La Letteratura Latina Delle Origini

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    la letteraturalatinadelle

    origini

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    1la letteraura latina

    delle originiLe origini

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    Indice

    1. Lascesa di Roma e la Monarchia

    2. La Repubblica ed il conflitto fra patrizi e plebei

    3. Roma si rafforza

    4. La conquista della penisola

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    1-La storia

    L'ascesa di Roma e la mo-

    narchia

    Fin dal II millennio a.C., il La-zio era abitato da popolazio-ni di lingua indoeuropea: iLatini e i Sabini erano popoliarretrati che vivevano di pa-storizia e agricoltura; insedia-ti sul colle Palatino, (percha quel tempo la pianura era

    acquitrinosa) commerciava-no il sale, molto importanteall'epoca, che veniva estrattodalle saline situate alla foce del Tevere e usavano l'isola di Tibe-rina come guado per la transumanza del bestiame e per il com-mercio. Quisi form laprima civi-

    tas latina,cio la pri-ma comuni-t unita dalculto di un/a dio/dea.

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    La storia

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    Tuttavia, secondo laleggenda, a fondarela citt il 21 aprile

    del 753 a.C. furonodue gemelli, Romoloe Remo, che il mitovuole figli di Marte,allevati da una lupa.

    All'inizio Roma fu go-vernata da re; poche sono le notizie sui primi quattro (Romolo,Numa Pompilio, Anco Marzio e Tullio Ostilio) ma sappiamo che

    furono di orgine latina-sabina eche governarono nell' VIII-VIIsec. a.C. Le informazioni pi sicu-re sono sugli ultimi tre re (Tarqui-nio Prisco, Servio Tullio e Tarqui-nio il Superbo), una famiglia diorigine etrusca che dal V sec.a.C. prese il controllo della citt,bonificando la valle del Palatinoe del Campidoglio e costruendoun sistema fognario, il Foro (lapiazza centrale della citt) e unacinta di mura difensive, mura ser-viane. Attraverso una campagnadi conquista, resero Roma la pi

    potente del Lazio e conquistaronol'egemonia sulle altre citt.

    L'ultimo re fu, secondo a tradizio-

    ne, Tarquinio il Superbo, tirannicoe crudele, fu cacciato nel 509a.C., segnando la fine della mo-narchia, dovuta alla rivolta dell'ari-stocrazia romana. A Roma il reera sacerdote, giudice e detento-re dell'imperium, cio del poterepolitico in tempo di pace e del con-

    trollo militare durante la guerra. Ilre era nominato e affiancato dalsenato, ovvero da un consiglio dicento uomini, di cui facevano parte i patres (anziani) e gli espo-nenti pi autorevoli della gentes. Gentes, ossia stirpe, era costi-tuita da famiglie che discendevano da un antenato comune eformavano trenta curie, in cui erano divisi i cittadini-soldati roma-ni; ogni curia doveva fornire dieci cavalieri e cento fanti. Le cu-rie si riunivano nell'assemblea dei comizi curiati, che approvavala nomina del re e le sue decisioni pi importanti. La parte pinumerosa della popolazione, formava la plebe, costituita da pic-coli-medi artigiani e contadini; erano esclusi dalla vita pubblicae dall'esercito, poich non erano in grado di armarsi a propriespese.

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    La repubblica e il conflitto tra patrizi e plebei

    Con la caccia dell'ultimo re etrusco e il graduale passaggio alla

    repubblica, furono inserite varie modifiche durate oltre un seco-lo. La principale novit consistette nella divisione dell'imperium,il potere militare, tra due consoli, che dovevano esercitarlo colle-gialmente e rimanevano in carica per un anno; in caso di emer-genza, l'imperium passava sotto le mani di un dittatore, che ave-va pieni poteri e poteva agire solo per sei mesi. Oltre ai consolifurono introdotti dei magistrati, che dovevano svolgere precisicompiti di amministrazione.

    Il senato continu ad assistere i consoli nelle decisioni pi im-portanti, ma fu incrementato dai nuovi gruppi familiari: i con-scripti (inscritti nella lista dei senatori) e dai magistrati che termi-navano il loro mandato. Inoltre furono soppiantati i comizi curiatisostituiti dai comizi tributi e dai comizi centuriati; i comizi tributisi basavano su unanuova divisione dei

    distretti territoriali,chiamati trib; l'iscri-zione a una tribconferiva la cittadi-nanza romana, chenon dipendeva pi dall'appartenenza a una gens. Nei comizi tri-buti si trovavano a fianco i patrizi e i plebei, ma non essendo laprincipale assemblea eleggeva soltanto magistrati minori. Men-

    tre i comizi centuriatiera l'assemblea deicittadini-soldati roma-

    ni, divenne l'assem-blea pi importantedel popolo, eleggevai consoli ed approva-va le leggi. La popo-lazione adulta ma-schile, divisa in cin-que classi in base al

    censo, partecipavaai comizi centuriatiraggruppata in 193gruppi, chiamate cen-turie che oltre a for-mare l'unit di voto,costituiva i contingen-ti militari.

    La prima classe era quella dei grandi proprietari terrieri, dispo-neva della maggioranza dei voti e con 98 centurie formava lamaggior parte dell'esercito; le altre quattro classi fornivano il re-sto della fanteria leggera e pesante, mentre i proletari svolgeva-no attivit di sostegno all'esercito, poich la loro unica ricchez-za erano i figli. Dai primi decenni della repubblica inizi subitouno scontro tra patrizi e plebei che dur circa un secolo e mez-

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    zo, le nuove riforme non avevano indebolito il predominio deipatrizi che, oltre alla maggioranza dei voti, avevano il potereesclusivo di eleggere i consoli, di far parte del senato e ammini-

    strare la giustizia; ma abusavano del loro potere, infatti senzaleggi scritte i giudici patrizi attuavano ogni forma di sopruso. Tut-tavia la crescita della plebe, preoccupava l'aristocrazia che siracchiuse in una casta composta da 20 curie proibendo i matri-moni tra patrizi e plebei. I plebei, a questo punto, attuarono lasecessione nel 494 a.C. rifugiandosi sul colle Aventino, rifiutan-do di servire l'esercito ed elessero i propri rappresentanti: i tribu-ni della plebe. Con quest'atto sia l'assemblea della plebe che i

    propri tribuni vennero riconosciuti come parte dello stato, attri-buendo ai tribuni poteri quali il bloccare le leggi ed i provvedi-menti che potevano risultare dannosi per la plebe. Infine, nel450 a.C., si giunse a un compromesso: dieci patrizi (decemviri)furono incaricati di fissare per scritte delle leggi, le Dodici Tavo-le, che pure essendo severe, furono accolte positivamente dallaplebe che vedeva ridurre gli abusi dei patrizi.

    Roma si rafforza

    Per tutto il V sec. a.C., Roma fu indebolita dalla faticosa respin-ta dei Chiusi, che volevano riaffermare il controllo etrusco dellacitt, e della guerra contro un'alleanza di citt latine che non ac-cettavano l'egemonia. Dopo la battaglia del lago Regillo, nel496 a.C., fu stilato un trattato di pace: il foedus cassium, che ri-costru la federazione latina che vedeva in parit Rome e le al-

    tre citt. Dopodich, nel 396 a.C. Roma, conquist la citt diVeio, dopo un lungo assedio, ma sub un attacco da parte deiGalli Senoni, che varcati gli Appennini dalle Marche, invasero la

    citt e la incendiarono; la sconfitta spinse Roma a rafforzarsi mi-litarmente. Il territorio di Veio fu distribuito ai cittadini; in questomodo i clienti (ovvero coloro che in cambio di protezione da par-te di un capo della gentes, doveva coltivare gratuitamente unlotto di terra e seguirlo in guerra) non avevano pi bisogno dirivolgersi agli aristocratici che, a questo punto, iniziarono a sfrut-tare gli schiavi per debiti.

    Questo atto riapr lo scontro tra patrizi e plebei, che si concluse

    nel 367 a.C. con le leggi Licinie-Sestie che stabilivano: la riduzio-ne dei debiti, un limite massimoper le terre ottenute dalle conqui-ste e la norma, in base alla qualeuno dei due consoli doveva esse-re plebeo; quest'ultimo apriva lastrada del senato anche ai plebei,infatti alla fine del suo incarico il console diventava membro delsenato. Inoltre, attraverso le leggi Licinie-Sestie, si costitu unanuova classe: la nobilitas senatoria, composta dalle famiglie pa-trizie e dai pi ricchi plebei.La vita politica di Roma si basavasulla partecipazione dei cittadini-soldati alle decisioni, ma nondivenne mai una democrazia; la nuova classe, la nobilitas riusca controllare la vita politica romana, modificando il rapporto di

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    clientela che si bas sempre di pi sulla fedelt elettorale delcliente per il padrone. Infatti durante le assemblee dei comizitributi, i clienti assicuravano il proprio voto ai padroni, mentre

    nei comizi centuriati il sistema di voto per censo garantiva lamaggioranza alla classe della nobilitas. Il potere maggiore siconcentr nel senato, che cominci ad avere sempre pi funzio-ni: gestiva la politica esterna, formulava le leggi, controllava lespese dello stato ecc...

    La conquista della penisola

    La pace raggiunta con

    le Leggi Licinie-Sestie,permise a Roma di ri-prendere la politica diespansione; attorno al-la met del IV sec. a.C.Roma sconfisse tutte lecitt del Lazio, ristabi-lendo la propria egemo-

    nia e sciogliendo quindila federazione latinanel 340 a.C.

    L'occasione per espan-dersi fu la richiestad'aiuto di Capua, cheera minacciata dai San-

    niti; inizio quindi una lotta in cui era in gioco il controllo di tuttal'Italia centrale. Cos dal 343 al 290 a.C. si tennero tre guerrecontro i Sanniti, nel 321 a.C. Roma sub una sconfitta umiliante

    nelle Forche Caudine, mentre nella terza guerra Roma sconfis-se una grande alleanza antiromana, nella battaglia di Sentino259 a.C. Padrona dell'Italia centrale, Roma si trov a contattocon la Magna Grecia, molte citt chiesero la sua alleanza; maTaranto nel 282 a.C. chiese l'aiuto di Pirro, re dell'Epiro poichsi sentiva minacciata da Roma. Pirro sbarc in Italia nel 280a.C. e sconfisse due volte i romani, sia per la superiorit milita-re sia per la presenza degli elefanti che disorientarono i soldati

    romani. Dopodich Pirro raggiunse la Sicilia dove distrusse icartaginesi e si proclam re dell'isola, ma si scontr con Siracu-sa e le altre citt, fu costretto quindi a ritirarsi, ma venne sconfit-to a Benevento nel 275 a.C., anche Taranto si arrese ai romani,che nel III sec. a.C. che avevano sotto il loro dominio tutta l'Ita-lia peninsulare.

    FILMATO 1.1Approfondimento: Lafondazione di Roma (lezione di A.Carandini)

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    1. Primi segni graffiati.

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    2-LA DIFFUSIONE DELLA SCRITTURA

    Primi segni graffiati

    Del latino arcaico quello, per intenderci, usato dai re-pastoriper arringare le loro truppe o per commerciare coi popoli vicini

    non abbiamo che qualche vaga idea e qualche scarsa anchese suggestiva, attestazione, recuperata dagli archeologi e inter-pretata dai filologi. un piccolo tesoro di cultura materiale quello che si presentaai nostri occhi: fatto di ampolline, recipienti portatrucco, spec-chi... Pochi segni graffiati sulla materia con i nomi degli artigiani

    che li forgiarono e dei loro possessori: tutto ci che ci rimanedella Roma delle origini.

    Luso esteso e abituale della scrittura comincia solo col III seco-lo a.C.: da quel momento in poi i testi latini diventano numerosi.Assai distante anche il suo utilizzo artistico. Un paio di secolidopo, le prime iscrizioni latine sarebbero state inintelligibili aglistessi Romani [Sega Piva Felicetti].

    Come si pu immaginare, dunque, i primissimi monumenti lati-ni per lo pi iscrizioni di tipo strumentale, cio legate agli usie costumi della vita quotidiana dovrebbero destare, di per s,poco interesse negli studiosi di storia della letteratura, se sin-tende per letteratura una produzione artistica fissata con laiu-to dello scrivere [G. B. Conte, cit.]; tuttavia, un serio approccio

    2

    La diffusione della

    scrittura

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    non pu prescindere da considerazioni legate alla nascita edallevoluzione del codice linguistico, che a quella stessa lettera-tura dar forma ed espressione. Detto questo, andiamo dunquea scoprire da vicino quali siano, appunto, i pi antichi e significa-tivi documenti in lingua latina.

    11-latino arcaico

    12-latino italico

    13-latino romano

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    1. Il cippo del Foro

    2. Il lapis satricanus

    3. Il vaso di Dueno

    4. La fibula Praenestina

    5. La cista Ficoroni

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    3-I PRIMI DOCUMENTI IN LINGUA LATINA

    Il Cippo del Foro

    Il cippo del Foro(chiamato impropriamente anche Lapis Niger,dalla pietra nera che sovrasta il cippo) corrisponde ad unareaquadrata in marmo nero, che una transenna di lastre di marmobianco separava dal resto della pavimentazione augustea in tra-vertino.La scoperta avvenuta nel 1899, nel corso degli scavi della se-conda pavimentazione del Foro romano venne subito associa-ta con un passo dello scrittore Festo, nel quale si

    accennava ad una pietra nera nel Comizio (lapis niger in Comi-tio) indicante un luogo funesto, forse la tomba di Romolo oquantomeno il luogo dovegli venne ucciso.Lo scavo al di sotto del pavimento in marmo nero port succes-sivamente alla scoperta di un complesso monumentale arcaicocostituito da una piattaforma sulla quale sorge un altare man-cante della parte superiore, con accanto un tronco di colonna (o

    piuttosto una base di statua) e appunto un cippo di tufo iscritto,anchesso mancante della parte superiore.

    Laspetto del monumento pi che ad una tomba fa pensare adun piccolo santuario; se a questo aggiungiamo che il tutto sem-bra dedicato ad un re, non si pu non ricordare che Dionigi diAlicarnasso menzionava la presenza di una statua di Romolo

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    I primi documenti

    della lingua latina

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    nel Volcanale, il santuario di Vulcano (dio del fuoco), accantoad uniscrizione in caratteri greci (che non significa necessaria-mente in greco, ma anche in caratteri simili a quelli greci): vistala vicinanza del Volcanale al Lapis Niger, probabile che si trat-ti proprio della stessa iscrizione e della stessa statua.Lantichitdei caratteri incisi sulle quattro facce del cippo caratteri aguz-zi ancora vicini a quelli greci calcidesi dai quali deriva lalfabetolatino e landamento bustrofedico della scrittura stessa fannopresumere una datazione del VI secolo a.C.: si tratterebbe dellapi antica iscrizione monumentale latina.

    Liscrizione, seppure

    lacunosa (la pietraperaltro molto rovi-nata) e di difficile tra-duzione, documenta

    come detto la sa-cralit del luogo, aiviolatori del quale siminacciano pene ter-

    ribili. Inoltre, lirregola-rit dei caratteri sem-bra suggerire che iltesto, pi che unef-fettiva funzione infor-

    mativa, doveva utiliz-zare la carica magico-sacrale della scrittura per incutere timore

    anche negli analfabeti. La stessa forma del cippo, del resto, si-mile ad un paracarro, costringeva a deviare il proprio cammino.

    Questo il contenuto delliscrizione (della quale si riportano solo

    le parole intellegibili):

    Ovvero, in latino classico:

    QUOI HON... SAKROS ESED... REGEI KALATOREM... IOUX-MENTA KAPIA... IOUESTOD

    QUI HUNC... SACER ESTO... REGI CALATOREM... IUMENTACAPIAT... IUSTO

    Integrando, con buona verosimiglianza:

    QUI HUNC (LOCUM VIOLAVERIT) SACER ESTO... REGI CA-LATOREM... IUMENTA CAPIAT... IUSTO

    che, in traduzione, suonerebbe:

    CHI VIOLER QUESTO LUOGO SIA MALEDETTO... AL RE

    LARALDO... PRENDA IL BESTIAME... GIUSTOLinizio, come visto, sembra essere una formula di maledizione(mutuata forse dalle leges regiae) scagliata contro chi avesseviolato il luogo sacro. Inoltre, la menzione di un Kalator (ossia diun araldo dei sacerdoti) e del bestiame fa pensare ad un ulterio-re avviso: laraldo invita i passanti ad essere pronti a scioglieregli animali aggiogati, poich essi costituivano un cattivo auspi-

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    cio per i ministri del culto, come veniamo a sapere da Cicerone(De divinatione II, ).

    Il lapis satricanus

    Il lapis satricanus (la pietra di Satrico) cos chiamato dallacitt di Satrico (oggi Ferriere di Conca, nellAgro Pontino, tra La-tina e Nettuno), nel cui sito archeologico fu ritrovato nel 1977,durante gli scavi del tempio della Mater Matuta.

    Si tratta di una base di sostegno per quello che doveva essereun dono votivo, sulla cui superficie sono incise due righe scrittecon caratteri di forma regolare, che contengono una dedica aldio Marte:

    IEI STETERAI POPLIOSIO UALESIOSIOSUODALES MAMARTEI[liscrizione presenta interessanti notazioni linguistiche: la formaraddoppiata Mamars per Mars (Marte), la desinenza osio di unantico genitivo di derivazione indoeuropea, la forma suodales(ovvero, sodales), che rivela il legame etimologico fra la parolache significa

    compagno e il possessivo suus]che, in latino classico, si leggerebbe:

    II STETERUNT PUBLII VALERII SODALES MARTI

    ovvero, in traduzione:I COMPAGNI DI PUBLIO VALERIO DONARONO A MARTE

    Il Publio Valerio, cui si riferisce liscrizione, stato identificatocon Publio Valerio Publicola, console romano nel 509 a.C., fon-datore della libera Res Publica e promotore di una serie di leggia sfondo democratico: la sua realt storica fu per molto tempodiscussa fino a quando non fu rinvenuto, appunto, il lapis.

    Il vaso di Dueno

    Ritrovato nel 1880 a Roma, fra il Quirinale ed il Viminale, il co-siddetto vaso di Dueno un manufatto in bucchero italico, com-posto da tre recipienti alti 3,5 cm, conglobati, disposti in triango-lo e non comunicanti tra loro (questa struttura la stessa di al-cuni vasi etruschi). La cronologia da destra verso sinistra, retro-

    gada) e si svolge attorno ai tre vasi, lungo tre righe sovrappo-ste. La grafia chiara, ma lassenza di divisione tra le parole ela lingua arcaica ne rendono difficile la lettura e, di conseguen-za, controversa linterpretazione: siamo certamente nel campodegli oggetti parlanti, ma il testo (ch, a differenza che nel Cip-po, di carattere privato) pu essere inteso tanto quale unoffertareligiosa, q incerta: per lo pi lo si fa risalire al V sec. a. C..

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    La scrittura chesso presenta sinistrorsa (cio procedente uan-to quale un dono domestico, un incantesimo o piuttosto una ma-ledizione, o tuttinsieme e cos via. Ma, con buona verosimiglian-za, si tratterebbe distruzioni per luso del con-tenuto, probabilmente unapozione magica perconquistare lamo-re di una ragazza.

    Ecco quanto reci-ta:

    IOVESAT DEIVOS,QOI MED MITAT NEI TED ENDO COSMIS VIRCO SIETASTED NOISI OPE TOITESIAI PACARI VOIS DUENOS MED FECED EN MANOM EINOM DUENOI NE MEDMALO STATOD[da notare luso dei dittonghi per le vocali lunghe, limpiego indif-ferenziato di c per i suoni k e g e, inoltre, in iovesat la presenzadelloriginaria s intervocalica non ancora soggetta a

    rotacismo]In latino classico, la prima riga dovrebbe suonare, pi o meno:

    IURAT DEOS QUI ME MITTIT NI IN TE COMIS VIRGO SIT Del-la seconda riga sono chiare, in

    pratica, solo le due ultime parole:

    ... PACARI VIS

    La Fibula praenestina

    Altro documento quello offerto dalla fibula praenestina,cosdetta perch ritrovata in una tomba a Praeneste (lodierna Pale-strina, a sudest di Roma). La spilla che gli archeologi defini-scono a drago, con staffa lunga viene tradizionalmente data-ta intorno al VII secolo a.C. . Conservata al Museo Preistorico-Etnografico Pigorini, essa riporta il seguente testo:

    MANIOS MED FHEFHAKED NUMASIOI che nella trascrizione

    in latino classico equivale a:

    ovvero:

    MANIUS ME FECIT NUMASIO

    MANIO MI FECE PER NUMERIO

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    La Cista Ficoroni

    Passiamo, quindi, alla Cista Ficoroni, che prende il nome dal-lantiquario Francesco de Ficoroni, che nel 1738 la rinvenne in

    una tomba, sempre a Palestrina. Si tratta di un cofanetto cilindri-co di rame, finemente cesellato, sormontato da un coperchio or-nato da tre piccole sculture, raffiguranti divinit.

    Sulla sua superficie,la cista reca incisioniche si riferiscono alnoto mito degli Argo-

    nauti (i 55 mitici eroiche, guidati da Giaso-ne, partirono sulla na-ve Argo alla conqui-sta del vello doro),mentre proprio sul co-perchio, ai piedi delletre statuette (come

    sintravede nella figu-ra in basso), presentauniscrizione che cosrecita:

    DINDIA MACOLNIA FILEAI DEDITNOVIOS PLAUTIOS MED ROMAI FECID [da un punto di vista linguistico, come si vede, siamo ormai vici-

    ni al latino classico: manca solo qualche ulteriore evoluzione fo-netica, come la trasformazione della desinenza ai in ae (in

    fileai e Romai), la caduta della d in med o la sua trasformazio-

    ne in t in fecid] che, in latino classico, si leggerebbe:

    DINDIA MACOLNIA FILIAE DEDIT NOVIUS PLAUTIUS ME RO-MAE FECIT

    ovvero, in traduzione:

    DINDIA MACOLNIA (MI) DON ALLA FIGLIA NOVIO PLAUZIOMI FECE A ROMA

    E dunque ancora loggetto che ci parla e ci informa ch statorealizzato a Roma, da un artigiano [Novio Plauzio] su commis-sione di una matrona romana [Dindia Macolnia] evidentementeper il corredo dotale della figlia.

    Conservata nel Museo di Villa Giulia, e databile

    intorno al IV-III sec. a.C., recentemente della cista s messa in

    dubbio lautenticit, con argomenti invero plausibili (sarebbeopera di due falsari

    dell 800).

    Si tratterebbe, dunque, di un altro oggetto parlante: la stessafibula che, infatti, menziona lartigiano che lha eseguita [Manio]ed il committente [Numerio].

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    Larcaicit delliscrizione sarebbe dimostrata innanzitutto dal-landamento della scrittura, che sinistrorso, dalla forma dellelettere, paragonabile a quella di alcune antichissime iscrizionigreche di Cuma, infine dalla lingua, che presenterebbe un nomi-nativo della II declinazione in - os, laccusativo del pronome per-sonale med, il perfetto del verbo col raddoppiamento, il dativodella II declinazione in -oi.

    Si deve tuttavia notare come sullautenticit delliscrizione e del-la fibula stessa abbiano da sempre pesato gravi sospetti, moti-vati anche dalle mai del tutto chiarite circostanze del ritrovamen-to. Una svolta negli studi sul documento stata impressa dalle

    approfondite ricerche condotte da una grande epigrafista recen-temente scomparsa, Margherita Guarducci, secondo la quale lafibula sarebbe un falso, frutto della truffaldina collaborazione trauno studioso, Wolfgang Helbig, e un antiquario, Francesco Mar-tinetti. Nonostante la Guarducci abbia sostenuto le sue argo-mentazioni con lacume e la passione che le erano consueti, latesi della falsit della fibula e della sua epigrafe non ha al mo-mento trovato unanimi consensi [Alessandro Cristofori].

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    1. Origine del temine carmen

    2. Carmen Saliare

    3. Carmen deisacerdoti Arvali

    4.

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    4-I Carmina

    Origine del termine carmen

    Nellet preletteraria, la distinzione tra poesia e prosa compare

    tardi. Per un periodo di tempo molto lungo, lesigenza diunespressione che si sollevasse sui mezzi della comunicazio-ne quotidiana era soddisfatta dal carmen, un discorso ritmatoparagonabile ad una poesia legata a formule [concepta verba]ma libera dagli schemi fissi del verso, o piuttosto una prosacommatica, modulata, ritmica, ricca insomma di armoniose ca-denze.Un lungo periodo, durante il quale alla parola pronunciata o

    scritta in particolari modi e circostanze si attribu forza magicacapace di determinare fatti ed eventi, sicch bastava nominarele potenze misteriose e invisibili per assicurarsene lintervento,o pronunciare la maledizione perch il destinatario ne fosse col-pito, a meno che altre forze, anchesse invocate, non avesseroagito in senso contrario (il fascinus verborum, linfluenza mali-gna, per essere rimosso o annullato esigeva atti e formule apo-tropaiche: fascinum arcere). E tale era lefficacia del carmen da

    non risultare vanificata neppure dalla mancata comprensionedelle parole da parte di chi le pronunciava o di colui al quale era-no dirette, ch esse agivano anche in forza del loro mistero[C. De Meo].Sullorigine del termine carmen sussistono almeno due teorie:la prima fa derivare il nome da canere (cantare), ma non deltutto chiaro quale processo linguistico abbia seguito tale deriva-

    Sezione 4

    I Carmina

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    zione; la seconda collega il termine alla radice kas, di originesanscrita, la stessa da cui sarebbe derivato, attraverso proces-so di rotacismo, il nome di Carmenta, lantica dea del matrimo-nio e Camene (da Casmene), le Muse della poesia epica invo-cate, come vedremo, nel carmen Priami e da Livio Andronicoallinizio della sua Odusia.

    Gli antichi eruditi, a questo proposito, scrivono:

    Camenae Musae a carminibus sunt dicate, vel quod canunt anti-quorum laudes, vel quod castae mentis praesides [Paolo-Festo,De verborum significatu]

    Le Camenae sono Muse, cos dette dai carmina, o perch can-tano le lodi degli antichi, o perch sono protettrici della mentepura

    Camenae Musae, quibus a cantu nomen est inditum [Servio,Commento a Virgilio]

    Le Camenae sono Muse, che hanno ricevuto il nome dal canto

    Comunque stiano le cose, quella del carmen era una forma pisolenne, pi sonora ed incisiva del sermo cotidianus , particolar-mente adatta a colpire limmaginazione oltre che ad imprimersinella memoria, per landamento marcato di membri di frase, co-la, nettamente individuati dallordinata e simmetrica corrispon-denza delle parole, che si richiamano mediante lanafora,lomeoteleuto e simili accorgimenti formali. Tra questi, hanno ri-

    lievo lallitterazione ed il parallelismo, mezzi stilistici tradizionalinellarea italica, celtica e germanica, ai quali invece i Greci nonerano, a quanto pare, molto sensibili.

    In realt, come vedremo, il carmen poteva servire agli usi pidiversi: non solo, come detto, alle formule magiche e di scongiu-ro, ma anche ai proverbi ed alle filastrocche popolari, alle pre-ghiere individuali e (soprattutto) collettive, alle leggi, ai canti mili-tari e trionfali, alla celebrazione delle vittorie, al ricordo deglieroi e dei personaggi insigni delle famiglie patrizie. Beninteso,di queste espressioni non si in grado di fissare n la cronolo-gia, n le forme precise, n la paternit; a proposito di questulti-ma, anzi, da rilevare che uno dei caratteri fondamentali dellaproduzione primitiva romana giuntaci quasi esclusivamenteattraverso le citazioni degli eruditi posteriori il pi assolutoanonimato: essa esprime lanima di una collettivit, come quelladi Roma, che nei suoi primordi (ma poi sempre nella sua storia)

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    fortemente ancorata alla terra, ed alla sua fede. Del resto, lamaggior parte di questa produzione non era estemporanea, malegata ad avvenimenti precisi, che si ripetevano ad intervalli re-golari di tempo, convenzionali nella loro ritualit.

    Si tenga presente, infine, che non si deve avere la pretesa diriscontrare in queste antichissime espressioni popolari quegliespedienti tecnici che saranno poi tipici della matura civilt let-teraria latina; ci detto, comunque vero che lo stile singolaris-simo dei carmina rester vitale e caratteristico degli scrittori lati-ni: tale sensibilit di fronte alla tradizione dei carmina costituirla nota di fondo che distinguer lo stile letterario romano da

    quello greco.

    Carmen Saliare

    I Sacerdoti Saliierano glinter-preti di un antico rito in cui pa-role e gestualit servivano adaccrescere la potenza della cit-t di Roma. Lorigine del rito ve-niva ricondotta alla leggendalegata a Numa Pompilio: duran-te una cerimonia religiosa, eracaduto miracolosamente dalcielo uno scudo di bronzo, do-no di Marte Gradivo e pegnodella protezione divina su Roma; per mimetizzarlo, onde evitare

    che venisse rubato, il re ne fece costruire, dal mitico artefice Ma-murio Veturio, altri undici identici e li affid, appunto, alla custo-dia dei Salii.

    Per propiziare la potenza bellica del popolo romano, allinizio(ma anche alla fine) della stagione della guerra (ovvero, rispetti-vamente a marzo, mese non a caso di Marte, e ad ottobre), ave-va luogo la cerimonia sacra: i Salii avanzavano per le vie dellacitt, danzando e percuotendo gli scudi sacri [ancilia] con le lan-

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    ce; in un crescendo ritmico quasi ossessivo, determinato dalmartellante passo di danza a tre tempi, detto tripudium, recitava-no litanie liturgiche contenenti invocazioni rituali [axamenta] aldio. La preghiera, carmen Saliare, ci tramandata in modo

    frammentario attraverso citazioni degli eruditi Varrone [De lin-gua latina, VI, 49] e Terenziano Scauro e la sua lingua cos ar-caica da essere poco intesa dagli stessi sacerdoti in et imperia-le [cfr. Quintiliano, Institutio oratoria, I 6,40: Saliorum carminavix sacerdotibus suis satis intellecta]; ne risente, com ovvio,anche linterpretazione:

    Divom em pa[rentem] cante Divom deo supplicate

    Quonne tonas, Leucesie, prai tet tremonti quot ibei tet dinei au-diisont tonase.

    Trascrizione plausibile in latino classico:

    Deorum eum patre canite, deorum deo supplicate Cum tonas,Luceri, prae te tremuntQuot ibite di audierunt tonare

    Traduzione:

    Cantate lui, il padre degli dei, supplicate il dio degli di! Quandotuoni, o Dio della Luce, davanti a te tremano tutti gli dei che las-s ti hanno sentito tuonare.

    La struttura in saturni [per i quali, vd. oltre] e la trama linguisticatipica del carmen mettono in rilievo il ritmo proprio della formulamagica, che propone un rituale misterico.

    Carmen dei sacerdoti Arvali

    Anchei sacerdoti Arvali(o Ambarvali) si possono considerareattori duna pratica di spettacolo: erano infatti interpreti di un ritodiniziazione agreste, la festa degli Ambarvalia. Lorigine del rito

    si fa risalire a Romolo, che avrebbe dato a se stesso e ai suoifratelli adottivi (per un totale, anche qui, di dodici) il nome di fra-tres Arvales, con lo scopo di propiziare la fecondit della terra,onorando con canti e danze la dea Dia.

    La stessa etimologia del nome ci fa comprendere il suo Lares,divinit invocate nel carmen legame con la terra (amb- intornoe arva campi) e ci fa Arvalium visualizzare una processione rit-

    mata dalla triplice ripetizionedelle suppliche e cadenzata dal movimento in tondo attorno aicampi.Dopo il solenne sacrificio di due porche, di unagnella grassa edi una bianca giovenca, i sacerdoti prendevano i libri e, danzan-do, cantavano il carmen, il quale ci appare come una formulamagica, qui in basso riprodotta secondo la ricostruzione del Nor-

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    den e linterpretazione di G. B. Pi-ghi [La poesia religiosa romana,Bologna]:

    E nos, Lases [da notare la formaanteriore al fenomeno di rotaci-smo] iuvate! (ter)

    e magia si fondono per propiziarelinvincibilit di un popolo.

    Neve lue, rue, Marmar, sins incur-rere in pleores! (ter) Satur fu, fere

    Mars, limen sali, sta ber ber (ter)Semunis alternei advocapit conctos (ter)E nos, Marmor, iuvato! (ter)

    Triumpe triumpe! (ter)[Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 2104]

    Trascrizione plausibile in latino classico:

    O nos, Lares, iuvate! (ter)Ne luem, ruinam, Marmar [forma raddoppiata del tema di Mars],sinas incurrere in plures! (ter)Satur esto, fere Mars, limen sali, sta illic, illic (ter)Semones alterni advocabit cunctos (ter)O nos, Marmor, iuvato! (ter)Triumphe triumphe! (ter)

    Traduzione:

    , aiutateci! (tre volte)No, pestilenza e rovina, o Marmar, (tre volte)

    non permettere che trascorrano tra il popolo! (tre volte)Sii sazio, o feroce Mars; (tre volte)balza sulla soglia, fermati l, l [secondo unaltra interpretazio-ne, Berber sarebbe un appellativo di Marte]! (tre volte)I Semni, sei alla volta [il senso alternei , invero, di incertaspiegazione], li chiamer tutti a parlamento. (tre volte)Oh! a noi! Marmor [di incerta spiegazione, forse ulteriore appel-lativo di Marte], aiutaci! (tre volte)

    Trionfo, trionfo [ossia: battete il piede tre volte]! (tre volte)

    Tutta la formula mantiene, sia nella lingua arcaica che nellanti-co metro saturnio, limpronta di invocazione magica soprattuttoper lintensit espressiva del triumpe finale, inteso come gridoliberatorio e contemporaneamente come possesso soprannatu-rale del nume che il sacerdote-attore trasmetteva da se stessoalla terra, nella consapevolezza di essere esaudito [Licia A.

    Callari].Il testo, antichissimo (forse del VI secolo a.C.), stato scopertonel 1778, su una lapide, che riporta il verbale dellintera cerimo-nia eseguita nellanno 218 d.C. e che si trova oggi nei Musei Va-ticani. Questo carmen, lunico che, per una fortunata combina-zione, siamo in grado di leggere in forma assai vicina a quellaoriginaria, conferma lantichit dellimpiego della scrittura a sco-

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    po rituale da parte dei sacerdoti romani; testimonia inoltre la per-sistenza tenace delle forme arcaiche, sia nelle pratiche cultuali,sia nel linguaggio religioso. La religione romana tradizionale,nel corso della sua storia secolare, ha sempre condizionato la

    validit di un rito, o lefficacia di una formula, allesatta pronun-cia delle parole solenni, al preciso compimento degli atti pre-scritti. I sacerdoti, a differenza di antiquari e annalisti, in genererifuggivano dallattualizzare gli antichi documenti giuridico-reli-giosi nella forma linguistica [la convenzionalit delle occasioniin cui venivano recitati i carmina, del resto, comportava giocofor-za assenza di evoluzione nel campo espressivo; ndr]; anche colrischio di non comprendere, come stato gi detto, gli antichis-simi carmina che recitavano per i propri culti [F. Sini].

    I due inni appena analizzati diversi per ispirazione e per conte-nuto rituale ritraggono i due volti della primitiva civilt latina,tutta dedita alla guerra ed allagricoltura.

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