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La continuità della tradizione matriarcale Ne La Fenice, sotto il titolo dell”Essere vivente e la Volontà”, viene chiamato alla memoria Eugenio Jacobitti, riconosciuto come uno “fra i più saldi ingegni che la dottrina ermetica abbia annoverato tra le fila dei suoi fedeli”. Descritto come indipendente e solitario, profondo pensatore, Eugenio Jacobitti, conoscitore emerita di mitologie, tradizioni e sacre scritture nonché di cabala, ha lasciato ai posteri una ricca produzione di libri pregevoli, oggi difficilmente trovabili se non in alcune biblioteche pubbliche. Uno di essi è “Lo spostamento dell’asse terrestre”, libro fondato su profondi ed esaustivi reperti geologici da cui l’autore trae le sue argomentazioni e disquisizioni, essendo esso stesso un geologo. In breve, l’autore sostiene, prove geologiche alla mano, che le grandi ere succedutosi, nonché i grandi cambiamenti climatici (glaciazioni e scioglimenti), siano state causate da mutamenti dell’ asse del Polo terrestre il quale, rispetto all’attuale Polo, si è trovato in varie posizioni attraverso le grandi ere, potendosi trovare anche in posizione trasversale all’attuale orientamento dell’asse polare. Secondo l’autore, la Terra è un essere vivente, soggetta a delle forze interne (endomagnetiche) dipendenti dalla sua massa (sostanza, superficie, ecc) ed a quelle esterne (esomagnetiche) dipendenti dal sistema Universale entro la quale la Terra si muove. La Terra segue dunque le leggi di un magnete naturale, che sono l’asimmetria di punti attrattivi (poli magnetici) e la loro disposizione a seconda della struttura della massa interna e dell’irregolarità della superficie; ogni variazione nella struttura interna e nella superficie produce di conseguenza una variazione nelle forze endomagnetiche e nella posizione dei poli magnetici da esse dipendenti. L’autore conclude che a ogni variar di sostanza e di superficie terrestre avviene uno spostamento dei

La continuità del matriarcato by Codruta Terbea

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The article talks about the continuity of matriarchy through geological transformations undergone by the Earth, the Danubian culture and social organization which belongs to this cultural system.

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La continuità della tradizione matriarcale

Ne La Fenice, sotto il titolo dell”Essere vivente e la Volontà”, viene chiamato alla memoria Eugenio Jacobitti, riconosciuto come uno “fra i più saldi ingegni che la dottrina ermetica abbia annoverato tra le fila dei suoi fedeli”.

Descritto come indipendente e solitario, profondo pensatore, Eugenio Jacobitti, conoscitore emerita di mitologie, tradizioni e sacre scritture nonché di cabala, ha lasciato ai posteri una ricca produzione di libri pregevoli, oggi difficilmente trovabili se non in alcune biblioteche pubbliche.

Uno di essi è “Lo spostamento dell’asse terrestre”, libro fondato su profondi ed esaustivi reperti geologici da cui l’autore trae le sue argomentazioni e disquisizioni, essendo esso stesso un geologo.

In breve, l’autore sostiene, prove geologiche alla mano, che le grandi ere succedutosi, nonché i grandi cambiamenti climatici (glaciazioni e scioglimenti), siano state causate da mutamenti dell’ asse del Polo terrestre il quale, rispetto all’attuale Polo, si è trovato in varie posizioni attraverso le grandi ere, potendosi trovare anche in posizione trasversale all’attuale orientamento dell’asse polare.

Secondo l’autore, la Terra è un essere vivente, soggetta a delle forze interne (endomagnetiche) dipendenti dalla sua massa (sostanza, superficie, ecc) ed a quelle esterne (esomagnetiche) dipendenti dal sistema Universale entro la quale la Terra si muove. La Terra segue dunque le leggi di un magnete naturale, che sono l’asimmetria di punti attrattivi (poli magnetici) e la loro disposizione a seconda della struttura della massa interna e dell’irregolarità della superficie; ogni variazione nella struttura interna e nella superficie produce di conseguenza una variazione nelle forze endomagnetiche e nella posizione dei poli magnetici da esse dipendenti. L’autore conclude che a ogni variar di sostanza e di superficie terrestre avviene uno spostamento dei poli magnetici susseguito da uno spostamento dei poli geografici, il che porta ad un nuovo variar di superficie e di sostanza. Questo fa si che lo spostamento dell’asse è un circolo costante di fenomeni, per il senso predisposto dalle forze predominanti.

Questo ha fatto si che di pari passo la geografia del globo terrestre sia mutata profondamente, in quanto, come ben si sa, ai poli c’è di norma uno schiacciamento del globo e un rigonfiamento verso l’equatore. Supponendo uno spostamento dell’asse terrestre, ciò fa si che zone della Terra più appiattite si rigonfieranno verso il nuovo equatore e altre, più rimbombate, si appiattiranno, collassando su se stesse e potendo dar nascita a catene montuose o a nuovi mari, per fenomeni di dislocamento, arricciature e fenditure o per spostamento massiccio dell’acqua in nuovi siti. Questi fenomeni, assieme ai cambiamenti climatici dovuti a fattori della composizione della scorza terrestre (forze vulcaniche o chimiche), sia dovute a fattori esogeni (vento, acqua, forza dei mari o dei corsi di acqua), portano alle più svariate trasformazioni dell’estrema superficie della Terra. Questo porterà ancora una nuova modifica nella struttura interna e nella superficie, e quindi un nuovo moto dei poli magnetici che è un fenomeno senza fine e senza interruzione, che “avviene

con estrema lentezza e quietudine”. In quest’ottica, la teoria dello scioglimento della calotte polari a causa del riscaldamento globale perde ogni rilevanza e peso, essendo di fatto un fenomeno naturale e ininterrotto.

Stanno testimoni ad indicare fenomeni riflessi di precedenti azioni polari i depositi di arenaria con massi di ghiaccio rinvenuti nelle Alpi, nei Carpazi, nella Penisola Balcanica o l’Asia minore e Caucaso. Le tracce glaciali ci indicano, secondo l’autore, il cammino polare, ricostituendo così l’avanzata del Polo Artico, ma anche il tempo in cui la Siberia (oggi simbolo del freddo), era libera dai ghiacci, essendo popolata ad esempio nel Pleistocene da cavalli selvatici, mammut, rinoceronti e addirittura dalle tigri.

Questo mutamento della superficie terrestre, in cui un territorio possa emergere dalle acque oppure un altro collassare su se stesso, ha portato a mutamenti profondi anche per adattamento delle specie viventi. Darwin stesso non nega l’importanza dell’ambiente per l’evoluzione e le varietà derivabili; se un territorio emerge dal mare, le vite contenute possono perire in gran parte, così come possono perire in gran parte le vite ricoperte dalla massa d’acqua, ma la lentezza del processo permette ad alcune specie a trovare altri ambienti continentali dove migrare e trasformarsi.

Se un polo invade gradualmente un continente, le specie contenute sono costrette a spingersi in avanti per sfuggire alle zone diventate inospitali, e ciò produce un’espansione delle specie stesse in quanto invadono le terre circostanti.

Jacobitti afferma che Darwin ha intravisto le variazioni delle specie e la sua dottrina è esatta non per le motivazioni, piene di inesattezze, ma per le risultanze. Come sostiene l’autore, la varietà delle specie in rapporto al tempo e al luogo ha di fatto origine dal avvicendarsi del moto polare, che smuove eternamente gli ambienti. La mancanza di questa conoscenza ha tratto Darwin in errore, addebitando l’assenza o la rarità di una varietà a qualche causa esterna che abbia occasionato, attraverso le gradi ere geologiche, separazioni e riunioni di continenti e isole. Anche il mutamento della specie fu addebitato alla sua espansione, proprio per causare la varietà.

Invece la teoria del moto polare sostiene che la specie può variare anche in loco, dato che l’ambiente, nel tempo, muta continuamente, sia dal punto di vista geografico, sia dal punto di vista climatico, anche se di migrazioni ce ne sono state varie e possenti. Se Darwin avesse potuto supporre i sviluppi causati da questo incessante moto dell’asse terrestre, non solo non avrebbe tratto la sua scuola in ricerche ambigue di vie permettenti trapassi da luogo a luogo, al fine di spiegare le mutazioni avvenute, ma soprattutto, a detta di Jacobitti, “non si sarebbe tanto infiammato nel sostenere la potenzialità dell’elezione naturale, ingigantendola per spiegare l’origine della specie, ed elevarla quasi a forza preponderante”. La lotta per l’esistenza, che va a calzare con molte delle manifestazioni della vita, non si presta a spiegarci chiaramente la sopravvivenza del più adatto, che avviene per fattore meno tormentoso e più naturale. L’estensione della varietà delle piante e degli animali è in logico rapporto all’instabilità degli ambienti, ammissibile solo attraverso il moto polare, che appunto giustifica tutte le varietà.

Ma questo non è uno studio geologia o della geografia della Terra. Questa ipotesi che mette d’accordo tutte le posizioni scientifiche attualmente in contrasto, essendo il pezzo di puzzle mancante, vuole, al di là di richiamare alla memoria e rendere omaggio alla sapienza di Eugenio Jacobitti, di mettere in risalto la continuità di un processo naturale in perenne cambiamento, inficiano la teoria della selezione naturale del più forte, così come la presenza eterna di un’umanità che si è sempre avvicendata seguendo le stesse leggi della Terra.

Regole della Terra che sono sempre state il fondamento delle società culturali e tradizionali antiche, che hanno venerato la Madre dai tempi più remoti attraverso culti ctoni, a cui stanno testimonianza tantissime statuette della Mater, presenti su aree diffusissime e in intervalli di tempo lunghissimi.

A testimoniare culti antichissimi della Dea sta la Venere di Tan Tan, una statuetta di 6 cm in quarzite, reperto di arte preistorica trovato in Marocco, datata tra il 500.000 a.c e 300.000 a.c. che potrebbe essere contemporanea alla Venere di Berekhat Ram, le due essendo considerate tra le prime rappresentazioni della figura umana, la prima avendo una pittura applicata di ocra rossa, colore che potrebbe avere qualche connotazione sacra e simbolica. La Venere di Berekhat Ram è una Venere paleolitica, ritrovata sulle alture del Golan a Gerusalemme, realizzata in tufo rosso. Questa seconda statuina ha almeno 230.000 anni e se l’interpretazione è corretta, il realizzatore non apparterebbe all’Homo Sapiens ma all’Homo erectus. Ma le Veneri sono presenti ovunque; famose le Veneri di Busonè, due statuette femminili dell’età del rame (o Calcolitico, 5000 anni a.c.), vicino ad Agrigento, trovate in una necropoli; innumerevoli Veneri del neolitico balcanico della cultura Vinca trovate nell’attuale territorio della Romania e della Serbia, che vantano l’età di cca 6.200 anni a.c., altre Veneri della cultura Gumelnita- Karanovo presenti sempre sulla sponda sinistra rumena del Danubio, cultura apparentemente più giovane, di solo 5000 anni a.c., che si estendeva lungo la costa del Mar Nero fin nella Bulgaria centrale e nella vecchia Tracia. Presente anche la cultura Lepensky Vir, i cui discendenti di un’antica civiltà europea vivevano nelle grotte delle Porte di Ferro sul Danubio, dalla fine dell’epoca glaciale (20.000 ac fino ad intorno 7.000 ac), quando il clima si scaldò considerevolmente.

Famosissime nel mondo intero altre due statuette trovate a Cernavoda- Romania (il pensatore e la

donna seduta 4.000-3.500 a.c.), appartenenti alla Cultura Hamangia sotto la quale si riuniscono le culture Vinca, Dudesti e Karanovo - attualmente nel museo di Bucarest; ma le Veneri appartenenti alla cultura Vinca sono sparse su tutta l’area dei Balcani, dalla attuale Slovenia alla Bulgaria, Romania, Serbia, Macedonia. La Cultura Vinca scomparve cca 5000 anni a.c. essendo sostituita da

altre culture come quella di di Cucuteni, a partire da 4.800 anni a.c. . Altre Veneri furono trovate nell’attuale territorio della Croatia, della Grecia e dell’Italia, dimostrando una continuità ininterrotta in cui il culto della Dea e della Terra dettò misura di peso, ordine e giustizia.

Dea nella Cultura Karanovo 6000 a.c.

Dea Ucello, 5000 a.c., Serbia

Dea Madre, Cultura Cucuteni 4000 a.c.

Cultura Hamangia (5000 a.c.)

Dea (5000 a.c., Museo Bucarest)

Cultura Gumelnita (3000 a.c., Museo Bucarest))

Il concilio delle Dee (4.800 ac, Cultura Cucuteni)

L’Europa Antica o Europa Neolitica è un termine che si riferisce al tempo compreso tra il 7000 a.c. fino al 1700 a.c., ma la durata del Neolitico varia da luogo a luogo; nell’Europa del sud-est fu di cca. 4.000 anni (7000-4000 ac) mentre nell’Europa occidentale fu al di sotto dei 3.000 anni (tra 4.500 e 1.700 ac).

Maria Gimbutas ha studiato il Neolitico per comprendere lo sviluppo dei villaggi nei Balcani del sud, considerati da lei come pacifici, matrilineari, con una spiritualità centrata sul culto della Dea che lei chiama la Grande Dea, distinguendola dalla Grande Madre che è solo un attributo della Grande Dea. Le successive culture indo-europee secondo lei, al contrario, si caratterizzarono come bellicose, orientate alla guerra, nomadi e patrilineari. Si presuppone che genti pre-indoeuropee siano i discendenti di precedenti culture dell’Europa Antica: i Liguri, i Sardi, i Pelasgi, i Minoici, gli Iberi, i Lelegi, gli Etruschi e i Baschi. Non si sa se nei tempi antichi le popolazioni parlassero linguaggi distinti ma la Gimbutas, osservando un’uniformità di simboli soprattutto nella ceramica e nelle statuette, concludeva che avrebbe potuto esserci un solo linguaggio nell’Europa Antica.

Le prime migrazioni di genti indoeuropee appartenenti alla cultura Kurgan iniziano a partire dal 4 millennio a.c. e avvennero in più ondate (3 per esattezza), diffondendosi tra le popolazioni dell’Europa Antica. La patria originaria è Urheimat e fu individuata tra le steppe al nord del Mar Nero, nella Russia attuale; come popolo bellicoso si imposero come una élite sulle popolazioni dell’Europa Antica, imponendo anche la loro lingua. Questa estensione fece nascere nuove culture, come quella di Cernavoda (4000 ac) quella di Baden e Cotofeni (3000 ac corrispondente alla seconda ondata migratoria), e prosegue fino al 1000 a.c. con gli sciti che si spingono in Europa orientale.

Ma la Gimbutas sostiene anche che le espansioni della cultura Kurgan furono incursioni militari che diffusero la ideologia patriarcale e guerriera, la quale si impose sulla pacifica cultura matriarcale. Per lei il processo di indoeuropeizzazione fu un processo di trasformazione culturale e non fisica, in cui avvenne la transizione dal culto della Dea a quello patriarcale, esplicitato dal culto del Dio celeste o Zeus. Sia che questo passaggio sia stato violento come sostiene la Gimbutas, sia che sia stato più lineare e pacifico, rimane il fatto che una serie di migrazioni degli indoeuropei hanno cambiato profondamente l’assetto culturale, religioso e ideologico dell’Antica Europa, anche per merito di saper padroneggiare la tecnologia del bronzo, l’uso del carro o

l’addomesticamento del cavallo. Non si sa il motivo di queste migrazioni, ma qui va richiamato alla mente la teoria di Jacobitti sullo spostamento dei poli magnetici e dei grossi cambiamenti climatici attraverso i lunghi periodi.

Ma vediamo quali sono le conclusioni dello scienziato in archeo-semiologia e mitologia Marco Merlini riguardo alla cultura dell’Antica Europa. Per lui, in seguito a degli studi trentennali effettuati nell’Europa orientale, le origini della scrittura sono molto più antiche di quanto si creda, affondando le radici nell’ultimo periodo dell’età della pietra, nel Neolitico. Sulle rive del Danubio, cca. 7.500 anni fa, fiorisce una civiltà che non ha nulla di meno rispetto alle altre tradizionalmente riconosciute come le prime dell’umanità: mesopotamica, egiziana, della valle dell’Indo o della Cina. Un sempre più crescente numero di studiosi afferma che la Civiltà del Danubio è una fra le più importanti del mondo antico e, per alcuni aspetti, sembra precedere le altre. Anche lo studioso di ermetismo Giuliano Kremmerz accennava nei suoi scritti che le origini della scrittura venissero dall’occidente e non dall’oriente.

Questa civiltà danubiana sviluppò una propria scrittura (esisteva già 7000 anni fa), ancor prima dei geroglifici egizi e della scrittura cuneiforme sumero; era la Scrittura Danubiana. Marco Merlini ha scoperto che nell’Europa orientale gli archeologi hanno ammassato migliaia di iscrizioni di questa ars scribendi che fior di linguisti e filologi tentano oggi a decifrare, non esistendo ad oggi una corrispondente Pietra della Rosetta.

Il primo sistema di scrittura si sviluppò in Transilvania dell’attuale Romania, e consiste in un sistema più antico di quello sumero o egizio, che si pensava fossero i più antichi del mondo. Le tavolette di Tartaria scoperte nel 1961 a Turda, secondo le analisi al carbonio, dimostrano che questa scrittura è più antica di quella sumera di 2.000 anni, collocandole in un periodo compreso tra 5370 e 5140. Furono trovate in una tomba di una donna influente appartenente ad una comunità agricola, probabilmente una sciamana, che aveva nel corredo oggetti magico-religiosi contenenti formule sacre. Ancora una volta viene confermata l’importanza della donna nella

società della Vecchia Europa. Ma questi segni tracciati sulle tavolette non sono un fenomeno isolato; compaiono sulla gran parte degli oggetti della cultura Vinca e comprendono due tipi di segni: simboli a carattere pittografico (parti del corpo umano e animale, piante, utensili, elementi della natura come acqua o sole o strutture architettoniche) e simboli a carattere astratto, che sono specialmente a prevalenza di segni a “V”. Questi simboli superano 230 segni, e più di 1500 iscrizioni sono state trovate sui reperti della Vecchia Europa. Rimane interessante che simboli con una certa forma si trovano esclusivamente sulle statuette femminili.

Le tavolette di Tartaria

Area di diffusione della scrittura Danubiana

https://it.pinterest.com/sabinamarineo/vecchia-europa-cultura-del-danubio

I segni e i simboli della scrittura Danubiana

A differenza della cultura sumera, la cui scrittura fu usata principalmente per scopi commerciali e burocratica, i segni della cultura danubiana furono impressi esclusivamente sull’oggettistica sacra, essendo formata da simboli sacri.

Questa lingua sconosciuta del Danubio, secondo studi linguistici, fu usata nella regione centrale dei Balcani fino al 4.400-4.000 a.c., mentre nella Grecia sopravvisse fino al 3.200 a.c.; nella cultura

Tripolye (tra Romania e Ucraina) fino al III millennio a.c., sino a quando, come abbiamo già detto, le culture della Vecchia Europa subirono un duro colpo nello scontro con le tribù indoeuropee giunte dalle steppe euroasiatiche. Questo viene provato anche da tracce di abbandono improvviso di centri abitati a causa di incendi e una veloce trasformazione della struttura sociale da matriarcale a patriarcale, con indizi di cambiamenti repentini nelle pratiche funerarie e nella lingua.

Secondo professor Haarmann (Harald Haarmann, linguista, vice-presidente dell’Istituto di Archeomitologia americano), questo portò alla migrazione non dell’intera popolazione ma di alcuni clan della Vecchia Europa, in cerca di nuovi spazi in cui poter vivere secondo la propria tradizione, clan che rifiutarono di accettare la religione e il modus vivendi dei nuovi arrivati, spostandosi verso il meridione, nelle isole dell’Egeo. Nella cultura preistorica di Creta de delle Cicladi si trovano elementi della cultura Danubiana risalenti al 4.000 a.c., a partire da culti incentrati attorno alle divinità femminili, all’uso di maschere rituali a forma di uccello e del serpente (ricordiamo le donne uccello e serpente della cultura Vinca), ai motivi ornamentali a spirali, alle immagini della Dea con il bambino in grembo, al culto di tori e ai ornamenti sofisticati della ceramica e della tessitura. Ma soprattutto c’è traccia di passaggio di molti vocaboli della Vecchia Europa nel vocabolario indoeuropeo del greco antico.

Oggi i segni di questa scrittura sono rimasti nell’inconscio popolare delle popolazioni rurali, abbellendo i tessuti dei costumi tradizionali che sono ancora cuciti a mano da parte delle donne, continuando il loro ruolo di sacralizzare il corpo umano.

Dice H. Haarmann, scienziato tedesco in lingue e discipline preistoriche:” Le testimonianze più antiche dell’uso della scrittura cretese Lineare A giungono da un periodo intorno al 2500 a. C. (…)La tradizione di scrittura della Creta antica ha tratto ispirazione dalla Vecchia Europa non soltanto per quanto riguarda un trasferimento di idee, ma anche per quanto concerne le chiare convergenze fra i due sistemi, le tecniche usate dai due sistemi (linearità, uso dei segni diacritici, ecc.) e il patrimonio di segni adottati. Il sistema Lineare A è costituito da circa 120 segni e più della metà di questi presenta paralleli grafici con i simboli della Vecchia Europa.”(Haarmann, “Das Rätsel der Donauzivilisation”, pag. 245)

A quanto detto da lui, ancora oggi nelle nostre lingue derivate da dialetti indoeuropei, vi sono numerosi vocaboli tratti da quel mondo agricolo; sembrerebbe che la cultura del Danubio abbia apportato l’impulso decisivo alla nascita dello sviluppo culturale che ebbe luogo in epoca preistorica nell’Europa meridionale e nell’Egeo, preparando così il terreno della cultura dell’Antica Grecia.

Ma ritornando alla cultura della Vecchia Europa, come definisce la Gimbutas questa società di stampo matrilineare, che si estendeva nelle valli del Danubio, sui Balcani, in Grecia, sino al Mar Mediterraneo ea oriente sino al Mar Nero?

La Gimbutas vedeva le varie e complesse rappresentazioni femminili del Paleolitico e del Neolitico che aveva rinvenuto, come espressioni di una unica Grande Divinità universale e allo stesso tempo come manifestazioni di una varietà di divinità femminili: la dea dei serpenti, la dea delle api, la dea

degli uccelli, la dea delle montagne, la Signora degli animali, ecc., non necessariamente diffuse ovunque in Europa.

In una registrazione su nastro, intitolata The Age of the Great Goddess, Gimbutas parla delle molte forme in cui la Dea si presenta e sottolinea la loro sostanziale unità nelle caratteristiche femminili, in tutta la terra.

La mostra svolta a Roma nel settembre/ottobre 2008 sulla cultura di Cucuteni-Trypillia analizza l'ipotesi di Marija Gimbutas sul carattere pacifico, sulla struttura sociale egalitaria e sull'importanza del ruolo femminile di questa cultura dell'Europa Antica. Il catalogo della mostra, "Cucuteni-Trypillia: una grande civiltà dell'Antica Europa", Palazzo della Cancelleria, Roma-Vaticano, 16 settembre-31 ottobre 2008, curato dal Ministero della cultura e degli affari religiosi di Romania nonché dal Ministero della cultura e del turismo di Ucraina, dice:

pag. 40: Non vi erano differenze tra le varie tipologie abitative. Dunque non è possibile stabilire quali case appartenessero a persone ricche e quali a persone povere. Le variazioni nelle dimensioni delle abitazioni potrebbero essere attribuite al numero dei membri della famiglia che vi risiedeva, o dipendere dalle tecniche di costruzione delle case. Pertanto non è possibile parlare di ineguaglianza sociale (come nelle società in cui vigeva la schiavitù), ma solo l'esistenza di una naturale gerarchia all'interno di ciascuna comunità. Come non si può sostenere che esistesse una categoria di guerrieri, in quanto la maggior parte degli abitanti era dedito all'agricoltura. Gradualmente iniziarono ad emergere gli artigiani (ceramisti, addetti alla lavorazione dei metalli, intagliatori del legno e della pietra, costruttori), così come dei personaggi con un ruolo specifico nel campo della religione. L'abbondanza di statuine antropomorfe femminili e la parallela scarsità di sculture a soggetto maschile sembra suggerire l'importanza del ruolo delle donne all'interno di queste comunità.

pag. 70: La civiltà Cucuteni-Trypillia non era una società schiavista, come Sumer e L'Egitto, ma il risultato di relazioni comunitarie. Era compatibile con i moderni ideali di democrazia e autogoverno.

pag. 15: All'interno di una Antica Europa (termine felicemente coniato dalla grande scienziata americana, di origine lituana, Marija Gimbutas), che era ancora alla ricerca della sua identità di espressione, al di là dei Carpazi nasce una civiltà di innegabile originalità.

Rispetto al senso comune che spesso confonde il matriarcato con il “dominio delle donne” esiste un concetto differente in cui il termine matriarcato significa “all’inizio le madri”, dal più antico significato di archè, che concerne l’interrogazione sull’origine sia della vita biologica che della comunità sociale. La filosofa tedesca Goettner Abendroth considera il matriarcato un modello socio-culturale, politico ed economico, con una società basata sull’economia bilanciata, con una distribuzione dei beni e mutualità economica; a livello sociale la discendenza matrilineare avveniva all’interno di una orizzontalità non gerarchica; infine, esisteva una forte inclinazione spirituale che attraversava ogni aspetto della vita che poggia sul divino femminile. Le forme matricentriche si fondarono sull’uguaglianza tra i generi e sulla collaborazione tra le generazioni. Non possedevano

gerarchie di classi, ne nessun genere dominava sull’altro: Non si trattava di un rovesciamento del patriarcato, ma erano basate sui valori materni come il prendersi cura, il nutrimento, la centralità della creazione della madre, la pace attraverso la mediazione e la non violenza. Sono valori che valevano e valgono per tutti, uomini o donne, madri o non madri. Erano società orientate al bisogno e non al potere, attente e consapevoli del valore materno dell’amore incondizionato e del rispetto dell’altro.

Le società matriarcali condividevano l’idea che l’uomo e la natura sono indissolubilmente legati, l’armonia e la pace, la danza e la musica erano valori che attraversavano queste comunità. Le arti, la tessitura, l’allevamento e la ceramica erano già praticate 8.000 anni fa, raggiungendo un livello di raffinatezza elevato. Queste comunità non mostrarono segni di belligeranza, e ci lasciarono migliaia di artefatti: pitture, sculture e statuette di ceramica, tutte connesse con le dee e gli dei, rappresentando il fulcro di una vita spirituale e religiosa. Tutti gli artefatti confermano la centralità e l’importanza che la donna assumeva nella società.

“La divinità primordiale fu femmina”, sostiene la Gimbutas, “essendo una Dea nata da se stessa”, donatrice di vita, dispensatrice di morte ma anche di rigenerazione. Univa in se la vita e la natura; il suo potere risiedeva nella pietra e nell’acqua, nelle caverne e nei tumuli, negli animali, nelle colline, negli alberi e nei fiori. I nostri antenati avevano capito il segreto della Terra, il fatto che era un essere vivente. Tutte le statuette di cui è piena l’Europa Antica non sono altro che metafore della Terra vivente. Ancora oggi, nelle campagne, uomini e donne baciano la terra al mattino, per che è la terra a dettare la legge e bisogna rispettarla, ancor di più in primavera quando è gravida.

La dea paleolitica era la creatrice, le parti del suo corpo, i seni, le natiche, la vulva, il ventre, mettevano in risalto la procreazione ( Venus di Lespugue, 24.000 a.c.); le sue funzioni erano molteplici e non si trattava di una sola grande Dea Madre, ma di molteplici tipi di dee. Le sue caratteristiche esaltavano l’immaginazione, dando una diversa interpretazione dell’immaginario religioso. Le statuette rappresentavano un vero linguaggio simbolico; la vita era vista così, e ciò che rappresentava era una tradizione spirituale antica quanto l’evoluzione umana.

Partendo dagli oggetti ritrovati, Maria Gimbutas ebbe l’immagine di una società pacifica e collaborativa, che durò molto di più degli imperi che si avvicendarono ulteriormente. Fino ad oggi sono stati documentati più di 3000 siti e furono ritrovati decine di migliaia di statuette di argilla, marmo, osso, rame e oro. La preistoria fu un tempo centrata sul femminile, senza distinzioni di rango, pacifica, con comunità spesso di 15.000 persone fondate su una cultura elaborata. Della cultura Vinca, Cucuteni o Sesklo (l’ultima sull’attuale territorio della Grecia) non si parla nei libri di storia. Forse perché senza re, guerre o conquiste, queste civiltà non si adattano alla definizione classica della civiltà? In tutta l’Europa Antica si sviluppò una cultura pacifica priva di armi; nelle caverne non c’è traccia di gente che combatte ne come singoli, né come gruppo. Questo minaccia oggi di invalidare tutto, non solo il potere maschile attuale, ma anche l’idea di un militarismo necessario, come unico modo per risolvere i conflitti. Ad oggi non si riesce a immaginare un tempo quando si era liberi da guerre. La vita era un esperienza religiosa, in cui ci si trovava immersi in un profondo senso dell’universo. Si viveva in un mondo in sintonia con i processi vitali e i cicli delle stagioni, in cui il segreto risiedeva nella terra e la connessione del tutto aveva a che fare con la natura. Gli uomini si dedicavano all’arte, al cantare e danzare, attività praticate durante il neolitico in tutta la Vecchia Europa. Le ceramiche avevano disegni meravigliosi e molto complicati, ed erano legate alla religione, essendo tutte connesse alla Dea.

Vasi ceramica Vinca e Cucuteni

Scrittura Danubiana

(http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/03/26/leuropa-era-piu-avanzata-della-mesopotamia-la-scrittura-e-nata-nella-valle-del-danubio/)

Il ciclo del seme che entrava nella terra, che diventava frumento e poi pane, racchiudeva il segreto del grande mistero della trasformazione, che era anche il segreto della Dea. La ceramica era in mano alle donne che erano molto influenti, cosi come la tessitura e il governo della casa; essa aveva la supervisione su tutto.

Maria Gimbutas si interrogò sul enorme numero di statuine femminili ritrovate nell’area della Vecchia Europa, e si rese conto che attraverso di esse si poteva arrivare alla religione, essendo esse la rappresentazione delle vari ipostasi della Dea, nelle sue diverse manifestazioni. Maria si rese conto che la religione primordiale non consisteva in testi sacri e dogmi, ma era il potere creativo incarnato nel mondo naturale, rappresentato dalla nascita, crescita, morte e rigenerazione e quindi dal continuo mutamento e del fluire del ciclo organico. Maria scopri anche che nelle cose più comuni della gente rurale si racchiudevano simboli sacri, nel ricco folclore e nell’arte popolare che lo circonda, e arrivò a sostenere che per capire la religione degli antenati si dovevano analizzare i sistemi di credenze codificati nell’arte e nella mitologia folclorica orale della canzone e della poesia che ancora persisteva nelle comunità rurali.

Questa forma di organizzazione comunitaria scomparve verso il 3.000 a.c., quando nuove forme di culto fecero la loro apparizione. Rimane, del vecchio matriarcato, tutta una tradizione orale, artistica e di artefatti

che, assieme alle pratiche agricole, parlano silenziosamente il linguaggio ieratico scomparso dei miti, dei simboli e dei segni.