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LA COSTRUZIONE NARRATIVA DELL’AZIONE DEVIANTE: ANALISI DEI CONTENUTI E DELLE STRUTTURE NARRATIVE CON ATLAS.ti EUGENIO DE GREGORIO DOTTORATO DI RICERCA IN PSICOLOGIA SOCIALE DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DEI PROCESSI DI SVILUPPO E SOCIALIZZAZIONE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” COORDINATORE: PROF.SSA LUCIA MANNETTI TUTOR: PROF. GAETANO DE LEO DOCENTI ESAMINATORI: PROF.SSA CRISTINA STEFANILE PROF.SSA PATRIZIA CATELLANI PROF.SSA ANNAMARIA MANGANELLI Abstract: La tesi ha avuto l’obiettivo di rilevare con metodi qualitativi e narrativi le modalità in cui 34 autori di reati costruiscono narrativamente la loro azione. Il focus principale era nell’analisi dei contenuti e delle strutture narrativa con particolare riferimento alla messa a punto di un percorso di ricerca qualitativa metodologicamente completo e coerente. Le informazioni ottenute con le interviste narrative sono state analizzate a differenti livelli di complessità: sono state dapprima ottenute e commentate le mappe concettuali relative ad alcuni concetti chiave emersi dalle narrazioni e focalizzati su specifici obiettivi teorici, successivamente si è proposta una verifica delle relazioni strutturali fra le dimensioni narrative al fine di verificare l’eventuale esistenza di un modello condiviso soggiacente alle narrazioni e trasversalmente alle interviste secondo due criteri principali: il tipo di reato commesso e l’esperienza dell’autore nel circuito della devianza: i risultati di quest’ultima fase hanno evidenziato due fenomeni ancora ignoti nella letteratura sull’argomento: un processo di socializzazione narrativa alla costruzione delle azioni (in virtù della quale i soggetti esperti costruiscono narrazioni più complete e coerenti dei soggetti non esperti) e la narrabilità dei diversi reati in funzione della prototipicità di questi nel senso comune.

LA COSTRUZIONE NARRATIVA DELL’AZIONE DEVIANTE: …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/760/1/DeGregorioEugenio92.pdf · circuito della devianza: ... e all’impostazione della ricerca

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LA COSTRUZIONE NARRATIVA DELL’AZIONE DEVIANTE: ANALISI DEI CONTENUTI E DELLE STRUTTURE NARRATIVE CON ATLAS.ti

EUGENIO DE GREGORIO

DOTTORATO DI RICERCA IN PSICOLOGIA SOCIALE

DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DEI PROCESSI DI SVILUPPO E SOCIALIZZAZIONE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

COORDINATORE: PROF.SSA LUCIA MANNETTI

TUTOR: PROF. GAETANO DE LEO

DOCENTI ESAMINATORI: PROF.SSA CRISTINA STEFANILE

PROF.SSA PATRIZIA CATELLANI

PROF.SSA ANNAMARIA MANGANELLI

Abstract: La tesi ha avuto l’obiettivo di rilevare con metodi qualitativi e narrativi le modalità in cui 34 autori di reati costruiscono narrativamente la loro azione. Il focus principale era nell’analisi dei contenuti e delle strutture narrativa con particolare riferimento alla messa a punto di un percorso di ricerca qualitativa metodologicamente completo e coerente. Le informazioni ottenute con le interviste narrative sono state analizzate a differenti livelli di complessità: sono state dapprima ottenute e commentate le mappe concettuali relative ad alcuni concetti chiave emersi dalle narrazioni e focalizzati su specifici obiettivi teorici, successivamente si è proposta una verifica delle relazioni strutturali fra le dimensioni narrative al fine di verificare l’eventuale esistenza di un modello condiviso soggiacente alle narrazioni e trasversalmente alle interviste secondo due criteri principali: il tipo di reato commesso e l’esperienza dell’autore nel circuito della devianza: i risultati di quest’ultima fase hanno evidenziato due fenomeni ancora ignoti nella letteratura sull’argomento: un processo di socializzazione narrativa alla costruzione delle azioni (in virtù della quale i soggetti esperti costruiscono narrazioni più complete e coerenti dei soggetti non esperti) e la narrabilità dei diversi reati in funzione della prototipicità di questi nel senso comune.

Indice

Introduzione 3 CAPITOLO 1 – Le cornici di contesto e i riferimenti teorici 8 1. I contesti di riferimento 8 1.1 Le prospettive teoriche ed epistemologiche 8 1.2 Gli studi sull’accountability (nei contesti legali) 9 2. La costruzione narrativa dell’azione 11 2.1 La teoria dell’azione e l’anticipazione degli effetti comunicativi 14 3. La costruzione narrativa del Sé 20 3.1 Il posizionamento discorsivo 21 CAPITOLO 2 – I metodi e gli strumenti 29 1. I metodi qualitativi 29 2. Dalla psicologia narrativa alla psicologia discorsiva 31 3. Le interviste qualitative: biografiche e narrative 34 3.1 Le interviste biografiche 35 3.1.1 Le autobiografie 35 3.1.2 Le storie e i racconti di vita 37 3.1.3 Le interviste narrative 39 CAPITOLO 3 – Le analisi delle narrazioni 44 1. Le analisi qualitative dei contenuti narrativi 44 1.1 L’analisi del contenuto classica e la “statistica testuale” 44 1.2 L’approccio della “Grounded theory” 45 2. Le analisi qualitative delle strutture narrative 50 2.1 La metodologia “Comparative narratives” 51 2.2 Le strutture profonde delle narrazioni 52 2.3 La “Event Structure Analysis” 54 2.4 L’ “Evaluation model” 55 3. Contenuti o strutture: integrazione possibile? 58 CAPITOLO 4 – La ricerca 60 1. Obiettivi 60 1.1 La costruzione narrativa in termini di contenuti 60 1.2 La costruzione narrativa in termini di struttura 61 2. Il contatto con gli intervistati 62 2.1 Il setting e la conduzione delle interviste 62 3. La costruzione della traccia d’intervista 63 4. Descrizione dei partecipanti alla ricerca 68 5. Le analisi delle informazioni con ATLAS.ti 71 5.1 La creazione dell’unità ermeneutica 72 5.2 La codifica delle interviste 74 5.2 L’aggregazione in “families” 76 5.3 La verifica delle ipotesi nella ricerca qualitativa: il Query tool di ATLAS.ti 78 5.3.1 La verifica delle relazioni su una parte dei documenti 81

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6. I risultati 81 6.1 I contenuti narrativi 81 6.1.1 I temi ricorrenti 81 6.2 Le strutture narrative: presenza delle dimensioni 109 6.2.1 Le strutture narrative: verifica delle relazioni e del modello 110 6.3 Le relazioni specifiche per categorie di reati e per anni di esperienza 118 6.4 Studiare i contenuti attraverso le strutture o viceversa? 129 7. I criteri di validità e attendibilità nella ricerca qualitativa 134 8. Conclusioni e implicazioni 141

Bibliografia 146 Appendice A 161 Appendice B 162 Appendice C 170 Appendice D 171 Appendice E 172 Appendice F 173 Appendice G 175

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Introduzione

- Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio. - Niente, - le risposi, - mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo avverto un certo dolorino. Mia moglie sorrise e disse: - Credevo che ti guardassi da che parte ti pende. Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: - Mi pende? A me? Il naso? E mia moglie placidamente: - Ma sì, caro. Guàrdatelo bene: ti pende verso destra. Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo. Vide forse mia moglie molto più addentro di me in quella stizza e aggiunse subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende, me ne levassi pure, perché il naso mi pendeva verso destra, così… - Che altro? Eh, altro! altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circonflessi, ^ ^, le mie orecchie erano attaccate male, una più sporgente dell’altra; e altri difetti… Eh sì, ancora: nelle mani, al dito mignolo; e nella gambe (no, storte no!), la destra, un pochino più arcuata dell’altra: verso il ginocchio, un pochino. Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri tutti questi difetti. E solo allora, scambiando certo per dolore e avvilimento la meraviglia che ne provai subito dopo la stizza, mia moglie per consolarmi m’esortò a non affligermene poi tanto, ché anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo. Sfido a non irritarsi, ricevendo come generosa concessione ciò che come diritto ci è stato prima negato. Schizzai un velenosissimo «grazie» e, sicuro di non aver motivo né d’addolorarmi né d’avvilirmi, non diedi alcuna importanza a quei lievi difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che tant’anni ero vissuto senza mai cambiar di naso, sempre con quello, e con quelle sopracciglia e quelle orecchie, quelle mani e quelle gambe; e dovevo aspettar di prender moglie per aver conto che li avevo difettosi.

Così Luigi Pirandello inizia a descrivere le vicende di Vitangelo Moscarda, il protagonista

di Uno, nessuno e centomila: a lui l’Autore affida le riflessioni sul concetto di sé e sul senso di identità personale che – a partire da una definizione altrui (quella della moglie) – innesca meccanismi di attribuzione, di giustificazione, di strategie retoriche di autopresentazione.

Pirandello anticipa le correnti più recenti della psicologia culturale e dell’interazionismo simbolico: la letteratura precorre le scienze umane ed evidenzia gli aspetti di costruzione sociale dell’identità individuale; da questo momento in poi, anche le azioni di Vitangelo Moscarda dipendono da questa definizione.

Analogamente, l’attribuzione sociale da parte degli altri di aver commesso un crimine ingenera nell’autore meccanismi di riflessione e di rendicontazione di tali eventi che - sebbene non siano letterariamente comparabili con la grottesca, tragica, narrazione di Moscarda - sono esemplificativi di un “modus narrandi” condiviso; questa è l’ipotesi abbiamo cercato di tradurre nella ricerca che verrà presentata nelle prossime pagine: che ci siano contenuti e strutture condivise nella narrazione di eventi criminosi e che gli attori principali di tali eventi - i detenuti - condividano una loro “cultura del resoconto” che abbiamo cercato di delineare; in questo senso, l’attribuzione di identità deviante operata dagli altri incontra (talvolta si scontra, altre volte completa) la descrizione di Sé e della propria azione operata dal protagonista. A tali costrutti ci siamo riferiti nei termini delle recenti formulazioni della Teoria del posizionamento discorsivo (cap. 1 § 3.1).

Gli obiettivi di conoscenza sono stati perseguiti facendo esplicitamente riferimento agli approcci costruttivisti e narrativi: è evidente che essi non esauriscono il panorama delle prospettive degli studi sulla narrazione dell’azione e di Sé, ma in questa sede abbiamo operato

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una scelta (fra le molte che saranno descritte nel corso del lavoro), quella di eleggere un punto di vista specifico e di impostare un disegno di ricerca qualitativa coerente con esso.

È proprio sulla base della coerenza fra obiettivi, metodi e scelte relative all’intero percorso e all’impostazione della ricerca che un progetto di questo tipo può essere valutato, com’è stato autorevolmente sostenuto in ambito nazionale (Mantovani, 2003) e internazionale (Seale, 1999; Silverman, 2000; Steinke, 1999).

La struttura del lavoro comprende una prima sezione teorica: in essa vengono illustrate le prospettive teoriche ed epistemologiche che, negli ultimi mesi, hanno fatto da cornice al mio lavoro di studio e ricerca (De Leo, Patrizi e De Gregorio, 2004a,b). La maggior parte dei riferimenti ruotano intorno al lavoro compiuto nel corso degli ultimi 30 anni dal prof. Rom Harré con cui ho avuto il piacere di intrattenere una corrispondenza formativa e motivante.

Nel secondo capitolo, ho provato a illustrare il percorso logico che mi ha portato a scegliere l’impostazione metodologica per la ricerca: coerentemente con le cornici teoriche ed epistemologiche di riferimento, la mia attenzione si è rivolta ai metodi qualitativi e, in particolare, all’intervista narrativa. Nel secondo capitolo ho provato a descrivere al lettore il percorso concettuale che mi ha portato a effettuare tali scelte.

Analogamente, per quanto riguarda la scelta dell’approccio all’analisi delle informazioni rilevate con le interviste narrative, nel terzo capitolo ho descritto le strategie di analisi disponibili nel panorama della ricerca nazionale e internazionale: in questa sezione, in particolare, ho provato a evidenziare l’importanza di considerare le narrazioni come testi analiticamente complessi, cioè come fonti di informazioni sia rispetto ai contenuti che veicolano sia per gli aspetti strutturali/linguistici. I due ambiti (le analisi dei contenuti narrativi e quelle delle strutture narrative), infatti, non sono stati - a mio avviso - adeguatamente e proficuamente integrati in nessun settore della ricerca psicologica e psicologico-sociale. Ne è prova il fatto che quasi tutti i riferimenti bibliografici citati afferiscono ad aree diverse dalla psicologia sociale: la sociologia, la sociolinguistica, l’antropologia culturale. Il capitolo si chiude con una proposta di analisi integrata contenuti-strutture che viene attuata nel quarto e ultimo capitolo. In esso, la ricerca condotta viene descritta ampiamente: dall’articolazione degli obiettivi (generali e specifici), al contatto con gli intervistati fino all’analisi delle informazioni condotta (e illustrata in maniera dettagliata) con il programma ATLAS.ti; in questa sezione, in particolare, mi fa piacere evidenziare la funzione innovativa che il lavoro condotto può assumere, non tanto (o non solo) per l’utilizzo del programma in sé stesso, ma per la proposta di strategie di analisi specifiche, di raffinate soluzioni e scelte tecniche, di modalità di reporting dei risultati.

A conclusione, l’ampio corredo bibliografico (completato con riferimenti relativi ad altri settori delle scienze umane e sociali) che spero sia utile a quanti, da questo momento in poi, siano interessati a intraprendere percorsi di ricerca analoghi augurando loro di ritrovarvi altrettanta motivazione, interesse e soddisfazione. A questo riguardo mi fa piacere sottolineare il fondamentale contributo delle principali biblioteche d’area psicologica (di Padova, Milano, Torino, Firenze), senza i loro prestiti interbibliotecari la ricerca non sarebbe nemmeno iniziata: senza lo staff della biblioteca interdipartimentale di psicologia “E. Valentini” di Roma non avrei mai imparato, già a partire dalla tesi di laurea, a fare una buona ricerca bibliografica.

Così, se qui inizia (come spesso succede alla fine della sezione introduttiva) la parte dei

ringraziamenti è bene che il lettore sappia che il contributo da molti fornito al lavoro che ho svolto non sarebbe affatto sintetizzabile in poche righe né in uno (sterile) elenco di nomi: non sarebbe sintetizzabile in poche righe la stima, l’affetto e il rispetto reciproco che mi legano a Gaetano De Leo e a Patrizia Patrizi; non lo sarebbe la fiducia e il sostegno nell’ombra della mia famiglia; non lo sarebbe l’amicizia e la complicità che mi lega a Francesca Mosiello, a Francesca Vitale, a Silvia Landi e ad Anna Bussu; non lo è per la fattiva collaborazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (specificamente nella persona del dott.

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Roberto Felici) e della Direzione dell’Istituto Penale “Regina Coeli” di Roma né per il contributo imprescindibile di Margherita Marras e Barbara Santoni. Senza il lavoro preliminare di Melania Marini l’esordio dell’indagine sarebbe stato più difficile.

Non sarebbe sintetizzabile in poche righe neppure la gratitudine verso Alessandra Fasulo, per i suoi illuminanti, adeguati e tempestivi suggerimenti in ogni parte della ricerca, né a tutto il Collegio dei docenti del XVII ciclo del dottorato in Psicologia sociale.

E non sarebbe possibile chiudere senza un abbraccio a tutti i ragazzi che hanno voluto condividere con me le loro storie.

A tutti loro va - senza retorica - il più vivo ringraziamento.

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All’inizio del dottorato ho condiviso l’entusiasmo con te, vicino o lontano c’eri sempre tu;

i tre anni di faticoso lavoro sono stati condivisi con te, vicino o lontano ci sei sempre tu;

Da adesso in poi, vicino a me ci sarai sempre tu.

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Background teorico

 

 

 

 

Aprii gli occhi. Che vidi? 

Niente. Mi vidi. Ero io, là, aggrondato, carico del mio stesso pensiero, con un

viso molto disgustato. 

M’assalì una fierissima stizza e mi sorse la tentazione di tirarmi uno sputo in

faccia. Mi  trattenni.  […]  Ah,  finalmente!  Eccolo  là!  Chi  era?  Niente  era.

Nessuno.  […]  Chi  era  colui? Nessuno. Un  povero  corpo,  senza  nome,  in

attesa che qualcuno se lo prendesse. 

(L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila). 

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Capitolo 1 - Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

1. I contesti di riferimento Ci sembra utile iniziare la trattazione dello studio che abbiamo condotto facendo alcuni

brevi cenni alle prospettive di base che – dal punto di vista epistemologico – danno una chiave di lettura per le attività di ricerca.

Come si sa, la scelta di un approccio epistemologico a un dato fenomeno sociale indica (e implica) una modalità di relazionarsi con l’oggetto di studio: nello scegliere una prospettiva, il ricercatore implicitamente comunica quale immagine ha della realtà sociale e in che termini ritiene di porsi rispetto al proprio oggetto di studio.

1.1 Le prospettive teoriche ed epistemologiche A costo di semplificare eccessivamente proponiamo la classica esemplificazione fra

positivismo e costruttivismo al fine di delineare con chiarezza (attraverso l’approfondimento del secondo) quale è il contesto di riferimento nel quale abbiamo scelto di collocarci.

Gli approcci variamente rifabili al positivismo (e alle sue riformulazioni più recenti) hanno chiaramente dichiarato di preferire una lettura della realtà sociale come oggettivamente conoscibile: il ricercatore e l’oggetto della ricerca fanno parte di due universi ontologicamente separati e la realtà esiste esterna al sistema cognitivo del ricercatore e a prescindere dalle forme di conoscenza impiegate da questo (Harré, 1989a).

Al contrario, chi afferisce a un approccio costruzionista valorizza una prospettiva secondo cui il ricercatore esclude a priori qualunque ipotesi di “realismo” (o “oggettivismo”: esclude cioè che esista una realtà esterna oggettivamente conoscibile). Contro l’artificiosità della ricerca di laboratorio, i costruttivisti1 prendono spunto dall’antropologia e propongono di entrare - letteralmente - nel contesto che stanno studiando, di incontrare i partecipanti alla ricerca nel loro contesto di vita (la scuola, la famiglia, l’azienda o – come descriveremo nel corso di questo lavoro – i contesti detentivi). Secondo questi approcci (l’uso del plurale dipende dalla consapevolezza delle articolazioni interne alla prospettiva più generale), l’obiettivo della ricerca sociale e psicologica è la comprensione dell’oggetto-nel-contesto, non la formulazione di leggi generali in forma di ipotesi “se… allora…”: ciò che prendiamo per conoscenza oggettiva e vera è il risultato del punto di vista. Conoscenza e verità sono create, non scoperte nella mente. [I costruttivisti] enfatizzano la natura pluralistica e plastica della realtà: pluralistica, nel senso che la realtà si può esprimere in una varietà di simboli e sistemi linguistici; plastica, nel senso che essa è adattata e modellata alla luce degli obiettivi di agenti umani dotati di intenzionalità (Schawandt, 1994, p. 125).

Nel quarto capitolo descriveremo come i partecipanti alla ricerca abbiano chiaramente

indicato di preferire raccontare i reati che hanno commesso e il percorso di carriera nella devianza a un ricercatore: dichiaravano apertamente di non voler relazionarsi in tal senso con nessuna delle figure che a vario titolo erano deputate a raccogliere la loro voce (avvocati, magistrati, assistenti sociali) in quanto ritenevano che solo con una persona totalmente esterna 1 Vedremo più avanti che la stessa categoria generale può essere messa in discussione in funzione delle sue articolazioni

interne.

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al contesto carcerario potevano sentirsi liberi di raccontare il loro punto di vista senza costrizioni di sorta. Questa breve anticipazione descrive chiaramente in che termini intendiamo valorizzare una prospettiva costruttivista allo studio dell’azione deviante: i ragazzi che abbiamo incontrato nelle sezioni di Regina Coeli e di Rebibbia hanno ricostruito con il ricercatore una loro immagine della realtà che hanno vissuto indipendentemente da cosa il sistema giudiziario abbia accertato essere “vero”: evidentemente, l’obiettivo che siamo posti non era relativo all’accertamento della verità processuale, ma era piuttosto orientato a rilevare le costruzioni soggettive, le attribuzioni di senso, l’unicità della prospettiva degli attori che aveva attuato azioni giuridicamente e socialmente ritenute “devianti”.

Come riporta Schwandt (1994), la prospettiva costruttivista ha subito delle revisioni in un duplice senso: da una parte, una radicalizzazione dovuta al lavoro di Ernst von Glaserfeld secondo il quale «non si può conoscere una cosa come indipendente e oggettiva totalmente staccata dalla nostra esperienza di quella stessa cosa. Quindi, non possiamo parlare di conoscenza di qualcosa come rappresentazione corrispondente, come uno specchio, di quel mondo» (Schwandt, 1994, p. 127); dall’altra, la proposta di Gergen (1985) amplia la prospettiva: la conoscenza dei fenomeni sociali è un processo tutt’altro che individuale, esso invece vede la compartecipazione di una molteplicità di attori. Questa prospettiva, nota come “socio-costruzionismo”, implica che i resoconti sul mondo hanno sede nei sistemi condivisi di intelligibilità – solitamente nei testi orali o scritti. Questi resoconti non sono visti come espressioni esterne ai processi interni del parlante (quali cognizioni o intenzioni), ma come espressione delle relazioni fra persone (Gergen, 1985, p. 78 cit. in Schwandt, 1994).

Questa revisione dell’approccio costruttivista è stata approfondita dagli esponenti della c.d.

“psicologia dialogica” (Shotter, 1995): a partire dai quotidiani flussi di comunicazione, l’attenzione viene spostata all’analisi delle funzioni del parlato in contesti specifici. Nel secondo capitolo approfondiremo la trattazione degli approcci discorsivi nella ricerca psicologica; adesso ci preme evidenziare la natura che il linguaggio (la comunicazione, in senso lato) assume: esso viene definito come uno strumento, un mezzo, che consente agli individui di perseguire specifici obiettivi. Questo uso del linguaggio implica una convergenza fra azioni di attori diversi: nelle nostre negoziazioni e contese momento per momento con altri con cui sia coinvolti [in situazioni comuni], continuiamo a interagire fino alla costruzione di un risultato che sia soddisfacente per tutte le parti. Nel fare questo, invece di agire esclusivamente come individui isolati […], dobbiamo anticipare quello che gli altri possono fare o dire in risposta a ciò che noi facciamo o diciamo. In altre parole, gli individui non sono entità isolate, ma occupano situazioni condivise (Shotter, 1995, p. 166).

1.2 Gli studi sull’accountability (nei contesti legali) Già da queste prime pagine, è evidente come costruire narrativamente un’azione deviante

significhi necessariamente dover render conto di un comportamento contrario a un sistema normativo (formale e/o informale) vigente. In tal senso, diventa centrale lo studio delle argomentazioni (in termini di contenuto) e delle strategie retoriche (in termini discorsivi) - che a partire dalle pionieristiche ricerche di Scott e Lyman (1968) e di Semin e Manstead (1983) – sono utilizzate da un attore (detto “accounter”) per assumersi o, al contrario, spostare da sé la responsabilità a lui attribuita da un altro (detto “reproacher”)2. Buttny (1993) chiama “funzione trasformativa” (o “riparativa”) la caratteristica prettamente discorsiva degli account orientata a modificare - appunto - una valutazione altrui negativa3.

2 Scott e Lyman hanno chiamato questo scambio di accuse e difese “valutative inquiry”, evidenziando la funzione valutativa - nei confronti di chi ha commesso l’azione riprovevole - del contesto rappresentato dall’accusatore (Cody e McLaughlin, 1990, p. 227). 3 Per la contestualizzazione dell’accontability nelle situazioni di “rottura” delle routine interattive si vedano Semin e Manstead (1983) e Hewitt (1996, trad. it. 1999).

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La necessità per l’accounter di instaurare un circuito discorsivo di questo tipo è dovuta alla necessità di mantenere una positiva immagine di sé (Wetherell e Potter, 1989), di evitare (o comunque allontanare il più possibile) le attribuzioni negative (Semin e Manstead, 1983; Felson e Ribner, 1981), di riparare i conflitti relazionali causati dall’evento critico (Bies, Shapiro e Cummings, 1988): tali obiettivi (come è stato ampiamente dimostrato) vengono perseguiti attraverso strategie discorsive che – nelle formulazioni più recenti – sono vicine alle tecniche “neutralizzazione della norma” (Sykes e Matza, 1957; Fritsche, 2002) e ai meccanismi di “disimpegno morale” (cfr., fra le tante fonti, Bandura, 1997; 1999) di cui parleremo diffusamente in seguito.

Scott e Lyman (1968) hanno identificato due categorie di account: ‐ le scuse, con cui l’accusato ammette di aver causato un danno ma nega di esserne

pienamente responsabile, ‐ le giustificazioni, con cui ci si assume la responsabilità di un’azione sanzionabile, ma si

nega la sua effettiva gravità o, addirittura, se ne evidenziano le conseguenze positive. Questa categorizzazione ha avuto, nel corso degli anni, diverse rivisitazioni, conferme

empiriche in vari contesti e significativi ampliamenti fra i quali sottolineiamo quello operato da Schönbach (1980) che ha introdotto il concetto di “sequenze di account” (evento riprovevole, accusa della parte offesa, account dell’attore “deviante”, valutazione della validità dell’account) e due forme discorsive aggiuntive a quelle proposte da Scott e Lyman: ‐ le concessioni: l’attore semplicemente ammette le proprie responsabilità, ‐ il diniego: si nega con forza qualsiasi attribuzione di responsabilità e anzi, talvolta, si

nega l’autorità dell’accusatore. Il collegamento fra responsabilità e accountability è infatti uno degli aspetti che meritano

maggiore attenzione: come ha efficacemente sottolineato Buttny (1993), attribuire a sé (versione autoresponsabilizzante) o ad altri, oppure a cause esterne non controllabili (versione autoassolutoria) ha immediate implicazioni pratiche sulle azioni e sulle interazioni:

in qualità di individui agenti, noi di solito conosciamo meglio di altri le condizioni, le circostanze e i vincoli delle nostre azioni. Queste “condizioni”, se veicolate attraverso i resoconti e combinate con conoscenze condivise, possono trasformare il significato degli eventi. L’evento può essere “visto differentemente” per la riconfigurazione delle sue condizioni soggiacenti, o per le circostanze precedentemente sconosciute o sottovalutate (Buttny, 1993, p. 5).

In questo senso, la responsabilità diventa un “gioco discorsivo”, una versione più o meno

plausibile dei fatti, una dialettica fra attribuzioni, intenzioni, attori coinvolti, cause interne ed esterne: «nel costruire un resoconto un attore può far riferimento a una ampia gamma di condizioni contestuali e precedenti che possono alterare la comprensione e la valutazione dell’episodio in questione» (ibidem, p. 6) con evidenti implicazioni in termini di attribuzione di responsabilità. Il significato degli eventi diventa una questione di “punto di vista”, interattivamente negoziabile.

L’accountability è dunque una pratica discorsiva diretta a porre in una luce diversa l’attore e, in ultima analisi, lo facilita ad allontanare da Sé la responsabilità di aver compiuto un’azione sanzionabile.

Un altro collegamento importante si può fare fra il resoconto e la narrazione: le forme di giustificazione, di scusa, di diniego e di autocolpevolizzazione assumono infatti una forma narrativa in quanto sono sempre inseriti in contesti discorsivi caratterizzati da dimensioni e vincoli spaziali e temporali. Dare una struttura logica agli eventi, argomentare le cause e le conseguenze delle azioni e ridefinire le relazioni passate e future impone all’attore (come vedremo più approfonditamente nel cap. 2) di organizzare i contenuti secondo una forma narrativa (Sarbin, 1986a): l’account è dunque una narrazione che può, a sua volta, essere inserita in una storia più ampia.

Complessivamente, la ricerca ha consolidato alcuni risultati significativi: gli account che si sviluppano in contesti interattivi assumono una forma canonica nella quale la sequenzialità

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evento - - accusa - - account - - valutazione è soggetta ad articolazioni dipendenti dai contesti specifici (Cody e McLaughlin, 1988; 1990).

Per quanto riguarda - in particolare - i contesti legali, Danet (1990, p. 538) ha sostenuto che «ci sono grandi differenze nei temi studiati, nei fondamenti teorici, nei metodi di ricerca e nella rilevanza dei settori specifici per l’applicazione a contesti sociali». Bisogna ricordare che questo tipo di ricerca ha visto la prevalenza del processo penale come contesto privilegiato: in tale settore, sono stati fondamentali i contributi di O’Barr (1983), Atkinson e Drew (1979), Drew (1985), Penman (1987) e Drew e Heritage (1993). Si tratta di studi pionieristici, dalla forte valenza applicativa, che hanno privilegiato una prospettiva sociolinguistica, discorsiva e/o conversazionalista.

Dal punto di vista strettamente metodologico, gli studi citati hanno privilegiato un approccio quantitativo ai dati coerentemente con l’obiettivo di spiegare le relazioni fra costruzioni discorsive specifiche, variabili contestuali e personali degli attori (Cody e McLaughlin, 1988; Antaki, 1985; 1988; Bies e coll., 1988; Riordan, Marlin e Kellogg, 1983; Felson e Ribner, 1981)4.

Con particolare riferimento ai nostri interessi bisogna sottolineare tuttavia che il contesto carcerario è stato trascurato, probabilmente per i problemi di accessibilità che (per ragioni di riservatezza e di sicurezza) il ricercatore incontra5.

Terminano qui i brevi riferimenti agli studi sull’accountability: essi hanno avuto l’obiettivo di delineare un contesto; nelle prossime pagine faremo spesso riferimento ai concetti espressi in questo paragrafo: si tratterà di collegamenti necessari, dovuti all’importanza delle strategie di rendicontazione dell’azione che - sebbene non centrali rispetto ai nostri obiettivi - ne costituiscono un momento di confronto imprescindibile.

2. La costruzione narrativa dell’azione

Le premesse di contesto appena descritte lasciano emergere e avvalorano la nostra ipotesi

per lo studio dei modi in cui l’azione deviante penalmente sanzionabile viene narrativamente (ri)costruita dall’autore al fine di presentarla (e in ugual modo presentare sé stesso) in maniera socialmente accettabile o, quanto meno, passibile di sanzioni meno pesanti. Riteniamo infatti che le prospettive descritte nel paragrafo precedente (gli approcci discorsivi e conversazionalisti), seppure specificamente orientati a rilevare le strategie di rendicontazione e giustificazione utilizzate, lascino per lo più in secondo piano i complessi meccanismi di costruzione narrativa vera e propria: in altre parole, focalizzandosi sulle interazioni in cui era espressamente richiesta una spiegazione delle ragioni e delle cause per l’aver compiuto un’azione riprovevole, gli studi citati hanno finito col focalizzarsi su un ambito, a nostro avviso, ristretto, quello della “botta e risposta”, dello scambio dialogico “punto per punto” (come se gli attori in quel momento coinvolti nel processo discorsivo fossero - metaforicamente - paragonabili a due tennisti impegnati in uno scambio). La loro unità di analisi minima analizzabile è, più esattamente, il turno specifico nel quale – come abbiamo descritto – si succedono rapide sequenze “evento - - accusa - - account - - valutazione” (Cody e McLaughlin, 1988; 1990; Scott e Lyman, 1968; Semin e Manstead, 1983).

Per queste ragioni abbiamo scelto di focalizzare la nostra attenzione su obiettivi di più ampio respiro – la ricerca sulle narrazioni riferiti a contesti non inquisitivi - e su unità d’analisi6 (le costruzioni narrative, appunto) meno ancorate alla richiesta contingente di una

4 In lingua italiana si veda - ad esempio - Mannetti, Catellani, Fasulo e Pajardi (1991). 5 Fanno eccezione pochi studi, fra i quali – come descriveremo dettagliatamente in seguito – riveste particolare interesse quello di O’Connor (1994; 1995). 6 Più avanti nel corso di questo lavoro, illustreremo con maggiore precisione cose abbiamo inteso con “unità di analisi”.

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“giustificazione” vera e propria7. Come descriveremo nel cap. 4, la richiesta di raccontare liberamente il proprio punto di vista, l’azione come si è svolta senza condizionamenti o censure ha prodotto argomentazioni e temi che non sono direttamente e completamente riconducibili a un approccio giustificazionista. Dal punto di vista metodologico, si tratta, come è evidente, di una proposta che si affianca (senza pretesa di sostituzione) a quelle esistenti e proprio in ragione di questa continuità logica riteniamo opportuno iniziare la descrizione dei modelli teorici di riferimento a partire dalla letteratura di afferente agli approcci discorsivi per spostarci poi sugli approcci interazionisti e interpretativi.

Facendo riferimento agli approcci riferibili alla psicologia discorsiva, si prefigura una divaricazione in quanto la costruzione narrativa dell’azione è essa stessa un’azione: il principale riferimento teorico è dato dal DAM (Discoursive Action Model) proposto da Edwards e Potter (1992) nell’ambito degli studi sulla memoria e sull’attribuzione causale. Si tratta di un insieme di principi (più che di una teoria vera e propria) secondo i quali - come scrivono De Grada e Bonaiuto (2002) - i contenuti di cui si parla, in una situazione discorsiva, (spiegazioni di eventi, resoconti di esperienze, etc.) non sono prodotti sulla base di processi psicologici esclusivamente intraindividuali, ma sono «retoricamente costruiti per servire scopi pratici, interpersonali o sociali, e perciò costituiscono azioni» (ibidem, p. 158)8. I fenomeni e processi psicologici avrebbero, secondo questo approccio, una realtà differenziata a seconda degli eventi conversazionali in cui sono inseriti: in un processo penale o in un’intervista sull’azione deviante, la costruzione dell’azione va incontro a criteri di plausibilità mediante i quali lo stesso discorso viene impostato in maniera da soddisfare tali criteri: convincere gli altri della veridicità della propria versione dei fatti, allontanare da sé la responsabilità, accusare altri. La costruzione vera e propria, inoltre, si serve di dispositivi retorici9 che agevolano il processo di rappresentazione dell’accaduto come un quadro fedele della realtà: si tratta (come è evidente da quanto scritto fino a ora) di manovre persuasive che tuttavia rinforzano l’idea di un apparato concettuale e metodologico specificamente adatto per lo studio dei processi persuasivi, piuttosto che della costruzione ordinaria, colloquiale, degli eventi.

Analogamente, la proposta di Harré e Gillett (1994) si colloca nel panorama della cosiddetta “svolta discorsiva” allo studio dei processi psicologici (ne parleremo approfonditamente nel cap. 2 § 2), ma - a differenza dei rappresentanti del DAM - gli Autori propongono una rivalutazione del ruolo del soggetto che produce la narrazione nei termini di “agentività” (o capacità di agire) all’interno di una costruzione discorsiva e di intenzionalità della riproduzione dell’azione non necessariamente confinata in un obiettivo persuasivo. Secondo Harré e Gillett (1994), la valutazione dell’evento e della ricostruzione operata dal soggetto che l’ha attuata deve essere fatta con riferimento al contesto specifico in cui si è svolta. Senza tale riferimento, si perderebbe il significato che effettivamente l’azione ha avuto nel momento in cui si sono svolti i fatti: per questa ragione, una ricostruzione operata in tribunale ha necessariamente un carattere artificioso perché prodotta in un contesto differente (Bruner, 2002) nel quale oltretutto gli obiettivi specifici della ricostruzione stessa sono riferibili alla necessità di evitare una pesante condanna e/o allontanare da sé parte della responsabilità, riparare la propria immagine da eventuali attribuzioni negative: «il compito delle teorie discorsive dell’azione è perciò reinserire il soggetto agente nella storia, l’unico che inizia l’azione, l’unico che, in qualche modo, ha un ruolo cruciale nell’attribuire significati a ciò che fa e a ciò che è» (Harré e Gillett, 1994, trad. it. 1996, p. 128). Il concetto di “agentività” è qui proposto nel senso di capacità dell’individuo di riposizionarsi al centro del proprio universo di significati che comprende l’azione su cui è chiamato a rispondere o l’identità che intende assumere (De Fina, 2004). Più avanti (e nel corso dell’intero lavoro)

7 Si tratta di un rilievo critico che è mosso anche da O’Connor (1995), in uno studio che descriveremo approfonditamente più avanti. 8 Sullo stesso argomento si veda anche Melucci (2001). 9 Per una dettagliata analisi i tali dispositivi rinviamo a De Grada e Bonaiuto (2002).

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questo concetto sarà ripreso più volte secondo una duplice accezione: da una parte quella, che abbiamo appena descritto, di azione intenzionale nel contesto della rievocazione (Harré, 1995b) e dall’altra – secondo una definizione tradizionale e più consolidata - nel senso di assunzione della responsabilità e della capacità d’agire individuale rispetto all’azione specifica nel momento in si è svolta (Bandura, 1986).

In entrambe le situazioni, ci troviamo dinnanzi a formulazioni a posteriori operate in contesti specificamente deputati alla ricostruzione di versioni plausibili di eventi (Bruner, 1991; 2002), secondo criteri e modelli che descriveremo nel cap. 2.

O’Connor (1994; 1995) si è dedicata specificamente allo studio delle costruzioni narrative di azioni devianti operate in contesti in cui non veniva espressamente richiesto un account, una giustificazione. La ricercatrice ha effettuato 19 interviste in carceri degli Stati Uniti: si trattava dunque di una situazione “colloquiale” in cui un detenuto sceglie, dapprima, di incontrare un ricercatore e, successivamente, di raccontare e raccontarsi in forma libera, non vincolata da tempi e domande pressanti, né da costrizioni giuridiche, senza il rischio di instaurare situazioni tendenti alla conflittualità:

Diversamente dai discorsi formulati in tribunale, dove le sequenze domanda-risposta elicitano fatti criminosi, il discorso prodotto nelle narrazioni autobiografiche studiate in questa sede è meno diretto e più aperto, e consente ai detenuti di riferire con lunghi passaggi narrativi (O’Connor, 1995, p. 430).

Oltre alla condivisione di queste osservazioni, le ragioni di interesse della ricerca di

O’Connor sono molte: ‐ l’utilizzo di narrazioni autobiografiche orientate a cogliere il punto di vista dei

protagonisti dell’evento (cfr. cap. 2), ‐ il riferimento ai temi dell’agentività e della assunzione di responsabilità (di cui

abbiamo parlato in precedenza e che riprenderemo nel cap. 4), ‐ il collegamento fra i concetti di “agency” e “posizionamento discorsivo” (quest’ultimo

sarà approfondito nel § 3.1 in questo capitolo) che riprenderemo alla fine di questo percorso di ricerca, parlando dei risultati e delle loro implicazioni operative.

L’agentività, in particolare, è stata operazionalizzata dall’Autrice facendo riferimento a un ideale continuum di ammissione e assunzione di responsabilità: a un estremo, si collocano le narrazioni prodotte dai soggetti che cercano di spostare le attribuzioni negative fuori dalla propria persona (“deflecting agency”); all’altro polo, si trovano coloro che si assumono pienamente la responsabilità delle azioni che hanno compiuto (“claiming agency”); ci sono poi una serie di strategie intermedie proprie di chi prova a “problematizzare”, a contrattare, l’attribuzione di responsabilità (“problematizing agency”). Si tratta, a nostro avviso, di un’utile tripartizione (e, in generale, la valutazione può essere estesa all’impostazione di ricerca) che - pur nella sua semplicità - ha un’evidente funzione euristica per almeno due ragioni: in primo luogo, ci consente di collegare stabilmente il concetto di agentività all’imputazione di responsabilità penale; inoltre, la gradazione in livelli differenti di ammissione di responsabilità favorisce una maggiore analiticità nell’analisi delle produzioni narrative in correlazione con altri aspetti dei resoconti narrativi: è ragionevole cioè supporre che una dislocazione della responsabilità totalmente all’esterno (o un tentativo di mediare le attribuzioni negative pur riconoscendo le proprie colpe) si colleghi a uno stile narrativo (in termini di contenuti e di struttura delle argomentazioni, come descriveremo nei capp. 3 e 4) specifico che comprende altri aspetti specifici relativi, ad esempio, alla descrizione dell’azione in sé, alle intenzioni, alle dimensioni del posizionamento attuale e retrospettivo, al tipo di reato commesso e così via.

2.1 La teoria dell’azione e l’anticipazione degli effetti comunicativi Un utile spunto di riflessione (rispetto alla costruzione narrativa dell’azione deviante e allo

sviluppo del progetto di ricerca che abbiamo condotto) arriva dal modello teorico della Goal Directed Action (GDA o Teoria dell’Azione), secondo la formulazione originaria di Mario

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von Cranach e Rom Harré (1982; von Cranach, Kalbermatten, Indermülhe e Gugler, 1982; von Cranach e Valach, 1983).

È bene precisare subito che la proposta degli Autori non è riconducibile direttamente alle costruzioni narrative (così come i modelli precedenti), ma si tratta di un riferimento che in lavori precedenti di questo tipo (De Leo, Patrizi e De Gregorio, 2004a; De Leo e Patrizi, 1992; 1999) e in contesti clinici (De Leo, 1995; De Leo, Bosi, e Curti Gialdino, 1986; De Leo e Bollea, 1984) si è dimostrato euristicamente fecondo: sulla base di tali evidenze abbiamo infatti ritenuto utile strutturare la traccia di intervista narrativa utilizzata in questa ricerca e che verrà descritta in dettaglio nel quarto capitolo (§ 2). Come vedremo in questo paragrafo la sua funzione applicativa in tale contesto è rilevabile in particolare con riferimento a una delle tre dimensioni, quella dei significati sociali, maggiormente implicata nei processi ricostruttivi e attributivi sul senso delle azioni devianti. Per contestualizzare adeguatamente questa implicazione ci sembra utile accennare brevemente alle caratteristiche salienti dell’intero modello, rimandando il lettore al quarto capitolo per una dettagliata argomentazione della sua applicazione alla strutturazione della traccia di intervista narrativa.

Secondo le formulazioni originarie, l’azione umana è rappresentabile - a fini didattici e divulgativi - con un “triangolo concettuale” (figura 1), composto dalle seguenti dimensioni: il comportamento manifesto, la cognizione (cosciente), il significato sociale.

Fig. 1: Rappresentazione grafica del modello Goal Directed Action (fonte: von Cranach e Harré, 1982; adattato da De Leo e Patrizi, 1992)

Il Teorema dell’azione chiarisce le interazioni fra le tre dimensioni:

Nell’agire finalizzato (nell’associazione di azioni) il comportamento manifesto è guidato (parzialmente) da cognizioni coscienti, che a loro volta sono (in parte) di origine sociale; in tal modo la società, attraverso il controllo delle cognizioni, (parzialmente) produce e controlla l’agire dell’individuo, che, d’altra parte, attraverso le proprie azioni, modifica le strutture sociali (von Cranach e Ochsenbein 1994, p. 80).

Il modello enfatizza l’orientamento all’obiettivo dell’azione: il concetto di “obiettivo” è

centrale perché gli scopi sono presenti in tutte le azioni, in quelle più complesse come in quelle automatiche e non-intenzionali (Bargh e Chartrand, 1999; Bargh e Ferguson, 2000; Bargh, Chen e Burrows, 1996; Aarts e Dijksterhuis, 2000). Tutte le azioni, anche quelle quotidiane, ordinarie (come le ha chiamate von Cranach: cucinare, andare al cinema, etc.) sono sempre orientate da scopi: in esse gli obiettivi, seppure non più evidenti, si sono automatizzati, le azioni sono cioè diventate routinarie (sono diventate abitualizzazioni: Berger e Luckmann, 1966) ed in esse lo scopo è diventato implicito ed è quindi fuori dalla consapevolezza dell’attore. Come abbiamo argomentato altrove (De Leo e coll., 2004a), è

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possibile individuare uno scopo persino nelle azioni apparentemente non pianificate: i c.d. “raptus”, ad esempio, sono considerati azioni con uno scopo emergente: da questo punto di vista, anche persone con problemi psichiatrici, a cui difficilmente potrebbe essere imputata un’intenzionalità, in realtà manifestano scopi che hanno senso, per loro, nel loro sistema cognitivo.

Il triangolo di von Cranach e Harré consta (come accennavamo in precedenza) di tre dimensioni fortemente collegate sia dal punto di vista teorico, sia (come vedremo in seguito) da quello empirico. Sebbene l’originaria proposta degli Autori preveda (come mostra la figura 1) un metodo di studio specifico per ciascuna di esse (portando quindi a una frammentazione dell’unità di analisi) abbiamo proposto l’utilizzo dei metodi narrativi e biografici come strumento di integrazione e di coerenza con l’unitarietà teorica.

La prima dimensione è nell’ambito di cui ci stiamo occupando, la devianza di tipo criminale, il comportamento manifesto osservabile, di ispirazione comportamentista, è quella, che manifesta una maggiore (evidenza forse anche di ovvietà): essa fornisce, proprio in virtù del suo richiamo agli esiti visibili, un immediato riferimento empirico al ricercatore che sia interessato a studiare l’azione in quanto “sequenza di comportamenti”10. Si tratta tuttavia anche di una dimensione che problematicamente può essere utilizzata a fini empirici in contesti reali: la difficoltà sta nella difficoltà a effettuare analisi dirette (per così dire “in tempo reale”) dal momento che il ricercatore, l’investigatore e il criminologo si trovano sempre di fronte a ricostruzione successive degli eventi.

Come si vede nella figura 1, il comportamento manifesto può essere studiato in maniera empirica solo attraverso metodi di osservazione sistematica. Allo stesso modo, come vedremo a breve, anche le “cognizioni coscienti” e i “significati sociali” verrebbero ricondotti a diverse opzioni metodologiche, restringendo così il campo delle possibilità di integrazione - anche teorica - all’interno di un concetto (l’azione sociale, appunto) che assume senso proprio nell’integrazione fra le dimensioni costitutive.

Gli aspetti cognitivi dell’azione (la seconda dimensione e ulteriore lato del triangolo nella figura 1) possono essere sono operazionalizzati – seguendo la trattazione di von Cranach e Ochsenbein (1994) - con riferimento a indicatori quali:

- gli obiettivi espliciti, che costituiscono il filo conduttore fra presente, passato e futuro e sono ordinati gerarchicamente in funzione della meta: molti obiettivi spesso riconducono a movimenti routinari, abitualizzati, ed emergono come obiettivo solo nel caso di imprevisto;

- piani d’azione e strategie: danno avvio al processo atto a raggiungere una meta, consentendo successivamente di monitorare l’intero percorso;

- intenzioni: «possono riferirsi alle mete e ai piani: la loro realizzazione viene vissuta soggettivamente come atto di volontà» (von Cranach e Ochsenbein, 1994, pp. 44-45);

- mete di processo, tappe intermedie verso il raggiungimento dell’obiettivo principale; all’interno della dimensione cognitiva, una caratteristica fondamentale dell’azione sociale è il continuo monitoraggio che ristruttura gli obiettivi: si tratta di un controllo in itinere (durante e dopo).

- emozioni che precedono, accompagnano e seguono l’azione. Rimandiamo agli Autori (von Cranach e Ochsenbein, 1994; von Cranach e coll., 1982) per

ulteriori dettagli sulla definizione delle cognizioni coscienti e dei relativi indicatori e risultati empirici. Quello che ci preme sottolineare in questo contesto è la rilevanza che hanno gli aspetti cognitivi, secondo il modello appena descritto; essi avvalorano la tesi di una specifica

10 In un lavoro recente, condotto nell’ambito del Laboratorio di Psicologia Investigativa della Facoltà di Psicologia 2 e la cui pubblicazione dei risultati è ancora in corso, abbiamo utilizzato il modello della GDA con particolare riferimento alla dimensione del comportamento manifesto: in quel contesto avevamo a disposizione 23 filmati di videosorveglianza relativi a rapine condotte in banche, farmacie e gioiellerie (si tratta di materiali privi di audio) rispetto ai quali abbiamo cercato di rilevare eventuali pattern di azione condivisi e consolidati nel modus operandi degli autori di reato.

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attenzione che la GDA pone al controllo consapevole dell’azione: poca attenzione viene data ai processi automatici, non controllati dalla coscienza (si parla di “sub-routine” di tipo non conscio)11.

Il significato sociale (la terza dimensione, che esplicitamente consente di costruire un ponte fra il livello individuale e quello sociale di spiegazione) rappresenta il senso dell’azione, sia nei termini più ampi della cultura che in quelli circoscritti della situazione. Esso richiama l’importanza del contesto in cui l’azione è attuata: i contesti sociali possono attribuire significati diversi ad analoghe azioni o lo stesso significato ad azioni diverse; le azioni, in altri termini, diventano interazioni e acquistano significato a seconda del contesto in cui si svolgono e il contesto costruisce le azioni attraverso i significati che ad esse vengono attribuiti.

Dal punto di vista metodologico, Harré e coll. (1985) propongono di studiare i significati sociali mediante tecniche di tipo intensivo. Tali tecniche - distinte da quelle estensive, che fanno uso di elaborazioni statistiche di dati raccolti su ampi campioni - sono adatte allo studio dei sistemi di credenze che individui, da una parte, e piccoli gruppi, dall’altra, utilizzano come veicolo nell’azione quotidiana. Si tratta, secondo gli Autori, dei metodi più adatti per mettere in evidenza le strutture di significati che contribuiscono alla definizione degli atti sociali.

Anche nel caso dei significati sociali, come per il comportamento manifesto e le cognizioni coscienti, il focus empirico rischia di frammentare il senso di unitarietà dell’azione.

De Leo e Patrizi (1992, 1999), che hanno affrontato lo studio dell’azione deviante entro un paradigma socio-costruzionista, a partire dallo schema concettuale della Goal-Directed Action, hanno approfondito lo studio delle possibili anticipazioni dei percorsi d’azione. In particolare, si sono chiesti:

• quali sono le funzioni specifiche di quell’azione per quel soggetto in quel dato momento storico?

• rispetto a quali contesti e persone/sistemi di riferimento? • in che modo, secondo quali criteri interpretativi e rispetto a quali ambiti di rilevazione,

l’attore anticipa le conseguenze delle sue scelte comportamentali? Hanno differenziato due principali tipologie di effetti, intesi come anticipazioni che

orientano all’azione: effetti pragmatici-strumentali ed effetti espressivo-comunicazionali. I primi riguardano ciò che la persona concretamente cerca di ottenere: si tratta di qualcosa

di immediato e tangibile. È tuttavia possibile avvicinarsi alla devianza considerandone gli aspetti comunicativi: ogni nostra azione è infatti guidata anche da anticipazioni di tipo espressivo. Sono effetti il cui scopo è desumibile solo con un atto interpretativo, non è cioè immediatamente rintracciabile. Questa tipologia rinvia a una tradizione di studi che spazia dagli studi filosofici di Wittgenstein e della Teoria degli atti linguistici di J. Austin (1962), alla Pragmatica della comunicazione umana della Scuola di Palo Alto (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1967).

Secondo Sykes e Matza (1964), la devianza possiede uno strutturale potere di amplificare la comunicazione, di evidenziare messaggi: nel corso dello sviluppo ontogenetico e sociale l’individuo impara dall’esperienza che la trasgressione è un forte attrattore di interesse e reazioni da parte del contesto. Tali reazioni sono sempre in qualche modo riferite alla “lettura” che gli organismi di controllo, le agenzie di socializzazione ed eventualmente i mezzi di comunicazione hanno fatto di quelle trasgressioni.

Gli esempi di situazioni come quella descritta sono sotto gli occhi di tutti: la cronaca quotidiana parla di casi in cui a una debole (talvolta apparentemente assente) funzione strumentale si affiancano obiettivi rispetto ai quali sembra prevalere una dimensione espressiva: la scelta dell’azione (talora violenta ed eclatante), della vittima (si pensi alle

11 È recente l’enfasi che questi hanno ricevuto sia nelle premesse di intenzionalità e controllo razionale dell’azione (Searle, 2001), sia per quanto riguarda la verifica sperimentale delle ipotesi sui meccanismi automatici del comportamento sociale (Bargh e Chartrand, 1999; Bargh e Ferguson, 2000; Bargh, Chen e Burrows, 1996; Aarts e Dijksterhuis, 2000).

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“vittime designate” di molti serial killer), del tipo di arma sono casi in cui la “spiegazione strumentale” non soddisfa: in essi (si pensi a molti casi di omicidio) l’azione è prima di tutto “sociale” in virtù della prevalenza della dimensione espressiva su quella strumentale (De Leo e Bollea, 1984; De Leo, Bosi e Curti Gialdino, 1986). C’è sempre un referente simbolico-normativo, un destinatario dell’azione-comunicazione.

L’esperienza clinica e le indagini empiriche hanno mostrato come sul piano espressivo-comunicazionale siano individuabili quattro principali effetti che l’attore sociale anticipa attraverso la devianza:

- gli effetti Sé: si tratta di messaggi (proseguendo sul modello-metafora della comunicazione) che l’attore riferisce a se stesso come sistema agente e sulla sua organizzazione. Si immagini la situazione in cui un individuo agisce situazioni che poi rivede (come se fosse osservatore esterno a se stesso) e rispetto alle quali enuclea implicazioni, riferimenti, valutazioni: in questo senso, è possibile sostenere che egli invii messaggi al Sé agente e - rivedendosi - assume feedback sul proprio operato. Tale esemplificazione è coerente con l’approccio drammaturgico (Goffman, 1959; 1967) per cui ogni azione rappresenta anche una fonte di indicazioni su quell’identità che l’ha attuata12;

- gli effetti di relazione: sono connessi agli effetti Sé, ma riguardano in particolare la valenza comunicativa dell’azione compiuta all’interno di una relazione reale o immaginata, significativa per l’attore. In generale, comunicare qualcosa all’interno della relazione può significare ridefinirla in termini di ruoli e di dimensioni di potere: in chiave interazionista-simbolica, gli effetti di questo tipo possono riguardare direttamente la vittima o ciò che essa rappresenta (pensiamo ai reati omicidiari di tipo seriale, dove la vittima è spesso un bersaglio simbolico), ma possono essere rivolti ad altri sistemi di relazione dell’autore - significativi nella sua attuale fase di vita o rispetto alla sua storia passata13;

- gli effetti di controllo: possono essere considerati come una specificazione degli effetti relazionali, come riconducibili a una relazione specifica e particolare, quella con le agenzie di controllo (famiglia, forze dell’ordine) e con i sistemi normativi formali e culturali. Secondo la formulazione più classica dell’approccio etogenico, si può dire che l’azione sociale è sempre guidata da regole: l’azione deviante, in particolare, nel seguire delle regole deve necessariamente trasgredirne altre in contraddizione con le prime (De Leo e coll., 2004a; De Leo e Patrizi, 1999);

- gli effetti di cambiamento riconducono ad un’impostazione di taglio sistemico secondo la quale i rapporti fra individui e fra sistemi sono legati da criteri di interdipendenza: per questa ragione, ciascun cambiamento (inclusi quelli omeostatici, cioè diretti a ristabilire un equilibrio) apportato a una sola componente del sistema ha ripercussioni sull’intero sistema. Nello specifico contesto della devianza, «l’effetto che l’autore ricerca può andare nella direzione di “rompere” organizzazioni sistemiche (equilibri) che appaiono statiche, disfunzionali rispetto allo sviluppo di sé o, al contrario, è proprio la staticità ad essere ricercata e ipotesi di cambiamento, avvertite come minacciose, possono rappresentarsi come oggetto di contrasto. La cronaca mostra molti possibili esempi di azioni eclatanti in cui gli obiettivi di cambiamento (nel duplice senso di obiettivi ricercati o evitati) subordinano gli effetti più strumentali di eliminazione di figure o personaggi» (De Leo e coll., 2004a, pp. 45-52).

12 Gli studi sull’identità sociale, d’altra parte, offrono molti spunti in proposito con riguardo agli schemi di sé, alla gestione delle impressioni, alla conformità/negoziazione rispetto alle norme, alla costruzione e al mantenimento di un senso di coerenza di sé anche attraverso il riferimento ai gruppi di appartenenza (si vedano a titolo esemplificativo i recenti manuali in lingua italiana: Arcuri, 1995; Mannetti, 2002). 13 Si pensi, ad esempio, ai casi di violenza sessuale operata da un gruppo in cui è possibile leggere la valenza relazionale dell’azione secondo una duplice direzione: (a) verso la vittima con cui gli autori instaurano una relazionalità (reale o fittizia) distorta, (b) fra i componenti del gruppo, rispetto ai quali - ad esempio - il leader “comunica” il suo ruolo egemone nel determinare il destino della vittima e il gregario manifesta (nel peggiore dei modi, secondo criteri di accettabilità morale) la sua appartenenza al gruppo.

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3. La costruzione narrativa del Sé L’argomento del quale parleremo in questo paragrafo è collegato a quello del precedente.

Si tratta tuttavia di un collegamento che abbiamo rilevato empiricamente nel corso di svolgimento dello studio qui presentato e che ci sembra importante illustrare ai fini di un’accurata analisi della costruzione narrativa dell’azione deviante. Durante la conduzione delle interviste ci siamo infatti resi conto che i partecipanti inserivano – nel corso dei resoconti sulle azioni – importanti aspetti che li descrivevano sia con riferimento specifico all’evento remoto nel momento in cui si è svolto sia (e questa ci è sembrata la cosa più importante) per quanto riguarda le (auto)attribuzioni sviluppate nei mesi e negli anni successivi. In altre parole, la descrizione degli eventi narrati procedeva di pari passo alla presentazione di Sé in un duplice contesto (Tedeschi e Reiss, 1981) come è stato evidenziato anche da O’Connor (1995, p. 438):

Nella narrazione di un evento attuale si possono presentare non solo le azioni, ma anche il sé durante quegli eventi. In questo modo, nel contesto delle interviste, attraverso la cornice del resoconto di una storia, la narrazione dà una doppia lettura dell’agentività del parlante e del posizionamento – attraverso le azioni riferite e attraverso gli stati d’animo descritti

La costruzione narrativa dell’identità14 non può non dipendere dai contesti specifici in cui

viene effettuata: come ha scritto recentemente Mancini (2001, p. 263),

l’identità si costruisce attraverso un percorso a spirale dove ogni processo realizza prodotti che innescano nuovi processi in una logica di cambiamento continuo, ma non necessariamente e sempre nella direzione di uno sviluppo lineare. È difficile immaginare la realizzazione di questo percorso al di fuori dei contesti relazionali, sociali, storici e culturali in cui le persone vivono […]. Il contesto sociale forgia le immagini che le persone hanno di sé a diversi livelli: attraverso le interazioni più quotidiane ed immediate ed il gioco di reciproco rimando alle proprie immagini di sé; attraverso le appartenenze che definiscono il proprio posto e i propri ruoli all’interno della matrice sociale; […] L’identità non è tuttavia solo il prodotto di tali influenze, ma è anche creatività, innovazione, tensione aperta verso il futuro […] perché le influenze esterne acquistano significato e diventano parti dell’identità solo passando attraverso processi psicologici di tipo ricostruttivo.

Da questi primi introduttivi riferimenti è chiaro quale sarà il filo conduttore della ricerca

qui presentata: privilegeremo un approccio interazionista e costruzionista15 (Harré e Gillett, 1994) allo studio dell’azione (e del Sé) e a partire da questa scelta epistemologica di fondo guideremo il lettore attraverso i percorsi di ricerca sui metodi di rilevazione delle informazioni e della loro analisi fino alla presentazione di un impianto metodologico coerente con le scelte via via effettuate. Tutto ciò nella consapevolezza della parzialità del punto di vista adottato: è bene infatti precisare che gli studi sul Sé non sono riducibili agli approcci costruttivisti e narrativi (Mancini, 2001); in questa sede, abbiamo operato una scelta: di privilegiare un punto di vista specifico e di impostare un disegno di ricerca qualitativa coerente con esso.

14 È di fondamentale importanza precisare che nel corso di tutto il lavoro condotto i concetti di “Sé” e di “identità” sono utilizzati in maniera intercambiabile. Pur nella consapevolezza delle diverse tradizioni di ricerca e contesti applicativi, infatti, riteniamo che solo una prospettiva integrata potesse consentirci di cogliere sia la costruzione consolidata dell’immagine di Sé (con enfasi sulla storia pregressa e sugli eventi che hanno caratterizzato lo sviluppo della persona) sia gli aspetti di cambiamento, tensione al futuro e alla (ri)costruzione di questa immagine. Tale prospettiva è confermata in una recente monografia sull’argomento (Mancini, 2001). 15 Per proposte di impostazione e prospettive diverse di veda, ad esempio, il concetto di “Life Story Schema” (Bluck e Habermas, 2000; Habermas e Bluck, 2000; Habermas e Paha, 2001): secondo questo modello, pur non escludendo completamente le influenze culturali, la struttura narrativa del Sé fa fa riferimento a uno schema cognitivo interindividuale. McAdams, Diamond, de St. Aubin e Mansfield (1997) propongono invece una metodologia quantitativa per la codifica e l’analisi delle interviste autobiografiche.

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Secondo queste prospettive, il passato, il presente e il futuro sono collegati nella ricostruzione attuale che un attore-narratore opera in un contesto di resoconto (Hewitt, 1996)16. Si tratta, come è ovvio, di una duplice ricontestualizzazione del Sé: nella situazione in cui si sono svolti gli eventi, “lì e allora”, e nel presente della richiesta di fornire un resoconto, “qui e ora” (Bruner, 1990; Leone, 2001; Stame, 2004): nel tentativo di stabile una coerenza narrativa fra le due condizioni, è possibile che il soggetto rielabori la propria esperienza passata alla luce delle conseguenze che essa ha avuto e che (questo è un passaggio particolarmente cruciale rispetto al contesto di cui ci stiamo occupando) vengono rivisitate alla luce di nuovi obiettivi riformulate, adattate al dover rendere conto (Bruner, 2002; Lorenzetti e Stame, 2004).

Secondo Bruner (1990; 1991; Bruner e Weisser, 1995), la realtà - e tutti gli elementi in essa presenti - ha una struttura narrativa che consente al narratore di ancorare gli eventi a un modello consolidato, culturalmente disponibile, che favorisce l’interpretazione delle ambiguità e la comunicazione intersoggettiva17. Nella narrazione autobiografica, il soggetto attribuisce un significato alle sue azioni18 (Ornaghi, 1999; Ruth, Birren e Polkinghorne, 1996), confermando quindi il collegamento logico e teorico fra costruzione narrativa dell’azione e costruzione narrativa del Sé. La spinta a iniziare un percorso narrativo (impegnarsi nella ricostruzione, rischiare di cadere nelle trappole della memoria) è data un evento problematico: la difficoltà (uno degli elementi della c.d. “pentade scenica”), come argomenteremo più avanti, può consistere in un elemento tecnico della scena, ma – con particolare riferimento alla devianza, al contesto di applicazione della presente ricerca – è problematica anche l’attribuzione altrui di uno status deviante, il riconoscimento (spontaneo o forzato) di Sé come persona che non rispetta le regole della convivenza. Nel prossimo paragrafo ci occuperemo specificamente della collocazione interazionale e discorsiva del Sé e delle proprie azioni rispetto ai sistemi normativi condivisi (il concetto di “posizionamento discorsivo”).

Smorti (1997), che si è occupato della costruzione narrativa del Sé in quanto forma testuale, ha definito (rifacendosi a Sommers, 1992) - “narrazioni ontologiche” quelle relative alla descrizione della propria identità che si fondano sulla memoria autobiografica. Esse sono da sempre oggetto di studio della psicologia. Le “narrazioni concettuali” sono i modelli culturali, gli schemi, che vengono utilizzati per interpretare le narrazioni ontologiche. Esse sono tradizionalmente studiate in antropologia, in linguistica, in letteratura19 (nel prossimo paragrafo ci riferimento ad esse nei termini delle “story line”). Questa distinzione ci è utile per introdurre il tema della circolarità che si instaura, in primo luogo, fra eventi e modelli interpretativi ma anche e soprattutto fra narratore e ascoltatore: ogni ricostruzione di Sé è sempre inserita in un contesto di altri attori cui il narratore - esplicitamente o implicitamente - rivolge la sua autodescrizione. Tale contesto fornisce le coordinate al primo (il narratore) per dare una forma (discorsivamente e narrativamente) adeguata al modello condiviso con i secondi (gli ascoltatori) e ad essi per reinterpretare il messaggio, ancorarlo al già noto, anticiparne gli sviluppi:

Il processo di interpretazione comporta un particolare tipo di rapporto tra soggetto conoscente ed oggetto: questo rapporto non avviene in senso lineare (soggetto oggetto), ma circolare. Il soggetto conosce l’oggetto attraverso un processo di comprensione basato sull’assunzione di un punto di vista. Questo punto di vista, o presupposto dal quale il soggetto parte, non è altro che il contesto che egli sceglie per inquadrare l’oggetto. In questo modo l’oggetto può essere compreso solo in rapporto ad un contesto, ma questo contesto a sua volta viene

16 A questo riguardo, l’Autore ha sostenuto che «la realtà della persona è individuale e sociale, ancorata alle numerose situazioni della vita quotidiana e creata nuovamente in ogni situazione e nelle biografie che ognuno si costruisce o che altri costruiscono per lui o lei» (Hewitt, 1996, trad. it. 1999, p. 100). 17 Su questo tema si vedano anche Smorti (1997) e Sarbin (1986a). 18 In linea con quanto descritto nel paragrafo precedente. 19 L’articolazione di Sommers (1992), ripresa da Smorti (1997), è in realtà quadripartita e include anche le “narrazioni pubbliche” e le “metanarrazioni”.

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modificato dal significato che viene attribuito all’oggetto. Così fra oggetto e contesto si attiva un processo circolare senza che sia in effetti possibile stabilire un vero punto di partenza (Smorti, 1997, p. 13).

Nell’ultimo capitolo, questo aspetto della “situatività” delle argomentazioni sul Sé e sulla

propria azione sarà evidente: i partecipanti alla ricerca hanno infatti fatto ampiamente uso di repertori di significati contestualmente idonei a “riferire” sulla propria azione senza compromettere l’immagine di Sé. Ci riferiamo, specificamente, alle tecniche di neutralizzazione della norma (vedi infra cap. 4 § 6), che verranno discusse nella loro applicazione specifica all’ambito di ricerca nel contesto penitenziario.

Il considerare la narrazione autobiografica come un testo ha due ordini di conseguenze: 1. da una parte, come sottolinea lo stesso Smorti (1997), rende necessario un processo di

interpretazione intesa come processo di attribuzione di intenzioni all’autore (del testo e dell’azione, allo stesso tempo). Considerare la narrazione autobiografica come testualizzabile significa operare nei suoi confronti gli stessi procedimenti interpretativi che si mettono in atto con qualunque altro testo. Ma con una importante particolarità: che le intenzioni del dell’autore di un testo (supponiamo letterario) sono diverse da quelle dell’autore di un “testo che parla di un reato e di chi lo ha commesso”: in questo caso infatti la dissimulazione, la creazione di un falso contesto storico, il gioco delle accuse e delle giustificazioni (come abbiamo descritto nel paragrafo sull’accountability, § 1.2 in questo capitolo) rendono difficile e complessa l’interpretazione dell’azione, delle intenzioni del suo autore e l’anticipazione delle conseguenze seguendo un modello condiviso. Sembrerebbe quasi superflua una sottolineatura del concetto di “attribuzione di intenzioni” dal momento che stiamo trattando di un contesto, quello penale in cui l’imputazione di responsabilità per un’azione delittuosa è assolutamente centrale. Tuttavia, come argomenteremo più avanti, la costruzione narrativa dell’azione deviante e dell’attore (cioè, le argomentazioni che un autore di reato utilizza per descrivere se stesso e il reato che ha commesso) ha qualcosa di diverso dal testo letterariamente inteso: - dal punto di vista dei contenuti ha un obiettivo palesemente strategico, quello di presentare come “giustificabile” un’azione penalmente rilevante, - dal punto di vista delle strutture narrative, ha delle configurazioni che non sono state ancora adeguatamente analizzate nella ricerca criminologica e psicologico-sociale;

2. dall’altra parte, il metodo di analisi di un testo di questo tipo non può prescindere dal fatto che esso è ottenuto in una situazione dialogica in cui un intervistatore/ricercatore e un intervistato/detenuto si incontrano e concordano di esplorare - per obiettivi di conoscenza del primo – qualcosa che attiene alla sfera esistenziale del secondo20. L’impostazione metodologica (e ancora prima quella epistemologica) deve essere adeguata a cogliere la complessità dei processi (discorsivi, interpretativi, logici) implicati. In tal senso, come argomenteremo in tutto il cap. 4, la proposta del complesso impianto metodologico è un tentativo di completare i modelli esistenti per le analisi delle informazioni qualitative, modelli consolidati nella ricerca psicologico-sociale che hanno favorito una caratterizzazione della ricerca qualitativa come ancillare rispetto a quella quantitativa. Nel cap. 3 verranno descritti metodi con fondamenti teorici che solo in tempi recentissimi sono entrati nel campo di applicazione della ricerca in psicologia sociale.

Smorti (1997), inoltre, fa una precisazione che - alla luce dei nostri obiettivi - ha un’importanza fondamentale:

L’attribuzione di significato al testo (orale o scritto) richiede dunque un esame delle intenzioni del suo autore, le quali, a loro volta potranno essere meglio comprese se collocate in un contesto, ad esempio, quello fornito dalle altre opere. Questo apparente allontanamento dal testo, lungi dal determinare uno smarrimento di senso, porterà un arricchimento che contribuirà ad una migliore interpretazione di quel brano e consentirà di decidere se l’autore aveva voluto dire effettivamente quello che noi abbiamo pensato di capire. […] Questa attribuzione di

20 Fra i tanti possibili riferimenti sull’intervista intesa come processo di costruzione delle conoscenze si veda Furlotti (1998).

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intenzionalità è indispensabile non solo per un’adeguata comprensione del significato delle affermazioni contenute nel testo, ma anche per l’interpretazione del significato delle azioni (ibidem, p. 22).

Il legame fra analisi del testo e analisi dell’azione - che abbiamo ipotizzato di poter

studiare - è confermato almeno a livello teorico. Rimane da identificare il livello di specificità/generalità dell’unità di analisi. Secondo la Teoria degli atti linguistici (Austin, 1962; Ninio, 1986), le parole - in virtù della loro forza illocutoria - consentono di fare concretamente delle cose: ma a quale livello dell’articolazione del parlato è possibile rintracciare questo collegamento fra testo e azione? A un livello di analisi (che possiamo definire “micronarrativo”), gli studiosi si sono occupati dell’uso che nella costruzione narrativa viene fatto dei pronomi e delle forme verbali (Harré, 1989b; 1995a,b; 1998; Shotter, 1989; Lorenzetti, 2004; De Fina, 2004). Si tratta di un focus che in questa sede scegliamo di non utilizzare perché complessificherebbe notevolmente il collegamento fra aspetti teorici ed empirici della narrazione: gli studi in questo settore infatti sono stati svolti prevalentemente nei Paesi di lingua e cultura anglosassone per cui (a causa di un’eccessiva specificità rispetto alle convenzioni linguistiche e culturali del parlato) sarebbero di difficile applicazione nel contesto italiano. Riteniamo pertanto che il livello di studio dell’uso dei pronomi e delle forme verbali, sebbene indicativo di una possibile costruzione narrativa del Sé, non sia adeguato per lo studio dell’azione.

La prospettiva degli approcci afferenti all’analisi della conversazione e alla psicologia discorsiva (Bonaiuto e Fasulo, 1998) mantengono l’interesse per un’unità di analisi a un basso livello di astrazione. Da una parte, la “sequenza conversazionale”, il “turno”, le “sovrapposizioni”, la “coppia adiacente” sono i focus dell’attenzione degli studiosi conversazionalisti: l’enfasi è sulla struttura delle argomentazioni e sulle modalità con cui lo scambio comunicativo viene attuato; dall’altra, i “dispositivi retorici” e i “repertori linguistici” consentono di analizzare i contenuti delle argomentazioni. In entrambi i casi, tuttavia, il ricercatore non ha l’accesso ai significati più ampi, a un livello di astrazione più elevato, non ha – a nostro avviso – l’accesso all’intellegibilità dell’azione. Nel cap. 4, esporremo la nostra proposta riguardante la scelta dell’unità di analisi.

Per il momento, riteniamo utile riportare i rilievi critici che Bruner (1990, trad. it. 1992, p. 101) muove al procedimento di scelta di un impianto metodologico per lo studio del Sé:

È ormai chiaro che la ricerca in qualsiasi campo produrrà dati che rispecchiano le procedure sperimentali usate nell’osservazione o nella misurazione. La scienza inventa una realtà che si adatta alla teoria. Quando noi “confermiamo” la nostra teoria per mezzo di “osservazioni”, non facciamo altro che escogitare procedure che andranno a corroborare tale plausibilità.

3.1 Il posizionamento discorsivo Una proposta completa e organica sulla costruzione narrativa del Sé è la Teoria del

posizionamento proposta a partire dagli anni ‘90 da Harré (Davies e Harré, 1990; Harré e van Langenhove, 1999a; Harré e Moghaddam, 2003a). Il termine “posizionamento” è mutuato dal linguaggio del marketing: indica la collocazione di un prodotto o di un servizio nel panorama commerciale comprendente sia le proposte delle ditte concorrenti sia i prodotti di linee differenti dello stesso brand. Più esattamente, con il termine “Positioning Theory” si intende l’impostazione teorica e metodologica per lo studio delle ricostruzioni (operate in situazioni discorsive) del Sé, degli interlocutori e dei sistemi di relazione a cui l’individuo appartiene (Wortham, 2000; Georgakopoulou, 2000; Bamberg, 1997; 1999; Lucius-Hoene e Deppermann, 2000; Bercelli, 2004). In psicologia, consiste in una cornice concettuale e metodologica in base alla quale l’individuo si colloca, per mezzo di pratiche discorsive, in un sistema di coordinate che ne identificano e limitano le possibilità d’azione: «un posizionamento implicitamente limita l’entità ciò che è logicamente possibile dire e fare e delimita adeguatamente una parte del repertorio delle azioni possibili in un dato momento in un contesto specifico, incluso ciò che riguarda gli altri. Questo è il confine delle azioni socialmente consentite» (Harré e Moghaddam, 2003b, p. 5). La posizione costituisce uno dei

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tre vertici del c.d. “triangolo posizionale” (Harré e Moghaddam, 2003b; Harré e van Langenhove, 1992) costituito anche dalle strutture degli atti (o delle azioni) linguistiche e dalla “story-line”, che secondo Harré e Moghaddam, 2003b, pp. 5-6) sono definibili nei termini seguenti:

- “Posizione”: un insieme di diritti e doveri per svolgere determinate azioni con specifici significati, gli

atti, ma che possono anche includere proibizioni o divieti di accesso ad alcuni repertori locali di atti significativi […].

- Atti linguistici e altri atti: ogni azione socialmente significativa, movimento deliberato, ogni parola deve essere interpretato come un atto, un comportamento socialmente espressivo e significativo. Una stretta di mano è un’azione intenzionale: esprime un saluto, un addio, congratulazioni, suggella un accordo, o qualcos’altro? Ha un significato solo all’interno dell’episodio in cui è inserito. Una volta interpretato soggiace alle regole e agli standard di correttezza, non solo per se stesso ma anche per l’adeguatezza delle sue premesse e conseguenze.

- Story line: […] gli episodi sociali non si sviluppano in maniera casuale. Tendono a evolversi ripercorrendo pattern già consolidati, che - per convenienza - sono stati chiamati story line. Ognuna di esse è esprimibile in un ampio insieme di convenzioni narrative21.

Il posizionamento è dunque un processo in divenire la cui caratterizzazione momento per

momento dipende dalla configurazione che assumono i tre elementi appena descritti: la loro interrelazione dà forma all’azione discorsiva (figura 2) mediante la quale l’attore sociale descrive sé e gli altri (“posizionamento di primo livello”) ed è a sua volta ricollocato nel sistema sociale dai discorsi altrui (“posizionamento di secondo livello”)22 secondo le formulazioni di Harré e van Langenhove (1992):

Fig. 2: Azione discorsiva tripolare nel posizionamento di primo livello (le frecce nere) e di secondo livello (le frecce grigie) [fonte: Boxer, 2003, p. 256]

Una “posizione” è un complesso insieme di auto- ed eteroattribuzioni, variamente

strutturate ma sempre discorsivamente veicolate, che servono a identificare l’attore sociale all’interno di un contesto (gruppo, comunità, classe sociale): tale caratterizzazione attiene specificamente alla assegnazione flessibile23 di sistemi di diritti e doveri, di obblighi verso altri individui e di crediti sociali24 da essi assunti (Harré e van Langhenove, 1999c).

21 Il concetto di “story line” in quanto modello narrativo consolidato è stato precisato implicitamente anche da Bruner (2002, p. 102-103) che ha affermato «Le trasgressioni dell’ordinario, una volta addomesticate narrativamente, recano l’impronta della cultura, […] un’approvazione in forma di “Oh, ecco di nuovo la vecchia storia”. Una volta nobilitate come genere o come “roba vecchia”, esse divengono legittimate e interpretabili come trasgressioni o infortuni o errori di giudizio umano - il figlio integrato, il coniuge infedele, il servitore ladro. Diventano l’imprevisto di repertorio e noi ci facciamo consolare che sotto il sole non ci sia nulla di nuovo». 22 Dobbiamo precisare per completezza che è possibile un “terzo livello di terzo livello”, quello operato da un osservatore esterno che assiste all’evento (come farebbe il telecronista di un evento sportivo: Boxer, 2003). 23 «L’agente è tematizzato come un insieme di collocazioni soggettive, che non hanno una relazione predeterminata l’una rispetto alle altre e non possono essere fissati in nessun tipo di unità stabile» (Törrönen, 2001, p. 314). 24 Si veda a questo riguardo il concetto di “capitale sociale” (Putnam, 1993; 2000) che – pur non essendo esplicitamente collegato dagli Autori all’interno della cornice teorica della Teoria del Posizionamento – ci sembra mostrare ampi margini di sovrapposizione:

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Tale dinamismo (al quale tutti gli scritti citati in questo paragrafo fanno più o meno direttamente riferimento) ha portato Boxer (2003) ha proporre un’analogia fra i processi sociali implicati nel posizionamento e le leggi fisiche sui campi magnetici: le dinamiche che si instaurano fra generatori elettrici che causano campi magnetici sono simili alle “forze” che i componenti la scena sociale mettono in campo. Il risultato di questo gioco di componenti è – metaforicamente – un “flusso sociale”. Ma quali sono esattamente questi aspetti della vita sociale che innescano processi posizionali? Secondo le più recenti riformulazioni delle proposte originarie, si tratta di un complesso sistema di dimensioni interagenti (figura 3):

- il sistema locale (ma culturalmente condizionato) dei diritti25, - i doveri e gli obblighi legati ai ruoli sociali ricoperti, - le azioni (discorsive e non) attuate in contesti pubblici e nei discorsi interiori, - l’ordine morale del contesto specifico.

Fig. 3: Interazione fra le componenti del sistema sociale nella formazione ed evoluzione dell’azione discorsiva (fonte: Boxer, 2003, p. 259)

Come prodotto discorsivo (emergente cioè dalle pratiche comunicative quotidiane), il

posizionamento ha la caratteristica di essere sempre in qualche modo contrattato (ridefinito, culturalmente condizionato dalle prassi narrative consolidate) sulla base delle interazioni con altri (Tschuggnall, 1999): è una concezione che si inscrive esplicitamente nell’approccio etogenico (Davies e Harré, 1999; 1990; Harré, 1977) e in un panorama costruzionista (Harré, 2002; Boxer, 2003; Howie e Peters, 1996), ma con delle importanti distinzioni rispetto alle proposte più estreme del costruzionismo sociale (Gergen, 1985). Allo stesso tempo infatti ha una connotazione intraindividuale nella misura in cui ciascun individuo, da una parte, ha un ruolo attivo nella ridefinizione dei posizionamenti di Sé operati da altri (svilupperemo più in dettaglio a breve questa affermazione) e, dall’altra, allestisce una rappresentazione di sé anche nei “discorsi privati”, nella conversazioni locali fra sé e sé. In tal senso, è stato definito “posizionamento riflessivo” (Moghaddam, 1999; Harré e van Langhenove, 1999c; Jones, 1997; Tan e Moghaddam, 1995; Taylor, Bougie e Caouette, 2003) e spiegato nei termini seguenti:

allo stesso modo in cui gli aspetti autobiografici delle conversazioni sono il requisito fondamentale per il posizionamento interpersonale, quello riflessivo è un processo l’individuo - intenzionalmente o non intenzionalmente - si colloca in una storia personale raccontata a se stesso. Questo processo può assumere varie forme, la più elaborata delle quali potrebbe essere la scrittura di un diario o di una autobiografia. Poche vite, comunque, sono scritte in queste forme: la maggior parte sono presentate “localmente”, come frammenti di storie personali di un parlante rese manifeste a se stesso. L’autovalutazione di una propria prestazione, la giustificazione per aver condotto una certa azione, l’attribuzione di azione a forze soprannaturali, la spiegazione data a se stessi per essere stati da altri in un modo o nell’altro (e la risposta che supponiamo di ricevere dall’ascoltatore) sono esempi del modo in cui ciascuno posiziona se stesso per se stesso nell’arco della

25 Ulteriori specificazioni e dettagli sui concetti di “diritto” e “dovere” e sulle loro implicazioni di carattere culturale si vedano Moghaddam, Slocum, Finkel, Mor e Harré (2000) e Bathia (2000).

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giornata. Infatti, ciascuno inevitabilmente colloca se stesso nei discorsi interni che produce (Moghaddam, 1999, p. 75-76).

A nostro avviso, il concetto di posizionamento discorsivo apre prospettive di ricerca e

percorsi di riflessione che non sono stati precedente tenuti in considerazione nella ricerca classica sul Sé secondo gli approcci socio-cognitivi. Dalla prospettiva proposta infatti emerge un attore attivo costruttore di immagini di Sé con un ruolo tanto più attivo quanto più variegate e complesse sono le situazioni sociali che incontra: l’ottica del posizionamento consente di superare la staticità delle letture precedenti in base alle quali il Sé era definibile con riferimento a uno schema cognitivo, a una struttura solo parzialmente variabile nel corso dell’arco di vita, ma sostanzialmente stabile e coerente nelle diverse situazioni quotidiane. L’immagine di un Sé dentro il sistema cognitivo della persona, che può essere richiamato alla memoria e che è soggetto a distorsioni (“biases”), non soddisfa i sostenitori degli approcci narrativi (Sarbin, 1986a,b) e gli stessi teorici del posizionamento26. Secondo costoro, infatti, il ricercatore dovrebbe occuparsi della ricostruzione narrativa che il soggetto opera di Sé in situazione rispetto a una serie di eventi passati ma allo stesso tempo dovrebbe rilevare la descrizione che emerge dalla stessa situazione in cui la rievocazione è richiesta (durante un’intervista, un colloquio, in un’autobiografia, in un discorso pubblico, etc.) e in collegamento con i posizionamenti operati da altri (Mishler, 1986a).

In secondo luogo, inoltre, è necessario ripensare alla “veridicità storica” della narrazione autobiografica. Lucius-Hoene e Deppermann (2000) hanno puntualizzato efficacemente questo problema: secondo gli Autori, quando un individuo narra una storia autobiografica è convinto di farlo rispettando una verità storica (ad esempio, seguendo adeguatamente l’ordine cronologico27, collocando ogni evento e ogni personaggio al proprio posto e così via); tuttavia, anche il fatto stesso di produrre una narrazione autobiografica all’interno di una situazione di ricerca ha l’implicazione di indurre nel narratore la tendenza a collegare gli elementi dello scenario in modo che il quadro complessivo appaia coerente e a fornire un’immagine di Sé quanto più possibile positiva (Brockmeier, 1999; Tedeschi e Reiss, 1981):

Le interviste narrative mettono di fronte all’intervistato la necessità di fornire un resoconto rappresentativo della sua identità narrativa. Le narrazioni quotidiane, comunque, solo molto di rado meritano di essere considerate rappresentazioni biografiche complete. […] Dunque le narrazioni che emergono nelle interviste a scopi di ricerca devono essere considerate come artefatti scientifici che richiedono specifiche attività e abilità riflessive e comunicative. Al narratore è richiesto di assumere un nuovo punto di vista (che può essere meravigliato o imbarazzato) sulla propria vita e questo obiettivo può essere piacevole e gratificante, ma anche frustrante o deprimente (Lucius-Hoene e Deppermann, 2000, p. 205).

Si tratta di considerazioni che suggeriscono cautela anche nell’utilizzo delle interviste

narrative e che dimostrano che l’artificiosità delle situazioni empiriche (la distanza da contesti reali) è comune sia agli approcci positivistico-quantitativi che a quelli costruzionistico-qualitativi. Nella consapevolezza che non esiste una soluzione tecnica che risolva il problema della discrasia fra verità storica e verità narrativa, nel corso del lavoro qui presentato scegliamo di privilegiare la seconda: optiamo cioè per la considerazione delle narrazioni (che verranno analizzate e che sono state rilasciate dai partecipanti alla ricerca) come “verità narrative”, intendendo con questo termine la fedeltà del resoconto solo ai criteri di coerenza, plausibilità e realismo che il narratore ritiene funzionali alla costruzione di un’adeguata immagine di Sé e della propria condotta. In altri termini, non ci porremo mai il quesito se i fatti che vengono raccontati siano più o meno reali, più o meno veri, ci chiederemo semmai quale significato il narratore intende veicolare nella formulazione di quella esatta versione dei fatti.

26 In particolare, la tesi che stiamo trattando è sviluppata in Harré e Van Langenhove (1999c) e Van Langenhove e Harré (1993). 27 Brockmeier (1995a,b; 2000).

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Questa scelta ci consente peraltro di valorizzare il collegamento virtuoso fra modello teorico dell’azione e degli effetti comunicativi (§ 2.1 in questo capitolo) e posizionamento discorsivo così come è stato definito in questo paragrafo: il tema dei significati (o, meglio, i “temi significativi”) è l’elemento di congiunzione che dà coerenza e pertinenza all’intero sfondo teorico: in questo senso, abbiamo avuto modo di confrontarci con l’Autore di entrambi i modelli, il prof. Rom Harré (comunicazione personale), che ha confermato in una recente corrispondenza l’utilità di stabilire un collegamento empiricamente fondato fra narrazione sull’azione e posizionamento discorsivo.

Come abbiamo accennato in precedenza e come evidenziato già dai primi articoli sulla teoria (Davies e Harré, 1990; Harré e van Langenhove, 1992) il posizionamento discorsivo viene esplicitamente proposto come l’alternativa “costruzionista” al concetto di “ruolo”: quest’ultimo infatti veicola una sorta di staticità nella definizione dell’identità in senso psicologico-sociale. In particolare, il posizionamento - rispetto al ruolo - focalizza l’attenzione sui processi e sull’evoluzione:

dobbiamo chiederci se i concetti di “ruolo” e “posizione sociale” possano essere usati nell’analisi delle interazioni della vita quotidiana in maniera complementare a quello di “posizionamento”, oppure se semplicemente occupano porzioni delle stesse aree concettuali. Ruolo e posizionamento sono collegati […] nel senso che “un ruolo” sta al “posizionamento” come “colore” sta a “rosso”. Un altro ruolo può essere collegato ad altri posizionamenti come “figura” sta a “quadrato”, etc. Adottando o avendo assegnato un ruolo fisso, sono possibili solo una gamma di posizionamenti compatibili con quel ruolo. La posizione sociale e il posizionamento sono a volte complementari […] Certamente avere una posizione sociale in un conversazione o in qualunque altra interazione sociale significa al tempo stesso avere un posizionamento il suo utilizzo può richiedere l’esplicitazione o l’attribuzione di caratteristiche personali che non sono rilevanti per il raggiungimento di una posizione sociale (Harré e van Langenhove, 1999b, p. 195-196).

Analogamente, i concetti di “episodio” e di “sequenze d’azione” (che si leggono spesso

negli articoli riferiti al posizionamento) non sono sovrapponibili agli analoghi proposti da Goffman (1967) in quanto il lavoro di quest’ultimo «si è focalizzato principalmente sulle interazioni fra individui e l’ambiente sociale in cui operano. Poca attenzione è stata posta agli aspetti generali delle interazioni fra le persone, data la situazione in cui essi stessi si trovano» (Harré e Van Langenhove, 1999c, p. 60, corsivo nostro).

Dal punto di vista metodologico, i sostenitori della teoria del posizionamento si dedicano

all’analisi – prevalentemente con metodi interpretativi - dei testi, dei discorsi e delle conversazioni in cui si assume che vengano riportate rappresentazioni di individui e gruppi. Gli obiettivi di ricerca devono tenere conto della complessità del modello di riferimento: «specificamente, la teoria del posizionamento fornisce un framework per l’esplorazione dei significati condivisi dagli individui. Il livello di analisi adeguato deve aver luogo nei discorsi» (Taylor e coll., 2003, p. 204) mediante i quali gli individui si scambiano, contrattano e ricostruiscono reciprocamente “pezzi di rappresentazioni sul mondo e sulla propria identità”.

Harré e van Langenhove (1992) hanno dedicato ampio spazio alle implicazioni metodologiche della teoria del posizionamento. Le considerazioni più rilevanti, a nostro avviso, sono quelle relative alla temporaneità delle collocazioni posizionali: trattandosi di proprietà fortemente ancorate alle pratiche discorsive, esse hanno una natura talvolta effimera (che dipende da molteplici fattori non sempre facilmente riconoscibili e codificabili), altre volte possono essere tanto radicate da risultare addirittura non modificabili (rappresentazioni stereotipiche o pregiudiziali: cfr. van Langenhove e Harré, 1995b; 1999a). Inoltre, se il posizionamento è rilevabile nelle produzioni discorsive che dinamicamente vengono scambiate fra gli attori sociali, allora un elemento importante per l’impostazione dei progetti di ricerca sta nella concezione che lo scienziato sociale ha del comportamento e della natura umana (“real life behaviour”).

Infine, come hanno sostenuto Harré e van Langenhove (1992, p. 405)

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È importante evidenziare che, così come tutte le conversazioni coinvolgono sempre una sorta di posizionamento, l’atto conversazionale dell’intervistare o chiedere a qualcuno di rispondere alle domande di un questionario, deve necessariamente essere inteso nei termini della triade “posizione-atto linguistico-story line”. Ciò significa che concetti come “atteggiamento” o “tratto” hanno un senso nella misura in cui si ritiene che c’è qualcosa di personale che può essere rilevato dallo scienziato sociale. Chiedere a qualcuno di rispondere sul locus of control, per esempio, o sui comportamenti autoritari è una forma di posizionamento e deve essere intesa come tale: ci dice qualcosa su come le persone si posizionano nel rispondere a un questionario somministrato da un ricercatore.

Oltre alle dimensioni descritte, gli Autori hanno adottato ulteriori differenziazioni che distinguono fra:

- il posizionamento operato nei confronti di altri individui o di collettività nel qui e ora o in una ricostruzione narrativa,

- la simmetricità/asimmetricità e la concordanza/discordanza dei posizionamenti reciproci fra attori in interazione,

- la collocazione deliberata, o al contrario imposta da altri. Si tratta, come è evidente, di diversi criteri di classificazione delle dimensioni teoriche che

caratterizzano il posizionamento discorsivo. Come filo conduttore del presente lavoro e al fine di operazionalizzare adeguatamente il modello, riteniamo utile descrivere brevemente le dimensioni che - trasversalmente ai diversi contributi citati - consentono di applicarlo alla ricerca qui descritta. L’obiettivo (circoscritto a questa fase ma coerente con gli scopi generali della ricerca) è quello di definire un “modello di posizionamento” che caratterizzi le narrazioni nei contesti legali: in accordo con Harré e van Langenhove (1995), infatti, cercheremo di delineare un modello ideale condiviso di collocazione posizionale nei contesti legali28:

gli stereotipi sono evidenti come posizioni e come personaggi nelle story line nei discorsi di tutti i tipi. In questo modo, il terzo elemento nel triangolo posizionale, la story line, può essere interpretata come veicolo di stereotipi. Una story line, o uno stile narrativo, incorpora non solo un corso di eventi […] ma anche di personaggi. […] per la ricerca da qui avviata c’è una grandissima opportunità, quella di identificare e classificare il tipi di personaggi che figurano nelle presentazioni discorsive di storie controverse come – ad esempio – i dibattiti scientifici, i discorsi sull’ambiente e cosi via (Harré e van Langenhove, 1995, p. 369).

A partire dal pionieristico articolo di Davies e Harré (1990; cfr. anche Harré, 1984), le

dimensioni prevalenti29 sono state identificate in: - ordine morale: indica il posizionamento rispetto ai sistemi culturali e locali di doveri e

diritti, obblighi e crediti; include le attribuzioni, le credenze, gli atteggiamenti, i valori; - ordine sociale: indica il posizionamento rispetto al sistema degli interlocutori (si veda il

concetto di “matrice condizionale” nel cap. 3 § 1.2) secondo le declinazioni di tipo sociologico-anagrafico, i ruoli agiti e vissuti, le collocazioni storiche e attuali,

- ordine spaziale: indica la collocazione in un contesto reale delimitato da confini e caratterizzazioni definite; corrisponde alla localizzazione fisica dell’evento narrato;

- ordine temporale: indica il posizionamento in un momento storicamente definito e ridefinibile narrativamente; dal punto di vista della rilevazione empirica, corrisponde la collocazione in un duplice contesto: quello del momento in cui si sono svolti i fatti (“lì e allora”) e quello della rievocazione narrativa attuale (“qui e ora”).

28 Questo obiettivo di definizione di un modello generale non significa tuttavia dimenticare la natura situazionale dei posizionamenti discorsivi (così come sono stati fin qui descritti): ci riferiamo infatti a un modello valido per il gruppo specifico di rispondenti considerando essi come rappresentanti (non rappresentativi) dei detenuti che hanno compiuto reati analoghi. Le narrazioni prodotte hanno quindi (come verrà ampiamente descritto nel cap. 2) carattere situazionale, costruttivo di (e costruito in) contesti specifici pur nella generale tendenza programmatica verso la definizione di un modello condiviso fra i partecipanti della ricerca. 29 Precisiamo - anticipando un argomento che verrà approfondito in seguito (cap. 3 § 1.2) - che il “livello di astrazione” delle dimensioni è relativo alla distanza concettuale, logica e operativa fra i concetti (e le dimensioni che li compongono) e gli indicatori empirici rilevabili.

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Rimandando agli Autori per ulteriori approfondimenti (e per le distinzioni concettuali fra posizionamento di primo e di secondo ordine, tacito o intenzionale, “performative/accountive positioning”), ci preme tuttavia ricordare l’ampia gamma di applicazioni che la teoria ha avuto negli ultimi anni: gli studi sulla personalità (Davies e Harré, 1990; 1999), la definizione delle identità di genere (Moghaddam, Hanley e Harré, 2003; McKenzie e Carey, 2000; Lynn Adams e Harré, 2001; 2003), le relazioni interculturali (Slocum e van Langenhove, 2003; Tan e Moghaddam, 1995; 1999; Moghaddam, 1999), l’uso di stereotipi (van Langenhove e Harré, 1999a; 1995), la struttura delle argomentazioni scientifiche (van Langenhove e Harré, 1999b), la costruzione narrativa dell’identità sociale, nazionale o professionale (Harré e van Langenhove 1992; 1999c; Berman 1999; Carbaugh, 1999; Taylor e coll., 2003; Phillips, Fawn e Hayes, 2002), la partecipazione alle comunità di pratiche lavorative (Linehan e McCarthy, 2000), il linguaggio della progettazione e valutazione delle tecnologie (van Langenhove e Bertolink, 1999), la comunicazione mediata da nuove tecnologie (Riva e Galimberti, 1997), lo studio delle opinioni pubbliche conflittuali (Harré e Slocum, 2003a,b), la costruzione narrativa del disagio e della malattia (Sabat, 2003; Wetherell, 2003; Sabat e Harré, 1999; Wortham, 2000; Georgakopoulou, 2000), l’espressione delle emozioni e delle motivazioni (Apter, 2003; Gerrod Parrott, 2003; Walton, Coyle e Lyons, 2003; Benson, 2003).

In conclusione, la teoria del posizionamento offre una ampia e complessa chiave di lettura degli eventi quotidiani così come li vede e li descrive un attore-osservatore partecipante che nella definizione della situazione (implicitamente o esplicitamente) narra pezzi della sua identità in quel contesto; è possibile che il lettore di queste pagine ne ricavi un’idea di vaghezza e scarsamente approfondito impianto metodologico e, in effetti, gli stessi autori ne precisano natura e obiettivi:

La teoria del posizionamento non dovrebbe essere ritenuta una “teoria generale” che richiede un’applicazione deterministica a specifiche applicazioni. Non è come la teoria gravitazionale. Piuttosto, può essere considerata come un punto di partenza per riflettere su molti differenti aspetti della vita sociale (Harré e van Langenhove, 1999d, pp. 9-10).

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Background metodologico

Non c’è niente di più pratico di una buona teoria.  

Kurt Lewin (1890‐1947) 

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Capitolo 2 - I metodi e gli strumenti Stando alle premesse teoriche descritte in precedenza, diventa chiaro come - dal punto di

vista metodologico - la scelta debba indirizzarsi verso metodi e tecniche di ricerca capaci di cogliere e valorizzare la complessità dell’oggetto di studio.

La nostra attenzione si dunque è orientata verso la ricerca qualitativa e le tecniche di rilevazione delle informazioni di tipo narrativo. Descriveremo adesso brevemente, nel primo paragrafo, questo contesto (che abbiamo chiamato background metodologico) e le ragioni della scelta. Ci dedicheremo poi, nel secondo paragrafo alla discussione dei “modelli culturali” più generali che fanno da sfondo alla ricerca presentata nel prossimo capitolo. Infine, faremo una rassegna delle tecniche specifiche di rilevazione (le interviste narrative) e di analisi delle informazioni (analisi delle strutture e analisi dei contenuti).

1. I metodi qualitativi Sotto il profilo epistemologico e metodologico, la posizione di chi scrive è caratterizzata da

una preferenza per i metodi qualitativi. Non è questa la sede per rispolverare la vecchia (forse ormai superata) dicotomia fra

metodi qualitativi e metodi quantitativi, ovvero fra orientamenti positivi (e post- o neopositivisti: Mannetti, 1998; Guba e Lincoln, 1994) e orientamenti (socio)costruzionisti (Gergen, 1985; 2004; Kruglanski e Jost, 2000). Ci limitiamo qui a sottolineare alcuni termini salienti del dibattito più recente, che - più che esacerbare ed enfatizzare le differenze - cerca di ricomporle in un coerente quadro dei rispettivi obiettivi e delle implicazioni sulla natura della conoscenza. Come sostiene Mazzara (2002, p. 23), «l’opposizione fra le due modalità di concepire la scienza, e più in generale la conoscenza, è molto meno radicale e netta di quanto potrebbe apparire»: nonostante le resistenze che ancora da più parti si registrano, infatti, i diversi filoni di studio sembrano poter essere collocati lungo il continuum delle polarità con posizionamenti graduati e intermedi.

Su questo tema Mazzara (2002, pp. 26-27), le cui riflessioni condividiamo pienamente, afferma che

si può osservare una contrapposizione fra concezioni definibili rispettivamente come minimaliste e massimaliste […]. Per le prime la scelta fra quantità e qualità è solo un problema di metodo, o addirittura di tecnica, e ciascuno può legittimamente utilizzare metodi diversi, anche in combinazione tra loro, in funzione degli scopi della ricerca o della specifica fase in cui ci si trova, ma anche in funzione del tempo e delle risorse che si hanno a disposizione, senza che questo implichi scelte di base a livello epistemologico. Per le seconde, al contrario, il contrasto è in primo luogo un’opposizione fra paradigmi interpretativi, sicché i due mondi della quantità e della qualità esprimono scelte di campo diverse e per molti aspetti incompatibili circa la natura stessa della conoscenza. La prima opzione, sovente descritta in termini di “eclettismo metodologico”, ha raccolto numerose critiche, centrate sul carattere eccessivamente pragmatico o in qualche caso addirittura opportunistico delle scelte effettuate, ma riguardanti soprattutto la scarsa definizione del modo in cui i risultati conseguiti vanno a inserirsi in un complesso sistema di conoscenza. La seconda opzione, che si qualifica per una più rigorosa attenzione per gli aspetti teorici ed epistemologici, ha finito per diventare, specie se interpretata in maniera molto rigida, una barriera alla comunicazione fra i due approcci e un reale ostacolo alla loro reciproca fecondazione. […] valido e interessante può considerarsi l’obiettivo di migliorare complessivamente le nostre capacità conoscitive attraverso

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un più fecondo interscambio fra le due prospettive, ciascuna delle quali presenta indubbiamente vantaggi specifici dei quali sarebbe opportuno approfittare e che vengono invece sacrificati in una logica di contrapposizione rigida.

In termini molto generali e considerando gli obiettivi di conoscenza consentiti da ciascun approccio, possiamo sostenere che il ricercatore che preferisca servirsi di metodi qualitativi avrà un maggiore interesse per la comprensione e l’interpretazione del fenomeno, mentre chi predilige metodi quantitativi probabilmente mira alla spiegazione in termini (positivisti) di previsione e controllo. I metodi qualitativi consentono di catturare la ricchezza dei temi emergenti nel parlato del rispondente piuttosto che ridurre le risposte a categorie quantitative30 (Smith, 1995).

Marecek, Fine e Kidder (1997) hanno sostenuto che «il cuore dell’orientamento qualitativo è il desiderio di dare un senso all’esperienza»; per questa ragione «gli approcci qualitativi sono meno prescrittivi e più flessibili dei metodi della psicologia ortodossa. Infatti, alcuni sostengono che tali metodi debbano essere chiamati “modo di lavoro” più che “metodi” in senso stretto» (p. 637).

Secondo gli Autori, infatti, la misurazione di manifestazioni individuali (dei “punti di vista”) mediante scale, questionari e test impone che queste vengano forzatamente ricondotte entro le categorie teoriche definite a priori dai ricercatori. Un approccio qualitativo invece valorizza l’attribuzione di senso che - individualmente (nei processi cognitivi dell’attore), ma anche ricostruttivamente (nelle interazioni finalizzate alla rilevazione di dati empirici) - viene data alle peculiari esperienze di vita di ciascuno (Leone, 2001; Bercelli, 2004; Stame, 2004).

A sostegno di questa “utilità” dei metodi qualitativi per lo studio di oggetti sociali complessi, Cicognani (2002a, p. 17) afferma che «nella misura in cui l’oggetto di indagine è costituito dai significati, per analizzarli occorre un’attività di interpretazione e di concettualizzazione che non può essere affidata (o non può essere affidata solamente) agli strumenti di misurazione convenzionali, ma richiede inevitabilmente l’intervento del ricercatore e delle sue capacità e risorse interpretative»: al ricercatore è richiesta un’attenzione allo scambio che si realizza fra gli attori coinvolti e una partecipazione del ricercatore alla costruzione dell’unità di analisi. Tuttavia, «l’indifendibilità della dicotomia qualità/quantità sul piano logico non esclude che attraverso di essa passino abitudini, forme mentali, stili cognitivi profondamente radicati e - in qualche misura - davvero alternativi» (Ricolfi, 1997, p. 38).

Dal nostro punto di vista, riteniamo che per cogliere l’unicità e il senso soggettivo che l’attore sociale ha inteso dare alla sua azione - in virtù della funzione espressiva di cui parlano De Leo e Patrizi (1992; 1999) - sia opportuno preferire modalità di rilevazione delle informazioni31 che limitino le costrizioni categoriali in favore di una maggiore possibilità di espressione libera, da parte del narratore, e di comprensione in profondità, da parte del ricercatore (Silverman, 2000).

Da queste premesse, diverrà via via sempre più evidente come l’interesse per i significati soggettivi (cioè, la costruzione soggettivamente rilevante) ci abbia portati a scegliere il testo (cioè, la trascrizione di questa costruzione in forma narrativa) come unità di analisi (Leccardi, 1997). La soluzione che proponiamo costituisce il caso intermedio, nella terminologia di Ricolfi (1997), fra i dati ad alta organizzazione e i dati a bassa organizzazione32: si tratta delle ricerche che operano sui testi sottoponendoli a processi di organizzazione tipici degli approcci qualitativi ed ermeneutici: 30 Per ulteriori approfondimenti sul rapporto fra metodi qualitativi e metodi quantitativi suggeriamo al lettore i recentissimi contributi di Mazzara (2002), Mantovani (2003) e Corbetta (2003a). 31 Sull’utilizzo del termine “informazioni” al posto di “dati” si veda più avanti il capitolo 4 e De Gregorio e Mosiello (2004). 32 Con “organizzazione dei dati”, Ricolfi (1997, p. 24) definisce «il processo attraverso cui le informazioni vengono trasformate in dati e immerse in strutture più o meno rigide e più o meno complesse»: “dati ad alta strutturazione” sarebbero quelli la cui analisi si basa sulla matrice, “dati a bassa strutturazione” sono quelli che si basano sulla mera ispezione informale dei testi (interviste in profondità e storie di vita).

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Una volta che si concepisce il compito di comprendere il comportamento umano come qualcosa che comporta interpretazione ed empatia, piuttosto che predizione e controllo, le auto-descrizioni (self-reports) delle persone che si stanno studiando divengono molto importanti in ogni progetto di ricerca psicologica (Harré e Gillett, 1994, trad. it. 1996, p. 24).

2. Dalla psicologia narrativa alla psicologia discorsiva Un orientamento come quello appena descritto si collega a sfondi culturali generali rispetto

ai quali esso assume maggiore coerenza e prospetta utili implicazioni di tipo tecnico-metodologico.

La psicologia narrativa, intesa come struttura dei processi di pensiero e di ricostruzione degli eventi, è uno di questi contesti culturali (Sarbin, 1986a,b; Murray 1995): secondo i suoi princìpi, infatti, «gli esseri umani pensano, percepiscono, immaginano e sognano secondo una struttura narrativa. Dati due o tre input sensoriali, un essere umano li organizzerà all’interno di una storia o, almeno, nella cornice di una storia» (Mancuso e Sarbin, 1983, p. 234); in altri termini l’individuo dà agli eventi un ordine e una trama (= plot) ponendo così le basi per una descrizione narrativa della realtà alla luce delle intenzioni dell’attore-narratore (Biancheria e Cavicchioli, 1998; Melucci, 2001):

Le espressioni narrative deriverebbero […] dal bisogno degli individui di comprendere e interiorizzare la realtà circostante attraverso un lavoro interpretativo che consenta loro di diventare parte integrante della realtà raccontandola. […] Si tratta di narrare e comunicare la propria visione della realtà, di rendere pubblico tramite rappresentazioni simboliche il significato interiorizzato, di far emergere le proprie credenze, intenzioni e i propri sentimenti che a loro volta diventano interpretabili (Groppo, Ornaghi, Grazzani e Carruba, 1999, pp. 23-24).

Il racconto di eventi - come è stato ampiamente argomentato (Bruner, 1991) - rappresenta

una forma convenzionale trasmessa culturalmente. Tale natura culturale e condivisa fa sì che il racconto (scritto o orale che sia) è un prodotto costruito in-relazione con altri relazionalmente costruito e con obiettivi sovra-individuali (Gergen e Gergen, 1983; 1988).

Date queste premesse di “narratività” della vita quotidiana, di natura culturale e costruita dei processi di pensiero, lo studio delle narrazioni assume un ruolo di rilievo tale che emergono paradigmi ermeneutico-interpretativi per i quali i significati diventano l’unità di analisi privilegiata. Secondo Bruner (1990) il comportamento (nel nostro caso “l’azione”, ma per una distinzione concettuale fra i due concetti rimandiamo a De Leo e coll., 2004) è comprensibile facendo emergere dall’individuo la capacità di narrare: in questo modo (e coerentemente con quanto gli esponenti della “svolta discorsiva” hanno affermato sulle strutture dei processi cognitivi: cfr., fra i tanti, il classico testo di Harré e Gillett, 1994; 1995) l’azione diventa intelligibile secondo il punto di vista del suo protagonista che le dà una “forma narrativa” in accordo con i canoni culturali di riferimento (Bruner e Weisser, 1995; Harré e Van Langenhove, 1999c) e le regole dei generi narrativi (Feldman, 1991).

La struttura portante di un racconto è, quindi, caratterizzata da una componente individuale (scelta di cosa narrare, attribuzione dei significati, processi cognitivi: memoria, emozioni, pianificazione) e da una culturale (scelta di come narrare, condivisione dei significati, processi storico-sociali): si tratta di ciò che in altra sede (De Leo e coll., 2004a) abbiamo chiamato “la forma del pensiero” e che ha la sua origine nella corrente della psicologia narrativa. Individualità e “culturalità” si incontrano e il prodotto di questo incontro è la narrazione di un evento personale (nel nostro caso, l’azione deviante).

Ma come è possibile conciliare aspetti cognitivi individuali e riferimenti culturali? La letteratura sull’argomento ha fatto ampiamente riferimento ai pionieristici studi di Bartlett (1932) sul racconto di storie: descriviamo, a questo riguardo la rivisitazione che ne hanno fatto Robinson e Hawpe (1986). Centrale è il concetto di “schema cognitivo”: secondo gli Autori, la flessibilità del pensiero narrativo è radicata (“rooted”) in schemi cognitivi che

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fanno da base per la generazione di ogni possibile storia. Si tratta di canoni generali sulla base dei quali identificare le informazioni fondamentali che rendono ogni storia narrabile.

Il passaggio fondamentale su cui ci preme richiamare l’attenzione è quello di un necessario fit fra un evento critico da narrare (l’azione deviante, ad esempio) e il modello narrativo (“narrative plan”, nei termini di Robinson e Hawpe, 1986): l’aderenza dell’uno all’altro diviene patrimonio individuale come storia di un evento: «Le storie sono il modo per interpretare gli eventi costruendo un pattern causale che integra ciò che è noto di un evento con ciò che è congetturale ma rilevante per l’interpretazione» (Robinson e Hawpe 1986, p. 112).

L’intenzionalità di tale ri-costruzione di pattern esperienza-schema narrativo da parte del soggetto narrante è evidente dall’organizzazione che egli dà ai contenuti. Introduciamo qui il concetto di “salienza del contenuto narrativo”33 a indicare che l’emittente/narratore, guidato dall’esperienza e dagli schemi narrativi, valuta cosa inserire come rilevante e cosa no e il destinatario, a sua volta guidato da schemi narrativi complementari, ricostruisce (decodifica) ciò che il narrante ha codificato come saliente.

Come mostra la figura 4, in ogni atto comunicativo esiste uno spazio comune nel quale emittente e ricevente (es., intervistato e intervistatore) condividono una parte dei significati di cui ciascuno di essi è portatore nel proprio contesto sociale e cognitivo (i “contesti informativi”).

Fig. 4: Significati soggettivi e significati condivisi nell’inter-atto comunicativo ( fonte: Anolli e Ciceri, 1995, p. 94)

INSERIRE FIG. ANOLLI SULLO SCAMBIO DEI SIGNIFICATI

La selezione delle informazioni rilevanti, il confronto fra esperienza34 e modelli narrabili,

e l’inferenza di dati dall’esperienza sono attività cognitive che «giocano un ruolo chiave come intermediari fra gli obiettivi della storia in costruzione, il fatto da narrare e l’esperienza del narratore» (Robinson e Hawpe 1986, p. 116).

A questo punto attraverso il concetto di “intenzionalità”, diventa evidente il collegamento che il presente lavoro ha con il secondo sfondo culturale premesso nel titolo: la psicologia discorsiva, «lo studio delle modalità e delle strategie che le persone utilizzano, in quanto soggetti attivi e pianificatori, attraverso sistemi simbolici in contesti a volte pubblici a volte privati al fine di attuare progetti e di raggiungere scopi» (Pagliaro 1996, p. 11).

La dimensione narrativa, secondo le definizioni che ne abbiamo dato in precedenza (in questo paragrafo), costituisce il punto di contatto fra la cultura e la natura intenzionale dell’azione: 33 Ne riparleremo nel prossimo capitolo. 34 Con il termine “esperienza”, Robinson e Hawpe (1986) intendono anche le storie precedenti cioè le narrazioni divenute fatti a cui ancorare le narrazioni attuali. Esemplificano questa tesi con un parallelismo fra costruzione ‘ingenua’ delle narrazioni e processi decisionali nei contesti legali anglo-americani in cui le sentenze diventano “precedenti” e come tali danno fondamento alle decisioni successive.

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l’agente torna a essere considerato depositario di intenzionalità, gradi di consapevolezza e controllo, ragioni e significati che organizzano il suo modo di agire, nonché di responsabilità rispetto agli effetti d’azione, soggettività e “unicità” definite dai posizionamenti e dai punti di intersezione non replicabili nell’ambito dei discorsi e delle relazioni costitutivi della sua vita mentale pubblica e privata. Di qui la rilevanza attribuita alla capacità delle persone di produrre discorsi intorno alle loro azioni; di costruire resoconti giustificatori o esplicativi in base a svariati criteri morali, etici, situazionali, normativi, culturali, e così via; di proporre il loro punto di vista rispetto a se stessi e al mondo che li circonda; di esplicitare i sistemi di credenze, convinzioni, valori, credo ideologici di diversa natura; di dispiegare le loro competenze narrative costruendo e ricostruendo le storie personali nelle dimensioni temporali canoniche (passato, presente e futuro); di selezionare, attivare e negoziare concettualizzazioni e significazioni rispetto al proprio e altrui modo di agire, attingendo al vasto repertorio di pratiche discorsive culturalmente accessibili, in rapporto alle opportunità, ai posizionamenti e ai vincoli regolativi normativi e convenzionali che esse implicano. Il linguaggio ordinario, socialmente costitutivo della conoscenza di senso comune, emerge come dimensione appropriata per la comprensione dei mondi personali e la “creazione” di racconti utili e plausibili in rapporto agli obiettivi, cambiamento compreso (Pagliaro e Dighera, 1996, pp. 244-245).

Nel corso degli anni ‘90 la psicologia sociale ha incrociato le correnti maggiormente rappresentative della cosiddetta svolta discorsiva: in particolare, gli studi che hanno inteso il legame fra azione e linguaggio secondo la duplice accezione di produzioni discorsive sull’azione sociale (Harré e Gillett, 1995; 1994; De Leo, 1995; Melucci, 2001) oppure produzioni discorsive come azione sociale (vedi, fra i tanti, Edwards e Potter, 1993; De Grada e Bonaiuto, 2002). La seconda rivoluzione cognitiva – come è stata anche chiamata questa rinata enfasi sugli aspetti discorsivi dei processi cognitivi35 (Harré e Gillett, 1994; Bruner, 1990) – ha diversi aspetti in comune con le recenti ipotesi socio-costruttiviste dell’azione, (cfr.: De Grada e Bonaiuto, 2002)36: su questa comune base logica ed epistemologica che si fonda la nostra ipotesi di studio dell’azione deviante e della sua manifestazione più rilevante sul piano empirico: la narrazione.

De Leo e Gnisci (1996) hanno parlato a questo riguardo di costruzione dell’azione e delle sue implicazioni psicologiche, relazionali e organizzative: il riferimento principale è ai contesti applicativi di area specificamente giuridico-criminologica nei confronti dei quali è possibile ipotizzare utilizzi dei concetti appena illustrati: così, ad esempio, i significati culturali che strutturano l’attività e la presentazione che un individuo fa di Sé (Baumeister e Newman, 1994; Harré e Gillett, 1994; 1995) ci porterebbero a riflettere su qual è il significato che il soggetto dà all’azione deviante. L’enfasi sulla relazione con il contesto e sulle norme interattive, d’altra parte, si collega a topics tradizionali della riflessione in criminologia (culture e sottoculture, teoria delle associazioni differenziali). La considerazione, infine, che agli eventi e agli oggetti viene attribuito un significato attraverso i discorsi in cui appaiono e in relazione a ciò che viene espresso (Harré e Gillett, 1994) si attualizza nella ricostruzione di un crimine in tribunale (Bruner, 2002): si tratta di una serie di collocazioni situazionali-interattive e normativo-simboliche che definiscono i confini del contesto inteso come

insieme complesso, ma nel contempo finito e definito, di elementi normativi e convenzionali, di regole interpretative e prescrittive, procedure formali e informali, culture locali e organizzative, definizioni di ruoli e posizionamenti, sistemi di aspettative reciproche, rappresentazioni sociali e repertori d’azione condivisi, quadri di significato in qualche misura negoziabili, in relazione a cui gli attori organizzano, dirigono e controllano le proprie azioni essendone, entro certi limiti, circolarmente e riflessivamente organizzati, diretti e controllati. Il contesto, a differenza del generico ambiente, è caratterizzato sul piano simbolico […] e diviene così cornice e sfondo rispetto a cui l’attore agisce di volta in volta diverse immagini e rappresentazioni del Sé (Pagliaro e Dighera, 1996, p. 148).

Queste le proposte di sostegno teorico allo studio narrativo dell’azione deviante: riteniamo

infatti che i concetti espressi e, soprattutto, le ragioni teoriche ed epistemologiche esposte possano essere applicati allo studio delle narrazioni sull’azione (Harré e Gillett, 1994; Smorti,

35 Inclusa la pianificazione dei percorsi d’azione e il resoconto di essi. 36 Vedi oltre, nel paragrafo successivo.

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1997; Lorenzetti e Stame, 2004) e, in particolare, sull’azione deviante. Tale ipotesi è sostenuta da una serie di riflessioni e studi di provenienza sociologica (Leccardi, 1997), secondo i quali attraverso i testi (intesti come trascrizioni di interazioni con una loro autonomia di significato) sarebbe possibile ricostruire il senso di un’azione. Ci sono evidenze infatti che, nel momento in cui il soggetto narra la sua storia personale, inevitabilmente conferisce un significato alle sua azione e, mediante questo significato, si inserisce nel sistema simbolico e culturale di appartenenza (Groppo e coll., 1999; Bruner, 1991).

3. Le interviste qualitative: biografiche e narrative Come rendere a ottenere testi per le analisi delle narrazioni sulle azioni devianti? Il nostro interesse si è rivolto alle interviste narrative come particolare declinazione delle

interviste qualitative. In questo paragrafo proveremo a tracciare il percorso che ha portato alla scelta di questa tecnica: a questo fine, proponiamo una discussione sulle interviste37, strumento elettivo per cogliere il punto di vista degli attori (l’attribuzione di significati soggettiva e situazionale) e rendere testualizzabile (per le ragioni illustrate nel paragrafo precedente) l’unità di analisi.

Cosa si intende per “intervista qualitativa”? Si tratta di una forma di conversazione professionale che segue regole e impiega tecniche specifiche, […] uno scambio di opinioni su una base di sincerità, tra due persone che si confrontano su un tema di interesse comune producendo conoscenza (Cicognani, 2002a, p. 47).

Essa viene utilizzata con l’obiettivo generale di avere un “accesso” alla prospettiva dei rispondenti a un’indagine (Corbetta, 2003b). Come strumento di rilevazione delle informazioni risente di concezione partecipativa della ricerca qualitativa: in essa l’intervistato e l’intervistatore sono in un rapporto di reciprocità, orientato alla co-costruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gubrium, 1997; Losito, 2004), e in cui i significati «scaturiscono dalla tendenza dialettica […] tra chi parla e chi ascolta» (Paolicchi, 2002, p. 195)38.

È, in altri termini, un’interazione in cui un attore (l’intervistatore) cerca di ottenere informazioni, in maniera non precodificata, da parte di un altro attore (l’intervistato) che le detiene: le due parti coinvolte hanno ruoli diversi e definiti (nella situazione specifica si tratta, come detto, di ruoli asimmetrici). Una situazione di questo tipo presenta diverse peculiarità: le dinamiche di potere, ad esempio (in senso lato, dalla competenza alla posizione, dalla relazione alle influenze delle variabili di genere), «sono continuamente giocate all’interno di una cornice che vede di volta in volta la prevalenza, ora di chi detiene le informazioni, ora di chi può dirigere il corso dell’interazione stessa con una maggiore o minore direttività» (De Leo e coll., 2004a, p. 67).

Si tratta tuttavia di definizioni difficilmente generalizzabili tout court: se infatti la ricerca qualitativa in genere valorizza il contributo degli intervistati e degli intervistatori alla co-costruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gubrium, 1997; Lucius-Hoene e Deppermann, 2000; Losito, 2004), succede spesso che l’inevitabile disposizione di una specifica tecnica di rilevazione delle informazioni su un continuum direttività/apertura costringe tale processo entro cornici temporali e contenutistiche previste e dominate in primis dal ricercatore.

Si evince da osservazioni appena esposte che interazione e complessità sono i criteri guida da tenere presenti già dalle prime fasi di progettazione di una ricerca o di un intervento che utilizza le interviste qualitative.

37 Più avanti il termine “intervista” verrà ulteriormente declinato nelle sue concrete applicazioni empiriche. 38 L’atteggiamento costruttivo è coerente con le più recenti formulazioni della rivoluzione contestuale in psicologia sociale (Bruner, 1990, trad. it. 1992): cfr. la “Psicologia discorsiva” di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.

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Numerose sono le declinazioni di intervista qualitativa presenti in letteratura: intervista in profondità (Miller e Glasser, 1997), intervista motivazionale (Castiello D’Antonio, 1994; Levati e Saraò, 2002), intervista ermeneutica (Montesperelli, 1998), intervista discorsiva (Cardano, 2003), intervista semi-strutturata (Cicognani, 2002a; Smith, 1995), intervista focalizzata (Flick, 1998) e - nello specifico settore di cui ci stiamo occupando - intervista investigativa (Fielding, 2004; Kuhns, 1998). Non ci dilungheremo sulle rispettive definizioni, sulle analogie e differenze39: ci interessa soprattutto sottolineare come spesso l’etichetta con cui viene nominata una tecnica, corrisponde a una sua specifica caratteristica (relativa allo stile di conduzione generale, o al contenuto specifico, oppure alla maggiore o minore standardizzazione delle domande).

Rispetto ai nostri obiettivi, approfondiremo invece le strategie di intervista che più si avvicinano alla generale definizione di intervista qualitativa e che, soprattutto, rappresentano gli orientamenti teorici ed epistemologici descritti nel paragrafo precedente.

3.1 Le interviste biografiche Si caratterizzano per la definizione composita e complessa, poiché nell’aggettivo

“biografico” è inclusa una duplice caratterizzazione sia, in termini prettamente metodologici, sul ruolo dell’intervistatore (De Waele e Harré, 1979), sia una caratterizzazione temporale: si tratta di una macrocategoria all’interno della quale è possibile identificare diversi tipi di intervista accomunati dall’interesse per l’autobiografia, il resoconto sull’esperienza individuale. La scelta fra uno fra questi diversi aspetti in cui si declina l’autobiografia (come vedremo a breve) è soggettiva e dipende dallo specifico oggetto della ricerca.

A questo proposito, Atkinson (1998, trad. it. 2002, p. 33), ha notato che

benché alla narrazione autobiografica si possa applicare una metodologia di ricerca piuttosto uniforme […] l’intervista autobiografica può implicare una certa dose di soggettività, e persino di casualità. Lo stesso ricercatore può usare domande diverse con diversi intervistati. […] l’intervista autobiografica è sostanzialmente un modello, che si applicherà diversamente in situazioni diverse, circostanze diverse o ambienti diversi.

Per l’Autore, in altri termini, l’intervista ideale sarebbe possibile solo adattando lo stile, la

traccia e l’interazione alle specifiche circostanze. Faremo adesso una breve rassegna delle tecniche incluse sotto il termine di “intervista

biografica”. 3.1.1 Le autobiografie Una delle prime interpretazioni di come deve essere un’intervista focalizzata sul percorso

evolutivo individuale è stata fornita da De Waele e Harré (1979): con il termine “autobiografia” hanno inteso un account retrospettivo e individuale formulato in un dato momento della propria vita: le narrazioni autobiografiche e i temi che ne fanno parte forniscono un accesso alla matrice cognitiva dell’attore, al suo sistema organizzato di conoscenze sociali a cui attinge per agire e per rendere conto delle proprie azioni (De Waele e Harré, 1979; Bichi, 2004).

Come gli stessi Autori notano, si tratta di uno strumento di difficile applicazione per lo studio dell’azione sociale: in prima istanza, per ragioni epistemologiche, è messa sicuramente in secondo piano l’importanza dell’interazione fra soggetto/fonte di informazioni e un intervistatore/ricercatore che stimola e coordina lo svolgimento dell’incontro, e inoltre

Problemi di oggettività, validità e affidabilità fanno perdere ai metodi biografici il confronto con i metodi psicometrici e la loro utilità è stata valutata semmai come strumento di studi preliminare o esplorativo: di fatto l’autobiografia naive non dovrebbe essere considerata come un obiettivo in se stessa ma come uno strumento di ricostruzione biografica che integra e completa i dati provenienti da altre fonti (De Waele e Harré, 1979, 179).

39 Ne abbiamo già parlato nel capitolo 3 in De Leo e coll. (2004a) a cui rimandiamo.

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Oltre a questo, De Waele e Harré (1979) affermano che i metodi autobiografici sono generalmente ignorati dagli psicologi probabilmente, a loro avviso, per una forma di autocritica sulla presunta non-validità dei propri strumenti o forse per l’elevato dispendio di risorse che comporterebbe il loro utilizzo nel momento in cui si cercasse di andare oltre un’analisi di superficie per mettere in relazione le categorie dei significati a livelli di astrazione maggiore (Strauss e Corbin, 1990).

Per inciso, diciamo che il problema della “validità” delle indagini qualitative è stato affrontato, negli anni più recenti, secondo diverse prospettive. Ne parleremo nell’ultima parte di questo lavoro, limitandoci qui a indicare l’approccio intersoggettivo (implementato anche nelle funzioni di utilizzo di ATLAS.ti), quello che confronta i risultati ottenuti da fonti diverse (Denzin, 1978 cit. in Mantovani, 2003), la prospettiva di Silverman (2000), secondo il quale la bontà di una ricerca di tipo qualitativo si valuta prima di tutto dalla coerenza interna del percorso logico e metodologico mediante il quale sono state raggiunte le conclusioni.

Lo strumento principale per la conduzione di un’intervista biografica secondo questo approccio è il Biographical Inventory: si tratta di uno strumento composto da domande aperte, questionari e scale di valutazione che vengono utilizzati per integrare i dati provenienti da fonti diverse (incluse le autobiografie propriamente dette e i “diari”). Lo schema di codifica consta di una lista di topics che possono essere usati dall’analista per “leggere” sistematicamente il corpus di dati da differenti punti di vista e desumere da esso le informazioni utili alla compilazione dell’inventario. Questo è, in altre parole, del tutto simile a una griglia di analisi del contenuto di molteplici fonti di dati contemporaneamente.

In questo modo, la tecnica/strategia di intervista consiste in una serie di focalizzazioni successive orientate a fare emergere le dimensioni più esplicative sui significati riferiti al comportamento sociale.

La logica sottostante l’approccio appena descritto è sintetizzata dagli Autori e ha diversi aspetti in comune con i nostri obiettivi di conoscenza sull’azione:

Al cuore della spiegazione del comportamento sociale c’è l’identificazione dei significati soggiacenti. Parte dell’approccio orientato alla loro scoperta coinvolge l’acquisizione di resoconti – le stesse affermazioni dell’attore sulle azioni in oggetto - su quali significati sociali sono dati alle azioni dall’attore e dagli altri. Tali informazioni devono essere raccolte e analizzate e spesso portano alla scoperta delle regole che stanno alla base del comportamento stesso. La spiegazione tuttavia non è completa finché diversi resoconti sono negoziati (De Waele e Harré, 1979, pp. 197-198).

La proposta appena descritta ha, alla luce dei nostri obiettivi di conoscenza, alcuni aspetti

di interesse: l’integrazione multi-metodologica - con la convergenza di diverse tecniche (questionari, diari, etc.) - è senza dubbio il suo punto di forza. Ma non possono essere trascurati gli elementi di criticità: se infatti (e come più recentemente è stato sottolineato e come abbiamo scritto nei paragrafi precedenti) - la situazione di intervista è essa stessa un episodio sociale, la mancanza di un’interazione effettiva (“faccia-a-faccia”) fra intervistato e intervistatore (che caratterizza questa tecnica) elimina una componente fondamentale dell’incontro ermeneutico (De Grada e Bonaiuto, 2002): l’azione del “fare un resoconto” - l’account (come abbiamo scritto nel primo capitolo) - è influenzata in maniera decisiva dal tipo di episodio sociale in cui è inserita: ogni azione (o meglio, ogni azione discorsiva), secondo questo modello prende la forma del contesto in cui viene attuata40. Secondo il Discoursive Action Model, in particolare, le formulazioni discorsive che vedono impegnati gli attori sociali «vengono retoricamente costruite per servire scopi pratici, interpersonali o sociali, e perciò costituiscono azioni» (De Grada e Bonaiuto, 2002, p. 158):

Il carattere di azione sociale delle formulazioni verbali, soprattutto di quelle che riguardano le cognizioni di eventi, trova riscontro nella possibilità che, riguardo a uno stesso evento, tali formulazioni, pur senza essere oggettivamente scorrette, possano prevedere un numero pressoché infinito di versioni differenti (ibidem, p. 159). 40 Pensiamo, ad esempio, all’adattamento che un’intervista focalizzata subisce nel momento in cui diventa l’interrogatorio di un testimone in un processo penale.

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3.1.2 Le storie e i racconti di vita Secondo Bichi (2002), all’interno dei metodi biografici possiamo distinguere i racconti di

vita (Bertaux, 1998) e le storie di vita (Bichi, 2000): la differenza sta nel fatto che i primi centrano l’attenzione (e la consegna iniziale) su un arco temporale ridotto o su un fatto specifico, mentre le “storie di vita” partono dalla generica richiesta di “parlare di sé”. A questa apparente semplicità a livello di definizioni dobbiamo tuttavia affiancare le molteplici caratterizzazioni delle concrete prassi empiriche: la stessa Bichi (2002, p. 28) infatti ci informa che «dietro l’etichetta “storia di vita” si cela […] una vasta complessità strumentale; questo tipo ideale trova, infatti, nella pratica, innumerevoli contaminazioni». Esiste comunque un filo conduttore che accomuna tutte le varianti e sta nella modalità di gestione della situazione e di “somministrazione”41 delle domande: si tratta infatti di situazioni non-strutturate nelle quali l’intervistatore - pur avendo una traccia articolata e complessa che consente di prevedere i possibili percorsi dell’interazione - guida l’intervistato in un processo di continua scoperta del proprio percorso biografico.

Comune a tutte le forme di intervista è la tecnica di conduzione: ogni intervista biografica (dopo l’indispensabile fase di presentazione dell’intervistatore e della ricerca) parte da una domanda narrativa generativa (Flick, 1998), che ha l’obiettivo di stimolare il racconto libero da parte dell’intervistato lungo una direttrice coerente (la “narrativa principale”). Come avverte Cicognani (2002a, pp. 61-62)

la domanda generativa deve essere formulata in termini molto ampi. […] è seguita da domande più specifiche in cui i frammenti narrativi che non erano stati trattati in modo esaustivo o non erano chiari vengono ripresi dall’intervistatore con un’altra domanda generativa e completati (ad esempio, “Mi ha detto che prima è passato da X a Y. Non mi è molto chiaro come si è verificata la malattia dopo questo. Potrebbe raccontarmi più dettagliatamente questa parte della storia?”).

Un altro aspetto comune sta nella partecipazione congiunta di intervistatore e intervistato

alla produzione delle informazioni: le due figure non sono separate ma implicate insieme nella situazione di intervista, che è intesa come

l’insieme degli avvenimenti che consentono lo sviluppo di un’azione sociale complessa, costruita dialogicamente da due o più attori e attraverso la quale viene raccolta-prodotta un’intervista biografica. È una situazione nella quale gli attori agiscono entro “ruoli” definibili, con finalità e aspettative […] la situazione d’intervista delinea, allora, un tipo particolare di azione sociale, che va definito e circoscritto, analizzato e interpretato e nel quale trova posto anche la pratica scientifica del ricercatore (Bichi, 2002, p. 37).

L’enfasi è sulla natura interazionale dell’intervista biografica, un evento in cui le due parti mostrano un’intenzione di conoscenza, una motivazione all’incontro:

il racconto dell’esperienza viene ritenuto una situazione sociale nella quale, come in tutte le situazioni sociali, ha luogo la costruzione, la riproduzione e la comunicazione di forme di socialità. Questo processo, vissuto nell’interazione sociale provocata dall’intervista, consente all’intervistato di spiegarsi e argomentare, di dare - con le parole - un senso alla propria esperienza, di ri-costruire connessioni e modelli, di valutare e comparare in funzione del proprio divenire sociale (ibidem, p. 39).

Questa attribuzione di intenzionalità (assente nell’autobiografia proposta da De Waele e

Harré) rende ogni intervista una situazione assolutamente singolare e irripetibile, un’azione sociale, appunto, in cui ogni sequenza comportamentale risponde a (e pretende risposte da) un’altra in una duplice escalation dialogica: fra attore e intervistatore, da un lato, e fra la realtà storica della vicenda e la realtà ricostruita nella narrazione, dall’altro (De Leo e coll., 2004b).

41 Il termine “somministrazione” è virgolettato in quanto viene qui utilizzato per estensione, essendo tradizionalmente usato a proposito degli item di un test o di un questionario.

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Rimangono da aggiungere alcune considerazioni sugli sviluppi successivi dell’intervista. La domanda narrativa generativa, come abbiamo visto, deve essere formulata in maniera ampia e onnicomprensiva con l’obiettivo di stimolare la maggior quantità possibile di “informazione spontanea”, la traccia successiva (che verrà formulata sotto forma di domande vere e proprie solo nel caso in cui le aree previste non vengano toccate dal racconto libero dell’intervistato) dovrà essere tanto articolata da includere in sé una completa mappatura del percorso logico-metodologico che articola il concetto (argomento della ricerca) nelle sue dimensioni definitorie e costitutive e queste ultime negli indicatori empirici rilevabili (Lazarsfeld, 1958; Losito, 1998; De Gregorio, in stampa). Rimandando alle fonti citate per ulteriori approfondimenti sull’articolazione concetto-dimensioni-indicatori, ci preme sottolineare un aspetto importante relativo al rischio che l’intervistatore possa suggerire contenuti e risposte all’intervistato e che, di conseguenza, la “libertà d’espressione” di quest’ultimo rimanga un obiettivo e non venga concretizzata in chiave empirica. In altra sede (De Gregorio e Mosiello, 2004; De Leo e coll., 2004a,b) ci siamo riferiti a questa problematica nei termini della dialettica fra aspetti Emic e aspetti Etic delle situazioni di ricerca qualitativa. Ne riassumiamo i termini nella finestra 1.

Un ultimo aspetto riguarda i criteri di strutturazione che hanno guidato la costruzione della traccia di intervista biografica (sia essa racconto o storia di vita): essi potranno sempre essere messi in discussione, coerentemente con gli orientamenti più estremi nella ricerca qualitativa42. In altri termini, la traccia di intervista infatti avrà una sua strutturazione iniziale ma dovrà essere “aperta” e comprendere le concettualizzazioni che il ricercatore va via via costruendo lungo il percorso di ricerca. Dovrà dunque essere aperta alle revisioni sulla base delle indicazioni e informazioni che - emergendo dalla situazione di intervista - porteranno nuovi contributi al processo di costruzione di conoscenza, intesa come impresa congiunta di attore e ricercatore (De Leo e coll., 2004a; Losito, 2004 Holstein e Gubrium, 1997; Lucius-Hoene e Deppermann, 2000).

42 Per una rassegna su tali orientamenti rimandiamo - fra i tanti - a Silverman (1993; 1998).

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Finestra 1: Le dimensioni Emic/Etic dell’incontro ermeneutico

Il problema della relazione fra categorie cognitive

Ogni situazione di intervista è implicitamente un processo di interazione sociale in cui due universi cognitivi (quello dell’attore/rispondente e quello del ricercatore/intervistatore) si incontrano e talvolta - inevitabilmente - si scontrano. Si tratta di situazioni in cui - inconsapevolmente - ciascuna delle due parti rischia di imporre contenuti e schemi (narrativi e cognitivi) sulla base dei quali interpretare gli eventi raccontati. Parliamo ovviamente di “rischio” in quanto un processo dialogico e costruttivo (come l’intervista qualitativa, che abbiamo descritto in questi termini) porta in sé la possibilità che gli attori coinvolti non riescano a trovare un terreno comune e soprattutto che i contenuti espressi dall’uno vengano travisati, distorti, dall’altro. Nel corso dello studio su cui verte il presente lavoro (che verrà descritto dettagliatamente nel quarto capitolo) un intervistatore proseguì a lungo la sua narrazione convinto che stesse parlando con un avvocato e che gli obiettivi del colloquio fossero relativi alla sua difesa e non alla partecipazione a una ricerca di area psicologica: questa incomprensione di fondo faceva spostare la discussione sui temi dell’involontarietà di commettere il reato (lo stato di ebbrezza in cui il protagonista si trovava in quel momento) e sulla necessità di farlo capire al giudice. Al momento del chiarimento, l’intervistato si è rifiutato di “perdere tempo a continuare questa cosa”. L’intervista ovviamente è stata cestinata. È un esempio che mostra chiaramente uno dei possibili effetti di un’incomprensione a causa della quale intervistato e intervistatore stanno parlando di due cose diverse, con obiettivi divergenti e secondo punti di vista non conciliabili (De Leo e coll., 2004b). Secondo una prospettiva, introdotta negli anni ’50, dal linguista K. Pike e ripresa in sociologia (Nigris, 2001), le due prospettive possono essere sintetizzate nei termini di un confronto fra dimensione Emic dell’incontro e dimensione Etic: «con i due termini (che derivano dai suffissi dei termini phonemic e phonetic), si fa riferimento in particolare, alla consapevolezza che attore e ricercatore sono attivi costruttori di conoscenza e immagini di realtà ciascuno da un suo peculiare punto di vista» (De Leo e coll., 2004a, p. 76). In una situazione di questo tipo, tutte le operazioni di classificazione (inevitabili in qualunque operazione di ricerca, dalla formulazione delle domande all’uso di euristiche di risposta, dalla definizione operativa delle variabili all’analisi dei dati) sono condizionate dal punto di vista che l’attore sociale rappresenta. In cosa consistono esattamente questi “punti di vista”? Seguendo la trattazione di Nigris (2001, p. 156) è possibile definire l’emic come «incentrato sulla raccolta dei significati autoctoni, legati al punto di vista degli attori, mentre l’etic poggia su osservazioni esterne indipendenti dai significati veicolati dagli attori. […] Utilizzare i termini emic ed etic in questa maniera non significa opporli, ancor meno stabilire una gerarchia tra di essi, ma semplicemente sapere chi parla, o di chi si parla» (a questo proposito si veda anche Koborov, 2002): i costrutti emic sono affermazioni, descrizioni e analisi espresse nei termini degli schemi concettuali e delle categorie considerate dotate di senso ed appropriate dai membri nativi della cultura le cui credenze e i cui comportamenti sono oggetto di studio. I costrutti etic sono affermazioni, descrizioni e analisi espresse nei termini degli schemi concettuali e delle categorie considerate dotate di senso ed appropriate dalla comunità degli osservatori scientifici (Nigris, 2001, p. 158). Qualunque strategia di ricerca, qualunque metodo di raccolta delle osservazioni (Mannetti, 1998) dovrà inevitabilmente tener conto di questa articolazione.

3.1.3 Le interviste narrative Secondo Cortese (2002) è possibile includere nel termine “intervista narrativa” tre

principali accezioni: - nella story un singolo intervistato racconta brevemente un’esperienza su un tema

specifico come risposta a specifici interessi del ricercatore,

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- nella life-story43 l’intervistato racconta estensivamente le esperienze durante tutto l’arco di vita; può essere riferita anche a un periodo circoscritto rispetto al quale si chiede il resoconto di un evento significativo,

- nella history il ricercatore effettua una sintesi dell’esperienza di un altro protagonista e la riferisce in terza persona44.

La schematizzazione appena esposta - sebbene utile a fini espositivi - è tuttavia spesso

smentita dalla prassi: nella realtà empirica infatti coesistono modelli che possono essere assimilati ora a forme ibride con caratteristiche che comprendono l’una e l’altra, ora ad altre interviste narrative che costituiscono metodi alternativi: infatti «anche se la dizione “intervista narrativa” è ormai diffusa in letteratura, il suo significato varia a seconda della prospettiva teorico-metodologica di riferimento e della sua traduzione in concreti disegni di ricerca» (Paolicchi, 2002, p. 193).

Il filo conduttore che ci consente di parlare di “interviste narrative” come di un insieme di tecniche organico e coerente (anche a prescindere dalle specifiche opzioni del ricercatore e dalla contingenze delle singole situazioni di rilevazione) è l’atteggiamento di apertura e di flessibilità dell’intervistatore:

non ci riferiamo solo a una generica “capacità di ascolto”, ma ad una vera e propria competenza (da apprendere con un training specifico e da affinare con l’esercizio) di guidare l’interazione, facilitando un processo aperto i cui contenuti sono da lui stesso previsti ma non imposti. Attore e protagonista dell’intervista narrativa rimane dunque l’intervistato al quale il ricercatore deve proporsi con interesse “sincero” e senza cercare di dirigere il corso dei pensieri e delle argomentazioni verso le sue categorie interpretative (De Leo e coll., 2004a, pp. 75-76).

Si ripropongono, in questo caso, le riflessioni esposte nel paragrafo precedente

sull’interferenza del sistema cognitivo dell’intervistatore su quello del rispondente: è un rischio sempre presente tanto che Cicognani (2002a, p. 61) ha sostenuto che «in questa prospettiva, il ricercatore si astiene dall’esercitare ogni forma di influenza ed è l’intervistato che determina, dal suo punto di vista particolare, ciò che è rilevante e ciò che non lo è. L’intervistato è il vero esperto della situazione di intervista» .

Nelle interviste narrative l’intervistatore mantiene un atteggiamento non direttivo, orientato a stimolare l’approfondimento, se necessario, con tecniche di rilancio e di probing al fine di non perdere nessuna informazione utile e, se possibile, di fare emergere i significati latenti (Smith, 1995): sia l’intervistatore che l’intervistato sono coinvolti in una ricerca di significato che trasforma l’intervista in un processo attivo, necessariamente collaborativo. […] L’intervista più efficace, di conseguenza, sarà quella in cui l’intervistatore può fare un passo indietro, osservare il processo mentre è in corso, decidere in quale direzione conviene orientarlo e stabilire in anticipo quali domande porre. Essere un’abile guida, in grado di prevedere esattamente quello che deve accadere nel prosieguo, è davvero essenziale per un’intervista ben riuscita. […] La parte più difficile dell’intervista sta nell’adottare uno stile personale, o per meglio dire interpersonale, che induce l’intervistato a raccontare la sua vicenda umana con un profondo coinvolgimento emotivo (Atkinson, 1998, trad. it 2002, pp. 66-67).

Anche in questo caso la qualità delle informazioni raccolte si fonda quindi sulla positività

della relazione (con particolare enfasi sulla collaborazione e sul ruolo attivo di entrambi gli attori), sulla flessibilità del percorso conoscitivo (che forse può mancare nelle fasi iniziali di conoscenza reciproca), sulla condivisione di obiettivi e aspettative reciproche rispetto ai ruoli specifici, alla situazione, ai contenuti:

Una tradizione ormai lunga di studi critici sulle interviste ha infatti evidenziato le distorsioni prodotte dall’intervento di variabili diverse dall’opinione dell’intervistato, che si vuole oggettivare: da minime variazioni nella forma linguistica della domanda o nella comunicazione non verbale da parte dell’intervistatore, agli effetti

43 Chiamata da Cicognani (2002a) anche “life history interview”. 44 È una modalità simile all’autobiografia di cui parlano De Waele e Harré (1979), cfr. § 3.1.1 in questo capitolo.

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della posizione di una domanda nella sequenza dell’intervista, all’interpretazione dell’intervistato circa gli scopi e i presupposti del ricercatore. Tutto ciò ha diffuso la convinzione che l’idea di uno stimolo standard sia una chimera, ed ha ridato forza all’ipotesi che la variabilità del modo in cui gli intervistatori fanno domande sia centrale nella tecnica dell’intervista ma non possa essere risolta con la standardizzazione (Mischler, 1986), e debba quindi essere utilizzata per capire ciò che interessa realmente, il significato e non la formulazione verbale della domanda e della risposta (Paolicchi, 2002, pp. 193-194).

Tutto quanto abbiamo appena esposto è facilmente collegabile ai temi della psicologia

culturale: ciò che interessa al ricercatore è infatti la possibilità di attuare un duplice «approccio rivolto a cogliere sia i modi in cui la cultura è riflessa nel soggetto, sia i modi in cui questo se ne appropria venendo a costituirsi come punto di vista storicamente situato e autore di una storia dotata di una sua essenziale singolarità» (Paolicchi, 2002, p. 196): l’intervista narrativa diventa «scambio comunicativo, fondato su un’essenziale tensione dialettica tra dimensione individuale e sociale, tra produzione di significati attraverso la capacità simbolica di ogni singola mente e condivisione, fra la peculiarità della singola storia e il suo essere interna al contesto della situazione comunicativa attuale e a un più ampio contesto culturale» (Paolicchi, 2002, p. 200).

D’altra parte, l’utilizzo del parlato (o in generale dei metodi discorsivi), come “strumento di rilevazione dei significati” è una caratteristica centrale della psicologia sociale secondo l’approccio etogenico (Harré, 1977), «basato sull’assunto che le fonti cognitive dell’azione si possono rintracciare soltanto nello studio integrato di comportamento umano e discorso che lo accompagna; l’approccio divide le azioni sociali, da una parte, in sequenze-azioni nel cui svolgimento la realtà sociale è creata e mantenuta e, dall’altra, in comportamenti nei quali il livello precedente diviene oggetto di resoconti45 e racconti» (De Waele e Harré, 1979, p. 183).

In questo senso, tornano utili i riferimenti fatti nel paragrafo precedente sulla psicologia narrativa (§ 2, in questo capitolo) con specifica attenzione ai processi di pensiero intesi come strutture narrative mediante le quali dare un senso alle esperienze quotidiane (Atkinson, 1998; Bruner, 1991): la prospettiva narrativa l’osservatorio privilegiato per tentare di cogliere quelle relazioni fra azione e resoconto dell’attore.

Adottando tale approccio diventa imprescindibile un’attenzione agli aspetti ermeneutici della lettura del testo-intervista (Montesperelli, 1998) con un ritorno, se possibile, a un livello di complessità maggiore, delle variabili di relazione, di (ri)costruzione di senso, di dialettica fra il contesto attuale e il contesto rievocato.

Queste considerazioni tuttavia ci portano ad affrontare alcune altre problematiche relative all’ “epistemologia” delle narrazioni. Riportiamo nella finestra 2 le riflessioni compiute a questo riguardo (De Leo e coll., 2004b)

45 In questa sede, e in accordo con Baumeister e Newman (1994), considereremo termini “narrazione”, “resoconto” e “storia” come sinonimi.

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Finestra 2: Approccio narrativo e approccio realista

Il dibattito fra carattere situato-narrativo e carattere realista delle rievocazioni

Silverman (2000) ha elaborato alcune riflessioni epistemologiche e metodologiche in cui propone una distinzione fra approccio realistico ai dati qualitativi e approccio narrativo. Il primo consiste in un tentativo di “oggettivizzare” le risposte dell’intervistato (Miller e Glassner, 1997), come se descrivessero una realtà esterna (per esempio fatti, eventi) o un’esperienza interna (per esempio sentimenti, significati). Seguendo questo approccio «è appropriato inserire nel disegno della ricerca diversi strumenti per assicurare l’accuratezza della […] interpretazione» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 183); l’approccio narrativo (Holstein e Gubrium, 1997; Mishler, 1986a) include quegli orientamenti di ricerca che considerano i metodi narrativi come un accesso a diverse storie con cui gli individui descrivono il loro punto di vista sul mondo: si sostiene che, abbandonando il tentativo di trattare le storie dei rispondenti come quadri veri della realtà, il ricercatore debba orientarsi verso l’analisi delle strategie (culturalmente definite) «attraverso cui intervistatori e intervistati, insieme, generano racconti plausibili del mondo» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 183). Particolarmente forte, anche se forse anche storicamente datata, è la posizione di Ong (1982) secondo cui la narrazione - essendo in stretta relazione con la memoria (processo ricostruttivo per eccellenza) - ha una natura fondamentalmente retrospettiva: «tutta la narrazione è artificiale, e il tempo che emerge dalla memoria è artificiale, variamente collegato al tempo esistenziale. La realtà non si presenta mai in forma narrativa» (p. 12). In uno studio sulle costruzioni narrative emerse dai colloqui peritali condotti con il serial killer MP (De Leo e coll., 2004a), abbiamo rilevato che, da un lato, il carattere situato delle narrazioni è un criterio di valutazione e interpretazione imprescindibile; tuttavia, riteniamo che anche un approccio narrativo possa portare, se si risolvono opportunamente le questioni relative alla dialettica emic-etic (vedi supra), a una ricerca la cui “qualità” (in termini di correttezza delle prassi metodologiche) è pari a quella delle ricerche improntate al realismo.

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È  un  grosso  errore  teorizzare  prima  di  avere  dei  dati:  spesso  si 

alterano  i  fatti per adattarli alla  teoria, anzicchè adattare  la  teoria ai 

fatti. 

Arthur Conan Doyle (1859‐1930)

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Capitolo 3 - Le analisi delle narrazioni

1. Le analisi qualitative dei contenuti narrativi 1.1 L’analisi del contenuto classica e la “statistica testuale” La ricerca sociologica e psicologica ha elaborato diversi metodi di analisi dei contenuti

narrativi. Dal punto di vista storico, merita una citazione la c.d. “semantica quantitativa” (Losito, 1993; Amaturo, 1993; Gemini e Russo, 1998): si tratta di un insieme di tecniche (Verbal-Adjective Quotient, l’Analisi delle contingenze, l’Analisi preposizionale, l’Analisi dei modi dell’argomentazione, e così via) che - a partire da informazioni qualitative (i testi) - applicano sistemi di classificazione del contenuto al fine di ottenere dati quantificabili (variabili metriche) da sottoporre ad analisi statistiche (Gemini e Russo, 1998). Queste tecniche sono accomunate da procedimenti in base a cui la validità delle indagini è subordinata alla chiara enunciazione delle regole di classificazione adottate per garantire l’obiettività e la replicabilità di tutte le fasi di ricerca: tutte le analisi del contenuto consistono, di fatto, in una scomposizione dell’unità che si vuole analizzare; tale sistematicità è agevolata dall’uso di software appositi che (a partire dagli anni ‘60) hanno facilitato il trattamento dei dati testuali (Cipriani e Bolasco, 1995):

L’analisi del contenuto nasce con intenti precipuamente “quantitativi”, sull’onda lunga del neo-positivismo e nella convinzione che il conteggio della frequenza con cui, all’interno di un testo, compaiono determinate parole o categorie di significato costituisca un elemento indisputabile di valutazione. A ben vedere, un uso così rudimentale di uno strumento di raccolta dei dati limita rigorosamente il campo d’applicazione, distanziandosi considerevolmente dai propositi di analisi sistematica del messaggio che tante altre analisi del contenuto si sono proposte. Tuttavia, […] ci si proponeva, inizialmente, proprio il consolidamento di una procedura di indagine che, forte del rigore metodologico, evitasse di offrire il fianco ad eventuali riserve sulla correttezza dell’interpretazione di un testo (Nobile, 1997, p. 26).

Le affermazioni di Nobile (sebbene espresse per tracciare il quadro storico dello sviluppo

di un settore metodologico) ci danno lo spunto per anticipare la valenza della loro trattazione in questo contesto: si tratta infatti di tecniche che sono state per così dire “in ballottaggio” per l’applicazione alla ricerca che stiamo descrivendo e che non sono state preferite proprio per l’ispirazione e i fondamenti sulla natura della conoscenza scientifica che esse veicolano. Ne parliamo quindi, brevemente, con l’obiettivo di evidenziare le ragioni della scelta e - per differenza - la caratterizzazione che abbiamo inteso dare allo studio presentato nelle prossime pagine.

Tecnicamente, l’analisi del contenuto consiste in una scomposizione del testo che viene successivamente ri-categorizzato secondo dimensioni teoriche previste dal ricercatore: «tale scomposizione deve però avvenire in modo sistematico, utilizzando cioè criteri espliciti e standardizzati, da applicare all’intera unità in oggetto; successivamente, gli elementi individuati sono classificati in un sistema di categorie, e dunque trasformati in variabili categoriali o ordinali che è possibile sottoporre a trattamenti statistici di vario tipo» (Ghiglione, 1995, p. 35).

Gli studi che hanno applicato le analisi del contenuto hanno focalizzato l’attenzione soprattutto sui testi scritti (come aspetti manifesti e “oggettivabili” della comunicazione): tuttavia, per la complessità delle espressioni narrative come oggetto di ricerca, i sostenitori

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della funzione semiotica della comunicazione hanno evidenziato i rischi della reificazione insita nel conteggio di frequenze di simboli e parole-chiave:

nella polemica è stata sostanzialmente sottolineata la complessità dei processi comunicativi, che rende improponibili analisi centrate esclusivamente sul contenuto di un messaggio, ignorando che la sua comprensione non può prescindere né dai processi interattivi che si stabiliscono fra gli interlocutori […] né tanto meno dalla molteplicità di significati che è possibile rintracciare all’interno del messaggio stesso, di cui è sempre possibile una lettura a molti diversi livelli (Amaturo, 1993, p. 24).

Seguendo le indicazioni fornite da Nobile e citate in precedenza si può però sostenere che -

essendo gli obiettivi dell’analisi del contenuto orientati a «cercare nel materiale analizzato le risposte a specifiche domande di ricerca […] rispetto alle ipotesi formulate» (Amaturo, 1993, p. 29) e non a rintracciarne i significati profondi - essa rientra a pieno titolo negli approcci orientati alla verifica delle ipotesi e quindi, in senso lato, non può che essere inserita nel panorama della ricerca quantitativa.

Nonostante questa caratterizzazioni, possiamo affermare che la scelta del livello di scomposizione, la scelta dell’unità di analisi (parola, tema, frase), la creazione di un sistema di categorie a priori ha molto in comune con approcci in cui la tensione qualitativa è maggiore:

non si può trascurare infatti che una tipica scheda di analisi del contenuto (Losito, 1993) è del tutto simile a una traccia di conduzione di un’intervista narrativa (o, come abbiamo visto in precedenza, di una storia di vita), fatta eccezione forse per il minore rigore metodologico imposto a queste ultime in termini di validità e affidabilità (De Leo e coll., 2004a, p. 99).

Un discorso analogo può essere fatto rispetto alla c.d. “statistica testuale” (Bolasco 1995; 1997; 1999), sia per quanto riguarda le ragioni della loro eventuale scelta sia per le implicazioni teoriche e metodologiche della loro applicazione: tali approcci al testo infatti - enfatizzando gli aspetti statistici, talvolta anche molto complessi - lasciano, a nostro avviso, in secondo piano le componenti di significato, di interazione fra osservatore e soggetto osservato che invece (coerentemente con quanto affermato a proposito della ricerca qualitativa tout court) risultano le condizioni crucialmente rilevanti dei processi di costruzione di conoscenza (Silverman, 2000). In altri termini, anziché “dalle parole ai numeri” (Amaturo e Gambardella, 1995), preferiamo passare dalle parole ai significati (De Leo e coll., 2004a, p. 100).

Nonostante questi rilievi critici, non mancano elementi di interesse e di comunanza fra gli

approcci alle informazioni qualitative e quello che verrà presentato nelle pagine seguenti (in particolare, nel capitolo 4): ad esempio, la necessaria accuratezza nella scelta delle unità d’analisi; come rileva Bolasco (1999, pp. 193-194):

In certi casi, risulta determinante anche l’ampiezza del frammento di testo, visto come unità di contesto, su cui operare una ricerca per la cattura di un’occorrenza. Ciò al fine di indagare sulle co-occorrenze di due o più termini. I frammenti possono infatti essere naturalmente già definiti, come nel caso delle risposte libere in un questionario o dei titoli di articoli della stampa, o dei paragrafi e/o commi di un testo giuridico. Ma possono invece non esserlo, come nel caso dei testi letterari e di interviste non direttive. Allora, l’incertezza delle scelte è elevata, poiché non vi sono regole generali per la segmentazione del corpus.

1.2 L’approccio della “Grounded theory” Si tratta di un approccio alla ricerca qualitativa di tipo interpretativo (De Gregorio e

Mosiello, 2004), più che di una tecnica di analisi, che è stato proposto un ambito sociologico a partire dagli anni ‘60 (Glaser e Strauss, 1967) e - con poche rivisitazioni - è arrivato fino ai giorni nostri (Strauss e Corbin, 1990; Charmaz, 1995; Cicognani, 2002b; Strati, 1997; Pandit, 1996). La Grounded theory - o, più correttamente, la grounded theory methodology (Strauss e Corbin, 1994; 1998) - la cui tradizione è ampiamente consolidata in sociologia (Strati, 1997) ma appena agli inizi in psicologia (Cicognani, 2002b; Henwood e Pidgeon, 1992) - privilegia la scoperta di una teoria emergente dai dati piuttosto che la ricerca in essi di costrutti

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preesistenti alla rilevazione stessa: viene dunque proposta come la soluzione metodologicamente più idonea a “mettere ordine” in grandi quantità di informazioni, identificando temi ricorrenti e relazioni fra essi. Analogamente al paradigma neopositivista di verifica (al quale tuttavia si oppone rispetto all’enfasi che questo dà alle “ipotesi”, agli obiettivi di controllo e previsione) la Grounded theory ha sviluppato un proprio apparato epistemologico, ambiti di applicazione e propri criteri di validità che consentono anche a chi fa ricerca qualitativa di condurre studi rigorosi e sistematici (Silverman, 2000).

Secondo Charmaz (1995), infatti, la Grounded theory consente di apportare nella ricerca qualitativa gli stessi requisiti di sistematicità e validità che caratterizzano gli studi secondo il paradigma neopositivista.

Secondo le prassi - proposte inizialmente da Glaser e Strauss (1967) e successivamente ridefinite in maniera più organica da Strauss e Corbin (1990) - il ricercatore dovrebbe accostarsi ai soggetti che costituiscono il campione del suo studio senza alcun modello teorico che guidi la conduzione dell’intervista, né l’ordine delle domande e, naturalmente, neppure l’interpretazione delle interviste. Dovrebbe, invece, (anche con l’ausilio di recenti software creati sulla base del modello proposto), intraprendere un processo iterativo fra dati, interpretazione e teoria emergente dalla loro interazione. Tale processo, in cui l’interpretazione inizia fin dalla prima intervista raccolta (figura 5)46, ha l’obiettivo di «costruire la realtà sociale dal punto di vista dei partecipanti, tentando di determinare i significati simbolici […] hanno per gruppi di persone mentre interagiscono le une con le altre» (Cicognani, 2002a, p. 45).

Fig. 5: Il processo di ricerca nella Grounded theory (fonte: adattato da Steinke, 1999, p. 26)

46 Nella figura i termini “formale” e “sostantiva” fanno riferimento al livello di generalità/specificità della spiegazione teorica: le prime si limitano al singolo fenomeno sociale, le seconde li includono classi più ampie.

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Il materiale narrativo può essere analizzato rispetto a una molteplicità di dimensioni, come il contenuto, la struttura, lo stile del parlato, le caratteristiche affettive, le motivazioni, gli atteggiamenti e le credenze del narratore, il suo livello cognitivo. Inoltre, i dati sono influenzati dall’interazione fra l’intervistatore e l’intervistato e da altri fattori contestuali. Un’altra caratteristica della ricerca narrativa riguarda il ruolo delle ipotesi: negli studi narrativi di solito non ci sono ipotesi a priori. Le direzioni specifiche dello studio emergono dalla lettura del materiale raccolto. Inoltre, il lavoro eseguito è interpretativo, e un’interpretazione è sempre parziale, personale e dinamica. […] Nel corso del processo, il lettore della storia entra in un processo interattivo con la narrativa e diventa sensibile alla voce e ai significati del narratore. Le ipotesi e le teorie sono pertanto generate durante la lettura e l’analisi delle narrative, in un processo circolare (Cicognani, 2002a, p. 108).

Come abbiamo riportato anche altrove (De Gregorio e Mosiello, 2004; De Leo e coll., 2004b), tuttavia, la certezza di poter “mettere da parte” le categorie teoriche di riferimento ci sembra un’operazione cognitiva ingenua perché non tiene conto del fatto che inevitabilmente il ricercatore porta nell’intero processo di ricerca (dalla formulazione delle domande dell’intervista all’analisi delle informazioni) i propri orientamenti e inclinazioni, gli interessi di ricerca, la soggettività, incluso l’angolo visuale della propria formazione teorica e del proprio gruppo di riferimento (comunità scientifica). Ci sembra utile, a questo riguardo, la nozione di “concetti sensibilizzanti” (proposta da Blumer, 1969), con cui ci si riferisce proprio ai punti di partenza (espliciti o impliciti) dell’analisi, le premesse teoriche, rispetto alle quali il ricercatore valuta (ribadiamo: esplicitamente o implicitamente) e l’aderenza (“fit”) con i dati che emergono dalla situazione di ricerca (ad esempio, l’incontro con l’intervistato). Si tratta, in altre parole, di un processo di “doppia significazione” in cui il cuore dell’analisi qualitativa sta nell’interpretazione che il ricercatore attribuisce alle interpretazioni dell’attore, intese come modi di concettualizzare la propria esperienza.

Il processo di ricerca complessivo appare dunque caratterizzato da una divergenza di fondo da quello degli approcci neopositivisti: piuttosto che una sequenza standardizzata di fasi, come quella descritta nella figura 6 (tipico della ricerca tendenzialmente quantitativa), il metodo qualitativo viene solitamente descritto come un processo circolare (Gobo, 1998), che non si sviluppa attraverso una sequenza lineare di fasi sequenziali, ma si muove in avanti e indietro fra dati e evidenze empiriche, sempre aperto a innovazioni e aggiustamenti. Fig. 6: Il modello lineare del processo di ricerca (fonte: Cicognani, 2002a, p. 26)

In questo modo, si ha l’opportunità di modificare in itinere alcuni aspetti dell’indagine,

confermandoli o correggendoli in ogni momento.

Generalmente, il punto di partenza è costituito da una “domanda cognitiva” (Cardano, 2003) - piuttosto che da un’ipotesi da verificare - riferita ad un problema specifico che necessita di trovare una risposta. La raccolta dei dati47, attraverso la scelta di una tecnica appropriata alla natura della domanda, procede di pari passo con la loro interpretazione. Nel momento in cui il ricercatore inizia a raccogliere il materiale, quanto più possibile ricco e dettagliato, comincia la sua attività di riflessione orientata a far emergere i significati racchiusi nelle informazioni che di volta in volta vengono codificate. Esemplare in questo senso è il concetto proposto da Strauss e Corbin (1990) di “matrice condizionale”, un diagramma utile alla descrizione del contesto legato al fenomeno oggetto di studio. Tale matrice permette di collegare contemporaneamente - attraverso la struttura logica a cerchi concentrici - i diversi livelli pertinenti all’oggetto di studio (De Gregorio e Mosiello, 2004, p. 19).

47 Per comodità espositive utilizzeremo d’ora in poi il termine “dati” insieme a quello di “informazioni”, sebbene tenda a richiamare alla memoria un’impostazione oggettivista che si allontana dall’orientamento di tipo qualitativo. Si rimanda comunque al cap. 4 per una maggiore articolazione delle differenze d’uso fra i termini “informazioni”, “dati” e “osservazioni” (cfr. anche Mannetti e Pierro, 1998; De Gregorio e Mosiello, 2004).

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La matrice condizionale può essere rappresentata come mostra la figura 7: Fig. 7: Rappresentazione grafica della matrice condizionale secondo Strauss e Corbin (1990, p. 163)

cultura

nazione

comunità

organizza-zione

gruppo

individuo Il principale elemento di divergenza dagli approcci quantitativi è quindi dato dalla

direzione del percorso di ricerca: nel procedimento logico - formulato analiticamente da P.F. Lazarsfeld (1958) e rappresentato nella figura 8 - un concetto ad elevato livello di astrazione (ad esempio, il concetto complesso di “rappresentazione dell’oggetto sociale X”) viene trasformato in una variabile del disegno della ricerca a un livello di complessità inferiore, viene cioè tradotto in concrete operazioni di ricerca (Marradi, 1984; Losito, 1998):

Fig. 8: Il passaggio dai concetti agli indicatori secondo il paradigma lazarsfeldiano (fonte: Cannavò, 1999, p. 131)

il passaggio è possibile attraverso una precisa definizione del concetto di partenza e una sua scomposizione nelle dimensioni che lo costituiscono (nella figura 1: da C1 a D1, D2 e D3). Tale scomposizione può portare a dimensioni concettualmente semplici – a un basso livello di astrazione - e quindi facilmente traducibili in indicatori e nelle relative definizioni operative (es.: le domande di un questionario), come in D2 e D3; oppure, può essere necessario un ulteriore passaggio di definizione concettuale e di scomposizione in sottodimensioni, al fine di specificare la complessità e rendere possibile l’identificazione degli indicatori empirici (De Gregorio, in stampa).

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Il procedimento proposto dalla Grounded theory, inverte i termini del modello: si parte dai dati (a un livello di astrazione vicino a quello degli indicatori) per arrivare ai concetti teorici e produrre una spiegazione che renda conto delle relazioni tra i dati e dei processi che organizzano tali relazioni.

Complessivamente, l’approccio si caratterizza per una coerenza interna descritta da una serie di concetti-chiave che hanno, in un certo senso, l’obiettivo di delineare un percorso ideale per la conduzione di una ricerca secondo la prospettiva grounded. Della matrice condizionale abbiamo già parlato, gli altri concetti sono:

campionamento teorico: la formazione del campione48 della ricerca step-by-step sulla base delle informazioni che emergono nel corso dell’analisi delle informazioni e servono per la costruzione della teoria: è guidato da interessi teorici contingenti e ha l’obiettivo di collezionare eventi e situazioni che siano indicativi (non necessariamente rappresentativi) delle categorie, delle loro proprietà e dimensioni, delle relazioni fra queste;

saturazione teorica: rappresenta la situazione in cui non è più possibile evincere informazioni rilevanti rispetto a un concetto teorico rilevante, le relazioni fra categorie sono stabilizzate e ogni nuovo elemento non aggiunge nulla di nuovo ai risultati ottenuti.

Un ultimo aspetto d’interesse riguarda le opzioni di codifica (a cui accenniamo ma che verranno riprese empiricamente nel quarto capitolo): esse sono differenziate in a) codifica aperta (“open coding”, nella terminologia di Strauss e Corbin, 1990): consiste

nel ricondurre i dati a concetti generali che ne riassumono contenuto e significato e nello sviluppare da questi categorie e dimensioni del fenomeno oggetto di studio49; ciò al fine di «di concettualizzare e non di descrivere, di indicare e non di riassumere, di etichettare i processi caratteristici delle interazioni in corso, di cogliere e utilizzare le etichette in uso impiegate dai soggetti di quelle interazioni» (Strati 1997, p. 154),

b) codifica assiale (“axial coding”): a partire dai codici ottenuti dalla fase precedente, implica un perfezionamento concettuale. Vengono scelte le dimensioni più rilevanti ai fini dell’analisi (con o senza riferimenti teorici diretti) e vengono definite le relazioni fra loro in termini di causalità, contiguità, opposizione, inclusione, etc.50,

c) codifica selettiva (“selective coding”): ha l’obiettivo di strutturare un quadro teorico più definito attraverso l’identificazione della dimensione principale (“core category”) e delle sue relazioni con tutte le altre51. Essa infatti verrà sistematicamente “incrociata” con le altre man mano che prosegue la raccolta delle informazioni, e la loro analisi, fino alla definizione della story line52 (Strauss e Corbin, 1990) che sintetizza il processo oggetto di studio.

Tale versione della Grounded theory è stata criticata in quanto - come sostiene Silverman

(2000, trad. it. 2002, p. 211) - mostra una incapacità di riconoscere il ruolo delle teorie implicite che guidano il lavoro sin dalle prime fasi. Inoltre, risulta più chiara sulla produzione di teorie e meno sul loro controllo. Utilizzata in modo non intelligente, può anche degenerare in una costruzione abbastanza vuota di teorie o in una cortina di fumo impiegata per legittimare ricerche puramente empiriche.

Come abbiamo detto in precedenza, sarebbe ingenuo ritenere che il ricercatore possa accostarsi al proprio oggetto di studio senza alcun parametro (scientifico, culturale, 48 Giova precisare che nella ricerca qualitativa in generale il termine “campionamento” non implica alcuna pretesa di rappresentatività rispetto a una popolazione di riferimento: ci si riferisce infatti a un “set di documenti” o a un “gruppo di soggetti”. 49 Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione in termini di “codici”. 50 Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione in termini di “families”. 51 Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione nei termini delle “network”. 52 Sul concetto di “story line” si veda il § 3.1 nel cap. 1.

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orientamento personale) che ne indirizzi e, inevitabilmente, ne condizioni la lettura del fenomeno. Ovviamente, per quanto riguarda l’ambito psicologico si tratta di una critica fondamentale. A riguardo, condividiamo quindi le riflessioni di Cicognani (2002b, p. 44) a proposito della revisione costruttivista dell’approccio:

si ritiene che i ricercatori debbano possedere alcune risorse teoriche (di varia provenienza: ad esempio conoscenze teoriche, esperienza) e una prospettiva dalla quale iniziare l’analisi, senza tuttavia applicarla automaticamente a dati, problemi e contesti nuovi, ma piuttosto, cercando di raggiungere un equilibrio delicato fra l’avere un grounding nella disciplina e spingerla un po’ oltre.

2. Le analisi qualitative delle strutture narrative

Una ulteriore possibile strategia di analisi è relativa alle strutture narrative. La letteratura, soprattutto di ispirazione sociolinguistica, ha proposto alcune soluzioni interessanti sia dal punto di vista teorico che da quello metodologico. In questa sede, proponiamo una breve sintesi delle proposte principali con particolare attenzione a due modelli specifici. Prima però è necessario comprendere cosa è una struttura narrativa.

Le origini di questo tipo di studi si fanno solitamente risalire al lavoro di V. Propp (1928)53: le sue ricerche sulle “funzioni narrative” delle fiabe di magia russe hanno segnato una tappa importante degli studi sulle strutture delle narrative che - sempre facendo esplicito riferimento a lui, nonostante la specificità dei testi di partenza - hanno proposto modelli di analisi molto diversi.

Propp, in particolare, aveva rilevato nelle fiabe di magia pattern di associazione specifici che si presentavano secondo strutture condivise fra le diverse narrazioni: tale modello - sebbene molto complesso (l’Autore ha identificato 31 funzioni complessive) - ha una duplice funzione: da una parte consente al ricercatore di semplificare la lettura della fiaba a prescindere dalla molteplicità delle forme del contenuto; dall’altra, suggerisce implicitamente al lettore uno schema (uno script, nei termini cognitivisti di Schank e Abelson, 1977) sulla base del quale prevedere il percorso e l’esito delle narrazioni stesse. Questo tipo di operazione (la semplificazione dei contenuti narrativi in strutture stereotipate) consente, per inciso, la differenziazione fra generi narrativi diversi (Feldman, 1991)54: il lettore, o il moderno spettatore di un film, tenta infatti di anticipare lo svolgimento di una storia di cui è testimone proprio attraverso l’applicazione di un modello strutturale socialmente condiviso (Smorti, 2003; Bruner, 2002). Il come si svolge una storia (il canovaccio di una piece teatrale, la trama di un romanzo o di un film) è solitamente condizionato da questa condivisione fra autore e lettore/spettatore (Eco, 1979).

Bruner (2002), riapplicando le tesi di Burke (1945) ai contesti legali, ha proposto il concetto di “pentade scenica” come modello di convenzione narrativa. Ogni storia consta di cinque elementi fondamentali (che potremo chiamare “dimensioni narrative”) che la caratterizzano: un attore, in una situazione, compie un’azione, per raggiungere un fine con un mezzo. La narrazione di un evento, secondo questo approccio è necessaria nel momento in cui si presenta

una difficoltà, un impedimento, una contraddizione fra i cinque elementi (il “problema”) che rende necessario un resoconto del corso d’azione (Bruner, 2002): la narrazione ha cioè un senso sulla base delle difficoltà che rendono narrabile l’esperienza […]. Gli aspetti interessanti della vita di ciascuno (ciò che merita di essere narrato) non sono quelli che fanno parte della quotidianità routinaria, ma gli eventi salienti. La narrazione appare quindi come costrutto utile ai fini della comprensione di un’azione, ma necessita di un’adeguata struttura di analisi qualitativa che consenta di cogliere i nodi attorno a cui la narrazione stessa è organizzata: di cogliere, in

53 Il filone di studi che più direttamente deriva dagli studi del formalismo russo (rappresentato da Propp) è noto oggi come “narratologia” (Murray, 1995; Manning e Cullum-Swan, 1994; 1998). 54 Per un’applicazione del concetto di “genere narrativo” all’analisi delle interazioni discorsive si vedano, fra i tanti, Fasulo (1997; 2003).

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altri termini, i significati rilevanti per il soggetto, i passaggi secondo cui il narratore imposta la resocontabilità della propria esperienza, ovvero il senso con cui tale esperienza è stata soggettivamente costruita ed elaborata (De Leo e coll., 2004a, pp. 112-113).

Si tratta, in altri termini, della violazione della canonicità (Smorti, 2003; Bruner, 2002) che – soprattutto nei contesti legali, di cui ci stiamo occupando – assurge a criterio fondamentale per la “resocontabilità” dell’azione: approfondiremo nel prossimo capitolo le implicazioni narrative specifiche del contesto, per ora ci preme sottolineare l’importanza di una prospettiva che collega due ambiti narrativi diversi, quello “realista” (vedi finestra 2, nelle pagine precedenti) in cui l’azione non-canonica è avvenuta e quello “narrativo” in cui la stessa azione viene rievocata. Entrambi questi ambiti costituiscono dei contesti narrativi, allo stesso modo, rilevanti ai fini di un’accurata ricostruzione dell’evento: in ciascuno la violazione della canonicità assume un ruolo fondamentale per la costruzione narrativa dell’azione: nel passato, il fatto-reato e la violazione hanno la forma narrativa dell’episodio con inizio e fine definiti. Nel presente, la violazione (delle norme e della canonicità narrativa) assumono il carattere dell’episodio dotato di senso rispetto al quale si amplia la cornice interpretativa: in altri termini, l’attore contestualizza l’azione deviante in un sistema di altri eventi (precedenti e successivi) in cui questa viene connotata, come vedremo nel cap. 4, secondo codici comunicativi di disimpegno morale e di neutralizzazione della norma: È un resoconto fatto da un narratore nel “qui ed ora” e riguarda un protagonista che porta il suo stesso nome e che è esistito nel “là ed allora” e la storia finisce nel presente, quando il protagonista si fonde con il narratore. Gli episodi narrativi che compongono la storia della vita hanno una struttura tipicamente laboviana55 rigorosamente aderente alla sequenza e alla giustificazione per eccezionalità. Ma la storia nel suo complesso presenta un elemento fortemente retorico, come se volesse giustificare perché era necessario (non in senso causale ma morale, sociale, psicologico) che la vita prendesse quella determinata direzione. Il Sé come narratore non si limita a raccontare, bensì giustifica. E il Sé come protagonista è sempre, per così dire, orientato al futuro. Quando sentiamo affermare, per riassumere la storia di un’infanzia: “Ero un grazioso ragazzino ribelle”, di solito questa valutazione a posteriori può essere intesa anche come una profezia (Bruner, 1990, trad. it. 1992, p. 117).

Dal punto di vista più specificamente analitico, la letteratura offre un panorama composito

che proviamo a riassumere nelle prossime pagine.

2.1 La metodologia “Comparative narratives” Secondo P. Abell (1984), l’azione sociale è studiabile attraverso le forme narrative in cui è

descritta. Secondo l’Autore, gli esseri umani descrivono le loro azioni utilizzando una forma narrativa orientata a fornire una visione della realtà sociale, oltre che del proprio comportamento.

Questa prospettiva può essere riassunta nei seguenti termini: a) per spiegare gli accadimenti del mondo sociale, bisogna descrivere le azioni che

avvengono, b) ogni azione può essere spiegata da punti di vista multipli: ciascuno offre un punto di

vista non esclusivo, c) ciascun attore (da ciascun punto di vista) genera una storia in forma narrativa in cui

diverse azioni sono interrelate, d) quando di cerca di spiegare (o descrivere) due o più eventi identici o correlati si

devono necessariamente confrontare due o più narrazioni. Questo il quadro teorico. Abell descrive inoltre la metodologia qualitativa che sottende allo

studio delle azioni/narrazioni: questa necessita prima di tutto di una sintassi mediante la quale descrivere (codificare) gli eventi e consiste in:

1. un set di azioni vere e proprie: a1, a2, a3, a4, etc. 2. un insieme di attori: α, β, γ, δ, etc. 3. una dimensione temporale lungo cui collocare le azioni: t1, t2, t3, etc.

55 Del modello di Labov parleremo fra poco nel corso di questo paragrafo.

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4. un insieme di relazioni possibili, per cui a1 L a2 (significa che a1 transitivamente compie un’azione verso a2).

Da questo punto in poi, l’analisi delle narrazione assume una forma matematica che implica la costruzioni di matrici e tabelle di contingenza: le analisi consentite hanno alcune ristrettezze quali, ad esempio, l’arbitrarietà del punto di partenza (da quale evento iniziare la ricostruzione del modello) e il fatto che ogni percorso d’azione possibile deve essere unidirezionale (non sono possibili processi ricorsivi): in questo modo, è possibile confrontare due narrazioni prodotte dallo stesso parlante, in due momenti diversi, ma a differenti livelli di astrazione, oppure le narrazioni di uno stesso evento prodotte da due attori diversi (i due punti di vista). La procedura è resa possibile dalla schematizzazione a cui viene sottoposto il materiale verbale e dalla riconduzione a simboli e codici matematici che rendono possibili operazioni (anche molto complesse) di confronto fra dimensioni rese, in questo modo, logicamente equivalenti.

Nonostante, l’Autore ritenga di poter applicare questo metodo anche a complessi processi interattivi (ad esempio, le folle di una manifestazione) e pur ritenendo inappropriata una categorizzazione delle proprie ipotesi sotto l’etichetta positivista, bisogna tuttavia riconoscere che il modello di Abell soffre di una forse troppo drastica tendenza alla schematizzazione e alla formalizzazione matematica: la stessa enfasi sulla necessaria unidirezionalità delle azioni studiabili limita senza dubbio le possibili applicazioni a situazioni e contesti reali56.

Si tratta di analisi qualitative che non rinunciano alla quantificazione e implicano relazioni causali.

2.2 Le strutture profonde delle narrazioni Nel corso degli anni ‘80, diverse equipe di ricercatori hanno cercato di mettere a punto

metodologie per rilevare l’eventuale presenza di strutture soggiacenti nelle produzioni linguistiche e narrative sia per quanto riguarda le singole frasi (Gee e Grosjean, 1983) che rispetto a vere e proprie storie (Mandler, 1987; Mandler e Goodman, 1982; Gee e Grosjean, 1984). Prendendo spunto dalle analisi letterarie e linguistiche, Gee (1986); Gee e Kegl (1983) e Gee e Grosjean (1983; 1984) si sono interrogati su due aspetti in particolare: □ su quali siano le strutture delle narrazioni sia nell’attività del resoconto sia per quanto riguarda la loro collocazione in memoria. Gee e Kegl (1983) hanno identificato una struttura schematica che illustra quali sono (e che relazioni intercorrono fra esse) le parti che compongono una narrazione. La figura 9 mostra la struttura come a tutti gli eventi: in essa, l’intero Testo appare formato da due componenti principali, un’Introduzione e la Storia vera e propria. La Storia si divide in Iniziazione e Conclusione: nella prima di esse il narratore inserisce episodi specifici caratterizzati da un’Azione e da una Risoluzione (“Result”) che a sua volta - a seconda della complessità dell’evento - può essere ulteriormente sottodimensionata in sequenze azione-risoluzione (tale operazione può essere retoricamente sfruttata per allontanare la Conclusione e generare nel lettore/spettatore uno stato emotivo di attesa o suspense). Allo stesso modo, la Conclusione può essere descritta come una sequenza di Interrogativi e Risposte fino alla completa chiusura dell’evento narrativo; □ quale elemento del discorso dovesse, in particolare, essere considerato unità di analisi privilegiata (Gee, 1986). I concetti di “episodio” e “sezione” rendono evidente che ci stiamo muovendo in uno scenario di studi sulle strutture narrative: la “stanza” specificamente è l’unità di testo che - a un livello di astrazione intermedio fra la linea di testo e la sezione - racchiude un tema ristretto e specifico. Essa è più informativa della linea di testo (che può non esaurire tutte le informazioni sull’oggetto di interesse), ma allo stesso tempo ha un carattere più limitato e preciso della sezione narrativa (in cui possono insistere diversi temi). È l’unità cruciale anche perché rispetto a un tema ristretto, essa consente di caratterizzarlo in tutte le 56 È pur vero che un modello analogo a quello di Abell è stato applicato, in ambito sociologico, alla ricerca di modelli condivisi nelle carriere dei musicisti (Abbott e Hrycak, 1990), ma in questo caso è stata dichiarata la matrice positivista (sul modello delle scienze naturali) delle procedure di codifica e analisi dei materiali.

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sue caratteristiche definitorie: il tempo e lo spazio di svolgimento dell’evento, l’interconnessione con altri attori, la prospettiva individuale e il punto di vista di uno spettatore esterno. L’identificazione di una sequenza, una concatenazione, di stanze consente al ricercatore di ricreare la storia nel suo insieme e di dare coerenza all’intero evento.

Fig. 9: Struttura gerarchica della narrazione secondo Gee e Kegl (1983, p. 248)

Secondo gli Autori, oggetto dell’interesse dei ricercatori non deve essere tanto il problema

se la narrazione ha o no una struttura gerarchica (come quella descritta nella figura 9), ma piuttosto su quali metodologie sono più adeguate per studiare strutture narrative complesse. Non si può infatti trascurare che la maggior parte degli studi presentati in questa sezione fanno riferimento a testi sempre molto brevi (nell’ordine di 10-12 righe al massimo) e che la “narratività quotidiana” (sia essa riferita a situazioni normative o ad eventi particolari come le azioni devianti) invece si sviluppa spesso lungo criteri spazio-temporali più estesi.

Lehnert (1981) ha condotto degli studi di particolare interesse sugli aspetti di rievocazione mnestica delle narrazioni: l’ipotesi di partenza è che quando un individuo legge una storia ricostruisce nella sua memoria una rappresentazione, un modello schematico interno, mediante il quale la rievocazione successiva è favorita:

se chiediamo a chi legge una storia di riassumerla successivamente, una gran quantità di informazione residente in memoria è selettivamente ignorata per produrre una versione semplificata della narrazione originaria. Questo processo di semplificazione si basa su una struttura globale della memoria che consente di focalizzare l’attenzione sugli elementi centrali della storia ignorando i dettagli periferici (Lehnert, 1981, p. 294).

In questo quadro, è centrale la nozione di “plot” (la struttura della storia): secondo

l’Autrice, ogni unità strutturale - una frase, un concetto, anche una singola parola - ha una sua colorazione affettiva che consente al lettore (e al ricercatore) di “marcarla” secondo quest’accezione. Questa operazione è semplice e consiste nell’associazione ad ogni passaggio narrativo di un simbolo che distingue gli eventi positivi (+), da quelli negativi (-) e da quelli emozionalmente neutri (M). Utilizzando l’esempio fornito dall’Autrice:

La macchina di John non parte - (evento a caratterizzazione negativa) John deve partire M (evento a caratterizzazione neutra) Paul fa partire la macchina di John + (evento a caratterizzazione positiva) In questo semplice esempio, è possibile stabilire delle relazioni causali fra gli eventi in cui

il terzo risolve gli altri due, ma ogni narrazione avrà configurazioni più complesse e le relazioni fra eventi saranno di vario tipo anche in base alla sequenza temporale degli eventi

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fino alla applicazione di una vera e propria sintassi delle strutture narrative che lega tutte le possibili configurazioni di “-”, “+” e “M”. Tanto più lunga e tematicamente complessa è la narrazione tanto più articolata sarà la configurazione degli stati emotivi. Allo stesso modo, il ricercatore potrà facilmente verificare la coerenza intra-narrativa attraverso l’identificazione di strutture simmetriche speculari e/o complementari.

In tempi più recenti (e parallelamente all’evoluzione delle tecnologie informatiche), alcuni Autori, soprattutto in ambito sociologico, hanno proposto metodi di analisi delle narrazioni che forniscono utili spunti di riflessione per la nostra proposta di analisi delle narrazioni di azioni devianti. Ci riferiamo, in questo caso alla cosiddetta ricerca su base logica (Agodi, 1997). In questo tipo di studi «il computer produce diagrammi relativi a questi eventi e permette all’utente di esplorare e verificare le relazioni logiche tra gli eventi, incrociando narrative diverse; permette inoltre di comparare le diverse strutture narrative» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 235).

Si tratta, in ogni caso, al pari di quelli sui modelli matematici, di studi che enfatizzano gli aspetti quantitativi delle analisi narrative: la riconduzione di corpora informazioni in forma narrativa a schemi elementari consente l’operazionalizzazione di questi in variabili metriche. La maggior parte di questi studi infatti è orientata dalla verifica di ipotesi specifiche sui modelli in differenti contesti. La valenza qualitativa dell’approccio rimane dunque a livello di unità di analisi (i testi), è parziale nel momento della codifica e scompare nella fase di analisi vera e propria delle informazioni: un meccanismo di questo tipo è ancora più evidente nell’approccio descritto nel prossimo paragrafo.

2.3 La “Event Structure Analysis” La proposta di analisi delle narrazioni di D. Heise (1988; 1989; 1991) ha caratteristiche

peculiari su cui riteniamo utile soffermarci. L’Autore propone un modello di analisi delle strutture che è coerente con l’idea che le storie siano costruzioni narrative caratterizzate da uno svolgimento lineare e da sequenze comuni di eventi sovrapponibili. Si tratta di un’attualizzazione della proposta di V. Propp (1928), ma, per così dire, modernizzata con la proposta di modelli automatici di codifica e analisi delle informazioni. Heise, dal punto di vista sociologico e di antropologia cognitiva, ritiene infatti che ogni narrazione (dalla narrazione autobiografica alla favola) è la ricostruzione fedele di una realtà di per sé logica e (auto)organizzata: da questa premessa deriva la conseguenza - sul piano metodologico - che la struttura narrativa può essere rintracciabile con opportuni metodi: l’obiettivo delle sue ricerche è stato dunque quello di mettere a punto un impianto metodologico per la ricostruzione qualitativa di tali strutture logiche (Heise, 1989), supponendo che siano esse a guidare l’azione umana (individuale e collettiva) e la sua ricostruzione in termini narrativi (Heise e Durig, 1997): l’azione umana sarebbe caratterizzata da sequenze ordinate, unidirezionali, di eventi secondo la formula “se…, allora…”. Il conflitto fra situazioni (cioè la possibilità che una ricostruzione incontri un bivio o che il narratore possa essere tradito nella sua ricostruzione da un’interferenza) è risolta con il criterio della priorità: viene attivato il percorso narrativo che l’attore elegge come prevalente in termini di salienza e di coerenza con gli obiettivi. Tutte le componenti esterne al sistema agente non sono negate: esse invece contribuiscono alla definizione delle priorità.

Il “principio della commutazione” prevede le strutture degli eventi possano essere rappresentate graficamente con un inizio e una fine definiti ma senza fare ricorso a meccanismi ciclici.

Si tratta di un modello di azione (anche narrativa) che - alla luce degli sviluppi più cognitivisti della ricerca nelle scienze sociali (inclusa la psicologia) - potremo definire “cibernetica”, sebbene anche le proposte più estreme di modelli computazionali dell’azione umana abbiano sempre previsto sistemi di retroazione: il modello e la metodologia di Heise sono “costruiti” coerentemente a una data immagine della realtà sociale (di tipo

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deterministico) che esclude a priori che una storia possa avere una deviazione dalla norma (essendo prevista come una sequenza ordinata di eventi).

Operativamente, gli eventi sono codificati in maniera univoca (vengono assegnate delle etichette verbali, ciascuna delle quali identifica un solo evento) e vengono stabilite le relazioni logiche fra di essi (la “grammatica delle azioni”: Heise, 1991): il computer57 si occupa poi di strutturare modelli che - trasversalmente alle diverse storie - tengano conto delle eventuali priorità assegnate dal ricercatore.

Lo stesso Heise ha ammesso la preferenza che il metodo di analisi proposto venga applicato a fenomeni routinari (Heise, 1988), rispetto ai quali il ricercatore definisce i possibili percorsi di svolgimento e il computer verifica empiricamente in narrazioni diverse: per questa ragione il modello di analisi proposto da Heise ci senza di indubbio interesse per lo studio di eventi semplici e routinari: la sua applicazione a contesti (di azione e di narrazione) di maggiore complessità prospetta tuttavia diversi problemi di ordine epistemologico e metodologico. Se infatti assumiamo come eccessivamente semplicistica la descrizione della realtà sociale come sequenza ordinata di eventi secondo il modello “se… allora…”, anche la scelta di un software come ETHNO, degli assunti di relazioni unidirezionali fra codici narrativi, dei criteri di priorizzazione degli eventi diventano difficilmente accettabili.

Analogamente ai modelli di Abell (1984; 1987), Abbott e Hrycak (1990), Gee (1986; Gee e Grosjean, 1983; 1984; Gee e Kegl, 1983), Mandler (1987; Mandler e Goodman, 1982) e Lehnert (1981) ci sembra che quello di Heise soffra di un’intrinseca tendenza al riduzionismo dei fenomeni sociali (inclusi i prodotti culturali) che - sebbene avvalorati da una loro coerenza interna e da raffinati modelli di analisi - rimandano a scelte epistemologiche diverse da quelle descritte nei capitoli precedenti e preferite nell’ambito di questo studio.

Per questa ragione, l’interesse che essi rivestono non va al di là di una “consapevolezza storica” su ciò che le scienze sociali hanno proposto sul tema delle analisi delle strutture narrative: più convincenti, invece, riteniamo le proposte di W. Labov, che descriviamo nel prossimo paragrafo.

2.4 L’ “Evaluation model” Secondo William Labov (1982; 1997; Labov e Waletsky, 1967), che da decenni studia le

narrazioni secondo una prospettiva sociolinguistica, la narrazione è un mezzo per rappresentare e ricapitolare l’esperienza passata per mezzo di una sequenza ordinata di affermazioni58 «che corrispondono all’ordine degli eventi originari» (Labov, 1997, p. 398). Sebbene quest’ultima asserzione non ci trova completamente d’accordo (si veda a questo riguardo la finestra 2 sulla contrapposizione fra approcci realistici e narrativi), alcune riflessioni di Labov ci hanno offerto utili spunti di lavoro. L’Autore ha distinto due proprietà fondamentali delle narrazioni: da una parte, esse hanno delle caratteristiche formali basate su pattern ricorrenti di asserzioni (cioè, una struttura invariante delle narrazioni); dall’altra, Labov ne ha identificato una proprietà funzionale in base alla quale ogni narrazione riveste una duplice funzione:

- la prima, detta referenziale, ha l’obiettivo di fornire all’interlocutore/lettore le informazioni sull’esperienza del narratore,

- l’altra, detta valutativa59, ha la funzione di trasmettere a chi ascolta/legge i significati che l’attore-narratore ha attribuito alla propria esperienza.

Labov e Waletsky hanno dimostrato che la comprensione della narrazione è riconducibile a

un una struttura formale, soprattutto per quanto riguarda la fondamentale definizione delle narrazioni come possibilità di scelta di repertori linguistici specifici per riferire gli eventi passati. Il framework sviluppato da Labov e Waletsky per le narrazioni orali dell’esperienza 57 Heise ha creato un software apposito per le analisi di strutture di questo tipo, ETHNO. 58 Questa definizione è condivisa anche da Cortazzi (1993) e da Baeger e McAdams (1999). 59 Da cui prende il nome l’intero modello.

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personale si è dimostrato utile per lo studio di un’ampia gamma di situazioni narrative, incluse le memorie riportate oralmente, le fiabe popolari, i racconti, le interviste in contesti terapeutici e, ancora più importante, le semplici interviste della vita quotidiana […]. Abbiamo gradualmente capito che le narrazioni sono la forma privilegiata del discorso e che esse giocano un ruolo centrale in quasi tutte le conversazioni (Labov, 1997)60.

Labov ha identificato sei elementi che compongono la struttura formale delle narrazioni: li riportiamo (nei termini originali) nella tabella I:

Tab. I: Le fasi della struttura narrativa secondo Labov (1982; 1997): adattato da De Leo e coll., (2004a)

Abstract È uno dei due elementi opzionali della struttura narrativa, che introduce

l’argomento riassumendone i punti principali.

Orientation (o Setting) Il narratore fornisce i dettagli sulle variabili contestuali all’evento narrato: tempo, luogo, partecipanti, situazione. Di solito, è espressa da espressioni verbali in forma passata. Esprime l’antefatto dell’evento.

Complication Similmente alla “pentade scenica” (secondo il riadattamento di Bruner: cfr. § 2 in questo capitolo), descrive l’elemento problematico che spinge a costruire intorno a esso la narrazione stessa: è, per questa ragione, il nucleo della narrazione.

Evaluation Comprende una serie di “dispositivi valutativi” che illustrano l’orientamento del narratore nei confronti degli eventi narrati in termini di attribuzioni di significati agli eventi, colorazione emozionale, riferimento al punto di vista di attori esterni.

Result Descrive la fase di risoluzione dell’evento. Dal punto di vista strutturale può seguire sia la sezione valutativa sia la descrizione dell’elemento problematico.

Coda (o Termination) Opzionale come l’abstract, chiude la narrazione riportando gli attori alla situazione attuale. Spesso viene declinata nei termini di “morale della favola”.

La narrazione, estendendo il modello di Labov, è definibile non solo come magazzino di

informazioni, ma anche come vero e proprio mezzo per ri-organizzare la struttura percettiva, la memoria (Riessman, 1993) e il Sé autobiografico (Baumeister e Newton, 1994; Bluck e Habermas, 2000).

In anni più recenti, lo stesso Labov (2003) ha spostato l’attenzione alle conversazioni ordinarie con il concetto di “riportabilità” una narrazione: «un evento riportabile è non definito in termini assoluti, ma in relazione alla situazione narrativa. Se un turno in una conversazione è una singola fase in sé conclusa, una narrazione è caratterizzata da una estensione maggiore di questo. […] Un evento riportabile è quello che giustifica l’automatica

60 Uno studio, in particolare, è riferito allo studio delle proprietà formali delle narrazioni di azioni violente (Labov, 1982).

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assegnazione al narratore del ruolo di parlante»61 (p. 5). Questa prospettiva fa capire anche perché spesso si raccontino eventi che in sé per sé non hanno valenza di riportabilità: si tratta di un modo per mantenere il turno e incrementare l’attesa dell’ascoltatore (Labov, 2004)62.

Dal punto di vista più direttamente metodologico, può sorgere il dubbio di una indebita sovrapposizione fra narrazioni come prodotti culturali e condivisi e interviste qualitative secondo un approccio narrativo: utilizzando queste ultime infatti (secondo le differenziazioni descritte nel capitolo precedente), ci si può chiedere se è possibile studiare le risposte a un’intervista come se fossero delle narrazioni. In altri termini, è possibile studiare scientificamente un prodotto culturale e idiosincratico allo stesso tempo63?

Gli stessi studi di Labov hanno evidenziato, in particolare, che anche le narrazioni orali (e non c’è dubbio che le forme di intervista rientrano in questa categoria) hanno una struttura tipica che può essere indagata con metodi scientifici.

Riessman, collegando esplicitamente le due forme narrative, sostiene che «l’obiettivo è vedere come i rispondenti alle interviste mettono ordine al flusso di esperienza per dare un senso agli eventi e alle azioni dello loro vite. L’approccio metodologico esamina la storia dell’informatore e analizza come questo mette insieme le risorse culturali e linguistiche» (1993, p. 2).

Un’ulteriore conferma viene dal successo che il modello di Labov ha avuto anche in psicologia, come sostiene Mishler (1986b, pp. 240-241):

quando si teorizza sulla struttura, le forme e le regole dell’azione sociale si richiede questo tipo di analisi, o uno equivalente, che preservi il complesso ordine delle azioni e delle reazioni che costituiscono la realtà sociale. L’interpretazione di offerte, richieste e le risposte conseguenti dipende dai modelli di analisi che includono le loro reciproche concatenazioni. Questa (analisi) non può essere come quegli approcci standard in cui ogni sequenza è isolata dal suo contesto, codificata nel quadro di un sistema di codifica definito e poi aggregata fra popolazioni diverse di rispondenti e soggetta ad analisi statistiche. È questo il notevole contributo di metodi di analisi narrativa: la storia contiene la sequenza di atti socialmente significativi senza la quale non ci sarebbe la storia stessa; la sua analisi dunque fornisce la base per un’interpretazione diretta di una complessa unità di interazione sociale, in contrasto con gli approcci standard in cui tali inferenze sono basate su porzioni minime decontestualizzate.

Per questa ragione, abbiamo scelto di valorizzare il contributo appena descritto (rispetto a

quelli precedenti)64 ricercando un’applicabilità all’oggetto di studio su cui verte il presente lavoro. Si tratterà - come descriveremo approfonditamente nel prossimo capitolo - di un’analisi dei testi alla luce delle categorie strutturali descritte da Labov: l’obiettivo specifico di questa fase è funzionale a una migliore comprensione delle produzioni narrative in contesti giudiziari, piuttosto che a una mera verifica empirica del modello (già ampiamente disponibile in letteratura).

Prima, tuttavia, è necessario trattare ancora un aspetto delle analisi narrative: la scarsa attenzione che la ricerca ha dedicato all’integrazione fra aspetti strutturali e aspetti contenutistici: a questo argomento dedicheremo il prossimo paragrafo.

61 Un’analoga definizione della narrazione in termini conversazionalisti (come ampio turno di un parlante) è presente in Riessman (1993). 62 Recentemente Labov (2003) ha introdotto il concetto di “concatenazione narrativa” (“narrative chain”) e le “regole della costruzione narrativa”, sempre seguendo un approccio conversazionalista. 63  In questo modo possiamo infatti definire le narrazioni poiché esse forniscono un modello che rende intelligibili sia una specifica realtà individuale sia i canoni culturali che contribuiscono a definirla (Brockmeier e Harré, 1997). 64 Un’ampia rassegna e una discussione critica dei modelli di analisi strutturale con particolare attenzione all’ordinamento temporale degli eventi e alla coerenza narrativa è presentata in Mishler (1986b; 1995).

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3. Contenuti o strutture: integrazione possibile? Come è chiaro da quanto abbiamo illustrato in questo capitolo, le analisi delle strutture

narrative e quelle dei contenuti hanno seguito, per la loro evoluzione storica e metodologica, percorsi diversi che le hanno fatte considerare sempre soluzioni alternative fra loro.

In occasione dello studio sulle costruzioni narrative del serial killer M.P. (De Leo e coll., 2004a), abbiamo proposto una soluzione integrativa per tenere conto di entrambi gli aspetti: ci siamo avvalsi del contributo di G. Rosenthal (1993) che, in uno studio sulle ricostruzioni narrative nelle storie di vita, ha ipotizzato una soluzione di integrazione per includere i due aspetti e valorizzarne le reciproche interazioni: Lo scopo dell’analisi delle narrazioni sulle storie di vita è la ricostruzione del significato attuale delle esperienze e la ricostruzione dell’ordine temporale della storia evolutiva sia essa scritta o narrata oralmente. L’analisi riguarda in particolare la scoperta dei meccanismi di selezione che guidano la scelta degli elementi testuali (o delle storie) in relazione al generale orientamento tematico dell’intervista. L’oggetto di questa fase analitica - chiamata Thematic Field Analysis - è la ricostruzione della forma e della struttura della narrazione, cioè del modo in cui la narrazione stessa è temporalmente e tematicamente ordinata nell’intervista (Rosenthal, 1993, p. 40).

L’organizzazione temporale (la struttura) e quella tematica (i contenuti) consentono al ricercatore di ottenere dal testo un’informazione più completa perché orientata da criteri di pertinenza e di salienza: l’ordine di elicitazione dei contenuti, la loro sequenzialità nel discorso, l’interconnessione con temi affini o, al contrario, antitetici. Si tratta di criteri che sicuramente spiegano di più della semplice frequenza di occorrenza nei testi delle parole-chiave:

Studiando la sequenza delle storie nelle interviste, le connessioni tematiche e linguistiche fra esse, un ricercatore può vedere quanto gli individui legano fra loro gli eventi significativi e le relazioni importanti nelle loro vite. L’analista identifica i segmenti narrativi, riduce le storie al loro nucleo (“core”), esamina la scelta del lessico, la struttura, le preposizioni, le sequenze di azioni (Riessman 1993, p. 40, corsivo nostro).

Le analisi delle strutture narrative possono aiutare il ricercatore a ricostruire il sistema dei

significati presenti nella narrazione. La Thematic Field Analysis consente dunque di ricostruire il significato delle azioni individuali all’interno di un contesto unitario quale è la narrazione di un percorso evolutivo complessivo:

le storie […] non possono essere considerate come una serie di esperienze isolate, disposte in ordine cronologico come se fossero strati di rocce sedimentarie; le esperienze individuali sono sempre incluse in contesti coerenti e significativi, in una costruzione biografica (Rosenthal 1993, p. 62).

La Thematic Field Analysis consiste in due operazioni congiunte: (a) una segmentazione

delle unità narrative, (b) un’analisi dei temi emergenti e delle loro connessioni sia dal punto di vista della “realtà storica” sia da quello della loro attualizzazione nella situazione di intervista (cfr. finestra 2, nelle pagine precedenti).

Nell’ultima parte del prossimo capitolo descriveremo un possibile utilizzo di questo metodo finalizzato all’analisi delle interviste sull’azione deviante.

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Studia prima  la  scientia  e poi  seguita  la pratica nata da  essa  scientia. 

Quelli  che  s’nnamorano  di  praticha  senza  scientia  sono  come  li 

nocchieri che entran in naviglio senza timone o bussola. 

Leonardo da Vinci (1452‐1519)

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Capitolo 4 - La ricerca

Alla luce delle premesse teoriche e metodologiche descritte nei capitoli precedenti, lo

studio è stato progettato e impostato nei termini che verranno descritti nei prossimi paragrafi. 1. Obiettivi Gli obiettivi dello studio sono stati molteplici e riferiti ad ambiti di conoscenza diversi.

Rispetto alle specificazioni operative, essi possono essere formulati come segue: è possibile rilevare nelle produzioni narrative di individui che hanno commesso reati dei

pattern comunicativi e narrativi condivisi e consolidati? Esistono cioè dei temi narrativi sottostanti che danno coerenza e credibilità ai resoconti prodotti dagli autori di reato? Questo obiettivo generale può essere articolato in declinazioni più specifiche e formulato nei termini seguenti:

• quali sono le principali analogie e differenze rispetto ai modelli teorici disponibili in letteratura?

• esistono differenze qualitativamente apprezzabili nelle costruzioni narrative riferite a differenti tipi di reato?

è possibile definire univocamente una struttura delle narrazioni prodotte in contesti penali non inquisitivi? In altri termini, esiste - anche per la narrazione delle azioni devianti - un modello strutturale delle narrazioni così come gli studi linguistici e sociolonguistici hanno rilevato un altri contesti discorsivi e conversazionali? Anche questo obiettivo generale può essere sottoarticolato in quesiti di ricerca più specifici:

• la struttura narrativa dei resoconti di azioni devianti è conforme ai modelli narrativi consolidati e acquisiti nella letteratura scientifica?

• esistono differenze qualitativamente apprezzabili nella struttura delle narrazioni riferite a diversi tipi di reato e all’esperienza degli intervistati nel circuito della devianza di tipo penale?

1.1 La costruzione narrativa in termini di contenuti Una prima classe di obiettivi è relativa i contenuti espressi dai partecipanti allo studio65: in

particolare, ci interessava conoscere i nuclei concettuali elicitati nelle risposte alla traccia di intervista (vedi oltre). Tali nuclei concettuali, o “temi narrativi” (come, in alternativa, li abbiamo chiamati in lavori precedenti: De Leo e coll., 2004a) sono riferiti alle salienze soggettivamente percepite rispetto all’oggetto della narrazione. Si tratta, in altri termini, di ciò

65 Iniziamo, fin da adesso, a chiamare “partecipanti” (o “rispondenti”) gli individui che hanno scelto di sostenere l’intervista narrativa (vedi oltre, in questo capitolo) con il ricercatore: la scelta ha motivazioni teoriche ed epistemologiche precise: l’utilizzo del termine “partecipante” è stato preferito a quello di “soggetto”, in virtù della connotazione di attività/attivazione rispetto alla costruzione delle informazioni della ricerca. Per ragioni analoghe, più avanti si parlerà di “gruppo di partecipanti” invece che di “campione della ricerca”, non avendo il requisito della rappresentatività: il reclutamento è avvenuto infatti su base volontaria (vedi oltre, in questo capitolo).

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che gli individui ritengono importante precisare rispetto al tema su cui sono chiamati a rispondere. Il termine “salienza” ha diverse implicazioni:

• da un lato, infatti, ha a che fare con i riferimenti valoriali e normativi condivisi in un dato assetto culturale o sub-culturale: è saliente ciò che attiene alla sfera dei valori, delle norme e, in senso più astratto, della costruzione intersoggettiva di un ordine nelle cose (Marsh, Rosser e Harré, 1978). Ha dunque una dimensione psicologico-sociale; • dall’altro - a livello soggettivo - esso richiama inevitabilmente i processi di (ri)costruzione mnestica, di attribuzione di senso a episodi del passato, di attualizzazione di questi nel presente, nella prospettiva scenari futuri66: si tratta dunque di una dimensione che suggerisce ampi riferimenti all’ambito sociale (seppure molti temi narrativi sembrino spesso legati a una “desiderabilità sociale”), ma la cui dinamica e fenomenologia si colloca a un livello prioritariamente individuale. Un primo assunto è dunque che i contenuti delle narrazioni individuali siano salienti (nel

senso appena esposto). In secondo luogo, si auspica che ci sia una convergenza intersoggettiva su tali temi: nel

corso delle analisi infatti dovrebbero essere evidenti le ricorrenze di temi narrativi trasversalmente alle diverse narrazioni. In tal senso, lo studio si prefigge l’identificazione dei nuclei concettuali che dovessero risultare qualitativamente prevalenti e intersoggettivamente salienti. La descrizione e la definizione concettuale di tali temi costituirà obiettivo di conoscenza e di approfondimento. In altri termini, ragioneremo sulla possibilità di parlare di salienza collettiva (o condivisa) in quanto rappresentazione su cui convergono i temi narrativi di tutti i rispondenti alla ricerca.

A differente livello di complessità, tali temi narrativi verranno analizzati - sfruttando le potenzialità del software ATLAS.ti (che verrà descritto in seguito) - alla luce delle possibili co-occorrenze: si cercheranno infatti eventuali pattern di associazione fra temi narrativi (cfr. nelle pagine seguenti: i livelli di codifica secondo Strauss e Corbin, 1990) con l’obiettivo di ricostruire stili narrativi con contenuti condivisi: particolare enfasi verrà data alla presenza nelle costruzioni narrative di temi riferiti ai modelli teorici del “Disimpegno morale” (Bandura 1997; Caprara e Malagoli Togliatti, 1996; Caprara, 2000) e alle “Tecniche di neutralizzazione della norma” (Sykes e Matza, 1957; Fritsche, 2002).

1.2 La costruzione narrativa in termini di struttura Un ulteriore livello di conoscenza attiene alle strutture delle costruzioni narrative. Tale

ambito - affine a quello che nel capitolo precedente abbiamo chiamato “analisi delle strutture narrative” - è sviluppato nella ricerca qui presentata a un livello prevalentemente esplorativo: la letteratura sull’argomento infatti mostra un panorama ampio in cui tuttavia è difficile trovare modelli consolidati; una variabile importante è l’estensione dei testi da sottoporre ad analisi: da una parte, sono stati forniti risultati interessanti con testi brevi (Labov e Waletsky 1967; Labov 1982; 1997), dall’altra l’analisi di lunghe interviste ha favorito il consolidamento di modelli di analisi di tipo matematico-quantitativo (Abbott e Hrycak, 1990; Abell, 1984; 1993).

Nel nostro caso, la natura qualitativa dello studio ci porta a preferire la prima area con particolare attenzione all’Evaluation Model (a cui abbiamo fatto riferimento nel capitolo precedente, § 2.4): proveremo dunque ad applicare questo a testi estesi quali le trascrizioni delle interviste narrative per lo studio dell’azione deviante.

Trasversalmente alle categorie di obiettivi descrittivi, sarà oggetto di interesse e valutazione un’analisi dei pattern di associazione fra temi narrativi, aspetti strutturali e tipi di 66 Nello specifico contesto di applicazione dello studio (la realtà penitenziaria) i riferimenti temporali al presente, al passato e al futuro assumono un significato particolare: si tratta infatti (come vedremo in seguito) di dimensioni fortemente caratterizzate dal tema del cambiamento e della responsabilizzazione. Il cambiamento, in particolare, si collega al passato (una situazione normativamente connotata su un versante negativo: il reato) e a una previsione/aspettativa futura di comportamenti intenzionalmente orientati a un versante positivo (il rispetto delle regole, la riconciliazione con la vittima, le prospettive risocializzanti, etc.).

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reati commessi dai rispondenti: si ipotizza infatti che diversi reati siano connessi a diversi stili e contenuti narrativi. Tale differenza, sia di tipo quantitativo che qualitativo, se effettivamente esistente, ha importanti implicazioni per la comunicazione e l’intervento.

2. Il contatto con gli intervistati Ai fini della rilevazione delle informazioni necessarie per implementare le analisi

qualitative descritte in precedenza è stato necessario percorrere un iter burocratico per ottenere le formali autorizzazioni da parte degli organismi competenti.

In una prima fase, è stata inviata una richiesta preliminare di autorizzazione all’Ufficio Segreteria Generale e Direzione Generale Detenuti e Trattamento (copia del documento è riportata in Appendice C). In un secondo momento, ottenuta l’autorizzazione da parte della Segreteria Generale, sono stati presi contatti con l’Istituto Penale “Regina Coeli” (Roma): al direttore, il dott. Mauro Mariani, è stato inviato il documento (Appendice D) in cui si forniscono le informazioni sul sistema di reperimento degli intervistati, sulle garanzie di anonimato, sull’archiviazione delle informazioni.

Infine, grazie alla collaborazione della dott.ssa Margherita Marras e della dott. Barbara Santoni, è stato possibile accedere alle Sezioni dell’Istituto. In particolare, sono state frequentate le seguenti sezioni:

II: riservata principalmente ai detenuti con problemi di tossicodipendenza, IV e V: riservate principalmente ai detenuti coinvolti in reati comuni, VI: riservata principalmente ai detenuti lavoranti, VIII: riservata principalmente ai detenuti coinvolti in reati a sfondo sessuale o

soggetti a isolamento. Un iter analogo era stato seguito in precedenza per contattare un gruppo di detenuti presso

l’Istituto Penale “Rebibbia Nuovo Complesso” (Roma), dove è stata svolta una fase pilota nell’ambito di una tesi di laurea curata dalla cattedra di Psicologia Giuridica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (prof. Gaetano De Leo): in tale occasione sono state effettuate in totale 38 interviste (18 delle quali sono state incluse nella base empirica della presente ricerca)67 ed è stata perfezionata la traccia di intervista narrativa (descritta in precedenza). Le interviste svolte a Rebibbia sono state effettuate fra febbraio e marzo 2003 dalla dott.ssa Melania Stefania Marini. Il periodo di svolgimento delle interviste a Regina Coeli è compreso fra ottobre e dicembre 2003.

2.1 Il setting e la conduzione delle interviste A ciascun detenuto è stata proposta la partecipazione in forma assolutamente anonima alla

ricerca. I volontari che hanno accettato lo hanno fatto mostrando un particolare interesse al dialogo e al confronto con un ricercatore totalmente esterno al contesto carcerario: per questa ragione, tutti coloro che hanno partecipato hanno parlato molto e volentieri mettendo in campo anche episodi di vita personale e aspetti emotivi legati alle relazioni sociali (familiari, con le vittime dei reati, con le istituzioni).

Tutte le interviste si sono svolte negli spazi riservati ai colloqui con gli operatori (assistenti sociali, psicologi, sacerdote) previo consenso degli agenti di polizia penitenziaria della specifica sezione: tali ambienti consistono in stanze di circa m 2 x 4, arredati da un tavolo, due sedie e un piccolo armadio, illuminati da luce prevalentemente artificiale. L’esordio consisteva sempre in una breve descrizione della ricerca e dell’intervistatore; era importante instaurare un clima di fiducia, apertura e dialogo: per questa ragione, prima di iniziare

67 Tale operazione, in ottemperanza ai principi del “campionamento teorico” (cfr. Strauss e Corbin, 1990: vedi anche capitolo precedente), è stata necessaria per ottenere interviste con rispondenti accuati di omicidio: a “Rebibbia” infatti si riscontra una maggiore quantità di detenuti per tale reato.

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l’intervista tutti gli intervistati sono stati informati sui diritti che - in quanto partecipanti alla ricerca - avevano nei confronti delle informazioni scambiate. L’appendice E mostra il modulo che ciascuno di essi ha letto e sottoscritto in duplice copia: una per sé stesso e uno da tenere agli atti dell’amministrazione del carcere. In esso sono contenute anche tutte le informazioni sulla tutela della privacy.

Tutte le informazioni sono state riportate sui protocolli di intervista (appendice B) e successivamente (lo stesso giorno della conduzione) sono stati trascritte in formato digitale in file Microsoft Word per l’analisi qualitativa mediante ATLAS.ti.

Purtroppo, data la particolare natura del contesto di rilevazione (il carcere) e la delicatezza delle informazioni (dettagli sui reati, sui percorsi di carriera deviante, altre informazioni personali) non è stato possibile audioregistrare nessuna intervista. Per questa ragione, l’intervistatore ha effettuato le prime interviste con un obiettivo esplorativo di messa a punto dei protocolli, dei metodi di trascrizione veloce, della conduzione complessiva del colloquio anche rispetto alle tecniche di rilancio, di riformulazione delle domande e di probing (Zammuner, 1996; Montesperelli, 1998).

La durata media delle interviste è stata di 1 ora e 15 minuti circa. 3. La costruzione della traccia d’intervista Rispetto agli obiettivi descritti nel paragrafo precedente e in virtù degli orientamenti teorici

ed epistemologici descritti nei capitoli precedenti, abbiamo scelto di utilizzare - come strumento di rilevazione delle osservazioni68 - un’intervista narrativa.

Tale strumento ci consente di lasciare ampio spazio all’intervistato per l’espressione individuale: come abbiamo scritto altrove (De Leo e coll., 2004a), l’obiettivo di ricostruire narrativamente l’azione deviante può essere perseguito mediante una tecnica di ricerca qualitativa che consente di valorizzare la capacità tipicamente umana di attribuire significati soggettivamente e interattivamente co-costruiti nella situazione di intervista stessa.

Il percorso che ci ha consentito di optare per l’intervista narrativa (fra le tecniche di ricerca qualitativa disponibili) è stato diffusamente descritto in un lavoro precedente (De Leo e coll., 2004a e anche nel capitolo 2): in quella sede abbiamo trattato delle interviste qualitative (in generale) e di quelle specificamente dedicate allo studio dell’azione deviante. Ne riprendiamo adesso i punti principali iniziando da una definizione generale di “intervista qualitativa”: l’intervista è un’interazione69 tra un intervistato e un intervistatore, con finalità di tipo conoscitivo, guidata in maniera più o meno direttiva dall’intervistatore sulla base di uno schema di interrogazione (Bichi, 2002; Corbetta, 2003b); essa consente di

studiare i processi in cui la parola è il vettore principale (azioni passate, saperi sociali, sistemi di valori e di norme) e anche di studiare “la parola” in sé (attraverso l’analisi delle strutture discorsive, dei fenomeni di persuasione, dell’argomentazione, ecc.). È un dispositivo d’indagine che consente di superare molte resistenze dell’intervistato ed è dunque utile alla conoscenza dei progetti di senso, è un modo d’accesso efficace alle rappresentazioni e alle opinioni individuali, è uno strumento utile allo studio dei processi di categorizzazione, permette di leggere la profondità temporale e dunque il divenire processuale dei fenomeni studiati, consente di ridurre l’opacizzazione provocata dalla standardizzazione (Bichi, 2002, p. 10).

Sebbene inevitabilmente condizionata da vincoli temporali e da dimensioni legate

all’intrinseca dinamica fra ruoli (con implicazioni rispetto al “potere” di gestire e indirizzare

68 Si deve a Mannetti e Pierro (1998), la distinzione fra “osservazioni” e “dati”: gli Autori hanno efficacemente sostenuto la connotazione maggiormente positivista che il secondo termine implica. Da parte nostra, tendiamo dunque a privilegiare il termine “osservazioni” o - come scritto altrove (De Gregorio e Mosiello, 2004) - quello di “informazioni”. 69 L’accezione di “relazione interattiva” è presente anche in alcune definizioni del concetto di “narrazione”: essa «è una transazione sociale. Ciò che si scambia è una storia: la stessa narrazione assume la forma che assume proprio perché c’è una storia che transita. La narrazione è dunque la pratica sociale in cui due o più persone mettono in comune una storia» (Jedlowski, 2000, p. 66).

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la relazione) l’intervista qualitativa valorizza il contributo degli intervistati e degli intervistatori alla comune costruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gubrium, 1997; Losito, 2004)70.

L’intervista narrativa che ha fatto da base per la rilevazione delle informazioni (la cui traccia è riportata in Appendice A e in appendice B, sotto forma di protocollo) tiene conto degli aspetti teorici ed epistemologici che abbiamo appena descritto e di quelli a cui si è fatto riferimento nel capitolo precedente.

Essa si fonda su due domande aperte, dette “generative” (Bichi, 2002) interamente riportare nella finestra 3:

Finestra 3: La formulazione delle domande generative

A Potrebbe raccontarmi il reato per cui si trova in

carcere o un reato che è stato particolarmente importante? Un’azione che ha avuto conseguenze penali e di cui le andrebbe di parlarmi?

La prego di raccontare dal suo punto di vista. Non intendo un riassunto di quello che è successo, ma come lo racconterebbe a qualcuno che non ne sa niente, che è molto interessato al racconto e che ha molto tempo a disposizione.71 (Specificare che il racconto può iniziare da un qualunque momento temporale, dalle conseguenze o dagli antecedenti, e da qualunque sua sequenza).

B

Le nostre vite cambiano continuamente, ma alcuni sono cambiamenti cruciali, cambiamenti di direzione, potremmo dire. Questi cambiamenti, in genere, sono legati ad episodi rilevanti. Ripensando a lei, alla sua storia, può individuare alcuni di questi episodi (2 o 3)? Può raccontarmeli brevemente spiegando anche le ragioni per cui li considera così rilevanti?

La due domande, da cui (come vedremo a breve) originano due tracce di intervista affini

ma distinte, si caratterizzano per un diverso orientamento conoscitivo. La prima (domanda A) è stata inizialmente sottoposta a tutti rispondenti: essa punta l’attenzione su un singolo evento-reato rispetto a cui la persona sceglie l’azione che reputa più significativa ai fini della narrazione oppure quella che lo espone meno dal punto di vista degli errori in cui è possibile incorrere o delle contraddizioni. Tale scelta implica anche la dimensione temporale che verrà valorizzata: si può, ad esempio, scegliere un’azione recente o una più lontana nel tempo, iniziare il racconto a partire dagli antecedenti o dai suoi effetti.

In ogni caso, e come è nella natura delle domande generative, la risposta può essere esauriente di tutti i temi importanti dell’intervista e salienti per la persona: l’intervista, in questo caso, si esaurirebbe qui. Se la persona si mostra disponibile e collaborativa (interessata e motivata all’approfondimento dei temi emersi), allora l’intervistatore può assecondare l’intervistato inserendo, al momento opportuno, richieste di chiarimento secondo quanto previsto dalle domande di approfondimento.

La domanda B è stata sottoposta a quei rispondenti che riferivano di aver avuto una lunga serie di episodi-reato e rispetto ai quali poteva essere utile ricercare una costruzione narrativa della carriera deviante.

Si tratta di domande che favoriscono una elaborazione “aperta” delle possibilità di risposta lasciando al soggetto la possibilità di scegliere da dove iniziare il racconto e quale contenuto privilegiare come saliente (vedi § 1 in questo capitolo) orientando - a partire dai contenuti emersi e in maniera progressiva - specifici percorsi di approfondimento.

Per quanto riguarda la traccia A, alla domanda riportata nella finestra 3 potevano seguire ulteriori domande con eventuali specificazioni su temi non adeguatamente approfonditi. Si trattava ad esempio, di temi: ‐ a cui l’intervistato aveva accennato per aver poi cambiato argomento, oppure

70 Vedi a questo riguarda anche il capitolo precedente (§ 3). 71 La formulazione di quest’ultima richiesta è stata tratta, con gli opportuni aggiustamenti, da Bruner e Feldman (1999).

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‐ intorno a cui girava il discorso, ma che non erano mai stai approfonditi, o ancora ‐ che sulla base delle interviste condotte in precedenza andava assumendo contorni

definiti e rilevanti (questa ultima opzione è in linea con i principi dell’approccio Grounded theory)

Tali domande erano fondate sugli indicatori riportati in Appendice A e riferite – proprio in virtù di questa articolazione interna - a modelli teorici rilevanti nel contesto della disciplina. Nella strutturazione della traccia infatti abbiamo fatto particolare riferimento alle dimensioni presenti nella Goal-Directed Action (il “triangolo concettuale” di von Cranach e Harré (1982) nelle successive elaborazioni con particolare riguardo alle funzioni strumentali ed espressive dell’azione deviante (De Leo e Patrizi 1992; 1999).

La traccia A tiene conto degli aspetti teorici descritti nel cap. 1. Nella sezione successiva alla domanda generativa costituita dalle domande 1 e 2 (da questo punto in poi cfr. Appendice B) - esamina la dimensione oggettiva e oggettivabile dell’azione (il comportamento manifesto, secondo il modello di von Cranach e Harré, 1982) esplorando i diversi elementi costitutivi della situazione:

- contesto (tempo, spazio, partecipanti e loro relazioni); - situazione immediatamente precedente; - comportamenti specifici (facendo riferimento eventualmente anche a movimenti,

posture, etc.); - interazioni; - reazioni. Si tratta di descrivere cosa è successo nel momento in cui l’azione ha avuto luogo,

valorizzando una prospettiva (il più possibile) “esterna” all’attore-narratore. La sezione successiva (domande da 3 a 13) ricerca informazioni sugli aspetti cognitivi (le

cognizioni coscienti: von Cranach e Harré, 1982) che hanno accompagnato il corso d’azione: - le convinzioni consapevoli sulle scelte fattuali (prima, durante, dopo l’azione); - gli obiettivi che hanno preceduto l’inizio dell’azione; - l’intenzionalità soggettiva rispetto allo scopo; - l’anticipazione delle conseguenze; - l’importanza percepita del ruolo che altri hanno avuto rispetto al corso d’azione.

In particolare, vengono indagate le ragioni/motivazioni autoattribuite, legate all’azione, a sé, agli altri partecipanti, alle conseguenze attese.

Nella quarta sezione dell’intervista (domande da 14 a 24) si esplora il senso dell’azione secondo il punto di vista, soggettivamente elaborato dall’autore, dei diversi attori coinvolti, della cultura di appartenenza, delle norme e regole vigenti in quel contesto (i significati sociali); vengono indagate le funzioni - anticipatorie rispetto all’azione, contemporanee e conseguenti – riguardanti:

- il Sé; - gli altri significativi (famiglia, gruppi di appartenenza e di riferimento); - la vittima; - il controllo informale; - le agenzie del controllo sociale formalizzato. In particolare, rispetto all’ultimo referente, viene esaminata la forensic awareness (la

consapevolezza di “giocare” con le forze dell’ordine), quale variabile presente e critica nell’agire deviante, come mostrano alcuni casi di cronaca recente (si pensi al caso di Unabomber). In questo contesto, si colloca l’analisi dei vissuti personali e dei significati che l’attore riferisce al contesto in cui l’azione deviante è stata perpetrata (la situazione, gli altri partecipanti, la vittima, i referenti normativi, il controllo sociale formale e informale). In questa parte dell’intervista, più in particolare, si evidenziano i riferimenti alle funzioni svolte dall’azione: si tratta della distinzione (di cui abbiamo già parlato nel cap. 1 § 2.1) fra gli effetti strumentali (gli obiettivi diretti e concreti che l’attore ha, consapevolmente, perseguito) e gli

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effetti espressivi (quali comunicazioni, secondo una prospettiva pragmatica, egli ha voluto inviare?). Il resoconto rappresenta, in questo senso, lo strumento attraverso cui l’attore sociale riporta al livello di consapevolezza queste tensioni comunicative (gli effetti espressivi attengono, spesso, in qualche modo, a una soglia pre-attentiva, latente).

Le tre domande di chiusura (da 26 a 28) suggeriscono alla persona di pensare a possibili scenari alternativi, di evocare le ipotesi effettuate di percorsi non attualizzati o di esprimere quanto di soggettivamente rilevante non è stato previsto dalle domande poste.

Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici della formulazione delle domande, abbiamo fatto riferimento alle indicazioni proposte da Geiselman, Fisher, Firstenberg, Hutton, Sullivan, Avetissian e Prosk (1984) e da Geiselman, Fisher MacKinnon e Holland (1986) riguardo alla conduzione di interviste con vittime o con testimoni di reati72. In tali circostanze infatti la necessità di interrogare sul reato le vittime che lo avevano subito ha prodotto una particolare attenzione alle tecniche di recupero dell’informazione. Basandosi sul Principio della specificità di codifica73 (Tulving e Thomson, 1973), Geiselman e coll. (1984) hanno proposto un metodo di memoria guidata che si avvale di quattro memotecniche la cui validità è stata ampiamente dimostrata nella ricerca di laboratorio:

1. rivivere mentalmente il contesto ambientale e lo stato d’animo personale “vissuti” al momento dell’evento criminoso: l’obiettivo è di favorire la memoria episodica attraverso la ricostruzione delle sequenze comportamentali o la rivisitazione della scena del crimine,

2. riferire qualunque cosa, anche le informazioni apparentemente secondarie: l’incoraggiamento dell’espressione libera, incensurata, contribuisce a rendere i resoconti più completi,

3. riferire gli eventi variandone l’ordine di esposizione: particolarmente utile quando il testimone è un soggetto in età evolutiva, consente di rilevare particolari diversi rispetto alla semplice rievocazione cronologica,

4. rievocare gli eventi da un punto di osservazione diverso da quello in cui il soggetto si trovava al momento dello svolgimento del fatto: l’adozione della prospettiva di altri testimoni (o della vittima, se il rispondente è l’autore del reato) consente di variare sia la prospettiva visuo-spaziale sia quella psicologica.

La traccia B ha come principali presupposti teorici il concetto di “carriera morale” (Harré,

1979; 1993; Goffman, 1961) e il modello carriere devianti (Becker, 1963). Secondo Harré (1993, trad. it. 1994, pp. 274-275),

una carriera morale [...] è la storia di un individuo elaborata in riferimento agli altrui atteggiamenti e opinioni, nonché agli atteggiamenti e alle opinioni che l’individuo sviluppa verso se stesso, formati sulla base dell’interpretazione degli atteggiamenti e delle opinioni manifestate dagli altri.

Dal punto di vista psicologico, le credenze che una persona sviluppa rispetto agli avvenimenti della propria vita e ai valori che producono sono cruciali per quel che riguarda la pianificazione del futuro e la memoria del passato. [...] proprio al livello in cui le credenze sono significative per la persona che conduce una determinata esistenza e per le persone che la circondano, ogni vita è unica e differente da qualsiasi altra (ibidem, p. 272).

Questo orientamento invita a considerare l’agire deviante, le sue conseguenze, come un

“filtro” che organizza il modo in cui la persona stessa interpreta e riferisce il percorso di vita.

Secondo l’ipotesi contenuta, in particolare, nella seconda edizione de La spiegazione del crimine (De Leo e Patrizi, 1999), è importante poter collocare la singola azione all’interno di un percorso deviante (anche se i concetti potrebbero essere applicati a qualunque carriera in qualunque settore) e, in senso più ampio, all’interno di un intero percorso biografico, per cogliere il senso con cui la persona interpreta e dota di senso l’azione rispetto alla propria storia e, continuamente, reinterpreta quest’ultima alla luce del proprio agire e del proprio 72 Per una trattazione ulteriore e un’applicazione al contesto italiano si vedano anche Cavedon (1994) Scali, Calabrese e Biscione (2003), Scali e Calabrese (2002) e Gulotta e Cutica (2000; 2004). 73 Dice che «il ricordo di un evento è migliore quando tutto il contesto relativo al momento dell’immagazinamento e della codifica dell’evento è simile al contesto al momento del recupero» (Gulotta e Cutica, 2000, p. 536).

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narrare di quell’agire. La storia di vita è uno strumento di ricerca qualitativa che - dagli studi pionieristici di Howard S. Becker - è stato ampiamente usato proprio per lo studio delle carriere (De Leo e coll., 2004, pp. 118-119).

È al prezioso contributo di Becker (1963) che dobbiamo l’avvio più sistematico dello

studio sulle carriere devianti. Tale modello è stato ripreso e ampliato da De Leo (1992), De Leo e Patrizi (1992; 1999) che hanno delineato uno schema concettuale per analizzare il processo, articolato in tre fasi, che conduce all’assunzione di un’identità deviante.

Le fasi e il processo sono descritti qui contestualmente all’illustrazione della traccia B dell’intervista la cui struttura prevede infatti tre sezioni. La prima sezione consta della domanda generativa B riportata in precedenza nella finestra 3 (si veda anche l’Appendice B): in essa il percorso di carriera viene operazionalizzato facendo riferimento ai “punti di svolta”74 che l’hanno caratterizzato. Per quanto riguarda le aree successive, la domanda n. 4 è riferita, specificamente, al percorso di devianza. La traccia prevede, poi, una serie di domande di approfondimento degli aspetti eventualmente non compresi nelle risposte precedenti del narratore (domande da 5 a 19)75.

La formulazione delle domande ha l’obiettivo di orientare la persona ad esplicitare la percezione di Sé e della sviluppo evolutivo (“processualità”) dell’azione deviante. La traccia prevede, pertanto, approfondimenti sulle tappe della carriera: - antecedenti storici (comprensivi degli incidenti critici): si tratta delle condizioni iniziali

nel percorso di vita del soggetto con particolare riferimento alla storia familiare, alle relazioni in ambito scolastico e/o lavorativo, alle esperienze maturate all’interno del gruppo dei pari. Tali condizioni antecedenti, soggettivamente percepite e vissute, possono essere considerate come indicatori di rischio a-specifici: questo perché, pur essendo presenti nella maggior parte delle carriere devianti, non hanno necessariamente come esito quello della devianza;

- crisi ed esordio delle azioni devianti: rappresenta la fase più rischiosa dell’intero processo (rispetto alla possibilità che si instauri un percorso di carriera deviante) e consiste in episodi soggettivamente percepiti in maniera negativa. In questa fase, i rischi a-specifici della prima fase (antecedenti storici) possono acquisire una direzione specifica verso la devianza;

- prosecuzione: dalle prime esperienze, l’attore sociale scopre i vantaggi strumentali o simbolici delle sua azioni. Avviene in questa fase il riconoscimento da parte degli altri del proprio “saper fare nella devianza”: la persona sperimenta “con successo” situazioni, le trasgressioni penali, dove il confronto fra le attese altrui, le sfide proposte e le proprie capacità di gestione appare, seppure pericoloso, più “semplice” ed immediato questa sperimentazione di successo, che ha importanti implicazioni anche a livello dell’autostima individuale e della “stima” degli altri, verrà in seguito rintracciata e sostenuta dal tema narrativa dell’autoefficacia (vedi oltre, § 6);

- stabilizzazione: fa riferimento alla probabilità che il percorso della devianza si possa consolidare. È una fase che (rispetto alle altre) può avere lunga durata ed essere foriera di componenti emotive forti che stabilizzano il percorso: si tratta di aspetti che - unitamente a un riconoscimento di Sé come deviante e dei contesti di appartenenza (famiglia, altri significativi) - suggeriscono un consolidamento del percorso stesso76: diciamo qui che il consolidamento dei percorsi d’azione attiene, secondo la classica interpretazione dei teorici del labelling (Becker, 1963), alla convergenza fra la definizione di Sé (dell’attore)

74 «Con “punti di svolta”, Bruner intende i momenti chiave di cambiamento e di rottura degli schemi canonici di riferimento, sono dei veri e propri nodi nelle strutture narrative e […] costituiscono le ragioni di squilibrio che producono il resoconto. Essi assumono una particolare rilevanza dal punto di vista del nostro lavoro, poiché rappresentano il modo con cui l’attore cadenza soggettivamente e socialmente la propria vita e, all’interno di essa (secondo la prospettiva teorica delle carriere), i passaggi cruciali nel percorso della devianza» (De Leo, Patrizi e De Gregorio, 2004a, p. 124). 75 Il procedimento generale (con l’utilizzo interattivo delle domande di approfondimento) è quello già descritto per l’intervista sull’azione, alla quale pertanto si rimanda. 76 Nei prossimi paragrafi si parlerà spesso della costruzione narrativa dell’azione deviante come “percorso inevitabile”.

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e l’attribuzione di uno status da parte degli osservatori esterni (il controllo, la comunità, etc.).

4. Descrizione dei partecipanti alla ricerca La rilevazione delle variabili descrittive è stata effettuata alla fine di ciascuna intervista per

due ragioni: da una parte si voleva evitare di “indisporre” la persona con domande molto dirette e personali, dall’altra, avendo inizialmente instaurato un clima di cordiale fiducia, era utile iniziare le interviste con argomenti di maggiore centralità rispetto agli obiettivi dell’indagine.

L’intero gruppo di partecipanti alla ricerca finale, presentata in queste pagine, è composto da 33 individui che hanno un’età compresa da 18 a 65 anni. La tabella II mostra la descrizione rispetto alla variabile anagrafica77: come si vede, la fascia di età più rappresentata è quella fra 31 e 35 anni, quella che ha una frequenza più bassa (età compresa fra 50 e 55 anni) conta un solo soggetto.

Come mostra il grafico 1, la maggior parte di essi sta scontando una pena per aver commesso un omicidio (30%), in due casi (6%) nel corso di una rapina. Il 46% ha commesso solo rapine o furti e il 21% è dedito allo spaccio e/o al traffico di stupefacenti.

Il 24% sta scontando la prima detenzione, il 34% invece è pluripregiudicato (tabella III).

Tab. II: Distribuzione per fasce d’età dei partecipanti alla ricerca

Grafico 1: Reato per cui si sconta l’attuale detenzione

4 12,13 9,18 24,25 15,26 18,22 6,11 3,02 6,12 6,133 100,0

età compresa fra 18 e 25 annietà compresa fra 26 e 30 annietà compresa fra 31 e 35 annietà compresa fra 35 e 40 annietà compresa fra 40 e 45 annietà compresa fra 45 e 50 annietà compresa fra 50 e 55 annietà compresa fra 55 e 60 annietà oltre 60 annitotale

frequenza %

77 Si intende l’età al momento della rilevazione.

46%

24%

6%

21%

3%

rapina  / furto

omicidio

rapina  con omicidio

spaccio (o traffico) di stupefacenti

rice ttazione

68

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Tab. III: Sintesi delle detenzioni precedenti

numero di detenzioni Frequenza percentuale

nessuna 8 24 %

una 7 21 %

due 6 18 %

tre 1 3 %

più di tre 12 34 %

Un altro elemento descrittivo del gruppo è la provenienza geografica (grafico 2):

Grafico 2: Provenienza geografica degli intervistati

Spicca la provenienza dal Centro-Italia (in particolare dal Lazio), due soli intervistati

vengono da Paesi extracomunitari (uno dal Nord Africa) e uno dall’Est europeo. Per quanto riguarda il livello di scolarizzazione (grafico 3: a questo item hanno risposto 32

intervistati)78, la maggior parte degli intervistati ha frequentato un istituto tecnico (38 %) e molti di loro conseguito solo la licenza media (31 %).

Grafico 3: Livello di scolarizzazione degli intervistati

9%

67%

18%3% 3%

Nord Italia

Centro  Italia

Sud Italia

Estero, Europa Orientale

Nord Africa

(N = 32)

9%

31%

13%

38%

6% 3%

scuola elementare scuola media

scuola media e 2‐3 anni di scuola superiore istituto tecnico

liceo università incompiuta

78 Solo uno di essi ha preferito non rispondere, non ricordando esattamente quale livello di scolarizzazione aveva conseguito.

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Per quanto riguarda la descrizione di questa caratteristica, abbiamo ritenuto opportuno inserire nella categorizzazione anche due livelli non strettamente corrispondenti a “titoli di studio”: questo perché alcuni dei rispondenti hanno tenuto a precisare di aver frequentato i primi anni dell’università (3 %) e un biennio successivo alla scuola media (13 %), senza tuttavia terminare i corsi di studio.

Nel periodo precedente l’attuale detenzione, la metà degli intervistati erano disoccupati (grafico 4):

Grafico 4: Occupazione precedente all’arresto

Rispetto ai temi della traccia di intervista narrativa, eravamo inoltre interessati conoscere

verso quali “altri significativi” i rispondenti indirizzavano le loro riflessioni, chi ne è il referente simbolico: abbiamo dunque chiesto - sempre a livello di informazione di sfondo - da quante e quali persone era composto il nucleo familiare. Non sorprende che alcuni abbiano indicato la famiglia di origine (genitori, fratelli e sorelle), altri la famiglia acquisita (moglie e figli). Il grafico 5 illustra i dettagli delle percentuali:

Grafico 5: Composizione del nucleo familiare

Il 29 % dichiara di provenire da una famiglia estesa o numerosa (genitori, zii, cugini o

molti figli), il 23 % fa riferimento esclusivamente alla moglie (e a uno o due figli), solo il 3 % vive ancora con i entrambi i genitori, mentre il 10 % ha solo un genitore ancora in vita. Solo due persone hanno preferito non rispondere.

Infine, per un migliore inquadramento del gruppo di rispondenti, ci sembrava interessante capire quanto tempo avevano trascorso in carcere per l’attuale detenzione (grafico 6) e qual è l’entità della pena ancora da scontare (grafico 7).

La maggior parte dei volontari che hanno scelto di rispondere all’intervista ha già scontato

più di tre anni di detenzione (47 %: grafico 6) e - in linea con le imputazioni - il 57 % di loro deve ancora trascorrere in carcere un periodo superiore a tre anni:

(N  =  32)

50%

3%3%

19%

13%

3% 9% ne s suna  occupa zioneope ra ioa rtig ia noimpie ga tocomme rc ia ntelibe ro  profe s s ionis taa ltro

(N  =  31 )

13%

3%

10%

23%29%

6%

16%

ne s s una  fam ig lia 3  pe rs one , con  m adre  e  pa dre

fam ig lia  monopa re nta le m og lie  e  fig li (3‐4  pe rs one )

fam ig lia  e s te s a  o  num e ro s a fra te lli e /o  s o re lle

a ltra  com po s izione

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Grafico 6: Tempo trascorso in carcere (al momento della rilevazione) Grafico 7: Tempo da trascorrere in carcere (al momento della rilevazione)79

29%

12%12%

47%meno  di 6 me s ifra  6 me s i e  1 anno  e  mezzofra  1 anno  e  mezzo  e  3 annioltre  3 anni

18%

7%

18%57%

meno  di 6 mesifra 6 mesi e 1 anno e mezzofra 1 anno e mezzo  e 3 annioltre 3 anni

5. Le analisi delle informazioni con ATLAS.ti ATLAS.ti è un software di supporto all’analisi del contenuto di tipo interpretativo: esso è

stato progettato in Germania nella prima metà degli anni ‘90 a opera di Thomas Muhr. Come abbiamo discusso altrove a proposito dei “Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software” (De Gregorio e Mosiello, 2004), ATLAS.ti80 è un software pensato coerentemente con un approccio Grounded theory: per questa ragione (e come discuteremo ampiamente in seguito) molte delle operazioni implementabili sono caratterizzate dall’iteratività, dalla ricorsività, dal progressivo avvicinamento alla definizione (o meglio, al perfezionamento) di un modello teorico emergente dai dati.

La progettazione di ATLAS.ti rientra nel più generale fermento tecnico-metodologico a cui la letteratura anglosassone fa spesso riferimento con l’acronimo CAQDAS (Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software): si tratta di programmi che consentono al ricercatore di gestire l’analisi dei dati qualitativi (Coffey, Holbrook e Atkinson, 1996; Fielding e Lee, 1991; 1998). Come abbiamo scritto recentemente (De Gregorio e Mosiello, 2004), i CAQDAS facilitano il lavoro del ricercatore in vario modo:

- automatizzando alcune fasi delle analisi, - rendendo confrontabile il lavoro interpretativo svolto da analisti diversi sullo stesso

materiale,

79 Il dato riportato nel grafico 7 si riferisce a 28 soggetti, in quanto 5 erano ancora in attesa della sentenza definitiva. 80 Da adesso in poi ci riferiremo spesso al software come “A5” indicando quindi la versione 5.0 di ATLAS.ti, quella che abbiamo utilizzato.

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- tenendo memoria di tutte le fasi di analisi anche attraverso la creazione di memo, file di testo in cui il ricercatore può “annotare” definizioni, idee, esplicazioni, note etnografiche, prassi da condividere con altri membri dell’equipe,

- velocizzando la creazione di output grafici, tabelle, reti di relazioni per la sintesi dei risultati.

La maggior parte dei CAQDAS oggi disponibili consente di trattare, integrare, analizzare le informazioni in maniera estremamente versatile. Le differenze fra i principali software attengono, da una parte, ai modelli teorici dei rispettivi fondatori (Kelle, 1997) e, dall’altra, alle potenzialità di ciascuno di essi rispetto alle esigenze analitiche dei ricercatori (Barry, 1998).

Anche in Italia, negli ultimi anni, i CAQDAS stanno avendo larga diffusione di pari passo a un incremento della ricerca qualitativa nel suo complesso nelle scienze sociali (Cipriani e Bolasco, 1995; Cipriani, 1997; Bichi, 2002), inclusa la psicologia: si vedano, fra i tanti, Milesi e Catellani (2002), Moscardino ( 2003), Albanesi (2002), Manetti, Migliorini e Venini (2002).

5.1 La creazione dell’unità ermeneutica La prima fondamentale fase del lavoro in ATLAS.ti è la creazione dell’unità ermeneutica

(d’ora in poi verrà spesso chiamata HU: Hermeneutic Units): si tratta, nel gergo del software, del “file” principale che comprende al suo interno diversi elementi fra cui i testi81 da sottoporre ad analisi. È bene tuttavia limitare la denominazione di “file” a questi ultimi (i documenti originari), in quanto l’utilizzo generico del termine potrebbe far confondere fra i singoli testi e l’intera HU.

È bene sottolineare inoltre che i testi (nel nostro caso si tratta delle trascrizioni delle interviste condotte con i partecipanti alla ricerca), una volta inseriti nell’unità ermeneutica, assumono la denominazione di “documenti primari” (PD: Primary Documents, o Primary Docs).

La figura 10 mostra l’HU e le sue principali componenti. In essa, oltre all’area dedicata ai Primary Documents, (il PD Manager e il PD Pane, sono rispettivamente la sezione in cui sono “catalogati” tutti i file e quella in cui viene mostrato il documento attivo su cui sta lavorando, ad esempio, operando una codifica) sono evidenti altre sezioni (per la descrizione di ciascuno rimandiamo alla figura 10):

- il Quotations Manager, - il Code Manager, - il Memo Manager. Sulla parte destra dello schermata si trova la “Margin area”, in cui sono visualizzati i

codici in corrispondenza delle righe di testo a cui sono stati assegnati (posizione strutturale). Nella parte superiore e lungo il bordo sinistro della schermata sono presenti i pulsanti di

scelta rapida (icone) delle principali funzioni disponibili in A5.

81 ATLAS.ti consente di analizzare anche file di immagini e video.

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Fig. 10: l’unità ermeneutica e le sue componenti principali (fonte: De Gregorio e Mosiello, 2004, p. 59)

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5.2 La codifica delle interviste È la fase successiva alla creazione dell’HU e all’inserimento dei documenti da analizzare.

Corrisponde a quella che Strauss e Corbin (1990) hanno chiamato “codifica aperta”: come abbiamo scritto nel cap. 3 § 1.2, essa consiste nella riconduzione dei contenuti dei testi da analizzare (ma lo stesso discorso è valido con qualunque tipo di materiale: audio, video, etc.) a nuclei concettuali che ne riassumono l’informazione. In A5, si opera nel modo seguente: □ si seleziona con il mouse una parte di testo, □ si clicca su “Codes Coding Open Coding” (o su “Code by list”,

oppure “Code in vivo”, a seconda che si preferisca associare un codice non ancora presente nell’HU, uno dalla lista definita oppure se si vuole utilizzare lo stesso testo che diventa codice e codificato contemporaneamente),

□ si digita il codice nella finestra di dialogo che appare e questo viene “acquisito” nel Code Manager e nella Margin area.

Un approfondimento merita, a nostro avviso, la decisione (densa di implicazioni) su quale parte di testo selezionare: è intuitivo che essa dovrà essere una sezione in qualche modo “significativa”, ma per cosa? E soprattutto, rispetto a quali obiettivi?

Una prima soluzione è quella della codifica line-by-line: in questo caso, avrà scelto come unità di codifica la riga di testo, a prescindere dalla sua salienza contenutistica. È una scelta coerente con l’approccio conversazionalista: si può infatti codificare linea per linea con una apparente decontestualizzazione dell’unità di analisi per poi “ricomporla” nelle fasi di analisi successive.

In alternativa il ricercatore può optare per una codifica “per episodi” (van Dijk, 1982) o “per topic” (Shuy, 1982)82. In questo caso, coerentemente con le prospettive discorse ed etnometodologiche, l’attenzione sarà rivolta all’identificazione nei testi di eventi strutturati con funzione semantica: in tal senso “un episodio è prima di tutto concepibile come parte di un tutto con un inizio e una fine ben definiti e con una caratterizzazione temporale” (van Dijk, 1982, p. 179), questa demarcazione può essere attuata con dispositivi retorici relativi a criteri sintattici e/o grammaticali o mediante l’uso di verbi o pronomi con carattere definitorio.

Infine, si potrà decidere di operare una codifica sui “temi narrativi” (Silverman, 2000): si tratta di un’opzione (vicina all’approccio Grounded theory) in base alla quale l’unità prescinde dalle dimensioni dell’estratto di testo (es.: criteri di riga o di paragrafo) e dalla pregnanza contenutistica propria dell’episodio. Il tema narrativo infatti viene identificato dal ricercatore con esclusivo riferimento alla sua intrinseca natura di nucleo concettuale in sé per sé concluso: in altri termini, ogni narrazione si compone di insiemi di temi narrativi ciascuno con una propria autonomia all’interno della narrazione stessa; ogni tema può essere sviluppato per diversi paragrafi, oppure può essere ben rappresentato da una sola parola (se la sua forza illocutoria83 dovesse essere tanto densa di senso da costituire essa stessa un evento significativo).

La codifica è dunque la prima fondamentale fase di trattamento dei dati qualitativi. Apriamo una breve parentesi per riportare nella finestra 4 l’efficace descrizione che ne fa C. Seale (1999).

La scelta fra le soluzioni proposte dipende prima di tutto dagli obiettivi della ricerca sia da modelli teorici, ma anche da preferenze negli approcci e dalle idiosincrasie del ricercatore. Nello specifico di questa ricerca, abbiamo scelto l’ultima delle strategie descritte.

82 Le due formulazione non sono comunque intercambiabili: le abbiamo accomunate nella stessa trattazione in virtù di una somiglianza di fondo e della comune aderenza all’approccio discorsivo. 83 Il concetto di “atto illucutorio” si deve a Austin (1962; cfr. anche Searle, 1979) e identifica l’elemento discorsivo mediante cui le azioni «si compiono attraverso il parlare medesimo e che corrispondono alle intenzioni comunicative del parlante […]. Il modo con cui è interpretato un enunciato e lo stesso risultato di un atto linguistico dipendono dalla forza contenuta (forza illocutoria) e dai suoi effetti sull’interlocutore» (Anolli, 2002, p. 10-11).

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Finestra 4: La definizione del concetto di codifica secondo Seale (1999) Per questa ragione, ci sembra utile approfondire le implicazioni di tale scelta:

un’immediata conseguenza è che i temi narrativi possono essere fra loro in diversi tipi di relazione: possono essere seguenti l’un l’altro, oppure possono “innestati” uno dentro l’altro o sovrapposti in alcuni punti e non in altri: da questo punto di vista, l’analisi per temi narrativi è più complessa, ma allo stesso tempo più completa perché consente di cogliere tutta la varietà di significati che il narratore ha voluto dare alle sue parole. Nonostante ciò non si può dire che essa valorizzi esclusivamente la prospettiva di chi narra: infatti, la scelta di quando il tema narrativo è concluso dipende dal ricercatore. Questa situazione (ed è qui la seconda implicazione) rende l’analisi del contenuto di tipo interpretativo (quella di cui ci stiamo occupando) particolarmente difficile e onerosa in quanto necessita di tempi maggiori (per rileggere i testi alla ricerca di tutti i temi narrativi in essi presenti), ma la rende anche, a nostro avviso, più completa in quanto consente di ottenere una vera e propria mappa dei concetti/temi rilevanti per il narratore84.

Un ulteriore aspetto che ci sembra utile sottolineare a proposito delle operazioni di codifica riguarda la scelta dei loro nomi: come abbiamo scritto altrove (De Gregorio e Mosiello, 2004), è utile che il ricercatore assegni ai codici (fin dalle prime fasi) delle etichette verbali chiaramente identificabili anche in assenza del testo cui il codice è riferito: questo perché nelle operazioni successive (che si basano appunto sui codici) non sempre sarà possibile risalire agevolmente al testo di partenza (ne verrebbe meno la funzione “riassuntiva” del codice stesso). In altri casi, il codice può essere nominato con due parti distinte indicanti, ad esempio, un’azione concreta e il suo significato funzionale. In ogni caso, comunque, la soluzione dipende da scelte esplicite del ricercatore che a loro volta sono fondate sugli obiettivi: in tal senso, A5 fornisce uno strumento utile per operazioni che dipendono prima di tutto dal ricercatore. In altri termini, è possibile adattare ATLAS.ti (e adattarsi come ricercatori) ad un uso creativo dello strumento: analogamente al concetto di “artefatto” nella psicologia culturale (Mantovani, 1998; Mecacci, 2000), il software in questo caso diventa una periferica della mente del ricercatore e come tale, a parità di prestazioni tecniche, può essere adattato ad usi più creativi di quelli per cui è stato progettato.

«Le osservazioni e le registrazioni dei dati non possono mai essere pienamente libere dai valori, dagli assunti e dalle prospettive teoriche del ricercatore, sebbene qualcosa può essere fatto per mostrare ai lettori quali sono questi assunti, in modo da fondare i giudizi di credibilità. L’uso di descrittori a basso livello di astrazione chiaramente aiuta. Una volta chei dati sono descritti tuttavia diventa rilevante fare inferenze sul loro significato […]. La codifica è, naturalmente, un tentativo per fissare il significato, costruire una particolare visione del mondo che non esclude altre possibili visioni del mondo. […]. Comunque, la codifica che definisce significati troppo presto nel processo di ricerca può rendere vano il processo creativo, bloccare la capacità dell’analista di vedere nuove cose. Le prime fasi di codifica sono dunque più appropriatamente chiamate indicizzazione (“indexing”) e agiscono come segnaposti per interessanti unità di dati piuttosto che rappresentare la versione finale dei significati. […] A questo punto siamo passati gradualmente dall’indicizzazione alla codifica. La chiarezza concettuale, per cui i fenomeni sono esposti a definizioni più rigorose ed esclusive per poter essere facilmente distinti da altri fenomeni, diventa importante. A questo punto, è importante chiedersi se altri soggetti vedano le cose allo stesso modo. In questo senso, un esercizio di attendibilità fra codificatori può essere inteso come prova della potenziale leggibilità di un report di ricerca, per esaminare il grado in cui questo veicola coerentemente significati condivisi» (Seale, 1999, p. 154). N.d.A.: È importante precisare che indicizzazione e codifica (come le descrive Seale) corrispondono, in ATLAS.ti, alla definizione rispettivamente di “codes” e “code families”. Analogamente è necessario precisare che il concetto di indicizzazione è presente nell’utilizzo di altri software CAQDAS con significati non direttamente riconducibili alla codifica.

84 Mediante gli strumenti offerti da ATLAS.ti è possibile anche verificare la salienza di ogni tema narrativo e le sue relazioni con altri temi (come vedremo approfonditamente in seguito).

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Alla luce degli obiettivi specifici dello studio - l’analisi delle costruzioni narrative delle azioni devianti - abbiamo ritenuto opportuno effettuare delle analisi che tenessero conto sia dei contenuti dei temi narrativi relativi (il modello teorico del Posizionamento discorsivo, la GDA, le teorie sul “Disimpegno morale” e sulla “Neutralizzazione della norma”, i modelli sull’autoefficacia e sull’agentività, i riferimenti in genere riconducibili alla prospettiva dell’accountability), sia di tutti gli altri aspetti strutturali della narrazione. Tecnicamente, ci siamo avvalsi della possibilità di operare su due distinte unità ermeneutiche composte dagli stessi 34 documenti primari (le trascrizioni delle interviste): una, appunto, per le analisi sui contenuti e l’altra per la codifica secondo la struttura. Per questa seconda fattispecie abbiamo preferito, fra i modelli descritti nel cap. 3, l’Evaluation model di Labov (Labov e Waletsky, 1967) in quanto offre un sistema semplice di categorie, ampiamente validato nella ricerca sulle narrazioni. Inoltre, questa scelta ci ha dato la possibilità di applicare il modello di Labov a testi estesi più di quelli su cui di solito viene utilizzato.

La scelta di creare due distinte HU è stata dettata anche da ragioni pratiche: da una parte, ci è sembrato utile tenere distinte le dimensioni di contenuto da quelle strutturali, confidando nel fatto che - secondo l’approccio di Rosenthal (1993) - sarebbe stato possibile, in una fase successiva, integrare utilmente i due aspetti; dall’altra, sarebbe stato oltremodo oneroso lavorare su un’unica HU comprendente tutti i codici.

L’intera fase di codifica è stata divisa in due parti: dapprima sono stati letti e codificati (secondo le modalità descritte in precedenza) i primi 15 documenti primari (PD); in seguito, prima di proseguire con le successive codifiche, è stato utile sistematizzare l’elenco dei codici rilevati fino a quel punto. Come suggerito da tutti i principali metodologi che si sono occupati di ricerca secondo l’approccio della Grounded theory, il processo di ricerca segue un percorso - intrinsecamente coerente - di tipo ricorsivo e iterativo (comportando un continuo spostamento dell’attenzione dai dati alle teorie e fra dati) sebbene complessivamente progressivo verso la definizione di un modello teorico organico. In questo modo, tutti i codici sono stati riletti con attenzione alla ricerca delle inevitabili ridondanze dovute al lavoro di codifica: è possibile infatti che il ricercatore, dovendo analizzare grandi quantità di testi, tenda a creare più codici di quelli effettivamente necessari rendendone ridondanti alcuni: in altre parole, è stato necessario cercare nell’HU tutte quelle situazioni in cui inavvertitamente (soprattutto per l’elevato numero di codici) certi temi narrativi risultavano (sia pure con formulazioni dei codici leggermente diverse) esser presenti più volte: si è trattato di un lavoro di “ripulitura” dell’HU e di omogeinizzazione della lista dei codici operata soprattutto mediante l’opzione “Codes Miscellaneous Merge Code” (unione di codici di significato affine).

Queste operazioni sono state svolte in due modi concomitanti: manualmente (leggendo e rileggendo le liste di codici) e automaticamente mediante l’opzione di “Coding analyzer”85 di A5.

Alla conclusione di tutta la fase di codifica, analogamente, sono state effettuate operazioni di “ripulitura” della lista dei codici e di perfezionamento dell’output relativo alla codifica di entrambe le unità ermeneutiche.

Complessivamente sono emersi 580 codici relativi a tutte le aree di interesse. 5.2 L’aggregazione in “families” La fase successive ci ha consentito di concretizzare la c.d. “codifica assiale” (Strauss e

Corbin, 1990, cfr. anche cap. 3 § 1.2 in questo lavoro); in essa i codici rilevati in precedenza sono stati aggregati secondo due criteri prevalenti:

(a) l’evidente riferimento a dimensioni teoriche consolidate in letteratura (es.: i “meccanismi di disimpegno morale” identificati da Bandura, 1997; 1999; o le tecniche di 85 Il tool denominato “Coding analyzer” consente al ricercatore di rilevare tutte le porzioni di testo (quotations) in cui uno stesso codice è ridondante, essendo queste adiacenti, sovrapposte, innestate una nell’altra (in tutti questi casi sarebbe più utile unirle e identificarle con un unico codice).

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“neutralizzazione della norma” secondo la formulazione di Sykes e Matza, 1957, e la revisione di Fritsche, 2002);

(b) una logica attinenza a temi rilevanti nell’ambito dello studio ma non direttamente riconducibili a un modello teorico consolidato (o, importante, non ad un unico modello: è il caso delle emozioni che abbiamo distinto in “positive”, “negative” e neutre”).

Complessivamente, l’HU ha compreso 78 famiglie di codici. il Family Manager è mostrato nelle figura 11.

Fig. 11: Il Family Manager con alcune famiglie e i codici assegnati e da assegnare

Ma qual è la funzione della famiglie? Esse raccolgono l’informazione contenuta (a un

livello di astrazione inferiore) nei codici: le famiglie sono delle vere e proprie dimensioni teoriche che includono le informazioni degli indicatori empirici (in questo caso i codici). Come abbiamo descritto nel § 1.2 nel cap. 3, è come se avessimo operato un processo inverso a quello che nella ricerca quantitativa è noto come “paradigma di Lazarsfeld” (Lazarsfeld, 1958), che consente di scomporre un concetto teorico (ad elevato livello di astrazione) in dimensioni (ed eventualmente anche in sotto-dimensioni) e queste a loro volta in indicatori empirici che consentono (in virtù del loro basso livello di astrazione) di passare alle definizione operative del concetto di partenza. Questo percorso logico consente l’operazionalizzazione di un concetto al fine, ad esempio, di costruire (o, meglio, perfezionare) gli item di un questionario. Nella ricerca qualitativa, in questo specifico approccio alla ricerca qualitativa, l’obiettivo è invece quello di “costruire” un modello teorico su un fenomeno, un oggetto sociale, a partire dalle evidenze empiriche (nel nostro caso, le risposte a un’intervista): in questo senso, si può dire che abbiamo proceduto secondo un percorso inverso a quello del paradigma di Lazarsfeld.

Un’altra categoria di famiglie è ricavabile a partire dai documenti primari. Oltre alle famiglie di codici, abbiamo ritenuto utile (alla luce di obiettivi specifici e per le

analisi successive) definire anche alcune “famiglie di documenti primari” (“PD families”). In A5, è possibile infatti raggruppare i testi (o video, o immagini) in categorie per effettuare analisi più specifiche su sottogruppi di documenti e ottenere risultati più dettagliati.

Nel caso dello studio che stiamo presentando abbiamo ritenuto utile, anche in funzione degli obiettivi specifici, creare 7 famiglie di documenti primari (figura 12):

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- da una parte, infatti, eravamo interessati a capire se percorsi di devianza differenti (i reati) suggerivano ai loro autori modalità di rendicontazione e di costruzione narrativa altrettanto differenziata. Alla luce di questo obiettivo, tutte le interviste sono state divise in 4 families in base al tipo di reato commesso;

- dall’altra, abbiamo ritenuto utile distinguere i partecipanti alla ricerca in base all’“esperienza” nel settore della devianza per capire se in base a questa variabile le strutture e i contenuti narrativi presentassero differenze. A tal fine, abbiamo fatto riferimento alle categorie descritte da R. Matthews (2002) nei suoi studi sui rapinatori: l’Autore distingue 3 categorie: dilettanti (o novizi), i rapinatori con meno esperienza che pianificano poco le azioni e scelgono, in genere, obiettivi facilmente accessibili; gli intermedi, si impegnano in adeguati livelli di pianificazione dei reati e hanno una carriera criminale abbastanza lunga, di solito partecipano ad azioni di gruppo e non vivono la devianza come parte della loro identità; i professionisti (o esperti) che vivono con forte coinvolgimento l’essere devianti tanto che la riconoscono come parte della propria identità sociale e come un vero e proprio mestiere: in tal senso, pianificano accuratamente le azioni, scelgono obiettivi ambiziosi e motivanti (astenendosi anche al rischio di essere catturati).

Fig. 12: Esempio di famiglie di documenti primari

La segmentazione del gruppo di partecipanti alla ricerca risponde dunque a criteri di

maggiore analiticità rispetto agli obiettivi che siamo prefissati. Nelle pagine seguenti questi obiettivi verranno articolati in specifiche domande di ricerca che è possibile rivolgere al software.

5.3 La verifica delle ipotesi nella ricerca qualitativa: il Query tool di ATLAS.ti L’ultimo aspetto tecnico che riteniamo utile illustrare, prima di passare ai risultati delle

analisi delle interviste, è il fondamentale strumento di verifica delle relazioni fra i codici: il Query tool. Si tratta di una “finestra di interrogazione” mediante la quale il ricercatore chiede al software di rilevare l’eventuale presenza di relazioni fra i codici o le Code families nell’intera HU o in gruppi di documenti primari (PD families).

L’aspetto generale del Query tool è rappresentato nella figura 13:

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Fig. 13: L’area di lavoro nel Query tool Il funzionamento di base è descritto nella pagine successive in modo da rendere chiara la

logica sottostante al suo utilizzo e l’uso che se ne è fatto nella ricerca qui presentata. Ogni codice di interesse86 per il ricercatore in una specifica richiesta (o le famiglie di

codici) viene inserito (mediante un doppio click sul suo nome) nell’area delle operazioni: l’area dei risultati (in basso a destra) mostrerà l’elenco delle porzioni di testo (quotations) associate a ciascun elemento selezionato in questo modo. Affinché si possa definire adeguatamente un’operazione di ricerca, i codici e le famiglie devono essere inseriti nell’ordine in cui si ipotizza che siano in relazione (A B è diverso da B A) e sempre prima degli operatori che li collegano.

Cosa s’intende esattamente con “operatori” in ATLAS.ti? Sono i criteri mediante i quali il ricercatore chiede al software di estrarre le porzioni di testo attraverso i codici ad esse associati: è infatti attraverso le porzioni di testo (le quotations) che è possibile rilevare l’eventuale associazione fra i codici che (come abbiamo descritto nel § 4.2 in questo capitolo) le sintetizzano.

Come abbiamo descritto in De Gregorio e Mosiello (2004), in A5 sono disponibili tre gruppi di operatori:

operatori booleani (o logici): sono i classici criteri, utilizzati in tutti i sistemi di ricerca delle informazioni, riconducibili a semplici relazioni di compresenza o esclusione:

OR: chiede di estrarre le porzioni di testo in cui sono presenti uno solo o entrambi i codici selezionati, XOR: chiede di estrarre citazioni in cui è presente esclusivamente uno dei codici selezionati (e non anche l’altro), AND: chiede di estrarre le citazioni in cui entrambi i termini sono presenti, NOT: consente di formulare una richiesta in cui si esclude un codice da un insieme più ampio (es., tutti i codici i una famiglia meno uno). La figura 14 dovrebbe chiarire i termini delle differenze:

86 È possibile (fino alla versione di ATLAS.ti attualmente in commercio) effettuare ricerche sulle relazioni fra due elementi per volta.

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Fig. 14: Le relazioni di tipo logico fra i codici (fonte: Muhr, 2004, p. 164)87

Operatori semantici: consentono di esplorare le relazioni all’interno di reti concettuali

definite precedentemente dal ricercatore88. Ad esempio, il concetto “emozione” (come mostra la figura 15) può essere articolato almeno con riferimento alle polarità positivo-negativo: in questo modo, si stabiliscono delle reti concettuali rispetto a cui è possibile verificare la coerenza in modelli teorici differenti oppure fra soggetti partecipanti allo stesso studio. Gli operatori semantici sono:

SUB: opera la ricerca nelle reti concettuali a partire dai livelli superiori e verso quelli inferiori, UP: opera la ricerca di estratti di testo dai livelli di astrazione inferiori verso il livello superiore, SIBling: ricerca tutte le quotations connesse al codice selezionato e ad ogni altro codice ad esso associato.

Fig. 15: Esemplificazione delle gerarchie di concetti su cui sono utilizzabili gli operatori semantici (fonte: De Gregorio e Mosiello, 2004, p. 81)

Operatori di prossimità: consentono di testare l’eventuale relazione di tipo spaziale (o

strutturale) fra le porzioni di testo e i relativi codici: mediante gli operatori di prossimità è possibile verificare, ad esempio, l’ipotesi che gli estratti in cui è presente un certo tema (supponiamo il tema A) narrativo siano sempre precedenti a quelli in cui è presente il tema B. Gli operatori di prossimità comprendono relazioni di inclusione/esclusione (di un codice in un altro), precedenza (di A su B o viceversa), sovrapposizione.

Rimandando al manuale del software per ulteriori esempi e maggiori dettagli sulle logiche

sottostanti l’utilizzo degli operatori (Muhr, 2004), ci limitiamo a dire in questa sede che gli operatori descritti possono essere utilizzati anche in query di ricerca anche molto complesse: 87 Nella figura 3.15:

‐ A e B sono le etichette che rappresentano i codici, ‐ Q1, Q2, Q3, Q4, Q5 rappresentano le porzioni di testo richiamate a in base alla combinazione dei codici.

88 Questa classe di operatori sono utilizzabili solo con i codici (e non con le famiglie di codici).

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ATLAS.ti dispone infatti di una vera e propria “grammatica” (secondo cui, per esempio, vanno inseriti sempre prima gli operandi/codici e poi gli operatori) in base alla quale è possibile impostare Query in cui diversi operatori vengono incrociati con l’obiettivo di definire modelli teorici via via sempre più stringenti e complessi.

I risultati di ogni query possono essere salvati come se fossero dei codici aggiuntivi: ottenuto un risultato che sembra particolarmente significativo e interessante, il ricercatore può (cliccando su “Create Super Code”) creare un codice (il Supercodice, appunto) che sintetizza l’informazione appena ottenuta; il Supercodice può essere utilizzato e trattato come qualunque altro codice e (in qualità di “sintesi di altri codici”) consente di impostare ulteriori query di ricerca più complesse e sofisticate. Essi sono visibili nel Code Manager e sono contraddistinti per il colore rosso dell’icona: la principale caratteristica è la loro dinamicità: il contenuto (di codici inclusi e di quotations) varia al variare delle elaborazioni e delle relazioni fra gli elementi che sono inclusi in esso. Un ultimo aspetto che ci interessa sottolineare è il seguente: la ricerca delle relazioni mediante il Query tool è funzionale all’elaborazione teorica; quando si opera qualunque richiesta, si sta cercando di definire “pezzi” di una teoria sottostante ai dati e fondata nelle informazioni di partenza: per questa ragione, il risultato di ogni query è un set di quotations. Sono esse infatti che hanno un collegamento diretto con i testi di partenza ed è attraverso di esse che il ricercatore può (di)mostrare l’esito della sua elaborazione (De Gregorio e Mosiello, 2004, p. 82).

5.3.1 La verifica delle relazioni su una parte dei documenti Una specifica opzione disponibile a partire dalla finestra principale del Query tool consente

di circoscrivere la ricerca in sottoinsiemi specifici di documenti primari: attraverso la funzione “Scope” (vedi figura 13) è possibile limitare la ricerca a singoli documenti primari o a PD-families.

Come descriveremo a breve, questa opzione ci consente di verificare l’esistenza di eventuali differenze nelle costruzioni narrative operate da soggetti che hanno compiuto reati di gravità e natura diversa. È infatti ipotizzabile che la costruzione narrativa dell’azione “rapina” sia diversa dalla quella dell’azione “omicidio” e che queste differenze siano rilevabili a partire dai testi analizzati. Dei risultati relativi a questo obiettivo specifico parleremo nel § 6.3 (in questo capitolo).

6. I risultati In questo paragrafo verranno illustrati i risultati delle analisi del contenuto e delle strutture

narrative. Al fine di rendere più chiari i percorsi concettuali che emergono dalle narrazioni analizzate, abbiamo scelto di illustrare i risultati sulle due diverse aree secondo fasi distinte: dapprima verrà fornito un quadro descrittivo generale sia per quanto riguarda i temi narrativi principali e le dimensioni strutturali presenti nell’intero corpus dei dati; in una seconda fase, si illustrano i risultati sulle relazioni fra codici e verrà definito il modello strutturale generale sottostante a tutte le narrazioni; infine, a un successivo livello di specificità verranno descritti i risultati relativi alle famiglie di reati e le narrazioni verranno confrontate fra loro (dal punto di vista del contenuto e delle strutture) rispetto al tipo di reato di cui trattano.

6.1 I contenuti narrativi 6.1.1 I temi ricorrenti Il primo basilare passo nell’analisi delle informazioni è relativo alla rilevazione dei temi

narrativi che vengono utilizzati per raccontare l’azione: si tratta di un obiettivo totalmente esplorativo e introduttivo alle fasi successive. Esso consiste in una iniziale mappatura concettuale dei testi mediante l’identificazione dei temi più salienti (quelli che mostrano un maggiore utilizzo) per i partecipanti alla ricerca89.

89 Del concetto di salienza nell’economia di un’unità ermeneutica abbiamo già trattato nel § 1.1 in questo capitolo.

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In ATLAS.ti, è possibile attuare questa fase attraverso la predisposizione di output che evidenziano la presenza (in termini quantitativi) di codici riferiti a temi specifici. In particolare, attraverso il Code Manager si possono ordinare i codici secondo il criterio Grounded90 (che esprime quanto ogni codice è “radicato” nei testi che compongono l’HU) e metterli in ordine di “salienza”, di presenza in tutti i testi.

Nella figura 16, abbiamo scelto di isolare e mostrare tutti i codici con un radicamento nei testi superiore a 10, cioè i codici che in tutta l’unità ermeneutica91 sono assegnati ad almeno 10 porzioni di testo indipendentemente dal numero di documenti primari effettivamente coinvolti in questa valutazione.

In altre parole, è possibile che qualunque codice fra quelli mostrati nella figura 16 sia particolarmente rilevante per alcuni degli intervistati e che quindi costoro ne determino l’elevata frequenza rilevata nell’HU.

Fig. 16: Code Manager con elenco di codici ordinati secondo la salienza nell’HU

Per verificare questa evenienza, abbiamo chiesto al software l’output di una tabella in cui i

codici vengono incrociati con tutti i documenti primari in modo da verificare la distribuzione dei primi nell’unità ermeneutica (tabella IV)92: in essa è evidente, ad esempio, come il codice più frequente (“Carcere come riflessione e cambiamento”: 50 quotations) sia richiamato maggiormente dal soggetto che ha prodotto l’intervista n. 17 (in 5 passaggi della sua narrazione è rilevato questo tema narrativo); i codici “Movente strumentale del reato” (32 quotations complessive) e “Movente strumentale del percorso di carriera” (24) hanno una

90 Come mostra la figura 16, altri possibili criteri per ordinare l’elenco del codici sono: il nome-etichetta del codice (ordine alfabetico), il numero di collegamenti con altri codici (“Density”), l’ordine alfabetico dei codificatori che hanno lavorato sull’HU (di default il ricercatore viene indicato come “Super”: per specificare le identità è necessario impostare preventivamente delle password e nomi-utenti differenziati per ciascun codifcatore), la data e l’ora di creazione dei codici e la data (e l’ora) di ultima modifica. 91 Essa - ricordiamo - include 34 interviste. 92 Nel layout della tabella abbiamo ritenuto utile mantenere l’ordine della frequenza dei codici: il valore è stato riportato all’inizio di ciascuna riga. Questa operazione dovrebbe agevolarne la lettura e favorire il confronto con la figura 16.

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distribuzione diversa: il primo è particolarmente saliente per gli intervistati nn. 20 e 29 (che da soli ne parlano in ben 9 estratti delle loro narrazioni), mentre il secondo è distribuito in maniera più bilanciata in tutta l’HU. Tab. IV: La distribuzione del codici più salienti in tutte le interviste-PD

Analogamente, gli intervistati nn. 1 e 30 sono quelli che mostrano un più elevato senso di

autoefficacia (ne parlano rispettivamente in 5 e 4 estratti di testo). L’intervistato n. 8 è quello che più di tutti gli altri imputa la causa delle azioni che lo hanno

portato in carcere all’immaturità e all’ignoranza: egli descrive tali fattori come le premesse che hanno condizionato la possibilità di scegliere i percorsi d’azione più adeguati.

L’intervistato n. 26 è quello che più degli altri descrive comportamenti specifici: si tratta delle narrazioni di eventi narrati come se fossero visti da un osservatore esterno (ad esempio: recarsi sul luogo del reato, afferrare l’arma, minacciare la vittima, prendere la refurtiva, etc.).

Molti intervistati (in 18 porzioni di testo complessive) ammettono di aver pianificato accuratamente i reati prima di commetterli (rispetto al tema della pianificazione rimandiamo comunque alle sezioni successive in quanto la precisione di questa informazione dipende fortemente dal tipo di reato trattato): coloro che non fanno cenno al processo di pianificazione sono tuttavia la maggior parte dei soggetti con particolare riferimento all’intervistato n. 20 che in tre passaggi della sua intervista precisa di non aver definito i dettagli delle azioni compiute.

In 13 situazioni (soprattutto l’intervistato n. 26) viene dichiarato di non aver mai avuto intenzione di far male alle vittime: per loro (si tratta esclusivamente di individui che hanno compiuto rapine) era importante recuperare la refurtiva rapidamente e preservando nell’incolumità fisica delle vittime e dei testimoni dei reati.

In 13 e 11 quotations gli intervistati affermano chiaramente di essere preoccupati per le conseguenze negative che la loro detenzione può avere - rispettivamente - sulla famiglia e sui figli.

Per quanto riguarda gli effetti espressivo-comunicativi dei reati (che abbiamo descritto nel cap. 1 § 2.1: De Leo e Patrizi, 1992; 1999), dobbiamo sottolineare che:

- le comunicazioni indirettamente inviate verso il Sé (le azioni con valenza comunicativa verso la propria identità) sono quelle che l’intero gruppo di intervistati elicita con maggiore

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frequenza (l’intervistato n. 26, in particolare, ne fa un filo conduttore di tutta la propria narrazione),

- i messaggi di cambiamento (presenti in 12 porzioni di testo) sono distribuiti equamente in tutte le interviste,

- gli effetti di relazione (meno presenti dei precedenti: 10 volte) sono particolarmente salienti per l’intervistato n. 28 che in quattro passaggi della sua narrazione vi fa riferimento.

Fin qui la descrizione del quadro concettuale al livello più semplice, quello dei codici: si tratta come abbiamo descritto nel corso del paragrafo precedente degli elementi dell’unità ermeneutica che hanno una maggiore aderenza ai testi (le narrazioni) di partenza. Come descritto nel paragrafo 5.2, i codici sono aggregabili - per le fasi successive - in “famiglie” (le “Code families”): nelle prossime pagine descriveremo le principali. Prima tuttavia informiamo il lettore che la presentazione delle famiglie di codici può avvenire in due modi differenti: una visualizzazione grafica mediante Network view (in cui ogni famiglia di codici viene descritta per mezzo dei suoi collegamenti con i codici che ne fanno parte) e una visualizzazione testuale mediante un semplice elenco dei codici. Il vantaggio della prima soluzione è di fornire una leggibilità immediata della composizione di ciascuna rete di codici; essa tuttavia otterrebbe l’effetto contrario se la numerosità dei codici fosse eccessiva. La visualizzazione mediante elenco invece è di comprensione meno immediata, soprattutto perché nell’output di ATLAS.ti non include il numero delle quotations per ciascun codice: in questi casi ovvieremo presentando i codici più rilevanti con un layout diverso (in tutte le finestre sui Code families essi verranno indicati in grassetto).

La Code family che include il maggior numero di codici è quella che abbiamo chiamato “Strategie per un’autopresentazione positiva” (finestra 5): si tratta di una dimensione non direttamente riconducibile a un modello teorico univoco.

Finestra 5: Indicatori della famiglia di codici “Strategie per un’autopresentazione positiva”

All’interno di essa i codici sintetizzano contenuti riferiti ai tentativi di dare (nonostante

l’ammissione di colpevolezza) un’immagine positiva di Sé (l’enfasi sulla funzione

Code Family: Strategie di autopresentazione (+) Codes (78): ["mi vengono i brividi se penso a questa cosa"] [accusa ingiusta] [affidamento al servizio sociale] [arresto per ingenuità] [arresto per vecchi reati] [arresto/morte: anticipazione delle conseguenze possibili] [aspettative sulle relazioni con i figli] [assenza da luogo del reato/non partecipazione all'azione deviante] [attività artistiche in carcere] [attività editoriale] [attuale consapevolezza dell'illegalità] [auto-imputazione di responsabilità e affidabilità] [auto-vittimizzazione] [autoattribuzione di onestà] [autoattribuzione di responsabilità/interna] [autoefficacia e orgoglio per i traguardi raggiunti] [bisogno di espiazione della colpa] [carcere come miglioramento delle relazioni] [carcere come riflessione, maturazione e cambiamento] [commissione del reato per evitare che lo facessero altri] [comprensione della famiglia] [consapevolezza dei propri errori] [continua idea di smettere e ricaduta] [enfasi sulla propria vittimizzazione/ingiustizia] [estraneità (capita sempre agli altri)] [famiglia normale, benestante] [fattore protettivo: famiglia] [figli, moglie, no devianza] [funzione maturativa e responsabilizzante del carcere] [funzione positiva del reinserimento] [funzione positiva e protettiva del lavoro] [funzione positiva e rinforzante degli altri] [funzione responsabilizzante del teatro] [funzione responsabilizzante e maturativa della religione] [imparare dall'esperienza/dagli errori] [importanza del confronto] [imputazione di non-pericolosità] [incastro] [ingresso in carcere da anziano] [intenzione di non coinvolgere la famiglia] [lavoro e opportunità per smettere] [movente strumentale che annulla gli altri] [movente strumentale del reato] [movente strumentale per il percorso di carriera] [non intenzionalità di commettere il reato] [obiettivo di non fare male alle vittime] [omicidio accidentale] [omicidio non pianificato] [opportunità di una vita dignitosa (perchè s'inizia)] [pentimento/rimorso] [positività dell'infanzia e principi sani] [precedenti per piccoli reati] [preoccupazione per gli affetti che rimangono fuori] [preoccupazione per il figlio cresciuto senza padre] [preoccupazione per l'immagine di sè] [preoccupazione per la famiglia] [preoccupazione per la sorte dei figli] [reato come punto di svolta e riflessione] [responsabilizzazione legata alle relazioni umane] [ricordi e rimpianti] [rifiuto della violenza e delle armi] [riflessioni su come si poteva evitare il reato] [rimpianto per non aver studiato] [riscoperta dei veri valori] [scelta esplicita fra reati] [scelta esplicità fra bene e male] [senso di colpa per essere stato lontano dalla compagna malata] [senso di giustizia/voglia di morire] [senso di utilità e gratificazione] [serenità per la situazione carceraria] [smettere per non far soffrire i cari] [Somalia] [spirito ribelle] [tendenza al miglioramento] [tentativo di essere un buon padre] [tossicodipendenza e identità] [valori importanti della giovinezza] [vita felice e serena prima della commissione del reato] Quotation(s): 322

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responsabilizzante del carcere e delle misure alternative; la preoccupazione per le implicazioni della detenzione sui familiari, la precisazione della scarsa responsabilità nella commissione dei reati ascritti; la descrizione delle origini e delle prime fasi di vita come positive e lontane dai circuiti della devianza). La finestra 5 sintetizza i risultati elencando i 78 codici che definiscono la famiglia, fra i quali abbiamo messo in grassetto quelli più rappresentati nell’HU. Tutta la famiglia include, come mostra l’ultima riga della finestra, 322 estratti di testo complessivi.

Dall’altra parte, ci sono stati diversi episodi in cui il narratore si è descritto facendo riferimento a categorie di senso opposto che abbiamo chiamato “Strategie di autopresentazione negativa” (in basso nella figura 17). Ciò dimostra che - contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare seguendo il senso comune - non sempre chi è imputato di reati ha la tendenza a disimpegnarsi dalle attribuzione esterne e a tentare di fornire sempre e solo un’immagine positiva di Sé. Fig. 17: Indicatori della famiglia di codici “Strategie per un’autopresentazione negativa”

La famiglia di codici “Percorso: eventi critici” fa riferimento alle fasi dell’evoluzione della

carriera deviante: si tratta di una dimensione esplicitamente prevista nel modello di sviluppo della carriera (De Leo e Patrizi, 2002; De Leo e coll., 2004a). Nell’HU che abbiamo analizzato sono presenti 48 codici (riconducibili a 122 estratti di testi) che sono riportati nella finestra 6.

Come si nota dalla lettura dei codici principali, l’imputazione di criticità ad un evento rispetto alla possibilità di innescare un percorso di devianza è riferita a:

- fattori legati alle prime detenzioni e alle loro implicazioni (in termini di stile di vita, di relazioni, di norme a cui adeguarsi),

- conflittualità con persone rilevanti nel proprio percorso di vita, - eventi legati alle relazioni interpersonali (inclusi precari stati di salute propri o altrui), - eventi legati allo stato di tossicodipendenza.

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Finestra 6: Indicatori della famiglia di codici “Percorso: eventi critici” Analogamente, per quanto riguarda la famiglia “Percorso: fasi di contatto con la devianza”

(38 codici distribuiti in 157 quotations) si evidenziano i temi legati alle frequentazioni (fino ai contatti con la criminalità organizzata) e i tentativi per evitare di commettere reati nonostante le difficoltà economiche della vita quotidiana (finestra 7): Finestra 7: Indicatori della famiglia di codici “Percorso: fasi di contatto con la devianza”

Gli incidenti critici (come descritto in precedenza da De Leo e Patrizi, 2002) si collocano

in un percorso evolutivo che include una serie di altri antecedenti storici. Nell’analisi delle narrazioni che stiamo presentando abbiamo scelto di estrapolare da tale contesto quegli antecedenti identificati come aventi valenza negativa e riconducibili specificamente all’ambiente familiare (figura 18) e alla situazione più ampia (figura 19).

La famiglia è chiamata in causa in particolare rispetto agli aspetti di violenza che hanno pervaso la giovinezza e l’infanzia dei protagonisti. Altri fattori che descrivono la dimensione e su cui è necessario fare un cenno riguardano le relazioni che si strutturavano nei contesti familiari: le narrazioni fanno riferimento, in questi casi, sia alla famiglia di origine (composta da genitori e fratelli) sia alla famiglia acquisita (composta da moglie e figli); un ultimo aspetto riguarda i fattori meno controllabili della vita in famiglia, in particolare le morti e le condizioni di indigenza economica.

Il contesto più ampio (oltre la famiglia) diventa preponderante nella sua influenza sul percorso di carriera sotto diversi punti di vista. Le principali agenzie chiamate in causa come influenti nell’evoluzione della carriera deviante sono:

Code Family: percorso: eventi critici Codes (48): ["io ho sempre rubato"] [abbandono da parte della moglie] [abbandono dalla persona amata] [aborto della compagna dopo l'omicidio] [arresto dei figli] [attività onesta e ricaduta nella devianza] [attività politica] [cambiamento lavorativo ed economico] [carcerazione (e regole)] [carcerazione dei figli] [carcerazioni frequenti] [conferma del tradimento] [conflittualità con la madre] [continui scontri con le agenzie di controllo] [crisi d'identità] [debolezza, uso della cocaina] [escalation del percorso di devianza] [fare la bella vita] [Hiv della compagna] [il reato come incidente critico] [importanza dell'uso della droga] [incidente del figlio] [inizio carriera dopo matrimonio] [latitanza e necessità di lasciare gli affetti] [lavoro per lo Stato e reato contro il patrimonio] [lunga storia di istituzionalizzazione] [malattia] [mancata comprensione delle proprie esigenze] [momenti positivi e ricaduta nella droga/devianza] [morte di un congiunto] [necessità di trovare soldi] [omosessualità] [perdita del lavoro] [pianificazione della rapina e difficoltà: omicidio] [porto d'armi] [precedenti penali del padre] [problemi di relazione (ambiente, gruppo)] [scelta di lasciare il lavoro] [separazione dei genitori] [tentazioni dell'età adulta] [tossicodipendenza] [tossicodipendenza del padre] [tradimento dal complice] [trasferimento in Italia] [uccisione della madre] [uscita dal carcere e tentativi di trovare lavoro] [uscita dalla comunità e disorientamento] [vicende negative destabilizzanti] Quotation(s): 122

Code Family: percorso: fasi di contatto con la devianza____________________________________________________________________ Codes (38): [abbandono/orfanotrofio] [ambiente di violenza] [attività onesta e ricaduta nella devianza] [attribuzione all'ambiente (cultura, periferia)] [attribuzione droga/psicofarmaci/alcool] [condanne precedenti] [contesto come antecedente] [criminalità organizzata] [debolezza, uso della cocaina] [disoccupazione ed espedienti] [droga come mezzo per la socialità] [droga come reazione] [il reato come incidente critico] [importanza del contesto] [inevitabilità del percorso di devianza] [omosessualità] [porto d'armi] [precedenti per piccoli reati] [primo reato a 14 anni] [primo reato a 15 anni] [primo reato a 17 anni] [primo reato a 18 anni] [primo reato a 19 anni] [primo reato a 20 anni] [primo reato a 21 anni] [primo reato a 24 anni] [primo reato a 28 anni] [primo reato a 29 anni] [primo reato a 35 anni] [primo reato a 43 anni] [primo reato a 7-8 anni] [problemi con la mafia] [rabbia verso le forme di controllo] [stile di vita violento] [tentazioni dell'età adulta] [uscita dal carcere e tossicodipendenza della compagna] [vita burrascosa] [vita di strada e primi reati] Quotation(s): 157

- le condizioni lavorative, - i contatti con la criminalità organizzata,

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- il gruppo dei pari, - le istituzioni e la partecipazione politica.

Fig. 18: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso negativo con coinvolgimento familiare”

Fig. 19: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso negativo con coinvolgimento del contesto allargato”

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La famiglia e il contesto allargato sono chiamati in causa anche nella loro valenza positiva e supportante: le figg. 20 e 21 descrivono i percorsi concettuali implicati in questa valutazione.

Fig. 20: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso positivo con coinvolgimento familiare”

Evidenziamo comunque come i temi narrativi elicitati per queste descrizioni sono pochi e

concettualmente meno significativi rispetto a quelli visti nelle due figure prevedenti: Fin qui per quanto riguarda gli aspetti descrittivi dei percorsi di carriera e di azioni

devianti. Dalle narrazioni tuttavia emergono altre dimensioni teoriche. Fig. 21: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso positivo con coinvolgimento del contesto allargato”

Il concetto di responsabilizzazione emerge spesso nelle narrazioni dei detenuti che hanno

scelto di partecipare alla ricerca: si tratta di una rete di codici (figura 22) fra essi concettualmente associati i cui collegamenti ruotano intorno alla “Funzione maturativa e responsabilizzante del carcere”.

I principali elementi richiamati nelle narrazioni (alcuni di essi hanno frequenze molto elevate93) fanno riferimento alle attività socializzative, ma alcune persone sottolineano la valenza che le relazioni interpersonali assumono rispetto alla propria responsabilizzazione e all’esito positivo del percorso di reinserimento.

Quello dell’esperienza detentiva come momento di crescita e cambiamento è un tema narrativo che vede convergere le riflessioni di molti intervistati e la cui rete concettuale include ampi riferimenti agli aspetti morali del reato, le preoccupazioni per i familiari (soprattutto per i figli) che rimangono fuori dal carcere, la progettualità sulla vita fuori dal carcere al termine della pensa da scontare.

Per quanto riguarda l’azione vera e propria, il reato che gli intervistati hanno scelto di raccontare durante l’intervista, si può dire che le narrazioni hanno spesso fatto riferimento agli 93 Cioè sono collegati a numerose porzioni di testo rappresentate dal primo numero all’interno della parentesi vicino al nome del codice.

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aspetti cognitivi implicati. È necessario evidenziare come la componente cognitiva dell’azione sia stata narrativamente riferita all’azione vera e propria e ai suoi sviluppi successivi, ma quasi mai alle fasi precedenti.

Fig. 22: La rete concettuale della responsabilizzazione

Per quanto riguarda i fattori relativi all’azione narrata (figura 23), i codici emersi

dall’intero corpus di interviste fanno riferimento soprattutto alla pianificazione (scelta del luogo del reato, dell’arma, della vittima, dei tempi, la stima del bottino e la costituzione di un team con ruoli definiti94); nella stessa dimensione sono presenti anche aspetti metacognitivi: l’idea che per fare un’accurata pianificazione sia necessaria molta esperienza e specializzazione nel settore di attività, il contenimento delle emozioni e le soluzioni per fronteggiare l’eventuale reazione della vittima. Un’importante aspetto cognitivo, fortemente collegato alla pianificazione, è l’anticipazione delle conseguenze future dell’azione: si tratta di un fattore al quale abbiamo dato in precedenza molta enfasi (cfr. cap. 1 § 2.1 sulla Teoria dell’azione ed effetti comunicativi) e che richiama direttamente la previsione del “cosa succede se…” con particolare riferimento agli eventuali imprevisti.

Un altro fattore che merita approfondimento (e sul quale, per questa ragione, torneremo anche più avanti) il senso di “autoefficacia e di orgoglio” che emerge con forza in ben 24 estratti di testo e che mostra come tutte le azioni sfidanti e complesse, anche quelle socialmente riprovevoli e penalmente sanzionabili, ingenerino nell’autore una soddisfazione che viene descritta in tutti con enfasi anche a distanza di molto tempo da quando si sono verificate.

Nella nostra esperienza di conduzione di queste interviste, è stata particolarmente significativa la constatazione della vividezza della riattualizzazione nella realtà che taluni eventi (anche temporalmente molto distanti) avevano per gli attori che ne erano stati protagonisti: queste narrazioni diventavano ancora più articolate e dettagliate proprio quando l’attore-narratore si cimentava sulla valutazione del Sé-in-situazione, soprattutto se l’azione era andata a buon fine.

In molti casi, i rispondenti all’intervista hanno chiaramente ammesso di non attuare alcuna forma di pianificazione. Come abbiamo riportato nella parte bassa della figura 23 (da destra verso sinistra), in 18 passaggi narrativi gli intervistati fanno riferimento ad una “Pianificazione preliminare rigorosa” che tuttavia in altri casi è in contraddizione con quanto

94 In particolare, i codici “Pianificazione collaborativa/ruoli” e “Identificazione del leader e importanza del gfuppo” fanno emergere l’idea di un vero e proprio lavoro di squadra sottostante alle azioni: in questo caso, come è intuitivo, si tratta narrazione di eventi-rapine.

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riferito in altri estratti e da altri intervistati: l’altra faccia della medaglia è infatti una totale assenza di pianificazione (13 quotations) o una pianificazione tutt’al più vaga (5 quotations). Fig. 23: Indicatori della famiglia di codici “Aspetti cognitivi dell’azione”

In un solo caso, è stata descritta una pianificazione operata solo per reati più grossi e che

coinvolgono più di una persona: quello degli “Aspetti cognitivi dell’esecuzione dell’azione” è un tema narrativo che fornisce un’adeguata veste empirica (e allo stesso tempo completa dal punto di vista concettuale) ai modelli teorici di riferimento sugli aspetti cognitivi dell’azione sociale. La teoria di von Cranach e Harré (1982), anche nelle recenti formulazioni di von Cranach e Ochsenbein (1994), nel tentativo di articolare con maggiore specificità le dimensioni teoriche, ha rischiato di perdere di vista l’azione come unità significativa di comportamento (la sua intrinseca “molarità”): non erano mai state affrontate adeguatamente le variabili cognitive relative alla pianificazione di un reato, alle scelte operate, all’anticipazione delle conseguenze e dei possibili imprevisti, alla valutazione dei percorsi e delle vie di fuga, alla cooperazione con i complici. L’analisi effettuta in questa sede risolve molti di questi vuoti teorici.

Per quanto riguarda la descrizione degli aspetti cognitivi successivi allo svolgimento dell’azione, la figura 24 evidenzia gli aspetti di valutazione dei percorsi d’azione attuati:

- emergono da una parte i temi narrativi della vittimizzazione e del senso di ingiustizia subita, l’attribuzione di responsabilità alle vittime, l’attribuzione alla malattia mentale come formula di giustificazione e assoluzione e soprattutto la motivazione reattiva e difensiva del reato commesso;

- la stessa HU tuttavia include temi narrativi in cui la valutazione del percorso di devianza si sposta verso una maggiore responsabilizzazione e ammissione di colpevolezza: la consapevolezza degli errori, l’orgoglio per i traguardi raggiunti rispetto al percorso di reinserimento sociale e di uscita dai circuiti della devianza, la funzione maturativa e responsabilizzante della detenzione, le ipotesi e le previsioni di scenari futuri.

Per quanto riguarda gli aspetti emotivi che accompagnano e seguono l’azione, la Network view relativa a questi fattori (figura 25) evidenzia diversi elementi di interesse: in primo

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luogo, si nota come (a fronte di 38 codici afferenti a questa Code family95) in 7 passaggi narrativi gli intervistati ammettono di non aver provato alcuna emozione (parte alta della figura 25).

Fig. 24: Indicatori della famiglia di codici “Aspetti cognitivi successivi al reato”

Fig. 25: Indicatori della famiglia di codici “Aspetti emotivi contemporanei all’azione e successivi”

95 Per motivi grafici e di sintesi nella rete abbiamo scelto di rappresentare solo alcuni di essi.

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Tutti i riferimenti alla descrizione di stati emotivi sono stati codificati con riferimento alla loro valenza negativa o positiva:

- la parte della destra della figura 25 illustra i primi evidenziando in particolare come tutte le emozioni di senso negativo siano narrativamente riferite al periodo successivo alla commissione dell’azione e alla situazione detentiva (il pentimento, i sensi di colpa, la rassegnazione, i sentimenti di perdita e di sconfitta, etc.),

- la parte sinistra, invece, illustra le emozioni positive che, come si nota, sono riferite (tranne nel caso della “Solidarietà delle persone care” e un solo rispondente che manifesta “Serenità per la situazione carceraria”) all’attuazione diretta delle azioni: l’orgoglio per il compimento efficace dell’azione, il senso di autoefficacia, la soddisfazione fino alla descrizione dei correlati fisiologici (“l’adrenalina” a cui ben 8 passaggi narrativi fanno riferimento).

Un ulteriore obiettivo di conoscenza era relativo all’articolazione narrativa dell’ “agency”:

si tratta di una nozione ampiamente e variamente utilizzata in psicologia. Il riferimento principale è sicuramente la formulazione di “human agency”, proposta da A. Bandura (1986; 2001). Con tale concetto si intende la capacità, tipicamente umana, di agire nel mondo non solo reattivamente ma attraverso la costruzione di attivazioni, di simbolizzazioni, di anticipazioni96; ma si è inteso anche la costruzione narrativa di un attore intenzionalmente orientato a riconoscersi come fonte delle proprie azioni (Bruner, 1997) fino alle più recenti formulazioni a forte connotazione empirica negli studi sulle autobiografie di O’Connor (1995) e di McAdams, Hoffman, Mansfield e Day (1996).

Nello studio che abbiamo condotto i temi narrativi riferibili all’agency sono stati categorizzati secondo due accezioni (figura 26): la capacità d’azione (propriamente detta) e il tema delle scelte che sono rese narrativamente nei termini della intenzione di percorrere linee d’azione alternative (“lavoro vs. reato”, “devianza vs. attività legali”, “bene vs. male”), della capacità di riemergere dalle difficoltà della vita quotidiana, della decisione consapevole e intenzionale di perpetrare proprio quel reato in quel momento specifico, dell’imputazione all’ignoranza e/o all’immaturità della causazione di scelte sbagliate. Nella figura 26 abbiamo riportato alcune delle 16 porzioni di testo che riassumono le dimensioni appena descritte (rispettivamente codificate come “agency” o come “scelte”): ogni estratto, secondo la notazione di ATLAS.ti, riporta le coordinate del testo in cui si trova, la prima riga dell’estratto (che solitamente identifica la quotation vera e propria) e l’intero segmento codificato (cioè, considerato come tematicamente significativo in fase di codifica aperta o by list: cfr. § 5.2 in questo capitolo).

I temi dell’agency e della scelta di percorsi d’azione specifici sono stati studiati nella letteratura scientifica anche con riferimento al contesto detentivo (O’Connor, 1995): i risultati relativi a questa dimensione narrativa tuttavia ampliano il panorama offerto dagli studi precedenti in cui l’agentività era stata operazionalizzata con riferimento esclusivo alla collocazione rispetto al sistema agente (interna o dislocata). La ricerca svolta ne chiarisce le articolazioni narrative specifiche. Un analogo percorso descrittivo è possibile per quanto riguarda i temi narrativi relativi all’attribuzione interna di responsabilità: nella figura 27 abbiamo riportato alcune delle quotations che illustrano la rappresentazione fornita dai rispondenti all’intervista sul tema dell’assunzione delle responsabilità per i reati commessi.

96 Va detto per precisione e completezza che il concetto di “agency” ha un percorso decisamente più ampio di quello che ci limitiamo a descrivere in questa sede: a partire dalle formulazione in ambito interazionista simbolico (Harré e Secord, 1972) fino alla già citata Teoria dell’azione (Harré e von Cranach, 1982) e alla psicologia discorsiva (Harré e Gillett, 1994).

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Fig. 26: Indicazione degli estratti di testo (quotations) per i temi della capacità di agire Tutti gli estratti narrativi sono stati ricondotti a tre codici (a loro volta compresi nella Code

family “Attribuzione interna di responsabilità”) che abbiamo indicato come: - “immaturità (ignoranza o ingenuità) come cause della devianza”: è un codice che comprende tutti quei passaggi narrativi in cui gli autori imputavano ai fattori indicati la causa delle loro azioni; abbiamo scelto di riportare, a titolo esemplificativo, solo alcuni dei 21 estratti che caratterizzano questo fattore: - “ammissione di colpevolezza”: comprende tutte le porzioni di testo in cui gli intervistati (seppure non attribuendosi chiaramente la responsabilità) si descrivono direttamente o indirettamente come artefici del proprio destino. Essi non chiamano in causa fattori esterni e incontrollabili, piuttosto le loro ammissioni sono velatamente caratterizzate da una sorta di rassegnazione e inevitabilità del percorso che essi stessi hanno scelto di intraprendere; - “consapevolezza dei propri errori”: sono i passaggi narrativi maggiormente caratterizzati dal senso di l’inevitabilità del percorso di devianza instaurato. Come è evidente dagli esempi riportati nella figura 27, si tratta di estratti tipicamente riferiti all’uso di sostanze stupefacenti che risultano la principale causa della commissione dei reati in senso diretto e strumentale (per la necessità di ottenere rapidamente somme ingenti di

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denaro) e indirettamente (come fonte di deterioramento delle condizioni psicofisiche e della capacità di giudizio e valutazione). In questi casi, la responsabilità dei reati è dunque indirettamente attribuita a Sé attraverso la mediazione delle droghe, l’uso delle quali diventa la principale causa della commissione dei reati e vera ragione del rammarico manifestato.

Fig. 27: Indicazione degli estratti di testo (quotations) per i temi dell’attribuzione interna di responsabilità Le attribuzioni a cause esterne da sé, che pure sono ampiamente presenti nelle interviste

che abbiamo analizzato, sono riferibili a fonti chiaramente identificate.

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Per le attribuzioni esterne di responsabilità, la collocazione della causazione fuori da sé viene attuata facendo ampio ricorso all’ironia sull’entità della pena da scontare e sulle colpe delle istituzioni nella determinazione della scelta di commettere reati;

La figura 28 illustra l’articolazione interna di questa dimensione con riferimento ai seguenti indicatori97:

- le droghe e/o gli psicofarmaci, - la vittima, - le agenzie di controllo sociale, - le istituzioni, - la subcultura della periferia (borgata), - una generica attribuzione alla sfortuna, - una persona chiaramente identificabile (es.: la cognata/convivente) o (più

genericamente) gli altri, - la famiglia.

97 Per ciascun codice della rete grafica abbiamo riportato a titolo esemplificativo una sola quotation che fosse semanticamente rappresentativa del codice indicato e, per suo tramite, della Code family “Attribuzione esterna”.

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Fig. 28: Indicazione degli estratti di testo per i temi dell’attribuzione esterna di responsabilità

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Per quanto riguarda gli altri elementi che sono emersi dalle narrazioni, abbiamo rilevato una presenza di temi narrativi vicini ai meccanismi di disimpegno morale (Bandura, 1997; 1999) e alle tecniche di neutralizzazione della norma (Sykes e Matza, 1957).

Per quanto riguarda i primi - sebbene la loro presenza non sia adeguatamente rappresentativa del modello e dell’articolazione proposti da Bandura - riteniamo utile sintetizzarli con riferimento alle figg. 29, 30 e 31:

Figg. 29-30: Esemplificazione del tema narrativo della Minimizzazione del danno e dell’Etichettamento eufemistico secondo il modello del Moral disengagement

Fig. 31: Esemplificazione del tema narrativo della Dislocazione della responsabilità secondo il modello del Moral disengagement

Più articolato è il quadro che riguarda le Tecniche di neutralizzazione della norma per la cui analisi abbiamo fatto riferimento alle più recenti riformulazioni e ampliamenti di Fritsche (2002) e Minor (1981): nella codifica delle interviste è stata rilevata spesso la presenza di temi narrativi riferibili al modello proposto da Sykes e Matza (1957).

Le codifiche, in questo caso, sono state effettuate in due fasi:

1. una codifica per temi (l’assegnazione del codice specifico), 2. successivamente un’aggregazione dei codici in Code families.

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Tutte le dimensioni riscontrate sono rappresentate mediante Network view a partire dalla Code family e per mezzo dei codici che la compongono98. Ciascuna rete riporta inoltre le quotations (estratti di testo) da cui sono ottenuti i codici al fine di rendere chiaro il percorso logico sottostante all’analisi dei materiali empirici.

La rappresentazione delle tecniche di neutralizzazione è ottenuta dai temi narrativi (riportati nelle figure nelle prossime pagine) con i quali gli autori dei reati cercano di giustificare l’azione o mitigare il peso delle attribuzioni negative:

- “Appeal to higher loyalties” (“Richiamo a ideali superiori”): figura 32, - “Denial of responsability” (“Negazione della responsabilità”): figura 33, - “Denial of victim” (“Attribuzione di colpa alla vittima”): figura 34 - “Condemnation of the condemners” (“Condanna dei giudici”): figura 35, - “Defence of necessity” (“Difesa dello stato di necessità”): figura 36 - “Metaphor of the ledger” (“Richiamo all’esperienza passata”): figura 37, - “Reference to sin of others”, (“Confronto vantaggioso”): figura 38,

Fig. 32: Articolazione della famiglia di codici “Appeal to higher loyalties”

98 Si veda a questo riguardo l’articolazione concetto-dimensioni-indicatori secondo il modello di Lazarsfeld (cap. 2)

98

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Fig. 33: Articolazione della famiglia di codici “Denial of responsability”

Fig. 34: Articolazione della famiglia di codici “Attribuzione di colpa alla vittima” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)

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Fig. 35: Articolazione della famiglia di codici “Condemnation of the condemners”

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Fig. 36: Articolazione della famiglia di codici “Defence of necessity” (secondo l’ampliamento di Minor, 1981)

Fig. 37: Articolazione della famiglia di codici “Metaphor of the ledger” (secondo l’ampliamento di Minor, 1981)

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Fig. 38: Articolazione della famiglia di codici “Confronto vantaggioso” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)

In due circostanze, la codifica operata ci ha fatto rilevare una sovrapposizione fra i

meccanismi banduriani e le tecniche di neutralizzazione, da una parte (si tratta dell’Attribuzione di colpa alla vittima, “Denial of victim” nei termini di Sykes e Matza, 1957: figura 36), e il modello di Fritsche (“Reference to sin of others”, il c.d. “Confronto vantaggioso” per Bandura: figura 37).

Fin qui la descrizione in termini di dimensioni (code families) indicatori (codici) estratti di testo (quotations) secondo i modelli teorici tradizionali di Bandura e Sykes-Matza.

La letteratura sull’argomento tuttavia ha evidenziato l’esistenza di ulteriori meccanismi di disimpegno morale e neutralizzazione della norma. In particolare, i contributi di Fritsche (2002) e Schahn (1993) hanno consentito di gettare nuova luce sui meccanismi implicati nel resoconto e nella narrazione delle azioni devianti. Gli Autori hanno parlato specificamente di:

- assenza di intenzione di commettere il reato (“Reference to lack of intentionality”): figura 39,

- futura astensione dal comportamento sanzionato (“Promised reform”): figura 40, - mancata assunzione delle responsabilità per gli eventi successivi collegati (“Refusal to

take responsability for the future”): figura 41, - imputazione alla pigrizia (“Reference to laziness”): figura 42, - ammissione di colpevolezza (“Acceptance of guilt”): figura 43.

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Fig. 39: Articolazione della famiglia di codici “Reference to lack of intentionality” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)

Fig. 40: Articolazione della famiglia di codici “Promised reform” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)

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Fig. 41: Articolazione della famiglia di codici “Refusal to take responsability for the future” (secondo l’ampliamento di Schahn, 1993)

Fig. 42: Articolazione della famiglia di codici “Reference to laziness” (secondo l’ampliamento di Schahn, 1993)

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Fig. 43: Articolazione della famiglia di codici “Acceptance of guilt” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)

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Rispetto a quanto descritto nelle pagine precedenti, un approfondimento merita l’articolazione dei temi narrativi relativi al Posizionamento discorsivo (di cui abbiamo parlato nel cap. 1 § 3.1). Si tratta, come evidenziato in precedenza, di un modello teorico che solo in tempi recenti ha ricevuto la necessaria attenzione e ha avuto approfondimenti dal punto di vista empirico: per questa ragione, non è ancora possibile definire un adeguato iter logico e metodologico di articolazione in dimensioni e indicatori empiricamente rilevabili del concetto di posizionamento.

Nella ricerca condotta e qui presentata abbiamo quindi preferito (diversamente da quanto fatto rispetto ai temi narrativi descritti nelle sezioni precedenti) operare una codifica a un livello di astrazione maggiore (le aree principali che definiscono il posizionamento nei termini di collocazione nel sistema di coordinate definito dall’ordine morale, l’ordine sociale, l’ordine spaziale e quello temporale: Davies e Harré, 1990; Harré e van Langenhove, 1992): alla lettura dei testi ha fatto seguito una codifica in termini di specifiche implicazioni discorsive rispetto ai quattro livelli di collocazione.

Nelle sezioni seguenti vengono riportati l’output dei codici categorizzati per ogni Code family. Abbiamo scelto di distinguere fra due dimensioni alternative ma interrelate:

- il posizionamento di Sé vs. il posizionamento di altri, - la connotazione su un versante positivo vs. la connotazione su un versante negativo. In particolare, per quanto riguarda il Posizionamento discorsivo di Sé nell’ordine morale

secondo un’accezione negativa (Finestra 8), sono emersi 38 estratti di testo complessivi riferibili ai temi della scelta di dedicarsi alle attività criminali, della deresponsabilizzazione e della costruzione discorsiva del disimpegno, del pentimento.

Finestra 8: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento morale del Sé con connotazione negativa

Sul versante della connotazione positiva della stessa dimensione (il Sé nell’ordine morale)

gli intervistati si sono espressi in maniera più ampia con 78 quotations complessive riferite a temi narrativi del senso di autoefficacia derivante dal successo delle imprese (inclusa la definizione di Sé come “professionista del crimine”), ma anche del senso di responsabilità e dell’autocolpevolizzazione, del rispetto per le vittime (non uso delle armi da fuoco e nessuna minaccia all’incolumità fisica) e per famiglia (che potrebbe subire gli effetti negativi delle attribuzioni negative altrui), del disimpegno rispetto alle ragioni della scelta di commettere i crimini. L’output dei risultati è riportato nella finestra 9:

Finestra 9: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento morale del Sé con connotazione positiva

Il posizionamento degli altri in termini negativi (sempre secondo le coordinate dell’ordine

morale: finestra 10) è manifestato secondo una serie di strategie discorsive implicanti una

Code Family: Posizionamento discorsivo del Sè nell'ordine morale (versante negativo) _____________________________________________________________________ Codes (10): [deresponsabilizzazione] [estraneazione] [minimizzazione] [poca voglia di lavorare] [rapine = lavoro normale] [ridimensionamento della propria posizione] [scelta consapevole della devianza] [scelta delle rapine] [tentativo di suicidio] ["io ho sempre rubato"] Quotation(s): 38

Code Family: Posizionamento discorsivo del Sè nell'ordine morale (versante positivo) ______________________________________________________________________ Codes (15): [autoefficacia e soddisfazione] ["professionista" affidabile e attento] [autocolpevolizzazione/responsabilità] [brava persona] [criminale per necessità] [dialogo] [estraneità ai fatti] [famiglia e vita regolare] [furbizia] [gratitudine/riconoscenza] [maturazione e responsabilità] [non coinvolgomento della famiglia] [non collusione con la mafia] [non far male a nessuno] [padre affettuoso e attento] Quotation(s): 78

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causazione nella direzione altri-Sé: la colpevolizzazione delle istituzioni (tema narrativo già trattato nella sezione precedente), delle vittime e dei complici, le reazioni violente dei familiari (quelle delle forze dell’ordine), l’influenza del contesto sono tutte che lasciano intendere un’influenza esterna sul comportamento deviante messo in atto dall’attore. Finestra 10: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine morale degli altri con connotazione negativa

Analogamente, la direzione delle influenze per quanto riguarda la connotazione positiva

del Posizionamento degli altri nell’ordine morale (finestra 11) è collocata dall’esterno (la famiglia, gli estranei supportanti, la vittima collaborativa) verso il Sé. Purtroppo la bassa frequenza di porzioni di testo riferibili a questa dimensione non ci consente di estrarre altri risultati.

È da notare infatti la forte differenza fra il numero totale di quotations riferite all’influenza negativa degli altri verso il Sé (finestra 10) e quella riferita alle influenze positive (finestra 11).

Finestra 11: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine morale degli altri con connotazione positiva

Code Family: Posizionamento nell'ordine morale ALTRI (versante negativo) ______________________________________________________________________ Codes (20): [nessun supporto dalla famiglia] [abbandono dalla compagnia] [colpevolezza dei complici] [colpevolizzazione delle istituzioni] [comportamenti deleteri per sè] [deresponsabilizzazione degli assistenti sociali] [famiglia sfasciata] [fratelli devianti] [fratello traditore] [Governo] [libertà sessuale] [moglie prudente (abbandono)] [moglie tossicodipendente] [padre cattivo e violento] [polizia violenta] [poliziotto in malafede] [reazione negativa della famiglia] [reazione violenta della famiglia] [sfiducia] [vittima disonesta] Quotation(s): 66

Questo primo set di risultati riguardanti le caratterizzazioni narrative del Sé e degli altri

secondo accezioni negative e positive confermano quando già evidenziato dalla letteratura sull’attribuzione causale (De Grada e Mannetti, 1988; Felson e Ribner, 1981): l’enfasi (che tutto sommato possiamo interpretare come equivalente) che i rispondenti alla nostra intervista pongono sulla caratterizzazione in termini moralmente positivi del Sé (78 quotations: finestra 9) e in termini negativi degli altri (66 quotations: finestra 10) merita ulteriori approfondimenti con ricerche strutturate e con una metodologica rigorosa.

Le collocazioni nell’ordine sociale appaiono meno approfondite in termini narrativi. Come abbiamo descritto nel cap. 1 (§ 3.1), il livello sociale della costruzione narrativa di Sé e degli altri è relativo alle caratterizzazioni di tipo sociologico-anagrafico, i ruoli storicamente agiti e vissuti. I due codici caratterizzanti questa dimensione sono illustrati nella figura 44 unitamente agli estratti di testo che li esemplificano:

Code Family: Posizionamento nell'ordine morale ALTRI (versione positivo) ______________________________________________________________________ Codes (8): [sostegno dagli estranei] [cittadini onesti] [famiglia integerrima] [famiglia meravigliosa] [fratelli non devianti] [importanza delle relazioni affettive/interpersonali] [vicinanza della famiglia] [vittima 'buona'] Quotation(s): 18

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Fig. 44: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine sociale degli altri Analogamente, gli indicatori narrativi del Sé nell’ordine sociale (sia con connotazione

positiva che negativa) mostrano una scarsa salienza rispetto ai temi della collocazione al livello morale (finestra 12). Il versante positivo evidenzia i temi della “normalità della vita quotidiana” e delle aspirazioni per un futuro positivo; in altre narrazioni, spicca una caratterizzazione in senso negativo che coinvolge la definizione dell’ambiente di vita del soggetto (la povertà e lo stato di necessità, i tentativi di emergere anche con atteggiamenti aggressivi, talvolta violenti):

Finestra 12: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento sociale del Sé

L’ultimo aspetto del Posizionamento discorsivo riguarda la collocazione nel sistema di

coordinate spazio-temporali. Si tratta di una dimensione che evidenzia tutta la varietà delle caratterizzazioni possibili: i rispondenti-narratori si sono orientati in maniera diversa fra loro rappresentando un’ampia gamma delle localizzazioni in senso temporale e/o spaziale.

In questo senso, i “luoghi” citati in cui vengono ambientate le storie narrate sono (se consideriamo il livello spaziale della narrazione) quelli in cui i reati si sono svolti (rappresentati mediante i codici nella parte sinistra della figura 43). È utile notare che tutte le porzioni di testo rappresentate da questi codici sono 10: senza alcuna pretesa di dimostrazione, possiamo tuttavia constatare la poca salienza attribuita alle caratterizzazioni di tipo spaziale.

In maniera simile, i temi narrativi afferenti al livello temporale (parte destra della figura 45) consentono di evincere una localizzazione delle origini dell’azione narrata ora in tempi

Code Family: Posizionamento nell'ordine sociale del Sé (versante positivo) ______________________________________________________________________ Codes (3): [famiglia benestante] [famiglia e vita regolare] [tentativo di essere un buon padre] Quotation(s): 9 Code Family: Posizionamento nell'ordine sociale del Sè (versante negativo) ______________________________________________________________________ Codes (7): [infanzia brutta] [lavoro per motorino] [rabbia] ["è mio e me lo prendo"] [ambiente deviante] [bisogno di potere] [famiglia povera] Quotation(s): 12

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remoti (“nell’infanzia”, “nella giovinezza”, etc.), ora in un momento definito (“ad Agosto”, “lunedì”, “il giorno delle pensioni”).

Fig. 45: Indicatori narrativi della collocazione nei contesti spazio-temporali

È totalmente assente una riattualizzazione della narrazione nel qui e ora in cui essa si

svolge, come se gli eventi del passato - seppure vividamente collocati nel loro contesto storico - fossero localmente validi senza una necessità di confronto o di rimessa in discussione rispetto alla situazione presente.

L’interpretazione complessiva di queste evidenze riconduce al contesto specifico in cui le narrazioni sono state ottenute: si è trattato di resoconti inseriti in colloqui condotti in carcere con individui che erano imputati di reati vari (rapine, omicidio, detenzione, spaccio e/o traffico di sostanze stupefacenti, truffa e ricettazione). In tale situazione, è possibile che i meccanismi implicati nel render conto (direttamente o indirettamente) delle ragioni dei reati abbiano fatto preferire agli attori-narratori una collocazione di Sé in un “contesto di giustificazione” (da cui l’enfasi sui meccanismi di disimpegno morale e di neutralizzazione della norma) e di messa in discussione dei criteri di definizione degli obblighi e dei doveri, nei sistemi culturali e locali che includono attribuzioni, credenze, valori.

6.2 Le strutture narrative: presenza delle dimensioni Per quanto riguarda la presenza, in tutti i testi analizzati, di estratti riconducibili al modello

strutturale preso in esame (l’Evaluation model di W. Labov: cfr. cap. 3 § 2.4) possiamo dire che si tratta di una valutazione del tutto introduttiva poiché sulle categorie di cui trattiamo (le dimensioni di tipo strutturale, appunto) sarà opportuno effettuare delle analisi più specifiche mediante gli operatori di prossimità.

In via preliminare, possiamo dunque riassumere le informazioni facendo riferimento alla tabella V.

Come è evidente dai totali di ciascuna dimensione strutturale, la componente valutativa (Evaluation) è la più rappresentata nelle 34 narrazioni (83 estratti di testi): le narrazioni n. 22 e n. 1 sono quelle nelle quali essa si presenta con maggiore frequenza (rispettivamente 11 e 8 volte).

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Tab. V: Riepilogo della presenza delle dimensioni strutturali in tutti i documenti primari L’Abstract (che come riferito nel cap. 3 § 2.4 è una componente opzionale che ha la

funzione di introdurre e riassumere contenuti presenti nell’intera narrazione) si presenta in 32 quotations. L’intervistato n. 25 è quello che produce un percorso narrativo con un maggior numero di riassunti introduttivi: è come se egli, nel corso della stessa intervista, sviluppasse una serie di micronarrazioni, ciascuna in sé stessa completa e conclusa (comprendente cioè tutte le dimensioni prevalenti che, in termini strutturali, definiscono una narrazione) con una forte caratterizzazione in senso valutativo (5 quotations, peraltro comuni con l’intervistato n. 2 ma decisamente inferiori a quelle dell’intervistato n. 22).

La dimensione meno frequente nell’intero corpus dei dati è quella relativa all’illustrazione degli esiti dei percorsi d’azione e degli eventi (Result): si tratta di una evidenza che può sorprendere se valutata in assoluto. A nostro avviso, questo risultato è da ricondurre alla natura degli eventi narrati: si tratta di catene di eventi le cui conclusioni sono spesso negative per il protagonista dell’azione stessa (l’arresto) e, per certi aspetti, anche autoevidenti; fra gli eventi critici su cui gli intervistati ritenevano utile produrre una narrazione e intorno a cui imperniavano gli altri fatti significativi, gli intervistati hanno spesso scelto il reato che li ha portati all’attuale detenzione: in questo senso, il “risultato” - la conclusione - dell’azione è ovviamente l’arresto e quindi la situazione detentiva nella quale si trovano al momento dell’intervista.

In diverse interviste (le nn. 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 18, 32) non è stato possibile rilevare alcuna componente strutturale: si tratta di testi molto destrutturati nei quali i narratori appaiono poco propensi a sviluppare narrazioni organiche e tematicamente integrate. Esse sono state tuttavia particolarmente utili per quanto riguarda l’analisi dei contenuti di cui abbiamo trattato nei paragrafi precedenti. Riprenderemo più avanti questo discorso cercando di capire quali sono le implicazioni dell’assenza di strutture narrative in alcuni testi.

6.2.1 Le strutture narrative: verifica delle relazioni e del modello Per quanto riguarda la verifica delle relazioni fra le dimensioni strutturali delle narrazioni

(con riferimento al modello di Labov) ci siamo avvalsi delle potenzialità della funzione Query tool di ATLAS.ti.

La prima relazione riguarda la sequenza iniziale del percorso narrativo “Abstract Setting/Orientation”: secondo il modello di Labov (cfr. tab. I nel cap. 3), le due dimensioni strutturali comprendono rispettivamente una sezione opzionale che riassume i tratti salienti dell’evento e la descrizione delle informazioni di contesto (l’inquadramento all’interno del quale è collocata la scena narrata): attori, luoghi, situazione. La verifica di tale relazione implica che il ricercatore debba “testare”, attraverso il Query tool, diverse possibili relazioni strutturali.

Ad esempio, nella figura 46 abbiamo indicato la variazione dei risultati sulla relazione di precedenza (“precedes”) fra “Abstract” e “Setting/Orientation” (cioè: i temi riconducibili alla

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dimensione “Abstract” precedono quelle relative alla dimensione “Setting/Orientation”?)99 a seconda della distanza in linee di testo con cui si presentano nelle narrazioni. Fig. 46: Sequenza di verifica delle relazioni fra “Abstract” e “Setting/Orientation” per diverse distanze in linee di testo

La prima schermata della figura 46 mostra che ponendo fra i codici “Abstract” e

“Setting/Orientation” una sola riga di testo ATLAS.ti estrae 4 quotations evidenziate nella parte entro l’ovale (esse sono elencate anche nella parte in basso a destra nell’area dei risultati): in altri termini, si può dire che solo in 4 estratti narrativi Abstract precede Setting/Orientation.

Se cambiamo l’impostazione di default della distanza fino a 5 righe i risultati mostrano 5 quotations complessive; se portiamo a 10 le righe di testo (parte bassa della figura 46) le porzioni estratte diventano 11 ma è chiaro che, in termini concettuali, si tratta di una forzatura: non ci sembra possibile infatti considerare strutturalmente collegate due sequenze narrative che distano 10 righe di testo. Per questa ragione logica, abbiamo illustrato questa prima verifica in tutta la sua complessità, ma nelle pagine successive ci limiteremo a rappresentare in maniera più sintetica solo le evidenze che sono logicamente plausibili.

E infatti, proprio per gli stessi codici (“Abstract” e “Setting/Orientation”) sono possibili altre relazioni strutturali: una verifica completa comporta la necessità di mettere alla prova ogni eventuale relazione fra i codici indicati utilizzando tutti gli operatori di prossimità disponili in ATLAS.ti (che abbiamo descritto nella figura 13 nelle pagine precedenti).

Nel caso specifico, come mostra la tabella 4, è necessario confrontare il risultato di diverse operazioni di ricerca100.

99 In questa fase, tutte le possibili relazioni e le operazioni con Query tool sono condotte su tutte le interviste. 100 Per semplificare l’output dei risultati abbiamo riportato tutti i risultati in numero di quotations in un’unica tabella.

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Tab. 4: Sintesi delle possibili relazioni fra i codici “Abstract” e “Setting/Orientation” nell’intera HU

Dimensione strutturale_1 Operatore Dimensione

strutturale_2Risultato_1 quot./righe

Risultato_2 /righe di

testo

Risultato_3 /righe di

testo

ABSTRACT (32)101 precedes SETTING (48) 4 quotations /1 riga

5 quotations /5 righe

11 quotations /10 righe

ABSTRACT (32) follows SETTING (48) 1 quotation102

ABSTRACT (32) overlaps SETTING (48) 1 quotation

ABSTRACT (32) overlapped by SETTING (48) 15 quotations

ABSTRACT (32) within SETTING (48) 4 quotations

ABSTRACT (32) encloses SETTING (48) 1 quotations

L’esito di questa prima verifica delle relazioni fra i temi narrativi riconducibili

all’“Abstract” e quelli relativi al “Setting/Orientation” mostra che la relazione prevalente è quella in cui essi sono sovrapposti (“overlapping”): più esattamente, in 15 quotations (sulle 32 teoriche possibili)103 la dimensione della descrizione del contesto inizia durante la narrazione della sintesi dell’intero evento come è esemplificato nell’estratto n. 1 in cui viene narrato un omicidio:

Estratto n. 1 Domanda: Potrebbe raccontarmi il reato che ha commesso? Risposta: È successo che una settimana prima che succedesse ho pensato di farlo

e pensando alla fine della settimana ero molto deciso, poi mi sono posto il problema di come farlo. Ho pensato alla pistola ma poi ho avuto difficoltà nel reperirla, ho pensato al coltello, ma poi ho scartato anche questo, alla fine un cavo d'acciaio. Ho aspettato che mia madre tornasse dal lavoro e le ho messo il cavo intorno al collo e l'ho praticamente uccisa guardandola negli occhi e questa cosa ha fatto molto scalpore al processo, poi ho portato il corpo in un'altra stanza e ho aspettato che mio padre tornasse, mi sono seduto su una sedia all'ingresso, sì all'ingresso e ho aspettato, quando è entrato ho fatto la stessa cosa anche a lui. Poi ho spostato il corpo nella stessa stanza di prima e sono uscito e sono andato a farmi una pera. Sono tornato la mattina per occultare i corpi e ho abbassato i sedili della macchina e l'ho messi lì, si vedevano ma non mi vide nessuno.

In maniera analoga è stata testata la relazione strutturale fra la dimensione narrativa

“Setting/Orientation” e quella in cui viene descritto l’evento precipitante che ha condotto al

101 Il numero fra parentesi indica il numero complessivo di quotations relative a quello specifico codice. 102 Nel caso specifico (e nelle tabelle successive) tutte le relazioni strutturali oltre “precedes” non sono logicamente passibili di differenze in dipendenza dalla distanza in linee di testo fra i codici. 103 Il concetto di “quotation teoriche”, fa riferimento all’eventualità che tutte le citazioni del termine meno rappresentato (32 citazioni per il codice “Abstract”) possano essere tutte teoricamente in relazione a quelle del termine più rappresentato (Setting = 48). Nel caso specifico, il codice “Abstract” ha, nell’intera HU, 32 quotations delle quali 15 sono comuni con “Setting”.

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compimento del reato (“Complication”). La sintesi dei risultati, nei due sensi logicamente possibili (“Setting” “Complication” oppure “Complication” “Setting”), è riportata nelle tabelle 5 e 6104:

Tab. 5: Sintesi delle possibili relazioni “Setting/Orientation” “Complication” nell’intera HU

Dimensione

strutturale_1 Operatore Dimensione strutturale_2

Risultato_1 quot./righe

Risultato_2 /righe di testo

SETTING (48) precedes COMPLICATION (46)

6 quotations /1 riga

11 quotations /5 righe

SETTING (48) follows COMPLICATION (46)

3 quotations /1 riga

6 quotations /5 righe

SETTING (48) overlaps COMPLICATION (46) 1 quotation

SETTING (48) overlapped by

COMPLICATION (46) 6 quotations

SETTING (48) within COMPLICATION (46) 4 quotations

SETTING (48) encloses COMPLICATION (46) 8 quotations

Complessivamente i risultati sono di difficile interpretazione: l’elemento più certo è che in

nessun caso (zero quotations estratte) i codici riferibili all’evento critico (“Complication”) precedono quelli della descrizione del contesto (“Setting/Orientation”); in tutti i casi, l’intensità della relazione è molto bassa: 11 è il numero di quotations più alto che si ritrova “Complications” follow “Setting” con distanza di 5 righe che è speculare a “Setting” precedes “Complication” con distanza di 5 righe. In questi casi, tuttavia, la proporzione fra il numero di quotations estratte (11) e le quotations teoriche (46) non consente di interpretare il risultato come particolarmente interessante: è come se dicessimo che in soli 11 passaggi di tutte le narrazioni gli intervistati descrivono il contesto specifico in cui il reato ha avuto luogo prima di aver spiegato il perché l’hanno effettivamente messo in atto. È possibile dunque che le categorie narrative riferite alle due dimensioni siano sostanzialmente indipendenti e diffuse per tutta l’estensione delle interviste senza che sia possibile definire univocamente una relazione specifica.

Tab. 6: Sintesi delle possibili relazioni “Complication” “Setting/Orientation” nell’intera HU

Dimensione

strutturale_1 Operatore Dimensione strutturale_2

Risultato_1 quot./righe

Risultato_2 /righe di testo

COMPLICATION (46) precedes SETTING (48) 0 quotations

/1 riga 6 quotations

/5 righe

COMPLICATION (46) follows SETTING (48) 6 quotations

/1 riga 11 quotations

/5 righe

COMPLICATION (46) overlaps SETTING (48) 6 quotations

COMPLICATION (46) overlapped by SETTING (48) 1 quotation

104 D’ora in poi, tralasceremo di riportare i passaggi tecnici esemplificati dalle schermate di ATLAS.ti, ritenendo che sia ormai chiara al lettore la logica sottostante alle procedure eseguite.

113

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

COMPLICATION (46) within SETTING (48) 4 quotations

COMPLICATION (46) encloses SETTING (48) 8 quotations

Nel momento in cui entra nel gioco delle relazioni fra dimensioni narrative quella da cui il

modello di Labov prende il nome, l’Evaluation, i tentativi di scoprire la struttura intrinseca delle narrazioni sulle azioni devianti diventano più complessi, ma - allo stesso tempo - i risultati più evidenti.

Seguendo l’approccio esplorativo che abbiamo proposto nelle ultime pagine, infatti, è utile proseguire attraverso confronti fra le dimensioni a due a due. In questo modo, si può dedurre, dall’interpretazione degli esiti di ogni sequenza di confronti, una struttura comune in tutta l’HU.

La tabella 7 mostra i diversi pattern di co-occorrenze. La dimensione “Evaluation” risulta essere fortemente interrelata sia alla descrizione degli eventi critici (“Complication”) - senza tuttavia una netta prevalenza in termini di precedenza o sequenza - sia, in termini qualitativamente e quantitativamente ancora più importanti, con la definizione del contesto in cui l’azione ha avuto luogo (“Setting/Orientation”).

Tab. 7: Sintesi delle possibili relazioni fra “Evaluation” e le altre dimensioni strutturali nell’intera HU

Dimensione

strutturale_1 Operatore Dimensione strutturale_2

Risultato_1 quot./righe

Risultato_2 /righe di testo

COMPLICATION (46) precedes EVALUATION (83) 8 quotations / 1 riga

14 quotations / 5 righe

COMPLICATION (46) follows EVALUATION (83) 9 quotations / 1 riga

17 quotations / 5 righe

COMPLICATION (46) within EVALUATION (83) 4 quotations

COMPLICATION (46) encloses EVALUATION (83) 4 quotations

COMPLICATION (46) overlapped by EVALUATION (83) 8 quotations

COMPLICATION (46) overlaps EVALUATION (83) 5 quotations

EVALUATION (83) precedes COMPLICATION (46) 9 quotations / 1 riga

14 quotations / 5 righe

EVALUATION (83) follows COMPLICATION (46) 8 quotations / 1 riga

17 quotations / 5 righe

EVALUATION (83) within COMPLICATION (46) 5 quotations

EVALUATION (83) encloses COMPLICATION (46) 4 quotations

EVALUATION (83) overlapped by COMPLICATION (46) 5 quotations

EVALUATION (83) overlaps COMPLICATION (46) 8 quotations

EVALUATION (83) precedes ABSTRACT (32) 1 quotation / 1 riga

4 quotations / 5 righe

114

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

EVALUATION (83) follows ABSTRACT (32) 3 quotations / 1 riga

9 quotations / 5 righe

EVALUATION (83) within ABSTRACT (32) 1 quotation

EVALUATION (83) encloses ABSTRACT (32) 1 quotation

EVALUATION (83) overlapped by ABSTRACT (32) 0 quotations

EVALUATION (83) overlaps ABSTRACT (32) 2 quotations

SETTING (48) precedes EVALUATION (83) 11 quotations /1 riga

20 quotations /5 righe

SETTING (48) follows EVALUATION (83) 12 quotations /1 riga

16 quotations /5 righe

SETTING (48) overlaps EVALUATION (83) 4 quotations

SETTING (48) overlapped by EVALUATION (83) 13 quotations

SETTING (48) within EVALUATION (83) 1 quotation

SETTING (48) encloses EVALUATION (83) 5 quotations

EVALUATION (83) precedes SETTING (48) 12 quotations /1 riga

16 quotations /5 righe

EVALUATION (83) follows SETTING (48) 11 quotations /1 riga

21 quotations /5 righe

EVALUATION (83) overlaps SETTING (48) 13 quotations

EVALUATION (83) overlapped by SETTING (48) 4 quotations

EVALUATION (83) within SETTING (48) 6 quotation

EVALUATION (83) encloses SETTING (48) 1 quotation

In entrambi i casi (“Complication” overlapped by “Evaluation”, “Setting” overlapped by

“Evaluation” e – naturalmente - nelle relazioni a loro speculari), è evidente una forte co-occorrenza in termini di sovrapposizione: riteniamo questa evidenza particolarmente degna di nota e densa di implicazioni: il fatto che le dimensioni di valutazione vera e propria degli eventi siano così concatenati con gli altri temi strutturali e strutturanti delle narrazioni costituisce una implicita conferma dell’Evaluation model anche in contesti di costruzione narrativa non consueti per l’applicazione di tale modello quale quello del quale ci stiamo occupando.

In questo modo, viene confermata anche l’intuizione di Bruner (1990, trad. it. 1992, p. 117) secondo il quale «gli episodi narrativi che compongono la storia della vita hanno una struttura tipicamente laboviana».

A sostegno della bontà del modello, c’è l’evidenza che i risultati delle co-occorrenze fra “Evaluation” e “Abstract” non sono particolarmente significativi: molto bassa la quantità di estratti di testo che collegano le due dimensioni e, conseguentemente, altrettanto trascurabile la qualità di tali associazioni. A considerare questa parte dei risultati, la relazione è destinata a

115

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

essere trascurabile: tuttavia, come abbiamo avuto modo di verificare variando la distanza in righe di testo fra “Evaluation” e “Abstract”, è intuibile che all’interno delle stesse narrazioni (almeno di quelle più estese) una nuova sequenza narrativa inizi alla conclusione della precedente. Si tratta probabilmente di quelle sequenze narrative che abbiamo identificato come momenti di passaggio fra la fine di una narrativa principale e l’esordio di un’altra all’interno della stessa narrazione: all’interno di sequenze discorsive molto estese (come quelle che abbiamo analizzato), infatti, è stato possibile rilevare una “circolarità strutturale” per cui al termine della narrazione di un serie di eventi di per sé conclusi (chiaramente circoscrivibili nei confini di apertura e chiusura) la narrazione prosegue con una nuova sequenza a partire dalla dimensione strutturalmente deputata all’esordio di una nuova serie di eventi (l’Abstract). Una chiara esemplificazione di questo meccanismo di “circolarità strutturale” è presente nell’estratto n. 2:

Estratto n. 2:

Risposta: Nel frattempo ho fatto quello che ho potuto del mio... diciamo... secondo lavoro..., per

cui dalle 18 alle 22 (se va bene) faccio quello che devo fare: comprare e vendere eroina e cocaina. In realtà torno a casa verso le tre del mattino: ho solo corso... non ho tempo per me, lo scooter segna 70, 80, 100 km al giorno, con la macchina ne faccio altri 500 a settimana. Poi ci sono i problemi, clienti da trovare, merci da assaggiare... questo significa che torni alle 7 di notte: non ho mangiato, non ho avuto tempo per me, non ho avuto tempo per la persona a cui voglio bene, che mi ha preparato la cena, che sperava che tornassi alle 22... che ha più bisogno di me di quanto io ne ho di lei... dalle tre alle otto è il tempo per me e per lei... però sotto il mattone c'è qualche soldo in più. Tutto questo con l'idea di realizzare un sogno... Allora la situazione è la seguente... la famiglia nessun appoggio... a lei non piace... come non è piaciuta a nessuna ragazza. Lo stipendio migliore offertomi sono 1000 euro al mese, appena sufficienti per camparci... per cui razionalmente non ho fatto altro che continuare sulla strada che mi è stata indicata chiaramente dai tanti colloqui fatti, o dalle tante possibilità offertemi... il sogno è prendere lei è andare a Srinagar, nel Kashmir (fra Cina, Afghanistan e India): tre-quattro secoli fa gli Inglesi passavano dal Kashmir per andare in India... gli abitanti del luogo permisero loro di passare ma non di costruire nulla sulla terra: gli Inglesi, furbissimi, costruirono le case sull'acqua, le boohouse; portare lì lei, la bambina (o maschietto) che deve nascere... e stare lì tranquillo... con l'affitto dell'appartamento di Roma... stare lì in quel posto lontano. E' un posto così buono dove il reato più grave che succede è il furto con destrezza.

Domanda: ...sogno? Risposta: obiettivo. poi piano piano...

Nell’esempio riportato è assente il codice “Result” che, nel modello di Labov, identifica il

tema narrativo relativo alla risoluzione dell’evento problematico. Si tratta di un’evidenza abbastanza condivisa nell’intero corpus dei testi che abbiamo analizzato: nonostante il codice “Result” si presenti complessivamente 21 volte, si tratta di sequenze narrative che non hanno particolari forme di relazione con gli altri codici. La tabella 8 mostra le specifiche co-occorrenze strutturali fra “Result” e “Evaluation”: dal punto di vista logico, la narrazione della risoluzione dell’evento dovrebbe seguire una sua messa in discussione e valutazione ma nella realtà dei testi che abbiamo analizzato non è affatto così.

La ragione di questo risultato che può apparire insolito (cioè, che le sequenze di eventi narrati non abbiano una sezione specificamente dedicata alla conclusione, alla narrazione

116

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

della risoluzione dell’evento) è spiegabile, a nostro avviso, valorizzando il contesto di elicitazione delle narrazioni: tutte le interviste sono state condotte in carcere: questa definizione di contesto è probabilmente sufficiente a “illustrare” l’esito (chiaramente negativo) dell’evento narrato.

Tab. 8: Sintesi delle possibili relazioni fra “Result” e “Evaluation” nell’intera HU

Dimensione

strutturale_1 Operatore Dimensione strutturale_2

Risultato_1 quot./righe

Risultato_2 /righe di testo

RESULT (21) precedes EVALUATION (83) 4 quotations /1 riga

9 quotations /5 righe

RESULT (21) follows EVALUATION (83) 4 quotations /1 riga

8 quotations /5 righe

RESULT (21) overlaps EVALUATION (83) 3 quotations

RESULT (21) overlapped by EVALUATION (83) 0 quotations

RESULT (21) within EVALUATION (83) 0 quotations

RESULT (21) encloses EVALUATION (83) 1 quotations

É come se - raccontando storie di reati - la costruzione narrativa fosse articolata in tutte le

sue parti tranne che nella sezione conclusiva, quella che in qualunque storia servirebbe al narratore per chiarire al lettore/ascoltatore i reali termini della risoluzione degli eventi. In altre parole, il contesto favorirebbe un’implicita e condivisa attribuzione di significati alla storia narrata (il reato) come un evento che ha avuto un esito negativo: l’arresto. L’ammissione del fallimento dell’azione, da una parte, e l’ovvietà della situazione (l’intervista si svolge in carcere), dall’altra, rende superfluo introdurre il tema narrativo della risoluzione dell’evento: esso è già evidente e di facile interpretazione.

L’ultimo elemento strutturale di cui dobbiamo parlare è la “Coda”: si tratta del codice (opzionale) che costituisce la parte finale di una sezione narrativa.

Anche la “Coda”, come il “Result”, ha un’incidenza tutto sommato bassa: 40 quotations delle quali pochissime sono co-occorrenti con altri codici di dimensioni strutturali. Nella tabella 9 abbiamo riportato i risultati che il Query tool ha fornito sulla co-occorrenza generica105 (il tasto della funzione è l’ultimo in basso a sinistra nella figura 13) fra “Coda” e tutti gli altri codici strutturali:

Tab. 9: Sintesi delle co-occorrenze fra “Coda” e gli altri operatori di prossimità

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strutturale_1 Operatore Dimensione strutturale_2

Risultato_1 quot./righe

Risultato_2 /righe di testo

CODA (40) cooccur EVALUATION (83) 11 quotations

CODA (40) cooccur SETTING (48) 3 quotations

CODA (40) cooccur COMPLICATION (46) 1 quotation

105 La funzione di co-occorrenza generica nel Query tool di ATLAS..ti include contemporaneamente quattro operatori di prossimità (“within”, “encloses”, “overlaps”, “overlapped by”): il suo utilizzo quindi rappresenta la ricerca di un’eventuale associazione strutturale fra codici senza la pretesa di identificarne esattamente la natura.

117

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CODA (40) cooccur ABSTRACT (32) 1 quotation

CODA (40) cooccur RESULT (21) 1 quotation

Nell’estratto n. 2, citato in precedenza, la parte “per cui razionalmente non ho fatto altro

che…” è una “Coda” nel senso che chiude - un po’ come una morale della favola - una sequenza narrativa riassumendone implicitamente o esplicitamente le caratteristiche principali (nell’esempio si tratta di una sequenza conclusiva a forte connotazione ironica). Immediatamente dopo inizia un’ulteriore argomentazione orientata a illustrare un aspetto che era stato accennato in precedenza (il tema narrativo del “sogno”, dell’ideale di vita successiva all’uscita dal carcere): comincia direttamente da una dimensione di descrizione di un contesto storico, ma questo viene subito contestualizzato nel presente (il posto ideale dove sarebbe bello essere ora) e nel futuro (il posto ideale dove sarà bello andare dopo la carcerazione). La funzione narrativa della “Coda” è, in questo caso, quella di dare il via a una nuova sequenza narrativa.

Il modello desumibile dai risultati appena illustrati è rappresentato nella figura 47106:

Fig. 47: Modello strutturale dell’HU 6.3 Le relazioni specifiche per categorie di reati e per anni di esperienza In questo paragrafo, a partire dai risultati introduttivi delineati in precedenza, proveremo a

trarre delle conclusioni per quanto riguarda l’associazione in pattern strutturali e di contenuto condivisi fra due differenti categorie in cui abbiamo raggruppato i rispondenti alle interviste.

Nell’operare una prima categorizzazione ci siamo basati sul tipo di reato commesso. Tutte le interviste-PD sono state inserite in PD-families (cfr. § 5.2). Come mostra la figura 12 (nelle pagine precedenti) il risultato di questa operazione è il seguente:

- omicidi: - rapine e furti - reati legati alla droga - truffa e ricettazione. Il secondo gruppo di documenti primari è dato dagli anni di esperienza. Per operare questa

categorizzazione ci siamo basati sulla distinzione fatta da Roger Matthews (2002) e della quale abbiamo parlato nel § 5.2 (in questo capitolo): l’Autore distingue 3 categorie107:

- i dilettanti (o novizi), 106 Le relazioni fra i nodi della Network view sono impostate per mezzo del Relation editor di ATLAS.ti: la relazione “associated but not closely” è definita dall’utente; la relazione “is part of” è fornita di default dal programma e qui utilizzata per rappresentare l’evidenza di sovrapposizione del codice fonte verso il codice destinazione. 107 È necessario precisare che l’Autore si riferisce, in particolare, all’esperienza dei rapinatori a mano armata: egli arriva a definire la categorizzazione dalle risposte che i partecipanti ai suoi progetti di ricerca danno a una serie di interviste qualitative.

118

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

- gli intermedi, - i professionisti (o esperti). Tecnicamente, questa distinzione è stata operazionalizzata facendo riferimento alle risposte

fornite dagli intervisti alle domande nn. 38-39 poste alla fine dell’intervista narrativa (Appendice B): più esattamente, gli intervistati sono stati collocati nelle famiglie di documenti primari in base ai criteri:

- “nessuna detenzione precedente” o “una detenzione precedente”: dilettante - “due” o “tre detenzioni precedenti”: intermedio - “più di tre detenzioni precedenti”: esperto. Leggendo le trascrizioni delle interviste è tuttavia evidente che alcuni rispondenti, pur

essendo alla prima detenzione, hanno un ampio trascorso di devianza: in questi casi, con riferimento alla domanda n. 7 della traccia di intervista sulla carriera deviante (“Ricorda il primo reato?”), abbiamo rilevato l’effettiva esperienza di permanenza nel circuito della criminalità. In generale, come mostra la finestra 13, nella categoria “esperti” fanno parte soprattutto i rapinatori (9/13), gli “intermedi” sono suddivisi fra tutte le categorie di reato, i “novizi” sono per 6/8 colpevoli di omicidio.

Finestra 13: Suddivisione delle interviste narrative per anni di esperienza dell’autore del reato

Da questo risultato descrittivo, si potrebbe dedurre che i due principali criteri di

differenziazione degli intervistati (“esperienza sul campo” e “reato commesso”) siano tendenzialmente sovrapponibili: in verità non è così in quanto il reato per cui viene scontata l’attuale detenzione non è in tutti i casi l’unico reato commesso108: per questa ragione, l’esperienza di devianza è talvolta più vasta e, soprattutto, più varia di quanto appare seguendo il criterio nominale dell’imputazione attuale.

Primary Doc Families ______________________________________________________________________ Primary Doc Family: Esperti Created: 18/10/04 20.43.51 (Super) Primary Docs (13): [P 1: 3Reb - rapine_furti.txt] [P 4: 10Reb - ricettazione.txt] [P10: 21Reb - rapina.txt] [P13: 25Reb - rapina.txt] [P15: 27Reb - rapina.txt] [P18: 32Reb - rapina_tentato_omic.txt] [P19: 2.1furto-MB-azione.carriere.txt] [P25: 2.7detenzione e spaccio-RP-carriere.txt] [P26: 4.1rapine-GD-azione.txt] [P27: 4.2rapine-RB-carriere.txt] [P28: 4.3spaccio.stupef.-ME-carriere.txt] [P30: 5.1rapina-VS-azione.carriere.txt] [P31: 5.2rapina-ED-carriere.txt] Quotation(s): 641 ______________________________________________________________________ Primary Doc Family: Intermedi Created: 18/10/04 20.43.12 (Super) Primary Docs (13): [P 2: 5Reb - rapina_omicidio.txt] [P 7: 16Reb - omicidio.txt] [P 9: 20Reb - omicidio.txt] [P12: 24Reb - traffico_droga.txt] [P16: 30Reb - detenzione_stupefacenti.txt] [P20: 2.2furto-SR-azione.carriere.txt] [P21: 2.3rapina-MS-azione.carriere.txt] [P22: 2.4rapina-LT-azione.carriere.txt] [P23: 2.5spaccio.stupef.-TD-carriere.txt] [P24: 2.6spaccio.stupef.-RP-carriere.txt] [P29: 4.4traffico.stupef.-DM-azione.carriere.txt] [P33: 6.2rapina-CM-carriera.azione.txt] [P34: 6.3rapina-MI-carriera.azione.txt] Quotation(s): 682 ______________________________________________________________________ Primary Doc Family: Novizi Created: 18/10/04 20.43.22 (Super) Primary Docs (8): [P 3: 7Reb - rapina.txt] [P 5: 13Reb - omicidio.txt] [P 6: 14Reb - omicidio.txt] [P 8: 19Reb - omicidio.txt] [P11: 23Reb - omicidio.txt] [P14: 26Reb - omicidio.txt] [P17: 31Reb - parricidio.txt] [P32: 6.1furto-AC-azione.txt] Quotation(s): 324

108 A questo riguardo è particolarmente informativa la domanda n. 40 (Appendice B).

119

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Rispetto agli obiettivi della ricerca, la verifica dell’esistenza di eventuali costruzioni narrative specifiche differenziate per tipi di reati commessi, abbiamo proceduto nel modo descritto di seguito:

- sono stati impostati separatamente i filtri per ciascuna PD-family alla volta (per il fattore esperienza: “esperti” / “intermedi” / “novizi”; per il fattore reato: “rapine e furti” / “omicidio” / “reati legati alla droga” / “truffa e ricettazione”)109;

- sono stati richiesti ad ATLAS.ti le tabelle di output sulle frequenze di incrocio fra codici e documenti primari mediante la funzione “Code Output Code-Primary Documents-Table Standard report”110.

La tabella 10 mostra il risultato dell’operazione rispetto ai reati legati alla droga (detenzione, traffico e spaccio). Essa illustra, in riga, i fattori che risultano quantitativamente più salienti per lo specifico gruppo di interviste e, in colonna, tutte le interviste che ne fanno parte (le nn. 12, 16, 23, 24, 25, 28)111. In ciascuna cella è presente il numero di quotations estratte per ciascun incrocio “tema x intervista”.

Tab. 10: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Reati legati alla droga” -------------------- Codes-Primary-Documents-Table -------------------- Code-Filter: All PD-Filter: Primary Doc Family reati legati alla droga -------------------------------------------------------------------- PRIMARY DOCS CODES 12 16 23 24 25 28 Tot. -------------------------------------------------------------------- ABSTRACT 0 0 1 3 4 1 9 SETTING/ORIENTATION 0 0 3 3 4 2 12 COMPLICATION 0 0 2 5 3 0 10 EVALUATION 0 0 6 3 5 4 18 CODA 0 0 2 2 1 1 6 colpevolizzazione delle istituzioni 2 0 0 0 1 3 6 Pos.morale112: deresponsabilizzazione 0 0 1 2 2 0 5 preoccupazione per la famiglia 2 1 0 3 0 0 6 --------------------------------------------------------------------

Da una prima valutazione preliminare, è evidente come gli intervistati nn. 12 e 16 siano

quelli che rappresentano meno la categoria in quanto portatori di pochi temi narrativi (fra quelli considerati salienti per tutta la family); il codice più rappresentato è quello relativo alla componente valutativa del modello strutturale (“Evaluation”) con 18 quotations.

Complessivamente, le narrazioni degli imputati per detenzione, spaccio o traffico di stupefacenti comprendono quasi tutti i temi narrativi relativi al modello strutturale (tranne “Result”)113. Per quanto riguarda i contenuti specifici, i temi narrativi salienti in queste narrazioni sono quelli - concettualmente e logicamente speculari - relativi alla deresponsabilizzazione dell’attore rispetto all’azione e della colpevolizzazione delle istituzioni. Coerentemente con i responsabili di altri reati (come vedremo), manifestano una

109 Il percorso in A5 è “Documents Filter All Families” 110 Non si farà riferimento ai risultati relativi alla PD-family “truffa e ricettazione”, includendo questa un solo documento primario (una sola intervista). 111 Nella redazione del layout grafico della tabella ci siamo attenuti fedelmente all’output fornito da A5 con due eccezioni: (a) sono state eliminate alcune righe descrittive dell’HU all’inizio della tabella, (b) sono stati mantenuti nella tabella solo i codici con un numero di quotations estratte pari o superiore a 5. Nella tabella 10 sono presenti quindi 8 codici. 112 Con l’abbreviazione si intende, da adesso in poi, “Posizionamento nell’ordine morale”. 113 Probabilmente per le ragioni descritte in precedenza sull’evidenza dell’esito dell’azione.

120

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

preoccupazione per le sorti della famiglia che rimane fuori dal carcere durante la loro detenzione.

Le narrazioni degli intervistati accusati di omicidio mostrano delle differenze rispetto al gruppo precedente (tabella 11): in primo luogo, sono presenti 20 codici (sempre con un numero di quotations pari o superiore a 5); per quanto riguarda le dimensioni strutturali, tuttavia, le narrazioni ne comprendono solo tre (“Abstract”, “Complication”, “Evaluation”) e - a fronte di un numero maggiore di interviste - con un’incidenza decisamente più bassa rispetto a quanto illustrato nella tabella 10. Tab. 11: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Omicidi” -------------------- Codes-Primary-Documents-Table -------------------- Code-Filter: All PD-Filter: Primary Doc Family omicidi ----------------------------------------------------------------

PRIMARY DOCS CODES 2 5 6 7 8 9 11 13 14 17 Totals ---------------------------------------------------------------- ABSTRACT 3 0 0 1 0 0 0 0 0 1 5 COMPLICATION 3 0 0 1 0 0 0 0 0 1 5 EVALUATION 5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 5 aggressività reattiva 0 0 0 1 0 0 3 1 2 0 7 ambivalenza/dissonanza 1 3 2 0 1 0 3 2 0 0 12 attribuzione all'ambiente 2 1 1 0 3 2 0 0 1 0 10 carcere come riflessione 2 2 0 1 4 2 3 3 3 5 25 descrizione comportamenti 2 1 0 1 0 0 1 0 1 1 7 perdita degli affetti 1 0 0 0 1 1 2 1 1 0 7 funz. maturativa carcere 0 1 0 0 3 2 0 0 0 0 6 reato come incid. critico 0 2 2 0 2 0 1 0 0 0 7 immaturità causa reato 1 1 0 0 6 2 1 0 0 0 11 inevitabilità percorso 0 0 2 1 1 1 0 1 1 0 7 movente strument. carriera 1 1 0 0 1 2 0 0 0 0 5 omicidio non pianificato 0 0 1 2 1 0 3 0 1 0 8 preoccupazione famiglia 0 0 3 0 0 2 0 0 0 0 5 reazione non violenta f.o. 0 1 1 1 0 0 0 0 1 1 5 reazione posit.persone care 0 0 1 0 1 0 1 0 1 1 5 ricordi 1 0 1 0 0 1 1 1 0 0 5 vita felice e serena114 1 0 1 1 0 0 0 2 2 0 7 ----------------------------------------------------------------

L’assenza della dimensione “Setting/Orientation” (ricordiamo che si tratta di una minore

salienza rispetto agli altri temi, non di un’assenza vera e propria) ha probabilmente il significato di una poca attenzione alla descrizione degli aspetti di contesto in cui l’azione si è svolta: per gli intervistati che rappresentano questo reato è importante specificare quale evento precipitante ha condotto all’omicidio ed esprimenere una loro valutazione (come vedremo puntando l’attenzione sugli altri codici presenti nella tabella 11).

Più specificamente, il tema narrativo che prevale è quello della funzione maturativa e responsabilizzante della detenzione (“carcere come riflessione”): si tratta di un codice che include - per il gruppo di intervistati colpevoli di omicidio - 25 estratti narrativi (a fronte dei 50 complessivi per tutta l’HU).

Altre informazioni significative arrivano dai codici “ambivalenza/dissonanza” (12 porzioni di testo riferite) e “immaturità causa reato” (11) e “attribuzione all’ambiente” (10). Si tratta di 114 Si intende prima della commissione del reato.

121

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

tre temi narrativi molto presenti anche nel resto dell’HU, ma che in questo contesto assumono un significato peculiare: tutti e tre sono inquadrabili nella componente valutativa della narrazione ed esprimono, da una parte, una difficoltà a valutare oggettivamente la situazione che ha portato al reato e, dall’altra, una tendenza attributiva diretta all’esterno (nei termini generici dell’ambiente) ma anche parzialmente verso l’interno (il tema dell’immaturità che ha preceduto e causato il reato).

In 8 casi, si fa riferimento alla mancanza di pianificazione dell’azione-omicidio. Come sarà descritto a proposito delle rapine, il tema della pianificazione è una delle principali differenze fra la costruzione narrativa degli omicidi e quella delle rapine.

Un altro tema che ci sembra utile sottolineare è quello della “perdita degli affetti” (7 quotations): gli intervistati che parlano di omicidi enfatizzano il fatto di aver perso i contatti dalle persone care. Anche in questo caso di tratta di una differenza sostanziale rispetto alla costruzione narrativa delle rapine. Come mostra la tabella 12, infatti, la “reazione positiva dei cari” (8 quotations) è uno dei temi narrativi prevalenti.

Tab. 12: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Rapine e furti”

-------------------- Codes-Primary-Documents-Table -------------------- Code-Filter: All PD-Filter: Primary Doc Family rapine e furti ---------------------------------------------------------------------------

PRIMARY DOCS CODES 1 2 3 10 13 15 18 21 22 26 27 30 31 32 33 34 Tot. --------------------------------------------------------------------------- ABSTRACT 1 3 0 0 0 0 0 2 2 1 2 1 2 0 1 1 16 COMPLICATION 3 3 1 0 0 0 0 3 7 1 4 2 2 0 2 4 32 EVALUATION 8 5 1 0 0 0 0 2 11 4 6 4 3 0 4 4 52 RESULT 1 1 1 0 0 0 0 1 3 0 1 2 1 0 1 3 15 SETTING/ORIENTATION 4 2 0 0 0 0 0 2 5 4 1 2 1 0 2 2 25 CODA 1 2 0 0 0 0 0 3 6 2 4 3 2 0 2 1 26 adrenalina/sensazioni 0 0 0 2 0 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 0 5 aggressività reattiva 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 2 5 ammissione colpevol. 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 0 1 1 1 0 5 anticipaz. imprevisti 0 0 0 0 0 0 0 0 1 3 1 1 0 0 0 1 7 attribuz. all’ambiente 2 2 4 1 0 0 0 3 0 0 0 1 0 0 0 2 15 attrib. alla droga 0 0 0 2 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 1 1 6 attrib.alla famiglia 0 0 1 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 1 5 autoeffic./orgoglio 5 1 0 0 0 0 0 2 3 0 0 4 1 0 0 0 16 carcere = riflessione 1 2 1 4 3 3 4 1 3 1 0 0 0 0 1 0 24 colpevol. istituzioni 0 0 1 0 0 1 0 0 0 1 4 0 2 0 0 0 9 deresponsabilizzazione 0 0 1 0 0 0 0 2 2 1 2 0 0 0 0 0 8 descrizione comport. 0 2 0 1 0 0 0 0 0 4 0 3 0 0 1 1 12 eff.relazione/azione 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 2 0 1 0 5 eff.relazione/carr. 2 1 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 0 6 eff.Sè:soddisfazione 1 1 1 0 0 0 0 0 0 4 2 2 3 0 0 0 14 effetti cambiamento 0 1 1 0 0 0 1 0 0 1 2 0 1 1 0 0 8 immaturità come causa 1 1 1 0 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 1 6 inevitabilità devianza 2 0 2 0 1 1 0 2 0 0 2 1 0 0 1 2 14 mancanza di una guida 0 0 0 2 0 1 0 1 0 0 1 2 1 0 0 0 8 mov.strument.carriere 0 1 0 1 0 0 2 0 3 0 3 2 3 0 1 0 16 mov.strumentale reato 3 0 1 2 0 2 1 2 1 0 1 0 1 0 2 1 17 no pianificazione 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0 5 non fare male a vittim 0 0 0 0 0 0 0 0 1 3 2 2 0 0 0 2 10 non più reati 0 0 0 0 0 0 0 0 3 1 0 0 0 1 1 1 7 pianificaz. rigorosa 2 1 0 2 1 0 1 2 2 1 0 2 0 0 0 1 15 Pos.: maturazione 1 2 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 5 Pos.: necessità 1 0 0 0 0 0 0 1 3 0 2 0 0 0 0 1 8 Pos.:"professionista” 0 0 0 0 0 0 0 1 3 1 0 0 0 0 0 0 5 Pos.:autocolpevolizzaz.0 0 0 0 0 0 0 0 2 2 2 0 0 0 1 1 8

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preoccupaz. x famiglia 0 0 0 0 0 2 0 0 3 1 1 0 0 0 0 0 7 reato pensato da altri 1 0 1 0 0 2 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 5 reazione positiva cari 1 0 0 1 0 2 0 1 2 0 1 0 0 0 0 0 8 ricaduta in devianza 1 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 5 rifiuto della violenza 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 2 0 0 0 0 5 tossicodipend. causa 0 0 0 1 0 0 0 1 3 0 2 0 0 0 0 0 7 vita felice e serena 0 1 0 0 2 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 6 ---------------------------------------------------------------------------

Non è possibile, a partire dalle informazioni a disposizione, rilevare una salienza narrativa

dei temi relativi agli effetti comunicativi dell’azione deviante: l’ipotesi che le azioni violente, gli omicidi più efferati, abbiamo un movente prevalentemente di tipo espressivo-comunicativo (secondo il modello che abbiamo descritto nel cap. 1 § 2.1 e in De Leo e coll., 2004; De Leo e Patrizi, 1999; De Leo e Patrizi, 2002) non può essere valutata in questo contesto specifico. Si tratta probabilmente di una implicazione teorico-empirica che va approfondita in ricerche successive e che tuttavia ha mostrato una sua validità soprattutto in riferimento agli omicidi violenti con carattere di serialità (come se, in altre parole, la funzione espressiva delle azioni dei serial killer fosse data anche dal filo conduttore sottostante alle catene di reati: cfr. a riguardo, De Leo e coll., 2004; Canter e Alison, 1999; Picozzi e Zappalà, 2002).

Per quanto riguarda le dimensioni strutturali, le narrazioni rilasciate dagli intervistati-rapinatori sono complete di tutte le dimensioni fondanti il modello di Labov, incluso il fattore “Result” (che mancava nelle due PD-families precedenti).

Per la spiegazione di questo fenomeno è necessario far riferimento alla natura del reato: i rapinatori che abbiamo intervistato, a differenza degli autori di omicidi, raccontano, nella maggior parte dei casi, diversi episodi che hanno avuto esito “positivo” (es., la conquista di un bottino, la fuga dal luogo del reato). Per questa ragione, si può ritenere che nella narrazione di una rapina l’autore del reato (narratore) tenga a enfatizzare l’esito dell’azione da lui commessa (quindi, a inserire nella narrazione elementi strutturalmente riconducibili a “Result”). Questa possibile interpretazione è coerente con un altro risultato presente nella tabella 12: il codice “autoefficacia/orgoglio” (significativo della valutazione “positiva” che l’attore fa dell’azione e dei suoi effetti per sé115) copre (solo per il gruppo dei rapinatori) 16 porzioni di testo. Si tratta di una dimensione narrativa che implica una caratterizzazione dell’azione come giusta (rispetto a un contesto di ingiustizie subite) e una tendenza motivata alla soddisfazione del Sé.

Fra gli altri risultati che vale la pena di sottolineare, va evidenziato il fatto che in 24 passaggi narrativi l’esperienza detentiva viene vissuta come fonte di riflessione e di maturazione116: la permanenza in carcere è, per il soggetto, occasione per ripensare al cambiamento atteso dalle istituzioni e dalla società, un anello del percorso di reinserimento (Di Cara, Gervasoni e Steiner, 1990). Questa evidenza è ancora più rilevante se valutata in comparazione ai codici che esprimono una assunzione diretta di responsabilità: “ammissione di colpevolezza” (5 quotations) e il relativo posizionamento discorsivo (“Pos.: autocolpevolizzazione: 8 quotations).

Anche i rapinatori mantengono una tendenziale attribuzione esterna per la causazione della azione deviante, ma l’intero percorso narrativo configura - più che uno stile narrativo consolidato che un’attribuzione causale vera e propria: in altri termini, la strategia discorsiva di imputare all’ambiente (talvolta generico, altre volte identificato chiaramente nelle istituzioni: “colpevolizzazione delle istituzioni” = 9 quotations) può essere intesa come una soluzione orientata prima di tutto a preservare una positiva immagine del Sé, soprattutto in considerazione del fatto che il movente principale del reato e dell’intero percorso di carriera viene indicato nelle ragioni strumentali (rispettivamente in 17 e 16 passaggi narrativi

115 Il codice “effetti diretti verso il Sé: soddisfazione” comprende 14 porzioni di testo. 116 Anche in termini del posizionamento discorsivo il codice relativo “Pos.: maturazione” ha un peso relativo di 5 quotations solo questa gruppo di intervistati.

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distribuiti in maniera omogenea in tutta la PD-families); a ulteriore conferma di questo pattern di associazioni è utile sottolineare che il codice “deresponsabilizzazione” comprende 8 quotations e quello “reato pensato da altri” (implicante un coinvolgimento successivo) ne conta 5.

Lo stato di tossicodipendenza, inoltre, è considerato una delle cause della commissione dei reati (“tossicodipendenza causa”: 7 quotations): molti intervistati precisano di essere costretti a commettere le reati per ragioni economiche (“Pos.: necessità”: 8 quotations) e sottolineano l’inevitabilità dei rimanere coinvolti nei circuiti della devianza (“inevitabilità devianza”: 14 quotations; “ricaduta in devianza”: 5 quotations). A supportare ulteriormente l’interpretazione della rapina come scelta funzionale a motivazioni economiche c’è la seguente evidenza: alcuni codici hanno un diretto riferimento all’assenza di ragioni e all’aspirazione a terminare il percorso di carriera deviante (“non fare male alle vittime”: 10 quotations; “rifiuto della violenza”: 5 quotations; “no più reati”: 7 quotations).

Infine, la pianificazione dell’azione (il principale fra gli aspetti cognitivi codificati nelle interviste) risulta presente nelle narrazioni delle rapine in misura decisamente maggiore che in tutti gli altri reati. Si tratta di azioni che necessitano di un’accurata e rigorosa previsione dei tempi e dei luoghi, delle vie di fuga e dei possibili ostacoli. Solo 5 estratti narrativi fanno riferimento alla totale assenza di pianificazione (codice “no pianificazione”) ma a un’analisi più approfondita si vede che tutte sono presenti nelle narrazioni di solo 4 intervistati.

Fin qui la descrizione di quanto emerso dall’analisi della salienza rispetto ai tipi di reati specifici.

Ci sembra utile a questo punto spendere qualche parola sui risultati rilevati rispetto alle dimensioni strutturali e comparativamente fra reati diversi. Ciò che le tabelle 10, 11 e 12 mettono chiaramente in evidenza è che le dimensioni che caratterizzano una narrazione strutturalmente completa sono tutte presenti nei racconti delle rapine e dei furti (tabella 12) e lo sono progressivamente meno per i reati legati alla droga (tabella 10) e per gli omicidi (tabella 11).

Questa evidenza può far supporre che gli eventi che, in qualche modo, hanno una maggiore valenza di storia (in termini di interesse per chi ascolta, di narrabilità complessiva) sono quelli che rappresentano una prototipicità e una salienza nel senso comune (si pensi ai modi consolidati, ai canovacci, con cui vengono descritte le rapine nella filmografia d’azione): è come se nella narrazione di questo tipo di eventi l’attore-narratore fosse facilitato dal condividere con chi ascolta un “modello tipico” di come si svolge un evento-rapina, di quali ne sono le fasi principali e le tappe salienti.

Nella narrazione degli omicidi, invece, le dimensioni strutturali prevalenti sono “Abstract”, “Complication” e “Evaluation”: manca in questi casi una completezza narrativa (che sarebbe rappresentata dalle altre tre dimensioni). La possibile interpretazione ci sembra la seguente: gli omicidi sono azioni accomunate da minore prototipicità (ad esempio, rispetto ai moventi oppure alle fasi costitutive) e da una presenza quantitativamente inferiore anche per le dimensioni comuni (come è evidente leggendo le colonne dei totali): l’attore-narratore può condividere con chi ascolta che ci sia stato un evento precipitante (una causa scatenante) per la commissione del reato, ma è difficile che tutti gli omicidi siano legati da un filo conduttore comune, da una trama che li rende narrabili come storie (cosa che invece è possibile con le rapine).

Analogamente, si possono proporre indicazioni preliminari per quanto riguarda la

costruzione narrativa dell’azione rispetto all’esperienza nel settore della devianza. La tabella 13 mostra le associazioni per la famiglia di documenti primari “Novizi” e i codici con un numero di quotations superiori a 5.

La prima cosa che notiamo è la completa assenza delle dimensioni relative al modello strutturale. Si tratta di una informazione sorprendente e interessante: sorprende perché (come vedremo anche a proposito delle prossime categorie) alcune delle dimensioni strutturali sono

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sempre presenti; ma è un’informazione che desta l’interesse del ricercatore in psicologia sociale interessato ai processi di comunicazione, allo sviluppo dell’identità e di identificazione in un gruppo: l’interesse è specificamente legato a ciò che l’assenza di dimensioni strutturali nelle narrazioni può rappresentare in una prospettiva di studio sulla socializzazione al divenire devianti e sull’apprendimento progressivo delle tecniche di costruzione discorsiva del reato. In altre parole, stiamo proponendo un punto di vista secondo il quale anche le modalità utilizzate per rendere conto - in un contesto colloquiale (non investigativo) - dell’azione commessa possono essere apprese nel percorso evolutivo dell’individuo, nel corso dello sviluppo di una “carriera deviante”.

Tab. 13: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Novizi” -------------------- Codes-Primary-Documents-Table -------------------- Code-Filter: All PD-Filter: Primary Doc Family Novizi --------------------------------------------------------------------

PRIMARY DOCS CODES 3 5 6 8 11 14 17 32 Totals -------------------------------------------------------------------- aggressività reattiva 0 0 0 0 3 2 0 0 5 ambivalenza/dissonanza 0 3 2 1 3 0 0 1 10 attribuzione all'ambiente 4 1 1 3 0 1 0 0 10 carcere come riflessione 1 2 0 4 3 3 5 0 18 il reato come incidente critico 0 2 2 2 1 0 0 0 7 immaturità/ignoranza precedenti 1 1 0 6 1 0 0 0 9 inevitabilità del percorso 2 0 2 1 0 1 0 0 6 omicidio non pianificato 0 0 1 1 3 1 0 0 6 reazione positiva famiglia 0 0 1 1 1 1 1 0 5 --------------------------------------------------------------------

È bene sottolineare che è difficile immaginare tale risultato come conseguente alla quantità

di interviste: i documenti primari da cui si evince tale risultato sono otto (cfr. tabella 13) e, in precedenza, abbiamo visto come una iniziale descrizione della costruzione narrativa dei reati legati alla droga sia stata possibile facendo riferimento a sole sei interviste (cfr. tabella 10).

Per quanto riguarda gli altri temi narrativi, si nota che tutti i codici (9 in totale) sono inclusi anche nella tabella 11 (quella della costruzione narrativa relativa agli omicidi): questa evidenza non deve sorprendere dal momento che (come abbiamo detto in apertura di questo paragrafo) nel gruppo di partecipanti a questa ricerca la categoria dei novizi è prevalentemente costituita da individui colpevoli di omicidio.

Nelle tredici interviste narrative rilasciate da individui con esperienza di permanenza nel circuito della devianza compresa fra due e tre detenzioni precedenti le configurazioni narrative sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle ottenute per i reati che prevalentemente compongono le PD-families: “rapine e furti” e “traffico e spaccio di stupefacenti”. A conferma di questa sovrapposizione, si può evidenziare che il tema narrativo più rappresentato è quello del “movente strumentale del reato” (17 quotations estratte).

Anche in questi casi prevale una tendenza all’attribuzione esterna (10 quotations), con particolare riferimento alla “colpevolizzazione delle istituzioni” (12 quotations).e alla “deresponsabilizzazione” (8).

Coerentemente con la narrazione ideltipica dei rapinatori sono salienti i temi di “autoefficacia/orgoglio” per il successo delle azioni commesse, la descrizione dettagliata dello svolgimento (sequenze e fasi) del reato (cfr. Teoria dell’azione, § 2.1 nel cap. 1) e degli aspetti cognitivi (“pianificazione accurata”: 9 quotations).

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Tab. 14: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Intermedi”

-------------------- Codes-Primary-Documents-Table -------------------- Code-Filter: All PD-Filter: Primary Doc Family Intermedi --------------------------------------------------------------------------- PRIMARY DOCS CODES 2 7 9 12 16 20 21 22 23 24 29 33 34 Totals --------------------------------------------------------------------------- ABSTRACT 3 1 0 0 0 1 2 2 1 3 1 1 1 16 COMPLICATION 3 1 0 0 0 0 3 7 2 5 1 2 4 28 EVALUATION 5 0 0 0 0 2 2 11 6 3 2 4 4 39 RESULT 1 1 0 0 0 0 1 3 1 0 1 1 3 12 SETTING/ORIENTATION 2 1 0 0 0 3 2 5 3 3 1 2 2 24 CODA 2 1 0 0 0 0 3 6 2 2 1 2 1 20 aggressività reattiva 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 2 5 arresto 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 2 6 colpevolizzazione istituzioni 0 0 0 0 0 5 1 1 4 1 0 0 0 12 attribuzione all’ambiente 2 0 2 0 0 0 3 0 1 0 0 0 2 10 autoefficacia/orgoglio 1 1 1 0 0 0 2 3 0 0 2 0 0 10 carcere come riflessione 2 1 2 1 1 0 1 3 0 0 0 1 0 12 descrizione comportamenti 2 1 0 1 0 2 0 0 0 0 0 1 1 8 distacco dalla famiglia 1 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1 0 5 immaturità come causa 1 0 2 0 0 2 0 1 0 0 1 0 1 8 inevitabilità del percorso 0 1 1 0 0 1 2 0 1 0 1 1 2 10 ironia sulle aggravanti 0 0 0 0 0 3 0 0 0 0 0 1 1 5 movente strumentale reato 0 0 0 2 0 5 2 1 0 0 4 2 1 17 movente strumentale carriera 1 0 2 0 0 1 0 3 0 0 0 1 0 8 pianificazione accurata 1 0 2 0 0 1 2 2 0 0 0 0 1 9 pianificazione: nessuna 1 1 0 0 0 3 0 0 0 0 0 1 0 6 Pos.:autocolpevolizzazione 0 0 0 0 0 0 0 2 1 1 0 1 1 6 Pos.: necessità 0 0 0 0 0 5 1 3 0 0 1 0 1 11 Pos.:deresponsabilizzazione 0 1 0 0 0 0 2 2 1 2 0 0 0 8 precedenti per piccoli reati 1 0 1 1 0 1 2 0 0 0 1 0 0 7 preoccupazione per famiglia 0 0 2 1 0 0 0 3 0 0 0 0 0 6 reazione positiva dei cari 0 0 0 1 1 0 1 2 0 0 0 0 0 5 ricaduta nella devianza 1 0 2 0 0 0 0 0 2 1 0 0 1 7 vita felice e serena 1 1 0 2 2 0 1 0 0 0 0 0 1 8 ---------------------------------------------------------------------------

In analogia con lo stile narrativo degli spacciatori è evidenziato lo stile attribuzionale

esterno. Per quanto riguarda la presenza delle dimensioni strutturali, possiamo dire che la tabella 14

mostra una configurazione sostanzialmente sovrapponile a quella descritta come esemplificativa di tutta l’unità ermeneutica (ad esempio, è analoga l’enfasi data alla dimensione valutativa e la minore salienza rilevabile per la dimensione “Result”).

In ultimo, ci occupiamo della costruzione narrativa dell’azione deviante per gli “esperti”. Come abbiamo descritto parlando della costituzione delle PD-families, gli intervistati esperti, in questa ricerca, sono in prevalenza rapinatori con più di tre esperienze detentive (complessivamente si tratta di 13 interviste). Tutte le dimensioni strutturali previste dal modello di Labov sono presenti nelle loro narrazioni e, rimanendo costante la proporzione n° di quotations totali/n° di quotations specifiche per questa PD-family, è ragionevole supporre che anche il modello di concatenazione strutturale sottostante sia sostanzialmente confermato117 (vedi figura 47 nelle pagine precedenti). 117 La frequenza totale di ciascuna dimensione strutturale per questa famiglia di documenti primari è circa il 47-52% della frequenza complessiva in tutta l’unità ermeneutica, a eccezione di “Complication”. La spiegazione di questa differenza è la

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Per quanto riguarda gli altri risultati relativi a questa famiglia, è evidente che la maggior parte dei codici rilevati sono analogamente rappresentati anche nella categoria “rapine e furti” (tabella 12). In particolare, la costruzione dei contenuti narrativi dell’azione deviante secondo gli esperti verte sui seguenti temi principali:

(a) il movente delle azioni è per lo più strumentale (12 quotations per il reato e 14 per la costruzione narrativa dell’intero percorso di carriera); le motivazioni implicite (quelli che in precedenza abbiamo chiamato effetti espressivo-comunicativi) sono presenti nei termini di una tensione al cambiamento (“effetti cambiamento”: 7 quotations118) e come forma di ridefinizione o conferma della propria identità (“effetti Sé”: 5 quotations).

(b) il percorso di permanenza nel circuito della devianza è pressoché inevitabile (12 quotations), soprattutto in giovane età (quando la “mancanza di una guida” indirizza verso una modalità alternativa di perseguimento degli obiettivi e prevale uno “spirito di ribellione” nei confronti delle forme di controllo sociale anche a causa di uno stile educativo rigido e autocratico);

(c) coerentemente con il profilo narrativo dei rapinatori, gli “esperti” manifestano apertamente un senso di autoefficacia e di orgoglio per il successo delle proprie azioni (13 quotations) pur attribuendone la causa prevalentemente all’esterno (ambiente: 8 quotations) e, in particolare, alle istituzioni (12);

(d) alcuni intervistati tengono in considerazione gli eventuali imprevisti (“anticipazione degli imprevisti”: 5 quotations);

Tab. 15: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Esperti” -------------------- Codes-Primary-Documents-Table -------------------- Code-Filter: All PD-Filter: Primary Doc Family Esperti ----------------------------------------------------------------------- PRIMARY DOCS CODES 1 4 10 13 15 18 19 25 26 27 28 30 31 Tot. -----------------------------------------------------------------------ABSTRACT 1 2 0 0 0 0 1 4 1 2 1 1 2 15 SETTING/ORIENTATION 4 3 0 0 0 0 2 4 4 1 2 2 1 23 COMPLICATION 3 0 0 0 0 0 1 3 1 4 0 2 2 16 EVALUATION 8 2 0 0 0 0 7 5 4 6 4 4 3 43 RESULT 1 0 0 0 0 0 1 2 0 1 0 2 1 8 CODA 1 0 0 0 0 0 5 1 2 4 1 3 2 19 anticipazione imprevisto 0 0 0 0 0 0 0 0 3 1 0 1 0 5 attribuzione all’ambiente 2 2 1 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0 8 autoefficacia/orgoglio 5 1 0 0 0 0 1 0 0 0 1 4 1 13 carcere come riflessione 1 1 4 3 3 4 3 0 1 0 0 0 0 20 colpevolizzaz. istituzioni 0 0 0 0 1 0 0 1 1 4 3 0 2 12 condanna dei giudici 0 0 0 0 0 0 1 0 0 3 0 1 0 5 consapevolezza errori 0 0 2 0 0 0 1 1 0 0 0 1 0 5 descrizione comportamenti 0 1 1 0 0 0 0 0 4 0 0 3 0 9 disciplina dura 2 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 5 effetti cambiam. Carriera 0 0 0 0 0 1 0 0 1 2 2 0 1 7 effetti Sè: identità 1 0 0 0 0 0 0 1 2 0 0 1 0 5 inevitabilità del percorso 2 1 0 1 1 0 2 1 0 2 1 1 0 12 mancanza di una guida 0 1 2 0 1 0 0 1 0 1 0 2 1 9

seguente: come mostra la tabella 12 (code family “rapine e furti”), l’elevata incidenza della dimensione “Complication” (32 quotations complessive) è dovuta anche al fatto che nell’intervista n. 22 essa è presente ben 7 volte, ma la stessa intervista - nelle fasi successive - è stata inserita nella categoria degli intervistati con esperienza intermedia, tabella 14 (non negli “esperti” che infatti mostrano un peso relativo minore per questa dimensione). 118 L’effetto di cambiamento nel percorso di carriera è esemplificabile nei termini descritti nell’estratto n. 2 nelle pagine precedenti.

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movente strumentale reato 3 2 2 0 2 1 0 0 0 1 0 0 1 12 movente strument. carriera 0 0 1 0 0 2 0 2 0 3 1 2 3 14 pianificazione accurata 2 0 2 1 0 1 0 0 1 0 0 2 0 9 Pos.:autocolpevolizzazione 0 3 0 0 0 0 0 1 2 2 0 0 0 8 Pos.:deresponsabilizzazione 0 0 0 0 0 0 2 2 1 2 0 0 0 7 Pos.: no male vittime 2 0 0 0 0 0 0 0 3 2 0 2 0 9 Pos.:spirito di ribellione 1 0 0 0 0 0 0 0 2 0 0 1 1 5 reazione positiva dei cari 1 0 1 0 2 0 0 0 0 1 1 0 0 6 rifiuto della violenza 0 1 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2 0 5 scelte 0 0 1 0 0 0 2 1 1 0 0 0 0 5 tossicodipend. come causa 0 0 1 0 0 0 0 1 0 2 1 0 0 5 -----------------------------------------------------------------------

In generale, per quanto riguarda le strutture narrative, è necessario evidenziare che nelle narrazioni dei “novizi” non è possibile rilevare alcuna traccia di struttura narrativa condivisa fra gli intervistati. In termini di processi di comunicazione e di sviluppo dell’identità l’interesse è specificamente legato a ciò che l’assenza di dimensioni strutturali nelle narrazioni può rappresentare. Sono possibili a nostro avviso almeno due interpretazioni:

(a) la prima chiama in causa la possibile funzione retorica dell’assenza di una struttura narrativa. Come ha evidenziato E. Goffman (1961) nei suoi studi sugli internati nelle istituzioni totali, talune costruzioni narrative specifiche assolvono alla funzione retorica di suscitare la pietà dell’interlocutore: «la posizione di debolezza […] crea un’atmosfera di fallimento personale in cui viene costantemente riproposta la propria caduta in disgrazia. Come reazione l’internato tende a costruirsi una storia, un precedente, una triste biografia - una sorta di lamentazione e di apologia - da raccontare continuamente ai compagni per giustificare in qualche modo lo stato di degradazione in cui si trova» (Goffman, 1961, trad. it. 1968, pp. 93-94); la costruzione narrativa del disagio psicologico ha dunque, secondo l’Autore, una strutturazione tipica e riconoscibile che consiste in un appiattimento tematico, o (che poi sarebbe l’altra faccia della medaglia) nell’assenza di una narrazione strutturalmente complessa. Questa possibile interpretazione, tuttavia, se da una parte consente di spiegare le narrazioni prodotte dai “novizi”, dall’altra non risulta coerente con la lettura dei pattern comunicativi degli “intermedi” e soprattutto dei “professionisti”;

(b) la seconda spiegazione, che consente di includere tutti i testi, fa riferimento a una socializzazione al divenire devianti e all’apprendimento progressivo delle tecniche di costruzione discorsiva del reato. Infatti, le narrazioni degli “intermedi” e soprattutto quelle dei “professionisti” includono tutte le dimensioni e ricalcano il modello strutturale generale sotteso a tutte le narrazioni. Questa evidenza supporta la conclusione che le modalità utilizzate per rendere conto - in un contesto colloquiale (non investigativo) - dell’azione commessa possono essere apprese nel percorso evolutivo dell’individuo, nel corso dello sviluppo di una “carriera deviante”.

Diversi elementi danno fondamento all’interpretazione fornita riguardo alla “socializzazione narrativa” e all’apprendimento progressivo delle soluzioni per rendere conto, giustificare o, semplicemente, raccontare in maniera coerente e plausibile una serie di eventi soggettivamente salienti e normativamente riconducibili a un percorso di devianza.

Per quanto riguarda le strategie retorico-argomentative nella costruzione narrativa, è interessante notare come le codifiche effettuate sulle interviste di “esperti” abbiano condotto a una maggiore quantità di temi narrativi salienti (rispetto agli “intermedi” e, soprattutto, ai “novizi”) e a una articolazione più complessa in termini di attribuzioni di responsabilità e di tecniche di neutralizzazione delle norme. Questa evidenza - insieme alla non secondaria rilevanza attribuibile alla completezza e coerenza complessiva delle dimensioni strutturali - conferma l’interpretazione fornita riguardo alla “socializzazione narrativa”.

Naturalmente non pretendiamo di avere illustrato risultati conclusivi: come tutte le tecniche innovative di ricerca anche l’analisi proposta necessita di perfezionamenti nell’impostazione metodologica e riapplicazioni a quantità maggiori di testi. Tuttavia, a

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

partire dai dati illustrati in questa sede, è possibile sostenere che l’ipotesi di pattern narrativi consolidati (di sequenze di temi contenutisticamente rilevanti) ha un fondamento nelle narrazioni prodotte dai partecipanti all’indagine.

Per quanto riguarda le strutture narrative, allo stesso modo, è possibile rilevare interessanti risultati densi di implicazioni teoriche e pratiche: viene confermata, anche per quanto riguarda le narrazioni prodotte in un contesto di istituzione totale (con tutti i limiti che la comunicazione intesa come processo sociale può avere all’interno di un carcere119) la bontà delle considerazioni e delle teorie proposte nell’ambito delle recenti correnti di cui abbiamo parlato nel cap. 2 (§ 2): è stata rilevata la possibilità di operazionalizzare, anche rispetto alle narrazioni di reati e con le tecniche descritte, i modelli psicologico-narrativi su cui la letteratura internazionale ha puntato l’attenzione a partire dagli anni ’80 (Mancuso e Sarbin, 1983; Robinson e Hawpe, 1986; Sarbin, 1986b): secondo tali modelli gli esseri umani elaborano cognitivamente le loro azioni seguendo una struttura culturale condivisa (un modello narrativo consolidato).

I modelli sulla costruzione delle storie (Bruner, 1991; 2002; Smorti, 1997), della trama intrinseca in qualunque produzione narrativa trova in questa ricerca una ulteriore solida conferma empirica con particolare riferimento alle intenzioni comunicative (retoriche, discorsive) del narratore (Biancheria e Cavicchioli, 1998; Melucci, 2001).

La descrizione narrativa della realtà può essere dunque considerata un prodotto della cultura locale nei contesti della devianza (nei termini della socializzazione narrativa descritta in precedenza) e della influenza dei modelli narrativi consolidati a un più elevato livello di astrazione. Come ha infatti scritto Bruner (2002, p. 74) «gli atti narrativi diretti a creare il Sé sono tipicamente guidati da modelli culturali taciti e impliciti di ciò che esso dovrebbe e potrebbe essere e naturalmente di ciò che non deve essere». In tal senso, tutte le evidenza descritte nelle pagine precedenti supportano la tesi di una cultura della narrazione condivisa.

6.4 Studiare i contenuti attraverso le strutture o viceversa? Fino a questo punto la descrizione e l’interpretazione dei principali risultati emersi

dall’analisi di contenuti e delle strutture narrative. Come si ricorderà, tuttavia, nel cap. 3 § 3 abbiamo fatto riferimento alla proposta di Rosenthal (1993) per un’analisi integrata dei contenuti e delle strutture narrative. La Thematic Field Analysis (come è stata chiamata questa proposta teorico-metodologica) ha l’obiettivo di arricchire l’analisi dei contenuti e delle strutture narrative valorizzando le interazioni reciproche. Un’analisi complessiva delle strutture (l’organizzazione gerarchica e temporale delle narrazioni) e dei contenuti (organizzazione tematica) consente al ricercatore di estrarre dai testi un’informazione più ricca e articolata.

Si tratterebbe, in altre parole, di analizzare i contenuti interni alle strutture narrative (ad ogni singola dimensione strutturale) di modo che i primi siano interconnessi fra loro attraverso la configurazione logica empiricamente verificabile (come abbiamo dimostrato nel paragrafo precedente) delle seconde. I criteri orientativi di base per l’esplorazione di tali connessioni sono ovviamente la salienza e la pertinenza delle reti semantico-strutturali ipotizzate: ad esempio, ricercare le dimensioni emotive successive al compimento del reato (contenuto) nelle sezioni in cui l’attore parla degli eventi critici è illogico dal punto di vista delle ipotesi da sottoporre a verifica ma lo è ancora di più se pensiamo al come quotidianamente - ordinariamente - si sviluppa l’azione umana (e cioè che le emozioni successive seguono l’azione deviante e gli incidenti critici solo logicamente precedenti).

Il ricercatore è chiamato quindi, in questo caso, a fare una lettura delle informazioni disponibili a un duplice livello: (a) quello della esplorazione dei risultati già ottenuti nelle due diverse sezioni (contenuti/strutture) alla ricerca delle ricorrenze e delle ridondanze

119 Si vedano a questo riguardo Serra (1997; 2002).

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trasversalmente all’intera base empirica; (b) quello della formulazione di ipotesi ulteriori (logiche e plausibili) sulle connessioni fra i temi narrativi. Per questo secondo livello (ma la possibilità di implementarlo in maniera efficace dipende dall’esito e dalla bontà delle operazioni concettuali a quello precedente), il ricercatore si sta muovendo nell’ottica della Thematic Field Analysis.

Nella ricerca presentata in queste pagine, l’applicazione della tecnica proposta da Rosenthal (1993) ha presentato elementi di interesse, ma anche di problemi tecnici che abbiamo tentato di risolvere secondo le soluzioni che verranno descritte nelle prossime pagine. Va detto che i punti di partenza sono i risultati ottenuti separatamente rispetto all’analisi dei contenuti narrativi e delle strutture. Essi sono stati elaborati - secondo le modalità descritte in questo capitolo - operando di due differenti unità ermeneutiche in ATLAS.ti: in ciascuna di esse le interviste narrative sono state codificate separatamente con riferimento agli obiettivi di conoscenza rispetto ai contenuti, nella prima, e sulle strutture (il modello di Labov), nella seconda.

Alla fine delle due differenti operazioni di codifica (naturalmente dopo aver messo a punto l’elenco definito dei codici, delle famiglie di codici e di documenti primari), le HU sono state unite attraverso la funzione “Merge HU” di ATLAS.ti120. Il report dell’operazione di unificazione è riportato in appendice F.

Ma cosa significa esattamente unificare due unità ermeneutiche per ricercare le connessioni fra temi/contenuti narrativi attraverso le dimensioni strutturali? Si osservi la figura 48: in essa sono esemplificate due differenti operazioni di codifica su uno stesso corpus di testi; il ricercatore assegna separatamente i codici relativi ai contenuti (codici A e B) e quelli relativi alle strutture (dimensioni strutturali A1 e B1). Fig. 48: Esemplificazione della funzione di unificazione di due unità ermeneutiche

Quando si unificheranno le due unità ermeneutiche i codici e le dimensioni non verranno

unificati ma risulteranno appaiati in modo che se il ricercatore ha rilevato una relazione di precedenza fra le dimensioni a livello strutturale (nell’esempio la dimensione A precede la dimensione B) questa relazione sarà applicabile anche ai codici ad esse associati (nell’esempio i codici A e B sono associati alla dimensione strutturale A e saranno in relazione di precedenza strutturale con i codici C, D, etc.).

120 La funzione di unione delle unità ermeneutica è stata implementata in ATLAS.ti con l’obiettivo di facilitare il confronto e la collaborazione fra codificatori diversi che lavorano sulla stessa base empirica o su due sub-unità di uno stesso corpus di informazioni. Essa consiste tecnicamente nell’aggiungere un’intera unità ermeneutica all’altra “sommando” ciò che esse hanno di diverso (es.: alcuni codici) e unificando ciò che è comune (es.: i documenti primari). L’unione di due unità ermeneutiche è un’operazione particolarmente delicata perché la scelta della strategia di unificazione deve essere ben ponderata per non rischiare di perdere interamente una delle due unità. Per ulteriori dettagli sulla funzione di unificazione dell’unità ermeneutiche rinviamo a Muhr (2004) e a De Gregorio e Mosiello (2004).

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Nella ricerca qui presentata, tutti i codici della “HU dei contenuti” sono stati appaiati a quelli della “HU delle strutture” al fine di verificare le associazione dei primi attraverso le seconde. Tale operazione è logicamente possibile perché - come abbiamo descritto nel § 6.2.1 - le dimensioni strutturali presenti in tutte le interviste narrative sono concatenate in maniera da definire un modello che è “condiviso” in tutta l’HU (figura 47 nelle pagine precedenti).

I codici presi in esame sono quelli rappresentativi dell’intero set di interviste. Per ciascuno di essi sono state testate diverse combinazioni con le dimensioni strutturali (figura 49) secondo criteri di plausibilità e di logica delle connessioni121. Per la verifica di tali relazioni è stato utilizzato il Query tool, in particolare con due degli operatori di prossimità (“encloses” e “overlapped by”) secondo le modalità già descritte nel paragrafo precedente:

Il risultato dell’insieme di prove sulle co-occorrenze fra le dimensioni strutturali (indicate sulla sinistra della figura 49) e i contenuti (alcuni dei quali sono indicati, anche raggruppati per aree, sulla destra) confermano che la costruzione narrativa dei contenuti ha un’articolazione interna a tutta l’HU che rispecchia quella delle dimensioni strutturali.

Più specificamente, è possibile delineare un percorso in cui progressivamente si passa dalla definizione del contesto spazio-temporale dell’evento criminoso (unico codice di contenuto con co-occorrenze significative per la dimensione strutturale “Setting/Orientation”), con particolare riferimento alla dimensione del “posizionamento discorsivo nell’ordine spaziale e temporale” (Harré e van Langenhove, 1999) alla descrizione degli “antecedenti storici” (sia con coinvolgimento familiare che relativi al contesto più ampio) e degli “eventi critici” che hanno condizionato la probabilità di mettere in atto condotte devianti (co-occorrenti a “Complication”). Fig. 49: Esemplificazione dei sistemi di co-occorrenze messi alla prova per la Thematic Field Analysis

La valutazione di tali eventi ha l’implicazione - sempre narrativamente circostanziata - di

indurre l’attore a una scelta intenzionale (temi e contenuti relativi ai contenuti dell’ “agency”,

Abstract

Setting

Complication

Evaluation

Posizionamenti del Sé nell’ordine morale (versante negativo)

obiettivi successivi alla carcerazione

effetti espressivo-comunicativi dell’azione

movente strumentale

neutralizzazione

temi relativi agli antecedenti dissonanza cognitiva

collocazioni spazio-temporali funzione responsabilizzante

della carcerazione

attribuzione esterna di responsabilità

Posizionamenti degli altri nell’ordine morale

(versante negativo/positivo)

attribuzione interna di responsabilità

temi del disimpegno

morale

autostima

vittimizzazione

overlapped by

encloses

Coda

aspetti emotivi dell’azione

eventi critici

agency

obiettivi successivi alla detenzione

Posizionamento del Sé

nell’ordine morale atteggiamenti anti-istituzionali

121 È stata esclusa la dimensione “Result” poiché - come argomentato in precedenza - non aveva una salienza significativa né connessioni con le altre dimensioni strutturali.

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all’autoefficacia e della “attribuzione interna di responsabilità”) di produrre proprio quel comportamento. In particolare, merita un approfondimento la rete di relazioni che è possibile rilevare fra la dimensione valutativa (“Evaluation”) e le articolazioni degli effetti espressivi dell’azione deviante (De Leo e Patrizi, 1992; 1999): il Query tool ha infatti estratto 19 quotations (su 26 comuni teoriche) specifiche per gli effetti rivolti verso il Sé e 9 (su 20 comuni teoriche) per quanto riguarda gli effetti comunicativi orientati al cambiamento e alle relazioni. Nessun risultato particolarmente significativo si è avuto per quanto riguarda gli effetti riferiti al controllo sociale (formale e/o informale).

La consapevolezza di tale scelta viene però meno quando l’attore passa alla valutazione del percorso d’azione nei termini delle implicazioni morali: in tal senso, nelle narrazioni si associano i temi della “neutralizzazione della norma” e del “disimpegno morale”, della “attribuzione esterna” (a una fonte identificata e a una fonte generica), della “dissonanza/ambivalenza” e della deresponsabilizzazione. La dimensione “Evaluation” mostra robuste co-occorrenze con il “posizionamento degli altri nell’ordine morale sul versante negativo”.

Le sezioni conclusive delle narrazioni (“Coda”) includono quasi esclusivamente i contenuti relativi alla “funzione responsabilizzante della detenzione”, agli obiettivi di uscita dal circuito della devianza (“non commettere più reati”) e degli “aspetti emotivi concomitanti o successivi alla commissione del reato”.

Quello appena descritto è il percorso logico che consente di studiare le connessioni fra i temi narrativi attraverso le dimensioni strutturali. Non possiamo tuttavia trascurare che la stessa identificazione di ciascuna dimensione strutturale è fondata su una preliminare ed essenziale analisi del contenuto, sebbene questa venga effettuata a un livello assolutamente iniziale, esplorativo: per identificare cosa è “Abstract” o cosa è “Complication”, infatti, è necessario leggere e interpretare (in senso stretto, possiamo dire che si deve “analizzare”) il contenuto delle formulazioni verbali. In questo senso, l’analisi del contenuto precede quella strutturale la quale (in una fase successiva) supporta un perfezionamento della prima. Nelle pagine precedenti abbiamo provato a descrivere un percorso di analisi di tipo interpretativo di questo tipo: come è evidente, risulta difficile sostenere il primato di una tecnica sull’altra. Né è possibile ritenere strutture e contenuti come settori empiricamente e analiticamente distanti o inconciliabili. Piuttosto, attraverso l’applicazione della Thematic Field Analysis, è stato possibile mostrare che un’accurata analisi qualitativa di contenuti e strutture non può prescindere dall’integrazione continua fra i due, da un continuo scambio o - per dirla con i termini di Strauss e Corbin (1990) - da un processo di ricerca e di analisi progressivo, iterativo, ricorsivo.

Come esemplificazione dell’intero percorso di analisi (contenuti e strutture) la fig. 50 riporta un’intera intervista (la storia di un giovane rapinatore) con tutti i codici associati così come visualizzata su ATLAS.ti: in essa è possibile cogliere il senso delle analisi compiute e - in associazione con i codici - il percorso metodologico e concettuale seguito122.

122 Purtroppo, per motivi grafici, alcuni codici nella parte destra della Margin area non sono visibili.

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Fig. 50: Testo e codifica di una narrazione

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7. I criteri di validità e attendibilità nella ricerca qualitativa «Il modo più semplice con cui la ricerca qualitativa può essere definita è in termini di

differenza: è la ricerca che non fa uso di numeri»: così si esprime Clive Seale (1999, p. 119) in un testo intitolato The Quality of Qualitative Research nel quale traccia una completa ed efficace descrizione su come si debbano intendere i criteri di “validità” e “affidabilità” in tale contesto. Se la citazione appena riportata è infatti il modo più semplice, tuttavia è anche il più riduttivo in quanto - come l’Autore dimostra ampiamente - esistono strategie di ricerca che prevedono un uso misto di quantificazione e interpretazione. La stessa ricerca che abbiamo presentato nelle pagine precedenti fa ampiamente uso della quantificazione, ma le tabelle che abbiamo riportato nel corso dell’ultimo capitolo illustrano le co-occorrenze fra codici/temi narrativi nei testi di riferimento: si tratta, in altri termini, dell’esito (sono tabelle di output) del processo di codifica operato dal ricercatore, una sintesi graficamente compatta e concisa di un lavoro tutto interpretativo compiuto dal ricercatore. E questi output, a loro volta, sono stati discussi, contestualizzati e rielaborati in una successiva fase interpretativa che ha costituito in definitiva il resoconto vero e proprio dei risultati. La quantificazione, da questo punto di vista,

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è un necessario passaggio tecnico fra due momenti esclusivamente demandati ai processi cognitivi del ricercatore e della sua equipe, dipendenti dall’interazione costruttiva fra testo da analizzare e contesto in cui l’analisi si svolge. La “frequenza” dei codici dipende da quanto e come il codificatore ha interpretato i testi di base e questa interpretazione a sua volta viene utilizzata per costruire ulteriori percorsi interpretativi.

Il dato numerico non è centrale, non è il punto di arrivo in un percorso di ricerca di tipo qualitativo, ma è spesso una conditio sine qua non per una adeguata rendicontazione ed esposizione dei risultati e delle fasi della ricerca (si vedano, ad esempio, le scelte che sono state effettuate dopo la codifica e in sede di discussione delle tabelle “codici x documenti primari”).

Dunque l’uso dei numeri, se da un lato può essere utile per impostare disegni di analisi più complessi e statisticamente evoluti, dall’altra può anche servire al ricercatore qualitativo per perfezionare la presentazione e la gestione delle informazioni fondanti la propria ricerca.

D’altra parte, la componente interpretativa del ricercatore è presente anche nelle tecniche di analisi cosiddette “forti” come spiegano Fielding e Fielding (1986, p. 12)123:

alla fine tutte le tecniche di raccolta dei dati sono analizzate “qualitativamente”, in quanto l’atto di analisi è un’interpretazione e perciò necessariamente un’azione selettiva. Sia che i dati raccolti siano quantificabili o qualitativi, si deve affrontare la questione di quale garanzia abbiamo della correttezza delle loro inferenze.

Più specificamente, la letteratura sulla ricerca qualitativa indica chiaramente come si

dovrebbe intendere la qualità degli studi. Ne ripercorriamo brevemente le fasi. Sebbene la ricerca qualitativa sia sempre stata definita in antitesi (opposizione, talvolta

vero e proprio contrasto) con quella quantitativa, è stato sostenuto (Seale, 1999; Kruglanski e Jost, 2000) che i due approcci stiano reciprocamente in termini di continuità (storica, logica e metodologica). Kruglanski e Jost (2000), nel corso di un’ampia e circostanziata rassegna storico-critica sui rapporti fra costruzionismo sociale e psicologia sociale sperimentale, hanno sostenuto che «viene da chiedersi […] se la divisione abbia mai avuto ragione d’esistere» (p. 53)124.

E più avanti, dopo aver descritto le connessioni su alcune questioni epistemologiche, gli Autori scrivono che

Gli sperimentalisti sanno che si possono avanzare molteplici ipotesi (o costrutti) alternative per spiegare la maggior parte dei risultati empirici, che tali risultati sono essi stessi “carichi di teoria” e che la nostra selezione della spiegazione più convincente procede per tentativi ed è soggetta a potenziali revisioni. Anche se la maggior parte degli sperimentalisti (e probabilmente molti della controparte costruzionista) crede che ci sia un mondo lì fuori, la possibilità di rappresentarlo fedelmente è ritenuto un ideale regolatore piuttosto che un obiettivo conseguibile (Popper, 1959). Si potrebbe quindi affermare che i costruzionisti sociali enfatizzano la generazione di “variazioni” ideative, mentre gli sperimentalisti si concentrano sui criteri di “selezione”, ma entrambi gli schieramenti incorporano i punti di vista dell’altro (ibidem, p. 58).

Da questo punto di vista le implicazioni in termini di qualità vanno riviste,

contestualizzate; va abbandonata l’idea che solo la ricerca quantitativa soddisfi i criteri di validità “scientifica” (Seale, 1999; Silverman, 1993).

Lo stesso David Silverman, noto studioso dell’epistemologia della ricerca qualitativa, in una pubblicazione del 1993, cade nella tentazione di definire i criteri di validità e affidabilità di questa per differenza dagli approcci psicometrici: è una tentazione che - sebbene didatticamente utile e chiarificatrice - tuttavia continua a veicolare un’immagine della ricerca qualitativa come concettualmente, metodologicamente e tecnicamente dipendente da quella

123 La traduzione della citazione, inclusi i corsivi, è tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing Qualitative Research. 124 In termini analoghi, con specifico riferimento al metodo dei focus group, si è recentemente espressa Zammuner (2003, p. 29): «I metodi qualitativi e quelli quantitativi vengono spesso contrapposti l’un l’altro, ma tale contrapposizione è di fatto priva di significato».

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quantitativa. Ci sono invece fondate ragioni per ritenere che essa abbia una sua specificità epistemologica rispetto alla quale è utile interrogarsi anche con riferimento alla qualità.

Silverman (2000) riprende le definizioni di Hammersley (1992) che descrivono i concetti di validità e attendibilità riferiti alla ricerca qualitativa:

Con validità intendo verità: interpretata come il grado di accuratezza con cui un resoconto rappresenta i fenomeni sociali cui si riferisce (Hammersley, 1992, p. 57). L’attendibilità si riferisce al grado di coerenza con cui i casi sono assegnati alla stessa categoria da osservatori diversi o dallo stesso osservatore in occasioni diverse (Hammersley, 1992, p. 57) 125.

Come specifica efficacemente l’Autore, talvolta i dubbi sulla validità della ricerca

qualitativa sono dovuti a un problema esclusivamente legato all’accounting degli studi: succede infatti che, a causa di cattive abitudini o per i limiti si spazio spesso imposti ai resoconti di ricerca, vengano trascurati aspetti fondamentali che rischiano di inficiare la valutazione della qualità delle ricerche. Il primo fattore che può causare una valutazione negativa è l’aneddottismo, cioè il fatto che il ricercatore scelga di riferire come esemplificazioni a sostegno delle sue tesi solo alcuni casi, quelli che ne danno una più evidente (più chiara) dimostrazione.

Constatati questi problemi, più teorici ed epistemologici che tecnici, l’Autore propone una

rassegna su alcune prassi che consentono di ottenere risultati più validi. Ne proponiamo una breve sintesi:

il principio della confutazione: si rifà “realismo critico” di Popper (1959) e può essere descritto come il metodo della ricerca attiva di casi che possono non confermare l’ipotesi: «ciò che caratterizza il metodo empirico è il suo modo di esporre alla falsificazione, in ogni maniera possibile, il sistema che deve essere verificato» (Kirk e Miller, 1986, p. 42);

la tecnica della comparazione continua: consiste nella formulazione e nel tentativo di verifica di piccole ipotesi provvisorie in un percorso induttivo che arriva fino a quelle più generali; la tecnica, «poiché implica un avanti e indietro continuo fra le diverse parti dei dati, richiede qualcosa di più grande. A un certo punto tutte le parti dei dati dovranno essere esaminate e analizzate. Questo è un aspetto di ciò che s’intende per trattamento globale dei dati» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 255);

il trattamento globale dei dati: a differenza della ricerca quantitativa (in cui i risultati sono ottenuti su campioni selezionati da una popolazione generale), in quella qualitativa «lavorando con una base di dati più piccola ed esposta ad un continuo riesame, non dovreste essere soddisfatti finché la generalizzazione non si applica a ogni singola parte dei dati che avete raccolto. Il risultato è una generalizzazione altrettanto valida di una correlazione statistica» (ibidem);

l’analisi dei casi devianti126: «la tecnica parte con una piccola quantità di dati. Si produce uno schema analitico provvisorio. Poi si confronta lo schema con altri dati e se necessario si apportano modifiche allo schema. Lo schema analitico provvisorio va confrontato costantemente con i casi “negativi” o “discrepanti” finché il ricercatore non ha ottenuto un piccolo insieme di regole ricorrenti che incorporano tutti i dati sotto esame» (Mehan, 1979, p. 21)127. L’implementazione di tale tecnica richiede tuttavia una solida base teorica rispetto alla quale valutare “cosa è deviante e cosa non lo è e per quali ragioni”;

125 Entrambe le definizioni sono citate in Silverman (2000, trad. it. 2002, p. 249). 126 Clive Seale (1999) si riferisce a questa strategia nei termini (che ci sembrano particolarmente chiarificatori) di “accounting for contraddiction” (cfr. cap. 6). 127 La traduzione della citazione è tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing Qualitative Research.

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l’uso di quantificazioni128: si tratta dell’argomento con cui abbiamo aperto questo paragrafo. Come abbiamo indicato, la quantificazione di per sé stessa non è “pro” né “contro” la ricerca qualitativa: dipende dall’uso che se ne fa. «Non c’è ragione per cui i ricercatori qualitativi non debbano utilizzare, quando è appropriato, misure quantitative. Semplici tecniche di conteggio, teoricamente e idealmente basate sulle categorie impiegate dagli attori, possono offrire un mezzo per esaminare l’intero corpo di dati […] Il lettore ha la possibilità di avere il senso che emerge dall’insieme dei dati» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 261).

Meno approfondita - e a nostro avviso meno efficace, nonostante l’enfasi posta sulla

necessità di occuparsi dell’argomento - risulta invece la trattazione che Silverman conduce a sostegno di una “attendibilità della ricerca qualitativa”. Bisogna precisare innanzi tutto che l’Autore si rifà in particolare alla ricerca etnografica (delimitando quindi ulteriormente le possibili estensioni ad altri contesti) e alle osservazioni proposte da Glassner e Loughlin (1987, p. 27)129.

Nei disegni di ricerca più positivistici, l’attendibilità del codificatore viene valutata in relazione all’accordo fra codificatori, nella ricerca qualitativa non ci si occupa di standardizzare l’interpretazione dei dati. Piuttosto […] l’obiettivo è stato quello di assicurarsi un buon accesso alle parole dei soggetti, senza basarsi sulla memoria degli intervistatori o degli analisti dei dati.

L’affidabilità può essere definita come

il grado di coerenza con cui i casi sono assegnati alla stessa categoria da differenti osservatori o dallo stesso osservatore in momenti diversi (Hammersley, 1992, p. 67 cit. in Silverman, 1993).

Per tenere conto dell’attendibilità il ricercatore o ricercatrice deve documentare la propria procedura e mostrare che le categorie sono state usate in modo coerente (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 265).

Per chiarire il concetto, Silverman (1993) fa riferimento all’esemplificazione proposta da Kirk e Miller (1986, p. 19), un termometro che mostra la stessa temperatura di 82 gradi ogni volta che è immerso nell’acqua bollente dà una misura affidabile. Un secondo termometro può dare una serie di misure che variano intorno ai 100 gradi. Il secondo termometro sarebbe inaffidabile ma relativamente valido, mentre il primo non sarebbe valido ma perfettamente affidabile.

Il resto della trattazione tuttavia non fa altro che riproporre le disquisizioni sui differenti

(presunti) status epistemologici fra ricerca qualitativa e ricerca quantitativa. Peräkylä (1997) affronta i temi della validità e dell’affidabilità con particolare riferimento

all’analisi della conversazione, ma indicando chiaramente che si tratta di osservazioni rilevanti per tutti i settori della ricerca qualitativa. Egli riprende la concezione di affidabilità proposta da Kirk e Miller (1986, p. 20) che la definiscono come «il grado in cui il risultato è indipendente dalle circostanze accidentali della ricerca» (come dire che in una ricerca successiva, date le stesse condizioni iniziali, il ricercatore dovrebbe ottenere grosso modo le stesse evidenze). La validità «ha a che fare con l’interpretazione delle osservazioni: se il ricercatore sta chiamando con il giusto nome ciò che rileva» (Peräkylä, 1997, p. 207). Senza dilungarci troppo nelle questioni descritte dall’Autore (si tratta di osservazioni molto specifiche delle analisi della conversazione da lui effettuate) possiamo sottolineare come alcune delle strategie proposte per incrementare la validità e l’affidabilità siano simili a

128 Silverman parla più specificamente di “percentuali appropriate” facendo direttamente riferimento a esemplificazioni tratte dalle sue ricerche: ci sembra che il termine “quantificazione” sia, in questo caso, più adeguato. 129 La traduzione della citazione, inclusi i corsivi, è tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing Qualitative Research.

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quanto proposto da Silverman (2000). In particolare, la “generalizzabilità dei risultati” ci sembra assimilabile a quello che in precedenza è stato descritto come “trattamento globale dei dati”; “l’analisi dei casi devianti”, intesa come verifica delle eccezioni che confermano le regole, è comune a tutte le tecniche di ricerca qualitativa, inclusa l’analisi della conversazione e la ricerca etnografica; la “validazione per mezzo del turno successivo”, intesa come ricerca della conferma della bontà delle categorie analitiche rilevate fino a un dato momento, richiama la tecnica della comparazione continua.

Mantovani (2003) ha condotto una rassegna dei criteri di validità della ricerca qualitativa nel quadro del “realismo critico”:

La questione dei metodi da usare nella ricerca qualitativa e ancora di più la questione dei criteri di validità da adottare per valutare l’utilizzo dei metodi in una data ricerca dipendono dalla posizione che il ricercatore prende su questioni di carattere molto generale che riguardano la conoscenza umana […] la conoscenza scientifica […] la conoscenza nelle scienze sociali […]. La risposta a queste questioni rinvia ad un campo di studio, l’epistemologia, che si occupa del modo in cui conosciamo e del valore di verità delle nostre conoscenze. Il ricercatore che intende usare i metodi qualitativi non potrà affrontare in modo consapevole e coerente le questioni metodologiche che incontrerà sulla su strada se non avrà riflettuto sulle questioni epistemologiche connesse alle sue scelte di ricerca (p. 27).

Sintetizzando il panorama delle riflessioni proposte nella letteratura internazionale,

Mantovani (2003) sostiene che i criteri di qualità su cui c’è un consenso sono: - la “contingenza”, per cui una ricerca ha qualità se viene valutata come applicabile e

coerente rispetto al contesto specifico in cui si svolge, - la “situatività”, per la qualità dello studio va valutata sempre rispetto all’ambito in cui

si svolge, - la “riflessività”, che implica la consapevolezza da parte del ricercatore di essere non-

neutrale sia dal punto di vista teorico che da quello metodologico (che le sue conclusioni sono sempre in qualche modo condizionate dai suoi schemi impliciti e modelli di riferimento),

- la “validazione da parte dei membri”, che consiste nella valutazione del resoconto della ricerca da parte dei partecipanti,

- la triangolazione (inizialmente proposta da Denzin, 1978)130, che consiste nella ricerca di convergenza sulle conclusioni incrociando diverse fonti di informazione.

Quest’ultima tecnica, in particolare, è la più ampiamente citata ma anche quella che si presta al maggior numero di critiche in quanto fa riferimento ad un assunto realista e oggettivista della ricerca: si suppone cioè - in analogia con i metodi quantitativi - che la realtà esterna sia slegata dalle lenti deformanti del ricercatore e inoltre che sia oggettivamente conoscibile. Peraltro Silverman (2000) e Seale (1999) hanno una posizione critica nei confronti di questa tecnica perchè non risolve completamente il problema della validità dal momento che già il tentativo di ottenere una “rappresentazione reale” della realtà131 è in contraddizione con molti assunti della ricerca qualitativa:

Naturalmente questo non significa che non si debbano usare insiemi di dati diversi o impiegare tecniche varie. Il problema sorge nel momento in cui utilizzate questa molteplicità come un mezzo per sistemare le questioni relative alla validità (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 251).

130 Norman K. Denzin (1978) distingue specificamente quattro possibili declinazioni della triangolazione: data triangulation, con cui si incrociano i dati di diversa provenienza su uno stesso fenomeno; investigator triangulation, mediante la quale la conoscenza del fenomeno è data dall’integrazione fra i punti di vista di diversi ricercatori (facciamo notare per inciso che questa opzione sarebbe implementabile in ATLAS.ti attraverso le funzioni di multi-autoring); theory triangulation, rispetto alla quale il ricercatore tenta di verificare ipotesi relative a diversi modelli teorici: methodological triangulation, con cui il ricercatore è chiamato all’utilizzo di differenti opzioni metodologiche per lo studio di uno stesso fenomeno. 131 Delle opzioni fra costruzione reale/oggettiva della realtà e costruzione narrativa/situata abbiamo già tra trattato nella finestra 2 del cap. 2.

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La triangolazione, anche se si propone il lodevole scopo di aiutare il ricercatore a controllare a controllare i suoi orientamenti personali, non può valere in realtà da garanzia della validità di una ricerca (Seale, 1999, p. 56 cit. in Mantovani, 2003, p. 32).

Seale (1999) riprende il lavoro di Lincoln e Guba (1985) nel quale gli Autori associano a ciascun criterio di qualità nella ricerca positivista-quantitativa (“conventional inquiry”) un criterio omologo per quanto riguarda la ricerca costruttivista-qualitativa (“naturalistic inquiry”)132:

- la credibilità (“credibility”), analogo alla validità interna, è data da una prolungata esposizione al campo di rilevazione delle informazioni e da tentativi di triangolazione con altre fonti di dati. «Ma la migliore tecnica per stabilire la credibilità è la “verifica dei partecipanti”133, che consiste nel mostrare i materiali come interviste, trascrizioni e report di ricerca alle persone con cui al ricerca è stata condotta, cosicché essi possano indicare l’accordo o il disaccordo con la rappresentazione fornita dal ricercatore» (Seale, 1999, p. 45);

- la trasferibilità (“trasferability”) è ottenibile fornendo «una dettagliata e ricca descrizione del contesto studiato in modo da dare al lettore sufficienti informazioni per valutare l’applicabilità dei risultati in altri contesti» (ibidem). Si tratta, com’è intuibile, di un criterio paragonabile alla validità esterna, ma utilizzabile laddove non è possibile avere un campionamento probabilistico e una randomizzazione dei soggetti;

- l’affidabilità (“dependability”), che sostituisce l’attendibilità, per il cui raggiungimento il ricercatore documenta chi valuta su tutte le fasi del suo lavoro (la metodologia, gli strumenti e tutte le scelte effettuate nel corso della ricerca inclusi i risultati) al fine di consentire un giudizio sulla coerenza e la correttezza dell’intero percorso;

- l’autenticità (“authenticity”), «si dimostra se i ricercatori possono dimostrare di aver rappresentato insiemi di diverse realtà (“fairness”). La ricerca dovrebbe anche aiutare i membri a sviluppare una “più sofisticata” comprensione dei fenomeni studiati (“ontological authenticity”), ad apprezzare il punto di vista degli altri come se fosse il proprio (“educative authenticity”), a sollecitare alcune forme di azione (“catalytic authenticity”) e ad attrezzare i membri per l’azione (“tactical authenticity”)»134 (Seale, 1999, p. 46);

- la confermabilità (“confirmability”) ha a che fare con le implicazioni dell’attendibilità (nei termini della ricerca qualitativa). Si parla in questo senso di “affidabilità interna” e di “affidabilità esterna”: la prima è paragonabile a quello che nei termini classici viene chiamato “accordo inter-codificatori” e riguarda «il grado in cui altri ricercatori che applicano costrutti simili possano far corrispondere questi ai dati allo stesso modo in cui è stato fatto dal ricercatore originario» (Seale, 1999, p. 140); l’affidabilità esterna invece ha a che fare con la generalizzazione (per questa ragione è in parte sovrapponibile alla trasferibilità)135 e viene descritta in termini di replicabilità dell’intero studio: «altri ricercatori impegnati nello stesso o in contesti simili potrebbero generare gli stessi risultati? […] richiede una completa specificazione degli assunti sottostanti e delle procedure, informazioni che molti ricercatori, in pratica, non forniscono» (Seale, 1999, p. 141). Talvolta ci si riferisce a questa tecnica in termini di “riflessività”, cioè di ragionamento e consapevolezza del proprio ruolo e posizione

132 Più specificamente, Clive Seale (1999) si riferisce a tali indicazioni valutative nei termini di “criteri interpretativi” (“interpretativist criteriology”). In tale rassegna, l’Autore include un elenco completo dei criteri (su cui c’è un consenso convergente) in base ai quali valutare gli studi di questo tipo: ne riportiamo una traduzione in appendice G. 133 Nella versione originale di Seale si parla di “member check”. 134 È evidente come i criteri dell’autenticità facciano riferimento a una qualità rilevabile e utilizzabile molto “pratica”, cioè relativa a contesti reali, confermando la vocazione applicativa e l’autonomia di molta ricerca qualitativa. 135 Pur simili nelle definizioni, confermabilità esterna e trasferibilità si differenziano per un’enfasi sulla valutazione del singolo percorso di ricerca (la prima) e per una maggiore attenzione alla generalizzabilità a contesti differenti (la seconda).

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(epistemologica e pratica) all’interno della ricerca, nel campo, nel rapporto con gli intervistati, nella costruzione congiunta delle informazioni136.

In un ambito più specificamente criminologico e coerentemente con l’oggetto del presente

lavoro, è interessante la posizione di Lonnie Athens, criminologo interazionista e ricercatore qualitativo: come riferiscono Ceretti e Natali (2004), che hanno compiuto un’approfondita analisi del lavoro di Athens, egli identifica tre criteri di valutazione:

1. il valore teorico della ricerca: con riferimento alla distinzione fra teorie sostantive (quelle che limitano la spiegazione al singolo fenomeno sociale) e teorie formali (quelle le cui argomentazioni includono classi di fenomeni sociali) operata da Glaser e Strauss (1967), Athens propone di assegnare maggiore valore scientifico alle seconde. Secondo questa prospettiva, le teorie formali (più generali e inclusive) hanno una maggiore qualità in quanto sono applicabili a un più vasto repertorio di eventi, mentre le teorie sostantive limitano il contributo ad aspetti circoscritti della realtà;

2. la base empirica dei concetti scientifici: è il principio per il quale le asserzioni scientifiche «devono dimostrarsi coerenti con le osservazioni e i casi empirici da cui sono ricavati. È chiaro che affinché questa analisi critica possa darsi, è necessario che lo studioso fornisca separatamente sia i riscontri empirici di partenza che i concetti da questi ultimi sviluppati» (Ceretti e Natali, 2004, p. 36);

3. la credibilità scientifica dello studio: in base a questo criterio il ricercatore deve fornire un resoconto che renda chiari tutti i passaggi compiuti (l’accesso al campo di studio, il contatto con gli intervistati/osservati, le modalità di trattamento delle informazioni, etc.) e descriva adeguatamente l’impostazione metodologica e gli strumenti utilizzati.

In generale, possiamo dire che le riflessioni sui criteri di qualità della ricerca qualitativa sono ampie e ben documentate. Manca tuttavia un accordo di fondo e questo spiegherebbe le varie sovrapposizioni concettuali (talvolta non esplicitate) per cui una stessa tecnica usata in settori differenti viene chiamata in maniera diversa oppure, al contrario, una stessa etichetta ha significati differenti a seconda del contesto in cui viene utilizzata.

Come si vede, il panorama dei criteri e delle tecniche proposte è ancora variegato e, alla prima impressione, appare forse frammentario: la principale ragione è da imputare alla varietà di nomenclature per indicare cose abbastanza simili (il lettore avrà certamente notato una ridondanza nell’esposizione delle proposte dei diversi Autori). Una possibile spiegazione di questo fenomeno potrebbe stare nel fatto che le diverse proposte afferiscono ad aree disciplinari distanti e che solo in tempi recenti hanno trovato una convergenza metodologica: abbiamo fatto riferimento infatti a studi di tipo etnografico (Hammersley, 1992), alla sociologia (Seale, 1999; Silverman, 1993, 2000), alla psicologia (Mantovani, 2003), a contributi di epistemologi (Lincoln e Guba, 1985) e al contestualismo degli analisti della conversazione (Peräkylä, 1997). Queste diversità disciplinari sono, a nostro avviso, la principale chiave di lettura di questa apparente frammentarietà dei criteri di qualità della ricerca qualitativa.

Che dire quindi della qualità scientifica della ricerca presentata in questa sede? Ad un primo fondamentale livello di lettura delle informazioni, è chiaro che lo studio non

ha avuto alcuna pretesa di ricostruzione oggettiva e fedele della realtà (Mantovani, 2003): non è mai stata nostra intenzione accertare la veridicità delle affermazioni prodotte dagli intervistati in sede di colloquio, né sarebbe stato eticamente possibile farlo, avendo presentato la ricerca come totalmente indipendente ed estranea al processo penale e al percorso detentivo specifico di ciascun intervistato. Piuttosto, come dichiarato fin dal titolo del contributo, il nostro interesse era rivolto alle “costruzioni narrative”, cioè ai modi soggettivi di rendere conto dell’azione commessa. Ci siamo dunque collocati su un livello di “narrativismo” in cui 136 Si vedano a questo riguardo i vari riferimenti alla c.d. “intervista attiva” (Holstein e Gubrium, 1997) nel cap. 2.

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la realtà emergente dalla narrazione è costruita momento per momento dall’intervista nell’interazione con l’intervistatore (Miller e Glassner, 1997; Holstein e Gubrium, 1997).

Da queste premesse e dalla natura precipuamente qualitativa dello studio conseguono specifiche implicazioni in termini di qualità della ricerca. Con riferimento a quanto descritto nel corso di questo paragrafo, è possibile sostenere che la ricerca sia dotata di una sua qualità con riferimento alle linee guida principali che abbiamo provato a tenere in considerazione come possibili criteri di valutazione del presente lavoro:

a) l’intero percorso di reperimento e analisi delle informazioni è stato condotto con riferimento al criterio della comparazione continua: la lettura e la codifica di ogni intervista ha comportato il riesame critico su tutto il corpus dei codici sviluppato fino a qual momento. L’iter della ricerca, in altre parole, si è svolto secondo i criteri di ricorsività, iteratività e progressione descritti in precedenza e indicati come fondanti la metodologia della ricerca qualitativa (Cicognani, 2002a; Ricolfi, 1997; Mantovani e Spagnolli, 2003; Mazzara, 2002; Strauss e Corbin, 1990; 1994; 1998);

b) tutte le procedure della ricerca sono state documentate al fine di fornire al lettore approfonditi elementi di valutazione sulla correttezza e coerenza dell’intero percorso teorico-metodologico sviluppato. In questo senso, la “trasferibilità” di cui parlano Lincoln e Guba (1985) e Seale (1999) diventa obiettivo perseguibile e la ricerca nel suo complesso assume un’importanza non limitata alla “sostanzialità teorica” (Glaser e Strauss, 1967; Athens, 1984; Ceretti e Natali, 2004);

c) il terzo elemento che informa sulla qualità della ricerca descritta nelle pagine precedenti è la riflessività a cui direttamente o indirettamente fanno riferimento molti dei Autori citati in questo paragrafo (Mantovani, 2003; Fielding e Fielding, 1986; Seale, 1999; Silverman, 2000): ne sono esempi le sezioni in cui abbiamo descritto le reazioni degli intervistati alla proposta di partecipazione alla ricerca (si trattava, come si ricorderà, di risposte positive proprio perché dirette a un ricercatore estraneo a sistema giudiziario) oppure l’ampia descrizione che è stata fatta delle prime fasi di trattamento delle informazioni (codifica, definizione delle code families, perfezionamento della code list, etc.).

D’altra parte, bisogna tuttavia evidenziare l’impossibilità tecnica di utilizzare alcune delle altre soluzioni previste dai metodologi qualitativisti: la triangolazione - specificamente nelle accezioni di data, investigator e methodolology triangulation (descritte nella nota n. 130) - non era utilizzabile in questo studio per le evidenti ragioni legate al contesto di rilevazione: non era possibile “installare” in carcere un’equipe di ricerca con l’obiettivo di rilevare e incrociare set di informazioni provenienti da ricercatori o da fonti di dati differenti, né chiedere all’amministrazione penitenziaria di tornare successivamente per effettuare altre interviste con le stesse persone o con la proposta di sistemi di osservazione. Allo stesso modo, era difficile immaginare a una “validazione da parte dei rispondenti”.

8. Conclusioni e implicazioni Lo studio che abbiamo presentato in queste pagine è riferito a un gruppo di rispondenti che

vivono una situazione reale, la detenzione. Da questo punto di vista, si tratta di una ricerca che si colloca a pieno titolo nel panorama delle strategie di ricerca “sul campo”. La letteratura sulla devianza e sul resoconto delle azioni devianti comprende anche ricerche che hanno operato simulazioni di interazioni in laboratorio: Gonzales, Haugen e Manning (1994), ad esempio, hanno perseguito l’obiettivo di ricostruire - utilizzando metodi sperimentali - le sequenze narrative e discorsive che si instaurano fra vittime e autori di reato. Tale impostazione, sia pure utile sotto il profilo del rigore metodologico non rende adeguatamente conto della complessità delle situazioni narrative in contesti reali.

Come abbiamo descritto in precedenza (§ 3 in questo capitolo), la ricchezza delle elaborazioni narrative rilasciate dai 34 intervistati che abbiamo incontrato è stata determinata

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in primo luogo dal fatto che essi si trovassero di fronte un intervistatore-ricercatore completamente estraneo al sistema della giustizia penale e che in tale contesto specifico hanno ritenuto opportuno raccontare le proprie storie.

Si tratta - come abbiamo anticipato nel cap. 1 § 3.1 - di una chiara attualizzazione della differenza fra verità narrativa e verità storica delle narrazioni (Brockmeier, 1999): l’esigenza, necessariamente determinata dal contesto in cui la narrazione si è sviluppata, di fornire una versione dei fatti plausibile e coerente e la necessità (tipicamente umana) di proporre un’immagine positiva di Sé hanno favorito l’espressione di contenuti che non si sarebbero presentati allo stesso modo in un differente contesto (Bercelli, 2004; Brockmeier, 1999). Se (come univocamente hanno affermato molti intervistati) la richiesta di raccontare fosse arrivata da una persona strutturalmente appartenente al mondo della giustizia penale i resoconti avrebbero avuto una differente costruzione narrativa, sarebbero stati meno ricchi di dettagli. Sarebbero stati, in altri termini, resoconti diversi relativi - narrativamente parlando - ad altri fatti137.

A situazioni di questo tipo fanno riferimento Holstein e Gubrium (1997) quando parlano di “intervistare attivo”:

Anche il narratore è profondamente immerso nelle sue memorie, il suo modo di presentare la storia della sua vita non è mai indipendente dalla situazione di intervista ed è sempre indirizzato verso il suo ascoltatore. Il ruolo dell’intervistatore come co-autore della storia emergente ha ricevuto un interesse solo marginale nella ricerca sulle interviste […]. Ciò è in contrasto con il ruolo del lettore nelle produzioni letterarie (Eco, 1979) o con la considerazione del ruolo dell’ascoltatore nella pianificazione e nella gestione di una conversazione […]. Un’attenta analisi della situazione dell’intervista a fini di ricerca, comunque, rivela che quella dell’ascoltatore è una figura complessa che può assumere molte diverse posizioni nel corso dell’intervista (Lucius-Hoene e Deppermann, 2000, p. 213).

Nelle situazioni descritte, l’intervistatore-ascoltatore interviene ad almeno due livelli: - quello dell’interazione nel momento in cui la narrazione ha luogo, - quello dell’analisi successiva. In entrambi i casi, l’interazione si sostanzia in un flusso continuo di procedimenti

interpretativi reciproci: l’intervistato costruisce in tempo reale una rappresentazione della realtà (situata nel contesto in cui la narrazione viene prodotta), ma per farlo compiutamente si basa sull’anticipazione dell’interpretazione che il ricercatore farà in sede di analisi delle informazioni; quest’ultimo, da parte sua, ricostruisce il senso di quanto ascolta alla luce di quanto sa da informazioni pregresse e, soprattutto, alla luce degli obiettivi della ricerca che sta conducendo (Baumeister e Newman, 1994). L’interpretazione delle interviste narrative è un momento delicato e caratterizzato dal fatto che è «l’esito di un processo fondato sulla comunicazione, che origina una sequenza di interpretazioni parziali e provvisorie» (Rampazi, 2001, p. 136). Nel corso di questo processo, come ha efficacemente sostenuto Bruner (2002, p. 75), «i nostri racconti creatori del Sé ben presto riflettono il modo in cui gli altri si aspettano che noi dovremmo essere. Senza troppo accorgercene, elaboriamo un modo decoroso di parlare a noi stessi».

La costruzione narrativa dei contenuti sembra articolarsi nei termini di un percorso in cui progressivamente si passa dalla definizione del contesto spazio-temporale dell’evento criminoso (con particolare riferimento alla dimensione del Posizionamento discorsivo nell’ordine spaziale e temporale: Harré e van Langenhove, 1999) alla descrizione degli eventi critici che hanno condizionato la probabilità di mettere in atto condotte devianti. La valutazione di tali eventi ha l’implicazione - sempre narrativamente circostanziata - di indurre l’attore a una scelta intenzionale (temi e contenuti relativi alle dimensioni dell’agency, all’autoefficacia e dell’attribuzione interna) di produrre proprio quel comportamento. La consapevolezza di tale scelta viene però meno quando l’attore passa alla valutazione del

137 Si tratta di una specifica articolazione del concetto di “posizionamento” a cui Tschuggnall (1999), riprendendo Bakhtin (1981), ha dato il nome di “intertestualità”.

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percorso d’azione nei termini delle implicazioni morali: in tal senso, nelle narrazioni si associano i temi della neutralizzazione della norma e del disimpegno, dell’attribuzione esterna e della deresponsabilizzazione.

Per quanto riguarda la struttura delle narrazioni, la ricerca ha preso spunto dall’Evaluation Model (Labov e Waletsky, 1967). In prospettiva di un’applicazione del modello all’analisi delle narrazioni la ricerca ha portato a una sua conferma solo parziale: il modello strutturale emerso dalle 34 interviste infatti include una struttura narrativa formata da una concatenazione fra 4 delle 6 dimensioni originarie. Si tratta di una struttura in cui le dimensioni previste non si collocano nella sequenza prevista dalle formulazioni del modello in altri settori (Abstract Setting Complication Evaluation Result Coda) e che mostra forti differenze in dipendenza dal tipo di reato narrato e dell’esperienza del narratore nel circuito della devianza.

I risultati hanno il pregio di essere ottenuti su un gruppo di rispondenti “reale” in un contesto naturale, seppure reclutati su base volontaria. La complessità dell’intero impianto metodologico mette in particolare risalto l’onerosità del processo di codifica delle interviste narrative svolto in tornate successive di rilettura dei testi. L’approfondito lavoro di integrazione fra aspetti teorici ed empirici (condotto conformemente ai criteri di validità della ricerca qualitativa indicati in letteratura) ha prodotto importanti risultati che completano le evidenze della ricerca precedente con particolare riferimento alla costruzione narrativa della responsabilità propria e altrui, della capacità d’azione, degli aspetti cognitivi ed emotivi che risultano diversamente correlati alle diverse fasi di valutazione dell’evento e delle sue conseguenze.

Un approfondimento merita la possibilità di generalizzazione dei risultati della ricerca. Come abbiamo descritto in precedenza, il criterio della trasferibilità, proposto da Lincoln e Guba (1985) e ripreso da Seale (1999), sostiene la liceità dell’ampliamento delle evidenze rilevate in uno studio ad altri che condividano talune caratteristiche di fondo138: «il grado di somiglianza fra il contesto di partenza (“sending”) e quello di estensione (“receiving”). In questo modo, non è necessario specificare la validità esterna; si può fornire solo la consistente descrizione necessaria per far sì che coloro che sono interessati a trasferire i risultati possano valutarne la possibilità» (Lincoln e Guba, 1985, p. 316 cit. in Seale, 1999, p. 107-108). Quello della possibile estensione dei risultati ad altri contesti è un argomento da non trascurare:

In conclusione, riteniamo dunque che la ricerca presentata nelle pagine precedenti ponga all’attenzione della comunità scientifica alcune utili indicazioni riferibili alle seguenti aree:

- peculiarità del contributo metodologico, con riferimento alla proposta di un percorso di reperimento/costruzione e di analisi delle informazioni coerente ad un duplice livello: (a) coerenza interna, della ricerca nelle sue diverse fasi, (b) coerenza esterna, rispetto alle indicazioni della letteratura metodologica nazionale e internazionale sulla ricerca qualitativa;

- specificità della proposta, con riferimento in particolare all’oggetto e al contesto di riferimento;

- innovazione, nella misura in cui la ricerca si propone come contributo articolato e coerente su tecniche e soluzioni di analisi, di reporting delle informazioni e su applicazioni informatiche non ancora sperimentate (talvolta sperimentate in maniera solo esplorativa) nel panorama della ricerca nazionale;

- propositività, di strategie di reperimento, trattamento e analisi delle informazioni con particolare riferimento alla ricerca qualitativa nei settori psicologico-sociale e criminologico.

138 Altrove si scrive che «il fondamento della generalizzazione teorica sta nella logica piuttosto che nella probabilità» (Mitchell, 1983, p. 200 cit. in Seale, 1999, p. 109) e che «la validità dell’estrapolazione non dipende dalla tipicalità del caso, ma dalla consistenza (“strenght”) del ragionamento teorico» (Seale, 1999, p. 109).

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Dal punto di vista delle implicazioni pratiche e operative, ci sembra che le indicazioni emerse dal presente lavoro si possano collocare su tre piani distinti ma interagenti: quello teorico, quello metodologico e quello dell’intervento.

Dal punto di vista teorico, la ricerca ha fatto emergere un possibile completamento dei modelli esistenti sul resoconto dell’azione deviante. In questo senso, è possibile argomentare che “collocarsi discorsivamente”, “posizionarsi” nella costruzione narrativa della propria azione significa certamente ridescrivere i fatti ma significa anche reinterpretarli alla luce della situazione attuale: gli ampi riferimenti fatti dagli intervistati alle dimensioni della giustificazione (della neutralizzazione e del disimpegno), alle scelte, alla capacità d’agire e alla riassunzione di responsabilità ci consentono di complessificare il quadro teorico di spiegazione dell’azione deviante rispetto alle singole focalizzazioni dei modelli precedenti fino ad ora disponibili in letteratura. Diventa più evidente che il resoconto dell’azione non può che collocarsi in un’argomentazione complessa e complessiva che include anche una descrizione di Sé alle prese con quell’azione e comprende un dialogo costante con gli aspetti normativi rappresentati, nel qui e ora del resoconto, anche dalla presenza del ricercatore:

se la presenza di norme di condotta impone di pensare al soggetto come a un essere in relazione la cui presenza sociale passa per e attraverso relazioni, assumere la relazione come unità di analisi comporta innanzitutto prendere atto che le norme di condotta “derivano” dalla formalizzazione di regolarità riscontrabili nelle relazioni sociali (Coco, Micheluzzi e Pisapia, 2003, p. 36).

In tale contesto, parlare dell’azione e delle sue implicazioni - attribuirle un significato (non

solo quindi nei termini di cosa è accaduto, ma soprattutto del perché è accaduto) - è un parlarne all’interno di un contesto sociale e normativo definito in cui anche l’assunzione (o la non assunzione) di responsabilità riveste un obiettivo specifico, quello della descrizione di Sé alle prese con l’azione/l’altro/la norma.

Dal punto di vista metodologico, come abbiamo accennato in precedenza, riteniamo che il percorso esemplificato nelle pagine precedenti possa fornire un contributo in termini di innovazione delle operazioni di trattamento e analisi delle informazioni testuali: non che mancassero in precedenza nel panorama della ricerca empirica delle buone prassi, ma la ricerca psicologico-sociale e criminologica è probabilmente rimasta, negli ultimi tempi, ancorata a modelli di ricerca e di analisi dei dati che non sempre si adattano all’evoluzione dei modelli di spiegazione dei fenomeni e dei processi studiati. Se, come hanno scritto Kruglanski e Jost (2000), la psicologia sociale sperimentale e l’approccio costruzionista condividono parte degli obiettivi e delle spiegazioni epistemologiche non c’è ragione perché la ricerca empirica continui a preferire la prima e a trascurare il secondo: in questo senso, riteniamo che lo studio svolto possa adeguatamente esemplificare un possibile percorso di ricerca secondo il modello costruzionista.

Infine, dal punto di vista operativo e applicativo, la ricerca svolta mostra i suoi vantaggi soprattutto in connessione agli aspetti teorici: il resoconto dell’attore che ha commesso un’azione socialmente e penalmente rilevante è un punto di accesso privilegiato per comprenderne le ragioni. Rispetto a tali ragioni infatti andranno previsti opportuni interventi rieducativi e di riabilitazione che devono necessariamente partire dalla “riappropriazione della propria azione” da parte del soggetto che l’ha compiuta. All’interno del resoconto dell’azione, ci sono elementi per focalizzare l’attenzione su tre livelli:

- quello della conoscenza (ricollegandosi quindi coerentemente ai modelli teorici alla base dell’intervento) con particolare riferimento alla fase evolutiva in cui l’azione e il resoconto si collocano (le evidenze sulla “socializzazione narrativa” prospettano non poche implicazioni sia dal punto di vista strettamente teorico sia indirettamente in termini di trattamento idealmente differenziato fra “novizi” ed “esperti”),

- quello dell’operatività e degli interventi di trattamento e prevenzione: appare chiaro come, in questo processo, assumano importanza fondamentale le agenzie istituzionali ed il sostegno informale che, attraverso risposte che offrano immagini alternative a quelle strutturate rigidamente

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lungo il percorso deviante, possono indurre prospettive di cambiamento e di rottura dell’identità disadattiva in cui la persona si riconosce. Il tessuto sociale più ampio può e deve assumere una responsabilità rispetto alla possibilità per una carriera deviante di essere ridirezionata, attraverso risposte sanzionatorie che includano l’attenzione alle risorse latenti della persona nell’obiettivo di sostenere percorsi riabilitativi che offrano effettive opportunità di cambiamento sul piano intrapsichico-individuale e socio-relazionale (Patrizi, 2004, p. 31);

- quello della (ri)assunzione di responsabilità e di ricollocazione nel sistema di regole da parte dell’attore:

penso che trovare spazi di riflessività può essere un punto di partenza per il discorso riabilitativo. Per chi è interessato a lavorare con il prigioniero per aiutarlo a definire un Sé non deviante, espressioni come “Non so chi me lo ha fatto fare” […] meritano un maggiore approfondimento. […] questa ricerca mostra che la promozione di interventi discorsivi è un passo verso la revisione dei prigionieri di sé stessi come agenti (O’Connor, 1995, p. 452).

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

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160

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Appendice A

Scheda degli indicatori rilevabili nelle narrazioni e riferiti ai modelli teorici

Comportamento manifesto- descrizione dei comportamenti (anche degli altri partecipanti) - prospettiva di un osservatore esterno

Aspetti cognitivi- organizzazione/pianificazione - emozioni (prima, durante, dopo l’azione-reato) - obiettivi/aspettative espliciti - azione come soluzione (anche rispetto agli altri partecipanti) di un problema monitoraggio - strategie di problem solving - anticipazione dei risultati e/o degli effetti immediati - reazione propria e altrui all’arresto

Funzioni e significati- significati soggettivi precedenti all’azione - significati soggettivi seguenti all’azione - significati attribuiti da altri (vittima, testimoni, famiglia, società) - effetti riferiti al controllo sociale (precedenti e successivi)

- effetti di relazione (precedenti e successivi) - effetti Sé (precedenti e successivi) - effetti di cambiamento (precedenti e successivi)

Antecedenti storici- valenza (positiva/negativa) nella storia di vita - valenza (positiva/negativa) rispetto all’incontro con la devianza - salienza percepita (anche rispetto alla devianza)

Incidenti critici

- valenza (positiva/negativa) nella storia di vita - valenza (positiva/negativa) rispetto all’incontro con la devianza - salienza percepita (anche rispetto alla devianza)

Tappe della carriera

- periodo precedente all’incontro con la devianza - periodo di incontro effettivo con la devianza - primo reato (vissuti, sensazioni, ecc.) - periodo successivo e conseguenze - prosecuzione - risoluzione e uscita dal circuito della devianza

Scenari alternativi - eventuali aspetti rilevanti non trattati (autostima, autoefficacia, tecniche di neutralizzazione della norma, etc.) Posizione rispetto all’intervista/resoconto

161

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Appendice B

Traccia di intervista narrativa

Codice intervista-intervistato:

Data:

Reato:

162

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

163

Traccia di intervista per l’analisi dell’azione deviante Premessa

- Introduzione all’intervista: illustrazione degli obiettivi dell’indagine, delle finalità e dell’uso di quanto emergerà dall’interazione.

- Rassicurazioni sull'anonimato riguardo a quanto la persona dirà. - Eventuali richieste o premesse dell’intervistato.

Domanda di apertura (domanda che può esaurire l’intervista o servire da base per le sezioni successive) Potrebbe raccontarmi il reato per cui si trova qui (nel caso, frequente, in cui l’intervista si svolga in carcere o comunque in fase esecutiva della pena) o un reato che è stato particolarmente importante? Un’azione che ha avuto conseguenze penali e di cui le andrebbe di parlarmi? La prego di raccontare dal suo punto di vista. Non intendo un riassunto di quello che è successo, ma come lo racconterebbe a qualcuno che non ne sa niente, che è molto interessato al racconto e che ha molto tempo a disposizione.139 (Specificare che il racconto può iniziare da un qualunque momento temporale, dalle conseguenze o dagli antecedenti, e da qualunque sua sequenza). ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ (solo per gli indicatori non trattati dalla risposta alla domanda precedente: domande

specifiche da 1 a 27)

139 La formulazione di quest’ultima richiesta è stata tratta, con gli opportuni aggiustamenti, da Bruner e Feldman (1999).

Prima sezione: comportamento manifesto 1. Come racconterebbe questo stesso fatto un osservatore esterno? Cosa avrebbe

visto un passante, uno spettatore di quell’azione? Le sto chiedendo di raccontare in dettaglio solo ciò che avrebbe potuto vedere un’altra persona. ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

2. Può descrivermi tutto quello che hanno fatto le diverse persone che erano presenti in quella situazione?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Seconda sezione: cognizioni coscienti 3. Ricorda quello che ha pensato, provato, prima di fare quell’azione? Si è

“organizzato”, l’ha preparata? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 4. Qual era il suo scopo? Cosa si aspettava di ottenere? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 5. Ricorda come è nata l’idea di quell’azione? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 6. (solo se vengono fatti richiami ad altre persone) Chi ci ha pensato in particolare?

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 7. E lei che cosa ne pensava? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 8. Ricorda i suoi pensieri nel corso dell’azione? (a seconda del tipo di reato e del

suo svolgimento, formulare la domanda utilizzando i momenti salienti dell’azione indicati dall’intervistato)

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 9. Ricorda se, e in quale momento, ha pensato a quello che sarebbe accaduto subito

dopo? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 10. Ricorda cosa pensava quando è stato preso? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 11. Cosa ha provato in quel momento? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 12. Come hanno reagito le persone a lei più vicine?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 13. È cambiato qualcosa dopo? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Terza sezione: funzioni e significati 14. Le sarebbe possibile ricostruire quello che significava per lei quell’azione, prima

di compierla? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 15. Mentre eseguiva l’azione, e poi, subito dopo che l’ha fatta, quell’azione ha

cambiato in parte significato? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 16. Secondo lei, che significato ha avuto per gli altri? Come hanno considerato il

fatto, ad esempio, la vittima, le persone che lo hanno appreso attraverso i giornali?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 17. Prima di compiere l’azione, ha pensato a come si sarebbero comportate le forze

dell’ordine? __________________________________________________________________________________________________________________________________________

164

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

__________________________________________________________________________________________________________________________________________

24. In genere, non è semplice descrivere ciò che un’azione rappresenta per noi, il suo

significato più intimo, quello che pensiamo e proviamo mentre agiamo, o dopo, ripensandoci. Cosa può dirmi in proposito?

18. Come si sono comportate poi? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

19. Prima di agire, che significato pensava avrebbero dato alla sua azione il gruppo di

amici e la sua famiglia? Quarta sezione: scenari alternativi e considerazioni conclusive _____________________________________________________________________

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

25. Le cose avrebbero potuto andare diversamente...se... (si chiede alla persona di completare la frase)

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

20. Una volta saputo cosa era successo, cosa le hanno fatto capire i suoi migliori

amici, e i suoi familiari? Cosa ne pensavano? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

26. C’è qualcosa di importante che non abbiamo trattato? Qualcosa a cui tiene

particolarmente? Qualcosa che possa consentirmi di capire meglio il suo punto di vista?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

21. Secondo lei, che significato ha avuto effettivamente per la sua famiglia, per i suoi migliori amici?

22. C’è qualcuno per il quale quello che lei ha fatto ha significato qualcosa in particolare?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

27. Cosa pensa di questa intervista e del modo in cui abbiamo affrontato argomenti così importanti?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

23. (se si è già svolto il processo) C’è qualche differenza, che ritiene rilevante, fra il

modo in cui quello che lei ha fatto è stato considerato durante il processo e il modo in cui lo considera lei?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

165

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Traccia di intervista sulla carriera deviante

Prima sezione: percorso di vita 1. Le nostre vite cambiano continuamente, ma alcuni sono cambiamenti cruciali,

cambiamenti di direzione, potremmo dire. Questi cambiamenti, in genere, sono legati ad episodi rilevanti. Ripensando a lei, alla sua storia, può individuare alcuni di questi episodi (2 o 3)? Può raccontarmeli brevemente spiegando anche le ragioni per cui li considera così rilevanti?

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Seconda sezione: carriera deviante 2. Passiamo alla situazione attuale. Per quale reato è in carcere (o è stato

condannato)? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 3. Così come abbiamo fatto rispetto alla storia della sua vita, anche riguardo alla sua

storia di rapporto con la giustizia è possibile pensare che ci siano stati periodi diversi, da quando ha iniziato fino ad oggi. Può parlarmene cercando, se ricorda, di dirmi come è avvenuto il passaggio da un periodo all'altro e se ci sono stati episodi importanti che possono aver segnato questi passaggi? (= da quando ha commesso il primo reato ad oggi avrà attraversato delle fasi importanti, potrebbe descrivermele raccontandomi gli episodi che hanno segnato il passaggio da una fase all’altra?)

__________________________________________________________________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________________________________________________________________

le domande seguenti (5-22) andranno formulate solo nel caso in cui il soggetto non abbia già risposto - indirettamente – attraverso le domande precedenti

Terza sezione: tappe della carriera 4. Provi a ripensare a se stesso prima di cominciare, cosa ricorda di sé? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 5. E del periodo in cui hai iniziato, ricorda episodi importanti (positivi o negativi)? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 6. Che descrizione farebbe di sé, riferendosi a quel periodo? Che tipo di persona

era? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 7. Ricorda il primo reato? (anni, tipo di reato, da solo o in gruppo) ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 8. Perché pensa che l'ha fatto? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

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9. Pensando anche ad altre persone, perché e come pensa che si inizi a commettere reati?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 10. Per lei, è cambiato qualcosa dopo? (nella sua vita, in famiglia, nel gruppo di

amici) ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 11. Quali sono state le conseguenze più negative sulla sua vita? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 12. Perché pensa di aver continuato? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 13. Ha mai pensato di smettere? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 14. (se sì) In quale occasione? Cosa pensa che le ha poi impedito di farlo? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 15. Quali motivi, secondo lei, possono far sì che una persona decida di smettere?

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 16. E per quali motivi, invece, una persona decide di continuare? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 17. Per quanto le riguarda, cosa pensa che potrebbe farla decidere di smettere? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 18. Cosa le viene in mente pensando a sé quando sarà uscito dal carcere (quando avrà

finito di scontare la pena)? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Quarta sezione: scenari alternativi e considerazioni conclusive 19. Le cose avrebbero potuto andare diversamente...se... _______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 20. C’è qualcosa di importante che non abbiamo trattato? Qualcosa a cui tiene

particolarmente? Qualcosa che possa consentirmi di capire meglio il suo punto di vista?

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 21. Cosa pensa di questa intervista e del modo in cui abbiamo affrontato argomenti

così importanti?

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Solo alla fine dell’intervista Dati di sfondo (per inquadramento descrittivo dell’intero campione: verranno trattati in maniera aggregata senza alcun riferimento all’identità del soggetto) 28. Età

29. Regione di provenienza

30. Titolo di studio

31. Come consideri il quartiere dove sei cresciuto?

Un quartiere di periferia

Un quartiere di centro

Una zona a rischio

Un piccolo paese

32. Ha la famiglia?

Si

No

33. Se sì, chi siete in famiglia?

34. Era occupato o disoccupato quando ti hanno arrestato?

Occupato

Disoccupato

35. Se era occupato, che lavoro svolgevi?

Operaio

Artigiano

Impiegato

Insegnate

Commerciante

Libero professionista

Altro

36. Da quanto tempo si trova in carcere?

Meno di 6 mesi

Tra 6 mesi e 1 anno e mezzo

Tra 1 anno e mezzo e 3 anni

Oltre 3 anni

37. Quanto tempo deve ancora trascorrere in carcere?

Meno di 6 mesi

Tra 6 mesi e 1 anno e mezzo

Tra 1 anno e mezzo e 3 anni

Oltre 3 anni

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

38. Ha avuto detenzioni precedenti?

Si

No

39. Se sì, quante?

1

2

3

Più di 3

40. Se sì, per quali reati hai avuto detenzioni precedenti?

__________________________________________________________________________________________

Note sul setting

Ulteriori osservazioni

169

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Appendice C

Roma, …/…/….

c.a. Ufficio Segreteria Generale e Direzione Generale Detenuti e Trattamento

Oggetto: richiesta autorizzazione Io sottoscritto, Eugenio De Gregorio, dottorando di ricerca in Psicologia Sociale presso il Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione (cattedra di Psicologia Giuridica, prof. Gaetano De Leo), chiedo l’autorizzazione per accedere alla Vostra struttura al fine di svolgere una serie di circa 50 interviste con i detenuti del Vostro Istituto nell’ambito della tesi di dottorato dal titolo “Teoria dell’Azione e Posizionamento discorsivo: verifica e confronto di due modelli per lo studio dell’azione deviante”. Le interviste verranno strutturate sotto forma di narrazioni e avranno come argomento centrale lo sviluppo della carriera140 e dell’azione deviante. Le interviste avranno una struttura narrativa e si prevede una durata di circa 1 ora per ciascuna di esse. A tal fine chiediamo la Vostra collaborazione per consentire - l’accesso ai locali dell’Istituto nei tempi necessari per lo svolgimento delle interviste

secondo le modalità da Voi previste, - l’utilizzo di un audioregistratore (previo consenso del detenuto), necessario per non

perdere la molteplice ricchezza delle informazioni ottenute dalle interviste. Ritengo opportuno sottolineare il valore della presente ricerca, che si fonda sull'esigenza di poter identificare modalità specifiche di strutturazione della narrazione, dei suoi contenuti e dei significati. Sottolineo inoltre che tutte le informazioni ricavate dalle interviste saranno trattate in conformità alla legge sulla privacy, pertanto - oltre garantire l’anonimato - saranno analizzate cumulativamente e non individualmente. Per ulteriori chiarimenti e per Vostre comunicazioni rimango disponibile ai seguenti recapiti: [omissis] Fiducioso in una vostra positiva risposta, porgo cordiali saluti.

dott. Eugenio De Gregorio  

140 Il titolo della tesi è cambiato, per le ragioni descritte in precedenza, in corso d’opera.

170

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Appendice D

Roma, …./…./….

c.a. dott. Mauro Mariani Direttore dell’Istituto Penale “Regina Coeli”

Oggetto: ricerca qualitativa e impegni nei confronti della Struttura Con la presente, io sottoscritto Eugenio De Gregorio, dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, comunico che – in riferimento alla ricerca da svolgere presso la Vostra Struttura – mi impegno a far sottoscrivere ai soggetti volontari che sceglieranno di collaborare una lettera liberatoria quale autorizzazione al trattamento dei dati personali e all’utilizzo delle informazioni ai soli fini della ricerca (come previsto dalle Legge 675/96). Come da accordi precedenti intercorsi con la dott.ssa Margherita Marras, tale documento verrà redatto in duplice copia, rimanendo una delle due agli atti presso i Vostri uffici. Ricordo inoltre che ai fini dello studio proposto, i soggetti intervistati potranno rimanere anonimi all’intervistatore e i protocolli delle loro interviste potranno essere contrassegnati da semplici etichette verbali o numeriche. Considerando che il termine previsto del corso di dottorato è Dicembre 2004, mi impegno inoltre a far pervenire presso il Suo Ufficio copia dell’elaborato che verrà redatto entro tale data. Ringraziando ancora per la collaborazione, porgo i più cordiali saluti, dott. Eugenio De Gregorio dottorando in Psicologia Sociale Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione  

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Appendice E*

Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione

iugno 2003

itolo della ricerca: Costruzione narrativa dell’azione deviante

ducendo una ricerca sull’azione deviante. A tal fine chiediamo la sua disponibilità

to di discutere

ispetto della privacy saranno seguite al fine di garantire la confidenzialità delle Sue

e informazioni che Lei ci fornirà saranno contrassegnate da un numero d’ordine per

utte le informazioni che Lei ci fornirà saranno utilizzate per soli scopi di ricerca

Copia per l’intervistato

G T Obiettivo Stiamo cona partecipare a un colloquio / intervista della durata di circa 1 ora – 1 ora e ½. Si tratterà di una sorta di chiacchierata con un ricercatore in cui le verrà chiesargomenti che riguardano il reato per cui è attualmente detenuto. RLe seguenti procedureinformazioni: Lsalvaguardare l’anonimato. T . La Sua identità non sarà rivelata in alcuna pubblicazione.

Diritti del partecipante alla ricerca

a Sua partecipazione a questo studio è volontaria. a conservare.

a a far pervenire copia dei

LLei riceverà una copia di questa lettera di consenso dPer quanti fossero interessati, il responsabile della ricerca si impegnrisultati della ricerca, mediante le pubblicazioni che verranno effettuate sull’argomento. Per qualsiasi difficoltà o problema a proposito di questo studio, può contattare [omissis]

Autorizzo al trattamento dei dati e alla pubblicazione anonima del materiale trascritto come

ata _________________ Firma _____ _____ ______

sopra specificato ai sensi della L. 675/96 e successive modificazioni. D

_ _ ______

* Per la form relativa a questo documento si ringrazia la dott.sa Claudia Chiarolanza.

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Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

Appendice F HU MERGE REPORT CREATED 30/11/04 22.30.40 BY GUEST -------------------------------------------------- Source- HU: analisi interviste x dottorato Reb+Reg File: [C:\Documents and Settings\Eugenio DeGregorio\Desktop\analisi interviste x dottorato reb+reg.hpr5] Target- HU: analisi interviste_ Posiz+Labov File: [C:\Documents and Settings\Eugenio DeGregorio\Desktop\analisi interviste_ posiz+labov.hpr5] Object sizes and selected strategy per object type before merge: Object Type Source-HU Target-HU Strategy ------------------------------------------------------------ Primary Docs 34 34 Unify Quotations 1253 485 Unify Codes 490 96 Add Codings 1666 554 - Memos 14 0 Add Network Views 14 0 Add Primary Doc Families 7 0 Add Code Families 69 9 Add Memo Families 1 0 Add Code-Links 248 0 Target Hyper-Links 15 0 Target ------------------------------------------------------------ Author(s)ADMIN GUEST added to target author(s): SUPER Author(s) of target HU after merge: ADMIN GUEST SUPER Adding 14 Memos: ------------------------------------------------

Segue elenco delle memos complessive Adding 490 Codes: ------------------------------------------------

Segue elenco dei codici complessivi

Adding 7 Primary Doc Families: ------------------------------------------------ + Esperti + Intermedi + Novizi + omicidi + rapine e furti + reati legati alla droga + truffa e ricettazione Adding 14 Network Views: ------------------------------------------------ + agency + Attribuzione esterna (identificata) + Attribuzione interna di responsabilità + Network View on: antecedenti storici (NEG) con coinvolgimento del

173

Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐  La costruzione narrativa dell’azione deviante  

contesto allargato + Network View on: antecedenti storici (NEG) con coinvolgimento familiare + Network View on: antecedenti storici (POSIT) con coinvolgimento del contesto allargato + Network View on: antecedenti storici (POSIT) con coinvolgimento familiare + Network View on: aspetti cognitivi dell'azione + Network View on: aspetti cognitivi successivi al reato + Network View on: F:*ASPETTI EMOTIVI DELL'AZIONE E SUCCESSIVI_2 + Network View on: F:antecedenti storici (NEG) con coinvolgimento familiare_1 + Network View on: funzione maturativa e responsabilizzante del carcere + Network View on: Punto di vista degli attori esterni_1 + Network View on: Strategie di autopresentazione_1 (-) Unifying 124 objects ------------------------------------------------ Unifying 34 Primary Docs: ------------------------------------------------

Segue elenco dei documenti primari e delle intersezioni fra le quotations

Unifying 90 Quotations: ------------------------------------------------ -------------------------------------- Object sizes per object type after merge: Object Type HU after merge -------------------------------------- Primary Docs 34 Quotations 1648 Codes 586 Codings 2220 Memos 14 Network Views 14 Primary Doc Families 7 Code Families 78 Memo Families 1 Code-Links 0 Hyper-Links 3 --------------------------------------

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Appendice G

Criteri per la valutazione dei resoconti di ricerca qualitativa**

1. Le metodologie sono appropriate per la natura delle domande di ricerca? La ricerca tenta di comprendere processi o strutture, oppure dà indicazioni sulle

esperienze soggettive o sui significati? Sono presenti categorie o gruppi di individui che non possono essere preselezionati, o i cui

possibili risultati non possono essere specificati in anticipo? Un approccio quantitativo avrebbe consentito di raggiungere gli obiettivi in maniera

migliore? 2. La connessione con un precedente corpo di conoscenze o teorie è chiaro? Ci sono adeguati riferimenti alla letteratura? Il lavoro è coerente con, o si contrappone criticamente, un modello teorico precedente?

Metodologie 3. Viene dato conto dei criteri usati per la selezione dei soggetti dello studio, per la raccolta

e l’analisi delle informazioni? 4. La selezione dei partecipanti è teoricamente giustificata? Le unità di ricerca possono essere persone, eventi, istituzioni, selezioni di comportamenti

naturali, conversazioni, materiali scritti, etc. In ogni caso, sebbene il campionamento casuale può non essere appropriato, tuttavia è chiaro a quale popolazione si riferisce lo studio?

È dato risalto al fatto che le unità scelte possono essere peculiari per qualche ragione? 5. La sensibilità delle metodologie è coerente con le domande di ricerca? La metodologia accetta le implicazioni di un approccio che rispetta le percezioni dei

partecipanti? In che misura ci sono definizioni o aspetti centrali dati per scontati piuttosto che essere

criticamente esaminati o lasciati aperti? Sono considerati i limiti relativi all’uso delle interviste?

6. La relazione fra il ricercatore e i soggetti è stata considerata e ci sono prove che la ricerca è stata presentata e spiegata ai partecipanti? Se ha partecipato più di un ricercatore, è stata considerata la confrontabilità? Ci sono evidenze sulle percezioni dei partecipanti? Ci sono evidenze sui processi di gruppo coinvolti?

7. La raccolta e la registrazione dei dati sono sistematici? Le registrazioni sono accurate? Sono disponibili prove su esami indipendenti? Se appropriati, sono stati utilizzati testi o trascrizioni delle conversazioni?

** Il testo è la traduzione dell’Appendice A riportata in Seale (1999, pp. 189-192).

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Analisi 8. Ci sono riferimenti a procedure accettate per l’analisi? È chiaro come è stata condotta l’analisi? È stata considerata la sua affidabilità anche rispetto a ripetizioni indipendenti?

9. Quanto l’analisi è sistematica? Quali tappe sono state seguite per controllare la selettività nell’uso dei dati? Nelle ricerche con individui è chiaro che non c’è stata una selezione di alcuni casi o una

esclusione dei meno interessanti? Nelle ricerche su gruppi, sono state tenute in considerazione tutte le categorie di opinioni?

10. C’è un’adeguata discussione di quanto i temi, i concetti e le categorie sono fatte derivare dai dati? A volte è inevitabile usare categorie descrittive esterne o predeterminate, ma sono state

esaminate rispetto al loro reale significato o sulle possibili ambiguità? 11. C’è un’adeguata discussione delle prove a favore e contro le argomentazioni del ricercatore? Sono forniti dati negativi? C’è una ricerca attiva di casi che potrebbero smentire le

conclusioni? 12. È stata testata la validità dei risultati? Per esempio, sono state usate tecniche come il riscontro dei rispondenti, la triangolazione,

oppure procedure come quelle previste dalla grounded theory? 13. Ci sono fasi per vedere se l’analisi può essere comprensibile per i partecipanti, se ciò è possibile e rilevante? I significati dei loro resoconti sono stati esplorati con i rispondenti? Le apparenti anomalie

e contraddizioni sono state discusse con loro? Presentazione 14. La ricerca è chiaramente contestualizzata? Sono state fornite tutte le informazioni sul contesto e sulla ricerca? Tutte le variabili sono state studiate come integrate nel loro contesto sociale piuttosto che

astratte e decontestualizzate? 15. I dati sono presentati sistematicamente? Sono usate citazioni, note di campo, etc. in modo da consentire al lettore di valutare la

gamma delle evidenze usate? 16. C’è una chiara distinzione fra i dati e la loro interpretazione? Le conclusioni seguono i dati? (Bisogna notare che le fasi della ricerca - raccolta dei dati,

analisi, discussione - non sono di solito separate e gli articoli non seguono necessariamente gli schemi quantitativi di metodologie, risultati, discussione.)

17. È dedicato abbastanza spazio per chiarire al lettore le relazioni fra risultati e conclusioni? Sebbene la presentazione dei dati discorsivi richiede sempre più spazio di quella dei dati

numerici, l’articolo è sufficientemente conciso?

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18. La posizione dell’autore è chiaramente definite? È descritta la prospettiva del ricercatore? È stato esaminato il suo ruolo, i possibili biases e l’influenza sulla ricerca?

19. I risultati sono credibili e appropriati? Rispondono alle domande della ricerca? Sono plausibili e coerenti? Sono teoricamente e praticamente rilevanti, oppure sono insignificanti?

Aspetti etici 20. Sono stati considerati adeguatamente gli aspetti etici? Le questioni della confidenzialità (spesso particolarmente difficili nella ricerca qualitativa)

sono state affrontate in maniera adeguata? Sono state considerate le conseguenze della ricerca (incluso lo stabilirsi di relazioni con i

partecipanti, analizzare le aspettative, cambiare il comportamento, etc.).

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