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LA GRAVITAZIONE PRIMA DI NEWTON

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LA GRAVITAZIONE

PRIMA DI NEWTON

Idee tradizionali, comuni a tutte le civiltàdiverse da quella greca

• La gravità è una forza che spinge tutti i corpi verso “il basso”,facendoli cadere se non sono sorretti.

• La direzione verticale, lungo la quale agisce la gravità, è la stessaovunque.

• La Terra è un disco piatto orizzontale sormontato dalla calotta delcielo.

• Problema: come mai la Terra non cade? Chi o cosa la sorregge?

La rivoluzione di AnassimandroAnassimandro, che concepisce la Terra come un cilindro con due facceequivalenti, ha per primo l’idea che i corpi pesanti non cadano verso “ilbasso”, ma verso la Terra, che pertanto non ha alcun motivo per cadere.

Questa teoria probabilmente implicava che i corpi pesanti posti “sotto” laTerra cadessero verso ciò che per noi è l’alto. I concetti di su e giùdivengono così relativi e non più assoluti.

Da Parmenide ad AristoteleGeneralizzando a tutte le direzioni l’equivalenza, introdotta daAnassimandro, tra su e giù, Parmenide giunge a concepire la sfericità dellaTerra, che nel IV secolo a.C. è generalmente accettata nella cultura greca.

Secondo Aristotele esiste un particolare luogo che attira tutti i corpipesanti e respinge quelli leggeri, mentre i corpi celesti (che non sono népesanti né leggeri) gli girano attorno. Questo luogo è divenuto il centrodella Terra.

E dopo Aristotele?

Le idee sulla gravità ricordate finora sono note a chiunque abbiafrequentato un buon liceo.

Il successivo sviluppo delle idee nell’ambito del pensiero greco è invecein genere ignorato.

Una concezione radicalmente diversa della gravitazione è attribuita ascienziati moderni, e in particolare a Newton, senza che si riesca acoglierne l’origine.

Cercherò ora di ricostruire il filo continuo che, nell’ambito del pensieroellenistico, partendo dalla concezione aristotelica, giunge all’idea dellagravitazione come forza di attrazione reciproca tra i corpi.

La mela di NewtonL’impossibilità di ricostruire l’idea di gravitazione universale nell’ambitodella scienza moderna ha lasciato lo spazio ad aneddoti assurdi, comequello (diffuso soprattutto da Voltaire) della famosa mela.

Da sempre gli uomini avevano visto cadere mele, ma se la caduta di unamela è vista da un genio, egli può trarne l’idea che tutti corpi si attiranotra loro con la forza

F = g mm’/r2

Il vero principio di Archimede

L’enunciato originale del principio di idrostatica di Archimede, contenutonel trattato Sui galleggianti, è:

Se porzioni di liquido sono contigue e allo stesso livello, la porzione piùcompressa caccia via la meno compressa. Ogni porzione è compressa dalpeso del liquido che è sopra di sé in verticale, purché il liquido non siarinchiuso in qualcosa e compresso da qualcos’altro.

Oss.1: Quello oggi detto usualmente “principio di Archimede” nel trattatoSui galleggianti è l’enunciato di un teorema dedotto da questo principio.

Oss.2: Archimede accetta la teoria aristotelica della gravità, per la qualeesiste un luogo “centro dei pesi”. Con l’espressione “allo stesso livello” sideve intendere “alla stessa distanza da tale centro”.

Un teorema di Archimede: la sfericità degli oceani

Archimede dimostra che lasuperficie degli oceani è sferica conun ragionamento per assurdo.Se non lo fosse vi sarebbero dueporzioni di liquido (A e B nellafigura) allo stesso livello (cioè allastessa distanza dal centro K deipesi) sovrastate da colonne d’acquadi diversa altezza. La pressionesarebbe quindi diversa e non visarebbe equilibrio.

Il teorema di Archimede e la forma della Terra

Il teorema di Archimede riguarda esplicitamente solo gli oceani, mapoiché era nota la forma sferica dell’intera Terra, fu naturale pensare chela Terra avesse assunto l’attuale forma allo stato fluido e si fossesolidificata successivamente.

Diodoro Siculo (Bibliotheca Historica, I, vii, 1-2) afferma, infatti, che laTerra, inizialmente semifluida, avrebbe raggiunto lo stato attuale graziealla gravità. La stessa affermazione è in Plinio, (Naturalis Historia, II, 2)e in diversi altri autori.

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Conseguenze astronomiche del teorema di ArchimedePoiché il Sole e la Luna sono palesemente sferici, alla luce del teorema diArchimede, diviene naturale spiegare la loro forma ipotizzando che anche al lorocentro vi sia un punto che attira i corpi pesanti. Il teorema di Archimede, che erabasato sulla teoria aristotelica della gravità, non può quindi non metterla in crisi.

Plutarco scrive:

ὡς γὰρ ὁ ἥλιος εἰς ἑαυτὸν ἐπιστρέφει τὰ μέρη ἐξ ὧν συνέστηκε, καὶ ἡ γῆ τὸν λίθον

ὥσπερ <αὑτῇ> προσήκοντα δέχεται καὶ φέρει προσκείμενον·

Come infatti il Sole attira a sé le parti di cui consiste, così anche la Terraaccoglie come appartenente a sé la pietra naturalmente tendente verso il basso.

(De facie quae in orbe lunae apparet, 924E; testo di Harold Cherniss)

Subito dopo l’argomento è esteso alla Luna.

La teoria policentrica della gravitàNel passo seguente di Plutarco la teoria aristotelica della gravità sembrasostituita da una “teoria policentrica”, ottenuta attribuendo a ciascun corpoceleste una distinta gravità di tipo aristotelico:

πλειόνων δὲ κόσμων ὄντων καθ’ ἕκαστόν ἐστιν ἴδιον μέσον· ὥστε κίνησις

ἰδία τοῖς μὲν ἐπὶ τοῦτο τοῖς δ’ ἀπὸ τούτυ τοῖς δὲ περὶ τοῦτο, …

Essendovi più mondi, in ciascuno è un proprio centro, con un moto proprioa ciascuno, con alcune cose che si muovono verso tale centro, altre che sene allontanano e altre ancora che gli girano intorno…

(Plutarco, De defectu oraculorum, 425A)

Diverse testimonianze mostrano che la teoria policentrica della gravità(che sarà accettata da Copernico) nel periodo ellenistico era stataanch’essa superata.

Il prossimo passo (di Plutarco) mostra che l’idea che in ogni “mondo” vifosse una gravità specifica, riguardante solo i corpi propri di ciascunmondo, senza interazioni reciproche tra mondi diversi, era stata superataalmeno nel caso di Terra e Luna.

Interazioni tra i diversi mondi: il caso di Terra e Lunaκαίτοι τῇ μὲν σελήνῃ βοήθεια πρὸς τὸ μὴ πεσεῖν ἡ κίνησις αὐτὴ

καὶ τὸ ῥοιζῶδες τῆς περιαγωγῆς, ὥσπερ ὅσα ταῖς σφενδόναις ἐντεθέντα τῆς καταφορᾶς

κώλυσιν ἴσχει τὴν κύκλῳ περιδίνησιν· ἄγει γὰρ ἕκαστον ἡ κατὰ φύσιν κίνησις,

ἂν ὑπ’ ἄλλου μηδενὸς ἀποστρέφηται. διὸ τὴν σελήνην οὐκ ἄγει τὸ βάρος, ὑπὸ τῆς περιφορᾶς τὴν ῥοπὴν ἐκκρουόμενον· ἀλλὰ μᾶλλον ἴσως λόγον εἶχε θαυμάζειν μένουσαν αὐτὴν παντάπασιν ὥσπερ ἡ γῆ καὶ ἀτρεμοῦσαν.

Certo la Luna è trattenuta dal cadere dallo stesso moto e dalla rapidità della suarotazione, proprio come gli oggetti posti nelle fionde sono trattenuti dal cadere dal motocircolare. Il moto secondo natura guida infatti ogni corpo, se non è deviato daqualcos’altro. Perciò la Luna non segue il suo peso, [che è] equilibrato dall’effetto dellarotazione. Ma si avrebbe forse più ragione di meravigliarsi se essa restasseassolutamente immobile e fissa come la Terra.

(Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet, 923 C-D)

Crisi della teoria policentrica: una ragione teoricaVi era in realtà un motivo teorico generale che non permetteva di ripetere per Sole,Luna e altri astri la teoria che Aristotele aveva formulato per la Terra. PerAristotele al centro della Terra (immobile) vi era un luogo con la proprietà diattrarre i corpi pesanti. La Luna e il Sole invece si muovono e quindi i loro centrinon sono sempre nello stesso luogo. Nel loro caso non può quindi essere un luogoad attrarre i corpi.Plutarco riporta, a questo proposito, una lunga discussione, la cui conclusione è:

λείπεται τοίνυν τὸ μέσον οὐ τοπικῶς ἀλλὰ σωματικῶς λέγεσθαι.

Resta dunque [come sola possibilità] che si parli di centro [verso cui tendono ipesi] non come luogo, ma in riferimento ai corpi (Plutarco, De defectuoraculorum, 424E).

Interazione tra Sole e pianeti

Vitruvio scrive:

La potente forza del Sole attira a sé i pianeti con raggi estesi a forma di triangolo ecome se li frenasse e trattenesse quando corrono in avanti non permette loro diavanzare ma [li costringe] a ritornare verso di sé. (De architectura, IX, i, §12).

In Plinio vi è un passo parallelo:

[I pianeti] sono colpiti nella posizione che abbiamo detto e sono impediti da unraggio triangolare del Sole a proseguire in linea retta e sono tratti in alto dalla [sua]forza ardente (Naturalis Historia, II, §69).

Un passo di NewtonSi giunse infine all’idea della gravità come interazione reciproca tra gliastri, equilibrata dalla forza centrifuga. Tale concezione era nota a Newtoncome antica. Egli scrive infatti:

Dunque la Terra, il Sole e i pianeti tutti del nostro sistema secondo ilpensiero degli antichi sono reciprocamente gravi e per la forza reciprocadi gravità cadrebbero l’uno sull’altro e si congiungerebbero in una solamassa se tale discesa non fosse impedita dai moti circolari.

(I. Newton, Scolii classici, ed. Casini, p. 46).

(l’edizione di Casini è del 1981)

La fonte di Newton

Abbiamo trovato chi ci ha detto: «Sbagliate, pensando che qualche astro inter- rompail suo cammino o lo inverta». Non è permesso ai corpi celesti fermarsi né invertire ilmoto; tutti avanzano: come una volta sono stati lanciati, così procedono; la fine delloro cammino coinciderebbe con la loro stessa fine. Quest’opera eterna ha motiirrevocabili: se dovessero arrestarsi, quei [corpi] ora conservati dal loro motoregolare cadrebbero gli uni sugli altri. Qual è allora il motivo per cui alcuni sembranotornare indietro? L’intervento del Sole e la natura dei percorsi e delle orbite circolari,disposte in modo che per un certo tempo ingannano gli osservatori, impone loroun’apparenza di lentezza: così le navi, sebbene procedano a vele spiegate, sembranotuttavia star ferme.

(Seneca, Naturales Quaestiones, VII, xxv, 6-7)

Antica teoria delle maree

Il passaggio dalla teoria policentrica alla concezione della gravità comeattrazione reciproca tra i corpi fu favorito dallo sviluppo della teoriadelle maree, che mostrò non solo che l’interazione tra Terra e Luna erareciproca, ma anche il ruolo del Sole nel fenomeno, come sappiamodalle testimonianze di Plinio e, soprattutto, di Prisciano Lidio.

Due affermazioni di Prisciano sono, in particolare, di importanza decisiva:

– La maggiore ampiezza delle maree durante pleniluni e noviluni èdovuta al sommarsi dell’azione del Sole a quella della Luna (Solutionumad Chosroem liber, ed. Bywater, 73, 4-8).

– L’azione della Luna è maggiore di quella del Sole (ibidem, 72, 10-12 )

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La dipendenza della forza di gravità dalla distanzaNewton crede che la legge di gravitazione universale (che afferma che la forzadi gravità tra due corpi è inversamente proporzionale al quadrato della distanzatra i due corpi) fosse nota a Pitagora.Scrive infatti:Ut refert Macrobius [...] proportionem vero his experimentis inventamPythagoras applicuit ad caelos et inde didicit harmoniam sphaerarum. Ideoqueconferendo pondera illa cum ponderibus planetarum et intervalla tonorum cumiontervallis sphaerarum, atque longitudines chordarum cum distantiisPlanetarum ab orbium centro, intellexit per harmoniam caelorum quod ponderaPlanetarum in Solem [...] essent reciproce ut quadrata distantiarum earum"(Scolii classici, f.11v. = [Newton/Casini], pp. 41-42).Secondo la testimonianza di Macrobio, [Pitagora] applicò ai cieli laproporzione che aveva trovato con questi esperimenti e da ciò imparò l'armoniadelle sfere. Confrontando poi quei pesi con i pesi dei pianeti e gli intervallisonori con gli intervalli tra le sfere e la lunghezza delle corde con le distanzedei pianeti dal centro, intese con l’armonia celeste che i pesi dei pianeti rispettoal Sole erano inversamente proporzionali al quadrato delle loro distanze.

Origine della strana attribuzione di Newton a PitagoraL’attribuzione, da parte di Newton, della legge di gravitazione universale aPitagora (è certamente priva di fondamento, ma è interessante. Se non altromostra che non ha senso attribuirla a Newton (1642-1727).

Si può immaginare che la strana idea di Newton fosse stata originata dalfatto che la legge era riportata nell’opera in cui Ismaël Boulliau avevacreduto di ricostruire le teorie astronomiche del pitagorico Filolao.(Astronomia Philolaica, Parisiis, sumptibus Simeonis Piget …, 1645)

(Boulliau, che era stato uno dei primi menbri della Royal Society, èesplicitamente citato da Newton)

La legge di Boulliau

Boulliau aveva dedotto la sua legge con un ragionamento puramentegeometrico: l’azione che noi diciamo gravitazionale, giungendo a distanzar, si diffonde su tutta la superficie della sfera di raggio r. La sua intensitàdeve quindi essere inversamente proporzionale a tale superficie, ossia alquadrato di r.

Boulliau sottolinea che la stessa legge vale per la diffusione della luce.

La fonte di BoulliauNon è difficile individuare la fonte di Boulliau in Ruggero Bacone (1214?-1294), cheaveva elaborato una teoria quantitativa riguardante tutte le azioni a distanza. La leggecon cui la forza dell’azione (la fortitudo actionis) dipende dalla distanza (dettamultiplicatio secundum figuras) era stata da lui ottenuta osservando che l’azione siesplica lungo rette che terminano su superfici sferiche e si indebolisce con la distanzaper la diminuzione dell’angolo solido (pyramidis) sotto cui è visto dall’agente ilcorpo che subisce l’azione. Anche in Bacone era presente l’analogia con la luce.

(Opus Majus, Pars quarta: Distinctio secunda, Capitulum III; Distinctio tertia,Capitulum II )

Questa sezione dell’Opus Majus non poteva essere sfuggita a Boulliau (che era anchebibliofilo e libraio), perché era stata ristampata nel 1614, a Francoforte, a cura diJohannes Combachius. (Rogerii Bacconis Angli, ... Specula mathematica in quade specierum multiplicatione, earundemque in inferioribus virtute agitur. Liberomnium scientiarum studiosis apprime utilis, editus opera & studio IohannisCombachii, ..., Richter, Frankfurt am Main, 1614).

E la fonte di Ruggero Bacone?

È molto più difficile individuare l’eventuale fonte di Ruggero Bacone.

Non conosco però efficaci argomenti geometrici esposti in opere del XIIIsecolo che non siano derivati da fonti antiche. (Nell’Opus Majus Baconeconsidera propedeutico a qualunque studio scientifico la conoscenza dellelingue greca, araba ed ebraica).

Un passo di Vitruvio (De architectura, IX, i, 12. ) potrebbe forse derivareda una fonte che alludeva all’analogia tra l’indebolimento della forza concui il Sole attira i pianeti e quello con cui si indebolisce l’irradiamento dicalore:

Ergo potius ea ratio nobis constabit, quod, fervor quemadmodumomnes res evocat et ad se ducit, ut etiam fructus e terra surgentes inaltitudinem per calorem videmus, [...], eadem ratione solis impetusvehemens [...] insequentes stellas ad se perducit.