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La scienza della natura non è che la scienza dei rapporti. Tutti i progressi del nostro spirito consistono nello scoprire i rapporti. GIACOMO LEOPARDI

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La scienza della naturanon è che la scienza dei rapporti.Tutti i progressi del nostro spiritoconsistono nello scoprire i rapporti.

GIACOMO LEOPARDI

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Aldo Pavariforestale per caso

Elena Ginevra Pavari

Firenze 2010

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© 2010 Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-87553-18-5

Tipografia Coppini Via Senese 56r - 50124 Firenze

Finito di stampare nel mese di marzo 2010

In copertina Recto «Padre e figlia» foto Matteo Gabriele

Verso Aldo e Elena Virginia Pavari, «Padre e figlia»(Isola d’Elba 1953)

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Quando Elena Ginevra Pavari mi disse che nellaricorrenza del cinquantesimo anno della scomparsadi suo padre stava preparando una pubblicazionenella quale intendeva illustrare la vita di quello checonsidero il Maestro delle scienze forestali, Lemanifestai subito il mio apprezzamento. Ero certoche la conoscenza della cultura e della altissimaprofessionalità di Aldo Pavari avrebbe interessatotutti i forestali.

Ella garbatamente mi fece presente che il libro eradedicato a un pubblico più vasto, ovvero a tutti colo-ro che amano i boschi pur non essendo forestali diprofessione. Le risposi che lo ritenevo utile ancheper i giovani che frequentano i Corsi di Laurea diScienze forestali e ambientali e per i meno giovaniche non avevano avuto la fortuna di assistere allesue magistrali lezioni. Inoltre, i ricercatori e gliaccademici tutti avrebbero accolto e letto con piace-re i particolari della vita e degli interessi culturali eartistici che, oltre ai familiari, conoscevano solopochissimi ancora in vita. Gli illustri studiosi cheper lungo tempo gli erano stati accanto − AlessandroDe Philippis, Lucio Susmel, Germano Gambi −sono anch’essi purtroppo ormai scomparsi.

Nacque così l’idea di associare, in occasionedella presentazione del libro «Aldo Pavari forestaleper caso» di Elena Ginevra Pavari, una giornata distudio in cui coloro che avevano affrontato e prose-guito i tanti filoni di ricerca iniziati dal grande Mae-stro ne avrebbero ricordato l’opera, mettendone inevidenza l’importanza e il significato oltre all’at-tualità di tanti temi.

Sfogliando il libro viene in mente l’andar pervisita in casa di amici. Si dispiega in dieci, comedire?, piccoli ambienti. Subito all’ingresso si trova-no i ricordi di una figlia che a distanza di anni rivisi-ta i momenti che hanno segnato la vita di un uomoche pur nelle vicissitudini dimostra la sua genialitàche poi, quasi per caso, trasferisce nel mondo dellaricerca forestale. Segue il corridoio dove, appesealle pareti, si possono ammirare le foto di famiglia.

Il visitatore, entrando nel soggiorno, trova i segni

di un destino adolescenziale in cui Aldo Pavaridimostra forza d’animo e mette in evidenza spiritoartistico con esercitazioni grafiche e spiccata attitu-dine alla musica. Seguendo il percorso si raggiungeil tinello in cui si notano i segni della sua frequenta-zione della Facoltà di Agraria dell’Università diMilano dove, allievo di Arrigo Serpieri, consegue lalaurea.

Nel vano adibito a laboratorio si ritrovano gli ele-menti che lo hanno condotto a ottenere una cattedraambulante come agronomo. A Siena, dove inizia illavoro, intuisce l’importanza dei rapporti tra bosco,agricoltura e pascolo. Un momento significativoche segnerà la sua vita di ricercatore e di docente.

La svolta forestale si realizza quando, vincitore diuna borsa di studio, si reca a Tharandt dove, allievodi Heinrich Mayr, acquisisce le nozioni scientifichee tecniche che egli, rientrato in Italia, svilupperàinnovandole. Questo è il momento decisivo per lasua formazione di studioso forestale. Entra quindinel Corpo reale delle Foreste e dal 1919 al 1922diviene Amministratore della foresta di Vallombro-sa, dando un contributo determinante per l’amplia-mento e la valorizzazione dell’Arboreto.

A Trieste, nel corso della prima guerra mondiale,continua i suoi studi pur nelle difficoltà dei compitiassegnatigli. Nel 1922 diviene direttore della Sta-zione Sperimentale di Selvicoltura, oggi Centro diricerca per la selvicoltura (CRA-SEL), carica chemantenne ininterrottamente fino alla sua scompar-sa. Si entra poi nel salotto dove sono raffigurati insequenza i percorsi della memoria della figliaElena e l’eredità culturale del grande Maestro.

Leggendo il libro si trovano spunti di riflessioneed espressioni di grande intensità emotiva. Credoche tutti sapranno apprezzare il lavoro di ElenaGinevra Pavari che ha ricordato a tutti, forestali enon, da un lato l’umanità e dall’altro la genialità diAldo Pavari: un vero forestale.

Firenze, marzo 2010ORAZIO CIANCIO

Presentazione

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Il 17 gennaio 1960 ho visto morire mio padre.Il giorno successivo, un articolo su “La Nazione”

era titolato: “Il professore delle foreste - Con lamorte di Aldo Pavari l’Italia ha perso il fondatoredel nuovo indirizzo dato alla Selvicoltura”.

Uno stesso fatto è stato percepito, già allora, indue modi diversi; col passare degli anni, poi, ognitipo di ricordo subisce delle trasformazioni.

La ricorrenza del 50° anniversario della morte diAldo Pavari mi ha dato l’occasione di mettere inatto un progetto meditato già da qualche anno: ren-dere visibile e condivisibile un frammento di storiaa cui ho direttamente partecipato, ma anche testi-moniare, a me stessa e agli altri, un percorso dimemoria maturato attraverso il tempo.

A distanza di mezzo secolo, forse oggi è possibile– nonostante le diversità di esperienze e di linguag-gio – trovare una via che avvicini i due tipi di me -moria: quella personale di una figlia, quella collet-tiva di generazioni di forestali, che direttamente oindirettamente, sono stati suoi allievi.

Non è facile e forse neppure necessario separarela storia dell’uomo da quella dello scienziato. Pos-siamo condividere molti ricordi. Ma dobbiamoanche affrontare insieme un problema più comples-so: quello del rapporto con il nostro passato. È uncammino che può oscillare tra nostalgia e critica,esaltazione e condanna, coinvolge la sfera emotivae quella razionale, matura attraverso il confrontotra le esperienze vissute e quelle raccontate, tra lagrande storia e tante piccole storie in essa inseriteeppure autonome.

Il tema non è certamente nuovo, ma in questi ulti-mi anni sembra emergere con particolare evidenzasia a livello storico che a quello psicologico: nonpassa giorno senza che un giornale, un libro, unfilm, un’intervista televisiva commenti una figuradi “padre” nella famiglia, nella società, in vari set-tori della letteratura, dell’arte, ecc.

Non mi risulta, finora, che qualcosa di simile siaaccaduto per un personaggio del mondo forestale(o in senso più ampio, delle scienze ambientali),

benché molti lo avrebbero meritato. Il loro ricordoè rimasto in genere circoscritto all’ambito profes-sionale. Inoltre sono quasi sempre “figli d’arte” aricordare i loro padri, mentre in questo caso lamemoria è vissuta da una figlia che ha percorso unastrada diversa.

Non è mio compito, né mia competenza parlaredel contributo portato da Aldo Pavari alle scienzeforestali e valutarne il significato a distanza ditempo: c’è senza dubbio chi è qualificato per farlo.

Ho potuto apprenderne qualcosa attraverso ciòche hanno scritto, poco dopo la sua morte, i suoi piùdiretti collaboratori e allievi: De Philippis, Susmel,Morandini, Gambi e altri. Le testimonianze di tantepersone che lo hanno conosciuto da vicino sonoservite a colmare le lacune del mio ricordo, talvoltaaggiungendo particolari che non conoscevo. Più direcente, la biografia di Aldo Pavari è stata rievocatain dettaglio e felicemente inserita nella storia fore-stale italiana nel volume dedicato da Antonio Gab-brielli ai ‘Maestri’ della cultura forestale, molti deiquali ho conosciuto personalmente: la sua ricercami ha aiutato a comprendere quanta parte dei mieiricordi sia legata, non solo a mio padre, ma a tuttauna “famiglia” di forestali.

Il contributo personale che posso portare oggi,anche con qualche notizia inedita, al ricordo diAldo Pavari, vuole rappresentare un percorsodiverso da quello delle biografie scientifiche: cercadi raccontare, fin dalle sue origini, la vita di unuomo, un uomo che forse è diventato forestale percaso… ma è stato un forestale vero.

Non può e non vuole essere una storia completa:soltanto un tentativo di mettere insieme alcuniframmenti di memoria, di scritti, di immagini.Forse sarebbe stato possibile raccontarla come inun romanzo, mettendo in risalto alcuni ingredientiquasi “deamicisiani” presenti al suo inizio (il gio-vane orfano che riesce a farsi strada, l’amore incon-trato in guerra…).

Oppure ricordare quanto sia stata importante pertutta la vita di Aldo Pavari la musica, in particolare

Introduzione

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suonare il violino, a cui si è dedicato con impegnodall’adolescenza alla vecchiaia: l’anno prima dellasua fine aveva perfino scritto una sonata (in stileclassico), senza aver mai studiato composizione.Oggi mi sembra significativa la sua scelta del violi-no: è lo strumento che più di ogni altro nasce da unrapporto specifico, personale tra alcuni uomini ealcuni alberi.

Si sarebbe anche potuto mettere l’accento sullasua capacità di cogliere in ogni situazione il latocomico, con una barzelletta o con una caricatura.

Infine, a tutti quelli che hanno conosciuto il prof.Pavari era nota la sua passione per la buona tavo-la… La competenza gastronomica ha addiritturacontribuito alla sua fama internazionale. Ne è unesempio l’aneddoto citato da De Philippis in unasua memoria: «In una casa forestale, a 3000 m,sulle Montagne Rocciose il monumentale cuoco mistava mostrando gli autografi di Eisenhower e dialtri ospiti illustri; quando capì che ero italiano, tiròfuori con orgoglio l’ingiallito biglietto da visita diqualcuno che era stato lì quindici anni prima e cheaveva colpito la sua fantasia, perché aveva saputoapprezzare la sua cucina, ma aveva saputo ancheinsegnarli qualche piccolo segreto di arte culinaria:quella persona, quel wonderful man non poteva cheessere Lui».

La soluzione concretamente realizzabile è statainfine quella di raccontare la vita di mio padre, findalle origini, mediante una serie di immagini. Unascelta forse in parte influenzata dall’importanzache ha oggi la comunicazione visiva… o dal fattoche non sono una scrittrice. Ma soprattutto è statadeterminante la pazienza e la precisione di miamadre, che per tanti anni è riuscita a conservare– nonostante due guerre, i saccheggi e i traslochi –un notevole patrimonio di memorie costituito dafotografie, ritagli di giornali, documenti e anchenumerosi disegni eseguiti da mio padre. Pochianni fa ho deciso di riordinare questo materiale,che probabilmente sarebbe andato disperso. Per-ciò ho donato al Museo Internazionale del Mare diTrieste una serie di disegni che minuziosamente

rappresentano le navi della flotta italiana al tempodella pri ma guerra mondiale; alla Fondazione Ali-nari di Firenze alcune foto relative alla liberazionedi Trieste; a mia nipote le foto di famiglia più pri-vate.

Qui ho cercato di ripercorrere le tappe di una vitadi uomo e di forestale, presentando in ordine crono-logico alcune testimonianze in parte oggettive(fotografie), in parte soggettive (disegni).

Per la prima parte di questa storia ho preferito,per commentare le immagini, usare non parole mie,ma di qualcuno che ha lavorato a lungo con mio pa-dre e lo ha conosciuto da vicino. Molti dei suoi col-laboratori ormai non ci sono più, ma per fortunahanno lasciato dei loro ricordi, testimonianze scrit-te ed è stato importante per me leggerle a distan-za di tempo. Fra tanti contributi, tutti validi, ho scel-to alcuni frammenti che mi sono sembrati più adat-ti a esprimere un rapporto umano oltre che profes-sionale. La maggior parte di questi sono dovuti adAlessandro De Philippis e a Lucio Susmel.

ELENA GINEVRA PAVARI

1958. Da sinistra: Lucio Susmel, Alessandro De Philippis e AldoPavari in occasione del suo 70° compleanno.

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La nascita, la famiglia, le origini

1888-1902

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Aldo Pavari nacque a Roma il 16 agosto del 1888.Nacque in albergo e fu battezzato nella vicina basi-lica di Santa Maria Maggiore sull’Esquilino.

Una circostanza che pare un vaticinio.L’Esquilino deriva probabilmente il suo nome dai

querceti (esculeti) che in parte lo coprivano, ma ècomunque sicuro che su una delle sue vette esistes-se un bosco di faggio, il Lucus facutalis, di cui parlaanche Varrone. Sull’Esquilino si trovava, poi, quel-l’ampia aerea che fu bonificata da Mecenate, percostruirvi la sua famosa villa con un grandiosoparco.

Non è perciò del tutto fantasioso immaginarebosco, bonifica ed albero allegoricamente presenti

alla cerimonia battesimale in Santa Maria Maggio-re, come altrettanti simboli della futura attività delneonato.

Ma la via che doveva condurre Aldo Pavari altempio del dio Silvano, se non lunga, fu tormentosa.

Egli non amava parlare della fanciullezza e dellaprima gioventù; non a torto, perché il fato gli erastato presto avverso, privandolo della madre a solootto anni e del padre a quattordici. Troppo lontani,perciò, ed infantili erano i ricordi della serena vitanel seno della famiglia al completo.(DE PHILIPPIS, 1962)

* * *

Aldo Pavari nei primi mesi di vita.

I genitori Giovan Battista Pavari e Ginevra Podio.

Nella pagina precedenteMedaglione con mosaico in miniaturaeseguito da Ginevra Pavari.

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La famiglia apparteneva alla buona ‘borghesia’ diquel tempo. Il padre, Giovanni Battista, veneto, eraingegnere del Genio Civile. La madre, GinevraPodio, romana, di lontana origine spagnola, era raf-finata esecutrice di mosaici in miniatura, di cui tut-tora possiedo un esempio.

Il fratello maggiore seguì la carriera militare aTorino, dove si sposò e dove tuttora vivono i suoi

nipoti. A Torino il nome di Pavari è anche legatoall’«Arboretum Taurinense» (il secondo, dopo quel-lo di Vallombrosa). In questo caso il valore dendro-logico si aggiunge a quello simbolico di «Parcodelle Rimembranze» in ricordo dei caduti dellaprima guerra mondiale.

La sorella Adele, sposata con un mutilato di guer-ra, visse a Genova e non ebbe figli.

Aldo con il padre, il fratello maggiore Gino e la sorella Adele.

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L’infanzia e l’adolescenza,Alba e Castelguglielmo

1903-1906

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Rimasto orfano, il giovane Pavari interruppe glistudi classici, passando alla Scuola di viticoltura edenologia di Alba, città nella quale un parente loaccolse in casa.

Fra Alba e Castelguglielmo, dove si recava per levacanze nella vecchia casa paterna, egli trascorse ilperiodo più difficile della sua giovinezza, impe-gnandosi seriamente nello studio. Ma egli amòanche la lettura dei libri di avventure, le lunghe gitein bicicletta, le chiacchierate con la gente di campa-

gna, mentre imparava a suonare il violino e si eser-citava con passione nel disegno a penna.(DE PHILIPPIS 1962)

* * *Sin dall’infanzia, tormentata da tragiche vicende,

diede prova delle sue qualità native. A otto anniebbe la sventura di perdere la madre e a quattordicidi rimanere orfano anche del padre. La sua vita subìallora la prima importante svolta: fu costretto a

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interrompere gli studi classici per frequentare unistituto tecnico, che avrebbe potuto offrire più facil-mente una possibilità di lavoro.

Già in questo primo frangente, che lo colpivacrudelmente nella delicata fase della pubertà, ilsuo ingegno ebbe modo di rivelarsi. Mettendosid’impegno, assolse lodevolmente il corso di studialla R. Scuola di Viticoltura ed Enologia piemon-tese, da dove, durante le vacanze, raggiungeva lasorella in seno alla famiglia paterna, a Castelgu-glielmo, nella piana di Rovigo. Nell’ambientepatriarcale della casa di campagna – si era fra il1903 e il 1910 – poteva dar libero sfogo all’esube-ranza giovanile, giudiziosamente contenutadurante la scuola. Si esaltava alla lettura dei libridi Salgari, ma non trascurava le sue innate inclina-zioni per l’arte, che avevano avuto stimolo dal-l’esempio materno e che, tra gente colta, trovava-

no anche lì, come nella casa di Alba, un’atmosferapropizia. Così alternava alle gite in bicicletta e allealtre distrazioni che la campagna gli offriva, leesercitazioni grafiche, disegnando dal vero le sueimpressioni di case e di alberi e componendo fan-tastici ed elaborati paesaggi, popolati dagli eroidelle sue letture preferite e da animali feroci. Lostesso godimento provava suonando il violino:non banali hobbies, ma genuine passioni che lohanno accompagnato fino all’ ultimo, segno di unareale necessità del suo spirito armonioso e dolce.Ancora dal viaggio negli Stati Uniti del 1946riportò, tracciati in un taccuino, gustosi «appunti»e schizzi; né si limitò, specialmente nell’età dimezzo, a essere assiduo ai concerti di musica clas-sica, ma ne fu egli stesso sin dal periodo milaneseamabile esecutore.(SUSMEL, 1960)

Alba 1903-1906. Alla Scuola di Viticoltura ed Enologia.

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La copertina di un album di disegno.

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1902. Illustrazione delle Bucoliche di Virgilio (penna).

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1907. Il Po a Castelgugliemo (Rovigo).

1905. Cani da caccia (inchiostro di china).

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1905. Animali feroci (inchiostro di china).

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1905. Sulla riva del Po (inchiostro di china).

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Milano, lo studio e la musica

1906-1910

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Conseguito il diploma ad Alba, Pavari riuscì aottenere una borsa di studio e poté, con maggioretranquillità, attendere agli studi universitari, pressola Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, dovefu allievo di Arrigo Serpieri e di Vittorio Alpe.

Le sue particolari doti emersero, oltre che nellabrillante carriera scolastica, nell’elaborazione diuna tesi sperimentale che lo portò all’ individuazio-ne di un nuovo microorganismo del girato di vino.(DE PHILIPPIS 1962)

* * *Si laurea nel 1910.Del periodo milanese non sono rimasti disegni:

forse la grande città era in questo senso meno sti-molante, forse aveva meno tempo libero…

È stata invece una tappa significativa – oltre, ovvia-mente, al traguardo della laurea – per la sua esperien-za musicale. Se già ad Alba si esercitava al violino

(ricordava di aver guadagnato i primi soldi suonandonelle piccole orchestre locali), a Milano ebbe possibi-lità sia di ascoltare opere e concerti al Teatro allaScala, sia di partecipare a serate musicali come usavaa quel tempo, nelle famiglie della borghesia colta.

Una vecchia fotografia (1908) conserva il ricordodi un concerto in casa del Prof. Cerletti, noto neuro-logo.

A distanza di anni, la tradizione della «musica incasa» è stata ripresa nella nostra abitazione di Fi -renze, in via Bonifacio Lupi, continuando quasifino all’inizio della seconda guerra mondiale. Conil violino di papà c’era talvolta l’accompagnamentodel pianoforte (suonato dalla Signora Doriguzzi,moglie di un forestale) oppure un trio di archi (ilvioloncello era l’avvocato Fischer, nipote del rab-bino Margulies). Quandi si trovava a Vallombrosa,spesso papà era invitato a suonare il violino nellefeste solenni all’interno dell’Abbazia.

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Milano 1908. Concerto per pianoforte e archi in casa del Prof. Cerletti.

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Siena, i campi e la città

1910-1912

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Appena laureato, si trovò a poter scegliere fra duescelte: una della cattedra ambulante di agricolturadi Siena, l’altra di una casa farmaceutica, pure diSiena, che cercava un microbiologo. Egli non esitòa scegliere decisamente la prima, perché desidera-va studiare i fenomeni e le cose nella libera natura,non in laboratorio.

I pochi mesi di permanenza a Siena, fra la fine del1910 e gli inizi del 1912, furono pieni di fervidolavoro e di esperienze nuove. A Siena troviamo unaltro segno del suo destino, che lo aveva portato aoperare in un ambiente agricolo che non ignorava ilbosco, il quale, in misura diversa e con aspetti vari,

dai querceti del Chianti ai castagneti dell’Amiata,ai forteti, entrava a far parte più o meno integrantedella struttura aziendale.

Egli imboccava così la sua via, quella che dovevaportarlo molto lontano.(DE PHILIPPIS, 1962)

* * *

Il breve periodo di permanenza a Siena, fino aiprimi mesi del 1911, fu attivissimo. Percorse lacampagna dal Chianti alla Maremma, dalla Monta-gnola alle Crete senesi ed al Monte Amiata; strinseamicizia con molti agricoltori, visitò fattorie, tenne

Siena 1910. «Armonia di tetti».

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riunioni e sostenne discussioni, diedelezioni. E fin d’allora egli ebbe la chia-ra percezione di quei rapporti di inter-dipendenza fra bosco, pascolo ecampi, che sono una delle caratteristi-che della selvicoltura mediterranea.Fu anche questo un seme che avrebbeportato il suo frutto e forse fu la spintache lo fece concorrere a una borsa distudio per la specializzazione pressol’Accademia forestale di Tharandt, inGermania.(SUSMEL, 1960)

San Gimignano 1910.Palazzo del Podestà (sec. XIII).

Rosia 1910. La chiesa del sec. XI(disegni a penna su cartolina).

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Tharandt, la svolta forestale

1912-1914

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Tharandt 1911. «Dalla mia finestra».

Tharandt 1912. Paesaggio invernale.

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Pervenuto a Tharandt nel marzo del 1912, senzaalcuna preparazione specifica, in un ambiente com-pletamente nuovo, per natura, per problemi eco-nomico-sociali, per oggetto e per metodi di stu-dio, Aldo Pavari riesce presto a orientarsi, invirtù della prontezza del suo intuito, dell’acutez-za e versalità del suo ingegno, delle sue spiccatefacoltà di osservazione e di sintesi.(DE PHILIPPIS, 1962)

* * *Il periodo della Scuola di Tharandt segnò, comun-

que, nella sua vicenda di uomo e di studioso, unasvolta radicale e definitiva.

Quando tornò dalla Germania (che ebbe modo divisitare abbastanza ampiamente, spingendosi anzinell’estate fino in Norvegia), era ormai un forestaleconvinto.

Il dott. Pavari, ormai risoluto nella sua vocazioneforestale, imboccava la via della pubblica ammini-strazione e a distanza di qualche mese dal ritorno inPatria, nel maggio 1913, entrava a far parte delCorpo Reale delle Foreste. Destinato a Firenzecome sotto-ispettore forestale aggiunto, collaboravanei primi mesi del 1914 al trasferimento daVallombrosa a Firenze della Scuola nazionale fore-stale, deciso nel 1912 da Nitti.(SUSMEL, 1960)

Hirschberg 1912. «Il confine con la Boemia».

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Tharandt 1912. Alcunediverenti caricature che cidimostrano come Pavariosservasse, oltre al pae-saggio, anche la gente.

Dresda 1912. «Sentinelle al Palazzo Reale».

Tharandt 1912. «Istantanea al Rodelbahn».

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La prima guerra mondiale

1916-1918

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Richiamato nel 1916, Pavari venne assegnato all’Ufficio legnamidell’Esercito, presso il quale, al fianco di Serpieri, si dedicò con pienoimpegno ai delicati e spesso difficili compiti assegnatigli, trovando,però, anche il modo di continuare gli studi prediletti.

Dalle osservazioni di campagna di quel periodo e dei mesi successi-vi alla conclusione del conflitto, durante i quali fu incaricato di prov-vedere alla riorganizzazione dei servizi forestali dei territori redenti,Egli trasse profitto, infatti, per scrivere interessanti note dedicate agliaspetti forestali del Veneto e delle nuove province. (DE PHILIPPIS, 1962)

* * *A Trieste trovò anche il modo di incontrare la sua futura sposa,

Silly Richtzenhain.

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Vallombrosa

1919…

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Ripreso servizio nel Corpo forestale, Pavari ven -ne destinato, nell’ agosto del 1919, all’amministra-zione della foresta demaniale di Vallombrosa.

Il periodo di Vallombrosa, allietato dalle nozze,dalla nascita della prima figlia e dal conseguimentodella libera docenza, fu un periodo di sereno efecondo lavoro, durante il quale egli mirò ad appro-fondire e affinare la sua preparazione, mantenendo-si in continuo contatto con i docenti dell’Istitutoforestale di Firenze e partecipando a vari congressie riunioni.

Della sua preparazione ebbe presto modo di darprova, perché venne chiamato a reggere la Stazionesperimentale di selvicoltura, istituita nel 1922,nello stesso anno in cui vide la luce la seconda partedel suo studio sulle specie forestali esotiche.

Nel 1924, superato agevolmente il concorso,Aldo Pavari divenne direttore della Stazione stessa,sorta come cattedra sperimentale dell’Istituto supe-riore forestale nazionale […].

Con un primo fondo che, per la storia, fu diL. 6.200, egli provvede ad attrezzare un ufficio e adavviare alcune ricerche.

Ancora privo di personale predispone, per ilprimo anno (1922-23), un importante programmadi lavoro che contempla: uno studio comparativosui rimboschimenti eseguiti in Italia; esperienzesulla coltivazione degli eucalitti e delle acacie; unostudio sperimentale sul miglioramento dei ceduipoveri; l’istituzione di numerose parcelle speri-mentali.

Nell’anno stesso effettua un viaggio nella Peniso-la Iberica dedicato alla visita delle vaste coltivazio-ni di eucalitti ed acacie esistenti nella Spagna meri-dionale ed in Portogallo.

Pure nel 1922 partecipa a Marsiglia a una riunio-ne per la costituzione della «Silva Mediterranea»,lega fra i forestali dei paesi mediterranei.(DE PHILIPPIS, 1962)

Vallombrosa 1919. Crocevecchia.

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Vallombrosa 1924. I Congressodella «Silva Mediterranea»(fondata nel 1922).Da sinistra: Pavari con Stella,Hickel e Ugrenovich.

Vallombrosa 1922.La neonata Elena in braccio alla mamma Silly.

Firenze 1934. Inaugurazione della nuova sededella Stazione Sperimentale di Selvicoltura.

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Il percorso della memoria

Padre e figlia

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Dopo quelli relativi il periodo di Vallombrosa,intorno agli anni ’20, non possiedo altri disegnieseguiti da mio padre. Probabilmente ce ne sonostati altri (per esempio so che ne aveva portatialcuni nel viaggio negli Stati Uniti), ma non sonostati conservati. Quindi, da quell’epoca in poi perillustrare questa storia posso disporre solo di foto-grafie… ma devo anche assumermi una diversaresponsabilità: quella di raccontare in prima per-sona, con i rischi ed i limiti che questo comporta.

Se si trattasse del curriculum professionale diAldo Pavari, potrei fermarmi qui: è ben documen-tato nella letteratura scientifica, nota o comunqueaccessibile ai forestali.

Per me figlia, invece, la storia comincia dallaprima infanzia e prosegue a fasi alterne attraverso

esperienze vissute, memorie elaborate nel tempo.Ovviamente, è anche una storia meno conosciutae molti di quelli che l’hanno in parte condivisa,non ci sono più; perciò, per ritrovare i fili chehanno unito due generazioni, credo sia opportunoaggiungere qualche riferimento di carattere per-sonale.

Anzitutto, chiedere idealmente scusa a mia sorel-la per ogni volta che ho usato l’espressione ‘miopadre’: è stato anche ‘suo padre’. Fiorella, natadieci anni dopo di me, è morta ancora giovane nel1999. È stata desiderata ed amata forse più di me,ma per vari motivi non abbiamo vissuto il rapportocon i genitori nello stesso modo: nell’infanziasiamo cresciute in ambienti diversi, poi lei si è spo-sata e ha abitato col marito ed i figli in un’ altra città,

Vallombrosa 1924. I Congresso della «Silva Mediterranea».Seduti: A. Merendi e F. Palazzo con Elena Pavari e Beppino Palazzo.

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Vallombrosa 1926.Aldo e Elena. «Padre e figlia» nell’Arboreto.

Vallombrosa 1924. Elena (al centro) gioca con due amichette. Vallombrosa 1926. Ancora Elena in mezzo ai figli della guardiascelta Donato Gallorini allora custode del vivaio.

mentre io sono rimasta più a lungo ‘single’ e, nono-stante il mio lavoro ho avuto la possibilità di mante-nere un rapporto più diretto con papà, e anche,attraverso lui, con la ‘famiglia forestale’.

Oggi credo di poter riconoscere, nella formazionedella mia identità ‘forestale’, tre fasi corrispondentia diverse età della vita.

La prima fase, forse quella che ha lasciato ‘l’im-printing’ più significativo, risale alla prima infan-zia, vissuta in gran parte a Vallombrosa: che per menon era una località di villeggiatura (anche se aquell’ epoca era di moda ed era frequentata da per-sonaggi illustri…), ma il posto dove lavorava papà,mentre io giocavo nel vivaio con i bambini delcustode, esploravo il bosco e il torrente, spessoseguivo gli studenti nelle esercitazioni nell’Arbore-to… Qualche vecchia foto conserva testimonianzedi quel periodo.

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Gli anni che separano la prima dalla seconda fasehanno rappresentato il passaggio dall’infanziaall’età adulta: un passaggio particolarmente diffici-le per chi, come me, ha dovuto attraversare laseconda guerra mondiale. Non ho dimenticatoniente dell’esperienza di quel drammatico periodo.Ma questa vuole essere una storia di pace, non diguerra: perciò preferisco ricordare solo che, nono-stante tutto, ho continuato gli studi: già ai tempi delliceo avevo maturato l’idea di fare il medico, nel1941 mi sono iscritta (contro il parere dei genitori escandalizzando molti conoscenti) alla facoltà diMedicina e Chirurgia dell’Università di Firenze enel luglio del 1947 mi sono laureata. Ma non hoavuto subito un posto fisso… e quando è stato pos-sibile, ho accompagnato papà in alcuni dei suoinumerosi viaggi in Italia e all’estero.

Anche se in seguito ho avuto molte altre occasio-ni di viaggiare, quelle esperienze hanno avuto unsignificato particolare: sia perché mezzo secolo fanon era facile come ora andare in Africa o in Asia,sia perché ho avuto l’opportunità di conoscere il

territorio e la gente in modo diverso rispetto agli iti-nerari turistici. Per esempio, del mio primo viaggioin Algeria e Marocco (allora ancora protettoratofrancese), ricordo in particolare le meravigliose fore-ste di cedro sull’Atlante, ma anche la richiesta dipapà di fermarsi qualche ora a Fez per poter visitarequella antica città; della Sicilia, oltre alle piantagionid’eucalipto, ricordo l’incontro con l’archeologo cheaveva appena scoperto i mosaici di Piazza Armerina;e ancora, le foreste delle Alpi Svizzere, quelle dellaSierra Morena in Spagna…

Un viaggio memorabile è stato quello del 1954 inIndia, in occasione del IV Congresso ForestaleMondiale organizzato dalla FAO: è cominciato conuna tappa in Egitto, poi una seconda in Pakistan(allora tranquillo) dove siamo stati accolti con par-ticolare cordialità perché un gruppo di studenti erastato a Vallombrosa; infine in India la cerimoniasolenne a Nuova Dehli, ma anche tanti incontriinformali. È stato il mio primo incontro con l’Indiaed è stato affascinante (tanto che poi ci sono tornatadue volte a distanza di anni e in situazioni diverse).

Vallombrosa 1935.«La bionda Elena sorvegliache il Presidente pianti beneun Abies cephalonica».

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Piazza Armerina (EN) 1955.Nonostante che il viaggio fosseprogrammatoper le piantagioni di eucalipto,non fu persa l’occasione per visitarein anticipo sull’inaugurazionei mosaici di Piazza Armerina.

Algeria 1950. Sosta di riposo durante una escursione.

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Pakistan e India 1954. Tappe del viaggio in occasionedel IV Congresso Mondiale Forestale.

New Delhi 1954. Una fase delIV Congresso Mondiale Forestale

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Dopo la morte di papà, ci sono stati anni in cui nel-la mia vita hanno avuto il sopravvento importanti im-pegni personali, sia nel lavoro che nella famiglia euna parte delle memorie è rimasta a lungo chiusa nelcassetto, come le vecchie foto.

È continuato tuttavia, come un filo conduttore, illegame con Vallombrosa: qui infatti ho anche avu-to occasione di esercitare la mia attività di pediatrae molti anziani della zona ancora mi riconoscono emi salutano con affetto, perché tanto tempo fa ho cu-rato i loro figli:anzi, in questi ultimi anni è questal’identità che mi viene più spesso attribuita; tuttavia,una volta un tale, incontrato per strada, mi disse «nonricordo se lei è dottoressa o forestale» ed io gli rispo-si: «tutt’e due!»

* * *La terza fase, quella che indirettamente mi ha fat-

to riprendere contatto con la cultura forestale, è co-minciata nella ‘terza età’. La cessazione, per moti-vi anagrafici, del rapporto professionale ha signifi-cato poter disporre non solo di più tempo libero,ma anche di una mente più libera. Ho scelto di usa-re questa libertà per studiare altro, oltre la medicina,senza nessun obbligo e senza nessuna ricompensa,fuorché il piacere di imparare e di condividere conaltri qualcosa di vecchio da non dimenticare, qual-cosa di nuovo da scoprire.

Per caso, per richiesta di amici (o perché, comemi disse una collega, avevo dei ‘geni repressi’) hocominciato a parlare e scrivere di alberi e di fiori inun contesto multiculturale (letteratura, arti figurati-ve, storia, religione ecc.). L’impegno più importan-te è stato lo studio delle piante nella Bibbia (pubbli-cato nel 1999, prima ricerca in Italia su questo temaspecifico). In seguito ci sono state e ci sono tuttoramolte occasioni per riflettere e discutere su temi d’at-tualità in vari sedi

Nel percorso di questa ‘svolta’ culturale ho avutopiù volte motivo di riallacciare il rapporto (mai deltutto interrotto) con gli amici forestali: ho trovatosempre una grande disponibilità, un prezioso aiutodiretto o indiretto, sia attraverso relazioni persona-li, sia attraverso informazioni utili.

Tra i protagonisti di questa rinnovata intesa ci so-no alcuni personaggi del mondo accademico comeil prof. Fiorenzo Mancini, il prof. Antonio Gabbriel-li, il prof. Orazio Ciancio, il prof. Ervedo Giorda-no: senza il loro appoggio non sarei forse arrivataa ricostruire questa storia. Ma un incoraggiamentomi è anche venuto, nel corso degli anni, da chi halavorato o tutt’ora lavora per la manutenzione delvivaio e dell’Arboreto di Vallombrosa: ogni voltache ci vado sono accolta con affetto, e quando ci so-no visitatori, spesso sono invitata a fare ‘gli onoridi casa’.

Vue générale de l’Abbayede la Vallombrosa. Pris au sud.Riproduzione tratta dall'Album«La Toscane - Album pittoresqueet archéologique»stampe di André Durand,testo di A. De SainsonParigi, Lemercier (1862-1863)

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L’eredità di mio padre, Aldo Pavari

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A distanza di tanti anni credo di poter valutarecon serenità il significato dell’eredità ricevuta damio padre e mi sembra che, tutto sommato, si possaconsiderare come un patrimonio che col tempo hadato i suoi frutti. Non si tratta certo di ‘sostanza’economica, ma un’insieme di elementi genetici eambientali, che hanno formato un patrimonio cul-turale: inteso più che come conservazione di unacultura specifica, come una trasmissione di unaenergia potenziale e dinamica.

Non ho idealizzato la figura paterna facendone unmodello: (ho fatto nella vita molte scelte autonome,a cominciare dalla professione), né l’ho considera-to un eroe; so che è stato un uomo con le sue debo-lezze. È stato, però un uomo con qualità non comu-ni, che hanno lasciato, non solo per me, effetti adistanza; un uomo vissuto nel suo tempo e oltre ilsuo tempo. La mia testimonianza non riguarda,ovviamente, l’itinerario scientifico, si tratta diesperienze personali che tuttavia mi sembra chepossano avere un senso non solo privato.

* * *Posso dire, per esempio, che già nel ruolo ‘paren-

tale’ mio padre è stato più vicino al modello moder-no che a quello della sua epoca; ho ricevuto da pic-cola tenerezze quasi materne, da adulta libertà erispetto, e di questo posso essere grata.

È stata un’esperienza positiva crescere tra glialberi e tra i forestali; imparare a conoscere le pian-te, a dar loro un nome non per esigenza didattica,ma per attribuire loro una identità già percepitaattraverso la vista, il tatto, l’odorato. Molti bambiniitaliani non hanno avuto questa possibilità.

Ma ancora più importante è stato il fatto di avereassimilato precocemente, quasi senza accorgerme-ne, le basi fondamentali di alcuni concetti divenutiormai di grande attualità, e di cui oggi tutti discuto-no: l’ecologia, lo sviluppo sostenibile, la biodiver-sità, la globalizzazione ecc.

Su questi temi ho dovuto in seguito aggiornarmi,sulla terminologia, sullo sviluppo dei vari settoriecc.: ho aggiunto ‘informazioni’, ma già primaavevo avuto la ‘formazione’, sia pure con parolesemplici, per poter comprendere la complessitàdelle relazioni tra l’uomo e l’ambiente, tra la vita ela ‘casa’ in cui essa si svolge.

Negli ultimi anni è senz’altro cresciuta l’attenzio-ne per questo problema; non altrettanto, pare, lavolontà di risolverlo… e intanto diventa sempre piùdrammatico un altro problema parallelo, quello del-l’emigrazione, dello ‘straniero’, del rapporto con‘l’altro’. La mancanza di rispetto per la terra e lamancanza di rispetto per l’uomo si intrecciano inmodo pericoloso ed entrambi sono mali, per cui unabuona profilassi sarebbe più utile e meno costosadella terapia d’urgenza. Personalmente ho avuto lafortuna di ricevere nel corso della mia vita, unabuona dose di ‘anticorpi’ contro ogni tipo d’intol-leranza, imparando invece a apprezzare il fatto chenella vita umana, come in quella vegetale, molte‘specie’ diverse possono convivere, anzi collabo-rare. Può sembrare un percorso programmato findalla mia nascita… dato che risale a quel tempol’interesse di Aldo Pavari per le specie forestaliesotiche (sento tutt’ora una sorta di gemellaggiocon la Douglasia!).

Tutta la vita di Aldo Pavari ha avuto fin dalla gio-vinezza, una dimensione internazionale.

Ha viaggiato molto, ha partecipato a convegniin varie parti del mondo intrecciando una vastarete di rapporti culturali e spesso di amicizia.Anche la famiglia è stata indirettamente coinvol-ta in questa rete.

Ma oltre a questo, devo ricordare che per moltianni Firenze e Vallombrosa sono state un puntodi riferimento per tutti i forestali italiani e stra-nieri: e molti di loro hanno frequentato più voltela nostra casa.

Ci sono stati studenti e professori trentini e sicilia-ni, francesi e tedeschi, turchi e finlandesi e la diversi-tà di lingua, razza, religione non ha mai rappresenta-to una barriera.

Ma non c’è stato neppure il cosiddetto ‘conflittod’identità’. Mio padre è sempre stato orgoglioso diessere italiano (anzi, come diceva spesso ‘mediter-raneo’): tuttavia nell’incontro con ‘l’altro’ trovavasempre motivo di interesse e di rispetto, se nonaddirittura di ammirazione.

Forse anche per questo la ricerca scientifica perlui non è mai stata qualcosa di astratto, separatodalla vita: ma sempre la curiosità e la gioia di sco-prire qualcosa di nuovo e di bello… sperando chefosse anche utile: se non oggi, forse domani.

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Amburgo 1910. Il viaggio in Germania un secolo fa.

Ungheria 1936.

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Finlandia 1938.

Inghilterra 1939.

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Stati Uniti 1946.

Monaco 1959.La laurea a honorem conferitadalla Facoltà di Tharandt.

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Mutare (Zimbawe) 1992.La targa posta in memoria di Aldo Pavari nella bibliotecadello «Zimbawe College of forestry» e un momentodella posa dell’albero (Trichilia dregeana) piantatoin suo nome.

Parecchi anni dopo la sua morte, nel 1992, AldoPavari è stato ricordato perfino in un Paese dovenon era mai stato personalmente: lo Zimbabwe.

Invitata dalla FAO anch’io ho partecipato allacerimonia in quella bellissima terra, oggi devastatada guerre e da epidemie. Là ho piantato un albero innome di mio padre.

Non so se quell’albero cresce ancora, mi piacesperarlo, perché in ogni parte del mondo un alberoche cresce è sempre segno di vita e di pace.

Se si considera l’albero solo comelegna da ardere, è evidente che nonlo si considera nella sua interezza; sesi considera l’uomo semplicementecome difensore della patria o produt-tore di ricchezza, lo si riduce a un sol-dato, a un mercante, a un diplomati-co e si misura la sua umanità in basealla sua efficienza.Una visione così ristretta è offensivaper l’uomo e in realtà non si fa chedegradare coloro che si desiderereb-be coprire di gloria.

Rabindranath Tagore, 1961

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RINGRAZIAMENTI

Questa pubblicazione non sarebbe stata possibilesenza il supporto tecnico e psicologico di moltepersone. In particolare: Alessandro, Mara e Brigittedi San Martino a Mensola; per la competenza pro-fessionale Massimo e per la disponibilità tutto ilpersonale dell’Accademia Italiana di Scienze Fore-stali.

BIBLIOGRAFIA

SUSMEL L., GAMBI G., 1960 – In memoria di AldoPavari. L’Italia Forestale e Montana, 15 (1): 29-48.

DE PHILIPPIS A., 1962 – Aldo Pavari. Annalidell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, vol. 11:265-291.

DE PHILIPPIS A., SUSMEL L., MORANDINI R., 1989 –Celebrazione del centenario della nascita di AldoPavari. Annali dell’Accademia Italiana di ScienzeForestali, vol. 38: XXVII-LII.

GABBRIELLI A., 2005 – Aldo Pavari. In: Su le orme dellacultura forestale. I Maestri; di A. Gabbrielli. Annalidell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, vol. 54:159-163.

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