo gesto d’avanguardia oggi. Ma non basta solo questo. Ad esso si ac- compagnano altri due elementi. Il primo è la riattualizzazione dello spirito inter- pretativo, analitico, caustico, sovversivo, parodistico, che è stato delle avanguar- die storiche, rivolto su tutto, senza timo- ri reverenziali. Anche contro i venerati maestri dell’avanguardia stessa per ciò che in essi, nel sentimento comune, è divenuto vuota maniera, design social- mente accettato, mercato dell’arte. Una rivolta non ingenua, ma fondata sulla conoscenza approfondita, sulla prepara- zione assidua, sull’abilità provata, per lo meno come aspirazione di fondo. Picas- so non ha forse decostruito la pittura ri- nascimentale pezzo a pezzo, prospetti- va su prospettiva? Sì certo, ma a partire dal fatto che sapeva dipingere come Raf- faello. Perchè tenere di partenza la bar- ra più bassa? Si fa sempre in tempo a ri- toccarla al peggio. Ciò che più è inutile è l’improvvisazione ingenua. Non innove- rà un bel nulla. In secondo luogo, l’avan- guardia oggi sarà tale se saprà guarda- re alla sua società, come fecero al loro tempo le avanguardie storiche, indagar- la nelle sue modalità di costituzione, in- terrogarla sulle sue contraddizioni, sta- narla nelle sue reticenze, spronarla nella sua coscienza e soprattutto penetrarne, appropriarsi, storpiarne e trasfromar- ne le modalità comunicative attraverso le quali si forma l’immaginario colletti- vo. Si tratterà di interpretare, di illumi- nare, di anticipare, se ne sarà capace, di indirizzare le sue esigenze, che potreb- bero anche prendere una direzione inat- tesa, forse persino contraria alla retori- ca avanguardista. Se non saprà correre questo rischio, se non sarà questo, non sarà nulla. Matteo Canevari merda che artista Perché l’avanguardia oggi ...continua a pag. quattro 900 Avanguardie qui ed ora Parlare di avanguardie in poco più di mezza pagina è impresa tanto ardua quanto inutile. Così come farlo in otto pagine otto risul- terebbe quantomeno arrogante e preten- zioso; ragion per cui, il succoso nume- ro di kronstadt che vi imbratta le mani, lungi dal voler risultare summa, pano- ramica esaustiva di un’onda d’urto le cui conseguenze sgargianti ancora oggi si possono intravedere nelle intercapedini aperte dall’arte sulla quotidianità, risco- pre il piacere sovversivo di stravolgere la dogmaticità di una scaletta ordinata, fatta di pagine uno e di pagine due, di criteri organizzativi e perché no, di pun- ti di virgole di delicati silenzi appesi alle pendici di ciò che più ci garba… In altre parole, se qualcuno o qualcosa si sforzasse troppo di dissuadere sé stes- so da qualsiasi pretesa di ovvietà senza metterne in conto la necessità ed ancor prima le inevitabili incongruenze…par- ta dal presupposto che in questo nume- ro milioni di anni di percorso evoluti- vo verranno bellamente, candidamente buttati nel cesso, accattivante sintesi tecnologica tra la fontana di Duchamp ed il rifiuto postorganico di un paven- tato, oggettivamente pregnante ritorno all’umano. In altre parole: come si svolge l’amore tra persone intelligenti nel momento in cui la tecnologia recluta interessi a ca- saccio? Viviamo continuamente il depe- rimento di un’identità sempre meno sta- bile, in cui viene meno il dogma (Dio, mi riempie proprio la bocca…) dell’ana- tomia intesa come destino (se la gen- te riscoprisse Rettore, Freud verrebbe cancellato con orrore da qualsiasi guida Michelin), ma accarezziamo comunque la prospettiva seducente del transuma- nesimo luccicante bibbidi bobbidi bu… echi e ritorni? Probabilmente, anche se a ragion del vero, Marinetti concepiva la veloci- tà in termini di pochi chilometri orari, Schwartzkogler si tagliò le palle duran- te la sua ultima performance (e non in senso figurato, volià pourquoi fu la sua ultima performance), ed Hermann Nit- sch iniziò a confondere il recupero del dionisiaco con un pruriginoso, subdolo tentativo di sedurre l’industria delle car- ni in scatola… e via fino al mio passato occulto di segretaria d’azienda, quando una decina buona di anni fa incontrai sul mio libro di propedeutica alla datti- lografia l’esercizio “AMMASSA LA MAS- SA DADA”. In altre parole, se qualcuno o qualcosa si sforzasse troppo di dissuadere sé stes- so da qualsiasi pretesa di ovvietà, si ri- cordi che mai e poi mai una rivista si af- fiderebbe ad un editoriale privo di sensi chiosando “QUESTO NON è ROCK AND ROLL: QUESTO è GENOCIDIO!”. Di meglio, il caro e vecchio Cocteau ri- marcherebbe “gli specchi dovrebbero ri- flettere un istante, prima di riflettere le immagini”, o forse no? Paolo Bertazzoni Identità mutanti ed entità cagionevoli paviHARDpoetry 20, 21, 22, 23 Marzo 2007 Ore 18:00, Osteria Sottovento Siete tutti invitati al più grande contest di poesia a sfondo erotico-pornografico Non Mancate Maggiori informazioni a pagina 2

Kronstadt 31

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Kronstadt 31

© Massimo Ghimmy

31ronstadtk periodico mensileNumero 31

Mercoledì 21Marzo 2007

Costruiamo una nuova lottacontro la dittatura del presente

Il prodotto estetico del mattino, offerto oggi, dopodomani sarà fondo di scarto non più commerciabile e da trasferire in archi-vio: in attesa del momento favorevole per tirarlo fuori ancora una volta, magari fra dieci anni, a titolo di “ritorno” sentimentale. (…) Educando all’avanguardia la clientela che vuole essere ser-vita con “le ultime novità” e che reclama il futuro come un be-ne di consumo, si realizza il principio della non-contemporaneità del contemporaneo. (Questioni di dettaglio, H. M. Enzensber-ger, PEM, 1998).

Il ‘900 è stato un secolo che ha saputo più volte ricostruire una propria identità. Non sono mancati conflitti che hanno prodotto determinanti motivazioni in tal senso.

La risposta alla domanda del titolo è pre-sto data: perchè veniamo da decenni di tale riflusso morale, sociale, politico e intellettuale a livello collettivo che il ri-chiamo all’avanguardia non so se è più una necessità o una speranza. Ma per parlare del senso dell’avanguardia nella conteporaneità dobbiamo subito sgom-brare il campo da un rischio: la ripetizio-ne epigonale dei modelli avanguardistici del passato. Nulla farebbe più orrore ai padri nobili delle avanguardie novecen-tesche, se potessero venirne a conoscen-za, che vedere la loro opera divenire una scolastica. Le avanguardie artistiche, let-terarie, filosofiche, politiche, tutto posso-no aver rappresentato eccetto il tentativo di fondare nuove, rigide scuole formali. Il manierismo avanguardista, la ripre-sa pedissequa dei modelli, la trasforma-zione della spinta sovversiva in retorica compositiva, della ricerca instancabile in effetto, la riduzione della novità in stile, dello scandalo in senso comune, hanno sempre rappresentato il massimo rischio

di degenerazione delle avanguardie, la loro morte cerebrale, la loro soppravvi-venza parodistica in stato comatoso. Se si vuole fare avanguardia oggi si deve partire da una pietosa eutanasia di que-sti ipercorpi vegetativi. È forse, questo, il primo gesto d’avanguardia oggi. Ma non basta solo questo. Ad esso si ac-compagnano altri due elementi. Il primo è la riattualizzazione dello spirito inter-pretativo, analitico, caustico, sovversivo, parodistico, che è stato delle avanguar-die storiche, rivolto su tutto, senza timo-ri reverenziali. Anche contro i venerati maestri dell’avanguardia stessa per ciò che in essi, nel sentimento comune, è divenuto vuota maniera, design social-mente accettato, mercato dell’arte. Una rivolta non ingenua, ma fondata sulla conoscenza approfondita, sulla prepara-zione assidua, sull’abilità provata, per lo meno come aspirazione di fondo. Picas-so non ha forse decostruito la pittura ri-nascimentale pezzo a pezzo, prospetti-va su prospettiva? Sì certo, ma a partire

dal fatto che sapeva dipingere come Raf-faello. Perchè tenere di partenza la bar-ra più bassa? Si fa sempre in tempo a ri-toccarla al peggio. Ciò che più è inutile è l’improvvisazione ingenua. Non innove-rà un bel nulla. In secondo luogo, l’avan-guardia oggi sarà tale se saprà guarda-re alla sua società, come fecero al loro tempo le avanguardie storiche, indagar-la nelle sue modalità di costituzione, in-terrogarla sulle sue contraddizioni, sta-narla nelle sue reticenze, spronarla nella sua coscienza e soprattutto penetrarne, appropriarsi, storpiarne e trasfromar-ne le modalità comunicative attraverso le quali si forma l’immaginario colletti-vo. Si tratterà di interpretare, di illumi-nare, di anticipare, se ne sarà capace, di indirizzare le sue esigenze, che potreb-bero anche prendere una direzione inat-tesa, forse persino contraria alla retori-ca avanguardista. Se non saprà correre questo rischio, se non sarà questo, non sarà nulla.

Matteo Canevari

merda che artista

Perché l’avanguardia oggi

...continua a pag. quattro

900 Avanguardie qui ed ora

Parlare di avanguardie in poco più di mezza pagina è impresa tanto ardua quanto inutile.Così come farlo in otto pagine otto risul-terebbe quantomeno arrogante e preten-zioso; ragion per cui, il succoso nume-ro di kronstadt che vi imbratta le mani, lungi dal voler risultare summa, pano-ramica esaustiva di un’onda d’urto le cui conseguenze sgargianti ancora oggi si possono intravedere nelle intercapedini aperte dall’arte sulla quotidianità, risco-pre il piacere sovversivo di stravolgere la dogmaticità di una scaletta ordinata, fatta di pagine uno e di pagine due, di criteri organizzativi e perché no, di pun-ti di virgole di delicati silenzi appesi alle pendici di ciò che più ci garba…In altre parole, se qualcuno o qualcosa si sforzasse troppo di dissuadere sé stes-so da qualsiasi pretesa di ovvietà senza metterne in conto la necessità ed ancor prima le inevitabili incongruenze…par-ta dal presupposto che in questo nume-ro milioni di anni di percorso evoluti-vo verranno bellamente, candidamente buttati nel cesso, accattivante sintesi tecnologica tra la fontana di Duchamp ed il rifiuto postorganico di un paven-tato, oggettivamente pregnante ritorno all’umano.In altre parole: come si svolge l’amore tra persone intelligenti nel momento in cui la tecnologia recluta interessi a ca-saccio? Viviamo continuamente il depe-rimento di un’identità sempre meno sta-bile, in cui viene meno il dogma (Dio, mi riempie proprio la bocca…) dell’ana-tomia intesa come destino (se la gen-te riscoprisse Rettore, Freud verrebbe cancellato con orrore da qualsiasi guida Michelin), ma accarezziamo comunque la prospettiva seducente del transuma-nesimo luccicante bibbidi bobbidi bu… echi e ritorni?Probabilmente, anche se a ragion del vero, Marinetti concepiva la veloci-tà in termini di pochi chilometri orari, Schwartzkogler si tagliò le palle duran-te la sua ultima performance (e non in senso figurato, volià pourquoi fu la sua ultima performance), ed Hermann Nit-sch iniziò a confondere il recupero del dionisiaco con un pruriginoso, subdolo tentativo di sedurre l’industria delle car-ni in scatola… e via fino al mio passato occulto di segretaria d’azienda, quando una decina buona di anni fa incontrai sul mio libro di propedeutica alla datti-lografia l’esercizio “AMMASSA LA MAS-SA DADA”.In altre parole, se qualcuno o qualcosa si sforzasse troppo di dissuadere sé stes-so da qualsiasi pretesa di ovvietà, si ri-cordi che mai e poi mai una rivista si af-fiderebbe ad un editoriale privo di sensi chiosando “QUESTO NON è ROCK AND ROLL: QUESTO è GENOCIDIO!”.Di meglio, il caro e vecchio Cocteau ri-marcherebbe “gli specchi dovrebbero ri-f lettere un istante, prima di rif lettere le immagini”, o forse no?

Paolo Bertazzoni

Identità mutanti ed entità

cagionevoli

paviHARDpoetry20, 21, 22, 23 Marzo 2007

Ore 18:00, Osteria Sottovento

Siete tutti invitati al più grandecontest di poesia

a sfondo erotico-pornografico

Non Mancate

Maggiori informazioni a pagina 2

Page 2: Kronstadt 31

k2 se non si è capito siete di fronte a un numero tematico periodico mensileNumero 31

Mercoledì 21Marzo 2007

Agli inizi del XX secolo mece-nati e collezionisti ebbero un enorme influsso su varie cor-renti artistiche, contribuendo ad allargare il mercato dell’ar-te che, dopo essere stato per secoli legato a una committen-za prettamente aristocratica, si era aperto alla borghesia. Fece-ro inoltre crescere il valore di artisti e di singole opere d’arte, ma soprattutto si impegnaro-no moltissimo per far conosce-re artisti sconosciuti, stimolan-do e finanziando i loro protetti. È il caso di due grandi donne, Gertrude Stein e Peggy Gug-genheim. Fu anche grazie a loro se nel corso del Novecen-to avanguardie e movimenti ebbero modo di maturare e im-porsi come punti di riferimen-to per le successive correnti artistiche.Gertrude Stein nacque nel 1874, da una benestante fami-glia di origini ebraiche, giova-nissima si trasferì con il fratello Leo a Parigi dove si stabilirono al 27 di rue de Fleurus. Appas-sionata di arte sin da giovane, Gertrude divenne punto di ri-ferimento per gli squattrinati artisti parigini che ogni saba-to sera affollavano il suo salot-to per discutere di arte, lettera-tura o politica (o, secondo i più maliziosi, per i panini prepara-ti da Gertrude). Dal sobrio pa-lazzo di Montparnasse passa-rono Picasso, Matisse, Braque e Rousseau, solo per ricordar-ne alcuni, e fu qui che il mo-vimento cubista, di cui la Stein fu musa e finanziatrice, ebbe

modo di crescere e sviluppar-si per diventare una delle più note correnti artistiche del No-vecento. Grandi furono i meri-ti della magnate americana; se da un lato, grazie alla sua intra-prendenza, permise a numero-si esordienti di farsi conoscere al grande pubblico, dall’altro, la consistenza e la frequenza dei suoi aiuti si manifestò po-sitivamente anche sulla produ-zione artistica dei suoi protetti, gettando le basi di alcune tra le

principa-li correnti artistiche del XX se-colo.Come Gertrude Stein, Peggy Guggenheim ebbe un ruolo di primo piano come mecena-te e filantropa. Numerosi sono i punti in comune tra queste due grandi donne, entrambe ebbero a disposizione ingen-ti fortune che permisero lo-ro di vivere a stretto contatto con questo mondo che le atti-rava, furono figure affascinanti e ricche di carisma: battagliera femminista e lesbica dichiara-ta la Stein, eccentrica predatri-ce di uomini la Guggenheim. La loro forte personalità lasciò una profonda impronta nella storia dell’arte. Margareth Guggenheim nac-que a New York nel 1898, anche

lei proveniente da una ricca famiglia ebrea. Fu una picco-la fortuna, ereditata all’età di 21 anni, che le permise di tra-sferirsi a Parigi, di viaggiare in Europa e di stringere amicizia con numerosissimi intellettua-li ed artisti del periodo; i salot-ti delle sue case furono tra le più importanti fucine di idee politiche e culturali del perio-do tra le due guerre. Il rappor-to tra la Guggenheim e l’arte fu segnato dalla sua eccentri-cità che, unita ad una grande

disponibilità economica, le permise di entrare a far parte di vari esclusi-vi circoli di artisti. Peg-gy non si limitava a fi-nanziare e promuovere

“i suoi artisti”: con molti di loro fu in intimi rapporti, arrivando a sposare lo scultore dadaista Laurence Vail nel 1922, e poi il suo favorito, il tedesco Max Er-nst, nel 1942. Non indifferente fu la sua competenza come ta-lent scout. emblematico in tal senso è il caso di Jackson Pol-lock, pittore sconosciuto fino agli anni ’50; fu proprio lei ad aiutarlo e, più di tutto, a crede-re in lui. Sin dagli anni ’40 lo finanziò con un vitalizio men-sile e gli organizzò ben quattro mostre personali presso la sua galleria di New York. Dal ’60 in poi, Peggy, raccolse le ope-re da lei acquistate nel suo pa-lazzo di Venezia, costituendo il nucleo principale della fonda-zione a lei dedicata.

Alessandro PellegrinoAlice Tassan

Arte, stravaganza, mecenatismoGertrude Stein e Peggy Guggenheim

Recentemente un noto critico e giornalista italiano che navi-ga da ben 40 anni a pieno re-gime nel campo dell’arte, in un suo dialogo/intervista con un economista specializzato sul mercato di opere, ha affer-mato tra una riga e l’altra che “negli ultimi anni (periodo ab-bastanza generico, n.d. Zinni) tutti, ma davvero tutti hanno fatto i soldi con l’arte. Alcuni addirittura hanno riscosso mi-lioni di euro”.Nonostante si debba ricono-scere a tale critico che sia sem-pre stato disponibile al dialogo con i giovani e con chi aves-se dei dubbi o semplicemente qualcosa da dire, non è diffici-le ma nemmeno ovvio soste-nere che tal affermazione sia una sporca e vergognosa men-zogna. All’interno di ogni ge-nerazione esiste un numero notevole, grande o grandissi-mo di artisti che tra mille sa-crifici, nonostante le difficoltà economiche e di gestione, so-no riusciti in qualche modo a portare avanti una meritevo-le attività artistica e cultura-le, i cui contenuti per assurdo sono spesso di gran lunga più interessanti di quelli apparte-nenti alle opere frutto di dia-triba e compromesso tra arti-sti e altri operatori.La gravità di questa dichiara-zione aumenta in grande mi-sura se consideriamo il fatto che tale uscita sia stata orgo-gliosamente pubblicata al gior-no d’oggi in un articolo di una delle testate d’arte, ahimè, più distribuite d’Italia. Perchè con-tinuare ad ostentare con que-sto arrogante perbenismo che “Va tutto bene”? Se dei luri-di maiali si sono impossessati di un sistema non bisogna di-menticare di chiedersi cosa è stato fatto o meno per evitar-lo. Un fattore determinante che ha portato prima l’America, e subito di seguito l’Europa, al-la rivoluzione dei gusti dal do-poguerra in avanti è la caren-za o la totale mancanza di un pubblico attivo ed influente. Se in altri settori artistici, musica in primis, per tutto il 900, (pri-ma con il jazz poi con il rock) i consumatori sono stati più o meno sempre attivi e schie-rati, in nome di ideali, scelte, prese di posizione ecc., con-tribuendo al vertere del gusto, alla sua evoluzione, alla nasci-ta di generi e sottogeneri nuo-vi ma soprattutto all’afferma-zione degli stessi prodotti, in arte figurativa invece il pub-blico in poco tempo è diven-tato umile ed attonito, silente e timoroso e in alcuni casi ad-dirittura fobico di non avere la sensibilità necessaria per capi-re l’opera.

Tanta gente dice, seppur sotto-voce, di non amare per nulla le provocazioni e le esagerazioni dell’arte, che però imperver-sano e comunque, nonostante questo, attraggono inevitabil-mente. Soprattutto se esse so-no proposte a livelli molto alti (tanto per essere attuali: tene-te presente DADADA di Boni-to Oliva proprio a Pavia).Non si deve spiegare il feno-meno della mancanza di un interesse influente del pubbli-co giustificandolo come con-seguenza del fatto che l’arte sia stata proposta e consolida-ta con successo come prodotto di “culturalmente elevati” per “culturalmente elevati”. Alla fine della fiera, manca pe-rò all’appello chi compra. Pos-sibile che il collezionista sia realmente circuìto con effica-cia per mezzo del famoso di-scorso dell’investimento? Pos-sibile che tutti abbiano dei gusti estremi dediti all’alter-nativo puro, al concettuale, al-l’informale esplicito? Oppure per avere i soldi è condizio-ne necessaria (ma non suffi-ciente) NON avere gusto cri-tico? Un’ipotesi ben più reale potrebbe essere questa: consi-derando il sistema internazio-nale esiste un mercato domi-nante che impone le scelte a tutti gli altri. Ancora una volta l’America, oltre a consumare gravemente il nostro cervello e quello della nuova genera-zione avvicinandosi al mono-polio delle produzioni cine-matografiche e dei suoi format televisivi, ci impone prodotti e gusti in tanti settori e quello dell’arte non è escluso.

Chi vi scrive è Nicola Zin-ni, giovane pittore e vi ricor-da che chi vinse scrisse la sto-ria; chi la compra vi entra. Ma con un po’ di necessaria ironia vi dice anche che Francis Ba-con ai suoi tempi era sì l’uni-co omosessuale e masochista britannico che si dichiarava di destra, ma disse anche che la grande arte è quella che in un modo o nell’altro riconduce al-l’uomo. Un’arte che non faccia questo, prima o poi ricade inevi-tabilmente nel decorativismo.

www.zinni.itwww.zinnisiincazza.splin-

der.com

ZINNI SI INCAZZALa mancanza dell’attivo interesse

- prima parte -

Come l’anno scorso, in occasio-ne del 21 marzo, decretato dal-l’UNESCO Giornata Mondiale della Poesia, all’osteria sotto-vento si svolgerà uno “slam poetry”.La gara si articolerà su tre eli-minatorie ed una finale, dal 20 al 23 marzo. Ogni autore avrà 5 minuti e un massimo di 5 componimen-ti rigorosamente propri, per esporsi al giudizio di una giu-ria popolare estratta a sorte du-rante ogni serata.Le poesie dello “slam” saranno infine raccolte in un libretto e pubblicate in vari siti.Lo “slam”,quest’anno, come si evince dal titolo “PaviHAR-DPoetry”, ha un suo specifico tema: l’erotico, l’osceno, il por-nografico.Perché questa scelta?Riteniamo che in questo pe-riodo di sensi assopiti, di ve-re oscenità mediatiche, di sesso venduto in compres-se blu, sia necessario rico-minciare a parlare dei nostri corpi,riscoprendo il nostro “primitivo”, testimoniato da molte, antichissime, novelle

cosmogoniche.Infine pensiamo che, malgra-do ciò che viene propaganda-to dai vari osservatori romani, scoprire i tanti lati, anche quel-li più turpi, del nostro relazio-narci tra corpi sia liberatorio e soprattutto molto divertente.Vi invitiamo a scoprire da voi tutti gli altri innumerevoli mo-tivi per cui vale la pena parlar-ne.Per iscriversi alla gara poeti-ca:0382-26350 (Sottovento), [email protected]; www.mupa.it; www.farepoesia.it, oppure pas-sare direttamente al sottoven-to in via siro comi 8.Al vincitore, come tradizione, verrà dato vino, un salame di Varzi ed un pecorino.Organizzano: Sottovento, O.m.p., Farepoesia, La Gil-da Dei Vagabondi, Radio Aut, Kronstadt.

Che cos’è la slam ?

La slam poetry è sostanzial-mente una gara di poesia in cui diversi poeti leggono sul palco i propri versi e competo-no tra loro, valutati da una giu-

ria composta estraendo a sorte cinque elementi del pubblico, sotto la direzione dell’Emcee (Master of Cerimony), come dicono in America, mutuando il termine dallo slang Hip Hop.Ma lo slam è poi, in verità, molto di più, ed è in questo ‘di più’ che sta la ragione del suo dilagante successo in America, Canada, Inghilterra, Germania ed ora anche in Italia.Lo slam è un modo nuovo e as-solutamente coinvolgente di proporre la poesia ai giovani, una maniera inedita e rivolu-zionaria di ristrutturare i rap-porti tra il poeta e il ‘pubblico della poesia’. Lo slam è sport e insieme arte della performan-ce, è poesia sonora, vocale; lungi dall’essere un salto oltre la ‘critica’, lo slam poetry è un invito pressante al pubblico a farsi esso stesso critica viva e dinamica, a giudicare, a sce-gliere, a superare un atteggia-mento spesso tanto passivo quanto condiscendente, e dun-que superficiale e fondamen-talmente disinteressato, nei confronti della poesia.

paviHARDpoetry

Page 3: Kronstadt 31

k 3Chi vive da maiale deve morire da salsicciaperiodico mensileNumero 31Mercoledì 21Marzo 2007

Scrostatasi di proposito a forza da DADA e Surrealismo, l’In-ternazionale Situazionista rive-ste un ruolo peculiare, se non unico, all’interno del panora-ma delle Avanguardie nove-centesche. Didatticamente parlando sa-rebbe necessario farne di-scendere la formazione dalla fusione del movimento nor-deuropeo C.O.B.R.A (Anton

Nieuwenhuys Constant) con il progetto dell’internazionale Lettrista (Isidore Isou).Poichè l’accesso al nozioni-smo pare ormai alla portata di chiunque, non mi tratterrò sul-la storiografia degenere di que-sto movimento, rimandando l’eventuale curiosità persona-le agli ambienti preposti (per un’infarinatura di genere con-siglio sempre quel mostro sa-

cro di “super Wiki”). Questo semplicemente per-chè preferisco porre l’attenzio-ne sulla peculiarità di nicchia che i movimenti di Avanguar-dia si sentono spesso intrinse-camente di dover considera-re. Per definizione, anche se in controversa ma palese antino-mia. L’epitome della questione è ben rappresentata dall’IS. Cominciando dalla Psicogeo-grafia e dall’ Urbanismo Uni-tario, muovendo verso l’astra-zione rivoluzionaria del tempo libero, con questo gaio ma chiuso circolo culturale, si ricostruirono i fini universa-li di ogni movimento artisti-co: l’arte come mezzo fruibi-le dalle masse nella creazione partecipativa di comuni attivi-tà ludico produttive, una rivi-sitazione del lavoro intellettua-le in senso collettivo per una rivalutazione sociale dell’ope-ra stessa. Punto peculiare la definizione caratteriale dello Stato Sociale Studentesco come culla di ogni natura rivoluzionaria, essendo

questo l’unico ancora non in-taccato dalle logiche del capi-tale, nella consumistica socie-tà del “dopo avere per essere, apparire per essere”. Come non configurare nei mo-vimenti “sessantottini” e “del ‘77” l’attuazione di tali teorie: situazionisti sono infatti mol-ti degli esponenti nascosti del-la prima ondata ribellistica, si-tuazionisti sono gli slogan della massa studentesca (“L’immagi-nazione al potere” davvero su moltissimi altri). Una mandria di “pro-situ”, co-me ironizzato dal padre-padro-ne Guy Deborde, tentò così di conciliarsi con il movimen-to ispiratore: il Consiglio Cen-trale, sommerso di domande di adesione, intaccato nel suo spirito prioritaro, abdicò sen-za remore alcune, in maniera istantanea e irrevocabile. Il Si-tuazionismo abortì se stesso.Significativa durante la storia l’espulsione o l’autoepurazio-ne di chiunque riscontrasse un successo artistico economica-mente significativo. Primi tra

tutti il fondatore Asger Jorn e l’italiano Pinot Gallizio.

“Siamo assaliti da simpatizzan-ti sciocchi ed imbecilli desidero-si di far parte di un movimento che non esiste. È una chiara di-mostrazione di disonestà [....] ac-cusare l’IS di costituire un’orga-nizzazione dominante quando ci siamo sempre sforzati di rende-re pressoché impossibile il dive-nire membro dell’IS [....] non ab-biamo mai commerciato con il nostro “prestigio intellettuale” per frequentare circoli borghesi o in-tellettuali [....] o tentato di com-petere con le sette della sinistra per il controllo o l’ammirazione del miserabile pubblico studente-sco. [...] In realtà è proprio per-ché shockiamo alcune persone rifiutandoci di contattarle o con-siderarle ammissibili, che venia-mo accusati di essere un elité!”

La verità ultima è che ormai i membri dell’Elité Situazio-nista: “sono dappertutto e i loro scopi ovunque...”

Matteo Bertani

L’era del diritto & l’elite culturale situazionista

“Sono convinto che le opere del-l’avanguardia d’oggi siano il frut-to avvelenato di un degrado spi-rituale, con tutte le conseguenze di una tragica perdita d’amore per la vita”. Pietro Annigoni - pittore di fa-ma mondiale nato a Milano nel 1910 e scomparso a Firen-ze nel 1988.

Anche a causa del sensaziona-lismo di cui si fa fregio l’attua-le sistema dell’informazione, il mondo dell’arte si sta trasfor-mando in modo sempre più preoccupante. Da temere è in-fatti la corsa sfrenata verso la bizzarria. La ricerca del “bel-lo” tende sempre più a ridursi a ricerca dello “stupefacente”, e ne consegue una drastica e sfacciata caduta dei contenuti.Guardando all’attuale pano-rama dell’arte, pare che abbia più successo l’artista che stu-pisce, che gioca, che osa per il puro gusto di farlo, rispetto a quegli artisti che, oltre all’este-tica, hanno in primis qualco-sa da dire. Chi “muove le leve” ed i soldi, nel settore dell’arte contemporanea, vuole impor-re un tipo di arte che per par condicio dovrebbe essere sem-plicemente tollerata e oggetti-vamente etichettata per quel-lo che è: un estremismo, che in quanto tale spesso presen-ta caratteristiche negative: (1) estrema facilità di concepi-mento, (2) facilità di realizza-zione, (3) mancanza di conte-nuti elevati. Per capirci: siamo sicuri che solo un genio del-la sensibilità artistica conce-pirebbe certe opere? Si sappia che, negli ultimi anni, nel mer-

cato dell’arte sono stati consi-derati, presentati e venduti per cifre alte o addirittura astrono-miche (in milioni di dollari o euro):- Animali o parti di essi conser-vati in formalina o impagliati.- Oggetti Ready-made di ogni genere (un opera Ready made è per definizione un semplice oggetto di qualsiasi tipo, spesso un articolo commerciale, quin-di precedentemente prodotto in serie, distribuito e vendu-to, semplicemente estratto dal su contesto e presentato su un piedistallo) - Opere deperibili (con compo-nenti alimentari o comunque biologiche) - Opere dichiaratamente pro-dotte in serie da terzi (artisti anonimi pagati come operai) e solo successivamente firmate dall’autore in causa. Nel 2004 la famosa casa d’aste Sotheby’s ha battuto per 2.080.000 dollari un cavallo im-

balsamato, opera di uno dei vi-venti italiani attualmente più famosi. Il valore artistico che fa di questi oggetti opere d’ar-te dal valore inestimabile sa-rebbe contenuto nel modo per-sonalizzato di presentarle o di rielaborarle e di installarle nel luogo dedito alla mostra o alla performance. Grazie a questa tendenza la situazione è degenerata ne-gli ultimi decenni, anche se l’avanguardismo è sempre sta-to protagonista del novecento. L’artista affermato e quotato sempre più raramente dimo-stra capacità rare, uniche, per-sonali, caratteristiche o co-munque lodevoli, ma il suo gesto viene comunque vendu-to come genio; si accentua an-cora di più la sua figura come personaggio di spettacolo. È l’avvento di quello che prima era l’espressionismo astratto, l’informale, il DADA, la nostra-na arte povera insieme a tan-

tissime altre avanguardie (più recenti il minimalismo e l’arte concettuale). Si rileva un com-portamento assurdo: quell’arte di rottura, provocatoria, che ir-rompe con fare rivoluzionario e che in nome della libertà in-frange le regole, resta poi pre-sentata, offerta e imposta (dai critici) con fare accademico e formale, fino a soffocare altri tipi di arte che spesso non tro-vano più spazio. Ma perché elevare un’opera al-ternativa e alcune volte esa-geratamente provocatoria, o addirittura completamente gratuita, seguendo un ottica accademica? Semplice: per i soldi. Per il denaro, per il cash flow. Per convincere ancora più a fondo il pubblico, che nel frattempo è seriamente diso-rientato e confuso sull’idea del bello e completamente in ba-lìa di chi si propone di consi-gliarlo.Perché nelle proposte concet-

tuali lo spettatore deve sentir-si da meno per preparazione e capacità? E il mito dell’ope-ra stessa deve essere preroga-tiva dell’artista, che dall’alto della sua genialità si concede spiegando i meccanismi asso-lutamente suoi, personali, per convincere del presunto valore intrinseco dell’oggetto mostra-to? Come non rendersi conto che chiunque può approfitta-re di tale situazione (si ripen-si agli esempi citati poche ri-ghe fa)?Si deve diffidare vivamente di chi vuole far credere che l’arte contemporanea permetta l’af-fermazione di autori dotati per il mero valore del proprio ope-rato. Non esiste menzogna più grave. Significherebbe rifiuta-re di vedere la fonte prima dei problemi all’interno della con-temporanea.

Nicola Zinni,Enrico Bacciardi

Quando l’avanguardia passa per il portafoglio, l’arte passa per lo scarico del cessoL’arte contemporanea ed il pratico sistema per vendere a prezzi colossali “opere” realizzabili e concepibili da chiunque

Page 4: Kronstadt 31

avan kOh, ma Alex Cini va al Mongol Rally, ma ti rendi conto??? - www.241mongolrally.itgrazie ale dei 50 euro4 periodico mensile

Numero 31Mercoledì 21Marzo 2007

Da questo punto di vista tutte le avanguardie che si sono suc-cedute hanno espresso positi-vamente un approccio distrut-tivo/costruttivo. Oggi noi non abbiamo macerie e i conflitti sono nascosti. Le macerie sono rifiuti. Oggi vi-viamo l’epoca dell’ultra-post-moderno, epoca in cui regna, sovrana e assoluta, l’illusio-ne mediatica. Tutte le verità sembrano avere uguale valo-re e tutte le espressioni sem-brano avere uguale diritto di cittadinanza. Nel mondo del-l’apparenza tutto è permesso. Tranne l’azione di disturbo sul guidatore. Tranne l’intervento nelle zone rosse. Ma una cosa più di tutte sem-bra fondare lo spirito troppo-post-moderno: la categoria del “nuovo”. Per 360 giorni all’anno ci sve-gliamo la mattina e ci avvia-mo alla continua, estenuante, schizofrenica, ricerca del nuo-vo.Attraverso l’integralismo posi-tivista della scienza, la catego-ria del nuovo è stata traghettata dall’ambito artistico-cultura-le nella sfera dell’economia e quindi catapultata nel quoti-diano. Il nuovo ha spazzato via il vecchio e quindi si è imposto con i propri schemi ideologici, le sue gerarchie di potere, le sue categorie comportamenta-li, la sua intolleranza. Il nuovo è uno dei principali valori as-soluti che si impongono attra-verso tutti i canali massmedia-tici.Il nuovo è una mostruosa fe-nice che si autogenera giorno per giorno per consumare i se-gni che appaiono sulla scena.È evidente che il concetto di “avanguardia” in questo conte-sto non può fare sfoggio delle sue potenzialità. Se inteso in senso tradizionale (e qui sia-mo già in pieno paradosso) il concetto di avanguardia non ha nessuna spendibilità e nes-suna significanza. Ci sono alcune belle pagine di H. M. Enzensberger pubblica-te in Questioni di dettaglio nel 1962 e tradotte in italiano solo nel 1998, che esprimono tut-ta la stanchezza di un dibattito sul concetto di “avanguardia” portato avanti dai partigiani del nuovo o dai partigiani del vecchio. Facendo una seve-ra disamina delle aporie avan-guardistiche (progressismo, genericismo sociologico, stori-cità, mercificazione del merca-to, militanza, irrazionalismo, audace sperimentalismo), l’autore accusa l’arte informa-le, la musica contemporanea, la poesia concreta, la lettera-tura di movimento, di essersi appoggiate tutte alle “dottrine” e alla “collettività” divenendo, in ultima analisi, un anacroni-smo.Ma se disarmiamo le nostre velleità avanguardistiche e vol-

giamo invece lo sguardo ver-so l’esemplarità storica delle avanguardie possiamo scopri-re fonti inesauribili di energia, e seppur guidati da uno sche-ma di comportamento non propriamente avanguardista (appunto quello storico), po-tremmo coglierne pienamente splendori e ricchezze che ma-gari, in un momento di serena autocoscienza, potrebbero ren-derci presente e viva la possi-bilità di una nuova sintesi e di una nuova azione.Lo studio delle avanguardie po-trebbe supportare validamen-te la ricerca di senso di ogni singolo artista, del suo fare, in connessione al-la ricerca delle for-me o in relazione alle implici-te pratiche politi-che. In particolare direi che fami-liarizzarsi con le avanguardie po-trebbe rappre-sentare una utile ricerca per ri-tro-vare la chiave del futuro che ritengo nascosta in ogni spi-rito costruttivo. Su questo versante io di-rei che è necessario riacquistare la fiducia e la volontà di distrug-gere. La nostra realtà viaggia sui binari del finto-nuo-vo coattivamente reiterato nel-la permanenza del presente. Mi sembra ampiamente giusti-ficata una nuova generazione che sappia intoppare la folle corsa del meccanismo inferna-le. L’automatismo genera vuoto. Se al concetto di “avanguardia” diamo l’accezione contrastiva compresa nella polarità vec-chio-nuovo, è chiaro che siamo destinati a sprofondare nel-l’anacronismo e nel non-sen-se. D’altra parte, oggi, a porsi come “avanguardia”, è lo stes-so ciclo produttivo turbo-ca-pitalista della merce. Ma, se adottiamo il termine avanguar-dia nel suo significato intrinse-co di volontà di modificazio-ne dello stato di cose presenti, allora può essere utile partire dalla lezione distruttiva che le avanguardie hanno posto in essere in relazione alla loro at-tualità storica. Se abbiamo una qualche intuizione intorno al-l’inadeguatezza del nostro pre-sente, ecco allora che tutte le avanguardie sono legittimate a rivivere. Tutte, nessuna esclu-sa. Al di là, e al di qua, del tem-po. Tutte possono contribuire a darci gli strumenti adatti per avviare l’abbattimento dei mu-ri dell’eterno presente e poter iniziare la ri-costruzione del nostro piccolo-grande giardino del futuro.

Tito H.B. Truglia

900 Avanguardie qui ed ora Cultura Industriale (detta anche dell’apocalisse)Pillole dada nella new musick

Il presupposto è l’invito a una lettura che, della stagione punk (poiché in quel fermen-to nichilista e controcultura-le sta il parallelismo rock-da-da), seppe astrarre i linguaggi più interni, occulti, viscerali, nati in risposta ad una palese stasi attitudinale del comune retaggio rock (sebbene le ba-si degli attori industriali vada-no rintracciate nel seguente

trittico: la scuo-la Kraut tedesca, il Lou Reed di Metal Machine Music e l’omonimo esordio dei Sui-cide). Lo spazio aperto dallo scacco post ‘77 venne rapida-mente incanalato dalla logica mainstream; l’intenzione an-tagonista di quella stagione ri-schiò in sostanza di smarrire per strada gli impulsi crudeli, in senso artaudiano, iconocla-sti e provocatori sorti nell’api-ce primigenio della lotta: il no

future in risposta all’assurdo sociale post industriale.Il termine anzidetto è focale nella riflessione-continuità-risposta in atto, non solo per comprendere quanto quelle istanze riflettessero un con-creto assalto alla nuova cultu-ra della macchina (le teorie di Burroughs resteranno cardi-ni teorici imprescindibili per molti protagonisti del movi-mento), ma anzitutto quan-to convogliassero in tale ter-

minologia sia l’angoscia esistenziale causata dal

nuovo mondo sia l’inten-zione di sfruttare, trami-te gli strumenti cultura-

li dell’avanguardia n o v e -

c e n -t e s c a ,

u n a p r o v o -cazione e s t e t i -c o - m u -

sicale in grado di ri-

svegliare, appunto dadaisticamente, le coscienze individua-li.Industrial Culture

Handbook (Manuale di Cultura Industria-le) venne pubblicato

nel 1983, per conto del guru della stampa rock

britannica Jon Savage (lo stesso responsabile del-la bibbia sul Punk England’s Dreaming, dalle nostre parti Punk! I Sex Pistols e il rock in-glese in rivolta, Arcana editri-ce), finché non trovò tradu-zione in Italia nel 1998 per conto della Re-Search/Shake, con tanto di ampliamento ver-so i protagonisti italiani (Mau-rizio Bianchi, Pankow, Limbo, Officine Schwartz, Ain Soph, Atrax Morgue) e nipponici della sperimentazione elettro-

nico-rumorista, più postfazio-ne sull’odierno industrial te-chno hardcore.L’opera risulta imprescindibi-le per la comprensione delle tesi avanguardiste e radicali applicate alle suddette forme sonore; eccellente è anche la diagnosi storica, sociale e an-tropologica, referente all’ese-gesi politica del movimento, alle sue intenzioni/non inten-zioni. Una panoramica biogra-fica che coalizza le disparate esperienze albioniche (Throb-bing Gristle-Psychic Tv, Coil, Clock DVA, Cabaret Voltaire, Test Dept, Current 93, fanno eccezione gli australiani SPK), americane (Foetus, Z’ev, Mon-te Cazazza), tedesche (Ein-stürzende Neubauten su tutti) e slovene (gli immensi Laiba-ch), in un excursus performa-tivo a cut-up che dalla dodeca-fonia sinfonico-rumorista ha ridefinito i confini tra elettro-nica, folk, metal estremo, am-bient di natura cosmica, tech-no trance; il suono nella sua manifestazione più truce e vi-tale giù sino alle forme ‘em-brionali’ del puro rumore…o del puro silenzio.

Stefano Morelli

Page 5: Kronstadt 31

k guardieIl cavillo è un animillo che galippa galippa 5periodico mensile

Numero 31Mercoledì 21Marzo 2007

Paul Jordan SmithIl gusto difficile di non prendersi mai sul serio

Esiste un luogo a cavallo tra fantasia e intuizione, colpo d’occhio e rapidità d’esecuzio-ne, in cui la sublime Zingara-ta tanto cara a Mascetti & Co*. si staglia a piene ali sugli abis-si gorgoglianti della quotidia-nità, sempre più incline ad af-fidare l’arte nelle mani di una critica ruffiana, arrogante e vagamente lercia.Concetto, questo, ben chia-ro al più ‘importante talen-to rivoluzionario’ del perio-do avanguardista: Paul Jordan Smith, scrittore e giornali-sta statunitense, che nei pri-mi anni ‘20, sotto il nome di Pavel Jerdanowitch (perché si sa, da sempre i nomi stra-nieri fanno fico) diede vita al fittizio movimento disum-brazionista, illuminata e per-fida manifestazione del nulla dietro cui spesso l’arte sem-bra giustificare le sue carenze, con il beneplacito di chi sulla sua esaltazione ci guadagna e non poco.Così, nel 1924, proprio l’opera Exaltation gettò il primo mat-tone di un edificio inesisten-te, costituito da una serie di improbabili, divertiti sgorbi, che dietro la rappresentazio-ne dei criteri di rottura (non-ché la rottura dei criteri del-la rappresentazione), iniziò a conclamare il viscido morbo sottocutaneo.Per qualche mese la critica americana si perse in mia-golanti e sbrodolosi enco-mi, individuando nelle ope-re disumbrazioniste l’ultima e struggente incarnazione dello Zeitgeist.Per qualche mese… fino a che lo stesso Smith/Jerdanowich non si rivolse al Los Ange-les Times, smascherando non tanto la sua stessa farsa, quan-to la farsesca interpretazione che gli addetti ai lavori aveva-no dato (complice qualche se-gnalazione illustre) dei suoi

sedicenti quadri.Ovviamente, i goffi, patetici tentativi di chi si ostinò a di-chiarare l’innegabilità del ta-lento artistico di Smith chio-sarono inconsciamente la faccenda nel migliore dei mo-di, rendendola ancora più pa-radossale e grottesca, enfatiz-zando così il valore dell’arte in quanto processo, funzione spesso a discapito dell’estetica o quant’altro.Si tratta dunque di una de-licata posizione di equilibri, ineffabile o solo parzialmen-

te percepibile, ciò che l’arte cerca di recuperare da questo mondo così come da altri? In amore vince dunque chi fug-ge o fugge forse chi vince? La presa per il culo può essere a tutti gli effetti una presa di coscienza? Marzullianamen-te volgemmo lo sguardo a So-lima, nel mese in cui Maggio divenne Giugno…uhm arrr bi-dibidibidi bi… gniù bu bu bu.

Paolo Bertazzoni

*Vedi film Amici miei, regia di Mario Monicelli, Italia, 1975.

Manifesto del movimento asetticista

1. Noi ci impegniamo esaltiamo il lato macchinico e tecnetico dell’arte.2. Noi ci impegniamo a portare all’interno dell’arte l’essenza dell’acciaio, del plexi-glas e in generale l’essenza di tutti i materiali privi di impli-cazione sentimentale.3. Noi neghiamo che il ‘sentimento’ sia un elemento imprescindibile, essenziale e ineliminabile dell’arte.4. Noi consideriamo le emozioni (qualunque esse sia-no) come il lato superficiale e spurio dell’arte stessa.5. Noi ci impegniamo a creare le nostre opere nel ri-spetto della totale assenza di coinvolgimento emotivo.6. Noi ci impegniamo a creare opere che non provo-chino alcun coinvolgimento emotivo in eventuali fruitori esterni.7. L’artista non si sentirà in alcun modo vincolato al si-gnificato delle proprie creazio-ni.8. L’artista non si sentirà in alcun modo vincolato a for-nire spiegazioni in merito al si-gnificato delle proprie creazio-ni.9. L’artista non utilizzerà mai vocaboli come ‘idea’, ‘epi-fania’, ‘ispirazione’ e qualun-que termine evochi immagini metafisiche per descrivere la propria attività.10. L’artista non utilizze-

rà mai vocaboli come ‘parto’, ‘genesi’, ‘liberazione’ e qualun-que termine evochi immagi-ni “corporali” per descrivere la propria attività.11. L’artista deve mante-nere un controllo totale sul momento creativo.12. L’artista deve osserva-re, nel procedimento creati-vo, uno schema di lavoro fisso e routinario che non deve es-sere modificato fino al comple-tamento della singola opera (o ciclo di opere) a cui esso è de-stinato.13. Qualunque mutamen-to, per quanto piccolo, applica-to ad un’opera, ne genera una nuova e completamente indi-pendente. 14. L’unica verità a cui l’artista deve tendere è la veri-tà anairhetica.15. L’artista non potrà in alcun modo rinnegare una propria opera se non distrug-gendola.16. L’eventuale distruzio-ne dell’opera non genera la sua scomparsa se essa sia sta-ta fruita da altri che non l’arti-sta stesso il quale, in tal caso, ne rimane vincolato fino a suo decesso o a decesso degli even-tuali fruitori.17. Qualunque regola non scritta è a sua volta una regola se essa consente di allontanar-si emotivamente dal proprio lavoro.

Gli Asetticisti

Joseph Cornell:il precursore del cinema d’archivio

Nel dicembre del 1936 viene proiettato il primo e tuttora più noto film di Joseph Cor-nell: “Rose Hobart”. L’evento avviene alla Galleria Julien Levy di New York, sede di mol-te serate avanguardiste, che al tempo potevano vantare sulla commista presenza di nume-rose personalità americane ed europee, in gran parte esuli politici. Nell’occasione chi si farà notare di più sarà senza dubbio Salvador Dalì che dopo pochi minuti dall’inizio della proiezione tenterà di bloccar-la accusando l’autore di aver-gli rubato l’idea del film tra-mite il subconscio e la lettura della mente. E Cornell, già no-to per la propria riservatezza, diverrà molto restio ad orga-nizzare altre proiezioni delle proprie opere per decenni. Di fatto ci furono poi delle scu-se e la spiegazione di Dalì del-l’aver visto realizzata un’idea che aveva pensato ma non an-cora formalizzato. Idea che rappresenta in un certo sen-so un superamento dell’espe-rienza surrealista di Buñuel. Difatti considerato il cinema come privo della possibilità di scrittura automatica, l’auto-matismo si sposta negli occhi dell’artista-spettatore. L’espe-rienza pura diviene non tanto quella del fare cinema, piut-

tosto del vederlo, dell’appro-priarsi del film altrui. E questo gioiello di Cornell è appunto un film di montaggio, plasma-to dalla decontestualizzazione del film di serie b “East of Bor-neo”. La pellicola viene tagliata e sono rimontati 19 minuti di inquadrature esclusivamente ritraenti la protagonista (che è per l’appunto la diva mino-re Rose Hobart), per cui cam-po e controcampo ospitano la stessa figura. Un filtro azzurro (davanti al proiettore) colora l’immagine e il sonoro della versione originale è sostitui-to da canzoni di musica bra-siliana. La pellicola è spesso rallentata e conserva tutti gli acciacchi dell’usura. L’opera d’arte si avvicina così al pro-prio carattere di evento, a di-ventare immagine della pro-pria proiezione. Ed inizia a riflettere sulla propria mate-rialità. Così nel costituirsi di un’ermeneutica propria, l’arte cinematografica scopre che fa-re un film sul cinema significa anche fare cinema con i film (altrui). Con questa conquista trova risposta a quello che al contempo si configura come il più banale ed il più complesso degli interrogativi: che cos’è il cinema? Pellicola.

Mauro Buzzi

Page 6: Kronstadt 31

kPicca pasta suchi assai6 periodico mensileNumero 31

Mercoledì 21Marzo 2007

Passione, espressione, astra-zione. Sono questi i connotati dell’Action Painting, una del-le forme artistiche più trascu-rate dalla critica e dagli studi. Si, perché se si afferma che ciò che rende speciale un’opera d’arte sia il rapporto che si in-staura tra pittore e tela non si capisce perché questa corren-te, nata nella New York post-bellica, non sia introdotta nei libri di testo, ma rilegata a con-testi di nicchia che spesso tro-

vano spazio soltanto negli scantinati delle grandi città. L’Action Painting, letteralmen-te pittura d’azione, è uno stile che enfatizza l’atto fisico del-la realizzazione stessa, crean-do un legame particolare tra l’autore e la sua opera. Poco importano le modalità con cui la tela prende vita: pennella-te, sgocciolamento di colore o spruzzi, l’essenziale è che l’ar-tista converga sul suo dipinto una parte di se stesso. Le mo-venze, l’intensità con cui il cor-po dell’artefice viene coinvol-to nella creazione, la casualità che vuole portare in superficie le motivazioni nascoste del-l’inconscio, sono l’espressio-ne di un esasperato soggettivi-smo del quale la tela funge da tramite fra la materia e gli stati più profondi dell’Io. Il termine, coniato per la pri-ma volta dal critico americano Harold Rosenberg nel 1952, de-finisce questa nuova forma di espressione, nata da un senso comune di angoscia e di orro-re per la guerra, nonché dalle influenza surrealistiche e da-daiste accomunate dallo stes-so bisogno di ricerca interio-re, concetti rivisitati in chiave psicanalitica, di cui gli artisti erano tenaci sostenitori. Lo stesso Jackson Pollock, forse il massimo esponente dell’Ac-tion Painting, descrive la sua opera con rilevanti significati junghiani, affermando di non

avere la minima idea di quel-lo che accade nel momento in cui dipinge, ma di assumerne consapevolezza solo nel mo-mento in cui posa il pennel-lo e si ferma ad osservare la tela, analizzandola così come farebbe uno psicanalista con la mente. L’Action Painting è la manifestazione di uno sta-to d’animo, di un sentimento represso, è lo scoppio di una carica di energia, l’esplosio-ne di una pulsione interiore

che si concretizza at-traverso un linguaggio tut-to suo. Proprio per queste ca-ratteristiche, così legate alla soggettività di ogni esponen-te, si tratta di una tecnica in continua evoluzione. Giulia-no Del Sorbo, pittore pesare-se, ha aggiunto la musica nel-l’atto che vede la nascita delle sue figure umane. Il risultato

è uno spettacolo in cui i tratti assumono il ritmo delle note che muovono la mano dell’ar-tista e le figure prendono vi-ta sulle jam dei Led Zeppelin e di Jim Morrison. La sensa-zione è quella di essere cata-pultati un una sorta di trance, alla fine della quale, il signi-ficato che ognuno le attribui-sce, è definito sulla base del-le proprie percezioni, lontano dai limiti di un’univoca inter-pretazione.

Alessia

Chi conosce Arnold Schön-berg? Incubo di chi ama la mu-sica come intrattenimento, e non ama immergersi nelle va-lenze artistiche e linguistiche di questa disciplina, Schön-berg (1864-1951) è diventa-to nell’immaginario colletti-vo il simbolo di suoni striduli, incoerenti, convulsi, in qual-che modo raccapriccianti. Vi-sto che la musica mai come nel novecento storico si è as-sociata in maniera così pro-fonda con le arti figurative, è assolutamente congruo asso-ciare la musica espressionisti-ca di Schoenberg con l’analoga pittura espressionistica di quel periodo. Ma mentre il pubbli-co di oggi non ha più partico-lari difficoltà di fronte a Klee, Kandinskij, Kokotshka, di fron-te a un’esecuzione del Pierrot Lunaire o del Moses und Aron di Schönberg è invece ancora molto frequente osservare nel pubblico un moto di sofferen-za. D’altra parte, per gli appas-sionati di musica d’arte questo periodo -quello detto della “se-conda scuola di Vienna” o, po-polarmente, della “musica do-decafonica”- è considerato tra i più stimolanti dell’intera storia della musica, e lo stesso Schön-berg, primo vero compositore d’avanguardia europeo, musi-co del dramma e del disfaci-mento delle certezze umane nel secolo degli orrori, è un’ot-tima base da cui partire per chiunque voglia avvicinarsi al-la musica contemporanea.All’alba del Novecento, il gio-vane ebreo austriaco Arnold Schoenberg è già un genia-le compositore: il bellissimo, struggente pezzo sinfonico Ve-rklärte Nacht (Notte Trasfigura-ta) è del 1899, quando S. ha 25 anni. Si tratta già di un pezzo dai sapori forti, pieno di vibra-ti drammatici e di violenti con-trasti espressivi; gli acuti degli archi sembrano ora delle urla disperate, ora delle risa isteri-che, ora una puntura di scor-pione nei propri sentimenti; c’è una predilezione per i re-gistri estremi dell’orchestra, quelli gravissimi e quelli acu-tissimi, usati insieme. Ma si

tratta ancora di un brano ro-mantico, in cui la melodia, per quanto inquieta e non più del tutto tonale, è ancora definibi-le come tale.

La vera rivoluzione avviene nel 1917, con Pierrot Lunai-re, cantata per attrice-sopra-no e complesso da camera. Il linguaggio tonale, il linguag-gio dei “classici”, della “prima scuola di Vienna” -Haydn, Mo-zart, Beethoven, Schubert- or-mai del resto da decenni mes-so in discussione, sottoposto a forti tensioni e cromatismi ar-diti per piegarlo alle esigenze sempre più complesse e pres-santi degli artisti tardoromanti-ci, arrivava al punto di spezzar-si, rompersi, con la dodecafonia di Schönberg: un nuovo, inau-dito, linguaggio, apparente-mente senza regole, in realtà con regole ancora più rigoro-se di quelle che sostituiva. Il Pierrot Lunaire fu salutato, al-la sua prima esecuzione pub-blica, dalla verdura e dalle uo-va di un pubblico inferocito, che rivoleva i soldi del bigliet-to. Ora, quell’episodio è consi-derato la data di nascita della musica contemporanea.

C’è una frase di Schönberg che oggi, dopo tutto quello che è accaduto nel novecento, suona quasi come una banalità, ma che aveva allora una fortissi-

ma carica rivoluzionaria: “esi-ste solo un altissimo scopo per un artista, quello di esprimere sè stesso”. L’artista ha sempre espresso sè stesso, questo è ve-ro. Ma lo ha fatto rifacendosi a elementi esterni (basti pensa-re a con quanta diligenza, nel-la pittura, riproduceva la realtà a cui si rifaceva). Ecco, questo legame tra oggetto e linguaggio viene in qualche modo reci-so con le avanguardie storiche del novecento. Lo sguardo del-l’artista si rivolge, più che alla realtà intorno a sè, ai paesag-gi interiori. E poiché l’espres-sionismo in musica ha in Vien-na la sua indiscussa capitale, è immediato il collegamento con la grande rivoluzione cul-turale e filosofica rappresenta-ta proprio in quegli anni dalla psicanalisi di Freud. “Avanguardia” dunque è anche una nuova attenzione e rispet-to al mondo dell’irrazionale, attraverso il quale, tra immagi-ni distorte, angoli bruschi, al-lucinati contrasti, si tenta di li-berare gli impulsi primordiali dell’uomo, e di sfidare audace-mente il concetto tradizionale di “bellezza”.

Paolo Tagliapietra,Simone Mattoli

Tutta l’opera musicale di Schön-berg è messa a disposizione sul web dal podcast-jukebox Arnold Schönberg Center, e ascoltabi-le gratuitamente su computer: l’indirizzo è http://www.schoe-nberg.at/9_webradio/jukebox_e.htm ; per ascoltare è necessa-rio avere installato uno (a scelta) di questi programmi: core media player, real player, iTunes.

Il nostro Schönberg quotidianoAction Painting:viaggio nell’inconscio

Arnold Schönberg - Autoritratto, 1918

Page 7: Kronstadt 31

k ma su chi? assai 7periodico mensileNumero 31Mercoledì 21Marzo 2007

Ortega y Gasset è uno scrittore e filosofo spagnolo nato a Madrid nel 1883. Nel 1925 pubblica La deshumani-zaciòn del arte, saggio fondamentale per lo sviluppo delle avanguardie spagnole. Nel manifesto l’autore pre-tende che l’uomo si lasci attraversare da nuove esperienze così che, cambiando il proprio pensiero, possa cam-biare anche il modo di interpretare l’arte; arte che non deve puntare all’espressione dell’ “umano”, bensì deve esprimersi come puro gioco creativo.Proponiamo qui alcuni frammenti dell’opera.

Traduzione a cura di Sara Faggiano

La deshumanizaciòn del arte

Un palazzo rosso con delle uo-va giganti al posto dei merli tutt’intorno e delle strane de-corazioni tridimensionali dal-l’aspetto molliccio. “Cosa so-no?” Domandai con la curiosità tipica dei bambini di cinque anni. “Sono le cacche di Dalì. Lui la faceva nel vasino come te e poi le appiccicava qui”, fu l’avanguardistica risposta che mi fece innamorare seduta stante del pittore catalano. La casa museo di Salvador Dalì a Figueras, in Catalogna, non è certo un posto per soli appas-sionati di storia dell’arte, ma somiglia piuttosto a un parco di divertimenti, benché le attra-zioni siano firmate da uno dei più grandi geni del Novecento. Sotto un’avveniristica cupola di vetro, una cadillac nera so-vrastata da una barca sospesa nell’aria. Rimango colpita da una scultura di espadrillas, le celebri calzature spagnole che avevo scoperto proprio in quei giorni: evidentemente anche Dalì ne era estimatore! Nelle gallerie, ritratti curiosi, colo-rati, divertenti: ovunque vol-ti che si sciolgono e l’ossessio-ne alimentare per il pane e le uova. Forse non gli davano ab-bastanza da mangiare? Que-sto Dalì è un tipo strano ma sa il fatto suo, mi viene da pensare quando mi trovo davanti a due sconvolgenti nature morte: non sono al-tro che cestini di pa-ne ma dotati di una plasticità che non avrei ritrovato in nessun altra opera. E doveva volere dav-vero molto bene alla moglie Gala, dal momento che il suo volto ricorre

continuamente nella sua allu-cinata arte, rivisitato in mille maniere, che sempre lasciano trapelare una mano affettuo-sa. Ma non c’è davvero tempo per le riflessioni: girato l’ango-lo ci si trova davanti a un enor-me ritratto di Abramo Lincoln. Niente di eccezionale, ma ba-sta avvicinarsi ed ecco che si trasforma magicamente nel corpo nudo di Gala, che guarda il mare appoggiata a una fine-stra. La cosa più straordinaria di tutte è il salotto, il cui pezzo forte è il divano a forma di lab-bra sensuali: guardandoli at-traverso una lente, posta nella pancia di un cammello imbal-samato, quei mobili diventano il volto dell’attrice Mae West. E poi gli elefanti dalle gambe scheletriche, gli orologi molli, Gala madonna e Gala geome-trica, gli autoritratti, le formi-che, le forcelle, gli oggetti paz-zi, le cacche, i metadipinti, le illusioni ottiche… Dalì era pro-prio un mago! E se mi sono di-vertita così tanto a vedere la sua casa museo, vuol dire che sotto sotto era un bambino an-che lui.

KamoPer informazioni,

www.salvador-dalì.org.

Tingeltangel - Karl Valentin, un precursore del teatro dell’assurdoSiamo negli anni venti a Mo-naco di Baviera. Ogni sera, per lo più nei Tingeltangel bavare-si, locali fumosi, pieni di sedie spaiate e tavolini con lastre di marmo, si riunisce un pubbli-co povero ed eterogeneo, ca-salinghe, impiegati e commer-cianti.Tutti applaudono all’entrata dell’irriverente ed allampana-to Karl Valentin. Egli recita in dialetto bavarese con accen-tuate caratterizzazioni dei per-sonaggi periferici e rozzi, ina-deguati come tutte le cose. Il rapporto straniato con la pa-rola si trasferisce anche sugli oggetti, inadeguati anch’essi come gli uomini. Sul palcosce-nico fatto di una pedana di le-gno si apre la scena.In un salotto piccolo borghese,

buio e tristissimo, si dispongo-no cianfrusaglie e mobilia scre-polata. Valentin appare con le gambe attorcigliate e con clow-nerie e smorfie dà vita a un tra-sognato manicomio. Attraver-so una comicità raffinata ma popolare, come quella di Char-lot o di Buster Keaton, il comi-co propone discorsi a vanvera e si appiglia a cavilli inesisten-ti e nevrotici, esasperando l’im-mancabile spalla Liesl Karlsta-dt, sua allieva e collaboratrice anche nella scrittura di copio-ni per i loro numerosi corto-metraggi. I suoi Sketches sono una sfilata di azioni fallite ed interrotte, l’epopea dell’inetto. Il mondo di Valentin è la città di provincia, rigurgitante uo-mini avvolti in un torpore de-mente, in un formicaio in cui

ci si accapiglia senza capirsi. Sono commedie dadaiste che ridanno linfa alla gestualità, quella della commedia dell’ar-te, arcaica e attuale allo stesso tempo. La cultura tedesca, allo-ra, la si poteva scoprire mesco-lata alla chiacchiera di perife-ria. Il pubblico impegnato, che si appiglia a tutto ciò che c’è di engagè, vede in questo artista un precursore del teatro del-l’assurdo. Ma la sua non è una trasposizione teatrale di una fi-losofia, né un dolore non dolo-re trasposto nella depressione. Non cerca neanche una circo-larità per spiegare un’angoscia che parte dal nulla e lì ritorna. Valentin non rappresenta una realtà statica, ma un continuo sforzo dell’uomo. Egli trasfor-ma tutto in magia. La città e

la vita sono un gran carrozzo-ne itinerante e Valentin propu-gnatore del Kitch ricerca la sua Heimat in un ambiente traso-gnato eppur reale, che nulla

ha a che vedere con la psicana-lisi, ma solo con il grottesco di una comicità singolare che ac-carezza la follia.

Marta Vecchi

[...]

En el vanguardismo espanol puede distinguirse una evolucion. Al principio, domina efectivemente el juego, el optimismo ante la modernidad. Poco a poco, hacia 1930, y tras el influjo decisivo del Surrealismo, se pasa a un espiritu mas grave y hasta a certa angustia o rebeldìa, precisamente ante los efectos “deshumanizantes” de la civilizacion moderna. (...)El arte joven contribuye también a que los – mejores – se conozcan y reconozcan entre el gris de la muchedumbre y aprendan su mision, que consiste en ser pocos y tener que combatir contra los muchos.(...)Un cuadro, una poesia donde no quedase resto alguno de las formas vividas serian inteligibles, es decir, no serian nada, como nada seria un discurso donde a cada palabra se le hubiese extirpado su significado habitual.(...)Se dira quel el arte nuevo no ha producido hasta ahora nada que merezca la pena, y yo ando muy cerca de pensar lo mismo. De las obras jovenes he procurado extraer su intencion, que es lo jugoso, y me he despreocupado de su realizacion.

Nell’avanguardia spagnola si può distinguere un’evoluzione. Al-l’inizio, domina effettivamente il gioco, l’ottimismo davanti alla modernità. Poi a poco a poco, verso il 1930, dietro l’influsso deci-sivo del Surrealismo, si passa ad uno spirito più affannoso fino ad una certa angoscia o ribellione, precisamente di fronte agli effetti “disumanizzanti” della civiltà moderna. (…)L’arte giovane contribuisce anche a fare in modo che i migliori si conoscano e riconoscano nel grigio della folla e apprendano la lo-ro missione, che consiste nell’essere pochi e nel dover combattere contro i molti. (…)Un quadro, una poesia dove non rimane niente delle forme vivi-de sarà intellegibile, ciò significa, non sarà niente, come niente sa-rebbe un discorso dove a ciascuna parola le si togliesse il significa-to comune. (…)Si dirà che l’arte nuova fino ad ora non ha prodotto niente di signi-ficativo, ed io sono vicino a pensare la stessa cosa. Dalle opere gio-vani ho cercato di estratte la loro intenzione, che è la parte diver-tente, e non mi sono preoccupato della loro realizzazione.

Da lì all’eternità. Storia di una passione

destinata a durare nel tempo

Digit@l pointRILEGATURA TESI DI LAUREA

STAMPA DIGITALE

via S. Agostino n.427100 PAVIA

Tel. [email protected]@

Page 8: Kronstadt 31

retroguardie... kKronstadt: un cazzaro è per sempre8Re

g. T

rib. P

V n

°594

- St

ampa

: Ind

ustr

ia G

rafic

a Pa

vese

sas

, Pav

ia -

Chi

uso

in R

edaz

ione

15-

3-20

07 -

Tira

tura

200

0 co

pie

- 200

7, A

lcun

i diri

tti r

iser

vati

(Rila

scia

to s

otto

lice

nza

Cre

ativ

e C

omm

ons

2.5

by-n

c-sh

)

ronstadtperiodico mensile

Numero 31www.kronstadt.it

http://[email protected]

http://creativecommons.org/ licenses/by-nc-sa/2.5/it/legalcode/

Abbonamenti:non ancora, ma stiamo lavorando per voi. Pre-sto per gli abbonati un

originale dono l’originale tovaglietta decorata a mano da un prestigioso

artista.

I disegni in questo numero sono di Elena BalduzziLe vignette in questo numero sono di Matteo Amighetti

La foto di copertina è di Simone Leddi.

periodico mensileNumero 31

Mercoledì 21Marzo 2007

Gradiamo la vostra partecipazione al blog:

http://kronstadt.splinder.comAltrimenti, se volete contattarci in mail privata:

- Simone Marini, direttore, [email protected];

-Simone Leddi, fotografie, [email protected];

-Davide Iemmola, impaginazione e grafica, [email protected];

Distribuzione (dove trovate usualmente il nostro periodico): Kronstadt è distribuito pseudo-casualmente in giro per la città di pavia, lo troverete sempre nei seguenti luoghi: collegi (quasi tut-ti: Cardano, Nuovo, Golgi, Borromeo, Spallanzani, Ghislieri, Mai-no, St. Caterina, Fraccaro et al.); biblioteche universitarie (tut-te); mense univeristarie (Kronstadt riciclabile come una pratica tovaglietta!); oltre 60 tra bar e negozi (Strada Nuova, via Ma-scheroni, corso Garibaldi, via Siro Comi, via XX Settembre, piazza vittoria, viale Golgi, piazza Botta...).

KRONSTADT: iniziativa realizzata con il contributo concesso dal-la Commissione A.C.E.R.S.A.T. dell’Università di Pavia nell’ambi-to del programma per la per la promozione delle attività culturali ricreative degli studenti.

Altre entrate sono rappresentate da eventi culturali, feste, con-certi, il sangue di chi collabora, libagioni e gozzoviglie varie

La prima vera Ester

Soluzione a pagina 46Trova l’ingannoIl dott. Gonzi stavolta non ci ha capito nulla. In effetti egli non può sapere che il presi-dente Romano Prodi non è la persona che dice di essere. Si tratta di uno scoop sconvol-gente, ed è un vero peccato che sia relegato in una mise-ra Soluzione a pagina 46. Ad ogni modo Prodi in realtà è… Drupi.

Le prove sono:1) Prodi/Drupi sapeva che il Governo sarebbe crol-lato appena in tempo per po-ter partecipare al Festival di Sanremo.2) Prodi/Drupi non ha partecipato al Festival di San-remo. Ma gli sarebbe piaciuto tanto.3) Avete mai visto Prodi e Drupi insieme nello stesso posto, allo stesso tempo?

Aveva appena finito di madida-re sudore alla crema di noccio-line lei, Ester rossa tutto fuoco, mentre osservava iperventilan-te il frutto della sua fatica pla-smatica delle ultime ore pre-cedenti. In piedi in mezzo alla breve corte stolido nella neve stava un uomo di neve model-lato punto male giudicò dalle gelonate mani rosse di freddo della rossa Ester. Aveva un ché di melodrammatico colla sua postura nevischiosa e molle e Ester non mancò di esternare la mancanza a manca di arto sinistro, rapidamente giustap-posto al posto giusto.

Ne convenne.

Piluccò un’unghia ventiseien-ne riprendendo il contempla-mento dell’uomo di neve da lei medesima ordito a mano coll’arte dell’artista e della zi-tella, novella geppetta, zufo-lando un motivetto kitsch e decidendo sul daffarsi. Il cielo iniziava a co-gliere l’iniziativa di varare il virare da un cinereo ceruleo a un indefinito in-daco indimentico del mauve, appro-vando l’apparizione di a l ter i astri infranembici, quando da

sotto l’efelidi gli chiese “allora, che si fa?”

“Mah, e se andassimo al cine-ma?”

Si sorbirono un pappone a tar-get tardonubilia-

re ma la forte Ester non sentì la necessità

d’innaffiare seppur com-prensive clavicole di ne-

ve, zigzagarono garruli pei viali alberati e morti, amoreg-giarono adolescenzialmente dietro discreti pioppi, con ir-ritegna della rossa nei frizzi e nelle risa, lasciva e lazzosa, fi-

no a concludere la serata in un appartamento al terzo piano di via Bibiena 14, l’appartamento della rossa, per l’appunto.

Lì, nuda e accesa, la Ester rice-vette il freddo caldo abbraccio dell’uomo di neve, e vice ver-sa. Calda, accesa, stupenda, il crine rosso sparso sul guancia-le e il viso rosso di vino rosso e di ipotermia addominale men-tre il partner pompava cingen-dola di ghiaccio di dentro e di fuori deliziosamente la rossa rideva della condensa inver-nale dei suoi aneliti al cazzo di neve mentre stringeva le co-sce cianotiche e barbolanti ai

lombi dell’amante in una car-nale ridda delonghi.S’inarca s’incunea sotto l’impe-to dell’omo, senza notare nel novero delle novità contingen-ti un’immanente indole squa-glifera di lui stesso: la trenta-settegradialità della bella non s’addice alla candida bestia: che squaglia liquefa un viso di cera e lacrima da capo a pie-di prima di svanire irrorando la furia rossa, che placida s’ad-dorme,dea amante amica madre mor-te prima vera.

NKB

La notte era già un po’ vec-chiotta quando Francesco si svegliò e iniziò ad aver smesso di dormire. Orizzontalmente sovrapposto ad una superficie soffice ed orizzontale, com-plici il buio e l’ebbrezza di fe-sta e di birra a buon mercato di un paese scortese, prese ra-pida coscienza della sua inco-scienza inerente il luogo che circoscriveva la sua esistenza immanente - insomma, dove cazzo si trovava?Scrollò il capo e l’innalzò sul-la perpendicolare del cuscino quei quindiciventi centimetri sufficienti e necessari ad avere un orizzonte che comprendes-

se l’intero giaciglio, cheppe-rò appurò essere a due piaz-ze affollatissime. Oltre a lui, che a quanto pare era relega-to all’estrema estremità peri-ferica sinistra di quella giun-gla di corpi, altre tre persone condividevano spartendoselo lo stesso talamo. Corroso dalla curiosità e rassicurato dal ron-fìo diffuso nell’aere, si sporse con delicatessen per controlla-re con chi aveva avuto l’ònere e l’onòre di aver ahimé casta-mente soggiaciuto per un tot di ore. La prima figura era forte e màscula, la seconda di ben no-te aggraziate rotondità femmi-nee ricoperte da quel tanto che

basta di tela per non dar adito a intenti troppo poco velatamen-te vuaioeurìstici, e la persona della seconda e l’atteggiamen-to che nel sonno aveva nei confronti del primo spinsero Francesco ad ignorare cordial-mente il terzo.Francesco si cura di lor, non guarda ulteriormente e passa accedendo alla sala da cesso, trovata a tentoni tastando nel buio consolatore stroncato so-lo dai battiti di un cuore mor-to e dal bramire di due infin-gardi animali amanti di una notte, più uno sconosciuto cor-dialmente ignorato. Accende il lume e si schiaffa in faccia cef-

foni d’acqua di un gelo taglien-te che lavano via il sale aortico che ara ledilui guance paraliz-zate dalla pugnalata ricevuta pocanzi. Fissa in vitro i lumi spenti che gli vomitano addos-so dolore in polvere e si be-stemmia e si maledice mentre nel cinema delle sue memorie viene proiettato in rapida se-quenza la scena che ha chiara-mente visto, ciò che l’ha sup-postamente preceduta e i reali antecedenti di un sentimento freddamente unilaterale. Vor-rebbe urlare e strepitare e ucci-dere e picchiare, ma non ne ha la forza. Resta lì e piange del suo piangere.

Poi si lava la faccia, torna dalla sua bella che mugugna dolce e la bacia sulla guancia, si sten-de di nuovo in fianco ai due placidamente e teneramente abbracciati, e coccola un po’ il suo cuore stronzo prima di prendere nuovamente sonno.

NKB

Good by night - cuore stronzo