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NOTIZIARIO DELLA DIOCESI DI PISA Redazione: Piazza Arcivescovado 18 56126 Pisa tel: 050 565543 fax: 050 565544 Notiziario locale Direttore responsabile Andrea Fagioli Reg. Trib. Firenze n. 3184 del 21/12/1983 [email protected] 23 dicembre 2018 LA STORIA La Grande guerra e la tregua di Natale del 1914 DI ANDREA BERNARDINI L’ armistizio di Compiègne - entrato in vigore l’11 novembre del 1918, dunque cento anni fa - segnò la fine della Grande Guerra, iniziata il 28 luglio di quattro anni prima dopo l’attentato di Sarajevo. Una Guerra che lasciò sul campo milioni di morti e feriti: e precisamente 9milioni e 722mila morti e 21 milioni di feriti tra i solidati e quasi 6 milioni e 800 mila persone morte tra i civili. Tra infinite storie di esecrabile violenza, anche alcune di straordinaria umanità. In questi anni, ad esempio, gli archivi militari di tutta Europa - finalmente desecretati - hanno «restituito» - attraverso lettere, diari, persino fotografie - un episodio a lungo nascosto, oggetto di un lungometraggio dal titolo «Joeux Noel» che ha vinto il «Leone d’oro» al Festival del cinema di Berlino. Ci riferiamo alla «Tregua di Natale» vissuta nelle trincee del fronte occidentale (Francia e Belgio) nel 1914. Non la ordinarono i comandi militari che, anzi, fecero di tutto per condannarla e per accertarsi che mai più si ripetesse. Ma nacque, spontaneamente, tra soldati in lotta, che uscirono allo scoperto, si abbracciarono, fumarono, cantarono insieme, si scambiarono doni, persino giocarono partite di calcio. Ci è di aiuto la ricostruzione che fece di quell’episodio Tom, un soldato inglese, scrivendo una lettera a sua sorella Janet. Vi lasciamo a quella lettera, ritenendo inutile qualsiasi altro commento. «Janet, sorella cara, sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l’avessi visto coi miei occhi non ci crederei. Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavate gli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con i soldati nemici qui nei campi di battaglia di Francia! Le prime battaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sono trincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimasti nelle trincee ad aspettare. Ma che attesa tremenda! Ci aspettiamo ogni momento che un obice d’artiglieria ci cada addosso, ammazzando e mutilando uomini. E di giorno non osiamo alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno. Naturalmente si raccoglie proprio nelle trincee, da cui dobbiamo aggottarla con pentole e padelle. E con la pioggia è venuto il fango, profondo un piede e più. S’appiccica e sporca tutto, e ci risucchia gli scarponi. Una recluta ha avuto i piedi bloccati nel fango, e poi anche le mani quando ha cercato di liberarsi...» «Con tutto questo, non potevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi di fronte noi. Dopo tutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e anche loro sciaguattano nello stesso fango. E la loro trincea è solo cinquanta metri davanti a noi». «Tra noi c’è la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini che ne sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono i nostri compagni. Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamo di avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostra prima gelata. Benché infreddoliti l’abbiamo salutata con gioia, perché almeno ha indurito il fango». «Durante la giornata ci sono stati scambi di fucileria. Ma quando la sera è scesa sulla vigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primo silenzio totale da mesi! Speravamo che promettesse una festa tranquilla, ma non ci contavamo. Di colpo un camerata mi scuote e mi grida: “Vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi!” Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, con cautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia». «Non ho mai creduto di poter vedere una cosa più strana e più commovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. “Che cos’è?” ho chiesto al compagno, e John ha risposto: “alberi di Natale!”. Era vero. I tedeschi avevano disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini.E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in una canzone: “stille nacht, heilige nacht…”. Il canto in Inghilterra non lo conosciamo, ma John lo conosce e l’ha tradotto: “notte silente, notte santa”. Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa». continua a pagina VI A cento anni dalla fine della prima Guerra mondiale una bella storia emersa - nel recente passato - dagli archivi militari desecretati DI GIUSEPPE DI NAZARETH arissimi/e, chi vi scrive è Giuseppe di Nazareth a cui Dio ha affidato Gesù, come figlio, pur non essendone il padre naturale. Vi scrivo nell’imminenza del Natale: sono tante le scene della natività che mi rappresentano come un anziano, vicino a Maria e a Gesù, in una stalla in cui, insieme agli animali, nella notte santa, si fece presente un gruppo di pastori che vegliavano i loro greggi intorno a Betlemme, avvisati misteriosamente dagli Angeli del cielo. Tutti sanno che il figlio di Maria e dell’Altissimo nacque in una stalla perché per noi non c’era posto in alcun alloggio del piccolo villaggio di Betlemme dove andavano a farsi censire i discendenti della stirpe di Davide. Nome illustre, unico retaggio per gente povera come noi. Ma come? Un discendente di un re famoso come Davide, nasce in una stalla? In mezzo agli animali? Senza nessuna assistenza? Non vi meravigliate: è successo in ogni epoca e continua ad accadere anche oggi! Però, per favore, non fateci l’abitudine! Fare l’abitudine alle cose più brutte è molto facile; anzi, spesso diventa una specie di «giustificazione» condivisa da molti che prende sempre più piede a forza di slogan ripetuti ad oltranza che finiscono per far apparire «vero» e «normale» ciò che è invece è tragica negazione della dignità della persona umana. Una dignità che ogni persona possiede in quanto tale e che nessuno, ripeto, nessuno, ha il diritto di calpestare o di vilipendere. Ma torniamo a quella notte. Ho detto che di solito mi si rappresenta con la barba bianca di un anziano. In realtà, ero sì un po’ più grande di Maria, la mia promessa sposa, ma anch’io ero giovane. Giovane come tanti giovani di oggi che desiderano un futuro sereno e felice, che sperano di formarsi una famiglia e che invece trovano la loro strada sbarrata da egoismi, da furberie disoneste e da persone che difendono soltanto i propri interessi. Anch’io, insieme a Maria e al Bambino Gesù, ho trovato la mia strada ingombrata da ostacoli incredibili: primo fra tutti il fatto che Maria si trova incinta senza che noi avessimo avuto rapporti: quanti dubbi mi sono nati nel cuore! Eppure ci volevamo bene e ci rispettavamo; e Maria poi, era più pura dell’acqua di sorgente. Poi il nostro andare a vivere insieme mentre il Bambino stava crescendo nel suo seno; poi il doverci spostare da Nazareth a Betlemme mentre Maria stava per partorire; poi la stalla e gli animali che ci circondavano; poi la furia di Erode e il pericolo mortale per Gesù. Umanamente tutto congiurava contro la mia fiducia e la mia speranza. Però vi posso assicurare che il Signore Dio mi è sempre stato vicino e non ha mai mancato di mostrarmi la strada da percorrere e di guidarmi su di essa. Qualcuno potrebbe obiettare che io stessi sognando. Sì, sognavo, ma quei sogni non erano illusioni: avevo capito che Dio parla in tanti modi e che sa trovare la strada giusta per parlare al cuore di ciascuno; per rassicurarci nelle nostre indecisioni; per sostenerci nelle nostre fatiche. Mi sono fidato di Dio, così come poi mi sono fidato di Gesù. E non ho sbagliato. Quanti giovani, anche oggi sentono nel loro cuore l’appello interiore a cose grandi, ad una vita bella, a mettersi in gioco nella gratuità dell’amore, a fidarsi di Dio e della parola del Vangelo di Gesù! Ma quanta paura nel decidere a seguire questa parola di vita! E soprattutto, quante parole cattive circondano i giovani di oggi; parole che li strumentalizzano e che impediscono loro di credere e di lavorare per un mondo che sia davvero aperto all’amore, all’accoglienza e alla fraternità. Con l’esperienza che mi sono fatto, non riesco davvero a capacitarmi come sia possibile pensare di rinnovare il mondo e la società, - cosa che molti proclamano - se non si dà spazio all’unica realtà che può davvero rinnovarci tutti e che è l’amore. Amore che è gratuità verso tutti senza l’esclusione di nessuno; amore che è servizio, senza strumentalizzare niente e nessuno; amore che è accoglienza senza chiudere la porta in faccia a nessuno; amore che è condivisione senza esclusioni arbitrarie verso chi è diverso da noi. Vi devo confessare un’amarezza che non è solo mia, ma anche di Maria, la mia sposa. Noi ogni anno siamo davvero felici di poter fare la nostra parte nel Presepio per la gioia dei bambini e per suscitare anche nei grandi il ricordo di quelle sensazioni belle che hanno accompagnato la loro infanzia e giovinezza e che rimangono riferimento incancellabile, di cui si ha nostalgia, specie quando ci si ritrova soli e privati degli affetti più cari. Il Presepio è un segno di tenerezza e di ritorno ai valori della semplicità e dell’umiltà; un segno di umanità e di fede cristiana; e questo è ciò che mi consente di stare nel presepio con orgogliosa amorevolezza; un segno che vuole unire tutti nella realtà umanissima della vita che nasce e che avvolge di amore che viene dall’Alto il cuore di ogni persona che cerca l’amore vero: perché farlo diventare segno da utilizzare contro qualcuno? Vi confesso che in qualche momento mi era venuto l’impulso di dire a Maria: andiamocene, perché forse, questa, non è aria per noi! Ma siamo rimasti e rimarremo sempre in mezzo agli umili e ai semplici che amano, perché Gesù è il Figlio amato del Padre celeste che si è fatto carne, il segno più bello e concreto che esiste un’unica famiglia per tutti gli uomini della terra, una famiglia per la quale nessuno è straniero. Per questo, buon Natale a tutti, nessuno escluso, con la gioia di saper riconoscere nel volto di ogni persona un fratello o una sorella che Dio ama e che ci è offerta perché questo amore, nella concretezza delle relazioni reciproche, tutti unisca nell’unica famiglia dei figli di Dio. Con affetto grande. Giuseppe di Nazareth (+ Giovanni Paolo Benotto) C Nel «messaggio» dell’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto ai lettori di «Toscana Oggi» una «lettera» scritta da Giuseppe di Nazareth: «Un discendente di un re famoso come Davide nasce in mezzo agli animali, senza nessuna assistenza? Non vi meravigliate: è successo in ogni epoca e continua ad accadere anche oggi!» «Per noi c’era posto solo in una stalla...»

L’ · Ci è di aiuto la ricostruzione che fece di quell’episodio Tom, un soldato inglese, scrivendo una lettera a sua sorella Janet. Vi lasciamo a quella lettera, ritenendo inutile

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NOTIZIARIODELLA DIOCESI DI PISA

Redazione: Piazza Arcivescovado 1856126 Pisatel: 050 565543fax: 050 565544

Notiziario localeDirettore responsabileAndrea Fagioli

Reg. Trib. Firenze n. 3184 del 21/12/1983

[email protected]

23 dicembre 2018

LA STORIA

La Grande guerra e latregua di Natale del 1914

DI ANDREA BERNARDINI

L’armistizio di Compiègne - entrato in vigore l’11novembre del 1918, dunque cento anni fa - segnò lafine della Grande Guerra, iniziata il 28 luglio diquattro anni prima dopo l’attentato di Sarajevo. Una

Guerra che lasciò sul campo milioni di morti e feriti: eprecisamente 9milioni e 722mila morti e 21 milioni di ferititra i solidati e quasi 6 milioni e 800 mila persone morte trai civili. Tra infinite storie di esecrabile violenza, anche alcune distraordinaria umanità. In questi anni, ad esempio, gliarchivi militari di tutta Europa - finalmente desecretati -hanno «restituito» - attraverso lettere, diari, persinofotografie - un episodio a lungo nascosto, oggetto di unlungometraggio dal titolo «Joeux Noel» che ha vinto il«Leone d’oro» al Festival del cinema di Berlino. Ci riferiamoalla «Tregua di Natale» vissuta nelle trincee del fronteoccidentale (Francia e Belgio) nel 1914. Non la ordinaronoi comandi militari che, anzi, fecero di tutto per condannarlae per accertarsi che mai più si ripetesse. Ma nacque,spontaneamente, tra soldati in lotta, che uscirono alloscoperto, si abbracciarono, fumarono, cantarono insieme,si scambiarono doni, persino giocarono partite di calcio.Ci è di aiuto la ricostruzione che fece di quell’episodio Tom,un soldato inglese, scrivendo una lettera a sua sorella Janet.Vi lasciamo a quella lettera, ritenendo inutile qualsiasi altrocommento.«Janet, sorella cara, sono le due del mattino e la maggior partedegli uomini dormono nelle loro buche, ma io non possoaddormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosiavvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenutoè quasi una fiaba, e se non l’avessi visto coi miei occhi non cicrederei. Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavategli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con isoldati nemici qui nei campi di battaglia di Francia! Le primebattaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sonotrincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimastinelle trincee ad aspettare. Ma che attesa tremenda! Ciaspettiamo ogni momento che un obice d’artiglieria ci cadaaddosso, ammazzando e mutilando uomini. E di giorno nonosiamo alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. Epoi la pioggia: cade quasi ogni giorno. Naturalmente si raccoglieproprio nelle trincee, da cui dobbiamo aggottarla con pentole epadelle. E con la pioggia è venuto il fango, profondo un piede epiù. S’appiccica e sporca tutto, e ci risucchia gli scarponi. Unarecluta ha avuto i piedi bloccati nel fango, e poi anche le maniquando ha cercato di liberarsi...» «Con tutto questo, nonpotevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi difronte noi. Dopo tutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e ancheloro sciaguattano nello stesso fango. E la loro trincea è solocinquanta metri davanti a noi». «Tra noi c’è la terra di nessuno,orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini chene sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono inostri compagni. Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamodi avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno glistessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostraprima gelata. Benché infreddoliti l’abbiamo salutata con gioia,perché almeno ha indurito il fango». «Durante la giornata cisono stati scambi di fucileria. Ma quando la sera è scesa sullavigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primosilenzio totale da mesi! Speravamo che promettesse una festatranquilla, ma non ci contavamo. Di colpo un camerata miscuote e mi grida: “Vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno itedeschi!” Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, concautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia». «Non homai creduto di poter vedere una cosa più strana e piùcommovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta lalinea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. “Checos’è?” ho chiesto al compagno, e John ha risposto: “alberi diNatale!”. Era vero. I tedeschi avevano disposto degli alberi diNatale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele elumini.E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in unacanzone: “stille nacht, heilige nacht…”. Il canto in Inghilterranon lo conosciamo, ma John lo conosce e l’ha tradotto: “nottesilente, notte santa”. Non ho mai sentito un canto più bello e piùsignificativo in quella notte chiara e silenziosa».

continua a pagina VI

A cento anni dalla fine della prima Guerramondiale una bella storia emersa - nel recentepassato - dagli archivi militari desecretati

DI GIUSEPPE DI NAZARETH

arissimi/e,chi vi scrive è Giuseppe diNazareth a cui Dio ha affidatoGesù, come figlio, pur non

essendone il padre naturale. Vi scrivo nell’imminenza del Natale: sonotante le scene della natività che mirappresentano come un anziano, vicino aMaria e a Gesù, in una stalla in cui,insieme agli animali, nella notte santa, sifece presente un gruppo di pastori chevegliavano i loro greggi intorno aBetlemme, avvisati misteriosamente dagliAngeli del cielo.Tutti sanno che il figlio di Maria edell’Altissimo nacque in una stalla perchéper noi non c’era posto in alcun alloggiodel piccolo villaggio di Betlemme doveandavano a farsi censire i discendentidella stirpe di Davide. Nome illustre,unico retaggio per gente povera come noi.Ma come? Un discendente di un refamoso come Davide, nasce in una stalla?In mezzo agli animali? Senza nessunaassistenza? Non vi meravigliate: èsuccesso in ogni epoca e continua adaccadere anche oggi! Però, per favore, nonfateci l’abitudine! Fare l’abitudine alle cose più brutte èmolto facile; anzi, spesso diventa unaspecie di «giustificazione» condivisa damolti che prende sempre più piede a forzadi slogan ripetuti ad oltranza chefiniscono per far apparire «vero» e«normale» ciò che è invece è tragicanegazione della dignità della personaumana. Una dignità che ogni personapossiede in quanto tale e che nessuno,ripeto, nessuno, ha il diritto di calpestareo di vilipendere.Ma torniamo a quella notte. Ho detto chedi solito mi si rappresenta con la barbabianca di un anziano. In realtà, ero sì unpo’ più grande di Maria, la mia promessasposa, ma anch’io ero giovane. Giovanecome tanti giovani di oggi che desideranoun futuro sereno e felice, che sperano diformarsi una famiglia e che invecetrovano la loro strada sbarrata da egoismi,da furberie disoneste e da persone chedifendono soltanto i propri interessi.Anch’io, insieme a Maria e al BambinoGesù, ho trovato la mia strada ingombratada ostacoli incredibili: primo fra tutti ilfatto che Maria si trova incinta senza chenoi avessimo avuto rapporti: quantidubbi mi sono nati nel cuore! Eppure civolevamo bene e ci rispettavamo; e Mariapoi, era più pura dell’acqua di sorgente.Poi il nostro andare a vivere insiemementre il Bambino stava crescendo nelsuo seno; poi il doverci spostare da

Nazareth a Betlemme mentre Maria stavaper partorire; poi la stalla e gli animali checi circondavano; poi la furia di Erode e ilpericolo mortale per Gesù.Umanamente tutto congiurava contro lamia fiducia e la mia speranza. Però viposso assicurare che il Signore Dio mi èsempre stato vicino e non ha maimancato di mostrarmi la strada dapercorrere e di guidarmi su di essa.Qualcuno potrebbe obiettare che io stessisognando. Sì, sognavo, ma quei sogninon erano illusioni: avevo capito che Dioparla in tanti modi e che sa trovare lastrada giusta per parlare al cuore diciascuno; per rassicurarci nelle nostreindecisioni; per sostenerci nelle nostrefatiche. Mi sono fidato di Dio, così comepoi mi sono fidato di Gesù. E non hosbagliato.Quanti giovani, anche oggi sentono nelloro cuore l’appello interiore a cosegrandi, ad una vita bella, a mettersi ingioco nella gratuità dell’amore, a fidarsi diDio e della parola del Vangelo di Gesù!Ma quanta paura nel decidere a seguirequesta parola di vita! E soprattutto,quante parole cattive circondano i giovanidi oggi; parole che li strumentalizzano eche impediscono loro di credere e dilavorare per un mondo che sia davveroaperto all’amore, all’accoglienza e allafraternità.Con l’esperienza che mi sono fatto, nonriesco davvero a capacitarmi come siapossibile pensare di rinnovare il mondo ela società, - cosa che molti proclamano -se non si dà spazio all’unica realtà chepuò davvero rinnovarci tutti e che èl’amore. Amore che è gratuità verso tuttisenza l’esclusione di nessuno; amore cheè servizio, senza strumentalizzare niente enessuno; amore che è accoglienza senzachiudere la porta in faccia a nessuno;amore che è condivisione senza esclusioniarbitrarie verso chi è diverso da noi.

Vi devo confessare un’amarezza che non èsolo mia, ma anche di Maria, la miasposa. Noi ogni anno siamo davvero felicidi poter fare la nostra parte nel Presepioper la gioia dei bambini e per suscitareanche nei grandi il ricordo di quellesensazioni belle che hannoaccompagnato la loro infanzia egiovinezza e che rimangono riferimentoincancellabile, di cui si ha nostalgia,specie quando ci si ritrova soli e privatidegli affetti più cari. Il Presepio è un segno di tenerezza e diritorno ai valori della semplicità edell’umiltà; un segno di umanità e di fedecristiana; e questo è ciò che mi consentedi stare nel presepio con orgogliosaamorevolezza; un segno che vuole uniretutti nella realtà umanissima della vita chenasce e che avvolge di amore che vienedall’Alto il cuore di ogni persona che cercal’amore vero: perché farlo diventare segnoda utilizzare contro qualcuno? Viconfesso che in qualche momento mi eravenuto l’impulso di dire a Maria:andiamocene, perché forse, questa, non èaria per noi!Ma siamo rimasti e rimarremo sempre inmezzo agli umili e ai semplici che amano,perché Gesù è il Figlio amato del Padreceleste che si è fatto carne, il segno piùbello e concreto che esiste un’unicafamiglia per tutti gli uomini della terra,una famiglia per la quale nessuno èstraniero.Per questo, buon Natale a tutti, nessunoescluso, con la gioia di saper riconoscerenel volto di ogni persona un fratello ouna sorella che Dio ama e che ci è offertaperché questo amore, nella concretezzadelle relazioni reciproche, tutti uniscanell’unica famiglia dei figli di Dio.Con affetto grande.

Giuseppe di Nazareth (+ Giovanni Paolo Benotto)

C

Nel «messaggio» dell’arcivescovo

Giovanni Paolo Benotto ai lettori di «Toscana Oggi»

una «lettera» scritta da Giuseppe di Nazareth:

«Un discendente di un re famoso

come Davide nasce in mezzo agli animali,

senza nessuna assistenza? Non vi meravigliate:

è successo in ogni epoca e continua ad accadere

anche oggi!»

«Per noi c’era postosolo in una stalla...»

VITA NOVATOSCANA OGGI23 dicembre 2018II

AGENDAIMPEGNI PASTORALI DELL’ARCIVESCOVODomenica 23 dicembre 2018 ore 10: S. Messa a Ti-tignano e presentazione del nuovo Parroco; ore21,15: Novena di Natale in San Michele in Bor-go.Lunedì 24 dicembre ore 23,15: Ufficio delle Let-ture e S. Messa della Natività in Cattedrale.Martedì 25 dicembre ore 9: S. Messa al CarcereDon Bosco; ore 11: Pontificale di Natale in Catte-drale.Mercoledì 26 dicembre ore 11: S. Messa in SantoStefano e.m.Sabato 29 dicembre ore 11: S. Messa con gli An-ziani dell’Oasi del S. Cuore a Calci.Domenica 30 dicembre ore 11: S. Messa dalleSuore Figlie di Nazareth in Casa Madre.Lunedì 31 dicembre 2018 ore 17: S. Messa in Cat-tedrale e Canto del Te Deum di ringraziamento.Martedì 1 gennaio 2019 ore 17: S. Messa per laPace in Cattedrale.Venerdì 4 gennaio ore 9,15: udienze in arcivesco-vadoDomenica 6 gennaio ore 11: S. Messa in Cattedra-le; ore 16: S. Messa al GPII di Calambrone per igiovani del RnS.Lunedì 7 gennaio riunione a Firenze della CET.Martedì 8 gennaio a Roma per la Congregazionedei Santi.Mercoledì 9 gennaio ore 16: Riunione degli Uffi-ci tecnico-amministrativi della Curia.Giovedì 10 gennaio ore 9,30: Aggiornamento delClero in SeminarioVenerdì 11 gennaio ore 9,15: udienze; ore 21: in-contro al S. Cuore di Pontedera per il vicariato diPontedera-Lungomonte.Sabato 12 gennaio ore 11: S. Messa per il Voto aSan Ranieri; ore 17: Cresime a Santa Maria As-sunta a Marina di Pisa.Domenica 13 gennaio 2019 ore 11: Cresime a Ba-dia; ore 17: S. Messa a S. Maria Madre d. C. perinizio Visita Pastorale a Pisa Nord.

INAUGURAZIONE DIPINTO IN SANTA CATERINAPISA - Un regalo per la comunità parrocchiale diSanta Caterina e per tutta la città di Pisa l’attesoritorno del grande dipinto olio su tela (cm265,50 x 419!) raffigurante il «Martirio di santaCaterina d’Alessandria» di Aurelio Lomi Gentile-schi datato 1604. Il frutto dei lunghi mesi di la-voro sarà presentato - sabato 22 dicembre alleore 16 nella sacrestia antica della chiesa di SantaCaterina d’Alessandria - dalla ditta esecutrice delrestauro «Lo Studiolo» snc di Luigi Colombini,Maddalena Lazzareschi e Lucia Ricciarelli diSant’Anna di Lucca. La giornata sarà introdottadal parroco don Francesco Bachi con i ringrazia-menti alla Fondazione Pisa, che ha sostenuto in-teramente le spese dei lavori. Seguiranno i contri-buti di Loredana Brancaccio (Soprintendenza aimonumenti) e Francesca Barsotti (ufficio beniculturali della diocesi). Il professore Pierluigi Ca-rofano parlerà sulla vita e sulle opere del grandeartista Aurelio Lomi Gentileschi, in particolaresulla tela appena ricollocata nella chiesa, unica asalvarsi dal rovinoso incendio del 1650.La tela potrà essere ammirata in chiesa tutti igiorni dalle ore 8 alle ore 20.

San Pietro Canisioenerdì 21 dicembre la Chiesaricorda san Pietro Canisio. Dal

Messale quotidiano: «Pietro Kanijs(latinizzato in Canisio), nasce nel 1521a Nimega (Olanda) città di cui il padre èborgomastro (cioè sindaco). È ilmedesimo anno della ribellione delmonaco Martin Lutero. Studia aColonia Lettere ed entra a ventitre anninella Compagnia di Gesù. Ordinatosacerdote nel 1546, partecipa cometeologo (1547) al Concilio di Trento.Nel clima dell’eresia protestante, vieneinviato in Germania dove lavora e siaffatica per trent’anni come capofila delmovimento cattolico di riforma». Scriveil «Catechismo» che condensa tutta ladottrina cattolica. «In meno di diecianni il ’Catechismo’ hacinquantacinque edizioni in novelingue». Pietro «coraggioso e dolce,umile e sapiente, scrittore e polemista, èpronto a qualsiasi battaglia». Muore «insantità di vita» nel 1597. Fatto santo nel1925 è proclamato «Dottore dellaChiesa» e «secondo apostolo dellaGermania dopo san Bonifacio» (672-755). «Signore... guarda dal cielo evedi... proteggi quello che la tua destraha piantato... da te mai più ciallontanereno,/ facci rivivere e noiinvocheremo il tuo nome» (Sal 79/80liturgia della IV^ domenica di Avvento,23 dicembre). O Gesù nato a Betlemmeritorna! Abbiamo bisogno di Te, di Tesolo! A tutti buon anno 2019.

Giovanni Manecchia

V

ASTERISCO

«Ripartiamo dalle virtù cardinali»DI ANDREA BERNARDINI

n un centro storico già daalcuni giorni vestito a festa,domenica scorsa moltipisani hanno sfidato pioggia

e freddo per raggiungere labella chiesa in stilerinascimentale di Santa Mariadel Carmine: per salutare Gesùe sua Madre - così benrappresentata nella statua della Madonna del Carmine che lachiesa ospita da oltre 70 anni -e per rendere grazie a Dio deldono della visita pastoraledell’arcivescovo GiovanniPaolo Benotto al vicariato diPisa sud. Una «visita» che hainteressato i sacerdoti, ireligiosi, i fedeli laici che fannovita di comunità, ma anchescuole e luoghi frequentati ognigiorno da lavoratori: realtà sucui non scommetteresti un cent,eppure terribilmenteincuriosite, interessate,diremmo persino attratte da ciòche dice e fa la Chiesa, perchéassetate di riferimenti a valoriche pochi altri sono in grado diesprimere.La visita pastorale siconcludeva ufficialmentedomenica con laconcelebrazione eucaristicapresieduta dallo stessoArcivescovo e concelebrata dalvicario zonale - e parroco diRiglione ed Oratoio - donRoberto Canale, dai padricarmelitani - il parroco Augusto Tollon e il priore delconvento Agostino Gelli - daiparroci di Porta a Mare e SanPaolo a Ripa d’Arno don ItaloLucchesi, di San Martino e SanSepolcro don EnricoGiovacchini, di Sant’Antonio monsignor Franco Cancelli edi San Marco alle Cappelle donGianluca Martignetti e animatadal coro polifonico di SanNicola diretto dal maestro Stefano Barandoni eaccompagnato all’organo da Paolo Sorrentino. Una «visita»che, però, avrà un’appendicenelle prossime settimane,perché monsignor GiovanniPaolo Benotto ha espresso ildesiderio di approfondire laconoscenza di alcune realtàincontrate in queste settimane.La gratitudine all’Arcivescovo èstata espressa dal vicario zonalein apertura di celebrazione: «Il

I

Signore attraverso la personadel vescovo - ha osservato donRoberto Canale - ha bussatoalle nostre porte, è entrato nei

nostri luoghi di preghiera e dilavoro e ci ha ridonatosperanza». Il primo meritoattribuito dal vicario zonalealla visita pastorale è quello diaver favorito l’incontro di unaporzione di popolo intorno alsuo pastore: «la visita ci ha fattoincontrare e ricordare che nonsiamo soli, che possiamocontare su Cristo». E poi:«Partecipando agli incontridelle vicine parrocchie divicariato abbiamo conosciutoiniziative e realtà che nonconoscevamo. Questo ci hapermesso di allargare ilsignificato che noi attribuiamoal termine comunità: non solo enon più comunità parrocchiale,ma comunità vicariale ediocesana: insomma ci siamosentiti un popolo in camminoverso la stessa strada checonduce al regno di Dio». Inconclusione: «Affidiamo ora alSignore i frutti di questa

semina. Forse molte cose noncambierannoimmediatamente, ma almenoavremo aperto le porteall’incontro, al dialogo»superando«l’autoreferenziaslità». E giàquesto «è un buon inizio».Si legge nel Vangelo secondoLuca proclamato domenicascorsa (cfr: Lc 3, 10-18) «Le folleinterrogavano Giovanni, dicendo:“Che cosa dobbiamo fare?”.Rispondeva loro: “Chi ha duetuniche, ne dia a chi non ne ha, echi ha da mangiare, facciaaltrettanto”. Vennero anche deipubblicani a farsi battezzare e glichiesero: “Maestro, che cosadobbiamo fare?”. Ed egli disseloro: “Non esigete nulla di più diquanto vi è stato fissato”. Lointerrogavano anche alcunisoldati: “E noi, che cosa dobbiamofare?”. Rispose loro: “Nonmaltrattate e non estorcete nientea nessuno; accontentatevi dellevostre paghe”. Poiché il popolo erain attesa e tutti, riguardo aGiovanni, si domandavano incuor loro se non fosse lui il Cristo,Giovanni rispose a tutti dicendo:“Io vi battezzo con acqua; maviene colui che è più forte di me, acui non sono degno di slegare ilacci dei sandali. Egli vi battezzeràin Spirito Santo e fuoco. Tiene inmano la pala per pulire la sua aiae per raccogliere il frumento nelsuo granaio; ma brucerà la pagliacon un fuoco inestinguibile”. Conmolte altre esortazioni Giovannievangelizzava il popolo». «E noi,conclusa questa visitapastorale, cosa dobbiamofare?» l’arcivescovo ha provatoa dare risposta ad unadomanda diffusa nellacomunità cristiana al terminedella visita. Indicando alcuniatteggiamenti da seguire per ilfuturo. Il primo: allenarsi a condividere le esperienzepastorali con le altre comunitàdel territorio vicariale ediocesano; il secondo: cercaredi entrare nella lunghezzad’onda della gente, per arrivareal loro cuore. E poi, ripartiredalle virtù cardinali.A fine celebrazione padreAugusto Tollon ha chiestoall’Arcivescovo di benedire illeggìo e la Bibbia della chiesadel Carmine: un gesto - segno aconclusione di una visita cheha riempito i cuori di molti.

L’arcivescovoGiovanni PaoloBenotto ha concluso -domenica scorsa inSanta Maria delCarmine - la visitapastorale al vicariatodi Pisa sud. Lagratitudine espressadal vicario zonaledon Roberto Canale:«Il Signore, attraversola persona del vescovo,ha bussato alle nostreporte...»

Alcuni scatti dalla celebrazione di domenica scorsa (fotoservizio di Gabriele Ranieri)

VITA NOVA TOSCANA OGGI23 dicembre 2018 III

L’INTERVISTA

MOLESTIE SUI LUOGHI DI LAVORO,LA DENUNCIA DELLA CISL

DI ANDREA BERNARDINI

on dobbiamo lasciare più sole le vittimedi violenza nei luoghi di lavoro». Si

rivolge anche al suo sindacato CostanzaBraccini (nella foto), coordinatrice donnedella Cisl di Pisa. L’Istat stima in un milione e400mila coloro che hanno subìto, almeno unavolta nella loro vita lavorativa, molestie oricatti sessuali sul posto di lavoro: per ottenereun lavoro, per mantenerlo o per ottenereprogressioni della carriera. E solo una personasu cinque, tra quelle che hanno subìto unricatto, ha raccontato la propria esperienza.Parlandone soprattutto con i colleghi, moltomeno con il datore di lavoro o con i propridirigenti, ma anche con i sindacati.Le vittime delle molestie sul lavoro sono, ingenere, donne - ricostruisce CostanzaBraccini, coordinatrice delle donne della Cisldi Pisa - giovani dai 25 ai 44 anni. Unfenomeno trasversale - osserva CostanzaBraccini- che coinvolge un po’ tutte le categoriee ambiti. Donne in carriera, segretarie senzaaspettative di crescita professionale o donnebisognose di lavorare».L’indetikit del molestatore? «Nella maggiorparte dei casi un uomo, un superioregerarchico, un datore di lavoro, un capoufficio, un capo officina… Il molestatoregeneralmente è seriale, quindi se molesta oggio lo ha già fatto nel passato o lo farà ancoranel futuro».«Spesso - osserva Costanza Braccini - la vittimadi molestie ha paura a denunciare, perchéteme di perdere il posto di lavoro oppure diessere giudicata dalla società e dai familiari.Pensa sia meglio trovare soluzioni individualie, tra queste, anche rinunciare alla carriera». Ed invece.... «Occorre denunciare, se non fossealtro per creare una rete solidale capace ditutelare e prevenire ulteriori nuove molestie. Èaltresì importante far emergere il problema sulluogo di lavoro, rivolgendosi al sindacalistaaziendale, alla consigliera di parità, ad unavvocato o direttamente alle forze dell’ordine».Un consiglio? «Per far causa occorrono prove eper questo consiglio a chi sta subendomolestie di annotare il giorno e l’ora di ognieventuale comportamento sopra le righe.Consiglio anche alle vittime di annotare i casiin cui testimoni siano stati presentiall’episodio di violenza e di conservare e-maile messaggi telefonici». In ogni caso le sedi Cisldiffuse sul territorio della provincia di Pisa«sono a disposizione per eventuali richieste diaiuto ad accompagnare e sostenere chiunquesia oggetto di molestie sul lavoro e, con ilconvolgimento del coordinamento donne,anche coloro che sono oggetto di violenza inambito familiare».

La speranza oltre le sbarre

Nel fotoservizio di Gerardo Teta: in alto la platea presente alla presentazione del libro «La speranza oltre le sbarre», a centro pagina l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto. Qui sopra da sinistraa destra: la professoressa Luisa Prodi, la giornalista Angela Trentini, il teologo don Maurizio Gronchi e il docente universitario Fabio Fineschi

DI FRANCESCO PALETTI

i sono Domenico Pace e GaetanoPuzzangaro, due dei componentidel gruppo di fuoco mafioso che il21 settembre 1990, sulla strada

provinciale tra Caltanissetta e Palermo,uccise il «giudice ragazzino» RosarioLivatino, ammazzato a 38 anni. E c’è pure Domenico Ganci, uno degli assassini delgiudici Falcone e e Borsellino. E pocodopo la mamma del «giudice ragazzino»che dice: «Ho perdonato perché ho pensatoa mio figlio e al Vangelo che teneva sopra lascrivania: Rosario lo avrebbe fatto». E Nando dalla Chiesa, figlio del generaleCarlo Alberto, il prefetto di Palermotrucidato dalla mafia a pochi mesi il 3settembre 1982. Che, ricordando il giornodel maxi-processo per gli imputatidell’assassino del padre, scrive: «Di colpopensai una cosa mai immaginata prima: che seanche fossero stati condannati tutti, io nonavrei avuto giustizia. Mio padrenon sarebbe tornato. Il veromodo per dargli giustizia erasconfiggere la mafia». E pocooltre aggiunge: «Lo Stato e lasocietà intera, proprio in quantotenuti al principio supremo dellaresponsabilità, non possonochiudere, blindare “senza finemai”, la possibilità dellasperanza. Nemmeno per gliappartenenti alle organizzazionimafiose». Tutto questotroviamo in «La speranzaoltre le sbarre: viaggio in uncarcere di massimasicurezza», il volume edito daSan Paolo e firmato dallagiornalista Angela Trentini edal teologo pisano MaurizioGronchi che è stato presentato anche a Pisagiovedì 13 dicembre. Un viaggio, appunto,nelle storie e nei vissuti di criminali spessomai giuridicamente pentiti, e per questocondannati all’ergastolo ostativo, la penainflitta agli assassini con l’aggravantedell’associazione mafiosa e l’assenza dicollaborazione con la giustizia, cosa cheesclude da qualunque beneficio o percorsorieducativo, a prescindere dalla condotta. Eaccanto c’è il vissuto di chi, di quelle gestaefferate, ha pagato le più alte conseguenze,ossia i familiari più stretti delle vittime.

CSullo sfondo tante domande bensintetizzate da don Gronchi: «Da dove nascela forza del perdono? Forza di chiederlo,forza di donarlo. Chi lo invoca è davverosinceramente pentito? In che modo siaffaccia un sentimento nuovo, così potente,sconosciuto fino ad allora? Chiedereperdono ai familiari della vittima valeveramente qualcosa, anche senza aspettarsiuna risposta? Come fanno a concederlo iparenti delle vittime? Tante domande cui èdifficile trovare una risposta. Forsedobbiamo solo accontentarci di intravedere,come dalla punta di un iceberg, quellamontagna sommersa che è la vita di ognipersona, carnefice o vittima che sia. Cosafare? Possiamo provare a raccontare comereagisce l’uomo o la donna che si lasciailluminare dal Vangelo, con tutta lacomplessità e l’incertezza che conosce chi hail dono di una fede consapevole».Da qui muove anche la riflessionedell’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo

Benotto: «Ingabbiare lagente non aiuta: la leggeva osservata, ma lepersone rimangono enon possono esserecancellate. Se le personenon le si considera piùtali, la speranza èmorta». Riflessioni cherichiamano quelle suiconcetti di perdono egiustizia e sulle tantedeclinazioni delconcetto di pena:«punitiva»,«redistributiva» e anche«riparativa». «In questomondo impaurito, èpossibile coniugarecertezza della pena e

perdono - ha sottolineato il presidente delcorso di laurea in scienze della pacedell’Università di Pisa Fabio Fineschi -: datoche quest’ultimo non ha alcunché digiuridico ma ha a a a che fare con lasperanza. Quando una persona lo chiedequasi sempre è ciò a cui più spesso anela,ma la domanda a chi, comprensibilmente,spesso tutto vuole tranne che perdonare.Ecco perché - ha concluso il docente - c’èbisogno di un “perdono sociale” anchequale forma di tutela nei confronti dellevittime. È come se queste ci dicessero: «non

chiedetemi di farlo perché non ce la faccio,posso solo aderire ad una società che credenel riscatto di tutti, anche di chi hacommesso i crimini più efferati».Considerazioni che sono pane quotidianoper Luisa Prodi, insegnante di matematica eda oltre trent’anni volontaria in carceredell’associazione Controluce di Pisa e, ed expresidente della Seac, il coordinamentonazionale degli enti e delle associazioni delvolontariato penitenziario: «Al “Don Bosco”raramente ci si imbatte in reati così gravi darichiedere l’ergastolo ostativo, ma haincontrato tanti cosiddetti “ergastolibianchi”, persone che fanno fuori e dentro ilcarcere senza riuscire a cambiare vita - haspiegato -. L’orizzonte che abbiamo di frontedovrebbe essere quello di una societàinclusiva cui anche la pena dovrebbetendere: il fatto è che quando un detenutonon viene rispettato nella sua dignità da reo,quale è, comincia a sentirsi vittima. E alloraanche al pena perde tutta la sua funzione». Ilrapporto con i detenuti è quotidiano ancheper il direttore della Caritas diocesana donEmanuele Morelli che, insieme allacappellania del carcere «Don Bosco, èimpegnato nella gestione di “MisericordiaTua”, la casa famiglia per detenuti in uscitadal carcere o ammessi alle pene alternativerealizzata dalla diocesi di Pisa nellacanonica della chiesa di Sant’Andrea a Lamaa Calci: “Ci sono segni di speranza chevanno colti - ha detto -: uno di questi sichiama Mario, il primo detenuto cheabbiamo seguito quando ancora i lavori diristrutturazione erano in corso. È statoassunto a tempo determinato e parzialedalla ditta che eseguiva gli interventi eospitato nella casa dei Dehoniani diCastelmaggiore. Adesso che i lavori sonofiniti, quel contratto è diventato a tempopieno e indeterminato e Mario puòripartire». Speranza è anche ciò che levolontarie del Cif cercando di portare dietrole sbarre del carcere pisano: «Offriamo uncorso d’italiano per le straniere, uno diinglese, catechesi e laboratori di cucitocreativo - ha spiegato la presidente MariaO’Reilly - E quando le detenuto escono erimangono in zona, offriamo un servizio diaccompagnamento che comprende illaboratorio settimanale di cucito e attività divolontariato all’Angolino Solidale diLungarno Gambacorti dove sono esposti imanufatti creati nei laboratori».

VITA NOVATOSCANA OGGI23 dicembre 2018IV

VITA NOVA TOSCANA OGGI23 dicembre 2018 V

I calendario del 2019 s’ispira al temadel Piano Pastorale dell’arcidiocesi

di Pisa per questo anno liturgico,invitando a riflettere sui «Novissimi»,cioè sul mistero della vita eterna e leverità ultime circa la sorte di chi,giunto al termine dell’esistenzaterrena, si affaccia sulla spondadell’eternità nella gioia di Dio o nelladannazione eterna. Le immagini sonotratte dall’affresco del pittorefiorentino Buonamico Buffalmacco, IlTrionfo della Morte, capolavoro dipintosulla parete meridionale del CampoSanto a partire dal 1336, erecentemente ricollocato in paretedopo un delicato restauro per riparareai danni dell’incendio del 27 luglio1944 e ai problemi scaturiti dai primiinterventi successivi. L’opera fa partedel grande ciclo di pitture murali(circa 2.000 mq) che decorano lepareti dell’edificio secondo un precisoprogetto, ispirato dall’importantecentro culturale del conventodomenicano pisano di Santa Caterinad’Alessandria e mirato a proporre aifedeli vere e proprie prediche dipinteper meditare sui grandi problemidell’esistenza umana. Strettamenteconnessi al Trionfo sono, dello stessoautore, il Giudizio Universale, l’Inferno,le Storie dei Padri del Deserto. Aprequesto ciclo il Trionfo della Morte, laprima riflessione sul mistero dellamorte e del destino ultraterreno. Asinistra è rappresentato l’incontrodella cavalcata di un’allegra brigata digiovani di ritorno da una caccia contre cadaveri in diverse fasi didecomposizione, paleseammonizione della transitorietà deibeni terreni, ribadita dagli esempidella vita anacoretica sovrastanti. Alcentro dell’affresco si erge il monteinfernale, in cui due demoni inposizione simmetrica gettanoaltrettante prede capovolte. Al di sottosi affollano due gruppi, a sinistrapoveri, infelici e disgraziati cheprotendono le braccia ad invocare lamorte, seguiti da un ammasso dicadaveri rappresentanti le diversetipologie sociali, con le anime informa di bambino che escono dalleloro bocche, ghermite da demoni oraccolte da angeli. Al di sopra si librala Morte con una grande falce inmano, che ignora chi la invoca e sidirige invece verso un gruppo digiovani uomini e donne che in ungiardino si dilettano di musica e dipiacevoli conversari, ignari deldestino che aspetta due di loro,indicati da due figure alate con inmano le fiaccole capovolte. Questeimmagini, affascinanti e forti insieme,colpivano certamente con grandeefficacia gli uomini del tempo, inlarga parte analfabeti sì, ma sensibili ein grado di comprendere i messaggitrasmessi loro visivamente.

I

LA SCHEDA

Un anno insieme a san Ranieri

DI ANDREA BERNARDINI

dedicato al «Trionfodella morte» ilcalendario 2019 dellaCompagnia di San

Ranieri. I lettori lo troveranno inedicola - abbinato alquotidiano «Il Tirreno» - ilprossimo 2 gennaio 2019,mentre gli abbonati al nostrosettimanale lo riceveranno acasa in allegato al primonumero di gennaio 2019. Macopie del calendario sarannogià disponibili il prossimo 31dicembre, in Cattedrale, altermine del «Te Deum» diringraziamento. La scelta di dedicare uncalendario agli affreschirestaurati di BuonamicoBuffalmacco in Campo Santofu annunciata dal priore dellacompagnia di San RanieriRiccardo Buscemi in occasionedella visita organizzata loscorso novembre. Visita allaquale parteciparono oltreduecento persone. «Il Trionfo della Morte -ricostruisce Riccardo Buscemi -realizzato da Buonamico

È

Buffalmacco nel 1336-1341,era stato seriamentecompromesso daibombardamenti dell’ultimoconflitto mondiale. È statorecentemente ricollocato insito dopo un attento, lungo emagistrale restauro curatodall’Opera della Primaziale.Esso fa parte di una teoria diaffreschi medievali (oltre 2000

mq) che fanno del CampoSanto un “unicum”, non a casodefinito da Antonio Paolucci“la Cappella Sistina deiPisani”». Il calendario, realizzato suprogetto grafico di AndreaLombardi e riproducente lebelle immagini concessedall’Opera della PrimazialePisana - scattate da Paolo Del

Freo e Roberto Pecchioli - èprodotto a colori su cartapatinata e contiene i salutidell’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto, delcorrettore della compagniaGiuliano Catarsi e del prioredella compagnia RiccardoBuscemi, nonché il preziosotesto illustrativo delleprofessoresse GabriellaGarzella e Maria LuisaCeccarelli Lemut. Un grande sforzoorganizzativo quello portatoavanti dalla compagnia di SanRanieri, che ha saputocoinvolgere - oltre ai duegiornali - numerosi partners.Concorrono con il lorocontributo economico alprogetto: il Comune di Pisa, ilConsiglio Regionale dellaToscana, la Fondazione Pisa, ilCorpo Guardie di Città, IntesaSanpaolo, l’associazioneculturale «Il Mosaico», l’«HotelSan Ranieri», DevitaliaTelecomunicazioni, ManettiRomano Costruzioni e RotaryE-Club Distretto 2071. «Siamo particolarmentesoddisfatti del lavoro fatto -commentano monsignorGiuliano Catarsi e RiccardoBuscemi - il calendario ha unafunzione divulgativa sia dalpunto di vista culturale chereligioso. Con essosoddisfiamo a una delleprescrizioni che l’Arcivescovoha impartito alla Compagnia:fare formazione. Le altreindicazioni: promuovere ilculto al santo patrono (a cui cidedichiamo il 17 di ogni mesecelebrando l’Eucarestia epregando San Ranieri) e farecarità: nel 2018 abbiamoconsegnato alla Caritasdiocesana un assegno di 2.000euro, frutto delle opere dicarità della Compagnia».

È dedicato al ciclopittorico del «Trionfodella morte» ilcalendario 2019 dellaCompagnia intitolataal patrono principaledella nostra diocesi.Uscirà allegato al primo numero di gennaio del nostrosettimanale

L’INIZIATIVA

BUONAMICOBUFFALMACCOE I NOVISSIMI

Sopra la visita guidata al Camposanto monumentale organizzata dalla Compagnia di SanRanieri. Qui sopra il priore della Compagnia di San Ranieri Riccardo Buscemi consegna aldirettore della Caritas diocesana don Emanuele Morelli un assegno a sostegno delle attivitàdella Cittadella della solidarietà al Cep.Testimoni: l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto e ilcancelliere arcivescovile - e correttore della Compagnia - monsignor Giuliano Catarsi

Una bella immagine dall’alto: il ricollocamento del«Trionfo della morte» nelle pareti del Camposanto

VITA NOVATOSCANA OGGI23 dicembre 2018VI

Presto un nuovo Museo dell’Operan apertura di serata ilpresidente operaioPierfrancesco Pacini (nellafoto di Gabriele Ranieri) -

come poche ore prima avevafatto con i giornalisti - avevatracciato un bilancio delleiniziative assunte nel 2018dalla fabbriceria da lui guidata:«Era il 1118 - ha ricordatoPierfrancesco Pacini - quandopapa Gelasio II consacrava lacattedrale di Santa MariaAssunta a Pisa. La Chiesapisana ricordò l’anniversariodella dedicazione del Duomomartedì 26 settembre del 2017,quando l’arcivescovo GiovanniPaolo Benotto presiedette unaconcelebrazione eucaristica,aprendo di fatto uno specialeAnno giubilare dedicato ai 900anni della consacrazione dellachiesa-madre di Pisa. Annogiubilare che si è chiuso pochesettimane fa con laconcelebrazione eucaristicapresieduta dal cardinaleGualtiero Bassetti, arcivescovometropolita di Perugia - Cittàdella Pieve e presidente dellaConferenza episcopale italiana.Durante l’anno giubilarel’immagine della Beata VergineMaria di Sotto gli Organi,venerata all’interno dellaCattedrale pisana, è stataportata in tutto il territoriodell’arcidiocesi, facendo tappanelle comunità parrocchiali persignificativi momenti diraccoglimento». Anche l’Operadella Primaziale ha partecipatoall’anno giubilare, portando atermine «imponenti campagnedi restauro»: «si è infatticoncluso il restauro della scenadel “Trionfo della morte” delgrande ciclo pittorico diBuonamico Buffalmacco,tornato a decorare le pareti delCamposanto monumentale. InCattedrale: sono stati restaurati

I

i dipinti della cupola delmaestro Riminaldi, degliaffreschi sotto-cupola delmaestro Cinganelli, valorizzatidal nuovo sistema diilluminazione a led. Restauratie ricollocati nei pennacchi gli

affreschi raffiguranti i quattroEvangelisti del maestroCinganelli, distaccati nel 1954.E poi il cassettonato ligneodorato del presbiterio e dellaporzione aderente lacontrofacciata. Gli intonaci

finto marmo della navatacentrale e del sottocupola. Imarmi della controfacciata.Sostituite le vecchie finestre avetro in facciata con nuove inalabastro. Restaurate la cornicee le formelle della Madonna diSotto gli Organi, delle tarsielignee del coro e della cattedravescovile. Puliti la lampada diGalileo, il Pergamo diGiovanni pisano e le colonnedella navata centrale».Quattro nuove vetratedecorano il Battisteromonumentale: realizzate daFrancesco Mori e dalla vetreriaartistica Mellini, rappresentanosan Giovanni Paolo II, il beatoPaolo VI - in ricordo delle lorovisite pastorali a Pisa - il beatoToniolo e san Ranieri, il nostropatrono. Il 2018 è stato anche segnatodalla diciottesima edizionedella rassegna musicaleinternazionale «Anima Mundi»- quest’anno diretta dalmaestro Daniel Harding. Sonoripresi i concerti di «Musicasotto la torre». Pisa ha ospitatol’ottava edizione del convegnointernazionale delle Cattedralieuropee, quest’anno dedicatoal tema della«musealizzazione,conservazione e sostituzionedelle opere d’arte». Al Museodelle Sinopie ha riscossosuccesso l’esposizionetemporanea dedicata almaestro pisano Orazio LomiGentileschi. E per il 2019? PierfrancescoPacini ha annunciato laprossima riapertura del Museodell’Opera del Duomo.Augurandosi di poter prestovedere i nuovi laboratori diCampaldo, dove nascerà «unavera e propria cittadella delrestauro e dello studio dedicataalla Piazza del Duomo di Pisa».

DI ANDREA BERNARDINI

ra dedicato alle famiglie di Calci e dintorni che hanno perso ca-sa e/o lavoro dopo l’incendio di fine settembre sui Monti pisani,

il concerto di Natale organizzato dall’Opera della primaziale pisa-na con il contributo di Fondazione Pisa, ospitato sabato scorso inCattedrale. Protagonisti della serata la Cappella musicale dellaCattedrale di Pisa, l’orchestra «Senzaspine» di Bologna e il coro divoi bianche della scuola di musica «Buonamici» di Pisa, diretti dalmaestro Riccardo Donati. Voci soliste: Elisabetta Lombardo e Jen-nifer Schittino (soprano), Sara Bacchelli (alto) e Matteo Michi (te-nore).Abbiamo ascoltato la cantata sacra «Magnificat» Rv610 per soli, co-ro e orchestra e il «Gloria in Re maggiore», Rv589 per soli, coro edorchestra, entrambe scritte da Antonio Vivaldi (1678-1741). E poidue brani di autore anonimo «Tante schiere d’angeli» («Gloria inexcelsis Deo») e «O Sanctissima», la «Canzone di Natale» di DinoMenichetti (1918-2016), compositore nato in provincia di Pistoia,«Fermarono i cieli» di Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), ve-scovo cattolico e compositore italiano, fondatore della Congrega-zione del Santissimo Redentore, autore di opere letterarie, teologi-che e di celebri melodie. E per chiudere «Bianco Natale» di IrvingBerlin, uno dei classici del Santo Natale, composto nel 1942 e peril quale il compositore ricette anche l’Oscar per la migliore canzo-ne.

E

CURIOSITÀ’ PISANE

WALT DISNEY, MESSERPAPERO E IL MUSEODELLA TORRE DELCONTE UGOLINO

DIVINCENZO LUPO BERGHINI

ono veramente grato ad alcuni amicilucchesi per avermi trovato, in

occasione del mercato dei Comics, uncurioso numero del settimanale Topolino ,amatissima creatura del grande WaltDisney edito, in Italia, da ArnoldoMondadori. Il numero che ho per lemani è il 1426 e porta la data del 27marzo 1983.

Il titolo delfumetto diapertura è Messer Paperoe il ConteUgolino.Protagonistadella storia è,appunto,MesserPapero. Nellapuntataprecedente aquella di cuistiamoparlando,MesserPapero sitrovavacondannatoall’esilio peraver favorito,

a Firenze, la fuga di Dante Alighieri,braccato dai Ghibellini. Il racconto dellaseconda puntata, presente in questonumero, si apre in uno spiazzo dovesono le mura di Pisa con una relativagrande porta, stradifesa, a lato della qualeappare un cartello: «Benvenuti a Pisa apatto che non siate genovesi». MesserPapero, per rincuorare i suoi improvvisatiarmigeri, spiega loro: «Rassicuratevi mieiprodi, perché quell’avviso perentorio èsemplicemente un ricordo di unabattaglia combattuta nel 1284.Quell’anno - completa il discorso ilnostro papero - nelle acque della Meloriai genovesi diedero una batosta ai Pisani...e da allora questi bravi cittadini hanno ildente avvelenato. Mentre Messer Papero e colleghi sidedicano alla visita della città, eccospuntare in mare, ma già vicino alla costapisana, una nave stracarica di minacciosisaraceni, tutti armati di scimitarra,comandati dal Terribile pirata Basso. IPisani se ne stanno tranquillamentedormendo. Tutti tranne una: unafanciulla di nobili origini, che corre alpalazzo dei Consoli a dare l’allarme. Ilsuono delle campane sveglierà i pisaniche scacceranno i saraceni impedendoloro di rubare ancora e di mettere a ferroe fuoco la città. Cessato il pericolo,Messer Papero ed i suoi, che già hannovisitato i monumenti di piazza deiMiracoli, arrivano nella piazza delle SetteVie e scoprono la famosa torre, che già fudel disgraziato Conte Ugolino.Visitandola di dentro e di fuori e in tutti ipiani, i nostri hanno una grande idea:quella d’insallarvi un Museo della Torre,con regolare biglietto all’ingresso e lasicurezza di poter presenziare,nell’interno, alla «visita» del fantasma delConte Ugolino. Quando si diffonderà lanotizia di sicuri guadagni per i Pisani daquesta operazione, il gabelliere comunalesubito farà il calcolo sulle tasse daimporre.

S

Ambientato nellanostra città unnumero del 1983del periodico«Topolino».ProtagonistaMesser Papero,condannatoall’esilio per averfavorito, aFirenze, la fuga diDante Alighieri,braccato daiGhibellini

La Grande guerra e la tregua del Natale 1914uando il canto è finito, gli uomini nella nostra trinceahanno applaudito. Sì, soldati inglesi che applaudivano itedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare, e cisiamo tutti uniti a lui: “the first nowell the angel did

say…”. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi, con leloro belle armonie. Ma hanno risposto con applausi entusiasti, e poi nehanno attaccato un’altra: “o tannenbaum, o tannenbaum…”. A cui noiabbiamo risposto: “o come all ye faithful…” E questa volta si sono unitial nostro coro, cantando la stessa canzone, ma in latino: “adestefideles…”». «Inglesi e tedeschi che s’intonano in coro attraverso la terradi nessuno! Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quelloche è avvenuto dopo lo è stato di più.“Inglesi, uscite fuori!”, li abbiamo sentitigridare, “voi non spara, noi non spara!”». «Nella trincea ci siamo guardati nonsapendo che fare. Poi uno ha gridato perscherzo: “venite fuori voi!”. Con nostrostupore, abbiamo visto due figure levarsidalla trincea di fronte, scavalcare il filospinato e avanzare allo scoperto. Uno diloro ha detto: “Manda ufficiale perparlamentare”. Ho visto uno dei nostricon il fucile puntato, e senza dubbioanche altri l’hanno fatto - ma il capitanoha gridato “non sparate!”. Poi s’èarrampicato fuori dalla trincea ed èandato incontro ai tedeschi a mezza strada. Li abbiamo sentiti parlare epochi minuti dopo il capitano è tornato, con un sigaro tedesco in bocca!Nel frattempo gruppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee evenivano verso di noi. Alcuni di noi sono usciti anch’essi e in pochiminuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini cheavevamo cercato di ammazzate poche ore prima». «Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki etedeschi in grigio. Devo dire che i tedeschi erano vestiti meglio, con ledivise pulite per la festa. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma moltitedeschi sapevano l’inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. “Moltidi noi hanno lavorato in Inghilterra”, ha risposto. “Prima di questo sonostato cameriere all’Hotel Cecil”. “Forse ho servito alla tua tavola!”.“Forse!”, ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza aLondra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E iogli ho detto: “non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu

puoi tornare a sposarla”. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevomandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso. Un altrotedesco è stato portabagagli alla Victoria Station. Mi ha fatto vedere lefoto della sua famiglia che sta a Monaco. Anche quelli che nonriuscivano a parlare si scambiavano doni, i loro sigari con le nostresigarette, noi il tè e loro il caffè, noi la carne in scatola e loro le salsicce.Ci siamo scambiati mostrine e bottoni, e uno dei nostri se n’è uscito conil tremendo elmetto col chiodo! Anch’io ho cambiato un coltellopieghevole con un cinturame di cuoio, un bel ricordo che ti mostreròquando torno a casa». «Ci hanno dato per certo che la Francia è alle corde e la Russia quasi

disfatta. Noi gli abbiamo ribattutoche non era vero, e loro: “Va bene, voicredete ai vostri giornali e noi ainostri». «Èchiaro che gli raccontanodelle balle, ma dopo averli incontratianch’io mi chiedo fino a che punto inostri giornali dicano la verità.Questi non sono i “barbari selvaggi”di cui abbiamo tanto letto. Sonouomini con case e famiglie, paure esperanze e, sì, amor di patria.Insomma sono uomini come noi.Come hanno potuto indurci a crederealtrimenti? Siccome si faceva tardiabbiamo cantato insieme qualche

altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme -non ti dico una bugia - “Auld Lang Syne”. Poi ci siamo separati con lapromessa di rincontraci l’indomani, e magari organizzare una partita dicalcio». «E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale comequesta nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significapoco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini enoi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercitoe rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure nonsi può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si èrivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo.Ovviamente, conflittidevono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti siscambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti?Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?Il tuo caro fratello Tom».

LA STORIA/ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

L’ANNUNCIO DI PIERFRANCESCO PACINI IN OCCASIONE DEL CONCERTO DI NATALE

VITA NOVA TOSCANA OGGI23 dicembre 2018 VII

Se gli scienziati sono in tonacaDI ALESSANDRO BANTI

ra dedicato al rapportotra scienza e religione ilsecondo thè di ToscanaOggi ospitato

mercoledì scorso nel corodella chiesa di Santo Stefanodei Cavalieri. I lettori hannoascoltato e conversato con Andrea Bartelloni, medico ecollaboratore del nostrosettimanale, autore insieme aFrancesco Agnoli del libro«Scienziati in tonaca». Unlibro che racconta le vite e lestorie di 35 religiosi (vescovi,cardinali, sacerdoti, religiosi)che nel corso dei secolihanno dato un contributoalla scienza. Tra i tanti ritrattiquello di padre AngeloSecchi, gesuita e astronomo,considerato il fondatoredella spettroscopiaastronomica, GeorgesEdouard Lemaitre,sacerdote, astronomo e fisicobelga - fu lui a proporre perprimo la teoria dell’ «atomoprimitivo» detta anche «Bigbang» sull’originedell’universo. E poi fra LucaBartolomeo de Pacioli,religioso, matematico edeconomista italiano,riconosciuto come ilfondatore della ragioneria, Niccolò Copernico,canonico, autore del «Derevolutionibus orbiumcoelestium» (dedicato alpapa Paolo III)e delcosiddetto«sistemacopernicano»; NiccolòStenone,anatomista,naturalista,fondatore dellamodernageologia epioniere dellacristallografia,poi vescovocattolico; ilbeato padreGregorMendel, frateagostiniano, ilpadre dellagenetica - a lui si devono le«leggi di Mendel»; donGiuseppe Mercalli,sacerdote, geologo,sismologo e vulcanologo, ilcui nome è legato allafamosa «scala Mercalli» per lamisurazione dell’intensità diun terremoto. Un libro nato dalla curiosità

E

degli autori, che affrontaanche un tema annoso,quello - appunto - delrapporto tra scienza ereligione. Il libro illustra chenon c’è antitesi tra scienza ereligione, non solo per ilgrosso contributo di questiscienziati «in tonaca» (moltialtri ne sono rimasti fuori)ma anche perché la maggiorparte degli scienziati ècomunque credente (il 50%segue una religione e un altro20% dichiara di credere in unassoluto). I conflitti degliultimi secoli tra religione escienza erano dovuti

principalmentea pressioniideologiche, ehannoprodotto ancheconseguenzesulle carriereaccademiche dipersonaggicome PierreDuhem, LouisPasteur o Francesco Faàdi Brun. Il libro«Scienziati intonaca»evidenzia comela scienzaabbia prodottorisultati pratici

in Occidente. «Merito»soprattutto della diffusionedi un’antropologia cristiana,secondo la quale la naturaera «affidata» alla curadell’uomo, che aveva anche ilcompito di «indagarla». Lastessa università è sorta nelMedioevo grazie al pensierocristiano sull’uomo, sulla

natura e su Dio. E grazie alleUniversità in tutta Europa laricerca scientifica ha avutouno scatto determinante. Ma perché tanti scienziatireligiosi? Gli autorisottolineano la buonafamiliarità del clero cattolicocon la ricerca scientifica, laformazione scientifica nellaformazione dei sacerdoti(che qualcuno vorrebbereintrodurre), il valore delleverità della fede cristianacome punto di riferimento eanche il fatto che tutti gliosservatori astronomiciitaliani sono stati fondati dasacerdoti o religiosi. Come sempre, dopo lasessione di domande dalpubblico presente, nel localiattigui alla chiesa il thè e ibiscotti serviti dagli chefdella San Ranieri hanno

riscaldato i partecipanti. Prossimo appuntamentomercoledì 9 gennaio: i «Thèdi Toscana Oggi» ci riservanouna conversazione sul cielostellato. Il tema: «E quindiuscimmo a riveder le stelle»sarà sviluppato dal nostrocollaboratore AntonioGimigliano, autore per moltinumeri di una rubricadocumentata e apprezzata«Chiesa e toponomastica indiocesi di Pisa», che i lettorici stanno chiedendo anche adistanza di tempo. Ricordiamo che lapartecipazione è gratuita mariservata ai soli abbonati a«Toscana Oggi». Chi non lofosse -ma volesse partecipare- potrà comunquesottoscrivere l’abbonamentosul posto, a partire da 10euro per tre mesi.

Lo scorso mercoledì nel coro della chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, piacevoleconversazione con Andrea Bartelloni,medico e collaboratoredel nostro settimanale, co-autore di un libro in cui traccia il profilo di 35 religiosi che hannodato un contributofondamentale allosviluppo delle scienze

IL PROSSIMO THE’

E QUINDIUSCIMMO A RIVEDER LE STELLE

conclusione dell’incontro con ildottor Andrea Bartelloni, che per il

Thè dello scorso mercoledì ha presentatoil suo libro Scienziati in tonaca, l’amicoAndrea Bernardini mi ha invitato aintrodurre il tema del prossimo Thè - inprogramma mercoledì 9 gennaio alleore 16 nel coro della chiesa di SantoStefano dei Cavalieri (ingresso da viaConsoli del Mare) - «E quindi uscimmoa riveder le stelle». E, così, in modo volutamenteprovocatorio ho proposto ai presenti dirispondere alla domanda: «Da dovesorge il Sole?». Ho subito precisato chenon pretendevo una immediata risposta,ma intendevo invitare gli ascoltatori averificare nei giorni a venire ilcomportamento del Sole all’alba o altramonto.La domanda da me posta è la stessa cheabitualmente ponevo ai miei studentidell’ultimo anno del liceo scientifico chesi accingevano a studiare l’astronomianell’ambito del programma di geografiagenerale. La domanda era, ed è, in realtàniente altro che un invito a guardare ilcielo, a scoprire semplici ma importantifenomeni, a collocarci idealmente nellecondizioni dei nostri antichi progenitoriche, osservando con attenzione epazienza la volta celeste, sepperoaffrontare e risolvere grandi problemi.Ritengo di non sbagliare se affermo, adesempio, che non sono molti coloro iquali sappiano distinguere le stelle fraloro, indicarne posizione e nome,distinguere i pianeti dalle stelle. Moltisanno che Venere è un pianeta, maprobabilmente non riescono, una voltavista in cielo, a distinguerla dalle stelle,anzi dicono che essa è la stella piùbrillante. Per «impadronirci» del cielo, dobbiamopreliminarmente «orientarci». La parola«orientamento» significa, letteralmente,«cercare l’oriente», vale a dire uno deipunti cardinali che chiamiamo anche«levante» o «Est». Qualcuno dei mieilettori vorrà aggiungere, per esserepreciso, «il punto da cui sorgeapparentemente il Sole». Sonod’accordo sull’avverbio«apparentemente» (tutti ormai sonoconvinti che non è il Sole a girareattorno alla Terra...), ma devo subitoavvertire che la definizione va cosìcompletata: «il punto da cui sorgeapparentemente il Sole nei giorni degliequinozi, cioè il 21 marzo e il 23settembre». Se osserviamo il camminoapparente del Sole in più giornidell’anno, possiamo renderci conto delfatto che il Sole sorge esattamente da Estsoltanto nei giorni degli equinozi. Ipunti di levata e di tramonto del Sole sispostano progressivamente verso Norddopo il 21 marzo fino a raggiungere unlimite nel solstizio d’estate (21 giugno)per poi tornare verso Sud fino ad unaltro limite nel solstizio d’inverno (22dicembre). Pertanto, possiamo anchedefinire come Est il punto medio dellazona dell’orizzonte, detta «zona ortiva»,che comprende tutti i punti di levata delSole. In modo analogo, definiamo comeOvest il punto medio della zonadell’orizzonte, detta «zona occasa», checomprende tutti i punti in cui tramontail Sole.

Antonio F. Gimigliano

A

Il sorgere del Sole visto dal Ponte di Mezzo a Pisa il 17 febbraio del 2007. La posizione dell’osservatore èesattamente al centro del ponte in direzione Est

VITA NOVATOSCANA OGGI23 dicembre 2018VIII