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La matematica greca prima di Euclide Eleonora Mazzarolo novembre 2012 1

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La matematica greca prima di Euclide

Eleonora Mazzarolo

novembre 2012

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Indice

1 Introduzione 31.1 Contesto storico-culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.2 Contesto matematico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

2 Zenone di Elea 62.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62.2 Paradosso della dicotomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72.3 Paradosso di Achille e della tartaruga . . . . . . . . . . . . . . . 82.4 Paradosso della freccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.5 Paradosso dello stadio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.6 Possibili interpretazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.7 Influsso sulla matematica del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . 13

3 Platone 153.1 I solidi platonici e Teeteto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183.2 L’aritmetica e la geometria platoniche . . . . . . . . . . . . . . . 203.3 Influsso sulla matematica del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . 21

4 Eudosso 224.1 Teoria delle proporzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 224.2 Metodo di esaustione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

5 Il concetto di infinito nel pensiero greco 27

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1 Introduzione

Scopo di questo elaborato e presentare i principali protagonisti della mate-matica greca che segnarono il passaggio dal pensiero della scuola pitagorica allastesura di quello che viene considerato il piu fortunato manuale di matematicadi sempre, ovvero gli Elementi di Euclide. Ripercorreremo, dunque, i secoli Ve IV a.C., cercando di individuare i maggiori contributi innovativi e rivoluzio-nari apportati alla matematica dagli studiosi di quegli anni, soffermandoci inparticolare su Zenone di Elea, Platone ed Eudosso.

1.1 Contesto storico-culturale

Il V secolo a.C. fu un periodo di cruciale importanza per lo sviluppo dellacivilta occidentale: esso inizio con la disfatta degli invasori persiani da partedei Greci e si concluse con la resa di Atene a Sparta. La vittoria greca non fusolamente una vittoria militare e politica, ma si configuro come la vittoria dellavisione del mondo occidentale, che si dimostrava capace di pensiero autonomoe costruttore del proprio destino e che, contro la visione statale orientale asso-lutistica e dispotica, credeva nelle regole del vivere civile e nelle prime forme didemocrazia. In particolare, Atene raggiunse il momento piu alto della propriastoria quando le sorti della citta vennero rette da Pericle (ca. 495-429 a.C.),artefice dello sviluppo economico, culturale, e politico della citta. Fu infatticon lui che si concretizzo la vera democrazia ateniese. Questa nuova atmosferaattrasse ad Atene scienziati e studiosi da tutto il mondo greco, portando cosıun grande fermento intellettuale in campo artistico, letterario e scientifico.

Il IV secolo si aprı con la morte di Socrate e vide come suoi protagonistiindiscussi i filosofi Platone e Aristotele. Fu il secolo delle grandi imprese diAlessandro Magno che, in soli dodici anni, conquisto l’intero Impero Persia-no, dall’Asia Minore all’Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e Indiasettentrionale. Le sue vittorie sul campo di battaglia, accompagnate da unadiffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elemen-ti culturali dei popoli conquistati, diedero l’avvio al periodo ellenistico dellastoria greca. Il 323 a.C., con la morte improvvisa del grande conquistatore,segno la fine dell’impero da lui fondato, ma anche la fine di un’era: in tuttoil mondo greco il vecchio ordine di cose stava subendo profondi mutamenti,dal punto di vista sia politico sia culturale. Sotto Alessandro si era avuta unagraduale fusione di abitudini e mentalita elleniche e orientali e la nuova citta diAlessandria, fondata dal grande conquistatore, prendeva il posto di Atene co-me centro del mondo scientifico e, specificatamente, matematico. E’ in questonuovo contesto che Euclide si ritrovera ad operare, componendo gli Elementi,il piu fortunato manuale di matematica che sia mai stato scritto.

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1.2 Contesto matematico

La matematica greca affonda le sue radici nelle cosiddette scuole ionica epitagorica (VI sec a.C.) e, in particolare, deve molto ai loro fondatori Taletee Pitagora. I principali centri di produzione matematica fino al V secolo a.C.erano dunque situati principalmente in due aree: Mileto e Crotone, sedi dellescuole. Nella seconda meta del V secolo, tuttavia, vi furono testimonianzerelative a un gruppo di matematici interessati a problemi di tipo geometri-co: l’attivita matematica non era piu concentrata quasi esclusivamente in dueregioni situate agli estremi opposti del mondo greco, ma fioriva un po’ dapper-tutto nelle regioni affacciate sul Mediterraneo. Questo periodo e conosciutocome l’ “eta eroica della matematica” in quanto raramente prima o dopo taleperiodo, uomini cosı sprovvisti di mezzi, hanno affrontato problemi matema-tici di impotranza cosı fondamentale come lo studio delle aree, le nozioni diproporzione e rapporti anche tra gra grandezze incommensurabili, la validitadi metodi infinitesimali.

Per quanto riguarda il V secolo a.C., purtroppo, non ci e giunto alcunoscritto di prima mano concernente la matematica, e quasi altrettanto scarsesono le fonti matematiche dirette risalenti al IV secolo a.C.. Tuttavia, grazieagli scritti platonici e aristotelici, e stato possibile recuperare informazioniriguardanti quei periodi.

Come gia annunciato, studieremo la matematica di Zenone, Platone edEudosso e le novita da loro apportate, ma prima di fare cio e necessario in-quadrare il contesto matematico antecedente questi pensatori: prima di essi,infatti, predominava la visione pitagorica del mondo. Il pensiero pitagoricopuo essere ben riassunto dal famoso motto “tutto e numero”. Con questafrase i pitagorici intendevano dire che il numero, sempre inteso come nume-ro intero, non e una pura astrazione: e invece un elemento primo costitutivodelle cose, un punto materiale vero e proprio, una unita materiale o “mona-de”. Ogni materia e composta da tali entita, di grandezza piccola ma nonnulla, e dalla configurazione (numero e ordine) di questi punti, fra loro identicie qualitativamente indifferenti, dipendono tutte le proprieta e differenze deicorpi.

Dato questo contesto, risulta dunque facile capire come la scoperta dell’in-commensurabilita tra lato e diagonale del quadrato abbia avuto effetti profondinella visione pitagorica del mondo, tanto che i pitagorici cercarono di tenerlasegreta e, come vuole la leggenda, quando Ippaso di Metaponto la divulgo, glieressero una tomba a vita e attesero la sua morte (che non tardo ad arrivarecausa naufragio della nave su cui Ippaso viaggiava). Questa leggenda confermal’impatto devastante che ebbe la scoperta di grandezze incommensurabili, chedemoliva il concetto pitagorico di punto esteso e recava, quindi, un gravissimocolpo non solo a tutta la geometria pitagorica, ma anche al complesso delledottrine filosofiche di quella scuola, fondati entrambi su tale concetto.

In questa relazione cercheremo dunque di capire come i pensatori successivi(i filosofi della scuola d’Elea), rimettano in discussione tutto il sistema delle

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monadi: la loro critica, riprendendo e spingendo alle estreme conseguenze lemonadi pitagoriche, riuscira a far nascere una geometria i cui enti sono conce-piti per la prima volta come idee, oltrepassanti l’empirico. Alla idealizzazionedella geometria e poi profondamente legato il nome di Platone che, con la suateoria delle idee, astrae la geometria e ne colloca gli oggetti in un altro mondo,parallelo al nostro. Infine considereremo il notevole lavoro di Eudosso che,come vedremo, costruı una nuova teoria dei rapporti, ossia un nuovo modo perconfrontare grandezze, indipendente dall’incommensurabilita delle stesse.

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2 Zenone di Elea

2.1 Introduzione

Esponiamo qui brevemente il pensiero di Parmenide, maestro di Zenone,del quale quest’ultimo abbraccio la filosofia. Parmenide nacque intorno al 515-510 a.C. ad Elea (nell’odierna Campania), dove poi fondera la scuola eleatica.Con Parmenide si sviluppo in filosofia l’ontologia, cioe lo studio dell’esserein quanto essere, nelle sue caratteristiche universali; la tesi centrale del suopensiero e che esiste solo l’essere e il non essere non puo esistere, ne puo esserepensato. Dice infatti Parmenide:

“L’essere e e non puo non essere, il non essere non e e non puoessere.”

In particolare, egli sosteneva che solo cio che esiste puo essere pensato; ilpensare ad una cosa significava attribuirle un grado di esistenza.

Essendo, dunque, l’unica via legittima affermare che l’essere e, Parmenidesi pone il problema di definire le caratteristiche essenziali del suo essere, inmodo tale che non siano in contraddizione con l’affermazione dell’essere comeunica realta esistente e pensabile. Parmenide, con ragionamento deduttivo, as-segna i seguenti attributi all’essere: ingenerato, eterno, immobile, immutabile,unico, omogeneo, finito e sferico. Tra questi, i piu importanti per la nostrarelazione sono l’unicita e l’immobilita. In particolare non ammette il concettodi “divenire” in quanto e visto come il passaggio dall’essere al non essere equesto, secondo la sua visione, e un passaggio illogico.

Dunque, il dogma fondamentale degli eleatici era l’unita e la permanenzadell’essere che si contrapponeva alle idee platoniche di molteplicita e muta-mento.

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Il principale discepolo di Parmenide fu Zenone, nato ad Elea circa nel 490a.C.. Egli non fu un vero matematico e sembra che si sia strettamente attenutoagli insegnamenti del maestro, cercando di dimostrare, con sottili argomentilogici, che chiunque si fosse discostato da questi sarebbe caduto in una se-rie di insanabili contraddizioni. Il metodo seguito da Zenone era dialetticoe anticipava Socrate nel modo indiretto di argomentare che, partendo dallepremesse dell’oppositore, le riduceva ad una assurdita (l’odierna dimostrazio-ne per assurdo). La fama di Zenone e comunque ancor oggi dovuta ai suoicelebri paradossi, fra i quali vengono piu frequentemente citati quelli relativial movimento. Per mezzo di questi paradossi, Zenone vuole indirettamenteconfermare la tesi del maestro secondo cui l’essere vero e logico non e quelloin cui viviamo. Infatti, egli dimostra che coloro che scambiano l’apparente colreale, parlano di molteplicita e movimento e sono costretti ad avvolgersi indifficolta mentali inestricabili.

Cerchiamo dunque di capire cosa siano questi paradossi, di cosa trattinoe quali possano essere i significati loro attribuiti dall’autore stesso. Anzituttola parola paradosso deriva dalle due parole greche “para” (contro) e “doxa”(opinione comune), dunque un paradosso e qualcosa che va contro il sensocomune, ovvero cio che comunemente e ritenuto vero. Si noti che nella lettera-tura greca il termine “doxa” e sempre contrapposto ad “aletheia”, ossia veritapura, cio che e realmente vero. Risulta dunque naturale chiedersi contro qualecredenza comune si stesse scagliando Zenone: si e ipotizzato che i paradossifurono sviluppati contro la concezione pitagorica del tempo e dello spazio cheerano contro l’unicita e la permanenza dell’essre o anche, piu generalmente,contro ogni dottrina che ammettesse la pluralita. Ma, come avremo modo divedere tra poco, questa e solo una delle tante interpretazioni che gli studiosiattribuiscono ai paradossi.

Ecco dunque i paradossi sul movimento.

2.2 Paradosso della dicotomia

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Consideriamo un segmento di estremi A e B. Il paradosso dice che perandare da A a B bisogna prima passare per il loro punto medio C e poi per D,punto medio di CB, e cosı via iterando il procedimento all’infinito. Dunque eimpossibile andare da A a B perche bisogna passare attraverso infiniti punti.

Inoltre, se si applica il ragionamento al contrario, cioo si considera D ilpunto medio di AC, E il punto medio di AD e cosı via, non ci si potrebbeneanche muovere, dato che per andare da A a B bisogna prima passare per C,ma prima ancora per D, ma prima ancora per E e, come sopra, il ragionamentopuu essere applicato all’infinito.

Insomma, il corridore che vuole partire deve percorrere un numero infinitodi tali suddivisioni in un periodo di tempo finito; ma e impossibile esaurire unacollezione di infiniti elementi e pertanto l’inizio del movimento e impossibile.

2.3 Paradosso di Achille e della tartaruga

La piu antica versione pervenutaci si trova nella Fisica di Aristotele: “Il piulento corridore non sara mai raggiunto nella sua corsa dal piu veloce. Infattie necessario che l’inseguitore giunga fino al punto da cui e partito il fuggitivo,cosicche e necessario che il corridore piu lento si trovi sempre un po’ piu avanti.”

Adesso questo paradosso e conosciuto come una gara di corsa tra il pie velo-ce Achille e la tartaruga, animale lento per antonomasia a cui Achille concedeun certo vantaggio alla partenza. Una delle descrizioni piu famose del para-dosso e quella dello scrittore argentino Jorge Luis Borges: “Achille, simbolo dirapidita, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre diecivolte piu svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achillecorre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quelmetro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro,la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tar-taruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartarugapercorre un decimo di millimetro, e cosı via all’infinito; di modo che Achillepuo correre per sempre senza raggiungerla.”

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2.4 Paradosso della freccia

Consideriamo una freccia scoccata verso il bersaglio. Mentre vola in ariaoccupa in ogni istante di tempo uno spazio pari alla sua grandezza, ma cio cheoccupa sempre uno spazio uguale a se stesso non e in movimento; pertanto lafreccia che vola e in quiete in ogni istante, cosicche per tutto tempo del suovolo e immobile e il suo movimento e un’illusione.

2.5 Paradosso dello stadio

Si considerino tre file: la fila A, fissa, che rappresenta lo stadio, e le file Be C, che si muovono in senso contrario con la stessa velocita v fino a quandosono allineate con A.

Qual e la velocita di un punto della fila C? Se la si ottiene rispetto ad A,allora tale velocita e v, ma se la si considera rispetto a B, la velocita diventa2v (infatti C si e mosso di due quadrati rispetto ad A e quattro rispetto a B).In questo modo Zenone confuta la tesi di chi riteneva che la velocita fosse uncarattere proprio e assoluto del moto. Non e affatto azzardato ipotizzare inquesto paradosso il pieno riconoscimento della velocita del moto, tesi sostenuta,tra gli altri, anche da Federigo Enriques.

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2.6 Possibili interpretazioni

I paradossi di Zenone hanno sempre suscitato stupore e interesse in tut-ti coloro che si sono impegnati nel ragionamento, citiamo infatti Aristotele:“Quattro sono i ragionamenti di Zenone intorno al movimento, i quali met-tono di cattivo umore quelli che tentano di risolverli.” Oltre ad essere statidiscussi per secoli dalle piu grandi menti, i problemi citati sono ancora attuali,poiche riguardano concetti basilari della scienza matematica e fisica, sui qualinon e stato ancora raggiunto un completo accordo fra gli scienziati. Comespesso accade con autori dell antichita, il cui pensiero ci e pervenuto soltantoattraverso frammenti delle loro opere e testimonianze, filosofi e matematici sisono sbizzarriti a formulare ipotesi su scopi reconditi e significati dei paradossizenoniani.

Nel corso dei secoli sono state proposte molte interpretazioni anche moltodiverse tra loro, vediamone alcune.

• Paradosso della dicotomiaPer quanto riguarda il paradosso della dicotomia, una soluzione diffusaper superarlo e dire che basta la conoscenza delle serie, e in particolaredi

∑∞n=1

12n

, per vedere che il risultato del processo e 1.

Al tempo dei Greci non erano di certo note le serie, ma non e difficileimmaginare che, pur essendo ignari dei rudimenti del calcolo infinitesi-male, essi “vedessero” altrettanto bene che ogni somma: un segmento +mezzo segmento + un quarto di segmento + etc. rimane sempre all’in-terno del segmento doppio. Ed infatti anche lo storico della matematicaAttilio Frajese nel suo libro Attraverso la storia della matematica scrive:E facile mostrare che anche agli albori della scienza matematica dovetteessere assai semplice il calcolo della distanza in questione.

Appare ora evidente che limitarsi a dire che il paradosso della dicotomiaera un paradosso perche i greci non avevano criteri per la convergenza diuna serie non e corretto; il legame tra la serie e i paradossi e innegabilema non ne e la soluzione. Lo storico della matematica H. G. Zeuthenritiene che i primi due paradossi abbiano dato la spinta per il calcolodella somma 1

n+ 1

n2 + 1n3 + . . .

• Paradosso di AchilleAnche il paradosso di Achille e della tartaruga puo essere ridotto a un ra-gionamento sulle serie. Se consideriamo come dati iniziali quelli propostida Borges otteniamo che lo spazio 10 + 1 + 1

10+ 1

100+ 1

1000+ 1

10000+ . . . =

11, 1111; se inoltre supponiamo che Achille percorra il tratto iniziale di 10metri in un secondo otteniamo e il tempo e : 1+ 1

10+ 1

100+ 1

100+ 1

1000+. . . =

1, 1111. La stessa soluzione si ottiene con un calcolo fisico mettendo a

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sistema le due equazioni del moto, ma non vale le pena approfondire inquanto non e cio che Zenone voleva mettere in mostra.

• Interpretazione di AristoteleUn’altra possibile interpretazione consiste nel trasportare il ragionamen-to da un livello astratto a quello del realta fisica, come fa Aristotele.Egli attacca l’infinita suddivisione di un segmento; dice infatti che nellarealta il ragionamento di Zenone deve fermarsi dopo un numero finitodi iterazioni, dato che nel reale vi e un limite alla divisione dello spazio.In particolare, Aristotele distingue tra piano reale e piano del pensiero.Secondo questo filosofo, nella realta esiste solo il finito, mentre l’infinitoe semplicemente la possibilita mentale di aumentare o diminuire indefi-nitamente una qualsiasi quantita data. Ma se nella realta esistono solodistanze e grandezze finite, il movimento raggiungera la sua meta perchesi compiera in un tempo finito.

Ora, poiche l’ipotesi della divisibilita all’infinito e logicamente e matema-ticamente legittima, la difficolta dell’argomento risiede proprio nel doverammettere una sfasatura tra piano logico-matematico e fisico-reale. Perquesto motivo, alcuni matematici-filosofi a partire da Russel, tendono adesaltare Zenone per aver individuato una difficolta autentica del pensieroumano. In particolare si celebra Zenone per avere ammesso la possibilitadella divisione all’infinito e quindi per aver posto il concetto che sta allabase del calcolo infinitesiamale che, tra l’altro, offre validi strumenti disoluzione sull’argomento di Achille su base matematica avanzata diversada quella aristotelico-tradizionale. Tuttavia, secondo alcuni studiosi, sulpiano logico-filosofico, se si ammette l’infinita divisibilita dello spazio, iprimi due argomenti rimarrebbero tuttora inconfutati e inconfutabili.

• Molti, come ad esempio Carl Boyer, sostengono che lo scopo dei para-dossi fosse quello di dimostrare la tesi dell’impossibilita del moto; il lorofine sarebbe dunque quello di dimostrare che accettare la presenza delmovimento nella realta implica contraddizioni logiche ed e meglio quindi,da un punto di vista puramente razionale, rifiutare l’esperienza sensibileed affermare che la realta e immobile. Questi paradossi implicano ancheil concetto di infinita divisibilita dello spazio ed e questa la ragione percui hanno ricevuto una notevole attenzione da parte dei matematici.

• Altre interessanti interpretazioni sono date dal guardare i paradossi diZenone come un confronto tra spazio e tempo. L’idea alla base e che l’in-telletto umano non puo concepire l’infinita suddivisibilita di un segmentotemporale; esso consiste di elementi indivisibili, che vengono denominatiistanti, simili ai punti di un segmento spaziale, ma, a differenza dei secon-di, i primi appaiono costituiti solamente da un numero finito di istanti.Cio costringe ad ammettere l’esistenza di un segmento temporale mini-

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mo, formato da due soli istanti, uno e il suo successivo. Cosı, la sommadi infiniti segmenti, che coinvolge necessariamente infiniti istanti, nonpuo essere mai un segmento finito. La retta temporale appare formatada istanti separati, ogni istante ha un successivo e un precedente, tra unistante e un altro non si riesce a immaginarne infiniti. Al contrario laretta spaziale e concepita in maniera tale che tra un punto e l’altro cene sono sempre infiniti, sicche non c’e alcun modo di introdurre il suc-cessivo di un determinato punto. Ossia lo spazio e continuo e il tempodiscreto (come sembra indicare il terzo paradosso) e l’intelletto umanoscambia l’infinita suddivisibilita dei segmenti della retta spaziale con unacorrispondente infinita suddivisibilita degli analoghi segmenti della rettatemporale.

• Interpretazione di Umberto BartocciCon queste premesse presentiamo l’interpretazione di Umberto Bartocci,ex docente di Storia delle Matematiche presso l’Universita degli Studidi Perugia: “Appare impossibile stabilire, per le caratteristiche propriedegli enti coinvolti, una corrispondenza biunivoca tra segmenti di spazioideale percorso (elaborazioni della pura geometria della retta continuaideale) e associati segmenti di tempo. Ovvero, la nostra mente e costret-ta a concepire delle posizioni spaziali virtuali che non possono essereeffettive, non possono essere di fatto occupate, non esistendo un istantein cui tale occupazione possa avere luogo. Una coppia ordinata del tipoposizione-istante, o spazio-tempo, e quello che si dice un evento, e po-tremo allora pure sintetizzare la nostra opinione asserendo che: non ogniposizione spaziale del tragitto di Achille corrisponde a un evento.”

• Interpretazione di Federigo EnriquesAll’opposto, invece, Federigo Enriques ritiene che i paradossi abbianouna natura solo geometrico-spaziale, senza coinvolgere il tempo: “Il va-lore dei primi due argomenti ci appare indipendente da ogni considera-zione di tempo” e li collega alla critica contro la pluralita dei pitagorici,ossia interpreta i ragionamenti di Zenone non come paradossi contro ilmoto, ma come una critica contro la tesi monadica dei pitagorici. Scriveinfatti che se la linea fosse composta di punti aventi una lunghezza ele-mentare seppur minima, Achille, per raggiungere la tartaruga, dovrebbepercorrere infiniti intervalli, ciascuno dei quali e almeno uguale al mi-nimo di lunghezza, e pertanto lo spazio percorso risulterebbe maggioredi qualunque lunghezza assegnata. Quindi, secondo l’interpretazione diEnriques, Zenone non voleva negare il moto, ma mostrare la sua incon-ciliabilita con l’ipotesi monadica dello spazio. Ma allora dove e la difesadell’immobilita dell’essere? Enriques sostiene che la negazione del motosostenuta da Parmenide (e dunque da Zenone) debba essere intesa nel

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modo seguente: il moto non significa nulla in se, e solo una variazionerelativa della posizione delle cose; la negazione del moto si riduceva, cioo,alla relativita del moto ed e cio che il paradosso dello stadio mostra chia-ramente. Piu in dettaglio, l’interpretazione di Enriques contestualizzal’intera opera della scuola eleatica nella critica alla visione monadica.

Zenone, con ragionamento per assurdo, mostra che, se si ammette chele grandezze geometriche siano costituite di elementi indivisibili ed este-si, allora esse devono essere “piccole fino a non avere grandezza alcuna,grandi fino ad essere infinite”. Inoltre mostra che l’ipotesi della pluralitaconduce ad un’altra contraddizione e cioe che una stessa cosa dovrebbeessere allo stesso tempo finita e infinita. Zenone ha dunque demolito laconcezione pitagorica e la teoria che deve sostituirla e quella del suo mae-stro Parmenide. A questo proposito citiamo lo storico della matematicaEnrico Rufini nel suo libro Il metodo di Archimede. “Nell’opera di Par-menide si afferma per la prima volta il concetto razionale del punto, dellalinea e della superficie; la sua critica tende in sostanza a stabilire che glienti geometrici non possono definirsi che per astrazione, con un processoindefinito di idealizzazione, come limiti del sensibile. Ora questa affer-mazione costituisce il primo riconoscimento del carattere infinitesimaledei concetti fondamentali della geometria, e quindi puo riguardarsi comeil primo acquisto dell’analisi infinitesimale.”

2.7 Influsso sulla matematica del tempo

Sembra che le argomentazioni di Zenone abbiano avuto un profondo influs-so sulla matematica greca, influsso paragonabile a quello della scoperta dellegrandezze incommensurabili, alla quale e possibile che si ricollegassero. Origi-nariamente negli ambienti pitagorici le grandezze venivano rappresentate consassolini o calcoli, ma al tempo di Euclide si era gia verificato un completo cam-biamento del punto di vista: le grandezze non erano piu generalmente associatea numeri o sassolini, ma a segmenti. Negli Elementi persino gli stessi nume-ri interi vengono rappresentati con segmenti. Il regno dei numeri continuavadunque ad avere la proprieta della discontinuita, ma il mondo delle grandezzecontinue (e cio comprendeva gran parte della matematica pre-ellenica e pita-gorica) costituiva qualcosa di completamente separato dal numero e dovevavenire trattato con metodo geometrico. Sembra che fosse la geometria, piutto-sto che il numero, a governare il mondo. Non e improbabile che questo grandecambiamento fosse dovuto in larga misura proprio a Zenone.

Oltre agli argomenti trattati e stato importante il metodo utilizzato da Ze-none. Egli ha fortemente utilizzato il procedimento di riduzione all’assurdo, cheverra poi sfruttato dai geometri successivi. Per dimostrare una proposizioneA, si assume come ipotesi che valga la sua negazione, ossia che la proposizionenon-A sia vera e si trae una serie di conclusioni fino a quando si giunge ad una

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contraddizione. L’ipotesi che non-A sia vera risulta dunque essere falsa e dacio si conclude che A deve essere vera.

Interessante notare come molti argomenti di Zenone furono riscoperti, quasisimultaneamente, dal filosofo cinese del IV secolo a.C. Hui Shi e riportatinell’ultimo capitolo del classico taoista Chuang Tzu, che li critica come paroleche non raggiungono il bersaglio, un voler correre piu veloci della propriaombra. Uno di questi e praticamente identico al paradosso della dicotomia:“Se ogni giorno si dimezza un bastone lungo un piede, ne rimarra semprequalcosa anche dopo diecimila generazioni.”

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3 Platone

Il IV secolo a.C. si era aperto con la morte di Socrate, il filosofo che avevaadottato il metodo dialettico di Zenone. Tuttavia, profondi dubbi metafisicigli hanno impedito di interessarsi alla matematica e alla scienza della natura.A questo proposito, Platone scrive:

“Non posso sentirmi soddisfatto quando so che, se si aggiunge unoa uno, l’uno con cui viene fatta l’addizione diventa due, o che ledue unita sommate insieme fanno due in virtu dell’addizione. Nonriesco a capire come avvenga che, quando erano separate l’una dal-l’altra, ciascuna di esse era uno e non due, e ora, quando sono uniteinsieme, la loro giustapposizione o il loro semplice incontro debbaessere la causa del loro diventare due.”

L’influsso di Socrate nello sviluppo della matematica fu trascurabile se nonaddirittura negativo; cio rende ancor piu sorprendente il fatto che fosse un suodiscepolo e ammiratore, Platone, colui che divenne l’ispiratore del pensieromatematico del IV secolo a.C..

Platone, nato ad Atene nel 427 a.C. da famiglia agiata, e stato uno deipensatori piu influenti della storia e a cui dobbiamo buona parte della filosofiaoccidentale. Fu discepolo di Socrate, compı molti viaggi, soprattutto in Sicilia,e, di ritorno da uno di questi, nel 387 a.C. fondo l’Accademia, la piu grandeistituzione culturale dell’ antica Grecia, che verra chiusa nove secoli dopo, nel529 d.C., dall’imperatore Giustiniano.

Sebbene Platone non abbia dato personalmente alcun notevole contributospecifico alla matematica dal punto di vista prettamente tecnico, l’Accademiafu il centro dell’attivita matematica di quel tempo, tanto che sulla porta diingresso della scuola era scritto il motto: “Non entri chi non e geometra”. Ilsuo entusiasmo per la matematica lo rese famoso non come matematico, macome “creatore di matematici”. L’alta considerazione in cui Platone tenevala matematica non gli derivava da Socrate, che di essa si era scarsamenteinteressato: colui che convertı Platone alla mentalita matematica fu l’amicopitagorico, nonche tiranno di Taranto, Archita.

Platone sosteneva l’esistenza di qualcosa di assoluto ed universalmente va-lido e che la ragione premesse di coglierlo. Se, infatti, questo qualcosa nonesistesse, allora non vi potrebbe essere alcuna conoscenza sicura e non reste-rebbe che l’opinione sensibile, come sostenevano i sofisti. Noi pero abbiamo

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conoscenza di essenze che non hanno alcun riscontro nella realta sensibile e chequindi non possono derivare dall’esperienza. Tali sono, ad esempio, i concettimatematici e i giudizi etici. Bisogna percio ammettere una forma di realtadiversa da quella delle cose sensibili: una realta immateriale, universale, im-mutabile ed eterna che esiste per suo conto e che costituisce una zona d’esserediversa dalla nostra. Questa realta e costituita dalle idee (dal greco eidos,forma) di cui le cose reali sono copie o imitazioni imprefette. Ad esempio: nelmondo esistono cose piu o meno belle o piu o meno giuste; nel mondo delleidee esistono la bellezza e la guistizia. Emerge dunque una netta distinzionetra il mondo delle idee e il mondo delle cose, chiamato in filosofia dualismoontologico.

Le idee non sono uniche e Platone le classifica in tre tipologie:

1. idee che si riferiscono ai valori dell’arte, dell’etica e della politica

2. idee corrispondenti agli enti matematici universali

3. idee di oggetti materiali o artificiali ad esempio albero e tavolo

Una volta introdotto il concetto e la classificazione delle idee, ci si puo chiedereche rapporto intercorra tra le idee e le cose. Platone stesso si mostra incertosu questo argomento, ma fornisce comunque tre possibili interpretazioni:

1. Relazione di mimesi : le cose imitano le idee. Ad esempio il letto prodottodall’artigiano e costruito a immagine e somiglianza dell’idea di letto, cherisponde al requisito fondamentale di essere il luogo fisico ove riposaredurante il sonno.

2. Relazione di partecipazione o metessi : le cose sensibili prendono parte inqualche misura alla perfezione del mondo ideale, quindi non sono comple-tamente scollegate da esso. Pertanto e attraverso le partecipazione allaforma del cerchio che le cose sono circolari e analaogamente per tutte lealtre forme.

3. Presenza o parusia delle idee nelle cose: il mondo sensibile altro none che una rivelazione o espressione visibile di quello ideale. Nelle cose,dunque, le idee si rivelano e acquistano visibilita: ad esempio nel disegnodi un cerchio si rivela l’eterna e perfetta idea di cerchio.

Platone ritiene che la scienza abbia i caratteri della stabilita e dell’immuta-bilita e quindi della perfezione. Ma essendo convinto che il pensiero riflettal’essere, ossia che la mente sia uno specchio o una riproduzione di cio che esi-ste, Platone si chiede quale sia l’oggetto proprio della scienza. Ovviamente nonpossono costituire oggetto della scienza le cose del mondo apprese dai sensi.Queste, essendo mutevoli ed imperfette sono dominio di quella corrisponden-te forma di conoscenza mutevole ed imperfetta che Platone chiama opinione.

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Oggetto proprio della scienza, secondo Platone, non possono che essere le idee.Dnque, oltre che ad un dualismo ontologico, appare anche un dualismo gno-seologico in cui si distinguono due gradi di conoscenza (opinione e scienza) acui corrispondono due diverse realta (cose ed idee).

Dopo aver descritto le idee, Platone si chiede come sia possibile la cono-scenza, dato che le idee vivono in un mondo parallelo al nostro e che dunque isensi non permettono di conoscere le idee.

Per rispondere a questa domanda bisogna prima parlare del concetto dianima per Platone. Egli la considera come la parte piu importante dell’uomo,dotata di personalita intellettuale e morale. La dottrina dell’anima di Pla-tone dipende dalla tradizione pitagorica per la quale essa e un essere divinoe immortale che e esistito prima di incarnarsi in un corpo e che esistera an-che dopo la morte fisica di questo. La caratteristica fondamentale dell’animaumana e dunque l’immortalita che, mentre la disgiunge dal corpo e dai sensi,la congiunge al mondo intellegibile delle idee. Il dialogo che affronta il temadell’immortalita dell’anima e il Fedone; l’anima ha un compito da assolverenel mondo terreno, ma la sua destinazione e estranea all’effimera consistenzadei corpi umani: essa deriva dal mondo delle idee ed e suo destino ritornarea quel mondo, l’anima e le idee hanno dunque una natura affine. E in questasomiglianza che Platone trova le risposte alla domanda sulla natura della co-noscenza: essa non dipende dai sensi quali la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto,ma e sempre conoscenza di idee che soltanto l’anima puo raggiungere, essendodella loro stessa natura; solo l’anima conosce.

Ora, pero, come e possibile che l’anima ottenga la conoscenza delle veritaideali quando e immersa nel corpo e nella realta dei sensi? La risposta plato-nica consiste nel dire che l’anima, ancora prima di incarnarsi, ha vissuto unavita divina nel mondo delle idee e ha potuto conoscere tutti gli esempi perfettidelle cose, ossia le idee, forme eterne e universali. Quando poi si e incarnatain un corpo, ha conservato un ricordo sbiadito di quelle verita, che si risvegliaa contatto con le cose sensibili di questo mondo. Apprendere, dunque, non si-gnifica partire da zero, bensı ricordare cio che si era obliato. Secondo Platone,l’uomo non possiede gia tutta intera la verita (altrimenti non la cercherebbe)e neanche la ignora completamente (perche in tal caso neppure inizierebbe acercarla) ma la porta con se a titolo di ricordo. Questa e’ la celebre dottrinadella reminiscenza, che rappresenta il cuore della teoria platonica della cono-scenza. Cerchiamo ora di capire come tutta questa teoria si ripercuota nellostudio della matematica.

Platone aveva osservato che i veri oggetti della matematica non sono lefigure che i matematici disegnano piu o meno precisamente, benche nessunoabbia mai visto un vero cerchio o un vero quadrato; la matematica non trat-ta delle rappresentazioni piu o meno adeguate del quadrato astratto che essecercano di riprodurre. Scrive infatti Platone nella Repubblica: “I matematiciusano modelli visibili e costruiscono su di essi delle dimostrazioni, ma l’oggettodei loro ragionamenti non sono quei modelli bensı le realta che essi rappresen-

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tano. Ad esempio il quadrato e la diagonale in quanto tali, e non il particolarequadrato e la particolare diagonale di un disegno.”

In generale, cio che accomuna figure dello stesso tipo e la loro forma, l’i-dea. Poiche, inoltre, le idealizzazioni delle figure geometriche posseggono unaperfezione che le loro rappresentazioni concrete non possono avere, si puo de-durre che le idee sono indipendenti e che vivono in un mondo parallelo a quellosensoriale, che Platone chiama Iperuranio. Le idee geometriche non sono sola-mente cio che diverse rappresentazioni di una stessa figura hanno in comune,esse hanno una loro esistenza indipendente. Nell’iperuranio ad esempio c’e ilcerchio astratto di cui i cerchi concreti non sono altro che proiezioni e cosı pertutte le figure geometriche. Le idee matematiche hanno dunque un rapportodi metessi e parusia con le loro rappresentazioni, ossia un cerchio e tale perchepartecipa all’idea di cerchio e, viceversa, l’idea perfetta del cerchio si manifestanel disegno di un cerchio.

Platone riconosceva notevole importanza alla matematica; incluse aritmeti-ca e geometria tra le quattro materie da studiare per una formazione completadella persona (le altre due erano astronomia e musica) e, come gia ricordato,pose un cartello sulla porta d’entrata dell’Accademia che recitava: “Non entrichi non e geometra”.

Tutto cio influı sui suoi discepoli, molti dei quali diventarono matematicifamosi. Citiamo, ad esempio, Eudosso di Cnido, Amicle di Eraclea, Memecmo,Teudio di Magnesia.

3.1 I solidi platonici e Teeteto

Platone descrisse le sue idee concernenti i solidi regolari nel dialogo intito-lato il Timeo, in relazione alla formazione degli elementi, cui associa un solidoregolare ciascuno. Platone sostiene che, essendo fuoco, aria, acqua e terra deicorpi, essi sono dotati di spessore e lo spessore e delimitato da superfici pia-ne, che a sua volta e formata da triangoli. Afferma poi che tutti in triangolinascono da due soli tipi, entrambi rettangoli:

• il triangolo rettangolo isoscele meta del quadrato,

• il triangolo rettangolo scaleno che ha l’ipotenusa doppia rispetto al catetominore (raddoppiando il quale si ottiene un triangolo equilatero).

Platone denomina questo secondo triangolo “il triangolo piu bello”.

1. L’elemento del fuoco e il tetraedro: si ottiene combinando 4 volte iltriangolo equilatero ottenuto a sua volta da 6 triangoli piu belli.

2. L’elemento della terra e l’esaedro (cubo): si ottiene combinando 6 volteil quadrato ottenuto dal triangolo isoscele.

3. L’elemento dell’aria e l’ottaedro: si ottiene combinando 8 triangoli equi-lateri ottenuti come per il fuoco.

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4. L’elemento dell’acqua e l’icosaedro: si ottiene combinando 20 triangoliequilateri ottenuti come per il fuoco.

Insomma, a partire dal triangolo, elemento fondamentale, si costruiscono glielementi del fuoco, dell’aria, dell’acqua e della terra, la cui combinazione litrasmuta l’uno nell’altro come la combinazione delle figure solide. Ad esempiouna molecola d’aria e formata da due molecole di fuoco.

Sembra che Platone sia venuto a conoscenza dei cinque solidi regolari pro-prio a seguito di uno dei suoi incontri con l’amico pitagorico Archita e none poi escluso che sia stato proprio il culto pitagorico per la figura geometricadel dodecaedro a indurre Platone a considerare questo quinto e ultimo solidoregolare come simbolo dell’universo. Platone considerava il dodecaedro comecomposto di 360 triangoli piu belli, infatti, tracciando le cinque diagonali e lecinque mediane di ciascuna delle facce pentagonali, ognuna di queste risulteraformata da trenta di tali triangoli.

Sebbene il Timeo, probabilmente scritto quando Platone era quasi settan-tenne, fornisca la prima testimonianza precisa circa l’associazione dei quattroelementi con i solidi regolari, puo darsi che gran parte di questa concezionealtamente speculativa risalga ai pitagorici. A proposito di cio le fonti sonodiscordanti: probabilmente la costruzione delle figura cosmiche e attribuibilea Pitagora oppure a Teeteto, amico di Platone. Sembra comunque verosimileche quest’ultimo abbia studiato piu a fondo di ogni altro matematico i cinquesolidi regolari e forse e dovuto a lui il teorema secondo cui vi sono cinque esolo cinque poliedri regolari. E’ inoltre possibile che a lui vada attribuito ilmerito di aver calcolato i rapporti tra i lati dei solidi regolari e i raggi delle sfe-re circoscritte, discussi negli Elementi di Euclide. Alcuni riferimenti contenutiin opere storiche antiche indicano che Teeteto fece scoperte nel campo dellageometria elementare che vennero poi incorporate negli Elementi. Gli scrittidi Teeteto sono, pero, andati perduti.

Riportiamo qui una dimostrazione moderna del seguente

Teorema 1 I solidi regolari sono cinque.

Dimostrazione. Soltanto il triangolo equilatero, il quadrato e il pentagonoregolare possono essere facce di poliedri regolari; infatti in un vertice di unpoliedro devono convergere almeno 3 facce che non stiano sullo stesso piano,quindi la somma dei loro angoli deve essere inferiore a 360A◦.

- Ogni angolo di un triangolo equilatero misura 60A◦, quindi e possibilefar incontrare in un vertice 3 facce (3 · 60 = 180) ottenendo un tetraedroregolare, 4 facce (4 · 60 = 240) ottenendo un ottaedro regolare e 5 facce(5 · 60 = 300) ottenendo un icosaedro regolare.

- Ogni angolo di un quadrato misura 90A◦: e quindi possibile far incontrarein un vertice 3 facce (3 · 90 = 270) ottenendo un cubo.

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- Ogni angolo di un pentagono regolare misura 108A◦. e quindi possi-bile far incontrare in un vertice 3 facce (3 · 108 = 324) ottenendo undodecaedro regolare.

- Ogni angolo di un esagono regolare misura 120A◦ e quindi 3 facce chesi incontrassero in un vertice risulterebbero sullo stesso piano (3 · 120 =360).

Gli argomenti precedenti dimostrano che non possono esistere altri solidi pla-tonici oltre ai cinque considerati, ma non che quei cinque esistano realmente.Una dimostrazione costruttiva dell’esistenza dei cinque solidi platonici e con-tenuta nell’ultimo libro degli Elementi di Euclide e costituisce la conclusionedell’opera. �

3.2 L’aritmetica e la geometria platoniche

Probabilmente si deve a Platone la distinzione che veniva fatta nella Greciaantica tra l’aritmetica, nel senso di teoria dei numeri, e la logistica, intesa comeinsieme di regole di calcolo. Per platone la prima era una disciplina che siaddiceva al filosofo, astratta e utile all’esercizio della mente, mentre la secondaera una disciplina di tipo pratico, utile a chi, come l’uomo di guerra e l’uomod’affari, doveva fare calcoli.

La concezione platonica del numero e cosı altamente speculativa da sfo-ciare nel misticismo, tant’e che nella Repubblica fa riferimento ad un nume-ro che chiama il signore di migliori e peggiori nascite. Si e molto discussocirca questo numero misterioso e, secondo alcuni, si tratterebbe del nume-ro 604 = 12.960.000, che aveva avuto molta importanza nelle numerologiababilonese e che Platone forse aveva conosciuto grazie alla mediazione deipitagorici.

In maniera simile a quanto aveva sostenuto per l’aritmetica, anche nella geo-metria Platone abbracciava la causa della matematica pura contrapponendolaalle idee materialistiche dell’artigiano o del tecnico. A quanto pare Platoneera contrario all’uso di mezzi meccanici nelle dimostrazioni geometriche e puodarsi che sia dunque stato il principale responsabile della restrizione, nella ma-tematica greca, a quelle costruzioni geometriche che potevano essere effettuateusando solo riga e compasso. Probabilmente la decisione di tale limitazionerisiedeva non tanto nella semplicita degli strumenti usati per costruire rettee cerchi, quanto piuttosto nella simmetria delle configurazioni. Ognuno degliinfiniti diametri di un cerchio costituisce una retta di simmetria della figura eogni punto di una retta di estensione infinita puo essere concepito come centrodi simmetria, cosı come qualsiasi perpendicolare alla retta data e una rettarispetto alla quale la retta data e simmetrica. Chiaramente, nella divinizzazio-ne platonica delle idee, risultava naturale assegnare alla retta e al cerchio unruolo privilegiato fra tutte le altre figure geometriche. Come gia osservato, inmaniera simile cio avveniva per il triangolo.

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3.3 Influsso sulla matematica del tempo

Il ruolo di Platone nella storia della matematica e ancor oggi oggetto diaspre dispute: alcuni lo considerano un pensatore eccezionalmente profondo eincisivo, mentre altri lo dipingono come un pifferaio che adesco i matematicidistogliendoli da problemi concernenti la realta del mondo e incoraggiandoliad abbandonarsi a oziose speculazioni. In ogni caso, pochi potrebbero negareche Platone abbia avuto un influsso notevole sullo sviluppo della matematica.L’Accademia platonica di Atene divento il centro mondiale della matematicae fu da questa scuola che provennero i piu eminenti insegnanti e studiosi attiviattorno alla meta del IV secolo a.C. Fra costoro il piu grande fu Eudosso diCnido, che era stato per un certo tempo allievo di Platone e che divento il piufamoso matematico e astronomo del suo tempo.

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4 Eudosso

Eudosso (408-355 a.C.), nato a Cnido (sulla costa dell’odierna Turchia), fustudente di Platone ed e considerato il piu famoso matematico e astronomodella sua epoca, infatti gli sono attribuiti risultati di grande importanza, fon-damentali per il costituirsi della matematica come scienza. Dato che tutti isuoi lavori sono andati persi, la nostre conoscenze su di lui sono ottenute dafonti secondarie. Sappiamo che si occupo del problema della duplicazione delcubo, di numeri interi e che, inoltre, studio teoria della musica e medicina. ACnido costruı un osservatorio astronomico e identifico varie costellazioni.

Eudosso fu senza dubbio il piu abile matematico dell’eta ellenistica: e pro-babile che il valore aristotelico della misura della circonferenza terrestre sia alui dovuto (Archimede riferisce che Eudosso aveva calcolato che il diametrodel sole era 9 volte maggiore di quello della Terra). Nel suo schema astrono-mico egli era riuscito a descrivere mediante una combinanzione di movimenticircolari il moto dei pianeti lungo orbite aventi la forma di lemniscata sferica.Matematicamente parlando, ad Eudosso si attribuisce la sistemazione criticadella teoria delle proporzioni, indipendente dalla commensurabilita delle gran-dezze, e il cosı detto “metodo di esaustione”, che consentı un trattamentorigoroso del calcolo delle aree e dei volumi. Cerchiamo dunque di inquadrarequesti due problemi nel loro contesto storico e di capire le soluzioni proposteda Eudosso.

4.1 Teoria delle proporzioni

I pitagorici erano profondamente convinti che la realta fosse esprimibilein termini di numeri naturali e loro rapporti. Questo era confortato dallescoperte in campo musicale e astronomico e, geometricamente, si traduceva nelfatto che, dati due segmenti qualunque, questi fossero tra loro commensurabili,ossia o uno e contenuto un numero intero di volte nell’altro oppure esiste unsottosegmento tale che entrambi i segmenti iniziali siano suoi multipli interi.

La scoperta che il lato e la diagonale di un quadrato non sono due gran-dezze commensurabili fece crollare la loro filosofia: i numeri interi e i lororapporti non erano piu sufficienti a descrivere la natura. Oltre alla fine della

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concezione pitagorica del mondo come rapporto questa fu una “scoperta imba-razzante perche in numerose dimostrazioni geometriche essi -i Greci- avevanosupposto che, dati comunque due segmenti qualsiasi, esistesse sempre un’unitadi lunghezza ad essi comune” come scrive Niven in Numeri razionali e numeriirrazionali. Si poneva dunque il problema di trovare un metodo che consentissedi confrontare rapporti tra grandezze incommensurabili.

Prima della scoperta dell’incommensurabilita tra lato e diagonale del qua-drato, i Greci consideravano quattro grandezze in proporzione, a : b = c : d,se i due rapporti a : b e c : d avevano la stessa sottrazione reciproca, cioe, inciascuno dei due rapporti la quantita piu piccola poteva essere sottratta daquella piu grande lo stesso numero intero di volte, e il resto in ciascun casopuo venire sottratto dalla quantita piu piccola lo stesso numero intero di voltee il nuovo resto puo venire sottratto dal precedente un numero intero di voltee cosı via.

Facciamo un esempio con le notazioni moderne e mostriamo che 6 : 22 =12 : 44. Si puo sottrarre 3 volte 6 da 22 e avanza 4. Iterando il procedimento sipuo sottrarre 1 volta il 4 dal 6 e avanza 2; si puo sottrarre 2 volte il 2 dal 4 e nonavanza alcuna quantita. Il rapporto 6 : 22 si vede, dunque, come la sequenza3, 1, 2. Svolgendo i conti per 12 : 44 si ottiene lo stesso risultato 3, 1, 2. Questoprocedimento termina quando le grandezze in esame sono commensurabili. Se,invece, vogliamo considerare il rapporto tra il lato e la diagonale di un quadratoil procedimento sopra illustrato non termina mai, proprio perche queste duegrandezze sono incommensurabili.

Eudosso risponde alla necessita di un nuovo metodo per confrontare gran-dezze fornendo la seguente definizione, che ci viene tramandata dal libro Vdegli Elementi di Euclide.

Definizione 2 Si dice che delle grandezze sono nello stesso rapporto, la primacon la seconda e la terza con la quarta, quando, se si prendono equimultipliqualsiasi della prima e della terza, ed equimultipli qualsiasi della seconda e dellaquarta, i primi due equimultipli superano ugualmente, o sono uguali, o sonougualmente inferiori ai secondi equimultipli presi in ordine corrispondente.

Riscriviamo con notazione moderna l’enunciato. Il rapporto tra a e b euguale a quello di c e d, ossia a : b = c : d, se, per qualsiasi coppia di numeriinteri m ed n, si ha:ma>nb => mc>ndma=nb => mc=ndma<nb => mc<nd.

La definizione eudossea di uguaglianza di rapporti non e diversa dal pro-cesso di moltiplicazione dei medi e degli estremi che viene usato oggi per lefrazioni, ossia a

b= c

dse e solo se ad = bc, un processo che equivale alla ridu-

zione a comune denominatore. Per mostrare, per esempio, che 36

e uguale a 48,

moltiplichiamo 3 e 6 per 4 ottenendo 12 e 24, e moltiplichiamo 4 e 8 per 3,ottenendo la stessa coppia di numeri 12 e 24. Avremmo potuto usare 7 e 13

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come moltiplicatori, ed avremmo ottenuto la coppia 21 e 42 nel primo caso,e 52 e 104 nel secondo; e come 21 e inferiore a 52, cosı 42 e inferiore a 104(abbiamo qui scambiato l’uno con l’altro il secondo e il terzo termine delladefinizione eudossea per conformarci alle comuni operazione solitamente usateoggi, ma simili relazioni sussistono nell’uno o nell’altro caso).

Il nostro esempio aritmetico, tuttavia, non da un’idea adeguata della sot-tigliezza e dell’efficacia del concetto di Eudosso, giacche l’applicazione fattanequi ha un aspetto banale. Per poter valutare piu a fondo la sua definizionesarebbe meglio sostituire a, b, c, d con numeri irrazionali, oppure, cosa ancoramigliore, considerare a e b come sfere e c e d come cubi costruiti sui raggidelle sfere. Qui una moltiplicazione dei medi e degli estremi diventa priva disenso e l’applicazione della definizione di Eudosso appare tutt’altro che banale.Bisogna dunque ammettere che la notazione moderna di a, b, c, d e fuorviantepoiche induce a pensare a dei numeri, mentre Eudosso parla sempre di “gran-dezze”, non di “numeri”, sta definendo l’uguaglianza di rapporti tra grandezze(segmenti) senza parlare di lunghezze; l’unica cosa di cui parla e il multiplo disegmento.

Detto in altre parole, il problema che affronta non e l’irrazionalita di√

2, mal’incommensurabilita della diagonale rispetto al lato di un quadrato; benche aprima lettura possano sembrare la stessa cosa, in realta sono due cose diverse.Il rapporto tra due grandezze, per i Greci, non e un numero: loro esprimonotutto per mezzo di grandezze e quindi definiscono l’uguaglianza di due rapporti,non il rapporto in quanto tale, proprio perche il rapporto in quanto tale e unnumero.

Eudosso da una definizione di uguaglianza di rapporti che comprende cioche noi oggi chiamiamo numeri irrazionali, senza mai definirli; la sua teoriadelle proporzioni permette quindi di confrontare tutte le grandezze commen-surabili e incommensurabili.

4.2 Metodo di esaustione

Abbiamo visto nella sezione precedente come fu possibile affrontare con suc-cesso, grazie all’immaginazione di Eudosso, la crisi aperta nelle matematica inseguito alla scoperta di grandezze incommensurabili; ma rimaneva aperto unaltro problema, quello del confronto tra configurazioni rettilinee e curvilinee.Sembra che fino ad allora i matematici avessero suggerito l’idea di inscrivere ecircoscrivere figure rettilinee attorno alla figura curva e di continuare a moltipli-care indefinitamente il numero dei lati; ma essi non sapevano come concludereil ragionamento, poiche a quel tempo era ancora sconosciuto il concetto di li-mite. Secondo le fonti, fu ancora una volta Eudosso a fornire la chiave di voltanecessaria per risolvere il problema in questione, infatti Archimede attribuiscead Eudosso la formulazione della proposizione (talvolta nota come assioma dicontinuita) che serviva come base per il metodo di esaustione:

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Lemma 3 (Assioma di continuita) Date due grandezze aventi un certo rap-porto (cioe, nessuna delle quali sia zero) e possibile trovare un multiplo dell’unache superi l’altra grandezza.

Partendo da questo Eudosso ricavo la seguente

Proposizione 4 (Proprieta di esaustione) Se da una qualsiasi grandezzasi sottrae una parte non inferiore alla sua meta, e se dal resto si sottrae ancoranon meno della sua meta, e se questo processo di sottrazione viene continuato,alla fine rimarra una grandezza inferiore a qualsiasi grandezza dello stessogenere precedentemente assegnata.

Dimostrazione. Siano AB e c due grandezze disuguali di cui AB la mag-giore. Dico che se da AB si sottrae una grandezza maggiore della meta e dacio che resta una grandezza piu grande della meta e se questa operazione siripete successivamente, restera una certa grandezza che sara minore di c.

Infatti, se c viene moltiplicata, puo risultare maggiore di AB. Si suppongadi averla moltiplicata e sia DE multiplo di c e maggiore di AB; si divida DEnelle parti DF , FG, GE uguali a c; da AB si sottragga BH maggiore dellasua meta; da AH, HK maggiore della sua meta e si ripeta questa operazionecontinuamente, finche si sia diviso AB nello stesso numero di parti in cui edivisa DE.

Siano dunque le parti AK, KH, HB, uguali di numero alla parti DF , FG,GE; poiche DE e maggiore di AB, se da DE togliamo GE e da AB togliamoBH piu grande della sua meta, ne segue che il resto DG e maggiore del restoAH, poiche

DE > AB ⇒ DG =2

3DE >

1

2DE >

1

2AB > AH.

E poiche DG e maggiore di AH, se da DG togliamo la meta GF e da AHtogliamo KH piu grande della sua meta, ne segue che il resto DF e maggioredel resto AK, poiche

DG > AH ⇒ DF =1

2DG >

1

2AH > AK.

Ma DF e uguale a c; dunque anche c e maggiore di AK. Quindi AK e minoredi c. Dunque dalla grandezza AB resta la grandezza AK che e piu piccoladella grandezza minore assegnata c; cio che si doveva dimostrare. [Elementi diEuclide, libro X] �

Con questo teorema si riuscı a stabilire la misura dell’area di figure cur-vilinee con sempre maggiore approssimazione; qualsiasi figura non rettilineapoteva infatti essere analizzata attraverso il metodo di esaustione, suddividen-do le figure rettilinee ad essa circoscritte o inscritte in intervalli sempre piupiccoli, in modo da raggiungere una migliore precisione. In questo modo Eu-dosso elimina sistematicamente il ricorso all’infinito concludendo per assurdo

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l’uguaglianza di due aree o volumi dimostrando che, se esiste una differenza,questa dovrebbe essere piu piccola di qualsiasi grandezza assegnabile. C’e, co-me si vede, lo spirito della moderna teoria dei limiti.

Per illustrare il modo in cui Eudosso probabilmente usava il suo meto-do, diamo qui, in notazione abbastanza modernizzata, la dimostrazione delseguente

Teorema 5 Le aree dei cerchi stanno tra loro come come i quadrati sui ri-spettivi diametri.

Dimostrazione. Siano i cerchi c e C, con diametri d e D e aree a e A. Si devedimostrare che a

A= d2

D2 . La dimostrazione viene effettuata procedendo indi-

rettamente ed escludendo le uniche altre possibilita, ossia aA> d2

D2 e aA< d2

D2 .

Assumiamo dunque dapprima che aA> d2

D2 . Deve allora esservi una grandezza

a′ < a tale che a′

A= d2

D2 . Sia a − a′ una grandezza preassegnata ε > 0. Al-l’interno dei cerchi c e C vengano inscritti poligoni regolari di area pn e Pn,aventi lo stesso numero n di lati, e si considerino le aree intermedie che sitrovano all’esterno dei poligoni, ma all’interno dei cerchi. Se raddoppiassimoil numero dei lati, e evidente che da queste aree intermedie sottrarremmo piudella meta. Di conseguenza, in virtu della proprieta di esaustione, e possibileridurre le aree intermedie attraverso raddoppiamenti successivi del numero deilati (ossia, aumentando n) fino a che a − pn < ε. Allora, poiche a − a′ = ε,abbiamo pn > a′. Ora, in base a teoremi precedenti, sappiamo che pn

Pn= d2

D2 , e

poiche avevamo assunto che a′

A= d2

D2 , abbiamo pnPn

= a′

A. Pertanto se pn > a′,

come abbiamo dimostrato, dobbiamo allora concludere che Pn > A. Dal mo-mento che Pn e l’area di un poligono inscritto all’interno del cerchio di areaA, e evidente che Pn non puo essere piu grande di A. poiche una conclusionefalsa implica una falsa premessa, abbiamo escluso la possibilita che a

A> d2

D2 .

In maniera analoga possiamo escludere la possibilita che aA< d2

D2 , stabilendocosı il teorema secondo cui le aree dei cerchi stanno tra loro come i quadraticostruiti sui rispettivi diametri. [Elementi di Euclide, libro XII, prop. 2] �

La riduzione all’assurdo si poteva evitare se fosse stata ammessa la nozionedi limite. Ma la critica ai concetti infinitesimali non aveva ancora raggiuntoquell’alto grado di sviluppo che consentiva di darne una definizione chiara eprecisa atta ad evitare equivoci. Per questo fu escluso come mezzo di dimostra-zione sebbene, forse, non si possa negare che sia stato presentito e adoperatonelle ricerche sia pure in una forma tutt’altro che semplice e intuitiva.

Sembra che la proprieta appena dimostrata sia il primo esempio di teoremaesatto riguardante le grandezze di figura curvilinee. Questo farebbe di Eudossoil fondatore del calcolo integrale, il che costituisce il massimo contributo datoalla matematica da un membro dell’Accademia.

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5 Il concetto di infinito nel pensiero greco

Il termine greco che esprime il concetto di infinito e apeiron (a-non, peiron-limite), che propriamente significa indeterminato, indefinito, illimitato.

Anassimandro (VI sec. a.C.) fu il primo ad introdurre, secondo la tradizio-ne filosofica, il termine arche, ossia principio, che identifico con l’apeiron, cioecon una sorta di infinito indefinito da cui scaturiscono tutte le cose. Il proces-so di derivazione dall’apeiron consiste in una separazione dei contrari (caldofreddo; umido secco; ...) che Anassimandro chiamo ingiustizia, poiche ogni na-scita equivale ad una colpevole separazione dalla sostanza originaria e richiedel’espiazione della morte, per ricongiungersi con essa. L’apeiron e ritenuto ele-mento divino, in quanto forza immortale ed indistruttibile, che abbraccia eregge l’universo.

Anassagora (V sec. a.C.) scrisse un’opera intitolata Sulla natura, in cuisosteneva che nulla si genera dal non-essere, ma che tutto viene dal tutto.Secondo lui, in origine tutto era mescolato, la nascita delle cose avveniva perseparazione da altre cose ed esisteva poi un infinito numero di principi.

I pitagorici ammettevano l’infinito, unitamente al finito, come la primadelle dieci coppie di contrari o principi costitutivi delle cose, ma nella coppiafinito-infinito il secondo termine designava il non-essere e l’imperfezione.

Parmenide aveva considerato l’essere finito e lo aveva descritto come unsfera; il suo discepolo Melisso di Samo giunse invece alla conclusione che l’es-sere stesso dovesse considerarsi infinito, non dovendo esso ammettere null’altrofuori di se. Egli si chiese cosa sarebbe successo se una persona avesse potutoraggiungere il bordo della sfera e allungare il braccio all’esterno nel non-essere,e ne dedusse che cio non poteva accadere. Il terzo grande esponente della scuo-la di Elea fu Zenone, di cui abbiamo parlato precedentemente. Ricordiamo soloche i suoi paradossi erano basati sull’infinita divisibilia geometrica dello spazioe sull’infinito regresso logico del ragionamento.

Il regresso infinito del ragionamento fu usato dagli scettici per argomenta-re a favore dell’impossibilita delle dimostrazioni e delle definizioni; Aristotelesostenne, invece, che dimostrava la necessita di assiomi e nozioni primitive.

Gli epicurei furono gli unici filisofi greci che, richiamandosi anche a De-mocrito, accolsero una concezione a suo modo positiva dell’infinito, in quan-to, identificandolo con il vuoto, ne fecero, assieme agli atomi, la condizioneoriginaria dell’universo e del suo divenire.

La tendenza prevalente era, tuttavia, rappresentata dalla teoria della po-tenza e dell’atto di Aristotele. Secondo questi, infatti, la potenza indicava lapossibilita da parte della materia di subire un cambiamento, ad esempio il le-gno puo diventare sedia. L’atto, invece, indicava l’esistenza stessa dell’oggetto,ossia la cosa nella sua presenza attuale e concreta, ad esempio la sedia su cuiadesso sono seduto. Secondo gli aristotelici l’infinito esisteva solo in potenza,non in atto. Prendiamo ad esempio l’insieme dei poligoni iscritti nella circon-

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ferenza:

Questo e evidentemente un insieme illimitato, nel senso che per ogni poligo-no con un numero arbitrariamente grande di lati, esiste un poligono successivocon lati ancora piu piccoli che a sua volta non coincidera con la circonferenzama ammettera dopo di se un ulteriore poligono: e proprio la definizione diAristotele, l’infinito e qualcosa al di la del quale si trova sempre qualcos’altro.Allo stesso modo in cui l’apeiron, l’illimitato, non ammette alcun termine fi-nale, ma solo un infinito sviluppo, l’insieme dei poligoni non puo comprendereun termine conclusivo che coincida con la circonferenza.

Teeteto (V secolo a.C.) fu forse il primo matematico a caratterizzare i nu-meri naturali. Egli stabilı che, a partire dall’uno, ogni numero ha un unicosuccessore e che ogni successore e ancora un numero. Queste due proprietasono oggi note come il secondo e il quinto assioma di Peano. Inoltre sapevache questa serie e infinita e che tutti i numeri sono compresi in questa serie.Il processo di contare e un altro esempio di infinito in potenza, non sara maipossibile vederlo come processo in atto; lo stesso Aristotele scriveva “Il nu-mero e infinito in potenza, ma non in atto”. Euclide riuscı a dimostrare cheanche il sottoinsieme dei numeri naturali formato dai numeri primi e infinitoed Eratostene fornı un metodo per trovarli tutti.

I Greci continuarono comunque a rifiutare l’idea di un infinito in atto e acollegare all’infinito un’idea di imperfezione.

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Riferimenti bibliografici

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[5] Richard Courant, Herbert Robbins, Che cos’e la matematica?, UniversaliBollati Boringhieri 2000.

[6] Imre Toth, Aristotele e i fondamenti assiomatici della geometria, Vita ePensiero 1998.

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[8] Carl B.oyerB, Storia della matematica, Feltrinelli 1926.

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