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/ / 5 / / taccuino politico / / / / mondoperaio 1/2009 >>>> taccuino politico La crisi del PD Passato prossimo e futuro remoto >>>> Luciano Cafagna U no dei fondatori della democrazia americana disse che gli americani non avevano in comune un passato ma avrebbero avuto in comune il futuro. Ed evidentemente aveva in mente un gran- de futuro. I fondatori del Partito Demo- cratico dell’Italia del 2000 hanno avuto l’aria di pensare più o meno la stessa cosa per il loro partito. Il fatto è, però, che quanto al passato si sbagliavano clamorosamente e incredibilmente e che, purtroppo, questo errore è difficile possa non aver conseguenze quanto al futuro. I milioni di aderenti, o di eletto- ri, del Partito Democratico per la stra- grande maggioranza un passato lo ave- vano. Invece il Partito Democratico, nascendo, ha voluto presentarsi come una novità nella storia italiana. Ma il suo principale difetto è stato quello di presentarsi, da un lato, e inesorabilmen- te, come la soluzione definitiva dei pro- blemi dei vecchi partiti e, per contro con una forte deficienza nella visione del presente e del futuro. Inesorabil- mente, appunto, il Partito Democratico si è presentato come un tentativo di fusione fra l’eredità comunista e l’ere- dità della sinistra democristiana. E que- sto, purtroppo, restava in eccessiva evi- denza nella misura in cui mancava una visione chiara e profonda delle novità comparse nello scenario italiano. Ne vogliamo indicare qui soltanto alcu- ne fra le più importanti. La prima fra queste è certamente il mutamento maturato nella posizione della Chiesa rispetto alla politica. Il fenomeno in questione va distinto in due tempi. In un primo tempo è da registrare il gran- de accrescimento di prestigio politico che alla Chiesa è derivato dall’azione svolta dalla Chiesa polacca e dal suo leader, non a caso divenuto poi Ponte- fice, nella battaglia, di dimensione mondiale, contro il comunismo. Que- sto grande successo durante il pontifi- cato di Giovanni Paolo II si è venuto sovrapponendo, nella sua valenza e nei suoi significati, all’aura di rinnova- mento umanistico diffusa dal Concilio Vaticano II degli anni ‘60. Durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, le due onde parvero in parte potere convivere. Ho detto “in parte”: con un mutamento di proporzioni in favore della seconda onda nell’ultima fase di quel pontificato. Con l’avvento di Benedetto XV si deli- nea addirittura, e per dirla un po’ sbri- gativamente, un definitivo obnubila- mento della svolta conciliare, o per lo meno dello spirito con cui questa era stata vissuta da una buona parte del mondo cattolico. In questo nuovo con- testo la presenza nella politica e quindi la dimensione italiana della Chiesa, ha assunto addirittura un carattere che qualcuno ha potuto definire neo-tempo- ralistico. In un clima siffatto anche coloro che – come chi scrive – hanno sempre pensato difficile in Italia ai nostri giorni governare senza un positi- vo rapporto con il mondo cattolico, non potevano non mettere in guardia relati- vamente alla difficoltà di convivenza in uno stesso partito di sinistra di laici e cattolici attivi: essendo possibili fra questi ampie alleanze su temi economi- ci, sociali, di politica internazionale, ma rendendosi sempre più irta e difficile la convergenza sui temi che vengono det- ti “eticamente sensibili”. Convergenze e tensioni, in un contesto caratterizzato da queste difformità possono convivere senza troppe difficoltà in alleanze e coalizioni, ma molto improbabilmente in uno stesso partito. La scelta del PD non ha tenuto conto di questo e se ne vedono ora gli effetti. Alla stessa stregua non si è tenuto con- to, in tutta la sua ampiezza, del grande fenomeno demografico e sociale rap-

La crisi del PD Passato prossimo e futuro remoto marzo/003taccuino... · Passato prossimo e futuro remoto >>>> Luciano Cafagna U no dei fondatori della democrazia americana disse

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>>>> taccuino politico

La crisi del PD

Passato prossimoe futuro remoto>>>> Luciano Cafagna

Uno dei fondatori della democraziaamericana disse che gli americani

non avevano in comune un passato maavrebbero avuto in comune il futuro. Edevidentemente aveva in mente un gran-de futuro. I fondatori del Partito Demo-cratico dell’Italia del 2000 hanno avutol’aria di pensare più o meno la stessacosa per il loro partito. Il fatto è, però,che quanto al passato si sbagliavanoclamorosamente e incredibilmente eche, purtroppo, questo errore è difficilepossa non aver conseguenze quanto alfuturo. I milioni di aderenti, o di eletto-ri, del Partito Democratico per la stra-grande maggioranza un passato lo ave-vano. Invece il Partito Democratico,nascendo, ha voluto presentarsi comeuna novità nella storia italiana. Ma ilsuo principale difetto è stato quello dipresentarsi, da un lato, e inesorabilmen-te, come la soluzione definitiva dei pro-blemi dei vecchi partiti e, per controcon una forte deficienza nella visionedel presente e del futuro. Inesorabil-mente, appunto, il Partito Democraticosi è presentato come un tentativo difusione fra l’eredità comunista e l’ere-dità della sinistra democristiana. E que-sto, purtroppo, restava in eccessiva evi-denza nella misura in cui mancava unavisione chiara e profonda delle novitàcomparse nello scenario italiano. Ne vogliamo indicare qui soltanto alcu-ne fra le più importanti. La prima fraqueste è certamente il mutamentomaturato nella posizione della Chiesarispetto alla politica. Il fenomeno inquestione va distinto in due tempi. In

un primo tempo è da registrare il gran-de accrescimento di prestigio politicoche alla Chiesa è derivato dall’azionesvolta dalla Chiesa polacca e dal suoleader, non a caso divenuto poi Ponte-fice, nella battaglia, di dimensionemondiale, contro il comunismo. Que-sto grande successo durante il pontifi-cato di Giovanni Paolo II si è venutosovrapponendo, nella sua valenza e neisuoi significati, all’aura di rinnova-mento umanistico diffusa dal ConcilioVaticano II degli anni ‘60. Durante illungo pontificato di Giovanni Paolo II,le due onde parvero in parte potereconvivere. Ho detto “in parte”: con unmutamento di proporzioni in favoredella seconda onda nell’ultima fase diquel pontificato. Con l’avvento di Benedetto XV si deli-nea addirittura, e per dirla un po’ sbri-gativamente, un definitivo obnubila-mento della svolta conciliare, o per lomeno dello spirito con cui questa erastata vissuta da una buona parte delmondo cattolico. In questo nuovo con-testo la presenza nella politica e quindi

la dimensione italiana della Chiesa, haassunto addirittura un carattere chequalcuno ha potuto definire neo-tempo-ralistico. In un clima siffatto anchecoloro che – come chi scrive – hannosempre pensato difficile in Italia ainostri giorni governare senza un positi-vo rapporto con il mondo cattolico, nonpotevano non mettere in guardia relati-vamente alla difficoltà di convivenza inuno stesso partito di sinistra di laici ecattolici attivi: essendo possibili fraquesti ampie alleanze su temi economi-ci, sociali, di politica internazionale, marendendosi sempre più irta e difficile laconvergenza sui temi che vengono det-ti “eticamente sensibili”. Convergenzee tensioni, in un contesto caratterizzatoda queste difformità possono conviveresenza troppe difficoltà in alleanze ecoalizioni, ma molto improbabilmentein uno stesso partito. La scelta del PDnon ha tenuto conto di questo e se nevedono ora gli effetti. Alla stessa stregua non si è tenuto con-to, in tutta la sua ampiezza, del grandefenomeno demografico e sociale rap-

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presentato del passaggio storico dell’I-talia da paese di emigrazione (poi dimigrazioni interne) a paese d’immigra-zione. E vorrei concludere su questeinadeguatezze di visione programmati-ca e politica sottolineando come il PD,di fronte all’evidente dimensionemacrostorica della crisi economicasopraggiunta pressappoco al momentostesso della sua nascita, abbia persol’occasione di collocarsi con autorevo-lezza in un nuovo rapporto “patriottico”fra opposizione e governo, tale da ade-guare la costituzione materiale del pae-se alla svolta bipolare della cosiddettaseconda Repubblica. Le sfortunate vicende elettorali chehanno colpito il PD nell’anno e mezzo,seguito alla sua nascita hanno una fon-te duplice da un lato ha pesato il gravefallimento della coerenza coalizionaledel governo Prodi; ma dall’altro, indub-biamente, ha pesato questa sorta dismarrimento del nuovo partito di fronteal rapporto fra passato e futuro.Dal tempo della crisi della primaRepubblica e dei suoi partiti sono tra-scorsi quindici-venti anni, effettiva-mente quasi il tempo di una generazio-ne: è presente, cioè, sulla scena unagenerazione nuova che della primaRepubblica ha solo una nozione tra-mandata. Ma, si badi: prima di tutto lastoria è parte anche di chi non l’ha vis-suta direttamente; e, in secondo luogo,l’ultima generazione in età politica èsolo un terzo, al massimo, della popola-zione politica ed elettorale. Non pochinella presente crisi che affligge il PDsembrano propensi ad auspicare un rin-novamento generazionale della dirigen-za di quel partito. Se nuovi giovani dilevatura e dotati di idee dovesseroemergere sarebbe certo ottima cosa e unricambio ampio e netto potrebbe essereauspicabile. Ma non se ne può ragiona-re in astratto: nuovi uomini giovani enuove idee debbono vedersi e sentirsi.Dario Franceschini, succeduto a Veltro-ni, ha 50 anni. Come età rappresentaquindi, un ponte fra le generazioni. Haun’altra importante caratteristica: delledue aree di provenienza dei quadri del

nuovo partito appartiene a quella exdemocristiana. Però nella dichiarazionefatta dopo l’investitura ricevuta dopo ledimissioni di Walter Veltroni, ha preci-sato di sentirsi sul versante della liber-tà di scelta e non su quello propenso alpeccato come reato nella grande verten-za sui temi “eticamente sensibili”. Que-sta, e cioè la scelta forte del principiodella laicità, è una chiave di volta perquel che concerne il futuro e la soprav-vivenza unitaria del Partito Democrati-co. Implica però la formazione esplici-ta di un’area politica cattolica di apertodissenso nei confronti del neo-tempora-lismo vaticano.

La crisi del PD

Vivere democristiani>>>> Alberto Benzoni

“N on voglio morire socialdemo-cratico”. Che cosa mai signifi-

ca? Diciamo subito che non si tratta diun testamento biologico-politico. Deltipo: “nessuno deve approfittarsi dellamia, eventuale, situazione di coma pro-fondo, per far aderire il mio partito alPSE”. Piuttosto si tratta di un fuoco disbarramento preventivo rispetto adun’ipotesi che, allo stato, non esiste.Praticamente impossibile, infatti, che ilPD in quanto tale (o anche la lista per leeuropee), faccia riferimento al sociali-smo europeo o al suo gruppo parlamen-tare. Assai più probabile, invece, che cisi collochi in una logica vagamentefederativa, suscettibile di interessareanche la componente liberal-democrati-ca. Un “arrangiamento” che andrebbebene a tutti: ai socialisti/socialdemocra-tici europei, interessati a costruire unsistema di alleanze il più ampio possi-bile, per confrontarsi, sulla politica e,soprattutto, sul potere con i popolarinelle condizioni più vantaggiose possi-bili; e al PD nostrano per essere, insie-me, molto libero e molto collegato.Perché, allora, fare la voce grossa?

Insomma, contro che cosa e da parte dichi? Si teme, o si mostra di temere, una“deriva” ( parola che fa proprio al casonostro perché, insieme, vaga ed inquie-tante); insomma una sorta di ritorno,magari inconsapevole, a vizi, abitudini,“tic” politico-ideologici che si annide-rebbero nel Dna del Grande fratellodiessino. Vizi, abitudini, modi di esse-re, di tipo, beninteso, “socialdemocrati-co”. (Per noi, poveri menscevichi, nonè decisamente possibile alcuna reden-zione; siamo sempre lì a tarpare le ali atutti; che si tratti di rivoluzionari inten-ti a denunciare le nostre complicità conil capitalismo; o, più modestamente dipersone intente a costruire il “nuovo”,superando schematismi e anticaglieideologiche d’ogni tipo).Attenzione, però: a denunciare pericolie “derive”socialdemocratiche sono duecomponenti del PD molto diverse traloro. C’è Rutelli con il suo revisioni-smo spinto, le sue alleanze di nuovoconio e il suo filo diretto con le gerar-chie; ma ci sono anche gli ulivo-prodia-ni con la loro aspirazione ad una oppo-sizione rigorosa e le loro nostalgie uni-tarie. Il primo vedrà nella socialdemo-crazia la copertura dell’emarginazionedei moderati e dell’egemonismo DS; isecondi il tentativo, del tutto improprio,di definire, limitandola, una formazionepolitica che può continuare ad essere“tutto per tutti”, in linea generale solo acondizione di non rappresentare qual-cuno o qualcosa in particolare.Aspirazioni terza forziste e nostalgieuliviste sono, d’altra parte, ambeduetotalmente periferiche rispetto alla cul-tura margheritina ( e, per la proprietàtransitiva, democristiana). Questa appa-re, infatti, totalmente a suo agio nelcontenitore PD; sino al punto di gestir-lo e di rappresentarlo all’esterno, congrande efficacia e con risultati assoluta-mente insperati. Così a Dario France-schini sembra, almeno per ora, riuscitala triplice impresa: di ricollocare il par-tito a sinistra, riproponendo, in bellacopia, alcune tematiche dipietriste; dicostruire un gruppo di collaboratori (anche se non “dirigente”; il principio di

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precauzione vale anche nelle analisipolitiche) ad un tempo più giovane epiù “radicato nel territorio”; e, infine, di“baipassare” correnti e caminetti dimarca essenzialmente Ds. Tutta robaprovvisoria, naturalmente, e che potràdifficilmente sopravvivere ad un impat-to negativo delle europee; però unaroba che ha una bella apparenza. Così,ancora, (risultato, se vogliamo, ancorapiù straordinario), vincono nettamentealle primarie candidati ex margheritini:e non, che so, a Brescia o a Verona; main luoghi sacri del municipalismocomunista, come Bologna e Firenze.Ora, perché tutto questo? Nell’imme-diato, si è tentati di ricorrere ad unainterpretazione collaudata nel corso didecenni. Una interpretazione secondola quale la promozione dell’Altrosarebbe il frutto di un disegno dei pro-motori: rassicurare i moderati, mostraredi rinunciare a tentazioni egemoniche,supplire, in vari modi, alla propriainsufficiente legittimazione politica evia discorrendo. Una prassi che ha unalunga storia: partendo dai fronti popola-ri, contribuendo al fenomeno degli indi-pendenti di sinistra, per concludersi conla scelta di Romano Prodi.Ora, la nostra impressione è che questalunga fase storica si sia conclusa con lapresidenza di D’Alema e con la segre-teria di Veltroni: a questo punto gli ere-di del PCI non hanno più bisogno di“coprirsi a destra” o di rassicurare tra-mite terzi; si dichiarano in prima perso-na e ci mettono la faccia. E, allora, ilnuovo protagonismo degli ex margheri-tini ha tutt’altre ragioni; ed è dovuto, inestrema sintesi, più alle loro capacitàintrinseche che a carenze o, peggio,concessioni altrui. Nello specifico,Franceschini non è stato eletto per ilsuo ipotetico “appeal”moderato; maper ricompattare il PD e, possibilmente,l’opposizione in vista dei prossimiappuntamenti elettorali. Mentre, se nonDel Bono, sicuramente Renzi deve ilsuo successo alla sua capacità di rein-ventarsi come contestatore/sbeffeggia-tore di schemi e apparati di potere.E, allora, di quali “capacità intrinseche”

Beppino>>>> Ferruccio Saro

Con buona pace di Giuliano Ferrarae Ritanna Armeni, Beppino Engla-

ro è socialista. Al contrario di altri cheschierandosi sul fronte avverso hannorivendicato anche questa appartenenzaper negare la matrice confessionaledelle loro scelte, non lo ha esibito neidiciassette anni in cui ha condotto lasua battaglia di padre e di cittadino. Hail diritto di dirlo, e di dire tante altrecose, nel momento in cui il suo dram-ma privato è diventato oggetto di undibattito pubblico decisamente soprale righe.La storia della famiglia Englaro è rac-chiusa nella storia della Carnia, la ter-ra da cui gli Englaro sono stati pla-smati. Si dice che il destino di unuomo coincida con il destino della suaterra. Per comprendere a fondo levicissitudini che hanno caratterizzatonon soltanto gli ultimi diciassette annidi battaglie legali, ma soprattutto ilcapitolo finale dell’esperienza umana,è necessario soffermarsi sulle caratte-ristiche della terra da cui provengonogli Englaro, quella Carnia che ha inci-so nel suo dna una solida tradizionesocialista: qui, tra fine Ottocento e iprimi del Novecento, si sono formatele correnti di pensiero appartenenti alsocialismo umanitario e afferenti alleposizioni anarchico-libertarie che han-no forgiato l’identità carnica. La Carnia è una terra che ha vissuto ilfenomeno dell’emigrazione: tantifacevano le valigie per puntare su Ger-mania, Francia, Svizzera, luoghi que-sti in cui si sono conosciute da vicinolibertà, dignità, identità. All’estero icarnici hanno potuto entrare in contat-to con le teorie di pensiero incentratesul diritto alla libertà. Si sono annoda-ti gli intrecci che hanno condotto dallateoria all’azione la lotta combattuta innome e per conto delle fasce deboli,delle classi sociali emarginate, delladignità del popolo. Gli influssi di que-sto pensiero hanno plasmato la cullacarnica che ha ascoltato e inglobatoqueste concezioni, al punto da asse-gnare il 30 per cento alla causa socia-lista nelle varie elezioni.

La storia di Beppino Englaro rientra nelcopione. Il tipico carnico che da giova-ne ha preso la strada della Svizzeradove, grazie ai sacrifici e al concetto dilavoro duro, ha assunto man mano ruo-li di rilievo in un’azienda che conta unaforte presenza anche in Italia. Giunse aLecco per far nascere la figlia in suoloitaliano. Fra lui e il fratello Armando,che dagli anni Ottanta fino alla cadutadella Prima Repubblica è stato il segre-tario della sezione di Paluzza del PSI,c’è sempre stato un legame di solida-rietà. La formazione di Beppino si è ali-mentata in un ambiente che avevacome punto nodale la battaglia per lalibertà. Non ha mai nascosto di aversposato posizioni laiche e al tempostesso solidali. Il binomio “libertà esolidarietà” è il backgroundda cui pro-viene Beppino che ha sempre volutomuoversi in un contesto di massimalegittimità. Beppino e la moglie Satur-na nutrivano verso la loro figlia Eluanaun amore totale. Il loro era un rapportosimbiotico. Di Eluana continuava aripetere Beppino, come un ritornello,che “Eluana amava fino in fondo lalibertà; era il puledro della libertà”. Illegame con la Carnia è rimasto vivo,sempre. Eluana veniva in vacanza nellasua terra e passeggiava con il nonno perle strade della montagna. L’ imprinting culturale ha caratterizza-to tutti i diciassette anni di azioni lega-li portate avanti da Beppino. Dopo ildrammatico incidente che ha ridottoEluana in stato vegetativo, Beppinonon ha agito come avrebbero fatto gliipocriti o i sostenitori della doppiamorale. Innanzitutto ha cercato dicapire in tutti i modi se sua figliapotesse un giorno riavere una vita“normale”. Non appena gli esami e leprove scientifiche hanno escluso que-sta possibilità, Beppino ha dato inizioalla sua battaglia giuridica. Lunghissi-ma. Altri, nella sua condizione, avreb-bero portato la figlia a casa e ‘sistema-to’ le cose, o avrebbero chiuso il capi-tolo in Svizzera. L’ultimo capitolo diEluana è cronaca di poco tempo fa.Beppino ha trovato nel Friuli la terrache l’ha riaccolto, insieme alla figlia.Al di là delle divisioni politiche, ilFriuli ha capito la lotta di Beppino.

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si tratta? Azzardiamo un’ipotesi: glieredi della tradizione democristianasono, da ogni punto di vista, “più agili”(s’intende, in senso politico-culturale,non morale…) rispetto ai loro compa-gni di partito. Più agili:più aperti aicontatti, alle mediazioni, alle eventualiinclusioni. Più agili: più disponibili anuovi approcci o a mutamenti di linea.Più agili: meno condizionati dalle“pesantezze” ( ideologiche o di altrotipo) del passato e, nel presente menoossessionati da problemi di linea.Più agili: e anche più longevi, politica-mente parlando almeno. Così, i nostrinon hanno di che preoccuparsi in meri-to alla loro etichettatura in punto dimorte; perché vivranno, politicamente,a lungo, e bene, da ex democristiani; eliberi dal fastidioso assillo di rivendica-re o di rinnegare il proprio passato.

Englaro

Il diritto e la natura>>>> Mario Ricciardi

Contrariamente alle previsioni, lafine di Eluana Englaro è stata

repentina. Mentre in Senato si assistevaa una delle peggiori gazzarre degli ulti-mi anni, l’agonia di questa giovanedonna si è finalmente conclusa. Eluanaaveva cominciato a morire la sera del18 gennaio del 1992, quando rimasevittima di un incidente d’auto. A queitempi questa bella ragazza bruna, le cuiimmagini sorridenti sono nel tempodiventate familiari a tutti gli italiani,aveva vent’anni. Ce ne sono voluti altridiciassette perché ella potesse abbando-nare definitivamente quella sorta dilimbo in cui si è trovata. Costretta a let-to, priva di conoscenza, ma ciò non-ostante viva perché alcune parti del suocorpo funzionavano nonostante i dannisubiti dal suo cervello, e hanno conti-nuato a farlo grazie ai progressi dellamedicina che hanno consentito di ali-mentarla e idratarla artificialmente.

Solo a seguito dell’interruzione di que-sti trattamenti – autorizzata dalla magi-stratura su richiesta del padre Beppino– gli organi di Eluana hanno ceduto,recidendo l’ultimo filo che la tenevacaparbiamente in vita. Ciò è avvenutoal termine di una tormentata vicendagiudiziaria iniziata nel 1999, quando ilpadre della ragazza ha chiesto al tribu-nale di Lecco di poter interrompere itrattamenti che mantenevano sua figliain quello che nel frattempo i mediciavevano classificato come “stato vege-tativo permanente”. Una diagnosiinfausta, che non lasciava e non lasciaalcuna ragionevole speranza di recupe-ro. Nel 1999, la risposta del tribunale ènegativa. Tuttavia, il signor Englaronon si arrende, e intraprende una batta-glia per ottenere l’autorizzazione legaleper lasciar morire sua figlia. Con unadeterminazione che in un paese inclinealle sfumature come il nostro appare amolti aliena – e dunque sospetta – Bep-pino Englaro chiede di interromperel’alimentazione e l’idratazione artificia-le che tengono in vita la figlia perchésostiene che questa sarebbe la sceltache la stessa Eluana avrebbe compiutose solo ne avesse avuto la possibilità.Respinta diverse volte, la richiesta delsignor Englaro viene infine accolta dal-la Corte d’Appello di Milano i cui com-

ponenti, con la sentenza del 9 luglio del2008, autorizzano – sia pure con “per-sonale sofferenza” – l’interruzione del“trattamento di sostegno vitale artificia-le”. La decisione della Corte d’Appellosegue quella della Cassazione del 16ottobre del 2007, che aveva rinviato laquestione ai giudici di merito ponendodue condizioni per l’accoglimento dirichieste come quella del padre di Elua-na: che lo stato vegetativo del pazientesia irreversibile e che si accerti, sullabase di elementi di fatto ritenuti atten-dibili dai giudici, che il paziente, quan-do era cosciente, non avrebbe prestatoil suo consenso alla continuazione deltrattamento.La pronuncia della Corte di Cassazionefornisce alla Corte d’Appello di Milanouna cornice normativa – per quanto for-mulata in modo inevitabilmente vago –entro la quale rispondere alla richiestadel padre di Eluana, che ne era anche iltutore legale. La concessione dell’auto-rizzazione all’interruzione dell’alimen-tazione e dell’idratazione artificialeindica che i giudici milanesi si sonoconvinti che le due condizioni postedalla Cassazione sono soddisfatte, equindi si può procedere con l’interru-zione dei trattamenti che tengono invita Eluana.In una democrazia liberale si possono

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criticare le sentenze. Anzi, si potrebbesostenere che si deve, quando si è con-vinti che contengono un ragionamentofallace o che non sono adeguatamenteargomentate. Tuttavia, il legittimo – etalvolta salutare – controllo da partedell’opinione pubblica dovrebbe sem-pre essere esercitato con rispetto sia dichi giudica e delle parti, sia della veri-tà. Purtroppo nel nostro paese spessonon ci si attiene a questa regola ele-mentare del dibattito pubblico, con con-seguenze perniciose. Un esempio diquesto tipo di distorsione c’è stato indiverse reazioni alla morte di EluanaEnglaro che, come ha detto qualcuno, èstata uccisa “per sentenza”. In partico-lare colpisce la disinvoltura con cui èstata richiamata la vicenda di TerrySchiavo, affermando che ci troverem-mo di fronte alla stessa situazione. Inrealtà le cose non stanno in questomodo. Se è vero che, dal punto di vista medi-co, i due casi sono simili, da quellolegale e morale essi presentano asim-metrie che non è possibile trascurare.Nel caso della Schiavo, infatti, le testi-monianze relative alla volontà delladonna di non essere sottoposta indefini-tamente a trattamenti che la tenesseroin vita se si fosse trovata in stato vege-tativo senza ragionevole possibilità direcupero non erano affatto concordanti.Contro quella del marito, di suo fratelloe della cognata, c’erano le deposizionidella madre della donna e di un’amicadi infanzia che affermavano il contra-rio. La Corte alla fine ha ritenuto che leprime fossero più attendibili delleseconde, autorizzando la sospensionedell’alimentazione. Un verdetto chemolti hanno criticato anche alla lucedella personalità di Michael Schiavo, ilmarito di Terry, le cui motivazioni sonoapparse a diversi commentatori non deltutto limpide.Nel caso di Eluana Englaro, invece,nessuno ha mai proposto testimonianzediscordanti relative alla volontà delladonna di non essere tenuta in vita artifi-cialmente. Nemmeno è mai stata messain dubbio l’attendibilità o la buona fede

dei testimoni sentiti nel corso del pro-cesso. Se proprio si volesse richiamareun precedente rilevante per criticare ledecisioni della magistratura italiana sulcaso Englaro si dovrebbe guardare piut-tosto alla decisione della Corte Supre-ma degli Stati Uniti nel caso Cruzan v.Director Missouri Department ofHealth del 1990. Si tratta di una pro-nuncia relativa a un caso del tutto simi-le a quello della Englaro perché fonda-to su testimonianze concordanti. In quelprocedimento, la Corte Suprema Fede-rale decise a maggioranza di conferma-re la decisione della Corte Suprema delMissouri che aveva respinto la richiestadi sospendere l’alimentazione e l’idra-tazione artificiali in quanto ritenne chele condizioni imposte dai giudici localiper concedere l’autorizzazione non fos-sero incostituzionali. In particolare, laCorte del Missouri aveva stabilito chein assenza della dichiarazione formaleprevista dalla legislazione statale sulledisposizione anticipate (il c.d. LivingWill) ci fossero almeno “chiare e con-vincenti, intrinsecamente affidabili”prove della volontà della paziente dinon essere sottoposta a trattamento pertenerla in vita in circostanze come quel-le in cui si trovava al momento dellasentenza. Pur ammettendo l’esistenzadi un diritto costituzionale di rifiutareun trattamento sanitario, l’estensoredella sentenza della Corte SupremaFederale (l’allora Chief JusticeRehn-quist) ha sostenuto che gli Stati posso-no stabilire requisiti di prova stringentiquando la volontà di morire deve esse-re ricostruita indirettamente.La sentenza del caso Cruzan è conside-rata tuttora un precedente dotato diautorità nella giurisprudenza della Cor-te Suprema in materia di diritto morire.Gli argomenti di Rehnquist sono staticriticati, ad esempio da Ronald Dwor-kin, ma rimangono ancora oggi unatestimonianza importante di come sipossa tentare di conciliare il diritto del-le persone di rifiutare un trattamentosanitario con l’esigenza pubblica ditutela della vita di chi si trova in unasituazione di vulnerabilità. Per quel che

riguarda il nostro paese, la sentenzaCruzan offre due spunti di riflessioneimportanti per il dibattito in corso dopola morte di Eluana Englaro. In primoluogo che, anche se si ammette che c’èun diritto costituzionale di lasciarsimorire, la volontà di esercitarlo dovreb-be essere espressa in modo univoco eformale. In secondo luogo che, inassenza di uno strumento legale per dis-porre dei trattamenti cui si viene sotto-posti, le prove testimoniali presentanoun rischio maggiore di abusi o errori equesto giustifica l’adozione come rego-la di defaultdi una presunzione in favo-re della volontà di continuare a vivere,sia pure sottoposti a alimentazione eidratazione artificiali.A tale proposito, vale la pena di sottoli-neare che le sentenze della Cassazionee della Corte di Appello di Milano sulcaso Englaro hanno posto le premesseper superare un’obiezione sollevata piùvolte, specialmente da ambienti cattoli-ci. La sostanza di tale obiezione è laseguente: cessare l’alimentazione e l’i-dratazione sarebbe inammissibile per-ché “nutrimento” e “acqua” non sono“terapie”, e dunque non sarebberocoperte dal divieto di accanimento tera-peutico. In altre parole, continuando anutrire e a idratare il corpo di Eluana, imedici non l’avrebbero curata inutil-mente, ma invece l’avrebbero tenuta invita. La conseguenza che se ne dovreb-be trarre è che cessare di farlo era equi-valente a ucciderla. Si tratta di un’obie-zione che bisogna prendere sul serio.Tuttavia, non credo che si possa acco-glierla. Se è vero che le sostanze nutri-tive che venivano somministrate aEluana non sono in senso stretto “tera-pie”, c’è da chiedersi se questa sia unaragione sufficiente per ritenere chesospenderle equivalga a uccidere inmodo ingiustificato un essere umano.Si ha l’impressione che chi ragiona inquesto modo assuma una concezionedella vita che finisce per farla coincide-re in alcune circostanze estreme con ilsemplice svolgimento di certe funzionidi parti del corpo umano. Posta questapremessa, impedire che tali funzioni

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proseguano sarebbe indubbiamente unomicidio. Si tratta di una posizione sor-prendente, soprattutto quando vieneproposta da persone che non dovrebbe-ro essere inclini a ridurre la vita allamateria. Appare inaccettabile l’idea cheper una persona vivere sia semplice-mente continuare a respirare indefinita-mente. Oppure a digerire. La respira-zione e la digestione sono indubbia-mente necessarie alla vita, e si può direche ne siano parte, ma non dobbiamodimenticare che lo sono in quanto sonoil respiro o la digestione di una persona.Se le capacità che sono tipiche delladimensione personale dell’esistenza siestinguono in modo irrimediabile,come accade a una persona che si trovada più di dieci anni in stato vegetativo,allora è difficile immaginare che si pos-sa attribuire al respiro o alla digestionelo stesso valore che diamo loro quandosono le funzioni vitali di una persona.Sorprende che un’interpretazione pura-mente fisiologica del vivere sia difesadai cattolici, perché la tradizione filoso-fica cui la Chiesa si richiama intendevala vita umana in modo più sofisticato,distinguendola dal semplice vegetare.C’è qualcosa di irragionevole – verreb-be quasi da dire di blasfemo – nel modoin cui certi ambienti hanno accreditatouna sorta di idolatria delle funzionivitali per opporsi sia agli atti di disposi-zione della propria vita, sia all’eutana-sia non volontaria. La decisione dellaCorte d’Appello di Milano dovrebbeessere anche un’occasione per rifletteresui guasti gravi che questo modo di rea-gire alla preoccupazione di abusi, con-divisa anche da molti non credenti, haarrecato al dibattito pubblico del nostropaese. Concentrarsi sugli indici biolo-gici della vita ha fatto perdere di vista amolti la questione della sua dignità, chenon può essere assicurata da un’alimen-tazione artificiale protratta in modoindefinito. Almeno non quando si puòescludere la speranza ragionevole diritorno alla coscienza.Eluana è stata viva per diciassette anni,in uno dei diversi modi in cui si puòdire che ci sia vita. L’interruzione dei

trattamenti ne ha provocato la morte.Ciò non è avvenuto per cattiveria o percattiva volontà di qualcuno ma perchéla magistratura ha ritenuto che ci fosse-ro prove sufficienti per concludere chenon sarebbe mai voluta vivere come hafatto fino a ora e che, come ciascuno dinoi, aveva il diritto di rifiutare di esseresottoposta a un trattamento sanitariocontro la propria volontà. La decisionedella Cassazione è stata presa in assen-za di una legge che disciplini in modospecifico questo tipo di circostanze, masulla base di una ricostruzione com-plessiva del diritto, considerando i prin-cipi costituzionali e le norme comun-que rilevanti per il caso. Da questo pun-to di vista non credo che si possa criti-

carla. Ciò nonostante, non penso siasaggio accontentarsi di un precedenteche attribuisce un peso determinantealle prove testimoniali nel ricostruire lavolontà di rifiutare un trattamento. Unavolontà presunta o ricostruita di morirenon è la stessa cosa di una dichiarazio-ne esplicita e formale, con le adeguategaranzie che essa rispecchi il giudizioponderato di una persona. Per questo ènecessaria una legge sulle disposizionianticipate. Sarebbe opportuno farlasenza ipocrisie, anche da parte dei noncredenti. Se si accetta il principio checiascuno ha diritto di disporre dellapropria vita chiedendo di non esseretenuto in vita artificialmente, diventadifficile giustificare che si neghino i

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mezzi necessari per morire in mododignitoso e indolore a un malato che ècosciente e non vuole continuare a sof-frire sapendo di non avere più alcunaragionevole speranza di guarigione.Anche se questo comporta il rischio diaccelerarne la morte.

Neopartitocrazia

Sotto la leadershipniente >>>> Cesare Pinelli

Le ultime vicende del Partito demo-cratico, con le dimissioni di Walter

Veltroni e l’elezione di Dario France-schini, non sono soltanto un importantefatto politico. Sono anche il primo ban-co di prova della tenuta del modello di“partito maggioritario”. Nel parlarne,vorrei però prescindere il più possibiledal fatto che proprio nell’ambito del PDil modello di partito maggioritario èstato teorizzato con la massima insi-stenza e praticato fra grandi sofferenzee contorcimenti, mentre il PdL non loha teorizzato affatto e ha cominciato apraticarlo senza troppi problemi. Miinteressa approfondire i propositi e leimplicazioni strutturali del modello inquanto tale. Esso si propone come alternativa aipartiti italiani della prima fase dellaRepubblica, con le loro oligarchie cor-rentizie al centro, coi loro apparatiautoreferenziali a livello locale, in defi-nitiva con la loro strutturale incapacitàdi includere, di esprimere qualcosa didiverso dall’autoperpetuazione del cetopolitico. Rispetto a questi partiti, repu-tati da un lato anacronistici, dall’altroabitati soltanto da uomini di poterequando non sepolti da Tangentopoli, ilpartito maggioritario si autoproponecome moderna associazione di cittadiniche eleggono un leader in gara per lapremiership di governo o di opposizio-ne, che non s’intendono di alchimie dipotere e ai quali del resto non è richie-

sto un impegno costante nelle strutturedi partito, a loro volta finalizzate allacompetizione elettorale più che alla dis-cussione politica quotidiana. Il modelloannunciato si incentra dunque sul man-dato a un leader eletto da un’ampiaassemblea rappresentativa di iscritti esimpatizzanti, sulla unione personalefra leader di partito e premiership, e suun’organizzazione snella, esclusiva-mente finalizzata alla selezione del per-sonale politico in vista delle scadenzeelettorali. Promette da una parte piùdemocrazia, nella misura in cui il leadergodrebbe di un surplusdi legittimazio-ne rispetto al tradizionale segretario perle modalità della sua elezione (non più“il chiuso delle segreterie” ma un’as-semblea aperta e largamente rappresen-tativa di cittadini), dall’altra più effica-cia decisionale, e si salda all’evidenzacon una conforme trasformazione dellaforma di governo parlamentare. Occorre, però, molta attenzione. Primadi tutto, dal 1994 sono passati quindicianni, troppi perché anche Candide nonpossa obiettare che il progetto di ristrut-turazione del sistema politico e deimodelli di partito è ancora lontanissimodall’essere compiuto. E troppi perchéqualcuno possa anche sognare un ritor-no ai partiti della prima fase dellaRepubblica. Quindici anni sono caso-mai sufficienti a gettare un primosguardo storico su quei partiti. Cheavranno avuto tutti i difetti che loro siimputano, ma che osservarono sempreregole chiare e ben conosciute, anche sequasi mai democratiche, per la designa-zione degli organi e dei candidati alleelezioni. Non capitava che non si sapes-se rispondere a domande del tipo: “Chiha collocato il signor X al posto Y ?”, o“Chi ha deciso questa posizione delpartito?”, o addirittura “Esiste una lineadel partito?”. Non capitava allora, e noncapita nei partiti europei. Capita invecespesso oggi in Italia, dopo che la que-stione dell’allocazione del potere neipartiti e dei partiti è stata rimossa daldiscorso pubblico. Si discute sì di rego-le interne, ma più per mostrare quantosono differenti da quelle tradizionali

che per individuarne, anzitutto, la fun-zione, e porre senza ipocrisie la que-stione del potere. Si parla molto, peresempio, di primarie, sul presupposto,in sé fondato, che si tratti di un sistemapiù democratico di selezione delle can-didature di quello preesistente; ma sepoi le regole sono incerte, confuse, ocomunque troppo a lungo discusse equindi non legittimate da una prassicondivisa, il discredito diventa mag-giore di quello che colpiva i partiti diun tempo. Alla lunga, il tentativo dicombinare una visione angelicata dellademocrazia e della partecipazione diiscritti e simpatizzanti con una tecnicadi investitura del leader che ne massi-mizzi le chances di immunità dalle cri-tiche fra una primaria e l’altra, e quindila distanza dalla base, rivela la contrad-dizione che porta con sé, favorendo unesercizio del potere più opaco di quan-to si verificasse un tempo. Non sono il partito leggero, le comuni-cazioni in rete, l’abbandono dei riti deipartiti del Novecento a portare necessa-riamente a questi risultati. È piuttostol’incentivo, insito nella strutturazionedel modello di partito annunciato, aridurre la propensione al rischio e amantenere nel tempo le proprie posizio-ni anche scontando momenti di impo-polarità. Questo contraddice il princi-pio di responsabilità, di corrisponden-za fra potere esercitato e responsabilitàper tale esercizio. È vero che il princi-pio non era operativo nemmeno primadel 1994, per assenza di ricambio dellamaggioranza fra una legislatura e l’al-tra. Ma oggi che c’è ricambio, il dibat-tito sui partiti e sul sistema politico èimprigionato in una falsa partita frainnovatori e conservatori che non con-sente nemmeno di vedere il problemadelle nuove oligarchie. Non c’è nulla dipiù propizio per consentire al potere dicontinuare a nascondersi ora meglio diprima. Non a caso le scelte e i comportamentidegli attuali partiti sui temi cruciali delfinanziamento dell’attività politica edella riforma elettorale sono ancora piùpartitocratici che in passato. Sul primo

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punto, dopo i tentativi di riforma deglianni Novanta, rivelatisi fallimentari, siva avanti con leggine di cassa votate disoppiatto. Come si spiega, poi, che sul-la legge elettorale del 2005 sia calato ilsilenzio? Il fatto è che, almeno perquanto riguarda le liste bloccate, l’at-tuale sistema fa comodo quasi a tutti,tranne a coloro che rimpiangono le pre-ferenze. Così, su una questione impor-tante come la selezione dei candidatialle elezioni, l’alternativa più gettonataa un meccanismo che impedisce qual-siasi scelta dei cittadini è il ritornoall’antico sistema delle cordate. Nella migliore delle ipotesi, il dibattitosi riduce perciò a questo fantasticodilemma, ignoto a qualsiasi democraziama inscritto nell’orizzonte della secon-da partitocrazia. Per uscirne, almenosul piano culturale, bisogna rovesciareil tavolo della partita truccata fra inno-vatori e conservatori. Questi ultimi,semplicemente, non esistono più, men-tre dopo quindici anni spetterebbe agliinnovatori l’onere della prova del cam-biamento. Se questo non c’è, e casomaic’è un peggioramento della qualità del-la convivenza democratica, vuol direche è tempo di voltare pagina sul temadelle funzioni e degli assetti interni deipartiti.

Riforme

Riformismoa tutto campo>>>> Paolo Pombeni

La questione delle riforme è in Italiauna specie di storia infinita, proprio

nel senso letterale del termine. È dallafondazione dello stato unitario che si rin-corre l’idea che bisognerebbe fare gran-di riforme che non si riescono mai a fare:prima Minghetti, poi Crispi, poi Giolitti,poi la svolta del primo dopoguerra, poilo stesso fascismo che volle definirsiriformatore e che di cambiamenti nefece non pochi, poi ovviamente la svolta

repubblicana, il centro-sinistra e viaelencando.In parallelo c’è la frustrazione crescentedi intellettuali e politici: per essi le rifor-me “vere” non si riescono mai a fare,abortiscono, al massimo c’è, secondouna famosa formula della storiografiaper l’attività di Giolitti, “un riformismosenza riforme”.Senza andare ad indagare se sia davve-ro così (a volte sì, a volte no), proviamoad interrogarci sulle radici di questacultura che costituisce un vincolo e unfreno sul cammino della realizzazionedelle riforme.Potrebbe sembrare banale se si dice cheè tutta questione del fatto che le riformesono da noi eccessivamente una questio-ne di partito. L’obiezione scontata è chedappertutto le riforme nascono da una“parte politica”, non fosse altro da quel-la che costituisce per l’appunto “il parti-to della riforma”. Vorrei mostrare cheperò è esattamente qui che casca l’asino.Le riforme, come qualsiasi interventoprofondo su un sistema politico, richie-dono condivisione e natura non parti-giana. Il cambiamento politico deverispondere agli stessi requisiti dellalegge: una volta fatta, deve essere iltesto della norma a parlare e si deve,nel limite del possibile, dimenticarecome si è arrivati ad esso e chi lo hapromosso. Una legge, inclusa la leggesuprema che è la Costituzione, quandoè “adulta”, cioè quando è stata promul-gata, perde i “padri” che non hanno piùdiritto di altri a dire cosa essa vera-mente sia.Il nostro problema nazionale è che benpochi credono a questa verità per leriforme. Esse sono praticamente sem-pre “di bandiera” e nascono da un per-corso pseudo-etico per cui non si puntaa migliorare una situazione esistente, arispondere ad un certo problema, ma adaffermare il “bene” contro il “male”.Dunque se le riforme passano sono unaaffermazione del bene sul male e imme-diatamente delegittimano tutti quelliche non hanno creduto in loro nel modopiù duro e puro. Se non passano, nonimporta, perché l’etica presuppone che

ci si batta senza compromessi per ilbene a prescindere dal possibile succes-so mondano.Aggiungiamo che in questa visionepseudo-religiosa delle riforme si insi-nua il virus inevitabile in ogni diatribacollocata in questi contesti: l’eterna lot-ta dei “puri” contro gli “impuri”, dei“veri credenti” contro i “credenti tiepi-di”, ecc. ecc. Il contorno di roghi più omeno simbolici e di scomuniche è ilcorollario a cui difficilmente si sfugge.In realtà una politica riformatricerichiede invece due cose: a) la convin-zione, razionalmente argomentabile,che la riforma proposta sia nell’inte-resse generale, sicché chi la proponenon vanta per sé alcuna superioritàmorale o politica, ma rende semplice-mente un servizio alla collettività; b)la disponibilità ad un largo lavoro dielaborazione in comune, di allarga-mento della cultura che sottostà aquella riforma, nella consapevolezzache la razionalità di quanto si proponealla fine farà breccia.Ovviamente i partiti storici non amanomolto questa impostazione dell’oriz-zonte riformatore, perché sottrae loro lapossibilità di intitolarsi un successopolitico e dunque di viverci sopra direndita. Non sarebbe affatto impossibi-le mostrare come le azioni di successoin questo campo in realtà producanoeffetti dinamici, cioè rafforzino la fidu-cia di tutti i cittadini verso la classepolitica, sicché alla fine tutte le parti netraggono profitto, pur se si mette inmoto una considerazione positiva versochi è stato maggiormente attivo eresponsabile nel realizzare le riforme.Ciò che è molto difficile è convincere leclassi dirigenti dei partiti di questa veri-tà storica che entra in collisione coi lorointeressi. I gruppi dirigenti non sonointeressati alla dinamica di un sistema,se non vedono garantiti a priori deglisbocchi che li rafforzino. Solo in raricasi, quando hanno alla loro testa leaderrealmente carismatici, hanno fiduciache comunque il moto di marea delcambiamento possa giocare a loro favo-re. Per questa ragione c’è da parte loro

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grande difficoltà ad accettare la veraottica riformista che è quella del dialo-go e del confronto a tutto campo, accet-tando di mettere tra parentesi le proprieinsegne di guerra interpartitica in nomedi una più generale battaglia per quelloche una volta si chiamava il progresso eche oggi non si sa più come definire.Questa realtà la si può superare solo sesi dispone un contesto più ampio delconfronto fra i partiti politici su cuiinnestare il meccanismo riformista: inparole povere se si dispone di una are-na sovra- e inter-partitica a cui riporta-re il dibattito sulle riforme da fare. Unavolta la si chiamava società civile,adesso non so.

Magistratura

L'ideologia italiana>>>> Pio Marconi

Una ideologia si aggira per l’Italia.Ideologia in senso forte: “idee fal-

se”, “fantasie”, prodotto dell’“immagi-nazione” (Marx! Engels! 1846!). Ecco-ne alcuni esempi. Il sistema che collocanella stessa carriera giudici e accusato-ri è un modello di civiltà. Un autogo-verno affidato a correnti politiche (unterzo al Parlamento) è sintomo diimparzialità. Il giudice che stigmatizzaprima dell’udienza l’imputato, prose-gua nel giudizio! Un processo cheremunera i testimoni dell’accusa (nonquelli a difesa) rappresenta terzietà del-la giustizia. La giurisdizione disciplina-re affidata (due terzi) alle correnti deimagistrati denota indipendenza. Un’ac-cusa non chiamata a motivare le propriescelte ai poteri democratici è sintomo ditrasparenza.Non ci sono dubbi sulla paternità biolo-gica di questa ideologia giudiziaria. Èla concezione del giudice e dell’accusa-tore infallibili in quanto parte dello Sta-to, corrispondente a una giustizia for-matasi dopo l’unificazione sabauda ecol fascismo. Con qualche correzione

nel 1948, ma senza modernizzazione.La Costituzione ha introdotto il CSM.La storia dell’autogoverno è diversadalle “fantasie” coltivate dall’ideologiaitaliana. Occorreva, nel 1947, conqui-stare alla Repubblica toghe nominatenel ventennio. Si trattava di renderemeno onerosa la fedeltà democraticaper chi aveva giurato a teschi, labari egagliardetti. Non erano mancati i dubbiin Costituente. Si vedeva “nella procla-mazione dell’articolo 104 un ritorno aisistemi costituzionali antecedenti allaRivoluzione francese, articolati perordini e ceti” (Bartole, 1986). La paternità biologica dell’organizza-zione della giustizia in Italia appartieneallo Stato liberale autoritario e all’auto-ritarismo. Diversa la paternità legale.Da almeno un trentennio se la sonoattribuita alcune etnie della sinistra.Negli anni ’90 l’ideologia giudiziariaera dovuta alla difficoltà di trovare unatattica per l’alternanza. Un grimaldelloper il forziere del consenso. Oggi laderiva giudiziaria non sembra tatticama strategia. Di fronte alla crisi econo-mica che ridisegna i caratteri dellasocietà non ci si misura con il modellodi organizzazione futura ma si passadalla responsabilità all’ideologia: cor-porazioni più governo degli onesti!L’ideologia giudiziaria è anomalia.Max Weber considerava l’imparzialeapplicazione della legge ineliminabiledalla modernità. Ma l’imparzialità nonviene dal legame con lo Stato bensì daquello con la società civile. Il principiodi legalità è difeso dalla giurisdizioneanglosassone: magistrati scelti perqualità professionali, non burocrati.Nell’Europa continentale c’è propen-sione per l’amorfo concorso burocra-tico, ma con correzioni. In Germania imagistrati sono scelti in una lista diidonei alle professioni giuridiche: giu-risdizione, avvocatura, notariato. InGermania e Francia i ministri dellaGiustizia rispondono dell’accusa difronte al Parlamento. Il modello professionale anglosassone,quello francese, quello tedesco consi-derano i magistrati espressione della

società civile. Il PM opera in nome diuna moltitudine, non di uno Stato. Ilgiudice è una terza via: tra Stato e citta-dino, tra parti in conflitto, tra accusa edifesa.Con una battaglia di egemonia nellasocietà italiana, stravolgendone i valorie costruendo un sistema di disvalori,un’etnia della sinistra da un trentenniocontrasta la modernizzazione. La politi-ca della giustizia del Popolo dellaLibertà non è conflitto di interessi néinsofferenza: riprende innovazioni pro-poste nella Prima Repubblica. Anchenella maggioranza uscita nel 2008come allora ci sono contraddizioni. Ilprogetto per la giustizia è minimizzatoe contrastato da interdizioni e corpora-zioni. Nessuno stupore se si consideral’origine dell’ideologia giudiziaria.Il riformismo può oggi difenderemodernità e libertà (condizioni delsocialismo democratico), sostenendochi vuole una riforma democratica del-la giustizia contro le corporazioni.Separazione delle carriere. Eserciziodell’accusa motivato di fronte alleCamere (Piero Calamandrei). Politicheanticrimine tracciate dal legislativo.Responsabilità civile. Sanzioni control’abuso di atti processuali e contro ogniattentato all’indipendenza del giudizio. Anche il riformismo ha i suoi torti. Ilsuccesso del riformismo è opera dicombattenti, non di consiglieri del prin-cipe. Di uomini come Jaurés, Noske,Brandt, Schmidt, Craxi. Un’attenuante.In Italia il riformismo ha avuto solobrevi centralità. Spesso ha operato asupporto: Giolitti, De Gasperi, Moro,altri. Ha vinto con un referendum manon ha saputo continuare con politicheche godevano di largo consenso.Mai troppo tardi. È imminente un refe-rendum sulla giustizia: occasione per iriformisti. Subito un comitato per il“no”. Quando il paese sarà chiamato avotare sulla cancellazione della leggeche immunizza da incursioni incontrol-late o pilotate i vertici della Repubblica,nessun distinguo, nessuna astensione.Solo un no. Fragoroso come nel 1974,nel 1981, nel 1985.

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Elezioni europee

Dura lex, sed lex>>>> Riccardo Nencini

Se un’idea è buona, il partito che larappresenta ha diritto di esistere.

Poche settimane fa Newsweekha titola-to “Siamo tutti socialisti”, facendo rife-rimento alle misure che i governi stan-no assumendo per fronteggiare la crisieconomica mondiale. Provvedimentiche si richiamano, tutti, ad una visioneregolata dei mercati e ad una presenzaforte dello Stato nel sostegno delleimprese e del mondo del lavoro.In Italia, si vorrebbe estirpare la ‘buonaidea’ del riformismo socialista senzasostituirla con un progetto equivalente.L’ultimo tentativo è stato affidato allalegge elettorale per l’elezione del Parla-mento europeo. Una legge contraddit-toria, inutile e fondata su convincimen-ti falsi.Contraddittoria perché tende allacostruzione di un bipartitismo che sap-piamo essere anomalo, zoppo fino dal-la nascita sia per la presenza di tre par-titi mediani di una certa consistenza cheper l’esistenza di partiti più piccoliindispensabili al centro sinistra percompetere a livello locale e nelle regio-ni italiane.Inutile perché in Europa nonsi deve eleggere un governo e dunquenon è in gioco la stabilità dell’esecuti-vo. Al contrario, al Parlamento europeovige il criterio della rappresentanzaproporzionale. Falsa per le suggestioniche i grandi partiti hanno imposto aicittadini grazie ad una comunicazionepartigiana. Si è detto che i costi dellapolitica sarebbero diminuiti. Non èvero. Il finanziamento pubblico non ècambiato. L’unica differenza riguarda ilnumero dei partiti che se lo divideran-no. Falsa anche la considerazione chein Europa tutti i paesi dell’Unioneabbiano uno sbarramento. Sono pocopiù della metà. E lì si fermano.Un’ultima questione, sollevata da costi-tuzionalisti di rango. La Carta imponeche il voto dei cittadini sia libero,segreto e uguale. Domanda: come si

rispetta il termine ‘uguale’ se i voti ven-gono pesati diversamente?Con la caduta di Veltroni e l’elezione asegretario di Franceschini il PartitoDemocratico rischia di infrangersi suscogli acuminati. Carenza di progetto,divisioni interne irriducibili sulle gran-di questioni e quindi bassa condivisioneelettorale. Mentre scrivo il tema è caldoe non mi avventuro in vaticinii. Unasola riflessione. Lo sposalizio con l’or-todossia promosso dal papa tedescospiazza l’esperienza dei cattolici demo-cratici e la devitalizza. Nessuna apertu-ra è prevista dal Vaticano in questo tem-po di chiusure e di difesa più intransi-gente della tradizione. Il terreno d’in-contro proposto da Veltroni tra le animeprofonde ex comuniste ed ex democri-stiane si restringe fino a diventare unfiume stretto nell’elettorato e manifestala sua debolezza anche grazie al lavoriodel pontefice. Una storia da non sotto-valutare. Se il PD crolla – e l’intentooriginario è già stato rovinato - vienemeno l’idea di un bipartitismo coatto,del tutto innaturale con questa Costitu-zione, nata e cresciuta all’insegna dellacentralità del Parlamento, dell’equili-brio tra poteri, con un sistema elettora-le proporzionale e voto di preferenza afare da garanzia.Delle due l’una: o si modifica la Costi-tuzione italiana con un atto responsabi-le, consapevole e diretto oppure si ha ilcoraggio di contestare le tante correzio-ni introdotte extra legemo con leggielettorali, e diventate consuetudine, acominciare dalla trasformazione delpresidente del Consiglio dei Ministri inCapo del Governo e dalle leggi eletto-rali di ‘nomina’ di deputati e senatori,sottratti alla sovranità popolare dopoaver espunto il voto di preferenza. Non è con una lista di testimonianza eidentitaria che si può contrastare undisegno come questo.In occasione delle prossime elezionieuropee, dopo l’introduzione dellosbarramento al 4%, una strada avrebbepotuto essere la presentazione di uncartello elettorale promosso da tutti ipartiti tagliati fuori dalla nuova norma-

tiva, una coalizione di difesa dellademocrazia liberale contro un furto per-petrato dai più grandi. Ma oggi è piùrealistico e significativo pensare ad un‘patto’ tra laici e riformisti di sinistrache si ispiri, seppur non esclusivamen-te, al Manifesto del PSE approvato aMadrid nel dicembre scorso, e cherichiami nella simbologia il socialismoeuropeo. Una coalizione che parli lostesso linguaggio in tema di diritti civi-li, diritti sociali e diritti ambientali, innetta opposizione con la sinistra comu-nista e radicale e competitiva con quelche resterà del PD.Un riformismo di sinistra, che consentadi riportare a sinistra la parola libertà,che si caratterizzi su un programmaconcreto di cose da fare, in Europa edin Italia, e che dia voce ad una opposi-zione delle idee affidabile e risoluta,prima che si avveri la profezia di Vero-nica, la moglie: “Con questa opposizio-ne (riferimento al PD) mio marito vin-cerà per dieci anni”. Una sinistrarepubblicana e costituzionaleche fac-cia suoi i valori del merito, della inclu-sione e del rigore e che, come primoobiettivo, presenti proposte efficaci perfar fronte alla crisi economica e socialeche si sta abbattendo sull’Italia e nelmondo con una virulenza sconosciuta.Basta con il farsi scrivere l’agenda dalpresidente del Consiglio; basta conpriorità che non stanno nel cuore degliitaliani, dettate da chi non ha ancorapresentato un organico piano di lavoroparagonabile ai provvedimenti assuntida tutti i governi europei per rilanciarelo sviluppo.

Gaza

La pace d'Egitto>>>> Antonio Badini

Ancora una volta è toccato a HosniMubarak domare le fiamme a

Gaza e riunire a Sharm el Sheikh laennesima conferenza dei donatori perricostruire quello che periodiche guer-

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re, votate al fallimento, distruggono.Quella iniziata il 27 dicembre 2008 edurata ben tre settimane non è statameno inconclusiva delle altre, non-ostante le 1.300 vittime, in massimaparte civili, lasciate sul terreno. All’ini-zio, molti si attendevano una rispostacommisurata alla minaccia dei razziQassam. Al massimo, come lo stessoOlmert lasciava intendere, doveva esse-re una dura lezione a “quei cocciuti bar-buti” che avevano osato rifiutare la tre-gua offerta dal Grande Israele. Il fatto èche la Striscia già prima dell’offensivasomigliava ad una immenso campo diprigionia.Meshal, il leader di Hamas in esilio loaveva invero anticipato; senza la riaper-tura dei valichi non vi sarebbe stata tre-gua . Evidentemente nessuno ci ha cre-duto. Forse la dichiarazione era stataletta in chiave meramente tattica,dimenticandosi della soglia ormai altis-sima al sacrificio e alla sofferenza deglisfortunati palestinesi di Gaza.Fatto sta che ben presto l’offensivaisraeliana si è trasformata in una vera epropria guerra contro la Striscia. Perviolenza di fuoco e livello di armamen-ti impiegati l’operazione “Piombo

fuso” ha riportato alla mente quella di“Grappoli di collera” sferrata nell’apri-le del 1996 nel Sud del Libano. Si ricor-derà il “massacro di Cana” nel qualerimasero vittime più di un centinaio dicivili rifugiati nei campi delle N.U, unepisodio che turbò la coscienza interna-zionale e che non avrebbe più dovutoripetersi. Ed invece anche stavolta vi èstata una strage di civili, in maggioran-za donne e bambini rinchiusi in unaScuola gestita dalle Nazioni unite, inpiena e flagrante violazione delle Con-venzioni di Ginevra.Fu Shimon Peres nel 1996 ad aprire conl’uso maldestro della forza bruta l’usciodel Governo a Ben Netanyahu, lo stes-so che, petto in fuori, ha accolto l’invi-to di Peres, per beffa del destino oggiCapo dello Stato, di guidare il nuovoGoverno. Sostituirà Olmert, poco più diun buon incassatore,che è stato a capodi una triade con Tzipi Livni, cioè ilbuonismo fattosi politica, e EhudBarack, spogliato degli ultimi brandellidel retaggio di Ben Gurion.Il responso delle urne ha rispecchiatol’assenza di un serio progetto politico.Con Netanyahu, la destra prossima ven-tura dovrà gestire una serie inordinata

di richieste e aspettative tra loro con-traddittorie, con la perla di AdvigorLieberman del Partito Ysrael Beiteinuche ha disegnato contro gli arabi diIsraele una mappa di pulizia etnica.Ma la pace di Mubarak non sarà eternae non potrà sostituirsi ad un accordoisraelo-palestinese che rifletta la situa-zione presente sul terreno. Se l’obbiet-tivo dell’ultima campagna militare eral’annientamento di Hamas, esso è statoclamorosamente mancato Così come lacampagna in Libano condotta nel 1982servì a far nascere Hizbollah, quella piùrecente a Gaza è valsa a reiterare lapeculiare prerogativa di Israele di tra-sformare le vittorie militari in altrettan-te sconfitte strategighe. Purtroppo chi èuscito indebolito dal nuovo tragico con-flitto non è Hamas ma Abu Mazen chedal centro-sinistra di Kadima ha avutosolo mancate promesse mentre si èvisto rosicchiare altra terra per la edifi-cazione di nuove colonie e la costruzio-ne del Muro.È certo che la visione dei due Statipomposamente lanciata nel novembre2008 ad Annapolis, con il Governo diNetanyahu diventerà uno sbiaditoricordo.

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Page 12: La crisi del PD Passato prossimo e futuro remoto marzo/003taccuino... · Passato prossimo e futuro remoto >>>> Luciano Cafagna U no dei fondatori della democrazia americana disse

Difficilmente Obama potrà riuscire arimettere in moto il processo di pacefino a quando non si sarà attenuata l’ap-parentemente incolmabile diffidenzafra gli opposti estremismi : i radicali diHamas da un lato e, dall’altro, coloroche considerano la Giudea e Samariaterra concessa agli ebrei direttamenteda Dio.Dopo l’era dei grandi disegni, è di nuo-vo il momento dei piccoli passi. L’ap-proccio per intendersi scelto con gliAccordi di Oslo del 1993. Netanyahuche pur all’inizio vi si oppose accet-to’,dopo le elezioni per lui vittoriose del1996 di impegnare il suo Governo a dar-vi attuazione, con due atti significativi.Il completamento del passaggio ai pale-stinesi dell’80% di Hebron, nel 1997, egli Accordi di Wye Plantation del 1998con i quali venne deciso il trasferimen-to,poi congelato a causa del sopraggiun-gere della seconda Intifada, di un ulte-riore 13% dei territori della Cisgiorda-nia alla Autonomia. Sicuramente pocoma in termini concreti molto di più diquanto l’AP sia riuscita ad ottenere dalGoverno della triade Olmert, Livni eBarak, dimostratosi il piu’ avaro nelloscambio giustizia (per i palestinesi) con-tro sicurezza (per Israele).Nel futuro, sostituendo lo spento Sola-na, l’Ue non dovrà accontentarsi dirimettere in sesto nei Territori occupatii “cocci” prodotti da Israele.Dovraessere propositiva.In attesa che la visione dei due Stati

torni d’attualità, vi sono almeno dueordini di progressi da ricercare.Il pri-mo, è il raggiungimento di una treguastabile con la riapertura dei valichi difrontiera . Per tale obbiettivo lavoranogli egiziani che dovranno altresì gettarele basi per il rilascio del Caporale Sha-lit. Per il secondo ordine di progressi,basterebbe far uscire dalle carceri israe-liane Marwan Barghuti e dargli il tem-po di ricostituire dalle sue fondamentaAl Fatah.Alle porte, preme ora la ricostruzione diGaza. Come al solito, l’Ue fa lo struzzoe prefigura l’AP al controllo delle ope-razioni, ignorando le ragioni che hanno

favorito l’ascesa del movimento islami-sta. Meglio prendere il toro per le cornae lavorare, come fanno gli egiziani, perla costituzione di un governo di unioneinterpalestinese. con la fissazione, tut-tavia, di un calendario per il rinnovodell’Assemblea e della carica di Presi-dente dell’AP. La democrazia se si vuo-le che la giustizia trionfi deve essereapplicata a tutti, amici e avversari,lasciando che sia il popolo a decidereliberamente.

Afghanistan

Se Karzai non piaceagli USA >>>> Margherita Boniver

Alla fine del 2008 il conflitto afganoè entrato nell’ottavo anno, con un

quadro generale in via di peggioramen-to, soprattutto sotto il profilo della sicu-rezza. Il cambio di amministrazione negli Sta-ti Uniti ha ulteriormente messo in evi-denza la necessità di focalizzare unadisamina assai severa e quanto mainecessaria, ossia l’opportunità di unprofondo cambiamento di strategia pernon perdere definitivamente la partitanei confronti dell’estremismo islamicodi matrice terroristica. Una costante chesta minacciando in modo sempre piùspettacolare anche il Pakistan, con ilrisultato che oramai si è fatta strada tar-divamente la tesi che bisogna affronta-re il problema come un tutt’uno, perl’appunto l’AF-PAK come oggi è defi-nito.Lo straripamento del conflitto dall’Af-ghanistan attraverso le inesistenti fron-tiere nelle zone tribali e la fusione delnazionalismo Pashtun con la Sharia,imposta con il fuoco delle armi in zonesempre più vaste del territorio pakista-no, rischia di travolgere il fragile esecu-tivo del presidente Zardai, alle presecon la gravissima crisi economica mon-diale.

Mentre si rischia di perdere la battagliaper “vincere le menti e i cuori”, in soc-corso di Kabul si spendono anche inter-locutori essenziali come l’India, l’Iran ela Russia. Ma non c’è dubbio alcunoche l’onere e l’onore ricadano soprattut-to sui più importanti alleati degli StatiUniti. In primo luogo i paesi europei el’Italia tra i primi contributori fin daiprimissimi giorni di Enduring Freedom. Per questo deve essere trovata unaricetta politica e non solo militare. Que-ste risposte potranno venire dalla pros-sima conferenza internazionale inambito G8 sulla stabilizzazione dell’a-rea. È necessario trovare una soluzione pre-valentemente politica perchè quellamilitare deve assicurare le minime con-dizioni di sicurezza, in ragione di alcu-ni dati che evidenziano una recrude-scenza degli episodi terroristici,aumentati di oltre il 30% sull’anno pre-cedente, Il moltiplicarsi degli attentati e degliscontri ha provocato un vertiginosoaumento del numero delle vittime civi-li, che secondo la Commissione delleNazioni Unite per i Diritti Umani sonostate 2.118; di esse, 1.160 uccise daiterroristi, 522 nei raid aerei diISAF/Enduring Freedome il resto nel-le operazioni terrestri delle forze stra-niere e di quelle afghane.Il deterioramento delle condizioni disicurezza ha avuto conseguenze pesan-ti anche sul piano economico e sociale,soprattutto nella regione meridionale.In particolare, sono stati bloccati, oprocedono con grande ritardo, numero-si progetti di ricostruzione e di sviluppoed è diventato rischioso il transito sugran parte delle strade. Bisogna tenere conto anche della dis-astrosa equazione tra insicurezza e col-tivazione del papavero. Infatti, i taleba-ni ostacolano lo sviluppo di colturealternative e impediscono l’uscita dal-l’economia della droga, da cui traggonouna parte considerevole delle risorsenecessarie per finanziare le loro attività.L’invio di un ulteriore numero di mili-tari nell’area è necessaria per centrare

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degli obiettivi fondamentali come ilrafforzamento della sicurezza del pae-se, questione che sta molto a cuore atutti gli alleati, l’impegno per una mag-giore formazione della polizia afgana,nonché l’addestramento dell’esercitonazionale che sarà chiamato a sostituirele forze internazionali.Purtroppo diversi segnali – ora confer-mati dalla missione Holbrooke a Kabul– fanno pensare che l’AmministrazioneObama stia rivedendo la politica disostegno al presidente afgano HamidKarzai, ritenuto non più affidabile.Quest’ultimo, durante un discorso tenu-to il 20 gennaio al Parlamento di Kabulha criticato il modo in cui Washingtone i suoi alleati stanno conducendo leoperazioni militari in Afghanistan. In particolare, Karzai ha sostenuto chegli occidentali negano l’autorità del suogoverno estromettendolo quando pren-dono le decisioni, appoggiando i signo-ri della guerra locali a scapito del pote-re centrale, e tollerando il traffico distupefacenti. Il Ministro degli Esteri francese Ber-nard Kouchner ha parlato del bisognodi “afganizzazione”, di trasferimento alpopolo afgano del dominio sul propriodestino.Indebolire ulteriormente il già debolegiovane presidente afgano alla ricercadi un secondo mandato sarebbe un gra-vissimo errore. Consapevole delle difficoltà crescenti,Karzai si è mosso in tre direzioni conalterni successi: maggiore attenzione alsettore dell’istruzione; un approccio piùindipendente rispetto alla presenzamilitare internazionale; apertura a tuttele forze di opposizione, compresi i tale-bani, con i quali sotto l’egida dell’Ara-bia Saudita si è svolto qualche mese faun incontro alla Mecca dagli esiti anco-ra sconosciuti. Secondo recenti sondaggi 7 afgani su10 sono favorevoli all’operato del suogoverno.Con il termine “more for more”, Was-hington si aspetta molto dal governoafgano e dagli alleati ed è disposta afare di più sia sul piano militare che su

quello civile. Kabul deve impegnarsipiù concretamente per rafforzare edestendere l’autorità dello Stato e lottarecontro la corruzione. Agli altri PaesiNATO si chiede di potenziare i lorocontingenti e di aumentare il contributotecnico e finanziario per la ricostruzio-ne delle strutture dello Stato sia a livel-lo centrale che periferico e per lo svi-luppo economico e sociale.Su quest’ultimo aspetto sta diventandodrammatica la penuria di risorse finan-ziarie. All’ultima conferenza dei ‘dona-tori’, che si è svolta lo scorso mese digiugno, sono stati stanziati 16,8 miliar-di di euro. Si è, invece, scoperto cheoltre un terzo di quella cifra erano “vec-chie” promesse che sono state spaccia-te per nuove. Visto il contesto il governo italiano haprospettato di mantenere ed addiritturaincrementare la nostra presenza milita-re, legandola al quadro di sicurezzanecessario per poter far svolgere almeglio le cruciali elezioni presidenzialiin preparazione per il mese di agosto.

Manifesto PSE

Torna a fiorir la Rosa>>>> Luca Cefisi

“Prima le persone” è il tentativopiù ambizioso compiuto dal Par-

tito del Socialismo Europeo (PSE) diproporre una vera e propria piattaformapolitica europea. Grosso modo, quelloche era sempre stato rimproverato aisocialisti europei di non aver fatto. Inrealtà il programma 2009 del PSE nonpoteva giungere prima, perchè soltantonell’ultimo quinquennio l’evoluzioneistituzionale e politica dell’UnioneEuropea ha consentito la costituzione dipartiti politici europei strutturati e rico-nosciuti (e pubblicamente finanziati !).Un partito politico esiste in funzione diun parlamento e di un governo. Questaè del resto la difficoltà che vive l’Inter-nazionale Socialista, che ha per suo

naturale riferimento l’Organizzazionedelle Nazioni Unite (soggetto preziosoma notoriamente limitato e spesso bloc-cato nella sua azione). La crescita delPSE è quindi in funzione della crescitadi importanza e di ruolo delle istituzio-ni dell’Unione Europea. È perchè l’Europa unita è più importan-te di un tempo nelle nostre vite, e perquestioni che non sono la lunghezzastandard delle banane ma le regole nelmercato unico, la libera circolazione, ilruolo europeo nella globalizzazione,che si è arrivati al manifesto “Prima lepersone”. È un programma elettoraleche si articola in 71 proposte per seitemi cardine: rilancio economico e pre-venzione delle crisi finanziarie; un pat-to sociale più equo; affrontare il cam-biamento climatico; difendere le pariopportunità; sviluppare un’efficacepolitica migratoria; promuovere pace,sicurezza e sviluppo a livello globale.Va da sè che si tratta di un programmavincolato agli ambiti e alle competenzecomunitarie: non vi si troveranno pro-posti, quindi, i matrimoni tra le perso-ne dello stesso sesso, ma piuttosto laproposta di parità di trattamento tra icittadini dell’UE, nella direzione “delriconoscimento in tutti i Paesi dell’UEdei matrimoni, delle unioni civili e deidiritti parentali legalmente riconosciutiin un altro stato membro”. “C’è chi sostiene che non siamo più ingrado di permetterci elevati livelli disicurezza sociale, ma l’Europa è il piùgrande mercato economico e lavorati-vo al mondo e abbiamo la capacità digarantire che sia un mercato al serviziodelle persone, dei lavoratori e delleimprese”: questo passaggio del Mani-festo riassume la visione della moder-nità dei socialisti europei, che rifiuta laprospettiva di una sempre più ferocecompetizione globale e del conseguen-te progressivo smantellamento dellegaranzie sociali e salariali e l’aumentodelle ore lavorate. “I conservatoridichiarano che la globalizzazione ren-de necessario lavorare di più e più alungo. (…) Non si tratta di lavorare dipiù, ma in modo più intelligente.”

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Sicuramente tagli e sacrifici in questianni non sono mai stati applicati a quel-la casta di amministratori e manager chehanno visto crescere in maniera espo-nenziale i loro redditi, costituendo unosmaccato e crescente divario tra classimedie da un lato e ricchi e ricchissimidall’altro. Imporre uncap alle retribu-zioni dei dirigenti, o perlomeno un cri-terio di proporzionalità non solo rispet-to ai profitti ma anche rispetto alle per-dite, fa parte delle proposte del primotema del Manifesto, quello delle regoleda imporre alla speculazione finanzia-ria. In linea con l’agenda di Lisbona, ilfuturo economico dei paesi europei, ealla fine il loro successo nei mercatimondiali, è visto nella maggiore coesio-ne sociale, nella maggior partecipazionedi donne, giovani e anziani alla forma-zione, al lavoro e al reddito, nel valoreaggiunto della ricerca e sulla sostenibi-lità sociale ed ecologica. La crisi climatica ispira la parte piùinnovativa delle proposte di politicaindustriale e di sviluppo del PSE, chemettono al centro il risparmio e la pro-duzione dell’energia, a partire dal solaree dall’eolico, promuovendo le impresead alta intensità tecnologica. Sappiamoche il governo Berlusconi, con il soste-gno di Confindustria, si è trincerato inuna posizione assolutamente opposta(contestando il protocollo di Kyoto epersino abbandonando gli sgravi fiscaliall’efficienza energetica e al solare nel-l’edilizia). Una posizione che ha messoobiettivamente l’Italia alla retroguardia,non certo bilanciata dallo strombazzato

rilancio del nucleare. Sul questo, ilManifesto si limita a prendere atto chesi tratta di una scelta nazionale, propo-nendo però un sistema europeo di con-trollo sulla sicurezza. Infatti, il ricorsoal nucleare, che peraltro il protocollo diKyoto non incoraggia affatto, escluden-dolo esplicitamente dalle iniziative“CDM” di sviluppo energetico, nonappare oggi una soluzione strategica alivello europeo. Se esistono senza dub-bio modelli nazionali che ne hanno fat-to una pietra miliare, prima di tuttoquello francese, la tendenza prevalentedei socialisti europei è ad un prudenteabbandono di questa fonte, a partire dal-la Spagna, dall’Austria, dalla Germania.A proposito di “vie nazionali”: il Mani-festo non potrà fare da protesi all’auto-nomo ruolo dei diversi partiti socialisti.Ma forse oggi il clima generale è piùfavorevole di qualche anno fa al rilanciodi una cultura socialdemocratica tra-sversale e condivisa. Infatti, fino a qual-che anno la Neue Mittedi Schroeder e ilNew Labourblairiano (la cui influenzasull’evoluzione del Partito democraticodi Veltroni e D’Alema è innegabile)sembravano proporre una definitivamutazione genetica della socialdemo-crazia (la “Terza Via”). Ma se c’è statoun elemento ideologico, quindi illuso-rio, nella “Terza Via” è stato proprio nelcredere che l’efficienza economica e lapromozione delle opportunità potesseroevitare di affrontare il problema, erro-neamente avvertito come “obsoleto”,della redistribuzione e delle garanzie:qui c’è stata effettivamente troppa ideo-

logia liberale, con il retropensieroimplicito che il problema dell’egua-glianza sia in fondo irrisolvibile. Lacrisi finanziaria internazionale, e il cre-scente malessere sociale provocatodalla precarizzazione del lavoro e dallacrescita delle diseguaglianze hannoridato argomenti ala buona vecchiasocialdemocrazia. Al vertice del G20,Brown ha dato l’impulso per “unanuova Bretton Woods” (bentornatovecchio Keynes...), insomma ad unaresponsabilità comune dei governi nel-la gestione della finanza internaziona-le. È la fine di Friedman, e anche diSoros. Soprattutto, per la prima voltadagli anni 70, i laburisti britannicihanno messo mano al fisco in sensoredistributivo: taglio dell’Iva, riduzio-ne delle tasse per la classe media, ali-quota al 45% che i redditi alti. Questoritorno di politiche keynesiane, perquanto efficaci e quindi pragmatica-mente gradite alla business commu-nity, non significa necessariamenteche si allargherà il sostegno ai partitisocialisti: i Sarkozy ed i Tremontisono perfettamente attrezzati per unneo-statalismo che assista il capitali-smo nella sua crisi, senza per questocomplicarsi la vita con scrupoli di giu-stizia sociale. Il ritorno della socialde-mocrazia non è quindi soltanto nelritorno dell’intervento statale: è un’i-dea di società equa e solidale, di poli-tiche di cooperazione e di pace, dilimiti all’avidità e all’individualismo.E su questo il conflitto politico è piùaperto che mai.

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