31
Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999

Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

  • Upload
    lythuan

  • View
    219

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

Giovanni Salmeri

Piccolastoria della logicaII. Il Novecento

Roma 1999

Page 2: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

30

4. La logica nel Novecento

4.1. Georg Cantor (1845-1918)

4.1.1. La teoria degli insiemi

L’opera di Georg Cantor si situa nel complesso di ricerche che vennerodedicate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento al problema della fon-dazione della matematica. Si trattava del tentativo di darle una base assoluta-mente solida, che non facesse ricorso né a considerazioni psicologiche, né a dati«intuitivi» come venivano presentati dai neokantiani. Questo nuovo punto dipartenza è offerto secondo Cantor dalla teoria degli insiemi. Eccone i concettifondamentali:

Con insieme (Menge) intendiamo ogni riunione I in un tutto di determinati e ben di-stinti oggetti i della nostra intuizione o del nostro pensiero (che vengono chiamati elementidi I). In simboli esprimiamo ciò così:

I = {i}.[...]Ad ogni insieme I spetta una determinata potenza (Mächtigkeit), che chiamiamo an-

che il suo numero cardinale (Kardinalzahl). Chiamiamo potenza o numero cardinale di I il con-cetto generale che con l’aiuto della nostra facoltà attiva di pensiero scaturisce dall’insieme Iastraendo dalle fattezze dei suoi distinti elementi e dall’ordine nel quale essi sono dati. Il risul-tato di questo duplice atto di astrazione, il numero cardinale o la potenza di I, lo indichiamocon |I|.

Giacché da ogni singolo elemento i se si prescinde dalla sua fattezza, deriva un’unità,allora lo stesso numero cardinale |I| è un determinato insieme composto di semplici unità,che possiede esistenza nella nostra mente come immagine intellettuale o proiezione dell’in-sieme dato I.

Due insiemi I e J li chiamiamo equivalenti e indichiamo ciò conI ~ J oppure J ~ I

Page 3: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

31

se è possibile porli secondo una legge in una relazione reciproca tale che ad ogni ele-mento di uno di essi corrisponda uno e solo un elemento dell’altro.

[...]È di significato fondamentale che due insiemi I e J hanno lo stesso numero cardinale

se e solo se essi sono equivalenti:da I ~ J segue |I| = |J|,e da |I| = |J| segue I ~ J.L’equivalenza di insiemi costituisce dunque il necessario e infallibile criterio per l’ugua-

glianza dei loro numeri cardinali (Contributi alla fondazione della teoria degli insiemi transfi-niti, 1897, § 1 [simbologia modificata]).

Così si è raggiunta secondo Cantor una soddisfacente caratterizzazionedel numero: anzitutto del numero naturale, e tramite questo del numero relati-vo, razionale e infine reale (un passo quest’ultimo meno facile, che venne com-piuto da Cantor stesso). In questo modo l’aritmetica diventa una scienza edifica-ta sulla base della teoria degli insiemi, che pare rispondere a quelle doti di sem-plicità e solidità che dovrebbe richiedere una teoria di fondazione. La teoria de-gli insiemi mostra però un’ulteriore particolare duttilità: essa permette diconsiderare anche numeri che non avevano fino ad allora trovato spazio nellamatematica: i numeri infiniti, o, come preferisce dire Cantor (per riservare laqualifica d’infinito a Dio solo) transfiniti:

Gli insiemi con numero cardinale finito si chiamano insiemi finiti; tutti gli altri li voglia-mo denominare insiemi transfiniti, e i numeri cardinali che spettano loro numeri cardinalitransfiniti.

La totalità di tutti i numeri cardinali finiti n ci offre il più vicino esempio di insiemetransfinito; il numero cardinale che gli spetta lo chiamiamo áleph zero, in simboli c0; definia-

mo dunquec0 = |{n}|.

Che c0 sia un numero transfinito, che cioè non sia eguale a nessun numero finito m,

deriva dal semplice dato di fatto che quando all’insieme {n} viene aggiunto un nuovo elemen-to e0, l’insieme unione ({n}, e0) è equivalente a quello originale {n}. Infatti è possibile pensare

tra i due insiemi la relazione biunivoca secondo la quale all’elemento e0 del primo corrispon-

de l’elemento 1 del secondo, all’elemento n del primo l’elemento n + 1 dell’altro (Contributialla fondazione della teoria degli insiemi transfiniti, § 6 [simbologia modificata]).

Dunque, la teoria degli insiemi rende inevitabile l’introduzione anchedell’infinito attuale, e non solo dell’infinito potenziale (considerato cioè comeun limite irraggiungibile), cosa che Cantor discusse esplicitamente citando il pre-cedente di Leibniz. Si osservi anzi che come caratteristica definitoria viene scel-to proprio quell’aspetto paradossale che fin da Aristotele era stato usato comeconfutazione dell’esistenza dell’infinito attuale: l’infinito è ciò in cui una partepuò essere equivalente al tutto. Questo è un chiaro indizio della portata cheCantor attribuiva all’idea secondo cui «l’essenza della matematica sta nella sua

Page 4: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

32

libertà», libertà dunque anche di concepire e trattare oggetti apparentementecontraddittori.

4.1.2. La gerarchia dei transfiniti

È possibile, malgrado ciò che si è detto, parlare di differenti numeri tran-sfiniti? In un primo momento Cantor pensò di no: riuscì infatti a mostrare che

l’insiemeÄ dei numeri razionali ha anch’esso potenza c0. Il risultato è molto si-

gnificativo, perchéÄ possiede una caratteristica peculiare, la densità, che lo di-

stingue chiaramente daÁ (dati due numeri razionali q1 e q3 tali che q1 > q3, esi-

ste sempre un numero razionale q2, per esempio la loro media aritmetica, tale

che q1 > q2 > q3). La dimostrazione dell’equivalenza diÁ eÄ è abbastanza sem-

plice: si tratta solo di descrivere un metodo tramite cui ordinare tutti i numerirazionali, in modo che ad ognuno sia assegnato un posto univoco, e sia possibilecosì stabilire una corrispondenza con il numero naturale che indica quella deter-minata posizione. (Il nucleo del metodo trovato da Cantor consiste nell’elencarei numeri razionali, scritti sotto forma di frazione, ordinandoli per gruppi in cuisia uguale la somma del numeratore e del numeratore.)

Ma esistono insiemi con una potenza maggiore di c0, in cui cioè gli infiniti

elementi non possano essere messi in un qualsivoglia elenco ordinato che per-

metta una relazione biunivoca con Á? Ciò è quanto Cantor alla fine dimostrò

per l’insieme dei realiÅ. La dimostrazione più semplice e celebre è per assurdo:

prima si ipotizza che i numeri reali (cioè costituiti da una sequenza di infinite ci-fre decimali a1, a2, ..., an, ...) possano essere messi in una sequenza ordinata

(r1, r2, ..., rn, ...); poi si mostra come è possibile costruire un numero reale (r0)

che non appartiene a tale sequenza:

Se r1, r2, ..., rn, ... è una qualsiasi sequenza semplicemente infinita di elementi dell’in-

siemeÅ, allora c’è sempre un elemento r0 diÅ che non coincide con alcun rn.

Per dimostrarlo, siar1 = (a1,1, a1,2, ..., a1,n, ...),

r2 = (a2,1, a2,2, ..., a2,n, ...),

...rm = (am,1, am,2, ..., am,n, ...),

...[...]Siano r e s due caratteri mutuamente esclusivi [per esempio pari e dispari]. [...] Qui gli

am,n sono in una determinata maniera r oppure s. Ci sia ora una sequenza b1, b2, ..., bn, ...,

definita cosicché il carattere r o s di bn sia diverso da quello di an,n. Se dunque an,n è r, allora

bn è s, e se an,n è s, allora bn è r.

Se ora consideriamo l’elemento diÅ

Page 5: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

33

r0 = (b1, b2, ..., bn, ...)

si vede senz’altro che l’uguaglianza r0 = rm non può essere soddisfatta per nessun va-

lore positivo di una riga m, perché altrimenti per il rispettivo m, per tutti i valori della riga, sa-rebbe

bn = am,n

dunque anche in particolarebm = am,m

il che è escluso per la definizione di bn. Da questa conclusione segue imme-

diatamente che la totalità di tutti gli elementi di Å non può essere messa nella sequenza r1,

r2, ..., rn, .... altrimenti ci troveremmo di fronte alla contraddizione che r0 sarebbe e non sa-

rebbe elemento diÅ (Su un problema elementare della teoria degli insiemi, 1890-1).

La tecnica usata in questa dimostrazione è il primo esempio del «metodo dia-gonale» che sarà ripetutamente usato nel campo della logica e della matematica. Ilnumero decisivo viene infatti ottenuto invertendo l’attributo r o s delle cifre che sonoindividuate da una linea «diagonale» tracciata dall’alto a sinistra nella sequenza deinumeri razionali. In termini più astratti, il nocciolo consiste nell’attribuire ad uno stes-so numero m una doppia funzione: individuare l’m-esimo elemento della sequenza el’m-esima cifra di tale elemento.

L’insieme Å è particolarmente importante perché esso è un insieme

«continuo»: intuitivamente, i punti di una retta possono essere messi in corri-spondenza biunivoca con l’insieme dei numeri reali. Si è dunque dimostrato chel’infinito della continuità non è l’infinito «numerabile», ovvero c0, ma è di en-

tità maggiore. Più precisamente, Cantor dimostrò che il cardinale dell’insieme

Å può essere espresso come 2c0.

Ma esiste un numero transfinito maggiore della potenza di Á e minore

della potenza di Å? oppure il secondo è l’immediato successore del primo? (Il

concetto di «immediato successore di un numero transfinito» venne esattamen-te definito da Cantor, che mostrò in qual modo esso fosse concretamente co-struibile). Indicando la successione dei numeri transfiniti con indici, si tratta in-somma di appurare la giustezza dell’equivalenza c1 = 2c0 (ipotesi del continuo)

o, in termini più ampi, cn = 2cn-1 (ipotesi generalizzata del continuo). Cantor non

riuscì a dare risposta, e il problema rimase a lungo aperto. Esso venne risolto so-lo nel 1963 dall’americano Paul Cohen, che dimostrò che l’ipotesi del continuoè «indecidibile» nell’ambito delle normali teorie degli insiemi: essa non può es-sere cioè né dimostrata né confutata.

Tra gli ulteriori e sorprendenti risultati di Cantor è da citare la dimostrazione —

semplicissima — che l’insieme Ån (con n naturale qualsiasi) è equivalente ad Å. Ad

esempio infatti la coppia di numeri reali a = (a1, a2, ..., an, ...) e b = (b1, b2, ..., bn, ...)

può essere posta in corrispondenza biunivoca con il numero reale c = (a1, b1, a2, b2, ...,

Page 6: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

34

an, bn, ...). In termini geometrici, ciò significa che una retta ha tanti punti quanti ne

hanno un piano o lo spazio!

4.2. Gottlob Frege (1848-1925)

4.2.1. La fondazione della matematica

Attorno all’inizio del Novecento sono diversi gli studiosi che presentanocontributi importanti alla fondazione della logica formale. Tra i più importanti,vanno citati almeno George Boole (1815-1864), Charles S. Peirce (1839-1914),Giuseppe Peano (1858-1932). Su tutti spicca però la personalità di Gottlob Fre-ge, che più degli altri elabora un sistema logico formalmente perfetto, espri-mendo con estrema chiarezza idee che altrove si possono trovare in modo anco-ra solo approssimativo. La sua opera logica si inscrive — come in buona partequella di Cantor — nella ricerca di una fondazione rigorosa della matematica.Ecco l’opinione di Frege al riguardo:

Nei miei Fondamenti dell’aritmetica ho tentato di rendere plausibile la tesi che l’arit-metica sia una branca della logica e che non abbia bisogno di prendere i fondamenti dellesue dimostrazioni né dall’esperienza né dall’intuizione. Nel presente volume questa tesi saràconfermata dal fatto che le leggi più semplici dei numeri possono essere dedotte con mezziesclusivamente logici. Ciò dimostra, tuttavia, che si debbono porre sui procedimenti di dimo-strazione condizioni notevolmente più forti di quanto si sia soliti fare in aritmetica. Si devedelimitare preventivamente un insieme di pochi modi di inferenza e deduzione e non fare al-cun passo che non sia in accordo con uno di questi. Nel passaggio ad un nuovo giudizio, quin-di, non ci si deve accontentare, come hanno quasi sempre fatto finora i matematici, della cir-costanza che esso sia evidentemente corretto, ma lo si deve analizzare nei suoi passaggi logi-ci più semplici, che spesso non sono affatto pochi (FL 38.23).

Tale punto di vista, che verrà chiamato «logicista», tende quindi a subor-dinare la matematica alla logica, cercando in quest’ultima la precisazione deiconcetti e dei procedimenti fondamentali della prima. Dal punto di vista pratico

Page 7: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

35

vale però per Frege in un certo senso un rapporto inverso: e cioè la logica deveispirarsi, per perseguire un ideale di assoluto rigore e trasparenza, alla matema-tica, e più in particolare al metodo «assiomatico» della geometria di Euclide:

L’ideale di un metodo rigorosamente scientifico in matematica, quale io ho qui tenta-to di realizzare e che potrebbe giustamente essere intitolato ad Euclide, potrebbe venire se-condo me così delineato.

Che tutto venga dimostrato non si può certo pretendere, perché ciò è impossibile. Sipuò però esigere che tutte le proposizioni che si usano senza dimostrazione vengano espres-samente enunciate come tali, affinché si riconosca con chiarezza ove si fonda l’intero edificio.Bisogna quindi cercare di restringere il loro numero al minimo possibile, dimostrando tuttociò che risulta possibile.

Si può esigere in secondo luogo — e in ciò io compio un passo ulteriore rispetto adEuclide — che vengano espressamente elencati, prima di costruire l’edificio matematico, imetodi di deduzione e di dimostrazione che si applicheranno. In caso contrario, è impossibilegarantire che la stessa esigenza precedente sia davvero soddisfatta. Io ritengo di avere so-stanzialmente raggiunto questo ideale (FL 38.24).

Il «passo ulteriore» che Frege cita va effettivamente ascritto tra i suoimaggiori contributi: la prima consapevole distinzione tra regole di deduzione eassiomi. Tale distinzione è parallela ad un’altra importantissima, che Frege haben chiara: quella tra il linguaggio simbolico che viene costruito (in questo casoil linguaggio matematico, del quale fanno parte gli assiomi), e il linguaggio chedescrive il funzionamento del primo (successivamente chiamato metalinguag-gio, del quale fanno parte le regole).

Tali distinzioni (così come in generale un efficace modello di sistema logico)possono essere embrionalmente già trovate nella sillogistica aristotelica. Che in que-sto contesto essa non venga citata è dovuto esclusivamente alla dimenticanza e all’in-comprensione in cui essa era caduta da secoli. Ciò tuttavia aumenta ancora il meritodi Frege, che quasi partendo da zero riesce ad elaborare una logica che risulterà in ef-fetti molto più rigorosa e completa di quella di Aristotele.

Bisogna inoltre porre attenzione ad un altro requisito che Frege esige pursenza dichiararlo con tanta chiarezza: la preventiva ed esatta definizione deisimboli che compongono il linguaggio e delle regole che conducono ad espres-sioni sensate. È infatti impossibile contentarsi del linguaggio naturale, data lasua imperfezione ed ambiguità, ma bisogna elaborare un linguaggio completa-mente univoco e artificiale, in modo che i procedimenti dimostrativi si riducanodi fatto ad un’elaborazione meccanica di simboli. Solo in questo modo il linguag-gio logico potrà ritenersi perfettamente «formalizzato». Frege crea perciò quel-la che denomina «ideografia» (Begriffsschrift: questo anche il titolo della suaopera fondamentale del 1879), un linguaggio cioè di tipo grafico che rappre-senta senza ambiguità i nessi concettuali. Nel seguito però tradurremo per sem-

Page 8: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

36

plicità la logica di Frege nella notazione contemporanea, che deriva con piccolevarianti da quella elaborata da Giuseppe Peano.

Per curiosità ecco un teorema nella notazione originaria di Frege, seguito dallasua traduzione nella notazione di Peano:

([a(f(x,a) F(a)) (f(x,y) F(y))) ([b(F(b) [a(f(b,a) F(a))) (F(x) (f(x,y) F(y))))

4.2.2. Funzione, senso, significato

La costruzione della logica da parte di Frege ha come presupposto l’ela-borazione di alcuni concetti di base, che vengono discussi con una precisionemai prima raggiunta. Il primo è il concetto di funzione, per il quale la spiegazio-ne di Frege è sostanzialmente rimasta immutata fino ad oggi:

L’essenza della funzione si esprime [...] nella corrispondenza che essa stabilisce fra inumeri i cui segni vengono sostituiti a x e i numeri che si ottengono di conseguenza come si-gnificati della nostra espressione. [...] L’essenza della funzione sta quindi in quella partedell’espressione che rimane quando si prescinde da x. L’espressione di una funzione è biso-gnosa di completamento, o non saturata. La lettera x serve soltanto a tenere liberi i posti incui si può sostituire un segno numerico che completi l’espressione, e permette quindi di rico-noscere lo speciale tipo di bisogno di completamento che costituisce il carattere peculiaredella funzione descritto più sopra. Nel seguito, invece della lettera x sarà usata a questo sco-po la lettera ξ.

Questo tener liberi deve essere inteso nel senso che in tutti i posti in cui compare ξ sideve sostituire sempre lo stesso segno e mai segni diversi. Questi posti li chiamo posti di ar-gomento e ciò il cui segno (nome) occupa questi posti in un dato caso lo chiamo argomentodella funzione per questo caso. La funzione è completata dall’argomento; ciò che essa divie-ne dopo essere stata completata lo chiamo valore della funzione corrispondente a quell’argo-mento. Otteniamo quindi un nome del valore di una funzione corrispondente ad un argo-mento sostituendo nei posti di argomento del nome della funzione il nome dell’argomento.

Page 9: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

37

Così, ad esempio, (2 + 3 · 12) · 1 è un nome del numero 5 composto mediante il nome di fun-

zione (2 + 3 · ξ2) · ξ e 1 (FL 42.03).

Si noti in tale discussione il livello di astrazione che viene raggiunto nel ca-ratterizzare la funzione come una «corrispondenza»: essa non è un’espressionenumerica, ma un rapporto tra due serie numeriche, rappresentanti rispettiva-mente l’argomento e il valore. Questo concetto di funzione può essere eviden-temente esteso considerando più argomenti («x + 2y» è per esempio una fun-zione a due argomenti). Più importante però e anzi fondamentale per la costru-zione della logica una seconda estensione, riguardante il tipo di valori della fun-zione:

Il dominio dei valori delle funzioni non può rimanere limitato ai numeri; se prendo in-

fatti come successivi argomenti della funzione ξ2 = 4 i numeri 0, 1, 2, 3, non ottengo come va-

lori dei numeri. 02 = 4, 12 = 4, 22 = 4, 32 = 4 sono espressioni di pensieri ora veri, ora falsi.

Esprimo ciò dicendo che il valore della funzione ξ2 = 4 è il valore di verità di ciò che è vero op-pure di ciò che è falso. Da ciò si vede che, scrivendo semplicemente un’equazione, io non in-tendo asserire nulla, ma soltanto designare un valore di verità, allo stesso modo che non in-

tendo asserire nulla scrivendo 22, ma soltanto designare un numero. Dico: i nomi 22 = 4 e 3 >

2 denotano lo stesso valore di verità, che chiamo per brevità il vero. Allo stesso modo, 32 = 4e 1 > 2 denotano lo stesso valore di verità, che chiamo per brevità il falso, così come il nome

22 denota il numero 4. Dico perciò che il numero 4 è il significato di 4 e di 22, e che il vero è ilsignificato di 3 > 2 (FL 42.13).

La «funzione» diventa così un concetto molto ampio e flessibile in gradodi comprendere sotto di sé tutte le possibili corrispondenze univoche tra insie-mi di qualsiasi tipo. Particolare importanza rivestono le funzioni (dette «logi-che») che hanno sia il loro valore sia il loro argomento nei valori di verità. Consi-deriamo per esempio la proposizione complessa «3 > 2 e Roma si trova in Ita-lia»: essa significa il vero perché entrambe le sue componenti significano il vero.La funzione è quindi rappresentabile come «p e q», dove l’operatore (o «funto-re», o «connettivo») è la congiunzione «e». Per definire il comportamento di ta-li funzioni, il modo più semplice consiste nel compilare le cosiddette «tavole diverità», cioè indicare quale valore esse assumono in corrispondenza di ognunadelle possibili combinazioni dei valori di verità degli argomenti. Ecco le tavole diverità delle funzioni logiche più usate, cioè la congiunzione («p e q»), la disgiun-zione («p o q»), l’implicazione («p implica q»), l’equivalenza («p equivale a q»),la negazione («non p»):

Page 10: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

38

congiunzione disgiunzione implicazione equivalenza negaz.p ‚ q p ƒ q p q p q ¬ p

v v v v v v v v v v v v f vv v f v f f v f f v f f v ff v v f f v f v v f f vf f f f f f f v f f v f

La teoria secondo cui le funzioni «saturate» non sono altro che «nomi»del valore assunto dalla funzione stessa può parere paradossale. Tale apparenzasvanisce quando si introduca un’ulteriore distinzione:

Distinguo tuttavia il senso di un nome dal suo significato. 22 e 2 + 2 non hanno lo stes-

so senso, così come non hanno lo stesso senso 22 = 4 e 2 + 2 = 4. Il senso del nome di un valo-re di verità lo chiamo pensiero. Dico inoltre che un nome esprime il suo senso e denota il suosignificato (FL 42.13).

Le nozioni di senso e significato (o, nella terminologia più comune, di in-tensione e estensione) furono oggetto di ampia riflessione da parte di Frege (Sulsenso e il significato, 1892), che pose così le basi di una dottrina importante nonsolo per la logica ma anche per l’analisi del linguaggio comune. In maniera pa-rallela agli esempi matematici, si deve per esempio dire che le due espressioni«la stella del mattino» e «la stella della sera» hanno lo stesso significato, perchédenotano entrambi il pianeta Venere, ma esprimono sensi differenti, perchécontengono in sé differenti caratterizzazioni concettuali. In generale, per Fregehanno significato eguale tutti i termini (semplici o complessi) che sostituiti l’uncon l’altro non mutano il valore di verità di una proposizione.

Deviazioni da questa norma si trovano però nei casi di riferimento indiretto: ledue proposizioni «Paolo sa che la stella del mattino è Venere» e «Paolo sa che la stelladella sera è Venere» potrebbero essere infatti l’una vera e l’altra falsa. Ciò si spiega se-condo Frege ammettendo che in un contesto indiretto il significato di un termine è ilsenso che esso assume in un contesto diretto.

4.2.3. La logica proposizionale

Il primo livello della logica è individuato dalle espressioni che hanno persignificato il vero o il falso, chiamate «proposizioni». Non sono però esse a costi-tuire oggetto diretto di studio: ciò significherebbe infatti per Frege ritenere chela logica si occupa solo di combinazioni meccaniche di simboli (i «nomi» del ve-ro e del falso, come visto). Bisogna invece ritenere oggetto della logica il sensodi tali espressioni:

Ciò che viene dimostrato non è la proposizione (Satz), ma il pensiero (Gedanke). [...] Ilpensiero non è percepibile dai sensi, ma ne diamo una rappresentazione udibile o visibile

Page 11: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

39

nella proposizione. [...] Ciò implica, inoltre, che i pensieri non siano qualche cosa di soggetti-vo prodotto dalla nostra attività mentale. Infatti, il pensiero che troviamo nel teorema di Pita-gora è lo stessa per tutti e la sua verità è del tutto indipendente dal fatto che esso sia pensa-to o non pensato da questo o quell’uomo. Pensare non significa produrre pensieri, ma com-prenderli (FL 39.01).

Con tali precisazioni, Frege si avvicina ad una dottrina stoica: quella che distin-gueva l’ἀξίωμα (la proposizione) dal suo senso oggettivo e immateriale, il λεκτόν (ilpensiero). E parimenti allineata con la posizione stoica è la concezione della logica co-me scienza dei «pensieri» e non delle «proposizioni». La terminologia contemporaneaè però differente, e oggi s’intende con «enunciato» ciò che Frege diceva «proposizio-ne», e con «proposizione» ciò che Frege diceva «pensiero». Nel seguito parleremoquindi di «proposizione» dove Frege parlava di «pensiero».

In generale, lo scopo della logica è dimostrare «teoremi» logici, vale a di-re proposizioni che sono vere in virtù della loro sola forma, o più esattamentefunzioni logiche che hanno come valore il vero qualsiasi siano i loro argomenti.Per esempio, la proposizione «p ƒ ¬ p» è sempre vera (essa esprima l’anticoprincipio logico del «terzo escluso»). Per dimostrare tali teoremi — come visto— Frege stabilisce un insieme di assiomi, che servano da punto di partenza indi-mostrato, e un gruppo di regole che specifichi in qual modo è possibile procede-re da un passaggio all’altro della dimostrazione. Assiomi e regole possono esse-re scelti in modo differente in maniera da portare agli stessi risultati, a renderedimostrabili cioè tutte e sole le proposizioni che risultano sempre vere. Questisono gli assiomi stabiliti originariamente da Frege:

1. p (q p)2. (p (q r)) (q (p r))3. (p (q r)) ((p q) (p r))4. (p q) (¬ q ¬ p)5. p ¬ ¬ p6. ¬ ¬ p p

Come si nota, questi assiomi riguardano solo due funzioni logiche: l’implicazio-ne e la negazione. Le altre vengono infatti introdotte da Frege per definizione a partireda queste, e non hanno bisogno quindi di assiomi propri. In particolare:

p‚ q = ¬ (p ¬ q)pƒ q = ¬ p qp q = (p q)‚ (q p)

Le regole necessarie sono soltanto due. La prima è la regola di separazio-ne: se si è affermata sia la proposizione α β sia la proposizione α, si può affer-mare anche la proposizione β. Questa regola corrisponde all’antico «modus po-nendo ponens» degli Stoici. La seconda è la regola di sostituzione: se si è affer-

Page 12: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

40

mata la proposizione α, si può affermare anche la proposizione che risulta dallasostituzione in α di tutte le occorrenze di una variabile proposizionale p con unastessa espressione β (tale regola assicura per esempio che dall’assioma 5 si puòbanalmente ricavare «r ¬ ¬ r»). In termini sintetici le due regole possono es-sere così espresse:

1. α β, αL β2. αL sost [α, p/β]

Diamo ora un semplice esempio di dimostrazione, indicando a destra la giustifi-cazione di ciascun passaggio:

1. (p q) (¬ q ¬ p) ass 42. (p ¬ q) (¬¬ q ¬ p) sost [1, q /¬ q]3. (p (q r)) (q (p r)) ass 24. ((p ¬ q) (¬¬ q ¬ p)) (¬¬ q ((p ¬ q) ¬ p)) sost [3, p / (p ¬ q); q

/ ¬ ¬ q; r / ¬ p]5. ¬¬ q ((p ¬ q) ¬ p) sep 2,4

Esiste anche un altro modo per provare la verità del teorema: sostituire alle va-riabili proposizionali tutte le possibili combinazioni di valori di verità, e controllare chela proposizione complessiva risulti sempre vera: questo sarà il sistema che proporràtra gli altri Ludwig Wittgenstein (1889-1951). Tale sistema è indubbiamente più sem-plice e inoltre puramente meccanico; esso però diventa inutilizzabile appena la logicaproposizionale è estesa in logica dei predicati, nella quale dunque un approccio assio-matico è indispensabile. Ecco comunque come la proposizione precedente verrebbedimostrata con il sistema della tavola di verità:

3a 2a 1a 5 1b 3b 2b 1c 4 2c 1d¬ ¬ q ((p ¬ q) ¬ p)

v f v v v f f v v f vf v f v v v v f f f vv f v v f v f v v v ff v f v f v v f v v f

Le colonne vengono compilate nell’ordine numerico indicato in alto: nelle co-lonne 1 si scrivono le possibili combinazioni di valori di verità (che in questo caso sonoquattro, essendo due le variabili proposizionali coinvolte: a variabili uguali devono ov-viamente corrispondere valori uguali, donde l’identità delle colonne 1a e 1c, e di 1b e1d); le colonne con i numeri successivi indicano il valore delle rispettive funzioni appli-cate ai loro argomenti nel corretto ordine di precedenza (2a è applicato a 1a; 2b a 1c;2c a 1d; 3a a 2a; 3b a 1b e 2b; 4 a 3b e 2c); la colonna 5 il valore finale dell’espressio-ne (che è l’implicazione applicata alle colonne 3a e 4). Che in quest’ultima colonna siapresente solo il valore v mostra che la proposizione è un teorema, cioè che è vera indi-pendentemente dal valore di p e q.

Page 13: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

41

4.2.4. La logica dei predicati

Un fondamentale ampliamento del calcolo proposizionale viene effettua-to quando le proposizioni vengono considerate nella loro struttura interna, cioèdistinte in soggetto e predicato. In questo modo una proposizione come «il libroè bianco» non sarà più semplicemente simboleggiata da p, ma da B(l), in cui l èil soggetto e B il predicato. Ciò è particolarmente utile perché permette l’uso divariabili che riguardano individui (e non più, come prima, solo proposizioni). Sipotrà dunque scrivere B(x): essa non è propriamente una proposizione (è im-possibile infatti dire se sia vera o falsa), ma una funzione o forma proposiziona-le, che diventa una proposizione appena il posto della variabile venga preso daun nome individuale. C’è però anche un altro modo per trasformare una formaproposizionale in proposizione, che è poi quello più interessante: quantificare lavariabile, cioè asserire che la proprietà in questione vale per tutti i possibili sog-getti o almeno per uno. Così, la scrittura [x P(x) significa che qualsiasi soggettogode della proprietà P (o in altre parole che una proposizione di forma P(x) èsempre vera), mentre la scrittura x P(x) significa che almeno un soggetto godedella stessa proprietà. La variabile x che cade sotto l’influenza di un quantifi-catore viene detta «vincolata», in contrapposizione alle altre (eventuali) variabi-li «libere».

La sillogistica aristotelica può essere considerata un sottoinsieme della logicadei predicati. Il sillogismo barbara per esempio risulta così formalizzato: ([x (P(x) Q(x)) ‚ [x (Q(x) R(x))) ([x (P(x) R(x)), che letto dettagliatamente è: «se perqualsiasi cosa l’essere P implica l’essere Q e per qualsiasi cosa l’essere Q implica l’es-sere R, allora per qualsiasi cosa l’essere P implica l’essere R». D’altra parte va dettoche lo sviluppo della logica dei predicati, piuttosto che «riscoprire» la sillogistica di Ari-stotele, ha mostrato proprio che essa riguardava solo alcuni casi particolari, e che dun-que era ingiustificato il posto di assoluta supremazia che le era stato riconosciuto perquasi due millenni.

L’ampliamento viene effettuato da Frege aggiungendo tre regole alle duegià stabilite. La prima è la regola di degeneralizzazione: essa stabilisce che se siè affermata la proposizione[x α(x) si può ovviamente affermare anche α(a), in-tendendosi con «a» un termine individuale qualsiasi. La seconda è la regola digeneralizzazione: se si è affermato α β(a), è possibile affermare anche α [x β(x), a condizione che il termine individuale «a» non compaia in α (o se vicompaia sia vincolato da un quantificatore). Il senso di questa regola e il motivodella restrizione possono essere così spiegati: se si è dimostrato qualcosa per untermine individuale «a caso», la dimostrazione vale in universale; il passaggioall’universale non vale però se su tale termine individuale vengono fatte parti-colari assunzioni. La terza regola è una regola di sostituzione analoga a quellaprima vista, questa volta valida però per i termini individuali: se si è affermata la

Page 14: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

42

proposizione α, si può affermare anche la proposizione che si ottiene sostituen-do in α tutte le occorrenze di un termine individuale x con un altro termine y,purché y non occorra «vincolato» in α (ciò porterebbe infatti alla confusione de-gli ambiti di differenti quantificazioni). In sintesi:

3.[x α(x)L α(a)4. α β(a)L α[x β(a/x)purché a non occorra libera in α5. α(x)L sost [α(x), x/y] purché y non occorra vincolata in α

Queste regole riguardano soltanto il quantificatore universale. Il quantificatoreesistenziale viene introdotto da Frege per definizione, analogamente a ciò che avveni-va per le funzioni logiche diverse dall’implicazione:

x P(x) ¬[x ¬ P(x)

Per quanto riguarda il compito di fondazione della matematica, la logicadei predicati è importante soprattutto perché permette una definizione del con-cetto di numero. Il primo passo consiste nell’applicare anche al predicato la di-stinzione tra senso e significato. Il senso (o intensione) è ovviamente costituitodal concetto che viene pensato in ciascun predicato. Il significato (o estensione)coincide invece con la classe degli oggetti che godono della proprietà espressadal predicato. Il significato del predicato «essere pari» sarà per esempio la clas-se dei numeri pari {0, 2, 3, 4...}. In questo modo la logica dei predicati diventauna traduzione «intensionale» della logica delle classi. Per ammettere questaequivalenza basta ammettere il cosiddetto «assioma di comprensione»: checioè ogni proprietà individui effettivamente la classe di tutti e soli gli elementiche godono di quella certa proprietà. Il numero naturale potrà a questo puntoessere definito — in maniera analoga alla «potenza» in Cantor — come il con-cetto che può essere attribuito a tutti i predicati che denotano una classe «equi-numerosa». Con ciò, anche al concetto fondamentale della matematica vieneassicurata una base puramente logica.

L’illusione però di aver sostanzialmente terminato il compito di fondazio-ne della matematica durò poco. Nel 1902 il giovane logico Bertrand Russel co-municò infatti a Frege di aver scoperto nel suo sistema un’«antinomia» (notaappunto come «antinomia di Russel»), cioè una contraddizione dedotta dallepremesse, che mostrava come la logica di Frege era in realtà difettosa. Eccolanelle parole di Russel:

Sia w la classe di tutte le classi che non sono membri di sé stesse. Allora, qualunquesia la classe x, «x è un w» è equivalente a «x non è un x». Quindi, dando a x il valore w, «w èun w» è quivalente a «w non è un w» (FL 48.11).

Page 15: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

43

In termini più semplici: la classe di tutte le classi che non hanno sé stessecome elemento, ha o no sé stessa come elemento? È chiaro che qualsiasi rispo-sta porta ad una contraddizione. Ciò mostrava che l’«assioma di comprensio-ne», che svolgeva un ruolo essenziale di collegamento tra logica e matematica,non poteva in realtà essere accettato. Frege riconobbe che ciò significava il falli-mento del suo programma di fondazione, e in generale di tutti quelli che faceva-no uso di una qualche teoria degli insiemi («Ad uno scrittore di scienza — scris-se — ben poco può giungere più sgradito del fatto che, dopo aver completatoun lavoro, venga scosso uno dei fondamenti della sua costruzione»). Ciò non to-glieva però evidentemente nulla al valore della logica di Frege in sé, che è rima-sta per il Novecento un punto di riferimento fondamentale.

La scoperta dell’antinomia di Russel non significava neanche che la teoria degliinsiemi fosse da abbandonare in quanto irrimediabilmente contraddittoria. Era possi-bile infatti aggiungere condizioni aggiuntive che evitassero l’antinomia. Una prima so-luzione venne elaborata dallo stesso Russel con la cosiddetta «teoria dei tipi»: secon-do essa l’espressione «appartenere a sé stessi» è scorretta, in quanto ogni classedev’essere di «tipo» differente dai suoi elementi. Tale correzione venne integrata neiPrincipia Mathematica (1910-13), l’opera di Russel (in collaborazione con Alfred NorthWhitehead) che, ispirata da vicino a Frege, più di ogni altra si avvicinò all’ideale diun’esposizione globale dei fondamenti della matematica dal punto di vista logicista.Altre soluzioni si diressero invece verso l’«indebolimento» dell’assioma di comprensio-ne (in questa direzione andò la successiva più importante sistemazione della teoriadegli insiemi, effettuata da Ernst Zermelo nel 1908). In questo modo però le pretese«fondamenta» della matematica parevano diventare meno semplici e intuitive dellamatematica stessa, e dunque quasi vanificate nel loro ruolo. Ma il seguito degli svilup-pi del problema dei fondamenti porterà alla luce difficoltà ancora più gravi, come sivedrà.

Page 16: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

44

4.3. David Hilbert (1862-1943)

4.3.1. L’assiomatica

David Hilbert rappresenta, assieme a Frege, l’altro maggiore protagonistadella rifondazione della matematica e della logica all’inizio del Novecento. Laprima fondamentale opera di Hilbert è costituita dai Fondamenti della geome-tria (1900). In essa egli intraprende il compito di riesporre la geometria euclideadandole perfetto rigore. Tale compito era urgente per almeno due fatti nuovi:anzitutto l’elaborazione, avvenuta verso la fine dell’Ottocento, delle «geometrienon euclidee», che pur non accettando il quinto postulato («Per un punto passauna ed una sola parallela ad una retta data») risultavano cionondimenoperfettamente coerenti; poi la nascita della logica matematica. Entrambe que-ste circostanze attiravano l’attenzione sulla necessità di precisare nel modo mi-gliore gli assiomi di una certa costruzione logica. In particolare, Hilbert mise inevidenza tre caratteristiche cui questi dovevano soddisfare. La prima e più im-portante è la coerenza o non contraddittorietà: dagli assiomi dev’essere impos-sibile dedurre due teoremi contraddittori. La seconda era la completezza: gli as-siomi devono permettere di dimostrare tutte le proposizioni vere e respingeretutte quelle false (in altre parole, non devono esistere proposizioni «indecidibi-li»). La terza era l’indipendenza: gli assiomi devono essere ciascuno indipenden-te da tutti gli altri, o altrimenti detto nessun assioma deve poter essere dimo-strato tramite gli altri. Obbedendo a questi criteri, Hilbert introdusse venti assio-mi (contro i cinque originari di Euclide), formulando anche quelle proprietà cheparrebbero «evidenti» (per esempio: «Di tre punti qualsiasi di una retta ce n’èal massimo uno che giace fra gli altri due»). In realtà, per Hilbert l’«evidenza»non deve giocare alcun ruolo nella definizione degli assiomi: essi vanno conside-rati il punto di partenza per una costruzione puramente formale, indipendente-mente dal fatto che essa abbia poi un qualche rapporto con la «realtà». Il che si-gnifica anche che è privo di senso richiedere che gli assiomi siano «veri» in sen-

Page 17: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

45

so realistico: la loro verità consiste nella capacità di individuare oggetti ideali, eciò è assicurato dalla coerenza.

Tali stesse idee vengono applicate da Hilbert anche alla matematica e alproblema della sua fondazione, venendo a definire quella posizione chiamata«formalismo»:

Tutto ciò che costituisce la matematica nel senso comunemente accettato del termi-ne viene formalizzato rigorosamente, cosicché la matematica propriamente detta, o matema-tica nel senso più ristretto, diventa un insieme di formule. [...]

Oltre alla matematica propriamente detta, formalizzata in questo modo, c’è, per cosìdire, una nuova matematica, una meta-matematica, che serve a fondare la prima su basi si-cure. [...] Nella meta-matematica si opera con le dimostrazioni della matematica propriamen-te detta, che costituiscono esse stesse l’oggetto delle inferenze che tengono conto dell’argo-mento su cui vertono. In questo modo, lo sviluppo della scienza complessiva della matemati-ca viene ottenuto mediante un continuo scambio, che è di due tipi: da una parte, l’ac-quisizione di nuove formule derivabili dagli assiomi mediante l’inferenza formale, dall’altral’aggiunta di nuovi assiomi parallelamente alla dimostrazione della loro non-contradditto-rietà [...].

Gli assiomi e le proposizioni derivabili, cioè le formule, che nascono in questo proces-so di scambio sono rappresentazioni dei pensieri che costituiscono i procedimenti usuali del-la matematica quali sono stati finora concepiti, ma non esono essi stessi verità in senso asso-luto. Sono piuttosto le informazioni fornite dalla mia teoria della dimostrazione riguardo alladerivabilità e alla non contraddittorietà che devono essere considerate verità assolute (FL38.28).

Anche Hilbert, così come Frege, vede quindi uno stretto rapporto tra logi-ca e matematica; esso viene individuato però nel fatto che entrambe deduconoo derivano, a partire da un insieme di assiomi, delle «formule», cioè sequenzedi simboli, indipendentemente dall’interpretazione che se ne possa dare. Spettapoi ad una «meta-matematica» giustificare la coerenza del sistema.

Page 18: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

46

4.3.2. Gli assiomi di Peano

L’approccio assiomatico al problema della fondazione si mostrò par-ticolarmente promettente dopo la scoperta dell’antinomia di Russel, che avevamostrato i gravi pericoli di un approccio «intuitivo» alla fondazione della mate-matica. Fu allora che Hilbert sostenne la necessità di ricorrere ad un vero e pro-prio sistema di assiomi da cui dedurre tutte le proposizioni matematiche. In ciòegli trovò un fondamentale lavoro preparatorio nel lavoro di Giuseppe Peano, ilquale aveva costruito un sistema di questo tipo. La definizione di numero (natu-rale) che viene presupposta è la seguente: «zero è un numero; se x è un nume-ro, è un numero anche il successore di x». Si tratta di una definizione puramen-te formalistica, che indica quale successioni di simboli vadano considerate nu-meri senza proporre alcuna loro identificazione intuitiva. Gli assiomi di Peanopossono essere così formalizzati (indicando con «´» la funzione di «successo-re»):

1.[x (¬ x´ = 0)2.[x[y (x´ = y´ x = y)3. α(0)‚[x (α(x) α(x´))[x α(x)4.[x[y (x + 0 = x‚ x + y´ = (x + y)´)5.[x[y (x × 0 = 0‚ x × y´ = (x × y) + x)

In termini discorsivi gli assiomi affermano: 1. non esiste alcun numero na-turale il cui successore sia 0; 2. due numeri naturali il cui successore è egualesono uguali; 3. se 0 gode di una certa proprietà e si può dimostrare che se unnumero naturale gode di quella proprietà ne gode anche il successore, alloratutti i numeri naturali godono di quella proprietà (questo è l’importantissimo«principio di induzione matematica»); 4. la somma di x con y è eguale a x se y è0, altrimenti è eguale al successore della somma di x e del predecessore di y; 5.il prodotto di x per y è eguale a 0 se y è 0, altrimenti è eguale alla somma di xcon il prodotto di x per il predecessore di y. Benché paiano estremamente pove-

Page 19: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

47

ri, tali assiomi consentono effettivamente di derivare tutti i teoremi dell’aritme-tica, e dunque di assicurare un sostegno all’intera matematica.

Si notino negli assiomi di Peano le definizioni della somma e del prodotto; essepossono sembrare scorrette, in quanto citano al loro interno proprio l’operazione chedefiniscono. Ma in realtà la circolarità è evitata dal fatto che esse «convergono» versoil caso più elementare (in cui un argomento è 0) il cui valore viene direttamente indi-cato. Si tratta quindi di definizioni «ricorsive», o anche «induttive» in quanto sfruttanoun principio analogo a quello del principio d’induzione. Proprio tale tipo di definizioneavrà un’importanza centrale, come si vedrà, nello sviluppo della teoria della computa-bilità. Peraltro, definizioni ricorsive di funzioni sono lecite in quasi tutti i moderni lin-guaggi di programmazione per calcolatori (per esempio Pascal, C, Lisp). Ecco comecome possono essere rappresentati i due assiomi di Peano in Pascal, sotto forma difunzioni:

function sum (x, y: integer): integer;begin

if y = 0 then sum := xelse sum := succ (sum (x, pred (y)))

end;

function prod (x, y: integer): integer;begin

if y = 0 then prod := 0else prod := sum (prod (x, pred (y)), x)

end;

Il sistema assiomatico della matematica sarà in conclusione costituito dal-la logica dei predicati «arricchita» con gli assiomi di Peano. Ma — come visto —per Hilbert è un compito fondamentale dimostrare (in ambito meta-matemati-co) la coerenza e la completezza di tale sistema di assiomi: solo in questo modosarà scongiurato il pericolo di incontrare in futuro un’antinomia simile a quellache ha fatto franare il programma di Frege, e solo in questo modo agli assiomipoteva essere riconosciuta una loro «verità». L’antinomia di Russel, inoltre,avendo messo in questione anche la teoria degli insiemi di Cantor, esigeva se-condo Hilbert che tale dimostrazione non facesse alcun ricorso ai numeri «tran-sfiniti» che di lì provenivano; nella terminologia di Hilbert, la dimostrazione do-veva essere effettuata con mezzi esclusivamente «finitisti». In un certo senso,bisognava effettuare la dimostrazione restando all’interno dell’aritmetica. Que-sto costituisce il nocciolo del celebre «programma di Hilbert».

Si noti che la coerenza e la completezza sono facili da dimostrare quando è inquestione la sola logica proposizionale, meno facili ma comunque appurate quando èin questione la logica dei predicati. Il programma di Hilbert si presentava dunque co-me estremamente ragionevole.

Page 20: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

48

4.4. Kurt Gödel (1906-1978)

4.4.1. Gödelizzazione e diagonalizzazione

È verso il programma di Hilbert che si dirige il rivoluzionario lavoro di KurtGödel, «Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia mathematica edi sistemi affini, I» (1931). I teoremi dimostrati da Gödel si basano su due sco-perte preliminari, estremamente importanti quanto al loro significato logico. Laprima scoperta è questa: ogni proposizione matematica può essere rappresen-tata da un numero, e quindi ogni affermazione meta-matematica su proposizio-ni può essere tradotta in un’affermazione matematica su numeri:

Le formule di un sistema formale [...] sono successioni materiali finite di simboli pri-mitivi (variabili, costanti logiche e parentesi o segni di interpunzione), ed è facile specificareesattamente quali successioni di simboli primitivi sono formule dotate di significato e qualinon lo sono. Analogamente, dal punto di vista formale le dimostrazioni sono soltanto succes-sioni finite di formule (con proprietà definite che si possono enunciare). Dal punto di vistadella meta-matematica è naturalmente indifferente quali oggetti siano scelti come simboliprimitivi, e noi optiamo per l’uso di numeri naturali [Cioè, associamo a ogni simbolo primiti-vo un numero naturale in modo biunivoco]. Di conseguenza, una formula diventa una succes-sione finita di numeri naturali e una dimostrazione diventa una successione finita di succes-sioni finite di numeri naturali. I concetti (teoremi) meta-matematici diventano così concetti(teoremi) sui numeri naturali o su loro successioni, e sono quindi esprimibili (almeno in par-te) coi simboli dello stesso sistema dei Principia Mathematica [In altre parole, la proceduradescritta fornisce un modello isomorfo del sistema PM nel dominio dell’aritmetica e tutte leconsiderazioni meta-matematiche possono essere trattate altrettanto bene in questo model-lo isomorfo] (Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandterSysteme, I).

Ciò equivale a dire che la matematica, una volta che siano state stabilitele opportune convenzioni, è in grado di «parlare di sé stessa». Ciò non vìola af-fatto la distinzione di principio tra linguaggio e meta-linguaggio, in quanto il pro-cedimento individuato da Gödel crea all’interno del linguaggio oggetto un mo-

Page 21: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

49

dello del metalinguaggio. In questo modo sarà per esempio possibile definireuna proprietà matematica con argomento numerico che indichi se il suo argo-mento è un numero che rappresenta o no una formula dotata di significato perla matematica stessa. Il procedimento tramite cui le proposizioni vengono tra-dotte in numeri venne successivamente chiamata, in ricordo del suo ideatore,«gödelizzazione», e i numeri associati vengono detti «gödeliani».

Non c’è bisogno di dare esempi concreti della gödelizzazione, un procedimentoche può essere condotto in innumerevoli modi differenti e che oltretutto è con-cettualmente analogo ai familiari procedimenti di codifica degli attuali calcolatori (sipensi per esempio ai codici ASCII o Unicode). È opportuno piuttosto attirare l’attenzio-ne su una caratteristica particolare della gödelizzazione: in essa gli elementi di un cer-to sottoinsieme dei simboli matematici (i numeri, e probabilmente — secondo la par-ticolare codifica scelta — neanche tutti) vengono posti in relazione biunivoca con glielementi dell’intero insieme delle espressioni matematiche, compresi i numeri stessi.Questa — come già visto — è la caratteristica propria degli insiemi infiniti.

La seconda scoperta è costituita dalla dimostrazione di quello che è chia-mato «teorema di diagonalizzazione» (in quanto sfrutta un metodo simile alprocedimento diagonale di Cantor). Esso afferma che, per ogni proprietà defini-bile nel linguaggio, è possibile costruire una proposizione che afferma che il suoproprio gödeliano gode di quella proprietà. Insomma, non soltanto la matemati-ca è in grado di parlare di sé stessa in generale, ma esistono anche proposizioniche parlano proprio di sé stesse.

Vediamo come ciò è possibile, con un procedimento lievemente differente daquello originario di Gödel. È anzitutto necessario definire una funzione numerica sost.Essa ha come argomenti tre numeri e come valore il gödeliano della proposizione ot-tenuta sostituendo, nella proposizione rappresentata dal primo argomento, la variabi-le rappresentata dal secondo numero con il terzo numero (indichiamo con {φ} ilgödeliano della formula φ). Ad esempio: sost ({x > y}, {x}, 15) = {15 > y}.

Ora, data una qualsiasi proprietà propr, consideriamo anzitutto la seguente for-mula α: propr (sost (x, {x}, x)). Poi sostituiamovi la variabile x con il gödeliano {α}. Otte-niamo così la proposizione β: propr (sost ({α}, {x}, {α})). (Si osservi che {x} non è unavariabile, ma un numero, e quindi non va sostituito.) Ora, qual è il gödeliano {β}? Ba-sta controllare la definizione della funzione sost per comprendere che esso è uguale asost ({α}, {x}, {α}). La proposizione β è stata infatti ottenuta proprio sostituendo in α leoccorrenze di x con {α}. Dunque, la proposizione β afferma propr ({β}).

4.4.2. I due teoremi di limitazione

Poste le due premesse, possiamo ora comprendere il meccanismo deidue teoremi di Gödel. Anzitutto si può mostrare facilmente che è possibile defi-

Page 22: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

50

nire una proprietà dim ({α}) che indica se α è dimostrabile. Ma se è definibiledim lo è ovviamente anche ¬ dim, e per il teorema di diagonalizzazione saràpossibile costruire una proposizione γ che afferma ¬ dim ({γ}) (detto in terminisemplici, una proposizione che afferma: «io sono indimostrabile»). Ecco dunqueil punto cruciale:

Dimostriamo ora che l’enunciato γ è indecidibile in PM. Infatti, supponendo chel’enunciato γ sia dimostrabile, esso sarebbe anche vero, cioè, per quel che è stato detto [...]varrebbe ¬ dim ({γ}), contro l’ipotesi. Se però, al contrario, la negazione di γ fosse dimostrabi-le, allora [...] si avrebbe dim ({γ}). Quindi, sia γ sia la sua negazione sarebbero dimostrabili, ilche è di nuovo impossibile. [...]

Dall’osservazione che γ afferma la propria indimostrabilità segue immediatamenteche γ è vera, perché γ è effettivamente indimostrabile (in quanto indecidibile). L’enunciatoche afferma che essa è indecidibile nel sistema PM è stato così deciso mediante considerazio-ni meta-matematiche (Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica undverwandter Systeme, I [simbologia modificata]).

In questo modo si è mostrato che esiste almeno una proposizione verache tuttavia è indimostrabile: dunque il sistema della matematica è incompleto(tutto ciò, ovviamente, sotto l’ipotesi che la matematica sia non-contradditto-ria). Con il suo primo teorema Gödel dimostrò così che la nozione di verità an-dava distinta da quella di dimostrabilità nel caso della matematica e di tutti i si-stemi formali di una simile «ricchezza»:

Il metodo di dimostrazione ora esposto può essere applicato ad ogni sistema formaleche, in primo luogo, disponga, una volta interpretato, di mezzi espressivi sufficienti a definirei concetti che compaiono nelle precedenti considerazioni (in particolare, quello di «formuladimostrabile») e in cui, in secondo luogo, ogni formula dimostrabile, una volta interpretata,sia vera.

Ciò significa anche che la matematica è essenzialmente incompleta: l’in-completezza non deriva infatti da una «povertà» dei suoi assiomi, ma al con-trario dalla sua «ricchezza» espressiva: un sistema è necessariamente incomple-to appena esso (come abbiamo visto nei due passi preliminari) diventa in gradodi parlare di sé stesso. Per questo motivo, Gödel stesso riconobbe che il suo teo-rema poteva essere considerato una versione raffinata dell’antica «antinomiadel mentitore».

Il secondo teorema di Gödel riguarda la coerenza della matematica. Il pri-mo passo consiste nel definire una proposizione coer che afferma la coerenza(ovvero non contraddittorietà) della matematica. Ora, il ragionamento che pri-ma abbiamo condotto per dimostrare l’indimostrabilità di γ può essere «tradot-to» all’interno della matematica con questa implicazione: coer γ. Si era infatticoncluso che se la matematica è coerente allora γ è indimostrabile, e γ affermaappunto la propria indimostrabilità. Ma la verità di questa implicazione ci as-

Page 23: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

51

sicura che, se coer fosse dimostrabile, allora lo sarebbe anche γ. Ma ciò è control’ipotesi dell’indimostrabilità di γ e, in ultima analisi, della coerenza della mate-matica. Bisogna quindi concludere che, se la matematica è coerente, allora lasua coerenza è indimostrabile all’interno della matematica stessa. Il programmadi Hilbert si mostrava quindi definitivamente illusorio.

Bisogna fare attenzione all’ultima precisazione: all’interno della matematicastessa. Nulla infatti vieta che tale coerenza venga dimostrata al suo esterno, cioè fa-cendo uso di ipotesi aggiuntive che non fanno parte della matematica così com’è finoa quel momento definita. Questo è in effetti proprio ciò che venne fatto nel 1936 daGerhardt Gentzen (1909-1945) usando ipotesi aggiuntive tratte dalla teoria degli insie-mi di Zermelo e Fraenkel, e dunque non più con i soli metodi «finitisti» che auspicavaHilbert. Si noti però che, in maniera analoga a quanto abbiamo detto riguardo al pri-mo teorema, non si può credere di aggirare del tutto il problema aggiungendo ulterio-ri ipotesi agli assiomi della matematica: la stessa difficoltà si ripresenta infatti ad un li-vello più alto, perché è impossibile dimostrare la coerenza di questo insieme «arricchi-to» di assiomi senza ammetterne ancora altri, e così all’infinito. I teoremi di Gödel so-no stati per questo spesso invocati per sostenere la superiorità del pensiero umanosui procedimenti di calcolo formale. Questa interpretazione pare in realtà arbitraria. Iteoremi di Gödel pongono infatti un limite di natura oggettiva: essi cioè dimostranoche — raggiunto un certo livello di ricchezza espressiva — è oggettivamente impossi-bile costruire un sistema deduttivo in grado di giustificare sé stesso, ovvero tale che inesso non esistano funzioni non computabili; e ciò non per limiti connessi a colui (o aciò) che calcola, ma per la contraddizione che altrimenti ne nascerebbe. Purtroppo (ofortunatamente) le domande sull’uomo non possono ricevere risposta da un teoremalogico, neppure se il suo risultato è negativo come nel caso di quelli di Gödel.

Page 24: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

52

4.5. Alan M. Turing (1912-1954)

4.5.1. Computabilità e tesi di Church

La dimostrazione del teorema di incompletezza di Gödel, tutt’altro chefrenare la ricerca logico-matematica, le diede un nuovo impulso. Una volta in-fatti accertato che la nozione di verità andava distinta da quella di deducibilità— o che in altre parole esistevano funzioni non calcolabili — si apriva il proble-ma di definire in maniera esatta il campo delle funzioni calcolabili o computabi-li, il cui valore cioè per ogni argomento o n-upla di argomenti fosse univocamen-te determinabile con una sequenza di passi finita. Gli studi si concentrarono in-torno ad un’idea di base già intuìta negli anni ’20: definire la computabilità sullabase della ricorsività, cioè del criterio che già negli assiomi di Peano era statousato per definire le operazioni di somma e prodotto. In poche parole, si dichia-ravano cioè computabili tutte (e sole) le funzioni che fossero definibili stabilen-do una condizione di partenza e una condizione induttiva. Tale definizione attra-versò differenti tappe. In un primo momento si giunse alla definizione della co-siddetta ricorsività primitiva; quando però nel 1928 il matematico Wilhelm Ac-kermann scoprì una funzione evidentemente calcolabile ma non ricorsiva primi-tiva, il concetto di ricorsività venne esteso, ad opera di diversi matematici tra iquali Kurt Gödel e Alonzo Church, con la formulazione della cosiddetta ri-corsività generale (formulata in tempi successivi in alcune varianti tra loro equi-valenti, note come ε-ricorsività, λ-ricorsività, μ-ricorsività, σ-ricorsività).

I particolari delle definizioni di ricorsività sono notevolmente complessi; intuiti-vamente e in termini informatici moderni, le funzioni ricorsive primitive sono quellecalcolabili da un programma per calcolatore che dispone solo di cicli finiti (del tipo«for i := 1 to n do ...», con n predeterminato all’esterno del ciclo); le funzioni ricorsivegenerali sono quelle calcolabili con l’ausilio di cicli indefiniti (del tipo «while ... do ...»,con condizione di uscita determinata all’interno del ciclo). Questa caratterizzazionedella ricorsività generale si avvicina particolarmente alla nozione di μ-ricorsività, in cuiμ è appunto l’operatore che indica la ricerca indefinita di un valore minimo. Si noti che

Page 25: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

53

un ciclo «indefinito» è cosa ben diversa da un ciclo «infinito»: affermare l’esigenza diquest’ultimo equivarrebbe infatti a dichiarare una funzione non computabile.

Diversamente da quanto era avvenuto con la ricorsività primitiva, nei con-fronti della ricorsività generale non si riuscì malgrado gli sforzi a scoprire alcuncontroesempio: nessuna funzione cioè che rispondesse ai criteri intuitivi di com-putabilità senza però poter essere definita in maniera ricorsiva generale. Nel1936 Alonzo Church formulò quindi la congettura nota appunto come «tesi diChurch»: la classe delle funzioni intuitivamente computabili coincide con la clas-se delle funzioni ricorsive generali. È chiaro che tale congettura è per principionon passibile di dimostrazione giacché uno dei suoi concetti, quello di «compu-tabilità», rimane formulato ad un livello solo intuitivo.

4.5.2. Il modello di Turing e Post

Nello stesso anno avvenne però un ulteriore passo decisivo: Alan Turinged Emil Post, indipendentemente l’uno dall’altro ma in termini pressoché identi-ci, effettuarono un approccio del tutto differente al problema della computabi-lità. Piuttosto che cercare modelli matematici, essi elaborarono un modellomeccanico che rispondesse al concetto intuitivo di procedimento di calcolo. In-tuitivamente, colui che calcola (per esempio una comune somma) ha a sua di-sposizione della carta, in quantità indefinita; usa un certo alfabeto di simboli (ledieci cifre e qualche segno aggiuntivo); può spostare il suo occhio in un puntoqualsiasi, leggere e scrivere i simboli; segue nelle sue operazioni un insieme uni-voco e finito di istruzioni (che dicono appunto «come si fa» a sommare duenumeri); termina l’operazione quando ha scritto sulla carta il risultato. Turing ePost cercarono dunque di semplificare il più possibile queste condizioni, crean-do un modello puramente meccanico di calcolo, tramite il quale sarebbe statopiù semplice studiare il concetto di computabilità. Tale modello è da allora notoper lo più come «macchina di Turing». Seguiamo però la più semplice de-scrizione di Post:

Lo spazio dei simboli deve essere costituito da una sequenza di celle infinita da ambole parti, ordinalmente simile alla serie degli interi ..., -3, -2, -1, 0, 1, 2, 3, ... . Il risolutore delproblema o esecutore deve muoversi e lavorare in questo spazio dei simboli, avendo la capa-cità di trovarsi ed operare in una sola cella per volta. Inoltre, a prescindere dalla presenzadell’esecutore, una cella deve potersi trovare solo in una di due possibili condizioni, cioè es-sere vuota o non contrassegnata oppure avere un singolo contrassegno, per esempio un trat-to verticale. Una cella deve essere individuata e chiamata punto di partenza.

Assumiamo, inoltre, che un problema specifico debba essere assegnato in forma sim-bolica mediante un numero finito di celle contrassegnate da un tratto. Similmente, la rispo-sta deve essere fornita mediante un’opportuna configurazione di celle contrassegnate. Peressere precisi, la risposta deve essere la configurazione di celle contrassegnate lasciata allaconclusione del processo di soluzione.

Page 26: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

54

Si assuma che l’esecutore sia in grado di effettuare le seguenti azioni primitive:(a) contrassegnare la cella in cui si trova (supposta vuota),(b) cancellare il contrassegno nella cella in cui si trova (supposta contrassegnata),(c) spostarsi nella cella alla sua destra,(d) spostarsi nella cella alla sua sinistra,(e) determinare se la cella in cui trova è o no contrassegnata.L’insieme di istruzioni che, va notato, è lo stesso per tutti i problemi specifici e perciò

corrisponde al problema generale, deve essere della seguente forma. Deve essere intestato:Parti dal punto di partenza ed esegui l’istruzione 1. Deve quindi essere costituito da

un numero finito di istruzioni che debbono essere numerate 1, 2, 3, ..., n. L’i-esima istruzionedeve avere una delle seguenti forme:

(α) esegui l’operazione Oi [ = (a), (b), (c) o (d)] e passa all’istruzione j,

(β) esegui l’operazione (e) e, a seconda che la risposta sia sì o no passa all’istruzione j'o j",

(γ) fèrmati.Chiaramente occorre solo un’istruzione di tipo (γ). Notiamo anche che lo stato dello

spazio dei simboli influenza direttamente il processo solo tramite istruzioni di tipo (β) (Finitecombinatory processes. Formulation 1).

Si noti che in tale modello viene supposto un alfabeto composto di solidue simboli (casella vuota o contrassegnata). È evidente infatti che qualsiasi al-tro insieme di simboli più ricco può sempre essere «tradotto» in questo alfabe-to minimo; tutti i numeri naturali per esempio possono essere scritti in sistemabinario anziché decimale. Si osservi inoltre l’importante distinzione tra proble-ma generale e problema specifico: problema generale è per esempio «sommaredue numeri», problema specifico è «sommare 5 e 7»: il problema generale è in-dividuato da un certo insieme di istruzioni (il procedimento è uguale per tutte lesomme), il problema specifico è contraddistinto da un diverso stato di partenzadello spazio dei simboli (come sarebbe un foglio di carta su cui fosse scritto «5 +7 =»). Ma a quale scopo elaborare tale modello meccanico? La spiegazione diPost è molto chiara:

Lo scrivente si aspetta che la presente formulazione si riveli equivalente alla ricorsi-vità nel senso dello sviluppo di Gödel e Church. La sua intenzione, comunque, è non solo dipresentare un sistema di una certa potenza logica, ma anche, nel suo campo ristretto, di fe-deltà psicologica. In quest’ultimo senso sono contemplate formulazioni sempre più estese.

Page 27: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

55

D’altra parte, sarebbe nostra intenzione mostrare che tutte queste sono logicamente ricon-ducibili alla formulazione 1.

Noi offriamo questa conclusione, al momento attuale, come un’ipotesi di lavoro. Eper noi questo è il significato dell’identificazione di Church tra la calcolabilità effettiva e la ri-corsività. [...]

Il successo del precedente programma dovrebbe, per noi, cambiare questa ipotesinon tanto in una definizione o in un assioma, quanto in una legge naturale. Solo così, sembraa chi scrive, il teorema di Gödel sull’incompletezza della logica simbolica di un certo tipo ge-nerale e i risultati di Church sull’irresolubilità ricorsiva di certi problemi possono essere tra-sformati in conclusioni riguardanti tutta la logica simbolica e tutti i metodi di risolubilità (Fini-te combinatory processes. Formulation 1).

L’anno successivo lo stesso Turing dimostrò appunto ciò che anche Post siaspettava: la computabilità nel senso del loro modello meccanico (detta ancheτ-ricorsività) equivale alle definizioni di ricorsività generale. Ciò in effetti non si-gnifica ancora aver dimostrato la tesi di Church, ma perlomeno averla resa alta-mente plausibile: per contestarla bisognerebbe infatti anzitutto immaginareuna «maniera» di calcolo effettivo che sia essenzialmente differente e più am-pio di quello schematicamente rappresentato dalla macchina di Post-Turing: ilche — come osserva Post — è almeno «psicologicamente» difficile (e di fattonon è a tutt’oggi né avvenuto né ritenuto probabile). D’altra parte, la dimostra-zione dell’equivalenza tra τ-ricorsività e ricorsività generale ha qualcosa di sor-prendente: essa infatti significa che qualsiasi problema risolubile (sotto l’ipotesidi Church) è risolubile da una macchina tanto semplice, purché ovviamenteprovvista di un insieme di istruzioni adeguato, che potrà essere anche estrema-mente complesso (anzi, in generale è intuitivo che la complessità delle istruzionicresce contemporaneamente alla semplicità di una macchina). Ciò si può espri-mere anche dicendo che la macchina di Post-Turing è in grado di «simulare»qualsiasi altra macchina calcolatrice in senso lato.

4.5.3. Informatica e pensiero artificiale

Con gli studi di Church, Turing e Post furono in effetti inconsapevolmentegettate le basi dell’informatica (o computer science). Con le loro macchine infat-ti Post e Turing prepararono il modello al quale negli anni ’40 ci si ispirò per co-struire i primi calcolatori numerici (o «digitali», dall’inglese digit, «cifra»). Non sitrattava delle prime macchine calcolatrici in assoluto: già in secoli precedentierano stati progettati strumenti di questo tipo, a volte anche notevolmente raf-finati e complessi (da ricordare le calcolatrici di Pascal [1642], Leibniz [1673] esoprattutto la «macchina analitica» di Charles Babbage [1822], quest’ultima co-sì complessa che solo nel 1991 potè essere costruita in base ai progetti originali,con una spesa di 300 000 sterline, e trovata perfettamente funzionante). Si trat-tava però sempre di calcolatori destinati a risolvere un’unica classe di problemi

Page 28: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

56

(tipicamente, certe operazioni matematiche). Fu solo con il modello teorico diTuring e Post che si comprese la possibilità di costruire un calcolatore «universa-le», estremamente semplice nella sua architettura ma versatile al punto da po-ter effettuare qualsiasi calcolo (o più genericamente qualsiasi elaborazione didati) il cui algoritmo sia stato correttamente individuato e codificato. L’essen-ziale infatti sta nel distinguere la macchina in sé dalle istruzioni che essa eseguee dai dati sui quali opera.

È evidente che il modello di Post e Turing lascia la più ampia libertà nelle moda-lità di realizzazione fisica di una macchina calcolatrice: qualsiasi risultato che sia «iso-morfo» al modello originario è infatti accettabile. In effetti, molto differenti sono letecnologie finora usate: il primo calcolatore (Mark I, terminato nel 1943) era di tipoelettromeccanico; successivamente si passò a circuiti elettronici a valvole («prima ge-nerazione», 1946-54); quindi le valvole furono sostituite da transistor («secondagenerazione», 1955-64); i transistor furono quindi riuniti nei circuiti integrati («terzagenerazione», 1965-74, «quarta generazione», 1975-1980, «quinta generazione», dal1981). Tutte queste differenti realizzazioni hanno incrementato la velocità di calcolo,l’ampiezza della memoria, la facilità di programmazione e dunque la capacità praticadi calcolo: ma dal punto di vista teorico sono equivalenti all’originario modello di Poste Turing.

In comune tra le diverse generazioni di calcolatori è inoltre la scelta del sistemabinario (suggerito già da Post), di per sé per nulla obbligata, ma che rende molto piùsemplice non solo la costruzione delle macchine, ma anche il loro progetto: in questomodo infatti i circuiti di base della macchina (a prescindere dalle particolarità dei cir-cuiti sequenziali, ovvero contenenti elementi di memoria) sono isomorfi alle operazio-ni della logica proposizionale, che opera anch’essa su due soli valori (vero e falso). Nel-la moderna «elettronica digitale» (in cui cioè sono previsti due soli possibili segnali,«alto» e «basso») il funzionamento dei componenti di base («porte logiche») è in ef-fetti descritto da tavole di verità e portano gli stessi nomi (in inglese) delle funzioni lo-giche corrispondenti. Una porta AND è per esempio un circuito che ha un’uscita «al-ta» solo se entrambi i suoi ingressi sono «alti». Ecco le porte praticamente usate con iloro simboli (i tratti a sinistra equivalgono agli argomenti della funzione, il tratto a de-stra al suo valore, in modo che lo schema di circuiti complessi ricorda un po’ la Be-griffsschrift di Frege):

Page 29: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

57

nome simbolo funzione logica corrispondente

NOT negazione

AND congiunzione

OR disgiunzione

XOR alternativa

NAND negazione della congiunzione

NOR negazione della disgiunzione

XNOR negazione dell’alternativa

L’elaborazione dei modelli meccanici di Post e Turing apriva implicitamen-te un problema che lo stesso Turing affrontò in modo pionieristico nel 1950: lemacchine possono pensare? Le macchine di Turing-Post sono infatti in grado dieseguire qualsiasi procedura di elaborazione di simboli che sia stata definita eprogrammata. Ma non è proprio questo ciò che si intende con «pensiero»? Perfornire una risposta di principio a questo interrogativo, Turing descrive una pro-va immaginaria effettuata tramite un gioco, che da allora è nota come «test diTuring»:

Vi sono tre giocatori: un uomo, una donna e l’interrogante, che può essere dell’uno odell’altro sesso. L’interrogante sta in una stanza da solo, separato dagli altri due. Scopo delgioco per l’interrogante è determinare quale delle due persone sia l’uomo e quale la donna.Egli le conosce tramite le etichette X e Y, e alla fine del gioco dirà X è uomo e Y è donna, op-pure X è donna e Y è uomo. [...] Scopo dell’uomo nel gioco è quello d’ingannare l’inter-rogante e far sì che fornisca l’identificazione errata. [...] Per evitare che il tono della voce pos-sa aiutare l’interrogante, le risposte dovrebbero essere scritte, o meglio ancora battute amacchina. [...] Scopo del gioco per la donna è aiutare l’interrogante. [...]

Chiediamoci ora: Che cosa accadrà se in questo gioco una macchina prenderà il postodell’uomo? L’interrogante sbaglierà altrettanto spesso in questo caso di quando il gioco è ef-fettuato fra un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono la nostra domanda origi-naria: Le macchine possono pensare? (Computing Machinery and Intelligence).

In breve, Turing propone di chiamare «pensante» una macchina che rie-sce ad ingannare sulla propria identità, facendo appunto credere di essere unuomo, a prescindere dall’aspetto fisico. Ma è possibile comprendere tanto beneil concetto di pensiero (per lo meno in alcune sue componenti) da poterlo «pro-grammare»? e se sì non bisognerà forse dire che la relativa macchina simula sol-tanto il pensiero? Queste sono alcune obiezioni che da allora vengono sollevatecontro l’adeguatezza del test di Turing, e la loro discussione è lungi dall’essereesaurita. Questi interrogativi hanno contribuito a ridare vitalità a temi che a vol-te parevano isteriliti: per esempio il problema del rapporto tra la mente e il cor-po. Ma è chiaro che a loro volta tali questioni superano nettamente il campo

Page 30: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

58

della logica, perché esigono che prima sappiamo chi siamo noi che ci poniamoqueste domande.

Page 31: Piccolissima storia della logica - Euclide. Giornale di .... 6 a N. 11 - Euclide anno 2012/N. 11... · Giovanni Salmeri Piccola storia della logica II. Il Novecento Roma 1999. 30

59